“Gli tisti della pizza”.
Tante idee da assaporare ogni mese con i nostri dodici “Ar�s� della pizza”. Dicembre è stato dedicato al nostro caro pizzaiolo Giuseppe Barone, che esalta il gusto dei nostri da�erini con la sua speciale pizza “Schiacciatella reale” I da�erini sono una varietà di pomodorini dall’elevato grado zuccherino. È così che nasce la nostra schiacciatella, con il buon profumo delle an�che tradizioni da un cuore di pomodoro povero di semi, ricco di sapore e gusto.
scopri di più
www.latorrente.com - info@latorrente.it
— Sommario —
Brimi p. 13
cameo p. 23
Cerutti Inox p. 2
Conserve Italia p. 99
Cuppone p. 69
Di Marco Corrado Srl p. 25
Dr Zanolli p. 97
Farmfrites p. 19
Fiera di Caorle p. 42
Gam International p. 49
Gi Metal p. 87
Greci p. 43
Hot Box p. 33
Industria Alimentare Tanagrina p. 107
Italforni p. 11, 111
Kuma Forni p. 103
Lactalis Galbani p. 116
La Torrente p. 3
Lilly Codroipo p. 41
Marana Forni p. 61
Mecnosud p. 47
Millberg p. 51
Molecola p. 83
Molini Valente p. 37
Molino Agugiaro e Figna p. 109 Molino Braga p. 65
Molino Casillo p. 115
Molino Colombo p. 79
Molino Cosma p. 17
Molino Dallagiovanna p. 57
Molino Naldoni p. 75
Molino Pasini p. 7
RCH p. 31
Sacar Forni p. 77
Sanfelici p. 9
Sigep p. 90
Sitta p. 91
Unitech Srl p. 71
Vito Italia p. 105
editoriale di Antonio Puzzi 8 prima pagina a cura della redazione 10-12 pizza news a cura della redazione 14 ristorazione domani Prepariamoci alla nuova ristorazione di Giampiero Rorato
Lieviti per il nuovo anno a cura della redazione
28
oltre la pizza
Le carte in pizzeria di Noemi Caracciolo
pizza world sharing Le Menzioni Speciali, 1^ parte a cura della redazione
oltre la pizza Oltre la panna cotta ed il tiramisù: che dolce ti metto? di Domenico Maria Jacobone oltre la pizza
La carta vini per la pizzeria di Monica Pisciella
Editoriale
Antonio PuzziSiamo al consueto giro di boa.
Per tutti, e anche per me.
Esattamente un anno fa, in questo periodo, stavo mettendo mano al primo numero che mi avrebbe visto come direttore responsabile di questa rivista. E mai mi sarei aspettato che questo sarebbe stato l’anno in cui ogni giorno avremmo dovuto fare i conti con il terrore di una guerra in casa e la conseguente crisi economica causata dall’export e dall’energia. Ora però sta arrivando il tanto atteso periodo delle festività natalizie. Atteso dai consumatori per festeg giare con la famiglia e gli amici, in casa e in giro per i vari locali che si “conciano per le feste”; atteso dal mondo della ristorazione per una ulteriore boccata d’aria per le proprie casse, sia nelle grandi località turistiche sia nei piccoli borghi. In questo numero vogliamo allora parlarvi proprio di chi sa addobbarsi “ad arte” per celebrare al meglio questo anno incipiente. Andiamo infatti alla scoperta dei grandi lievitati del periodo natalizio e intervistiamo quelle artigiane e quegli artigiani che hanno saputo diversificare il proprio lavoro, arricchendolo con esperienze provenienti da altri settori dell’arte bianca. Parliamo dunque in queste pagine un po’ meno di pizza, pur non perdendo la nostra primaria vocazione e allarghiamo invece lo sguardo alle altre passioni degli Italiani (dopo il calcio): la pasta e la pasticceria.
Voglio chiudere queste righe dell’ultimo numero dell’anno con un ringraziamento al Direttore editoriale, Massi mo Puggina, per questi mesi carichi di entusiasmo e di confronto costante che ci hanno portato anche a essere protagonisti in appuntamenti B2B e B2C; al responsabile di redazione, David Mandolin, senza il quale la realizzazione di ogni numero sarebbe pura utopia; a chi è rimasto in redazione e a chi è entrato a farne parte in quest’anno; al settore amministrativo e a quello commerciale che tradu cono in numeri ciò che noi possiamo solo sognare. Grazie a loro e grazie a tutte e a tutti voi, con cui abbiamo iniziato a intessere un dialogo sempre più fitto e che siete da stimolo per ogni riflessione.
Ci rivediamo nel 2023 con tante novità, molte delle quali le troverete già anticipate nelle pagine che seguono. Nel frattempo, vi auguriamo di trascorrere “buona fine e buon principio”, come si dice dalle mie parti, con chi amate dav vero, facendo ciò che desiderate.
Un affettuoso saluto, nio
COLOPHON
PIZZA E PASTA ITALIANA
Mensile di Pizza, Pasta, Enogastronomia e Cultura
Edito da PIZZA NEW S.p.A.
Autorizzazione Tribunale di Venezia n.1019 del 02/04/1990 Anno XXXIII - n.11 dicembre 2022 - Repertorio ROC n. 5768
DIRETTORE EDITORIALE DIRETTORE ONORARIO Massimo Puggina Giampiero Rorato
DIRETTORE RESPONSABILE Antonio Puzzi
RESPONSABILE DI REDAZIONE E DI PROGETTO David Mandolin PUBBLICITÀ David Mandolin
REDAZIONE
Via Sansonessa, 49 - 30021 CAORLE (VE) Tel. 0421/ 212348 - Fax 0421/81007 - E-mail: redazione@pizzaepastaitaliana.it www.pizzaepastaitaliana.it
PROGETTO GRAFICO Manuel Rigo, Paola Dus, Elena Cazzuffi — Mediagraf lab
DIGITAL PUBLISHING Maura Trolese — Mediagraf lab
IN COPERTINA illustrazione di Pepe Serra
STAMPA MEDIAGRAF S.p.A. Noventa Padovana (Pd)
COMITATO TECNICO E REDAZIONALE Marisa Cammarano, David Mandolin, Gianandrea Rorato, Caterina Vianello, Alfonso Del Forno, Luciano Cescon.
AFFILIAZIONI INTERNAZIONALI Pete La Chapelle (N.A.P.O. - Pizza Today, U.S.A.), P.M.Q. Steve Green (U.S.A.).
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Campionato del Mondo del Panettone: i riconoscimenti della Fipgc
C'era una volta il panettone milanese, simbolo delle feste sotto l’ombra della Madonnina. Adesso, in epoca di globalizzazione, la patria del panettone è diventato… il mondo intero, e i migliori della categoria li realizzano quasi tutti i pasticcieri del centro-sud.
È il giudizio inequivocabile che emerge a scorrere i premiati del Campionato del Mondo del Panettone ideato e organizzato dalla FIPGC, Federazione Internazionale Pasticceria, Gelateria e Cioccolateria che si è svolto nell’ottobre scorso al Castello Ducale Orsini di Fiano Romano (RM) e che ha visto la partecipazione di 66 pasticcieri italiani e internazionali, arrivati in finale a seguito di una selezione cui hanno partecipato 350 panettoni provenienti da tutto il mondo, finanche dal Giappone.
Il vincitore assoluto miglior panettone classico si chiama Raffaele Romano, 49 anni, pasticcere già premiato in questi ultimi anni per i risultati raggiunti coi suoi grandi lievitati e titolare, assieme al fratello Gianfranco, del Gran Caffè Romano di Solofra, in provincia di Avellino, locale che prosegue una tradizione di famiglia che va avanti da ben 109 anni.
Romano ha presentato un panettone classico che rispecchia rigorosamente tutti i canoni previsti dal disciplinare di produzione del panettone artigianale (comprese la famosa lievitazione naturale, il ricorso a burro di centrifuga e uova fresche, uvetta sultanina e scorza di agrumi candita) e che presenta profumo, sofficità, alveolatura, taglio ritenuti assolutamente perfetti.
A scorrere la lista dei panettoni premiati molti i pasticcieri del centro-sud Italia: Luigi Fusco da Scafati (Salerno) si è imposto nella categoria panettone innovativo col suo Panettone delizia al limone che, evidentemente, prende spunto dalla celebre specialità sorrentina per proporre un panettone al profumo di sud che presenta un cuore di pan di spagna imbevuto al limone.
Il miglior panettone decorato (in pieno stile cake design) lo ha realizzato, invece, Marianna Brunaccini di Aversa (Napoli) con una creazione il cui titolo è “La magia del Natale”.
Per la categoria panettone salato la vittoria è andata, invece, al sorprendente panettone “Tuscany” realizzato da Beatrice Volta di Quarrata, in provincia di Bologna: si tratta di un panettone col cuore di pappa al pomodoro, guarnito all’esterno con una zuppa di cavolo nero, guanciale e pecorino toscano, mentre per il miglior pandoro, si torna nuovamente al centro-sud, nella forneria di Salvatore Albanesi di Fiano Romano (RM).
Infine, una menzione speciale per il panettone premiato dalla giuria popolare che per la prima volta nella storia del Campionato, ha potuto esprimere la propria preferenza: si tratta del panettone classico mandorlato con canditi di Sicilia realizzato dal maestro Carmelo Patti di Messina.
Molini Lario presenta il suo nuovo preparato GranPizza Gluten Free per gli intolleranti al glutine
Per rispondere alle esigenze di un mercato di prodotti gluten free in forte aumento Molini Lario di Alzate Brianza, sinonimo di eccellenza qualitativa nel mondo della produzione di farine ottenute dalla macinazione e misce lazione di frumento tenero, presenta al mercato il suo nuovo preparato senza glutine: GRANPIZZA GLUTEN FREE.
Una nuova referenza studiata appositamente dal reparto Ricerca e Sviluppo Molini Lario, una ricettazione attenta ed accurata per ottenere dei prodotti finali di ottima qualità.
Gluten Free è disponibile nella confezione da 1 chilogrammo ed è indirizzato agli artigiani pizzaioli e panettieri ma anche al con sumatore finale.
Un prodotto con potere assorbente estremamente elevato al fine di garantire sia ai professionisti, sia a coloro che amano realizza re a casa propria delle preparazioni senza glutine, grande facilità di lavorazione ed ottenere così dei risultati ottimi e altrettanto ricchi di gusto rispetto ai prodotti classici.
Un preparato innovativo formulato in modo attento ed accurato per ottenere gli stessi profumi e sapori tradizionali che si trova no in una preparazione realizzata a base di farina.
Per l’acquisto i professionisti potranno rivolgersi direttamente a Molini Lario, ai suoi agenti o ai distributori di riferimento, mentre il consumatore finale potrà trovare questa nuova referenza nei migliori negozi artigianali.
Per facilitarne l’utilizzo, sul sacchetto è presente la ricetta della pizza al piatto, ma sul sito www.molinilario.it, nella sezione Accademia FarinaRicette dell’Accademia – sono presenti alcune ricette senza glutine.
Waico, White Art Italian Companies, amplia la propria offerta prodotti con i forni professionali Italforni
Waico, White Art Italian Companies, gruppo nato a inizio 2022 e composto da importanti realtà nel settore del Bakery Equipment (Vitella, Effedue, Starmix e Flamic ) arricchisce ora la propria offerta di prodotti grazie all’integrazione nel gruppo di una tra le più importanti aziende italiane per la realizzazione di forni elettrici e a gas: Italforni, azienda di riferimento che da oltre 40 anni garantisce i più alti standard qualitativi grazie alla ricerca costante e allo sviluppo di soluzioni innovative ed ecosostenibi li. Tra i settori in cui Italforni si posiziona quale interlocutore di pregio, la pizzeria è uno dei più importanti, grazie alla varietà di soluzioni modulari in grado di rispondere a qualsiasi esigenza di spazio, programmazione e risparmio.
Andrea Ricci, CEO di Italforni, descrive Waico come una “nuova sfida per il futuro, l’inizio di un nuovo percorso imprenditoriale in cui innovazione, sostenibilità, efficienza e affidabilità saranno i capisaldi a cui l’azienda continuerà ad ispirarsi nella realizza zione dei suoi prodotti.” Paolo Zunino, Amministratore Delegato del gruppo Waico, commenta così la scelta di accogliere l’azien da tra le White Art Italian Companies: “Fin da subito abbiamo riconosciuto in Italforni il partner ideale. La qualità dei prodotti Italforni, insieme al loro incredibile design, sono gli elementi chiave che ci hanno spinto a selezionarla tramolte aziende specializzate nella linea caldo, per entrare in contatto con un importante segmento di utilizzatori con cui fino a questo mo mento non avevamo la possibilità di dialogare.”
Da Molini Valente una nuova esperienza della pinsa romana
Si chiama Tagliere ed è la miscela da grano 100% italiano di Molini Valente per la pizza tipo pinsa romana. Soli ingredienti naturali: farina di grano tenero tipo 1, semola rimacinata di grano duro, lievito madre e germe di grano. La sua particolare composizione favorisce una elevata idratazione, per una pinsa croccante all’esterno e soffice all’interno. Il lievito madre e il germe di grano inoltre conferiscono al prodotto finale maggiore digeribilità e un sapore unico. Con queste premesse, i maestri pizzaioli possono sbizzarrirsi con condimenti classici o innovativi, come le ricette proposte dal Brand Ambassador di Molini Valente Luigi Stamerra, che propone ad esempio la Tartu fata, con mozzarella, salame, crema tartufata, pomodorini, ruco la e caciocavallo o la Alto Adige con mozzarella, speck, burrata, crema di noci e radicchio.
Il molino piemontese ha messo a punto con il Maestro Stamerra tutte le referenze della Linea Pizza da grano 100% italiano. Da provare: Classica, tre farine adatte alle diverse ore di lievitazione e Contemporanea, due farine per un’evoluzione della pizza napoletana, caratterizzate da impasto rustico e cornicione maggiormente sviluppato.
RCH Pay: la cassa diventa un POS per accettare tutti i pagamenti digitali in store
RCH Pay è un servizio evoluto che permette agli esercenti di ri spondere in modo veloce, user friendly ed estremamente econo mico (non ci sono infatti costi di attivazione né canoni mensili): nessun hardware aggiuntivo e la libertà di utilizzare il proprio smartphone o tablet Android ovunque per consentire ai clienti pagamenti contactless immediati e sicuri su tutti i più impor tanti circuiti internazionali.
Per l’esercizio commerciale è sufficiente scaricare sul proprio smartphone o tablet Android l'app Rch PayBox che abilita i siste mi di cassa RCH e MCT alla ricezione dei pagamenti digitali, e at tivare RCH Pay, il sistema di pagamento elettronico tap on phone targato RCH. Le applicazioni sono disponibili gratuitamente su Google PlayStore. Ancora più facile la modalità di utilizzo del ser vizio: quando si deve attivare una transazione si seleziona “RCH Pay” sul punto cassa come metodo di pagamento e si attende che sul dispositivo Android dell’esercente compaia una notifica push. Una volta presa in carico la transazione, basta appoggiare la carta di credito sul retro dello smartphone o tablet in modo che la carta venga letta e processata la transazione, con la pos sibilità di inviare al cliente la ricevuta di pagamento via mail o sms.
Il servizio ha il vantaggio di non dover acquistare hardware esterno dedicato alla funzione di POS e permette di visualizzare in tempo reale lo storico di tutte le transazioni effettuate che, attraverso l’utilizzo di questo servizio, vengono accreditate diret tamente sul conto corrente bancario del punto vendita. www.rch.it
Dalla nostra natura incontaminata, dalla semplicità delle lavorazioni, dalla cura rispettosa nasce l’unica linea con latte 100% Alto Adige. Per pizze e piatti gourmet unici e irresistibili. www.brimi.it
siamo giunti alla fine del 2022 e alla fine, si spera, d’un periodo che ha cambiato il mondo ed anche la ristorazione.
Nei mesi precedenti abbiamo affrontato in questa rubrica molti aspetti riguar danti l’evoluzione della cucina, con uno sguardo storico dalla seconda metà del secolo scorso in poi ed è arrivato il mo mento di riassumere.
