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PRO O NON PRO?
from PINK BASKET N.14
by Pink Basket
LE ATLETE NON SONO ANCORA STATE RICONOSCIUTE PROFESSIONISTE. L’EMENDAMENTO ALLA LEGGE DI BILANCIO DELL’11 DICEMBRE 2019 NON GARANTISCE QUESTO DIRITTO. BISOGNA CHIARIRE DI COSA SI TRATTI E DEL PERCHÉ SIA SOLO UN PICCOLISSIMO PASSO, PURTROPPO NON DI SVOLTA.
FOCUS di Caterina Caparello
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Facciamo chiarezza: le atlete non sono ancora diventate professioniste. L’11 dicembre 2019 è stato approvato un emendamento alla legge di Bilancio, da parte del senatore Tommaso Nannicini (Pd), che prevede un esonero contributivo per 3 anni, fino a un tetto di 8.000 euro, per le società sportive dilettantistiche che vorranno inquadrare i loro atleti come professionisti, indipendentemente dal genere degli sportivi, secondo i parametri stabiliti dalla legge 91/1981.
L’emendamento in questione non è assolutamente un via libera al professionismo femminile, non si può cantare vittoria né stappare champagne, poiché tutto dipende dalle singole federazioni e, di conseguenza, dai club sportivi: questi, infatti, decideranno in modo autonomo se modificare i singoli contratti oppure no, decideranno chi potrà usufruirne e chi no. Un emendamento che apre un piccolo “varco”, richiamando fortemente la poetica di Eugenio Montale, da cui si intravede una lieve luce per poi realizzare come, allo stesso tempo, sia fugace.
Alessandro Marzoli è presidente Giba (giocatori italiani basket associati) dal 2012, lotta continuamente per la tutela degli atleti, di entrambi i generi, attraverso un lavoro capillare e di mediazione tra istituzioni e giocatori.
"L’11 dicembre - spiega - è stato fatto un passo avanti rispetto alla possibilità di riconoscere formalmente un diritto sacrosanto: avere delle tutele da lavoratrici alle atlete, lavoratrici a tutti gli effetti ma che non sono considerate tali per la legge 91/1981. Oggi sussiste un grande problema che è quello della sostenibilità, non solo per il calcio ma per tutti gli sport femminili, se le regole fiscali sul contratto di lavoro rimanessero così come sono sarebbe molto difficile per la maggior parte delle società femminili portare avanti attività a livello professionistico.
Questo però non può essere un alibi per non riconoscere a delle lavoratrici dello sport quelli che sono i diritti che tutte le lavoratrici hanno in Italia e che a loro, oggi, non sono garantiti: a partire dalla previdenza, in particolare i contributi Inps, ex Enpals, e un’assicurazione obbligatoria, non solo quella Inail, ma anche un’assicurazione specifica per gli sportivi, oltre al diritto alla maternità garantito dal fondo. Oggi questo emendamento è un ulteriore passo avanti che purtroppo di per sé non garantisce nulla ma che, sicuramente, mette sul tavolo uno strumento al servizio delle società che potrebbero vedersi di fatto riconosciuti quei contributi previdenziali che andrebbero a gravare molto sulle loro tasse almeno per i primi anni. L’idea è quella di rendere il sistema sostenibile ma se le federazioni e le leghe femminili non fanno un passo ulteriore, il rischio è che quell’emendamento resti solo un’opportunità mancata".
Come dovrebbero comportarsi le federazioni?
"In primo luogo è necessario che le federazioni di appartenenza riconoscano che una categoria come l’A1 femminile è una categoria professionistica. Dopodiché i club sono obbligati a sottoscrivere dei contratti di lavoro sportivo. Oggi quello che può succedere è che le società, per motivi di tempo ed economici, facciano resistenza e che chiedano alle federazioni di non uscire dall’attuale regime dilettantistico che, da un punto di vista fiscale, consente loro di sostenere i costi attuali.
C’è un tema che si incrocia a quello dell’emendamento, il tema di una terza tipologia contrattualistica che, a mio parere, viene chiamato in maniera impropria “semiprofessionismo”. Questa la si potrebbe incastonare con una fiscalità in una delle diverse tipologie contrattuali, un terzo genus come ipotizzava Gabriele Gravina (presidente Figc ndr), che dovrebbe arrivare con dei decreti attuativi in modo da avere una nuova possibilità che sia aggiuntiva rispetto alla legge 91. Perché oggi la legge 91, che è da riformare, non consente un’altra strada: o sei un lavoratore professionista oppure sei un lavorato re dilettante, che è agevolato dal punto di vista fiscale ma che non ha alcuna tutela.
