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CRIPPA LA TRASFORMISTA
from Pink Basket N.18
by Pink Basket
COVER STORY di Giulia Arturi
NATA ATTACCANTE (TRE STAGIONI IN DOPPIA CIFRA IN A1), È DIVENTATA SPECIALISTA DIFENSIVA: “MI SONO ADEGUATA ALLE NECESSITÀ DEI MOMENTI E DEGLI ALLENATORI”. GEAS, LUCCA, DIAMANTI, PENICHEIRO, JOHANNÉS: ECCO I NOMI CHE APRONO LO SCRIGNO DEI SUOI RICORDI
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Secondo una logica deterministica, tutto accade secondo rapporti di causa-effetto. Geas-Crema fu una delle prime partite del campionato di A2 2007/08. Finì con una vittoria di Crippa e compagne dopo ben tre supplementari. Martina era cambiata in panchina, ma a causa di un infortunio muscolare era stata tenuta precauzionalmente a riposo. Certo nessuno pensava che quel sabato i minuti giocati sarebbero stati 55, con i conseguenti problemi di falli. Così, nel primo supplementare toccò a lei. “Te la senti?” le chiese il tecnico Roberto Galli. “Certo”. Acciaccata, senza riscaldamento, entrò e fu decisiva. Fece sembrare quel “certo” la risposta ovvia. Ecco uno dei segreti di Martina: fare benissimo le cose solo apparentemente scontate. È la maggior interprete dell’arte delle piccole grandi cose: palle rubate, recuperi, aiuti. Tanti la reputano una specialista della difesa. Ma è molto più di questo. È anche un’attaccante di grande talento: in due stagioni a Lucca ha chiuso in doppia cifra di media. E l’aveva già fatto poco più che ventenne nel Geas di A1. Però in carriera ha avuto l’umiltà e l’intelligenza di fare sempre quello che serviva alla squadra, che fossero tre punti o uno sfondamento subìto, diventando una giocatrice insostituibile per tutti i suoi allenatori.
La carica emotiva di quel successo ai supplementari fu fondamentale per vincere il campionato. E così, la stagione seguente, a 19 anni, Martina si trovò in quintetto in una serie A1 con quattro straniere. Poi Faenza, Taranto, lo scudetto a Lucca, l’Eurolega a Schio. Il rapporto causa-effetto è un po’ illusorio e ingeneroso: tra quel 2007 e oggi ci sono anni di allenamenti e di cambiamenti, costati un investimento caratteriale importante. Una battaglia vinta con le sue insicurezze, ormai quasi del tutto piegate dalla forza di volontà. In campo è affidabile e sicura. Un infortunio al ginocchio con la maglia azzurra durante le qualificazioni ai prossimi Europei ha fermato Martina in questa stagione, ma la rivedremo presto protagonista.
Come sta andando la riabilitazione?
“La prima parte che richiede di aver vicino un fisioterapista, l’avevo già conclusa. Poi nel momento in cui dovevo cominciare l’attività più dinamica non ho potuto farlo. Sono tornata a casa proprio il fine settimana in cui è iniziato il lockdown e sono rimasta bloccata qui. Ora mi sto arrangiando riuscendo comunque a svolgere tutti gli esercizi del programma. Aggiungendo grandi pedalate sul balcone con la cyclette e andando su e giù dall’ottavo piano. Non vedo l’ora di poter riprendere. Ho fiducia, anche se non potersi confrontare con nessuno per capire come sta andando è una situazione difficile”.
Partiamo dal passato. Al primo anno di A1 con il Geas, stagione 2008/09, a 19 anni, eri in quintetto. Che effetto ti ha fatto essere stata dall’inizio una pedina importante e vivere l’aria di uno spogliatoio completamente cambiato?
“Roberto Galli mi ha dato tanta fiducia, buttandomi in campo sin dall’inizio, e per me è stata un’esperienza eccezionale, anche perché esordire in A1 con la maglia del Geas, la società che mi ha fatto crescere ha avuto un significato speciale”.

MARTINA CRIPPA. CLASSE 1989, ALLA SUA SECONDA STAGIONE A SCHIO, STA RECUPERANDO DA UN INFORTUNIO AL GINOCCHIO OCCORSO DURANTE UNA PARTITA CON LA NAZIONALE
Quell’anno in squadra c’era Ticha Penicheiro. Te la ricordi?