Abbiamo scritto come attraverso un per corso storico – dalla Nouvelle Cuisine alla cucina esperienziale - la ristorazione si è andata rinnovando, scoprendo quanto sia importante impiegare materia prima di alta qualità; privilegiare la filiera corta, cioè scegliere i prodotti migliori più vicini (per un ristoratore del Nord scegliere le arance migliori più vicine significa scegliere quelle siciliane e non quelle
sudafricane); badare che la materia prima che entra in cucina sia perfettamente sana; prepararla nel modo migliore, sia se viene servita cotta che cruda, o anche le vitamine e i minerali contenuti; badare che il piatto risulti bello e armonioso cromaticamente e quindi risulti gradito anche solo a vederlo; avere infine cura che il pranzo e la cena nel ristorante (per lo più due piatti più il dessert) sia equilibra to nei suoi elementi nutritivi. Sono regole molto semplici, possono anche essere modificate, ma leggermente, ricordando che la cucina italiana moder na, pur rispettando le caratteristiche e le tradizioni alimentari di ogni territorio italiano, ha da decenni come proprio pun to di riferimento la cucina mediterranea, di cui abbiamo scritto più volte in questa rivista.
UNCRITICORIESAME
Per affrontare con una certa sicurezza il futuro i ristoratori e i pizzaioli – titolari, cuochi, personale di sala, sommelier –devono prima conoscere la situazione at tuale del ristorante, magazzino compreso nonché le tecniche di lavoro impiegate, da cui poi partire per avere una ristorazione di successo.
Un bel riesame dei prodotti in magazzino è la prima cosa da fare e, se è necessario, consumare i prodotti già ordinati e quelli in magazzino, ed è giusto, anzi doveroso chiedersi se sono i migliori per la tipo logia della propria clientela. Credo sia ampiamente risaputo che non conviene più tirare al risparmio, non si deve aver
paura di abbandonare un amico fornitore se i prodotti da lui offerti sono mediocri, comunque non ottimi o non all’altezza del proprio target o di quello superiore cui si tende. E tutti i ristoratori e i pizzaioli san no, come i cuochi e chi serve in tavola, che una materia prima mediocre non dà mai piatti o pizze di grande qualità, ma solo di qualità media, come la materia prima impiegata.
C’è tempo prima che nasca il nuovo anno e in queste settimane è d’obbligo compiere queste valutazioni (lo considero molto utile a ristoratori, cuochi e pizzaioli) se si desidera crescere sulla scala della qualità e sull’apprezzamento dei clienti.
Ristorazione domani
Conoscenza delle tecniche operative
Volendo (dovendo) realizzare una cuci na seria, sana, piacevole, correttamente nutriente, per scegliere materia prima di alta qualità e trasformarla in piatti nel duplice rispetto sia dei suggerimenti dati da Ancel Keys, lo scopritore della dieta mediterranea sia delle esigenze tecniche di preparazione, cottura e presentazione dei piatti, non sempre il personale di cucina è preparato o non lo è a sufficienza. Non basta, infatti, “saper fare” come dicono molti cuochi che lavorano d’estate nei locali delle spiagge, occorre essere ben coscienti di quello che si fa, perché lo si fa, e cosa comporta fare questo in fatto di scelta di materia prima, in tecniche di preparazione, cottura e impiattamento, in costi e impiego del personale. E tutto questo non è facile.
UNA PROPOSTA
Nel mondo del lavoro, sia per chi cerca lavoro che per coloro che intendono mi gliorare la propria posizione lavorativa, ci sono dei corsi qualificanti. Per il personale che opera nel mondo della ristorazione questo tipo di corsi li orga nizzano (possono e dovrebbero farlo) le Scuole e gli Istituti Alberghieri. In verità sono più attive in questo tipo di lavoro le Scuole di cucina private, ma il PNRR serve anche per attivare corsi negli Istituti Statali e sarebbero preziosi per aiutare la ristora zione italiana ad essere non solo al passo coi tempi – in buona parte già lo è – ma, grazie a un personale meglio qualificato, la cucina italiana sarebbe in grado di precor rere i tempi, per non lasciare che a creare le mode siano sempre le cucine degli altri. È vero che la cucina italiana è mediamente una delle migliori del mondo, se non la mi gliore, grazie anche a una terra straordina ria e a una ricchissima varietà di prodotti, ma le tendenze che servono a rinnovare la cucina nascono volentieri altrove, in Francia, in Spagna, a Londra, ma anche in Cina, in Giappone, in Messico.
Ristorazione domani
Forse all’Italia non servono questi primati abbastanza soggettivi, essendo molto più importante poter presentare in ogni regio ne italiana, nelle città d’arte, nelle località turistiche delle cucine di eccelsa qualità, ricercate dai gourmet internazionali. E nelle grandi città, da Milano a Napoli, alla Sicilia i ristoranti nel carnet dei gourmet internazionali sono davvero tanti e mi pia ce qui ricordare Senigallia, nelle Marche, con due ristoranti (Uliassi e Madonnina del Pescatore) fra i migliori d’Italia lungo la spiaggia, unica cittadina italiana ad aver espresso due grandi eccellenze della cuci na italiana e internazionale, conosciute ed apprezzate in tutto il mondo.
LA STRADA DELLA QUALITÀ
La ristorazione dei prossimi anni richiede dunque qualità globale, vale a dire nella tipologia e cura del locale, nella solida professionalità degli operatori di cucina e di sala, nella qualità della materia prima impiegata, nell’eccellenza dei piatti pro posti ai clienti, nella validità della cantina con ottime proposte locali ma anche nazionali e internazionali. Solo avendo grande cura di tutti questi aspetti si può affrontare il futuro con sicurezza, con la capacità di affrontare sempre possibili momenti difficili come quelli che ci lasciamo alle spalle, speria mo per sempre.
Duchesses Arricchisci i Menù delle Tue Feste
Lieviti per il nuovo anno
Pizza e Pasta italiana accompagna e racconta da 34 anni il mondo della pizza e della Ristorazione, in Italia e all’estero. Un mondo che è cambiato radicalmente in questi tre decenni e con cui la rivista ha intessuto un dialogo vivace e laborioso.
2023
Negli anni i pizzaioli si sono sempre più specializzati e la pizza ora è finalmente, come merita, sinonimo di ricerca e alta cucina. Nel corso di questi anni, questo giornale ha osservato, accompa gnato e - in piccola parte - con tribuito all’evoluzione di questo ricchissimo settore, raccontando storie di successo di persone e di aziende, non con l’obiettivo di sti lare classifiche o costruire talenti ma con l’unico scopo di mettere in relazione chi fa con passione ogni giorno il proprio lavoro in tutta la filiera dell’arte bianca.
Continueremo a farlo anche nel 2023, un anno nel quale produrremo anche sostanziali novità nel nostro racconto. Oltre a continuare a parlare di pizza, sotto tutti i punti di vista e attraver so tutti gli attori della filiera, ini zieremo a portare “agli onori della cronaca” di questo magazine anche la cucina toutcourt, come pure già nel corso del 2022 abbiamo fatto grazie alle pagine curate dal direttore onorario, Giampiero Rorato e alla rubrica “Non di solo pizza”.
mettere
in relazione chi fa con passione ogni giorno il proprio
Allargheremo però ancora di più il nostro sguardo, sin dal mese di gennaio, quando grande attenzio ne sarà data all’Italia “dolce”, di cui trovate una breve anticipazione nel numero che avete tra le mani.
Partiremo dalla certezza che per lasciare un “buon ricordo”, è indispensabile che ogni “buon locale” costruisca una “bella” carta dei dolci e ci domanderemo: come scegliere cosa inserire in carta? Quali sono i dessert irrinunciabili e quali le proposte più interessanti?
A febbraio poi dedicheremo un intero numero ai primi e ai secondi in pizzeria.
Gli appassionati del Campionato Mondiale della Pizza, organizzato da questa rivista, sanno che da ormai diversi anni dedichiamo un premio (assegnato dallo chef Heinz Beck) a quelle pizzerie che si distinguono per la piccola ri storazione. Parleremo dunque di cosa voglia dire per una pizzeria avere una carta dedicata alla pic cola ristorazione e come si possa presentarla al meglio. Proveremo dunque a costruire economie e geografie della cucina, tra ricette, servizio e accoglienza, con l’o biettivo di raggiungere il giusto equilibrio tra semplicità e ricerca.
A marzo analizzeremo ricette, prodotti e abbinamenti ma anche mode e tendenze della cosiddetta “pizza contemporanea”, domandandoci: quali prodotti vanno assolutamente messi a cru do e quali invece possiamo inse rire in cottura? E, soprattutto, con quali cotture le pizzerie possono arricchire le proprie preparazio ni, senza gravare ulteriormente sui tempi, sempre troppo risicati?
Ad aprile, in un numero speciale, accoglieremo il trentennale del Campionato Mondiale della Pizza,
un evento che ha contribuito alla circolazione delle informazioni tra chi svolgeva lo stesso mestiere in diversi punti del globo, pun tando sul grande amore (degli Italiani, degli statunitensi, del mondo intero) per questo piatto oggi comunicato attraverso tutti i mezzi che il mondo dell’informa zione conosce. Ripercorreremo le storie dei vincitori e di quanti hanno partecipato, pur non vin cendo ma affermandosi comun que come eccellenti pizzaioli.
A maggio parleremo di “Greenwashing & Green economy”,
percorrendo un itinerario tra le aziende che si occupano davvero di sostenibilità, in barba a chi invece usa questa parola solo per “lavarsi la faccia”. Soprattutto però ci domanderemo: “Cosa chiedono i protagonisti della ristorazione in tema di sostenibi lità e responsabilità civica?”.
Per aprire i mesi estivi, daremo inoltre vita alla seconda edizione della Geografia delle tipicità,
dopo il successo ottenuto col numero dell’estate 2022: le firme della rivista torneranno dunque a raccontare l’Italia che coltiva, pesca, cucina e mangia. Per ogni regione un pezzo di cultura gastronomica da scoprire per un numero tutto da conservare e destinato a restare tra le vostre letture preferite.
Il numero doppio di luglio e agosto sarà invece dedicato agli “Italiani nel mondo”.
La bandiera italiana è infatti sino nimo di qualità e garanzia di suc cesso ai quattro angoli del globo. Ecco perché abbiamo pensato di raccontare nel numero dell’estate 2023 tutti gli Italiani che hanno fatto scuola ai quattro angoli del globo. E, nel contempo, analizza re quanto vale il “Made in Italy” gastronomico e quanto influisca su di esso l’Italian sounding.
A ottobre, invece, in occasione di Host Milano, il giornale sarà incentrato sulla “Nerd society”
ovvero sulla tecnologia applicata alla pizzeria e alla ristorazione: forni comandati attraverso il 5G, impastatrici con tecnologia 4.0, pizzaioli robot e pale super-legge re. Come sta cambiando il mondo della pizza al tempo di quello che potremmo definire “homo tecno logicus”? Qual è il rapporto costi / benefici di questo cambiamento in termini economici e sociali?
E, per chiudere l’anno, vi riserveremo un numero davvero “frizzante” dedicato alla giungla delle recensioni social.
Davvero TripAdvisor e Google pos sono cambiare i nostri bilanci? Più delle Guide di settore? Pizza e Pasta Italiana rifletterà dunque sul proprio “mestiere”: la critica gastronomica, oggi sempre più al centro dell’attenzione e delle “critiche” degli chef.
A novembre torneremo a occuparci del “resto del mondo dell’arte bianca”,
Come di consueto, anche per l’anno venturo inaugureremo la seconda parte dell’anno con un numero dedicato alla pizza napo letana. Perché è partendo da qui che possiamo conoscere la storia.
compiendo un viaggio alla sco perta di mestieri come il panettie re e il più moderno bakery chef: cosa cambia, quali sono le novità da considerare e quali prodotti sono quelli resistenti alle mode ed all’usura del gusto?
Il nostro impasto è in macchina e siamo pronti a partire. Volete essere protagonisti con noi del nuovo anno? Nulla di più semplice: scriveteci e raccontateci le vostre storie, saremo lieti di conoscerle e farle conoscere.
PT. 1
PIZZA WORLD SHARING 2022
2 a edizione LE MENZIONI SPECIALI!
Nato nel difficile periodo pandemico con lo spirito di condivisione di una passione - quella per la pizza - che non conosce con fini, l’evento digitale Pizza World Sharing organizzato da Pizza e Pasta Italiana si è subito affermato con una propria identità ben definita nel panorama degli eventi dedi cati al disco di pasta più amato al mondo.
In questa seconda edizione del contest, svoltasi nell’ultimo scorcio del 2022, si sono confrontati “a suon di video” nel pieno ano nimato centinaia di iscritti da 23 nazioni. Ciascuno ha realizzato un breve filmato e alcune foto per presentare la propria ricetta, tra prodotti celebrativi della tradi zione e straordinarie pizze d’autore. A tutti coloro i quali hanno aderito, cele
brando lo spirito di condivisione e parteci pazione che da sempre contraddistingue il Campionato Mondiale della Pizza, vanno i complimenti dell’Organizzazione. Tra tutti i partecipanti la giuria, formata da esperti del settore dell’arte bianca, ne ha selezionati 30, visionando i filmati nel più totale anonimato e decretando così i vin citori della Menzione Speciale del contest. A tutti loro è offerta inoltre la possibilità di partecipare gratuitamente alla gara di Pizza Classica della trentesima edizione del Campionato Mondiale della Pizza, che si terrà a Parma dal 18 al 20 aprile 2023. Un ringraziamento va ai Partner dell’even to, che hanno creduto nello straordinario spirito di comunità che contraddistingue i pizzaioli di tutto il mondo.
Stefano Micco Pizzeria da Massimo di Nardone Maria (Illasi) Francesco Ambruoso Mario Marchini Mario Marchini (MS) GRAN DUCHESSA AUTUNNO ITALIA ITALIA ITALIA Wojciech Madyś Nicole Batzella Manè sul Mare (LU) Stefano Spataro Elementi restaurant (Paddington) PIZZA BANDERA ACCIUGOSA ITALIANO ALL’ESTERO POLONIA ITALIA AUSTRALIAMENÙ
OLTRE LA PIZZA
LE CARTE IN PIZZERIA
Un tempo in pizzeria ti accomodavi e tro vavi un semplice menù contenente una più o meno contenuta scelta di pizze, qualche birra e l’acqua… oggi invece è tutto un po’ più complicato ma - dicia mocelo - a volte anche più gustoso. Su queste pagine ci siamo soffermati spesso sull’evoluzione del mondo della pizza, più raramente sui menù. Eppure, questa lista di “pietanze” è il primo elemento d’impatto – oltre l’ambiente circostante è chiaro – che si ha con un pizzeria (così come con un qualsiasi ristorante).
L’origine del termine “menù” è francese, risale al Settecento e a suo tempo indica va la lista delle vivande servite a corte. In Italia il termine è arrivato circa un secolo dopo, in concomitanza con la pratica tipicamente borghese di far trovare vicino al posto di ogni commensale un cartoncino contenente l’elenco delle por tate. Nel tempo è mutata non soltanto l’accezione di “menù”, ma anche il modo di presentarlo e gli elenchi che contiene. Ne esistono per tutte le occasioni e se ne trovano di ogni tipo: dal cartoncino, al li bretto fino all’elenco scritto sulla lavagna con il gessetto: quel che è certo è che il menù si è evoluto tanto quanto le pizze e le pizzerie.
di Noemi CaraccioloSappiamo che a Napoli, almeno fino al 1860, in pizzeria non si poteva neppure acquistare il vino. Oggi la scelta dei vini è vasta e, il più delle volte, ben studiata.
La varietà dei menù è ad ogni modo pazzesca, a partire dalla carta degli impasti… a base di farina integrale, di kamut, ai cinque cereali, di farro, con il carbone vegetale o con farina di canapa. C’è da dire però che anche la consapevo lezza del consumatore cresce sempre di più; oggi la maggior parte dei clienti sa apprezzare una buona birra artigianale, ne conosce gli aspetti più peculiari che non si riducono più semplicemente alla distinzione tra “chiara”, “rossa” e “scura”. La carta delle birre, dunque, è anch’essa molto più ampia e ben strutturata.
BEVANDE
E anche se l’accostamento “privilegiato” è pizza e birra, altresì il vino ha fatto parecchia strada. È ormai abbastanza frequente trovare una selezionata carta dei vini in pizzeria e in alcuni casi è addi rittura possibile trovare un sommelier a presentarla. Una figura che aiuta il clien te a fare la scelta più adeguata e che ha il compito di stilare una lista più ricercata possibile, magari anche optando per una proposta di etichette abbastanza partico lari - escludendo ovviamente le pizzerie meno all’avanguardia - che si “adattano” ai tempi, ma che si limitano a proporre i vini “più diffusi” e scontati. In ambito “bevande” non è ancora finita qui: strano ma vero. In alcuni posti, ormai insieme al menù delle pizze, ti consegnano anche la carta dei cocktail. Proprio così! Negli ultimi anni si è sviluppata, oltre all’idea classica di food pairing, anche quella che abbina un prodotto food ad un drink; uno dei locali pionieri di questa tendenza è il Dry a Milano, che ancora oggi accompagna il suo menù pizza con un’ampia offerta di mixology.