Dal momento in cui non c’è una legge che obblighi le società a dare tutele, queste non sentono quindi la responsabilità di doverle dare; ciò è gravissimo perché molte ragazze si trovano da un giorno all’altro non solo senza una copertura assicurativa, che non è obbligatoria al di là delle assicurazioni Sip, assicurazione base per le atlete, ma non c’è un’assicurazione sulla malattia. Per non parlare del Tfr, il fondo di un fine carriera: è impensabile come ragazze, che da quando hanno 18 anni firmano contratti da lavoratrici, dopo 15-18 anni di carriera non abbiano non solo contributi previdenziali, quindi dovrebbero ripartire da capo con i contributi pensionistici, ma non abbiano nemmeno un minimo Tfr che le vada ad aiutare in quel periodo di transizione; rispetto ad un’altra attività lavorativa, queste donne devono ricominciare da capo rispetto ad altre colleghe. È indispensabile una risposta chiara e potrebbe darla questa legge che è chiamata semiprofessionismo, proiettata verso il riconoscimento dei diritti per le donne come i colleghi maschi".
Tutto sembra dimostrare come l’emendamento sia in realtà un palliativo e che sarebbe più importante modificare la legge 91/1981.
"Sicuramente l’emendamento ha un forte impatto simbolico-emotivo mettendo anche dei soldi a disposizione, ma se non c’è un obbligo quei soldi potrebbero rimanere lì, in attesa di tempi migliori perdendo magari una grande occasione. L’occasione oggi c’è con la possibilità, contenuta nella legge delega per il Legislatore, di fare un percorso, attraverso i decreti attuativi, che proietti le ragazze e i colleghi uomini non riconosciuti come professionisti, in un inquadramento giuslavoristico, magari nuovo, che si aggiunga a quello della legge 91 e che dia qualcosa in più rispetto a una situazione che oggi non è più sostenibile. Bene l’emendamento però serve qualcosa in più. Quelle risorse potevano essere messe a disposizione a sostegno di una nuova tipologia contrattuale, sostenuta da un investimento per rendere più sostenibile l’investimento delle società".
Che lotte sostiene la Giba e come si muoverà la Fip?
"Con la Fip e il presidente Gianni Petrucci il discorso si è avviato da tempo, discutendo se verranno approvati i decreti attuativi della legge delega, poiché è attento e sensibile. Personalmente vorrei che fosse il custode e il garante di quell’esigenza che rappresentiamo, non solo come Giba, ma come tutto il movimento femminile, affinché la pallacanestro abbia quelle tutele che le ragazze meritano e che oggi non hanno. Oggi sicuramente la lotta principale è quella del riconoscimento di chi è considerato dilettante pur svolgendo esattamente la stessa tipologia lavorativa dei colleghi di A1 maschile. Insieme a questo, c’è un lavoro importante come Giba che è quello di affiancare, attraverso percorsi agevolati, borse di studio e convenzioni universitarie una carriera parallela perché, purtroppo, sono pochi quegli atleti e quelle atlete che possono vivere di pallacanestro e di sport per tutta la vita. Nel basket non ci sono stipendi alti che consentano di vivere di rendita. Però affiancare e dare strumenti, o coltivare passioni, permettono di avere una prospettiva anche a medio-lungo termine, poiché il rischio di interrompere la carriera per un infortunio o per l’età c’è, quindi cerchiamo di sensibilizzare e supportare donne e uomini. Chiediamo una tutela medica e sanitaria adeguata a tutti i livelli, ci sono situazioni in cui non c’è una dovuta attenzione, delle volte si chiede addirittura alle ragazze di anticipare le spese, e avere almeno un contratto standard, una contrattazione collettiva perché una scrittura privata può essere diversa da società in società".
Una necessità di chiarezza anche dal presidente Petrucci, che apre totalmente al professionismo femminile, consapevole che dipenda dalle scelte delle società femminili.
"L’emendamento Nannicini - commenta - non è una legge per il professionismo femminile nello sport, bensì un incentivo, un’agevolazione, per avvicinare lo sport femminile al professionismo. La Fip non è di principio contraria al professionismo. Già lo applica per la serie A maschile all’interno della legge 91. Il professionismo è un tema serio ed importante. Oggi, diversamente dal passato, ci sono le condizioni culturali e sociali per riflettere seriamente sulla materia e noi non ci sottraiamo. È nel potere delle federazioni optare per il professionismo, ma credo che debbano essere le società femminili, in questo caso, a scegliere e a dare indicazioni alla federazione. In definitiva e in concreto, sono i club a spendere i soldi per garantire le attività, cosa che la federazione rispetta mettendosi a disposizione delle loro scelte".
Raffaella Masciadri, ex giocatrice plurititolata e capitana di Schio e della Nazionale, è la presidentessa della Commissione atleti del Coni e ritiene che l’emendamento sia un primo passo, non certo la soluzione.
Tutto dipende infatti dalle federazioni e dalle società, quindi non è detto che le donne diventino professioniste.