“E come potrei mai dimenticarla! La maggior parte dei canestri che segnai quell’anno furono grazie ai suoi fantastici passaggi: improvvisamente ti ritrovavi con la palla in mano senza nemmeno sapere da dove arrivava! In allenamento la pallonata in faccia era sempre dietro l’angolo. È stata la giocatrice che più mi ha colpito, per professionalità, umiltà e dedizione al lavoro. Quell’anno eravamo veramente forti perché assieme a Ticha, c’erano Ice (Tillis, che vinse la classifica marcatrici, ndr) e Clarisse Machanguana”.
Tante anche le soddisfazioni nei campionati giovanili. Hai qualche episodio che ricordi con particolare piacere?
“Sicuramente lo scudetto juniores vinto con il Geas nel 2004. Un girone incredibile: dopo aver perso le prime due partite, la terza era da vincere obbligatoriamente di 27 punti contro Parma per passare alle fasi eliminatorie. Missione compiuta: quindi semifinale contro l’allora imbattibile Treviso di Sottana e poi la finale contro Trieste. Davvero una settimana indimenticabile e festeggiamenti infiniti!”.
Il tuo apprendistato sia in A2 che in A1 è durato poco. Avvertivi molto la pressione di essere protagonista già da adolescente?
“Sì, visto anche la mia natura un po’ ansiosa! Ma ho avuto sempre vicino giocatrici esperte e di carattere che mi hanno aiutato ad affrontare le varie situazioni, e poi una volta in campo dimenticavo tutto. Sono stati anni bellissimi, anche di grande divertimento”.
Hai detto che sei un po’ ansiosa, anche se vedendoti in campo non si percepisce proprio. Nel corso della carriera sei riuscita ad imparare a gestire questa situazione?
“A dire la verità no! (risata). Prima di ogni partita mi sento sempre come se fosse la prima. Questa componente del mio carattere mi accompagna tutt’ora, ma grazie all’esperienza è molto migliorata”.
Qualche rito scaramantico per mantenere la concentrazione?
“Uso sempre lo stesso top e le stesse calze per la partita. Ascolto due o tre canzoni prima di entrare in spogliatoio e in borsa ho sempre una tavoletta di cioccolato fondente con le nocciole, non si può mai sapere se capita un calo di zuccheri (risata)”.

Abbiamo parlato di Ticha Penicheiro, ci sono altre giocatrici che ricordi con entusiasmo?
“Negli anni del Geas le giocatrici sia italiane che straniere sono state per me di grandissimo esempio in campo e fuori. Con la mitica ‘Svizzi’, (Karen Twehues, ndr) ho migliorato il tiro, grazie alle interminabili gare da tre, con l’esercizio ‘a stella’ che obbligava a velocizzare moltissimo il movimento, e che lei vinceva sempre immancabilmente! Era una tiratrice incredibile: quando entrava iniziava a mettere una serie di canestri da tre impressionante”.
Ora dal punto di vista tecnico sei conosciuta come una specialista difensiva. Ma a vent’anni viaggiavi già in doppia cifra ed eri (lo sei anche adesso) una grande attaccante. C’è stata una trasformazione o ti sei adeguata alle richieste degli allenatori?
“Sicuramente ho sempre adattato il mio gioco a ciò che in particolare la squadra richiedeva da me. Soprattutto negli anni a Lucca, quando c’erano straniere di grande talento e con molti punti nelle mani, ho cercato di dare il mio contributo aumentando l’aggressività in difesa, che era quello che in quel momento serviva per vincere”.
Ti è andato bene questo cambiamento? O ti sono mancate le responsabilità in attacco che ti prendevi prima?
“No, la soddisfazione è stato dare quello che serve alla squadra, e non è solo una questione di punti. Devo poi ancora migliorare la mia sicurezza e le scelte in fase di attacco, ma ci arriverò”.
Lo scudetto a Lucca come capitana è, per ora, il ricordo più bello della tua carriera?
“Sì, sono state emozioni indescrivibili. Non solo la conquista del titolo, ma tutto il percorso che abbiamo fatto insieme è stato veramente memorabile, un risultato al quale nessuno credeva”.
C’è un episodio di quei momenti che potrebbe descrivere la gioia per quell’annata incredibile?
“Quel pareggio raggiunto alla fine di gara tre è stato un momento veramente emozionante. La vittoria finale passa attraverso delle sconfitte anche dure da accettare. La coppa Italia era stata una batosta, eravamo a pezzi, ma ci ha compattato. In quei momenti o ti affossi, o ne esci ancora più forte, ed è quello che abbiamo fatto noi”.