Anche se questa è una “novità” – relativa mente, ormai – che lascia un po’ a bocca aperta, ce ne sono altre, magari meno stravaganti, ma comunque degne di nota, come la carta degli oli. Diciamo che per quanto un consumatore possa essere amatore, trovo un po’ difficile che possa essere ferrato in merito alla qualità di ogni olio evo proposto e ancor meno che sia capace di selezionare autonomamen te quello giusto da poter abbinare alla pizza scelta. Sta di fatto, però, che, l’innovazione vuo le anche questo: le pizzerie, più che altro quelle “gourmet”, ormai propongono anche una carta degli oli.
CARTA DEGLI OLI
In una recente intervista, Giovanni Senese ha detto che nella sua pizzeria propone una carta di oli artigianali che tocca più regioni italiane e che per ogni pizza cerca di dare un consiglio di abbinamento diverso: ecco, già così direi che può andare. Perché diciamocelo, non sarebbe semplice per un cliente poco ferrato poter scegliere tra un olio fruttato leggero, medio o intenso (senza entrare troppo nel particolare s’intende) e creare il giusto accoppiamento. Proprio qui sta la furbizia e la bravura di chi crea e propone questa carta: innanzitutto essere consapevoli che non esiste una carta adatta “a tutti”, bisogna ponderare le scelte in base al territorio e alla tipolo gia di ingredienti proposti sulle proprie pizze, così da riuscire nell’intento prima rio di ogni pizzaiolo, ovvero esaltare al massimo i sapori della propria pizza. In secondo luogo:
SE PRIVILEGIARE LE ECCELLENZE LOCALI DEI PICCOLI PRODUTTORI O SCEGLIERE PER CIASCUNA CATEGORIA DI FRUTTATO ALCUNI PRODUTTORI TRA SUD, CENTRO E NORD. IN OGNI CASO ACCOMPAGNARE IL CONSUMATORE VERSO LA DECISIONE PIÙ ADEGUATA.
ERBE AROMATICHE
L’attenzione ai dettagli non finisce qui; lo stesso Senese ha ideato un percorso “degustazione” dedicato addirittura alle erbe aromatiche… un abbinamento per ogni pizza! Probabilmente è il primo, ma sicuramente non sarà l’ultimo e dunque, in attesa che anche questa nuova tenden za spicchi il volo, noi restiamo in attesa della “carta delle erbe aromatiche” o “carta delle spezie” insomma.
CARTA DELLE SPEZIE
DESSERT
In ultimo, ma non certo per importanza, due parole sulla carta dei dessert. Per le persone più golose, il momento del dolce è quello in assoluto il più atteso ma non sempre le pizzerie dedicano la giusta attenzione alla carta dei dessert. Soprattutto nei locali meno “gourmet” non è facile trovare un buon assortimen to che accompagni il cliente verso una degna conclusione, intensa e seducente, dell’esperienza gastronomica. Molte pizzerie servono ancora soltanto il tipico tartufo al cioccolato o la delizia al limo ne. Per chi pone la degna attenzione agli evolutissimi bisogni dei consumatori, invece, la proposta varia a partire dai sapori più particolari, come quelli delle pizze dolci farcite con topping o frutta di ogni genere, fino a quelli più semplici ma altrettanto goduriosi, dei dolci al cucchiaio “fatti in casa”. Gli ultimi anni hanno portato ad un exploit di proposte: dai monoporzione artigianali fino agli straccetti di pasta fritta accompagnati dalla Nutella.
Insomma, anche la carta dei dessert ha compiuto un bel percorso, ma in fondo non ci si poteva aspettare di meno. Il consumatore che oggi è alla ricerca di esperienze culinarie che sappiano stuzzicare il palato desidera, senza alcun dubbio, di poter concludere il suo pasto all’insegna di un’estasi gastronomica degna di essere ricordata. Anche la carta dei dolci dunque dev’essere preparata con la massima attenzione, avendo cura di scegliere i dessert che meglio si sposa no con gli antipasti, le pizze e le bevande proposte.
Oltre la panna cotta e il tiramisù: che dolce ti metto? ?
Per questo articolo non vi negherò di aver accettato una vera e propria sfida, ma ho colto l’occasione per svecchiare un po’ di convinzioni e soprattutto affacciarmi con occhio imparziale ad un mondo per il quale non ho l’u suale attrazione che molti provano. La mia golosità si ferma spesso al salato e quindi sono un cliente particolarmente difficile da conquistare.
Conoscendo molte persone che al contrario baratterebbero intere pagi ne di menù per arrivare al dolce, ho voluto prendere spunto da una frase di Isabel Allende:
“I dolci sono un vizio più peri coloso dell'alcol o della droga, perché è legale, non è conside rato peccato e si può commet tere in pubblico”.
Nel mondo della produzione legata all’arte bianca, con pochi ingredienti di base spesso si possono ottenere con facilità impasti dolci o salati. Parlare di pasta, pane, pizza o torte ci porta su terreni completamente diversi e spesso percepiti a com partimenti stagni. Chiedete ad un bambino cosa si possa preparare con acqua, farina e lievito: le risposte potrebbero sorprendervi!
La pasticceria, nelle sue poliedriche sfaccettature, passa da prodotti sem plicissimi come la “torta paradiso” alla più complicata tra le lavorazioni del cioccolato. Spesso vengono me scolati in una sola ricetta millenni di tradizioni e prodotti che sono arrivati dalle località più remote, tutto per provare ad evocare l’estasi di un boc cone “da ricordare”.
Nel mondo social, che volenti o nolenti ci circonda, la pasticceria e la ristorazione sembrano spesso essere contrapposte, nemmeno di parlasse di religioni diverse, ognuna con i suoi idoli e le sue sacralità.
Come unire due mondi così diversi in un solo menù e far si che una parte non metta troppo in ombra l’altra? Già nell’ap proccio alla lettura del vostro menù, potreste riscontrare delle differenze: chi legge dalla prima all’ultima riga, chi ne salta sezio ni intere, chi parte dall’antipasto e chi apre la pagina dei dolci o dessert per percorrere a ritroso il percorso che si appresta ad assa porare. Non penso che in nessun caso si possa parlare di approc cio corretto o scorretto perché il gusto regna sovrano ma
non vorrei mai trovarmi in una situazione ascoltata da una ristoratrice che mi ha raccontato di una marghe rita “pucciata” nel cappuccino a metà pome riggio: dovrebbe esserci un limite a tutto!
La collocazione dei dolci nel menù - spesso in fondo o addirit tura con una carta appositamente realizzata, si connette al concetto di dessert, che è parola mutuata dal francese deservir, che letteral mente significa “sparecchiare” - ne indica la collocazione a fine pasto, quando per il servizio del dolce si sparecchiava prima il resto della tavola.
Questo concetto genera una riflessione sul “fine pa sto”, nel senso che proietta il consumo del dolce oltre il concetto del pasto,
come ultimo atto prima di alzarsi a cui spesso si aggiunge il rito italiano del caffè (ed ammazzacaf fè o liquori). Sarà anche l’ultimo ricordo palatale che il cliente porterà con sé.
Sull’importanza del dolce penso, a questo punto, si possa essere tutti concordi. Ma veniamo al dunque: cosa inserire, quindi, in carta nel ristorante o pizzeria? Quale e quanta attenzione dedicare a questo prodotto? Purtroppo, la frenesia di riempire le carte di dolci ha portato tra gli anni ’80 e ’90 ad un uso a mio parere eccessivo di pasticceria preconfe zionata con cliché che si ripeteva no uguali in molti ristoranti, da Aosta a Trapani. Sorridete con me, ripensando a quei tempi: Torta della Nonna (ma poi, nonna di chi?), Tiramisù, Creme Caramel, Profiterol (storpiatura del francese Profiterole), Crema Catalana (in Italia?), Tartufo Bianco/Nero…e potrei riempire un altro paio di righe e scherzarci ancora.
Il vero problema è che abbiamo talvolta dimenticato (o mala mente integrato) le tradizioni regionali con queste seconde scelte industriali ma i clienti ed il loro approccio sono radicalmente cambiati in trent’anni!
E la vostra carta dei dolci è cambiata oppure è rimasta uguale (o quasi) a quella appena descritta?
Al momento della scelta del dolce, sento sempre più spesso pronun ciare la domanda: “Ma i dolci li fate voi?” oppure “Quali sono i vostri dolci – Quali dolci prepa rate voi – Quali sono i dolci fatti in casa?”. E ancora: “Quale dolce posso far mangiare ai miei figli?”. Quesiti forse talvolta considerati banali ma che fanno emergere sempre più l’attenzione verso la qualità dei dolci a fine pasto, sapendo che sarà l’ultimo ricordo che il cliente porterà con sé, insie me al caffè.
Una sezione del menù così impor tante come quella dei dolci non può essere trascurata, che sia al ristorante o in pizzeria: bisogna sfruttare il meglio possibile e par tire dalle cose semplici. Preparare una crostata con confetture locali (per non dire fatte in casa) o una crostata alla crema costa rela tivamente poco, sia in termini economici che di tempo ma porta ad un grande risultato finale, se ne proporrete o ne offrirete un quadratino insieme al caffè.
Vengono poi altri grandi ed irrinunciabili classici, trasversali e personalizzabili con decorazio ni e guarnizioni come budini, creme caramel e derivazioni varie: utilizzare guarniture legate al territorio (una composta di Pere Madernassa in Piemonte, una cre ma di pistacchi di Bronte in Sicilia) porta il vantaggio di ricondurre ad altri ingredienti già utilizzati nel menù una familiarità globale con la carta dei dolci.
Mi piace assecondare i localismi e mi aspetto di trovare uno stru del in trentino, la sbrisolona nel Mantovano o La Seada (o Sebada) in Sardegna ma questo tipo di localismi seguono anche l’im postazione e la declinazione del ristorante o pizzeria.
Nel mondo della pizzeria, vedo an cora troppo poco una vera offerta di pizze dolci e fatico a compren derne la ragioni! Se poi penso che chi la propone solitamente riduca questo tipo di proposta alla “Nutella” (talvolta non è nemmeno quella originale, ma un surrogato) in varie declinazioni di guarnitura, mi sembra di tornare alla carta dei dolci industriali de gli anni ’90. Qual è la differenza o il valore aggiunto che pensiamo di mettere nel menù con una scelta di questo tipo?
Alcuni pizzaioli gourmet hanno valorizzato da anni ingredienti locali. Ho lontanissima memoria di quanto fatto anni fa da Franco Pepe, con la sua pizza dolce “Crisommola” che ha reso celebre il suo omaggio all’albicocca del Vesuvio e che continua a mietere successi ad anni di distanza con le sue innovative pizze dolci. Altra esperienza interessante è la ricer ca di Pier Daniele Seu a Roma, che ha una carta di pizze dolci conta minate da gelateria e pasticceria, con proposte rinnovate seguendo le disponibilità dei prodotti di sta gione. Per non parlare di Gianni Di Lella che, con lo chef stellato Richard Abou Zaki, ha dato vita a dei veri capolavori come la pizza “zuppa inglese” o di Patrick Ricci, le cui “slices” di fine pasto sono semplicemente straordinarie.
pizza "zuppa inglese", di Gianni Di Lella e Richard Abou Zaki
Poter trovare in modo non con venzionale una carta delle pizze dolci aprirebbe uno scenario ina spettato anche per i clienti: ciocco lato e pere, fragole, banane; miele con fichi e mele; crema e frutti di bosco; ricotta e cioccolato; yogurt, mirtilli e semi/noci/mandorle.
Mi fermo volutamente a questi po chissimi esempi perché lo stimolo di questo articolo non sia ad imita re, ma a sperimentare!
In periodo pre-covid c’è stata una grande ricerca di commistio ni, perché le professionalità in pasticceria, ristorazione e pizzeria richiedono una preparazione ed un approccio verticali ma nulla vieta che ci sia una commistione o, meglio ancora, una consulenza dedicata di un collega-amico che ci porti ad una ricetta personale e sorprendente.
Non trascurerei le proposte di pa sticceria monoporzione ed i dolci al cucchiaio: anche i meno golosi sapranno difficilmente “dire di no” ad un delicato boccone o una ricercata monoporzione, senza dover necessariamente rinunciare per questione di spazio, gusto o banalissimo senso di colpa. Una bignola piemontese di pochi grammi, un cornetto di pasta o cannolo farcito con semplicità, un marron glacé, una zeppola, una cassatina. E come non parlare di cestini, vasetti, praline, confetti o cioccolatini di produzione artigianale (magari con un gusto studiato ad hoc per il ristorante/ pizzeria) che possono essere il bril lante risultato di un accordo con il vicino pasticciere e che faranno la felicità di chi li assaggia?
Se nella nostra attività abbiamo a disposizione competenze, tempo e spazio, si può fare tutto “in casa” ed esserne orgogliosi. Quando questa strada non fosse percorri bile, soprattutto in un momento difficile come quello che stiamo attraversando, meglio stringere relazioni a livello locale e far emer gere una collaborazione con arti giani e pasticceri che arricchisca in qualità e servizio l’esperienza di chi si siede alla nostra tavola.
Magari qualche dolce si po trebbe anche consegnare a domicilio insieme alla pizza, ma questa è un’altra storia…
la carta vini per la pizzeria
di Monica PisciellaDiciamolo qui tra di noi, mentre non ci sente nessuno. La lettura della carta vini di buona parte delle pizzerie è stata per molti anni un’esperienza mediamente deludente. Con buona pace non solo della possibilità di scelta delle bevande per il cliente, ma anche con conseguente perdita di guadagno da parte del ristoratore. E anche oggi, tranne casi eccezionali, non va molto meglio.
Le motivazioni di questa scelta - o forse potremmo dire di questa “distrazione” nei confronti dell’offerta di vini di qualità - possono essere state molteplici, ma alla base del problema spesso c’è stata la convinzione che il cliente della pizzeria cercasse un’occasione di consumo gusto sa ma a basso costo, una serata conviviale in famiglia o tra amici apprezzando un prodotto "povero" e tendenzialmente semplice, con la possibilità di stare insie me senza spendere molto. Anche l’offerta delle pizze era molto limitata rispetto a quella attuale, il menù annoverava le va rietà più classiche tra quelle tradizionali, oltre alla farinata e a qualche altro piatto semplice e di rapida preparazione, a cui si accompagnavano bibite gassate o al più la classica birra alla spina o in bottiglia.
Erano gli anni Ottanta, i vini in carta erano forse due o tre, oltre allo sfuso “della casa”. Senza troppe complicazioni o ricercatezze.
Con il tempo la ristorazione ha conosciu to sviluppo e grande evoluzione, la clien tela è diventata più attenta ed esigente ed oggi l’offerta di pizze è diventata ampia e profonda, per non dire delle pizzerie gourmet, che presentano menù sfiziosi ed originali, realizzati con materie prime di elevata qualità, spesso Presidi Slow Food o comunque rappresentative del territorio. Per questo motivo oggi la carta vini della pizzeria deve necessariamente adeguarsi ai tempi e diventare espressione di una ri cerca più attenta, oltre a dover rappresen tare a tutti gli effetti la risposta adeguata a un rapporto di fiducia con il cliente, in cui gli vengono proposti i vini migliori, possibilmente stimolando l’esplorazione e la ricerca degli abbinamenti più sod disfacenti per il suo gusto. Al contrario della carta delle birre, che nel tempo ha vissuto una grande evoluzione, è un fatto che nell’abbinamento tra pizza e vino il cliente sia ancora in una fase esplorativa, in cui deve trovare una nuova dimensione rispetto alle abitudini di consumo reitera te per molti anni.
A questo proposito sarebbe forse inte ressante stimolare nella clientela una maggiore familiarità con gli abbina menti pizza-vino attraverso l’organizza zione da parte delle pizzerie di serate di degustazione, in cui attraverso assaggi sia possibile al cliente esplorare vari accoppiamenti e trovare quelli più vicini al suo gusto, così come inserire in carta un’offerta di vini al calice per dare la possibilità di sperimentare.