"Esatto, - conferma - per questo motivo apprezzo l’iniziativa ma non mi unisco alle dichiarazioni trionfalistiche. Al di là degli sgravi contributivi, l’impianto normativo su cui si innesta l’emendamento rimane la legge 91. Questa è stata più volte giudicata anacronistica e non più rispondente alle realtà sportive del nuovo millennio, persino dal mondo del calcio che la chiese a gran voce. La qualificazione di “lavoratore sportivo” e la tutela previdenziale sono diritti che prescindono dalle volontà delle federazioni e dei club. Pertanto, va cercata quell’armonia che consenta ai sodalizi sportivi di continuare ad investire nello sport e agli operatori sportivi di avere le giuste tutele, indipendentemente dal genere di appartenenza o dalla disciplina sportiva dedicata".
Come rispondi ai club che lamentano del costo e delle tempistiche di esonero?
"Che hanno ragione, se intendono perseguire un miglioramento del modello sportivo basato su interventi duraturi nel tempo, che tengano conto della specificità dello sport e del suo ruolo sociale, nonché della pari dignità e della reciproca soddisfazione per gli operatori sportivi e per i club. Sarebbe più importante modificare la legge 91. Infatti trovo molto più produttivo e democratico che siano tutti i rappresentanti del mondo sportivo a farsi parte attiva col Governo, che ricordo è chiamato ad attuare la legge delega anche sul professionismo e sul lavoro sportivo. È molto interessante quanto sta emergendo dallo specifico Tavolo di lavoro costituito dal Consiglio nazionale del Coni, su impulso del presidente Malagò, dove stanno nascendo utili elementi di valutazione dai presidenti federali, dagli enti di promozione sportiva, ma soprattutto dai rappresentanti degli atleti e dei tecnici. Si sta formulando una proposta che preservi le disposizioni agevolative previste per i dilettanti coniugandole con le tutele previdenziali, senza aggiungere ulteriori oneri ai club e agli operatori sportivi".
Le tue battaglie?
"Elevare di dignità le condizioni degli atleti che non sono oggi ricompresi nel professionismo elitario della legge 91, o che non vestono una divisa in seno ai gruppi sportivi delle Forze armate, di polizia e dei corpi dello Stato. Come donna, chiedo che le colleghe atlete siano tutte tutelate. Tale percorso di riconoscimento professionale e previdenziale va accompagnato da una efficace azione di “dual career”. La nostra Commissione vuole essere parte attiva nei vari progetti di “doppia carriera”, per formare professionalmente ed accademicamente gli atleti mentre praticano ancora le proprie discipline sportive. Soltanto in questo modo le atlete e gli atleti saranno “appetibili” per il mercato del lavoro, al momento di dire addio alla carriera da sportivi. Il Coni è stato individuato dal Legislatore come “autorità competente” per le professioni sportive regolamentate di allenatore, maestro di scherma, preparatore atletico, dirigente sportivo, direttore tecnico sportivo, ufficiale di gara. Queste trovano reale sbocco occupazionale, che saprà assicurare dignità a chi le esercita, se verranno adottati correttivi auspicati dal Tavolo di lavoro del Coni".
Cosa speri che cambi nel mondo dello sport?
"Il vero cambiamento del modello sportivo italiano sta nella continua ricerca della perfetta conformità. Parafrasando Cavour direi “Libero Coni in Libero Stato”, cioè riconoscimento della doverosa autonomia del massimo ente pubblico sportivo, che è il catalizzatore degli interessi di tutti gli organismi sportivi da esso riconosciuti, in un ambito di perfetta tracciabilità delle azioni intraprese e dell’utilizzo dei contributi pubblici".
Sono tante le perplessità anche di Luisa Rizzitelli, presidentessa Assist.
"L’emendamento ha in sé del buono - commenta -. Tuttavia per noi di Assist non è una vittoria, ma soprattutto non è la direzione giusta, perché l’emendamento stabilisce quali sono alcune delle discipline sportive che possono utilizzare questa agevolazione contributiva ed è esattamente quello che non vogliamo. Non vogliamo che a decidere quali siano le atlete e gli atleti professioniste siano i loro datori di lavoro, cioè le associazioni sportive e le federazioni. Da sempre chiediamo che vengano stabiliti dei criteri oggettivi, ovvero che cosa deve fare un lavoratore, donna o uomo, per essere definito professionista, e capire che cosa può fare per avere tutte le tutele elementari cui ha diritto.
Quindi l’emendamento, per quanto abbia qualcosa di buono creando delle precondizioni nel dare un aiuto alle associazioni sportive che vogliono far emergere il professionismo, ha due cose che per noi non vanno bene: fa dei distinguo tra atlete di alcune discipline con altre e lascia ancora una volta alle associazioni sportive il compito di decidere quali siano le atlete che possono utilizzare il contributo e che quindi possono diventare professioniste".