In questo momento storico l’argomento cucina va per la maggiore. Ma la tua passione per l’enogastronomia ha radici più antiche.
“Sono sempre stata appassionata. A Lucca era il paradiso, mi piaceva moltissimo scoprire nuove osterie, con gli immancabili tordelli. Il nostro posto del cuore era il Ciancino. Un ristorante molto casalingo, favoloso. Non mi dimenticherò mai la gita di squadra nella regione del Chianti”.
Facciamo un passo indietro, il distacco forzato dal Geas è stato più un momento difficile o di crescita?
“Entrambe le cose. Inizialmente lasciare il Geas, pensarmi lontana dalla società dove ero cresciuta cestisticamente e dalla mia famiglia è stato veramente faticoso. Avevo anche paura di mettermi alla prova e di non essere all’altezza, ma ho cercato gli stimoli positivi: nuova esperienza e occasione di miglioramento. L’ho affrontato come un percorso di crescita personale e così è stato”.
Il dopo Geas ti ha vista prima a Faenza, poi a Taranto e quindi a Lucca che è diventata la tua seconda casa. Come è stato il rapporto con questa realtà?
“Prima di tutto mi sono innamorata subito di Lucca: le mura, la città, un posto che davvero ora sento mio. Se all’inizio avevo qualche dubbio di essere adatta al progetto, poi è stato tutto il contrario. Il modo di allenare di Mirco Diamanti e la sua impostazione nel far giocare la squadra si sono rivelati quelli giusti per me. Mi ha insegnato molto, soprattutto sul versante difensivo, e al di fuori del campo è stato sempre presente e di grande aiuto. E con il passare degli anni abbiamo imparato a conoscerci meglio e a condividere il suo modo di intendere il basket”.
Cosa ricordi in modo particolare di Mirco?
“Il suo modo di allenare, il lavoro puntiglioso sul dettaglio. Con Mirco commentiamo le partite, e magari mi dà ancora qualche consiglio come ex allenatore! L’anno dello scudetto si era infatti creata un’alchimia di squadra veramente incredibile”.

Da Lucca alla “supercorazzata” Schio, all’Eurolega: un percorso sempre in crescita. Ti sentivi pronta in quest’ultimo passaggio?
“Pronta proprio no! Anche in questo caso temevo di non essere all’altezza di una società così importante, di una squadra con la pressione di dover vincere sempre. Dopo cinque anni a Lucca non è stato facile riadattarmi a una nuova realtà, ma la fatica è stata compensata dall’esperienza Eurolega: fantastica e di ulteriore crescita”.
Su chi è stato più impossibile difendere nelle partite di coppa?
“Direi l’anno scorso Marine Johannès, guardia francese che gioca a Lione. Immarcabile quando decide di giocare, veramente devastante! Ma vita davvero difficile ce l’ho avuta la passata stagione in allenamento: provate voi a fermare Quigley”.
Alla fine, sei diventata una pedina fondamentale anche di Schio. E in Nazionale ti sei guadagnata un posto fisso. Cosa vedono in te gli allenatori?
“L’importanza ai dettagli, alle piccole cose. Un rimbalzo, una palla recuperata, tanta aggressività in difesa. L’obiettivo è quello inserirmi in ogni situazione mettendo il mio bagaglio tecnico a servizio della squadra. Anche vero che poi per vincere conta chi segna di più (risata). Ma non sarei arrivata fin qui senza la fiducia degli allenatori”.
A proposito di difesa, un intervento che non dimentichi?
“Parlando di difesa mi ricordo molto bene tutti gli esercizi del martedì con Mirco sul tema sfondamenti. All’inizio una fatica, ogni volta una tua compagna di squadra che ti arriva addosso come un treno non è uno scherzo (risata). Ma poi sono diventati gesti automatici che si facevano senza pensarci”.
Sei ormai una veterana. Come ti sei calata nel ruolo?
“Questi ultimi anni sono davvero volati! Dall’essere la più piccola del gruppo, a una delle più vecchie della squadra è stato un attimo. Ogni tanto mi chiedo come sia stato possibile. Comunque, spero di continuare ad avere la stessa passione degli inizi, di giocare ancora qualche anno, magari di vivere tutto con maggiore serenità e di riuscire a divertirmi ancora!”.