La comprensione di questo aspetto, e la conseguente ricerca di soluzioni, potrebbe essere approfondita avvalendosi della professionalità di un sommelier che aiuti nella costruzione della selezione dei vini, anche facendo esperienza diretta di assaggi delle pizze presenti nel menù.
Come scegliere i prodotti più giusti per organizzare una carta vini al passo con i gusti dei clienti e attraente anche per la clientela più giovane.
Questa maggiore cura della carta vini potrebbe rappresentare un modo efficace per attirare una clientela più consapevole ed attenta e quindi anche disponibile a spendere un po’ di più per avere prodotti di qualità. E ciò vale sia per le materie prime e le farine utilizzate per la pizza, sia per l’offerta delle bevande da accompa gnarvi, preferendo vini selezionati e birre artigianali ai diffusissimi ed omologati prodotti industriali a basso costo.
Alla luce di queste considerazioni, quali potrebbero essere i consigli utili per creare la carta dei vini perfetta?
La pizza resta nella maggior parte dei casi un cibo semplice e popolare, spesso molto amata anche dai giovani. E quindi l’offerta dei vini deve trovare il giusto “accordo” (come un’orchestra) con l’offerta gastronomica: meglio puntare su vini giovani, di facile beva e dal costo in certo qual modo accessibile. Anche per non appesantire troppo le giacenze di magazzino, con vini che necessitano di invecchiamento e che inevitabilmente inciderebbero sul conto economico.
Nel rispetto della sempre valida regola dell’origine comune del cibo e del vino, l’Italia è ricca di varietà autoctone e ogni territorio ha vitigni pop e vini semplici da offrire, un patrimonio di biodiversità più o meno note da esprimere e che possono rappresenta re abbinamenti perfetti e non troppo costosi per la pizza.
Nel mio Piemonte, per esempio, non pos siamo non pensare al Dolcetto, alla Barbe ra, alla Bonarda. In alcuni casi potremmo considerare anche il Pelaverga, che su alcune pizze più corpose potrebbe trova re una buona armonia. Per non parlare dei rosati del Centro e Sud Italia, dal Mon tepulciano al Gragnano frizzante, vino realizzato coi vitigni tradizionali dell’area vesuviana e della penisola sorrentina.
Potrebbero bastare una decina di eti chette, inclusa qualche bollicina (non accontentiamoci solo del notissimo Prosecco, proviamo a fare un po’ di ricerca di bollicine locali! Ormai si spumantizza un po’ ovunque e con una buona qualità media).
E per rendere la carta vini più dinamica potremmo anche pensare ad un’offerta stagionale, con vini che si abbinano al menù, aggiornandola a seconda del
periodo. D’inverno potremmo includere più vini rossi e d’estate più rosati e vini bianchi e bollicine. Ma possiamo spinger ci oltre e pensare anche ai prodotti più moderni, molto amati soprattutto dai giovani.
“Le pizzerie oggi possono puntare su vini preferiti dai giovani, come i rifer mentati. Una bollicina che sgrassa, che va bene con le pizze gourmet e anche con i fritti. E che può vantare un buon rapporto qualità prezzo”, ci suggerisce Andrea Gazzera, titolare della famosa enoteca torinese Rossorubino, paradiso per i gourmet.
Gazzera ama viaggiare per vigneti e cantine in Italia e all’estero, realizzando una vera e propria attività di scouting di prodotti gastronomici e di bottiglie di piccoli produttori meno noti, accanto ad un’ampia offerta di quelli pluripremiati e famosi, e prestando la propria conoscen za del vino anche per consulenze al setto re della ristorazione per la realizzazione della carta vini.
“Se abbinati a pizze più corpose opterei per rifermentati da uve rosse; se in abbi namento a pizze semplici come una mar gherita o le super ricercate pizze vegan o vegetariane, invece, suggerirei macerati bianchi oppure gli orange wines, che tra i giovani tirano tantissimo” aggiunge Gazzera.
La carta vini delle pizzerie è stata per mol to tempo standardizzata, spesso uguale per la gran parte dei locali, con poche referenze di qualità bassa o medio bassa, basata più che altro sul consiglio del distributore e sulla soddisfazione della ricerca del basso costo.
In questo modo si è andati incontro all’o mologazione dei vini offerti verso il basso e si è persa per le pizzerie la possibilità di diversificare la propria offerta da quella dei concorrenti.
Oggi il pubblico ha una consapevolezza diversa, è più informato, frequenta corsi e vuole sperimentare. Se abbinati ad un’ot tima pizza, una buona selezione di vini può essere la carta vincente anche per fidelizzare la clientela, per offrire un plus rispetto alla concorrenza e incrementare i profitti.
“Per questo è fondamentale lavorare sulla cultura del vino e sulla forma zione del personale, che deve essere preparato e conoscitore di vini e birre di qualità, oltre che della pizzeria, e che ha un ruolo cruciale nel saper consiglia re al cliente il giusto prodotto sulla base della scelta delle pizze ordinate per trovare la migliore armonia dei sapori”
conclude Gazzera. Siamo assolutamente d’accordo.
Pasticceri, fornai e chef, È PANETTONE MANIA!
Ci siamo, Natale si avvicina e il panettone shopping è già iniziato.
In bella mostra sui social e sui banchi delle pasticcerie, i panettoni artigianali sono tornati e ora bisogna scegliere tra i tanti gusti e le novità.
Anche se, come precisano tutti quelli che mettono le mani in pasta, il panettone è uno solo: quello tradizionale, fatto con farina, lievito madre, uova, burro, canditi, uvetta, zucchero e vaniglia. In questi otto ingredienti si racchiude uno dei dolci più significativi delle feste e dell’alta pasticceria italiana, un prodotto made in Italy che da un paio di anni spopola nel mondo ed è riconosciuto come il dolce di Natale per eccellenza. Non uno qualunque, ma un dolce della tradizione che mette d’accordo tutti, dal nord al sud della Penisola, isole comprese. Le sue origini leggendarie risalgono al “Pan de Toni”, che noi tutti conosciamo, nato per caso e per fortuna alla corte di Ludovico il Moro. Nel corso dei secoli è stato però adottato da tutte le regioni italiane, che lo hanno caratterizzato, personalizzato e - cosa più importante - lo hanno reso nazionale.
Se per anni il panettone è stato appan naggio delle industrie e dei grandi marchi dolciari, da qualche tempo le pasticcerie si sono riappropriate del ruolo sovrano della produzione del vero panettone artigianale: quello fatto con
il lievito madre e solo ingredienti natu rali, con numerosi impasti e rinfreschi; quello con canditi di cedro, arancia o bergamotto fatti in casa; quello dalle lun ghe lievitazioni che non ti fanno dormire la notte, privo di conservanti, additivi e aromi artificiali.
In poche parole, è tornato di moda il pa nettone genuino e buono. E, come si sa, le mode contagiano e aprono nuove fette di mercato, così il panettone ha comin ciato da qualche anno a far gola (in tutti i sensi) anche ai fornai e - dallo scorso anno - ha conquistato anche gli chef che, stellati o meno, si sono cimentati nella loro versione del dolce natalizio per antonomasia.
A questo punto ci poniamo una doman da sensata: esistono differenze sostanzia li tra il panettone del pasticcere, quello del fornaio e quello dello chef? Al di là dei gusti e del packaging firmato, se cam biano il know-how, il forno e forse anche le materie prime il risultato sarà diverso? Noi, per capire come muoverci in questo immenso “campo di ricerca”, abbiamo chiesto a pasticceri, fornai e chef di rac contarci il loro panettone-pensiero.
In pasticceria
Quando si parla di pasticceria, si potreb be affermare che per ogni pasticciere esiste un panettone, una ricetta che si rie sce a moltiplicare all’infinito rimanendo sempre uguale e risultando sempre diversa. Pescare nel mare magnum dei pasticceri non è stato semplice ma la nostra curiosità ci ha portato a Frosino ne da Matteo Dolcemascolo, miglior Pasticcere Emergente d’Italia del Gam bero Rosso nel 2021.
“Per me il panettone è quello tradizionale –inizia così la nostra chiacchierata. Se ci pen si, con gli stessi ingredienti puoi avere mille prodotti diversi e, da questi ingredienti, ogni anno cerco di tirar fuori il miglior pro dotto possibile. Puntare al gusto classico, senza saturare il mercato di gusti sempre nuovi e differenti, è anche una scelta etica e di artigianalità”.
Matteo, seppur giovane, ha una buona esperienza e dà una risposta immediata al nostro quesito: “Forno e pasticceria? Non cambia niente, il risultato finale dipende dalla qualità delle materie prime e da quanta lavorazione artigianale c’è nei vari passaggi. Personalmente preferisco il panettone del fornaio, fatto a mestiere e in modo artigianal a quelli gastronomici (che vanno troppo oltre a volte) o a quelli firma ti da nomi altisonanti della cucina italiana. Il panettone da forno è un buon prodotto, la differenza sostanziale sta nella cottura: il forno statico dà un colore più scuro, cuoce di più, conferendogli una leggera crosticina esterna, lasciando l’interno morbido e soffice, mentre il ventilato di pasticceria sforna un prodotto soffice al tatto sia dentro che fuori, senza alcuna crosta, con un colore più aranciato come il miele e uniforme. L’interno dipende dalla lievitazione: il buon
panettone deve essere soffice, profumato, sfilacciarsi con le dita ed essere ricco di canditi e uvetta ben distribuiti. E poi c’è da anche da dire che il forno e la pasticceria oggi sono due mondi sempre più vicini: la pasticceria perde di dolcezza, si avvicina al salato e tra le due parti c’è una linea sem pre più sottile di demarcazione”.
E com’è il panettone di Dolcemascolo?
“Una continua novità. Ogni anno penso che posso fare meglio e ogni anno trovo sempre nuove cose da migliorare: dai canditi all’impasto, alla farina più o meno forte, agli zuccheri usati (destrosio o sciroppo di glucosio), fino alle ore di lievitazione. Ad ogni infornata capisci cosa funziona e cosa no e sei sempre lì a correggere il tiro. Questa continua attenzione al prodotto e alla sua chimica mi aiuta ad avere un prodotto finale apprezzato dal pubblico”.
Il Panettone di Sergio ContiIl panettone dei fornai
A partire dal 2019, percorrendo le orme di Gabriele Bonci e forti delle cono scenze inerenti la lievitazione, ci hanno provato anche loro: i fornai. Chiamarle prove sarebbe anche riduttivo, visto che i risultati sono ottimi. C’è sicuramente una sensibilità differente, una compe tenza sui forni rigorosa, più ecletticità sugli impasti e le lievitazioni. E poi c’è da dire che la nuova generazione di fornai è cambiata. Lo dimostrano quelli del Forno Brisa di Bologna che, da oltre 5 anni, fanno il loro panettone, sempre più buono e sempre con nuove proposte e come sottolineano: “il panettone dei fornai è una questione culturale”. Stiamo assistendo, dunque, con questo “movimento dei forni” a un ritorno alle origini del panettone. Gli ingredienti sono comuni a quelli dei pasticcieri, con la differenza che il fornaio usa quo tidianamente il lievito madre, che è poi quello del pane, addolcito con rinfreschi più frequenti, per mitigarne l’acidità. Dal punto di vista della lavorazione dei lievi ti e degli impasti, ci sono dimestichezza e know-how profondi. E si può affermare senza alcun dubbio che il panettone del fornaio si ispira a un concetto di pane, più primordiale, al contrario del panet tone più virtuosistico e creativo delle pasticcerie.
“Non c’è nessuna differenza di ingredienti, né di lavorazione, dando per scontata la qualità delle materie prime e la grande ricerca che mettiamo in questo lavoro”, ci dice Sergio Conti titolare del Forno Conti & Co. a Roma, fornaio da genera zioni che oggi si impegna in una pani ficazione moderna con incursioni ben riuscite nella pasticceria, a guardare il suo banco. “Sicuramente in pasticceria tutti i passaggi sono artigianali, penso alla canditura degli agrumi per esempio: cosa difficile da fare in un forno, per mancanza evidente di attrezzature e spazi specifici. La grande differenza è solo una: il forno. Noi fornai lavoriamo con dei forni elettrici statici, non abbiamo la tecnologia di forni ventilati o a vapore dei pasticceri, pertanto dobbiamo stare molto attenti alle temperature”.
Dalle parole di Sergio si evince subito che la diversità di un panettone da forno sta nel colore più brunito in su perficie e in una maggiore compattezza al tatto. Aspetti da catalogare come conseguenza del metodo di cottura, che non sono né un difetto né un pregio. Poi c’è anche chi decide di cambiare for no, o meglio di aggiungere nel proprio laboratorio un forno adatto a questo dolce.
Non c’è Panettone senza… MECNOSUD
MECNOSUD SRL Zona Industriale Valle Ufita 83040 Fumeri (AV) tel. +39/0825443185 – 89 mecnosud@mecnosud.com
Per le sue caratteristiche, da sempre, l’impastatrice a bracci tuffanti è notoriamente associata alla produzione di lievitati da pasticceria. La produzione ed il consumo del lievitato per eccellenza, il Panettone, è esponen zialmente cresciuta negli ultimi anni e si è diffusa, oltre che in pasticceria, anche nella ristorazione e tra gli appassionati non professionisti. La Mecnosud, ha sviluppato una gamma di impastatrici a bracci tuffanti, idonea a soddisfare le esigenze di tutti gli operatori professio nali, nonché una linea dedicata anche ai semplici appassionati (Mamy tuffantina da 7 Kg).
Con la presentazione della Impastatrice a Bracci Tuffanti Serie BR, disponibile nelle versioni da 40, 50 e 60 Kg, l’azienda ha raggiunto il target delle pasticcerie professionali che necessitano di una macchina di elevata qualità per il loro lavoro quotidiano. La Serie BR è dotata di un sistema di trasmissione ad ingranaggi a bagno d’olio, di un braccio regolabile in altezza ed è adatta a laboratori di media e grande produzione.
La linea Mamy, progettata in collabora zione con lo studio Vernacchia Design, si è imposta da subito per ricercatezza estetica dei dettagli, unita ad una elevata qualità costruttiva. Grazie al suo design è divenuta una icona di stile nelle cucine degli appassionati e degli chef più attenti.
Stiamo parlando del Forno Roscioli, isti tuzione della panificazione nella capitale che dal 2003 produce panettoni. Sono Pier Luigi Roscioli e Giulio Basile che si occupano dei lievitati delle feste e sono loro che ci raccontano i vari passaggi di produzione:
“Il nostro è un panettone da forno senza aromi aggiunti, realizzato con lievito madre, monitorato e tenuto sempre attivo. Il nostro lievito è lo stesso che utilizziamo durante tutto l’anno per il pane, quindi è un lievito sempre altamente performante. Anche per questo motivo il sapore finale del panettone ricorda un pane dolce. All’impasto aggiungiamo poi la pasta acida e un’emulsione con scorza di arancia e vaniglia e burro chiarificato a bassa tempe ratura. Facciamo un totale di due impasti: tra il primo e il secondo passano 12 ore, tra il secondo e l’infornata dalle 8 alle 10 ore. Per la cottura, prima cuocevamo nel forno in muratura a tubi, da quest’anno abbiamo un nuovo forno che cuoce con metodo Rotor a una temperatura più bassa, delicata e prolungata per rendere il panettone ancora più morbido”.
Chiediamo a Pier Luigi Roscioli qual è la caratteristica vincente del panettone Roscioli, quella che dà riconoscibilità: “proprio quella di essere prodotto giorna liero come il pane; siamo tra i pochi che producono il panettone tutte le notti in vari formati, vendendolo a peso proprio come si fa con i filoni e garantendo così al cliente un prodotto sempre fresco e naturalmente profumato”.
I panettoni degli chef
Alla lunga lista delle creazioni dei mae stri dell’alta pasticceria, dobbiamo per forza aggiungere anche gli chef, che in alcuni casi hanno iniziato da tempo a dedicarsi ai grandi lievitati. Nel 2021 ab biamo assistito ad un vero boom del pa nettone “stellato”: Alajmo si è cimentato con albicocche e caffè, Cannavacciuolo con cioccolato e caffè; i Cerea si sono inventati il Panettone Picolit con albi cocche e picolit (un vino friuliano, ndr), Baldessari si è affidato ad ingredienti inconsueti come capperi, gocce di assenzio, cardamomo e ananas. C’è poi il Super Panettone di Cracco con gocce di cioccolato e pralinato al pistacchio, mentre Romito e Uliassi contrariamente ai colleghi, hanno preferito la tradizione. Nei panettoni degli chef i veri prota gonisti sono gli ingredienti interni, non tanto la forma o il procedimento; c’è ovviamente una tendenza a creare qualcosa che somiglia al loro nome o al loro lavoro quotidiano. In alcuni casi siamo di fronte a prodotti a cavallo tra la pasticceria e la cucina fine dining. C’è molta sperimentazione soprattutto nella versione salata o “diversamente dolce”, prediligendo un gioco di accostamenti, contrasti e nuovi equilibri di gusto.
