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FUOCO ARGENTINO
from PINK BASKET N.14
by Pink Basket
PRIMO PIANO di Chiara Borzì
A QUASI 44 ANNI, CAROLINA SANCHEZ È ANCORA IN CAMPO PER RITROVARELA SERIE A1 CON CAMPOBASSO. ALLE SPALLE, 19 ANNI DI NAZIONALE, 3MONDIALI, 3 CAMPIONATI AMERICANI, 6 CAMPIONATI SUDAMERICANI E UNALUNGA CARRIERA DA PROFESSIONISTA INIZIATA A 14 ANNI IN ITALIA
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Carolina Sanchez non ha ancora voglia di appendere le scarpette al chiodo. La cestista argentina, nazionale dal 1997 al 2014, a 43 anni continua la sua lunga carriera italiana giocando per la Magnolia Campobasso. Il traguardo per l’attuale capolista del girone Sud è dichiarato: puntare al salto di categoria nella massima serie.
“La promozione è un obiettivo troppo bello da raggiungere prima di smettere di giocare – ammette sorridendo. Gioco in un campionato molto differente da quelli vissuti in passato in Italia, perché il livello non è alto come dieci anni fa, ma l’economia è cambiata e questo influenza anche il livello della competizione. In A1 con Priolo avevo delle compagne straniere veramente allucinanti! Ho vinto con loro uno scudetto negli anni in cui davvero era difficile prevedere chi lo avrebbe conquistato, e in un periodo in cui il campionato italiano era probabilmente uno dei più forti in Europa. Oggi in A2 con Campobasso stiamo giocando un campionato molto lungo e in cui ho il compito di aiutare la squadra mettendo a disposizione la mia esperienza. Tutte conosciamo i nostri obiettivi a Campobasso. Il mio compito a 43 anni è spingere le mie compagne, al di là del minutaggio in campo che può essere di due o cinque minuti. Conquistare l’A1 sarebbe davvero un epilogo bellissimo della mia carriera”.
Alle porte del 2020, la Sanchez porta con sé l’attaccamento alla pallacanestro a cavallo degli anni ’90 e il 2000. Una pallacanestro che prevedeva ancora lunghi allenamenti, grandi sacrifici, obiettivi da raggiungere mettendosi completamente a disposizione e in gioco. Caratteristiche che Carolina Sanchez ha imparato a fare proprie già in Nazionale, con la camiseta argentina cucita addosso per diciannove anni.
“La nostra Nazionale è cambiata tanto – spiega dopo tre mondiali alle spalle - ho vissuto il periodo in cui la convocazione era tutto. In campo lasciavi il cuore, giocare per il tuo paese era la cosa più importante, spesso a discapito del denaro che oggi sembra invece aver preso molto spazio. Questo cambiamento è avvenuto quando avevo 25-30 anni. Nel 2014 ho iniziato a giocare con compagne più giovani e ho notato le differenze nelle priorità. Il valore di una giocatrice non si dimostra a priori vestendo la maglia della Nazionale, ma dal modo in cui la giocatrice tiene a indossare la maglia. Personalmente ho dato il cuore e, se potessi, starei ancora lì. So però che serve il ricambio generazionale, ma credo che il nostro di ricambio sia stato poco fortunato: mancano giocatrici che mettono il cuore e il lavoro della Nazionale stesso è cambiato”.
Tra i ricordi degli anni in albiceleste c’è anche il rapporto con la Nazionale maschile.
“Non sono ancora riuscita a veder giocare Luis Scola a Milano - scherza Carolina Sanchez. Con lui e Ginobili abbiamo dato vita ai migliori anni della pallacanestro argentina. Per noi erano un esempio nonostante fossero qualche anno più piccoli, e tutti insieme sapevamo di essere una generazione molto forte. Per la Nazionale femminile forse quel periodo è stato più brutto; ai ragazzi era riservata più attenzione, quindi quando noi andavamo al mondiale non avevamo lo stesso seguito. Loro erano stelle in NBA, erano pagati, mentre alcune delle mie compagne vestivano la maglia senza alcun ritorno economico. Alcune lasciavano il lavoro per giocare il mondiale, altre i figli, altre ancora sacrificavano lo studio, solo poche vivevano di pallacanestro”.
Storie che non sembrano estemporanee neanche oggi, in Italia, fresca di approvazione di nuove norme sul professionismo nel settore femminile.
“È giusto che l’Italia abbia delle regole in questo senso, è un bene che si stia adeguando. Sono qui da quando ho 14 anni e sono tornata in Argentina solo nel periodo in cui è morto mio padre. L’Italia mi ha dato tutto, è il primo paese che mi ha ospitata e dove ho giocato per la prima volta in A2 con Palermo. Rimangono compagne di squadra che sono state importanti, come Iris Ferazzoli, che è come una sorella. Abbiamo vinto uno scudetto insieme a Priolo e in Argentina dividevamo casa a Buenos Aires, anche se giocavamo contro. A lei non è piaciuto mai perdere, per questo quando non vinceva in casa non si poteva quasi parlare! Con lei ho imparato cose necessarie per arrivare lontano – racconta. Era una pazza, non finiva la giornata se prima non faceva cinque allenamenti. Tornando a oggi, a Campobasso sono anche allenatrice di una squadra giovanile maschile U13 e credo sia davvero un momento bellissimo vedere questi ragazzi passare dal minibasket a basket. Con la società stiamo anche lavorando per portare in città giovani giocatrici per creare un buon settore giovanile. Ho portato due ragazze, una dall’Ecuador e una dall’Argentina, che potranno iniziare gli anni di formazione per diventare italiane. La città è piccolina ed è difficile trovare solo ragazze del posto. Campobasso avrà bisogno nei prossimi tre anni di persone in grado di lavorare bene per farla arrivare in alto, per costruire una bella realtà di pallacanestro femminile”.