Per farvi capire meglio cosa intendiamo, siamo andati a cercare una vera chicca della “pasticceria gastronomica”. Si chiama PanVioletta ed è un panettone realizzato con melanzana candita dallo chef calabrese Claudio Villella che, nella sua espressione culinaria ha come unico obiettivo quello di dare voce al territorio, raccontando la sua terra attraverso le proprie eccellenze.
Nel caso del PanVioletta, per la prima volta un ortaggio è protagonista del Natale. Stiamo parlando nello specifico della Melanzana Lady Violetta di Longo bardi, un piccolo paese in provincia di Cosenza. La base del panettone è classica, l’intento è quello di dar vita a equilibri di gusto nuovi, senza discostarsi troppo dalla tradizione. Allo stesso tempo, come ci spiega lo chef: “è un modo per uscire dagli schemi, andare oltre alla tradizione. Una visione moderna, che rispecchia la mia cucina, seppur non discostandomi dalla sapienza familiare o dalla tradizione territoriale”.
Dietro a questo tipo di prodotto c’è tanta ricerca, c’è molta artigianalità, che parte dalla conservazione dell’ortaggio duran te la sua stagione, alla sua lavorazione che non deve fargli perdere di perso
nalità. Dolce e succosa, la Lady Violetta, icona indiscussa della cucina calabrese, si trasforma in un candito da panettone che arricchisce anche visivamente e in quantità i lievitati realizzati dallo chef Villella (lo scorso anno ne ha sfornato solo 100 e anche quest’anno sarà una limited edition). “Dolce, compatta, dal sapore raffinato e delicato, questa melanza na si presta benissimo alla canditura, che ne esalta la dolcezza e la carnosità, senza diventare eccessivamente stucchevole, sapendo anche giocare con toni lievemente acidi dati dagli agrumi”.
E, per chiudere il nostro percorso, non possiamo non ricordare che anche i piz zaioli si sono lasciati tentare da questo “pane nazionale”. E c’è anche chi, seppur celebre per la sua tonda, il panettone lo ha sempre fatto da quando, nel 2008, si è innamorata del lievito madre e del suo potere magico. Parliamo di Amalia Costantini, titolare di Mater a Fiano Ro mano (Roma) la quale, da autodidatta, ha sempre sperimentato panettone e pani di ogni genere e non solo pizze, con la
prerogativa di una lavorazione totalmen te artigianale e la scelta di ingredienti solo biologici.
“I panettoni li faccio da sempre, ma solo da tre anni mi vengono bene. Oggi sono finalmente arrivata ad avere una mia ricetta: non ne esiste una assoluta, io amo sperimentare.
E poi, quando hai a che fare con il lievito madre, c’è un lavoro immenso di gestione delle varie acidità (lattici e acetici), di rin freschi continui durante l’anno, cosa su cui sono meticolosa, Solo se tutto rispetta certi valori troviamo quella dolcezza o sofficità: non è una questione di dosi o di seguire un procedimento alla lettera.
Se devo dire che differenza c’è tra il panet tone di pasticceria e il mio non saprei dire, anzi mi sento più pasticciera che pizzaiola per molti versi”.
Amalia cuoce in un forno da pasticcere e non nel forno delle pizze, fa pochi pezzi solo per pochi fortunati e in ognuno di questi, c’è tanta passione e un carico emotivo importante che accompagna ogni fase - con successo o con insuccesso - di questo lievitato, croce e delizia di chi mette le mani in pasta.
Caro Panettone
Ogni volta che diamo un morso ad una fetta di panettone, dobbiamo tenere conto del grande lavoro che c’è dietro: la scelta delle materie prime, gli impasti e i lunghi tempi di lievitazione, le ansie per il risultato finale, le sperimentazioni e le prove continue, la cura del lievito madre e del suo ph. E, non ultimo, l’amore che serve per farlo venire bene. Perché un buon panettone non è solo una questio ne di aromi, di alveolature, di sofficità e gusto, ma è anche una questione di sapienza e sentimento. E tutto questo non ha prezzo.
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Panettone senza glutine e senza lattosio
di Alfonso Del FornoIl panettone è il dolce natalizio per eccellenza. Nonostante sia nato in Lombardia, è ormai consuetudine vederlo sulle tavole di tutti gli italiani. Probabilmente è il dolce che più di ogni altro accomuna le tavole imbandite per festeggiare durante le festività natalizie. Negli ultimi anni abbiamo assistito ad una grande offerta di panettoni artigianali, a volte realizzati anche da grandi nomi della ristorazione. In questo panorama di enorme offerta di panettoni, chi non ha visto la stessa esplosione di prodotti di qualità è stato il mondo della pasticceria senza glutine. Tranne pochi virtuosi prodotti artigianali, gran parte dei panettoni senza glutine presenti sul mercato sono prodotti dall’industria, con risultati che molto spesso non raggiungono la sufficienza nel gradimento dei consumatori.
Per questo motivo ho deciso di studiare nei dettagli la tecnica di produzione dei panettoni “glutinosi”, prendendo come riferimento la ricetta del panet tone tradizionale (con glutine) del grande maestro pasticciere Alfonso Pepe, scomparso da quasi tre anni. La farina utilizzata è senza glutine e senza lattosio. Per la lievitazione ho usato il metodo indiretto, grazie alla prepara zione di un lievitino (poolish), che permette di avere un panet tone senza glutine più soffice e con maggiori profumi. Altro ingrediente fondamentale per la buona riuscita del panettone è la base aromatica data dalla Pasta di Agrumi, anche questa preparata seguendo la ricetta di Alfonso Pepe. Ultimo consiglio è quello relativo al burro, che deve essere di alta qualità. Per questa ricetta ho utilizzato un burro chiarifica to, naturalmente privo di lattosio. Prima di procedere con l’impasto del panettone, prepariamo la pasta di agrumi e il lievitino.
INGREDIENTI
INGREDIENTI PER
LA PASTA DI AGRUMI
• 2 arance (400 gr.)
• 4 clementine (200 gr.)
• 300 gr. zucchero
PROCEDIMENTO
Lavare bene le arance e le cle mentine. Tagliare a piccole fette gli agrumi, asportando solo le estremità. Riporre le fette di agru mi in un tegame che le contenga tutte. Aggiungere lo zucchero sugli agrumi e mescolare il tutto di tanto in tanto. Dopo 15 minuti, lo zucchero si è completamente sciolto. Portare il tegame sui fornelli a fuoco molto lento per 30 minuti circa. Una volta cotti gli agrumi, spegnere il fuoco e lasciar riposare per un minuto. Trasferire il tutto in un contenitore e frulla re. La pasta di agrumi è pronta e può essere conservata in frigo.
• 300 g lievitino
• 50 g mix farina senza glutine e senza lattosio
• 50 ml acqua
PROCEDIMENTO
Prendere il lievitino, 50 g di farina e 50 ml di acqua. Inserire il lievitino in una ciotola più grande e aggiungere poco alla volta la farina e l’acqua, mescolando fino a ottenere un impasto setoso e omogeneo. Coprire con pellicola la ciotola e lasciare a temperatura ambiente. Il lievitino, qualche ora dopo, avrà triplicato il suo volume ed è pronto per essere utilizzato.
• 10 g lievito fresco
• 150 g mix farina senza glutine e senza lattosio
• 150 ml acqua
• 1 cucchiaino di miele
PROCEDIMENTO
Prendere 150 g di farina, 150 ml di acqua, il lievito e il miele. Iniziare a far sciogliere il lievito nell’acqua con l’aggiunta del miele. Aggiun gere poco alla volta la farina, fino a ottenere un impasto setoso e omogeneo. Coprire con pellicola la ciotola e lasciare a temperatu ra ambiente. Dopo un’ora circa il lievitino avrà triplicato il suo volume ed è pronto per l’uso.
• 300 g Farina senza glutine e senza lattosio
RINFRESCO LIEVITINO SENZA GLUTINE INGREDIENTI PER IL PRIMO IMPASTO INGREDIENTI PER IL LIEVITINO SENZA GLUTINE
• 300 g lievitino
• 150 ml acqua
• 70 g burro chiarificato
• 35 g tuorlo d’uovo (2 tuorli di uova medie)
PROCEDIMENTO PRIMO IMPASTO
Preparare un’emulsione con il burro ammorbidito e i tuorli (1). Nella scodella della planetaria inserire il lievitino (2), la farina e l’acqua. Impastare con la frusta K. Quando l’impasto diventa omo geneo, aggiungere l’emulsione di burro e tuorlo. Impastare fino a quando l’impasto diventa setoso e compatto. Inserire il tutto in una ciotola (3) e coprire con pellicola. Lasciar lievitare l’impasto a tem peratura di 26°C (nel forno con la luce accesa) per circa 10 ore.
INGREDIENTI PER IL secondo IMPASTO
• il primo impasto
• 100 g pasta di agrumi
• 50 g Farina Ori di Sicilia miscela oro grandi lievitati
• 35 g tuorlo d’uovo (2 tuorli di uova medie)
• 30 g burro chiarificato
• 20 g miele
• 2 g sale
SOSPENSIONI: 70 g uvetta
PROCEDIMENTO SECONDO IMPASTO
Dopo 10 ore, il primo impasto è più che triplicato nella ciotola (4). Inserire l’impasto nella ciotola della planetaria e aggiungere la farina (5). Avviare la planetaria con la frusta K fino a rendere l’impa sto omogeneo. A questo punto aggiungere la pasta di agrumi (6) e continuare ad impastare. Aggiungere il miele e far ripartire la planetaria (7). Inserire in due volte l’emulsione di burro e tuorli (8). Avviare la planetaria fino a rendere l’impasto omogeneo. A questo punto aggiungere l’uvetta (9) e continuare ad impastare. Quando l’impasto risulta omoge neo, fermare la planetaria, estrarre la frusta e lasciar riposare il tutto per 30 minuti nella ciotola (10). Inserire l’impasto in un pirottino per panettoni alti da 1000 g (11), coprire con pellicola e riporre nel forno con luce accesa (circa 26°C). Quando l’impasto raggiunge l’altezza del pirottino (6-8 ore), estrarre dal forno, incidere con una lama affilata una croce in alto e porre un pezzetto di burro al centro della croce (12). Infornare a 155°C (ventilato) per 60 minuti. Effettuare la prova dello stuzzica denti ed estrarre dal forno. Una volta fuori, infilzare con due spie dini d’acciaio e lasciare il panet tone capovolto fino al completo raffreddamento (almeno tre ore). Il panettone senza glutine risulta cotto in maniera omogenea su tut ta la superficie (13). L’alveolatura è molto ben distribuita, dal bordo all’interno (14), così come l’uvetta.
Il risultato finale è un panettone senza glutine e senza lattosio soffice ed elastico, che si conserva con queste caratteristiche per molti giorni, se riuscite a non finirlo prima!
Dal cacao al cioccolato tipologie, coltivazione e lavorazione
di Caterina
Vianello
Nel mondo del cioccolato, se probabilmente tutti conoscono perfettamente la distinzione tra tavoletta, pralina, cioccolatino, gianduiotto e tartufo, se apprezzano le sfumature tra percentuali diverse di cacao, se hanno imparato a degustare, è probabile invece che non tutti sappiano riconoscere la pianta del cacao, ne conoscano le varietà e i paesi produttori. Più difficile, poi, è arrivare a ricordare tutte le fasi del processo di lavorazione, che porta insomma dalla pianta alla tavoletta. Partiamo allora dall’inizio, per conoscere meglio il “cibo degli dei”.
La pianta del cacao si chiama Theobroma cacao, è originaria dell’America centro-meridionale e trova le migliori condizio ni di crescita nelle zone calde e umide, 20 gradi a nord e a sud dell’equa tore. È una sempreverde, che può arrivare a 15-18 m di altezza ma che per facilitare il raccolto viene tagliata ad una altezza di circa 6 m. È una pianta di non facile coltivazione: ha bisogno infatti di una temperatura compresa tra i 18°-32°, umidità attorno a 80100% e luce intensa ma indiretta. Le piante cominciano a produrre frutti dopo 3-4 anni e vivono in genere 50-60 anni: ogni pian ta produce circa 20-100 frutti (cabosse) all’anno. Crescono sul tronco e sui rami principali e hanno colori e forme variabili a seconda della pianta: rosso, giallo, marrone, verde. Ogni frutto pesa circa 500-1500 gr, ha un guscio duro contenente da 20 a 50 semi (fave) avvolti in una polpa biancastra: viene staccato con lunghe lame e aperto subito per togliere le fave, il cui colore varia dal bianco (le migliori) al viola-rosato. Il loro sapore è acidulo, privo di aroma di cacao. Per ottenere 1 kg di fave secche, servono circa 20 frutti.
Secondo una classificazione comune, le piante del cacao sono raggruppabili in 3 grandi famiglie: il Criollo, il Forastero ed il Trinitario. Il Criollo è la varietà più pregiata, delicata, che fornisce circa il 2% del cacao mondiale. È originaria del centro America e si trova anche nella parte nord dell’America del sud, soprattutto in Ecuador e Venezuela. È la più sensibile agli influssi meteorologici e la più difficile da curare. A fronte di rese quantitativamente inferio ri, la qualità è altissima: non a caso il Criollo è chiamato anche “cacao aromatico o fine”. I semi, bianchi, sono più ricchi di aromi e molto profumati, poco amari e poco acidi. A causa della sua delicatezza, viene lavorato con maggior cura e si utilizza per cioccolato di alto pregio.
Theobroma cacaoIl Forastero, meno pregiata, for nisce il 90% del cacao ed è la più diffusa e coltivata, soprattutto in Africa occidentale, Brasile e Asia del sud est. Gli alberi sono più robusti e resistenti alle intempe rie e danno un raccolto maggio re. I suoi semi sono violetti e dal sapore lievemente amaro. Alcune qualità tuttavia sono più fini e aromatiche: tra queste meritano di essere menzionate il cacao Arriba o Nacional, dall’Ecuador. Infine il Trinitario, ibrido dei primi due, con caratteristiche intermedie e che fornisce l’8% del cacao. Originario della bassa Amazzonia, viene coltivato in Messico, Caraibi, Colombia, Vene zuela, Asia Sud-Orientale. Tra le varietà di Trinitario che meritano di essere citate, c’è il cacao Hispa niola, un misto tra un Criollo e un Trinitario che proviene dalla Repubblica Dominicana. Nono stante questa sia la classificazio ne più nota, bisogna precisare che spesso in realtà le piante in natura sono ibridi di queste 3 fa miglie: recenti ricerche genetiche hanno quindi rivisto questa rigi da classificazione approfondendo le caratteristiche varietali.
La lavorazione ha inizio con la raccolta: i frutti vengono staccati dalla pianta ed aperti per estrar ne le fave, in genere allineate in cinque file longitudinali ed avvolte in una polpa agrodolce. Raspate dal frutto assieme alla loro polpa, le fave vengono am mucchiate in contenitori di legno o riposte in cesti oppure distese in grosse casse piatte.
Seguono le fasi di calibratura e classificazione delle fave, volti ad assicurare che esse siano sane, fermentate in modo corretto e che corrispondano perfettamen te ai requisiti analitici previsti. Inserite in sacchi di iuta (50-70 kg), classificato e trasportate nei centri di raccolta, le fave vengono poi stoccate in silos climatizzati.
Da sinistra a destra: Forastero, Criollo e Trinitario
L’albero del cacao fiorisce e produ ce frutti durante tutto l’anno ma il raccolto si concentra in due pe riodi, quello principale, che inizia alla fine del periodo delle piogge, in ottobre, e dura fino all’inizio del periodo secco ed il secondo raccolto, più ridotto, che avviene nel mese di marzo, all’inizio del successivo periodo di pioggia.
Distese e coperte da ramoscelli o foglie di banano, le fave vengono lasciate riposare da 2 fino a 6 giorni (arrivando anche a 8 per i cacao migliori): è la fase della fermentazione, che inizia natural mente e che può far raggiungere alla massa temperature di 50°. I grossi mucchi di fave e polpa vengono più volte rimescolati per garantire una fermentazione re golare: è in questa fase che si svi luppano i primi aromi del cacao. Il naturale gusto astringente ed amarognolo delle fave, che diven tano marroni, perde progressiva mente intensità e si creano, allo stesso tempo, le prime gradazioni aromatiche dalle quali si formerà poi, con essiccazione e tostatura, il vero e proprio aroma del cacao. Segue la fase di essiccazione che riduce l’umidità delle fave, impe disce lo sviluppo di muffe e riduce la carica acetica: dura da qualche giorno a 2-3 settimane e può essere naturale (sotto il sole) o artificiale (in appositi essiccatoi).
Prima del processo di lavorazione vero e proprio, il cacao grezzo subisce una fase di pulitura: attraverso setacci e spazzole meccaniche le fave vengono eliminati tutti i residui di legno e sabbia, mentre altre polveri sottili vengono aspirate da ventilatori; le eventuali particelle metalliche vengono trattenute da calamite. Infine speciali macchinari si occupano di eliminare i piccoli sassi presenti.
Segue una fase particolarmente delicata, quella della tostatura, fondamentale per la qualità finale. La tostatura ha infatti lo scopo di far sì che gli aromi si sviluppino pienamente. In questa fase l’umidità scende all’1-2%: la tostatura viene effettuata a 120180° per una durata che varia da 15 minuti per le varietà pregiate a 1 ora per le varietà ordinarie.
Il successivo raffreddamento delle fave fa sì che la frantuma zione sia più facile, separando la buccia – rimossa per aspirazionedalla granella. La granella subisce dapprima una macinatura inizial mente grossolana e poi successi vamente sempre più fina. Il calore generato dalla pressione e dallo sfregamento fonde il burro di cacao contenuto nei semi (circa il 50% del loro peso). Da questa macinatura si ottiene la pasta di cacao, una densa massa liquida di colore bruno, che viene succes sivamente sottoposta a pressa tura. La massa viene pressata a 400 atm., separando così la parte grassa (burro di cacao) dalla parte secca (cacao in polvere). Il burro di cacao è un grasso nobile, dal grande valore organolettico. Una volta filtrato e pulito, assomiglia al burro da tavola ma è notevolmen te più solido.
Miscelato in seguito alla massa di cacao, le conferisce una struttura fine, elegante e scioglievole, oltre che una bella lucentezza. Dall’ope razione di pressatura che separa il burro dal resto, rimane un’ulte riore massa, che a seconda della pressatura, contiene ancora dal 10% al 20% di materia grassa. Maci nandola e passandola al setaccio, ecco la polvere di cacao.
Si passa quindi alla raffinazio ne - l’impasto viene raffinato tra cilindri rotanti, per ridurne la granulometria, e al concaggio, operazione fondamentale. Il cioc colato viene immerso in conche e mescolato a temperatura costan te fino a 72 ore: in questo modo si eliminano così eventuali residui di umidità, aromi sgradevoli, eccessi di amarezza e sostanze volatili (acidi), riducendo ulte riormente le particelle.
La Compagnia del Cioccolato
La fase successiva è quella che prevede la miscelazione: alla pasta di cacao vengono infatti ag giunti altri ingredienti (zucchero, burro di cacao, lecitina, vani glia...) responsabili dell’aroma e della struttura del cioccolato.
Si passa quindi al temperaggio: il cioccolato che ha terminato la fase di concaggio e che ha una temperatura di circa 40°, passa in una temperatrice che ne abbassa (è il caso del fondente) la tempera tura a 28° per poi riportarla a 31°. La differenza termica subita dal prodotto riduce i cristalli instabili del burro di cacao regalando al cioccolato lucentezza, conserva bilità e consistenza. Il cioccolato liquido viene quindi versato in stampi di acciaio (fase di colag gio) fatti avanzare su un nastro sottoposto a vibrazioni continue al fine di eliminare il più possibi le le bolle di aria all’interno del cioccolatino o della tavoletta. Il passaggio attraverso una fase di raffreddamento consente infine che il cioccolato si possa staccare con facilità dagli stampi, per esse re poi essere incartato, confezio nato e venduto.
Chi da anni svolge un ruolo fondamentale nella divulgazione della conoscenza del cioccolato è la Compagnia del Cioccolato. Si tratta dell’associazione di consu matori esperti ed appassionati di cioccolato, che ne tutela il consu mo, e contribuisce a informare e orientare consapevolmente soci e consumatori. Fondata nel 1995 a Perugia e attualmente presieduta da Gilberto Mora, la Compagnia è diventata negli anni un punto di riferimento nella difesa del cioccolato di qualità e ha visto pro gressivamente crescere il numero dei suoi associati (tra i quali si contano appassionati, degustatori professionali, giornalisti, esperti food e raffinati gourmet) che oggi arriva a superare il migliaio. Ogni anno la Compagnia assegna il Premio Tavoletta d’Oro, che rap presenta la fotografia più attendi bile sulla produzione artigianale italiana e il riconoscimento più autorevole alla produzione di qua lità in Italia, frutto del risultato di decine di giudizi degustativi assegnati secondo le schede di va lutazione. Periodicamente la Com pagnia del Cioccolato organizza corsi per Chocolate Taster, per intraprendere un percorso verso la figura di degustatori professio nisti; serate di degustazione ed abbinamento; convegni di studio e aggiornamento; eventi tematici. Dal 1995 ad oggi ha pubblicato una Guida con l’analisi specifica dei cioccolati in vendita in Italia e preparato i Quaderni del cacao e del cioccolato, uno strumento di divulgazione. Infine, dal 2013 ha attivato il progetto “I luoghi del cacao”, con l’obiettivo di scoprire e selezionare le migliori materie prime da offrire, con esclusiva per piantagione, ai cioccolatieri italia ni. Venezuela, Colombia e Ecuador sono i paesi produttori coinvolti.
Abbiamo inventato il forno rotante per pizzeria ora puntiamo a diventare ispirazione nelle buone pratiche d’impresa nell’impronta ecologica nell’ integrità di stile.
La dolce storia della Polacca
di Antonio PuzziEro poco più che un bambino quando, in estate, andavo al mare in quella zona bella quanto bistrattata nota come litorale domizio, a ridosso tra le province di Caserta e Latina. Visto che a muoversi sulla stessa via erano quotidianamente decine di migliaia di auto, tra un semaforo e l’altro, c’era sempre qualcuno che aveva una buona scusa per per dersi. E qualche ritardatario per farsi perdonare aveva sempre una gustosa idea: portare la colazione. Un giorno, parlando tra “piccoli amici” in spiaggia, mi lasciai scap pare che “uno dei nostri" sarebbe arrivato portando “le polacche”.
E lì capii che per scatenare le fantasie dei più piccoli bastava davvero poco: all’arrivo di France sco infatti l’unico a gioire per le polacche fui io perché… erano i miei dolci preferiti.
Difficile, per chi viva fuori da Aversa - Comune cerniera tra le province di Napoli e Caserta - e (pochissimi) paesi limitrofi comprendere quella gioia. La quale diventa però molto più comprensibile se si incontra almeno una volta nella vita una polacca. La storia della “polacca aversana” (no, non è un ossimo ro) è affascinante almeno quanto quella della Sacher. Si dice che ad aver inventato la celebre torta austriaca sia stato un giovane apprendista cuoco sedicenne, Franz Sacher, trovatosi improvvi samente alla guida della cucina in sostituzione del capocuoco, impossibilitato nel raggiungere i fornelli a causa di un malanno. Dovendo preparare un dolce per alcuni ospiti del Ministro degli Esteri del Paese presso il quale era al servizio, inventò la celebre torta al cioccolato con ripieno di marmellata di albicocche. Il resto è storia nota.
Una simile leggenda riguarda la polacca aversana. In realtà qui le versioni sono più d’una… Quella più diffusa vuole che nel 1926 una suora polacca di stanza ad Aversa presso il Convento delle Cappuccinelle abbia stretto amicizia con i pasticcieri Nicola Mungiguerra e sua moglie, i quali ogni domenica regalavano al convento una “guantiera di paste”, ossia un vassoio di dolci.
Per ringraziarli di tanta bontà, la monaca (la cui identità non è nota e di cui non si è riusciti a recu perare traccia negli archi vi) avrebbe dato ai due giovani la ricetta di una torta della sua terra che i pasticcieri poi declinaro no anche in una squisita brioche da colazione.
Una variante della stessa leg genda vuole invece che il regalo dei dolci al convento avvenga solo dopo il dono della ricetta, in segno di gratitudine verso la suora. Un’altra versione della stessa storia ritiene invece che questo avvenimento sia accadu to in realtà nel Medioevo mentre un’ultima leggenda attribuisce
la nascita del dolce direttamente alle suore, le quali, ospitando una nobile (qualcuno dice “la re gina”) polacca, vollero omaggiar la con un dolce mitteleuropeo.
Ora, come potrete ben compren dere, capire come sia nato il dolce è un mistero fittissimo ma la ricetta non è da meno. Ciascun pasticciere di Aversa custodisce infatti gelosamente la propria polacca, sebbene per tutti l’origine pare sia da riferirsi ai Drożdżówki (panini dolci) realmente realizzati in Polonia, che sono dei lievitati fatti con farina, latte, zucchero, burro e succo di limone. Non è però da sottovalutare la vicinanza con il Rogale marcińskie (cornetto Martinica), in quanto lo stesso vie ne definito una torta “semi-fran cese” con molto più latte e burro nell’impasto e dunque molto più vicino alla polacca “nostrana”.
E se invece così non fosse? Qual che malpensante ritiene infatti che la polacca altro non sia che una rivisitazione del pasticciotto leccese, realizzato dunque allo stesso modo ma con pasta brio che in luogo della pasta frolla. So già che vi starete chiedendo:
Qualunque sia l’origine comun que, la somiglianza coi dolci polacchi persiste, al punto che alla visita pastorale dell’allora Papa (oggi Santo) Giovanni Paolo II in Campania, nel 1990, ad Aver sa fu omaggiato proprio con la polacca ed ebbe modo di dire che gli ricordava i Drożdżówki della sua infanzia.
Vi confesso che ero molto tentato dal darvi una ricetta e avevo addirittura provato a contattare l’ere de di Nicola Mungiguerra ma ovviamente l’esito è stato totalmente negativo.
e il nome in questo caso da dove deriverebbe? Da una somiglianza molto forte con un tipo di scarpa prodotto proprio ad Aversa (che è stato fino a qualche decennio fa un centro particolarmente importante per l’artigianato in ambito calzaturiero): i polacchi ni, detti così perché nati a Craco via, allora capitale del Regno di Polonia, alla fine del XIV secolo, da cui il nome "scarpa di Craco via”. Il Medioevo insomma in un modo o nell’altro c’entra sempre. E la Polonia pure.
Sul web comunque ne trovate moltissime versioni e oggi que sto dolce ha iniziato a conqui stare non solo il litorale domizio dal quale ero partito coi miei ricordi ma anche altre città della Campania. ll resto del mondo pare debba ancora attendere sebbene tra gli estimatori della polacca, oltre a Giovanni Paolo II, figurano Umberto Agnelli (senatore e alto dirigente di Fiat e Juventus) e Giovanni Leone (Presidente della Repubblica).
A provare a esportare la polacca, a dire il vero, qualcuno ci aveva già pensato: il celebre pizzaiolo Gianfranco Iervolino, che per un periodo ha lavorato proprio ad Aversa, ha creato nel 2014 la “Polaccapizza”, una variante del dolce con crema pasticciera e amarene che, sebbene con un im pasto diverso, ne ricorda moltissi mo consistenza e gusto. E, grazie a questa intuizione, ricevette il premio “Pizza dell’anno” dal Gambero Rosso. Qualche anno fa, inoltre, qualcuno ha registrato un marchio che include nel nome del dolce anche l’articolo (“la polacca”), un logo e un claim. E a farlo non sono stati i protagonisti delle leggende che vi ho finora citato. Sicuramente è stata un’im presa di successo, non c’è dubbio. Ad Aversa però tutti continuano a fare la polacca secondo la propria tradizione e probabilmente avrebbe più senso l’istituzione di un consorzio per la tutela di questo prezioso prodotto. Un problema tuttavia ci sarebbe: la codifica della ricetta!
Niente, non resta che andarla a mangiare ad Aversa. E il raggiungi mento della meta varrà sicuramente il viaggio.
Merry Christmas
boxe e/o un’intera giornata di maratona. Ad onor del vero, però, c’è da dire che non tutto l’aumento segnalato dalla bilancia è costituito da grasso. Il 18% del sovrappeso accumulato è, infatti, acqua che andrà via facilmente ritornando ad una alimentazione meno calorica adottando una dieta sana ed equilibrata insieme ad un regolare esercizio fisico. Ridurre i grassi: mode
rare la quantità di grassi e oli utilizzati per condire e preferire metodi di cottura leggeri e salutari, sono buone norme che è consigliabile osservare non solo per tornare in forma dopo le feste, ma anche durante tutto l’anno.
Per non ritrovarsi già a capodanno con troppi chili in più impossibili da smalti re basta seguire pochi consigli: limitare gli eccessi ai veri giorni di festa.
Be Unique il progetto limited edition di Gi.Metal
Gi.Metal lancia il progetto Limited Edition, presentando la prima pala della serie e rivoluzionando il concetto di “utensile per pizzeria”. Dal 3 Novembre è possibile acquistare dal sito gimetal.it la prima esclusiva pala in serie limitata di Gi.Metal.
Pochi i pezzi prodotti, da accaparrarsi subito!
“Be Unique” è il claim in accompagna mento all’intero progetto, che prevede l’uscita di più pale in serie limitata, con caratteristiche estetiche del tutto nuove e alta prestazione tecnica. La qualità Gi.Metal è resa ancora più unica dall’e sclusiva personalizzazione laser del manico.
Il logo si trasforma per identificare le Limited Edition, diventando il cuore che batte, imperituro, per i pizzaioli di tutto il mondo e la loro arte.
Il packaging è speciale. È stato studiato per concludere il viaggio del cliente, con la stessa cura con cui è stato pensato il progetto. La custodia della pala è un guan to che avvolge delicatamente il prodotto, proteggendolo dall’esterno.
La pala "Limited Edition #1 - Be Pink" è la prima della serie e incarna qualità, tradi zione, performace, stile e originalità. Un colore di manico totalmente inaspet tato: il rosa.
Parte del ricavato derivato dalla vendita della pala "Limited Edition #1 - Be Pink", sarà devoluto ai progetti di Action Aid a favore dell’empowerment femminile e della tutela dei diritti delle donne.
È importante, infatti, entrare nell’i dea che i giorni di festa non siano 15. Le date importanti, dove sono concessi gli extra a tavola, sono cena della Vigilia, pranzo del 25 e del 26, il cenone di Capodanno e i giorni del 1 e 6 gennaio. In tutti gli altri giorni invece è importante rispettare il controllo calorico: è questo il vero trucco per contrastare l’impennarsi dell’ago della bilancia.
MANGIARE PORZIONI PICCOLE. L’asso nella manica per assaggiare tutto senza eccedere è fare piccole porzioni di ogni pietanza e non chiedere il bis.
BERE MOLTA ACQUA. Mangiando di più e generalmente anche più saporito, il consumo di sale aumenta e con questo anche la ritenzione di liquidi.
LIMITARE GLI ALCOLICI. Non rinunciare certo al brindisi della Vigilia di Natale e di Capodanno, ma limitare il resto: lo spumante ed il vino in generale sono alimenti calorici che non fanno altro che aumentare il computo totale di calorie giornaliere. Difatti, contengono quelle che vengono chiamate “calorie vuote”, in quanto non apportano nutrienti ma, solo calorie Anche i liquori cosiddetti digestivi sono spesso ricchi di zuccheri: il rischio è quello di appesantirsi ancora di più alla fine del pasto.
EVITARE LE CALORIE DAVVERO INU TILI. Se proprio si ci vuole concedere degli eccessi, che siano i piatti della tradizione, per le quali vale la pena sgarrare. Rinunciare, quindi, agli extra di cui si può fare a meno come le bibite gassate e zuccherine oppure il pane nell’attesa del primo piatto. E poi, finite le feste (ma anche tra una festa e l’altra) evitare di avere in casa confezioni aperte di dolci: la tentazio ne di spizzicare a tutte le ore del giorno sarebbe troppo forte per rinunciarci.
FARE ATTENZIONE AL FINE PASTO. A fine pasto, la tavola si ci riempie di frutta secca e dolciumi natalizi magari da assaggiare tra una partita a carte ed un gioco da tavola. Noci, anacardi, mandorle, pistacchi, ma anche frutta disidratata (datteri, prugne, uva sulta nina, fichi, albicocche) che hanno delle indiscusse proprietà benefiche (fonte di antiossidanti, di vitamine e di grassi buoni), sono anche alimenti a densità calorica elevata.
ISCRIVERSI IN PALESTRA O NON SMETTERE DI ALLENARSI. Fare palestra permetterà di bruciare tantissime calorie e di potersi concedere qualche sfizio ed eccesso senza sentirsi in colpa. Nei pasti festivi, dunque, basterà ridurre gli alcolici, prediligere il pesce alla carne ed evitare di fare il bis di dolcetti. Riducendo le porzioni di pasta o misu randosi agli antipasti si arriverà a un pasto da circa 2000 kcal. Se si facesse in questo modo per i tre giorni delle feste, riducendo di poco l’apporto calorico di dieta abituale tra Natale e Capodanno, e ripetendo la stessa cosa con i due giorni a cavallo della fine dell’anno, totaliz zeremo un surplus calorico di 25003000 calorie massimo fino all’Epifania. L’equivalente di meno di mezzo chilo in più, che possiamo smaltire con 5-6 ore di tapis roulant spalmate in una settimana, per esempio.
Questo, contro, le dodicimila e passa ca lorie di surplus calorico che ci farebbero guadagnare quasi due chili e che infatti sono in linea con le stime dei medici su quanto peso si prende tra Natale e Capodanno. È importante anche non rimanere a di giuno dopo il pranzo di Natale preferen do una dieta di compenso ipocalorica, che preveda solamente frutta e verdura per tutto il giorno così da pareggiare le calorie di troppo ingerite il giorno precedente. Per concludere, concediamo ci pure qualche eccesso durante le Feste ma cerchiamo di mettere in pratica, nel resto dell’anno, le raccomandazioni delle migliori scuole di nutrizione umana. Una di queste si può riassumere con una massima, che recita: Colazione da re, pranzo da principe, cena da mendicante.
Le lenticchie, portafortuna per tutto l'anno
Nessun mese è associato alla lentic chia, o meglio alle lenticchie poiché è impossibile pensarle – ma soprat tutto mangiarle! - al singolare, come dicembre. Se mangiare le lenticchie fa ormai parte dei riti portafortuna delle feste (rievocando un’associazione, quella tra i legumi e il denaro, che pare risalga all’antica Roma), sarebbe tuttavia ingiusto confinare le lenticchie solo a con sumo limitato ad un mese all’anno. Grazie a ottime proprietà nutrizionali (hanno un alto contenuto di ferro e di sali minerali) e ad una versatilità eccezionale, meriterebbero di essere inserite a tavola con periodicità costan te: in zuppe, risotti, ripieni, paste, ridotte in polpette o trasformate in hamburger, assieme a verdure e ad altri legumi in insalate gustose, le lenticchie sono una vera rivelazione, capaci di sorprendere e di soddisfare i palati più esigenti e curiosi.
Il nome deriva dal latino lens, lente: la forma appiattita e convessa rimanda a quella delle prime “lenti” ottiche. La pianta cresce in zone a clima temperato, semiarido, sfruttando a proprio favore condizioni ambientali
proibitive per altre colture. Grazie ad un ciclo biologico breve riesce infatti a garantire un buon livello produttivo. Nel nostro paese è coltivata in ristrette aree di altopiano dove le condizioni del clima e del suolo conferisco no al prodotto una qualità altissima ed un sapore distinto.
Le cultivar sono diverse e i criteri per distin guerle sono il colore (verde, giallo, rosso, marrone, grigio e nero) e la taglia (piccole, medie, grandi). Se altrove si apprezzano di più quelle a seme grosso (fino a 80 mg), in Italia le lenticchie più pregiate sono quelle a seme molto piccolo. Vale la pena allora fare un giro tra le regioni italiane che ci regalano i legumi migliori, tra prodotti a marchio e Presidi Slow Food.
Lazio
La vera perla della regione si chiama lenticchia di Ona no, nota anche come “lenticchia dei Papi” poiché pare fosse venduta alla corte papale, dov’era particolarmen te apprezzata. Il sapore è molto delicato, dolce, mentre il colore va dal marrone chiaro con striature che vanno dal piombo scuro al cinereo rosato, al verdastro. Ha una forma lenticolare appiattita con una superficie liscia e sottile, per un diametro di 3-8 mm. Tenera, è ottima con la pasta fresca, mantenendo una consistenza vellutata fine e cremosa. Dal piccolo paese dell’alta Tuscia Laziale (Viterbo) che le ha dato il nome, la lenticchia ha conqui stato il mondo: in occasione delle esposizioni universali di Buenos Aires, Londra e Parigi di inizio ‘900 venne particolarmente apprezzata. Ha marchio Igp. Sempre in Lazio, vale la pena spostarsi a Ventotene: qui si trovano delle piccole, chiare e resistenti lenticchie, coltivate sin da metà ‘800. Seminate d’inverno e raccol te a giugno, si coltivano ancora con metodi tradizionali sul fertile suolo vulcanico riconoscibile dai tufi gialli, trachiti e basalti che caratterizzano le coste dell’isola. La mano degli agricoltori del posto, la tecnica colturale, la scelta degli strumenti agricoli, preparati ancora artigia nalmente, fino alle operazioni di raccolta e spulatura (il seme viene liberato dal baccello battendolo con una coppia di bastoni di legno e poi pulito all’aria aperta), ne fanno un prodotto di eccellenza. In provincia di Rieti, sull’Altopiano di Rascino, tra i 900 e i 1300 metri di altitudine, si producono le lenticchie omonime. I pastori transumanti, che spostavano il gregge dai pascoli montani a quelli della campagna romana e che attraversavano il territorio, durante il viaggio erano soliti portare con sé un po’ di lenticchie da coltivare in estate: oggi la coltivazione inizia ad aprile e termina in agosto. Il risultato è una lenticchia dal seme piccolo, di colore marrone, con poche maculature e sfumature rossastre. È Presidio Slow Food.
Abruzzo
Dobbiamo ai monaci della zona la coltivazione della lenticchia di Santo Stefano di Sessanio, che fin dall’anno 1000 iniziarono a produrre un legume che trovò ben presto il suo habitat ideale a circa 1000-1200 metri. È piccola e molto saporita: pochi millimetri di diametro, globosa e di colore scuro, marrone-violaceo. Ha sapore molto intenso, perfetto per le zuppe. La raccolta è faticosissima e viene fatta ancor a mano nel mese di agosto: i macchinari infatti non solo non si adattano alle zone impervie ma soprattutto potrebbe ro danneggiare il prodotto.
Umbria
Due le eccellenze dell’Umbria: la lenticchia di Castel luccio di Norcia Igp e la lenticchia di Colfiorito. La prima è prodotta in una zona molto ristretta nelle montagne che dividono l’Umbria dalle Marche nell’a rea del Parco Nazionale dei Monti Sibillini, ad un’alti tudine media di 1.400 metri.
Ha semi molto piccoli, appiattiti e tondeggianti, dalla buccia molto fine e di colore variabile dal verde scre ziato al marroncino chiaro, dal giallognolo al bruno rossastro (alcuni semi possono essere tigrati). Raccolta tra la fine di luglio e l’inizio di agosto, una volta veniva “carpita” (raccolta) a mano, coinvolgendo manodope ra (soprattutto femminile) dai paesi limitrofi (Gualdo, Pescara Del Tronto, San Pellegrino). Ancora oggi le piante vengono lasciate essiccare nel campo, raccolte in mucchietti e disposte su file, quindi trebbiate per l’estrazione dei semi. Ha buccia particolarmente fina e tenera, mantiene la cottura ed è particolarmente adat ta a primi e secondi piatti. È una delle protagoniste della “fioritura” dei piani di Castelluccio, evento natu rale che regala ogni estate uno spettacolo suggestivo di colori e profumi. Ha marchio Igp dal 1997.
Molto piccola, saporita e di colore giallo-rosso-verde, la lenticchia di Colfiorito prende il nome dall’omonimo Altopiano, che si erge nel territorio dell’Appennino centro-occidentale a cavallo tra Umbria e Marche.
Delicata e dalla buccia che resiste alla cottura, è stata inserita nell’elenco dei Prodotti Agroalimentari Tradi zionali della regione.
Puglia
Tradizionalmente considerata prodotto dell’economia agricola familiare, trova il suo periodo di splendore tra gli anni Trenta del secolo scorso, quando inizia un percorso di esportazione verso i mercati nazionali e internazionali (Inghilterra, Germania, Stati Uniti, Ca nada e Australia), fino agli anni Settanta, quando una serie di fattori tra i quali abbandono delle campagne, industrializzazione, carenza di manodopera agricola, monocoltura del grano e importazione di lenticchie a basso costo, ne hanno quasi determinato la scompar sa. Nei primi anni Duemila sta vivendo una rinascita, anche grazie al Centro Studi “Lino Lana e Lenticchia” e alla Facoltà di Agraria dell’Università di Bari. Il colore può assumere diverse gradazioni del verde e del mar rone mentre il sapore è dolce ed erbaceo, delicato e rotondo, con note di bosco. È particolarmente indicata per minestre, minestroni e zuppe e la minestra con salsiccia e crostini di Pane di Altamura DOP è forse il modo migliore per renderle omaggio. Sotto l’aspetto nutrizionale è più ricca di ferro rispetto alle altre varie tà. Ha marchio Igp.
Sicilia
Cresce ad Ustica la lenticchia più piccola d’Italia. Il terreno lavico e fertile dell’isola e il sole, le donano un colore marrone scuro con delicate sfumature verdi. Oggetto di commercio già nei secoli passati (documen ti dell’800 testimoniano come il mercato di Napoli la apprezzasse molto), dagli anni ’60 è stata progressi vamente abbandonata. Tuttavia oggi è protagonista di una riscoperta, grazie a Slow Food che ne ha fatto un Presidio. In passato la spagliatura si faceva ancora come nell’antichità e a mano: le piantine si calpesta vano trascinando grosse pietre con i muli e, con un tridente, si lanciavano in aria in modo che il vento separasse la paglia dalle lenticchie. Oggi l’introduzione della trebbia ha reso l’operazione decisamente più co moda e funzionale. È l’ingrediente principe della tipica pasta con le lenticchie (la pasta viene spezzata) e della zuppa, arricchita con le verdure locali e profumata con basilico o finocchietto selvatico. Altro Presidio Slow Food in terra siciliana è la lenticchia di Villalba, che come quella di Altamura, appartiene alla famiglia delle lenticchie a seme grande, caratteri stica che è stata inizialmente motivo di successo. Pre sente nel territorio da secoli, trova una prima testimo nianza scritta per opera di Giovanni Mulè Bertòlo nel libro Memorie del Comune di Villalba edito nel 1900. Il periodo di massima produzione è stato tra gli anni Trenta e Sessanta del secolo scorso, quando addirittura quasi il 30% della produzione italiana arrivava da Vil lalba. Era apprezzata per le dimensioni e per le qualità organolettiche (elevato contenuto di ferro e proteine, un basso tenore in fosforo e potassio). In seguito, costo della manodopera, rese limitate e importazione di legumi esteri a prezzi notevolmente inferiori ne hanno determinato il progressivo abbandono. Oggi il recupe ro, puntando proprio sulla dimensione dei semi, circa un cm, peculiarità assoluta nel mercato internazionale.
Calabria
Presidio Slow Food, la lenticchia di Mormanno si crede va fosse perduta. Per lo meno fino alla metà degli anni ’90, quando i grazie ai tecnici dell’Agenzia Regionale per i Servizi di Sviluppo Agricolo della Calabria (ARSSA) ne sono state recuperate delle piccole quantità presso alcuni agricoltori locali: grazie a queste si è potuto promuoverne di nuovo la coltivazione. Prende il nome dal paese che si trova nel Parco nazionale del Pollino e ne esistono 5 varianti: beige, beige con screziature marroni, verde, verde con screziature verde-scuro e rosa. Ha tempi di cottura molto ridotti e nella tradizio ne di Mormanno viene impiegata per la preparazione di una ricetta semplice ma gustosissima: la zuppa con peperoncino.
molinonaldoni.it
Lo zenzero
Un’antica leggenda orientale narra che se i pescatori masticano dello zenzero e mettono il succo ottenuto sull’esca abbocchino tutti i pesci.
Precisiamo subito che lo zenzero (Zingiber officinale) è il rizoma (la parte sotterranea del gambo, non quindi la radice) di una pianta che assomiglia al bambù ed è originaria del Sudest asiatico. È una spezia antichissima, conosciuta e usata da diversi millenni. Alcuni libri della letteratura sanscrita (dal 2000 al 1100 a.C.) ci dicono che lo zenzero era usato nella cucina indiana fin dall’antichità e che il filosofo Confucio lo usava come base della sua dieta. I Romani lo scoprirono durante le loro guerre nel Vicino Oriente e lo importarono prima a Roma e poi nelle terre da loro conquistate in Europa. Grazie ai Romani lo zenzero si impose facilmente, soprattutto in polvere, tanto che poi, nel Medioevo, la polvere di zenzero era diffusa come il pepe, la spezia più diffusa in Europa fin dai tempi dell’antica Roma.
Origine e diffusione
Lo zenzero, nell’antichità era chiamato anche gengiovo ed attualmente è commercializzato anche col nome inglese di ginger. Abbiamo prima citato la letteratura sanscrita che ci conferma che l’origine di questa spezia è, come abbiamo scritto, il Sudest asiatico e precisamente le coste del Malibar, in India, dove attualmente si produce metà dello zenzero fresco presente nel commercio mondiale. Seguono, per quanto riguarda la produzione, Cina, Nepal, Nigeria e Thailandia.
Forno con alimentazione elettrica, dalle dimensioni contenute, concepito per la cottura di 1 o 2 pizze da 33 cm.
PULCINELLA NAPULE 2T
Forno elettrico a due camere concepito per la cottura di pizze e pinsa, in teglia e a pala.
Forni tradizionali costruiti in materiale refrattario di alto spessore. Disponibile in varie dimensioni e nella versione a legna o con bruciatore a gas.
Forni a tunnel con tappeto di cottura in refrattario. Montato su ruote e con gurabile per ogni esigenza. Disponibile anche con tecnologia Industria 4.0.
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Caratteristiche dello zenzero
Lo zenzero è una spezia di carattere, cioè forte e inconfondibile, per il suo profumo davvero molto forte, caldo e legnoso e il sapore acre. Il suo gusto caratteristico deriva da una resina non volatile, chiamata zingerone, che si trova in altre spezie della medesima famiglia, come la galanga e la curcuma. I morbidi rizomi sono estratti dalla terra tra i due e i cinque mesi dopo essere stati piantati. Lo zenzero fresco è lasciato asciugare per qualche giorno prima di conservarlo, oppure viene messo a bollire e cristallizzare per ottenere uno sciroppo che viene poi fatto seccare, ricoperto di zucchero.
Gli usi dello zenzero
Nei paesi in cui il rizoma è molto diffuso – e prima abbiamo citato i principali – lo zenzero è usato prevalentemente fresco. In Cina lo zenzero fresco è cucinato con il pesce, i frutti di mare, il pollo, l’anatra; si abbina al cavolo e alle verdure a foglia e si aggiunge alle zuppe e alle minestre. I coreani, a loro volta, hanno fatto conoscere al mondo il kimki, cavolo fermentato con zenzero fresco, peperoncini e aglio. Lo zenzero è veramente ottimo con le bevande. In Thailandia i rizomi freschi e giovani si usano per il king sol, bevanda
Nella cucina occidentale
Abbiamo solo accennato ad alcuni usi asiatici e a qualche ricercatezza occidentale. Aggiungiamo che in Asia è impiegato solitamente assieme ad altre spezie, come la noce moscata, il cardamomo, la cannella, il pimento. L’aroma che regala ai piatti è diverso a seconda del momento in cui viene aggiunto in cottura; all’inizio si fa sentire meno, confondendosi durante la cottura, mentre alla fine è più pungente. Nella cucina occidentale è usato soprattutto per aromatizzare dolci, biscotti, pane; sposa bene il cioccolato amaro, il miele, le noci. Fra le bevande ci sono già il ginger ale, il gree ginger wine (Inghilterra), mentre in Grecia c’è una birra allo zenzero. E c’è chi lo aggiunge al tè e al caffè per aumentarne il sapore. Se poi si impara ad usarlo in cucina con la dovuta moderazione fa anche bene. In Oriente è considerato uno stimolante e un carminativo (toglie aria dall’intestino e lenisce i dolori), ha proprietà anticoagulanti e pare abbassare il colesterolo. È efficace contro la nausea e il mal di mare e, si dice, anche in chemioterapia. Da tempo lo zenzero è studiato per verificare se la medicina popolare indiana ha basi scientifiche, visto che lì lo zenzero funziona positivamente. In questi ultimi tempi, intanto, sono state messe in evidenza le sue caratteristiche antiossidanti e le sue proprietà antitumorali.
dal gusto delicato. Lo swtichel, - chiamato anche swizzle o switzel o switchy - nasce nel diciottesimo secolo, e le origini sono abbastanza controverse: la versione più plausibile è che sia nato nei Caraibi e da lì sia passato al Nord America, dove veniva consumato soprattutto dai contadini - da qui il soprannome di "punch del falciatore".
Questa bevanda, gradita ai pionieri americani e ai boscaioli del Nord America è fatta con zenzero, aceto di sidro e sciroppo d’acero.
Non di solo pizza
Trattoria è da sempre sinonimo di “casa”, un ambiente caloroso e accogliente nel quale poter degustare quei piatti che conducono la mente nelle più dolci reminiscenze d’infanzia, di un momento di felicità o semplicemente di tepore vissuto nel proprio nido d’amore. Spesso queste sensazioni risultano lontane a chi, magari per mancanza di tempo, non riesce più a preparare quei piatti intrisi di emozioni e tradizioni ai quali è tanto legato.
Masticabrodo
Langhirano, Parma
di Noemi CaraccioloA chi ha la fortuna di abitare nei dintorni di Langhirano (Parma) ci pensa la trattoria Masticabrodo, la quale ha fatto dei sapori e del tepore di casa il proprio mantra. Tradizione e innovazione, famiglia e sapori di un tempo, cordialità e un pizzico di cultura del territorio sono gli ingredien ti della loro ricetta per rievo care quei sapori tanto cari alla memoria. Abbiamo intervistato Alessandro, un membro della “famiglia” di Masticabrodo, per saperne di più.
Qual è la vostra storia e qual è la sfida più grande che avete dovuto affrontare? So che siete subentrati ad una vecchia gestione già consolidata.
La nostra storia a Langhirano par te circa un anno e mezzo fa quan do, in seguito alla chiusura della piccola trattoria che avevamo a Campora, nel comune di Neviano, abbiamo deciso di sfidare il diffici le periodo di pandemia. Abbiamo unito un po’ tutte le for ze: la nostra famiglia è composta da me, la mia compagna Marzia, il mio papà Adrian e la mia mamma Gabriella e insieme abbiamo de ciso di iniziare questa avventura presso la trattoria Masticabrodo.
Una realtà che non solo è deci samente più grande di quella precedente, ma che al tempo era anche già consolidata.
La sfida più grande comunque è stata proprio affrontare il passag gio da una piccola realtà ad una più grande: abbiamo cercato di mantenere intatto lo spirito di famiglia e soprattutto il rapporto diretto con il cliente, cose che risultano sicuramente più difficili in un ambiente meno ristretto.
Da sinistra a destra: Marzia, Alessandro, Adrian e GabriellaCosa racconta la vostra cucina?
La nostra cucina racconta quei piatti che, tra gli impegni di tutti i giorni, non si riesce più a ripro durre a casa propria ma ai quali nessuno vuole rinunciare, i piatti della tradizione insomma. Per esempio, la pasta fresca fatta in casa, gli arrosti o i dolci al cucchia io… tutte cose fatte direttamente da noi: i clienti questo lo apprezza no tantissimo.
Vi definite una “trattoria/osteria”. Qual è a vostro parere, la differenza con un “ristorante”?
Sicuramente ci impegniamo a proporre piatti di qualità e un buon servizio ma l’aria che si respira rimane l’aria di casa, sai, quella che a volte è anche un po’ informale. Questo proprio perché con i nostri clienti vogliamo cre are e mantenere un legame; ecco, il ristorante magari mi da l’idea di un ambiente un po’ più freddo.
Cosa apprezzano maggiormente di voi i vostri clienti in sala e in cucina?
Dai feedback che abbiamo, posso dirti che in sala, innanzitutto i clienti apprezzano molto la nostra disponibilità e la nostra trasparenza; poi, sicuramente il fatto che cerchiamo di andare incontro anche alle richieste più esigenti. In cucina, i salumi sono molto apprezzati ma anche gli altri antipasti vengono richiesti come la cipolla caramellata, servita in un cestino di pasta sfoglia e abbinata ad una mousse di parmigiano che crea un po’ questo contrasto dolce/salato o i tagliolini al prosciutto o la Rosellina del Pilastro, un filetto di maiale farcito con Parmigiano Reggiano e Prosciutto di Parma. Sono tutti piatti che comunque raccontano la tradizione della nostra terra, che racchiudono i nostri prodotti, i nostri sapori. Inoltre, nonostante non propo niamo proprio piatti “da dieta”, la mia mamma Gabriella riesce a prepararli in maniera molto leggera e anche questo è molto apprezzato.
Che rapporto c’è tra la cucina e la cultura del territorio, in generale e nel vostro ideale?
È molto importante. Noi per sonalmente cerchiamo di dare parecchia attenzione a questo rapporto e soprattutto di man tenerlo. Proponiamo sempre materie prime locali come le uova di gallina allevate a terra e riteniamo fondamentale la collaborazione con le attività del territorio. Tentiamo il più possibile di mantenere un rap porto diretto con l’allevatore, l’agricoltore o comunque con le piccole attività che ci circonda no qui in zona.
Qual è il vostro piatto del cuore?
È sicuramente il coniglio in padel la, un piatto che abbiamo sempre mantenuto nel nostro menù, anche nelle esperienze passate. Sia noi che i nostri clienti ci siamo molto affezionati.
IL PANE IN PIZZERIA
di Michele CrocciaPerché fare il pane in una pizzeria?
Tutto ciò che ha a che fare con acqua e farina per me significa magia, professionalità, tradizione, fantasia, sperimentazione, ricerca.
Vale per la pizza, vale per il pane, vale per ogni altro prodotto. Per portare in tavola sapori veri, ci vogliono ingredienti di alta qualità, tecniche giuste, rispetto per gli insegnamenti di chi è stato maestro prima di noi, studio e capacità di innovazione, miglioramento continuo. Perché un maestro può definirsi tale solo se è consapevole che ha sempre cose nuove da imparare.
Per raccontare invece quanto sia im portante prepararlo, mi piace partire anche in questo caso da una rifles sione personale. Da tempo stavo pensando di proporre un prodotto in carta diverso dalla pizza. Diverso senza però allontanarsi dalla filoso fia dell’acqua e della farina di cui ho detto poco fa. Ho pensato perciò - lo faccio spesso - alle mie tradizioni, quelle del mio territorio e della mia infanzia. Sono riandato al tempo in cui andavo a scuola e i contadini an davano nei campi portando sempre con sé qualcosa di buono preparato dalla mamma, dalla moglie o dalla nonna. Da questi pensieri, sono ve nute le idee che mi hanno permesso di inserire nel mio menù tre nuovi prodotti a base di un impasto pane cafone. Proprio così: un solo impa sto diverso declinato in tre prodotti finiti diversi: la mBosta, la Panedda Prena e la Panidduzza Prena.
Modestia a parte, devo dire che i ri sultati che ho ottenuto sia a livello di visibilità che a livello economico sono stati decisamente interessanti. Detto questo, aggiungo che diventano sempre di più le pizzerie che accom pagnano il loro prodotto di punta, ovviamente la pizza, con antipasti fritti misti e piatti tipici accompagna ti da un buon pane realizzato in casa. È di fondamentale importanza per la nostra attività: addirittura in alcune pizzerie lo preparano in più gusti come nei ristoranti! Per esempio, un tris di pane (con semi, con le noci, con la zucca) oltre ai grissini, alle frese e così via. Direi che già solo il fatto di re alizzare in proprio dei grissini come stuzzichini di accompagnamento alla bevuta nell’attesa della pizza è una caratteristica importante. A lungo andare, la scelta del cliente di andare in un posto piuttosto che in un altro dipende anche da queste piccole cose, che sono molto apprezzate.
In buona sostanza, fare il pane in pizzeria caratterizza il locale. Non solo è una scelta importante verso il cliente ma aiuta a trasmettere meglio le capacità professionali di chi lo fa, anche perché un buon pane realizzato a regola d’arte e con lievito madre vero è difficile da trovare anche in panificio.
Non a caso, sono sempre di più le persone che chiedono una fetta di pane leggermente passata al forno con un filo di buon olio extravergine. Parliamo di una bontà assoluta: i profumi del pane leggermente caldo associati ai profumi dell’olio di alta qualità rappresenta già di per sé un percorso gastronomico del territorio che si vuole rappresentare. Il pane rappresenta infatti secondo me due cose fondamentali: il per corso identitario del pizzaiolo che lo realizza e un viaggio nel territorio che si racconta. Anche con una fetta di pane si possono regalare emo zioni al cliente e farlo viaggiare nel tempo. Un viaggio unico tra rac conto e immaginazione, un viaggio che in alcuni casi può fargli rivivere un’infanzia ritrovata.
PANEDDA PRENA
Io ad esempio preparo un pane tipico cilentano realizzato con grani coltivati nel Cilento e luvatu, ossia lievito madre gestito secondo le tradizioni contadine cilentane. In più, faccio un pane solo con farina di granturco e luvatu su foglia di cavolo chiamato Pane di Cuorchiu.
Per riepilogare:
La Mbosta ripropone il pane con il companatico che ha accompagnato tutta la mia vita non solo scolastica (elementari, medie e superiori) ma anche contadina. Ancora oggi, quando vado nei campi, la porto con me. Viene farcita con salumi tipici, frittata con asparagi o verdure.
La Panedda Prena è un pane della pezzatura di circa tre chilogrammi che viene preparato per un gruppo di persone. Viene svuotato della mollica interna e viene riempito con verdure a seconda delle stagioni (broccoli spadellati insieme alla salsiccia, oppure pomodori, olive ammaccate del Cilento e acciughe, parmigiana, ciambotta, scarola spadellata con olive ammaccate e acciughe, e così via).
La Panedda Prena è un pane della pezzatura di circa tre chilogrammi che viene preparato per un gruppo di persone. Viene svuotato della mollica interna e viene riempito con verdure a seconda delle stagioni (broccoli spadellati insieme alla salsiccia, oppure pomodori, olive ammaccate del Cilento e acciughe, parmigiana, ciambotta, scarola spadellata con olive ammaccate e acciughe, e così via).
RICETTA
1000 g farina di grani locali
250 g lievito madre pronto (luvatu) 25 g sale 700 g acqua
Dopo averlo impastato si lascia ripo sare in massa circa 2 ore. Si realizza no poi le panelle del peso desiderato (nel nostro ristorante tra i 2500 ed i 3000 g) e si lasciano lievitare con un panno dedicato per circa 2/3 ore. Successivamente si infornano in forno a legna a 240°c a scalare fino a cottura ultimata, circa 2 ore e mezza complessive.
Quanti pani dovremmo preparare come pizzaioli nel nostro locale?
Secondo me almeno uno, che dovrebbe essere rappresentativo dell’attività.
La Panidduzza Prena è la versione della Panedda Prena che ha però un peso molto più ridotto: 150 grammi; è in pratica una monoporzione che viene servita in pizzeria come anti pasto con verdure di stagione. È anche così che racconto il mio ter ritorio, il Cilento, e le mie radici con tadine che affondano negli anni ’80. È per questa via che dono ogni volta curiosità ed emozioni ai miei clienti, che apprezzano il racconto, apprez zano i prodotti e soprattutto apprez zano i sapori veri che portiamo a tavola. Quello che proponiamo in definitiva è un viaggio condiviso non solo nel passato, verso la tradizione e le origini contadine, ma anche nel futuro, verso la sperimentazione e la tecnologica amica, come quella che utilizziamo nel nostro LievitiLab.
PANIDUZZA PRENA PANE DI CUORCHIU
Il Pane di Cuorchiu è il pane rea lizzato con solo farina di grantur co e luvatu, infornato su foglia di cavolo per non far deformare la forma, così da trasferire al pane sia le rigature della foglia sotto la base che un po’ di aromi; lo realizzo per accompagnamenti a salumi vari e formaggi locali mol to aromatici. Rappresenta il pane dei contadini nel periodo che va tra gli anni ’40 e gli anni ’70, per ché in alcune annate la raccolta del grano era poca o nulla e così realizzavano il pane con la farina di granturco, in sostituzione del grano tenero. Viene dunque realizzato con sola farina di gran turco, il 25 %di lievito madre ed impastato con acqua bollente.
RICETTA
1000 g farina di gran turco
250 g lievito madre pronto
25 g di sale
700 g acqua a 95°c il pane di granturco denominato nel nostro paese come pane di cuorchiu viene realizzato con sola farina di granturco, il 25 %di lievito madre e impastato con acqua bollente. Si impasta tutto insieme con acqua bollente, finito di impastare si trasferisce su una foglia di cavolo e si lascia lievitare per circa due ore. Non appena si manifestano le prime crepe sulla parete superiore si inforna a 240°c con tutta la foglia del cavolo per circa un'oretta. Pezzatura da 1000 g.
DAL NOSTRO MONDO
190 anni sono decisamente un bel traguardo per una realtà imprenditoriale; un periodo lunghissimo che abbraccia ed osserva diverse generazioni e cambiamenti sociali, economici e di costume. Molino Dallagiovanna, realtà imprenditoriale radicata a Gragnano Trebbiense - nel piacentino - ma con solide ramificazioni in tutto il mondo, ha tagliato questo traguardo, costruito con passione e dedizione anno dopo anno, nello scorso settembre. Ne parliamo con Sabrina Dallagiovanna, sales and marketing manager.
Sabrina Dallagiovanna, sales & marketing managerQuali sono le tappe salienti di un percorso lungo 190
anni?
“L’annata che cambiò la storia del Molino fu il 1949, quando ad assumere la guida dell’azienda furono Guido, Renzo e Vittorio Dallagiovanna che, spinti da un forte spirito industriale, costruirono, dove attualmente ci sono i silos dei grani, il primo molino a cilindri, a cui ne seguì un secondo nel 1953. Ancora oggi i loro nomi risuonano nel Molino, presenti anche nella ragione sociale dell’azienda (Molino Dallagiovanna G.R.V.). Una storia che continua fino a oggi, attraverso quasi duecento anni di profonde trasformazioni, e che vede come punti di forza dell’azienda l’accurata selezione dei migliori grani per creare miscele equilibrate e costanti; il lavaggio del grano: siamo l’unico grande molino in Italia ad effettuare ancora questo passaggio fondamentale per una pulizia ottimale e una bagnatura più omogenea del grano; la macinazione lenta e delicata nel rispetto delle componenti organolettiche del chicco e una grande propensione al continuo miglioramento, al rinnovamento e alla ricerca e sviluppo.”
impasti facilità d’utilizzo, unicità e ottime performance in cottura e infine farine su misura, create e bilanciate per le esigenze di ogni cliente. In Italia Molino Dallagiovanna è leader nel settore pasticceria con la linea leDolcissime, composta da 7 referenze: Frolla 130, Frolla, Sfoglia, Brioche, Brioche Soft, Panettone e Panettone Z. Quest’ultima in particolare, insieme a Brioche Soft, è stata sviluppata con l’importante contributo del Maestro pasticciere e lievitista Achille Zoia. A completare l’offerta leDolcissime anche Rinfresco del Lievito Madre, la farina nata dalla collaborazione con il Maestro Pasticcere Iginio Massari. In quasi duecento anni, il Molino si è evoluto ed è cresciuto fino a diventare una delle realtà più produttive del settore molitorio, in grado di esportare all’estero in oltre 60 Paesi nel mondo i valori e l’eccellenza alimentare italiana.”
Negli ultimi decenni come si è evoluta la mission aziendale?
Qual è oggi?
“La mission di Molino Dallagiovanna è sempre stata legata alla qualità e all’importanza della farina in qualsiasi preparazione d’arte bianca. Una materia priva “povera” ma ricca di valore per il professionista. Oggi la mission non si limita solo ai meri confini italiani ma è quella di portare la qualità, i valori e l’eccellenza alimentare italiana nel Mondo.”
a cura della redazione
“Il mercato di riferimento era l’Italia e la farina veniva principalmente venduta ai panifici. Con il passare degli anni, il progredire delle tecnologie e l’arrivo di nuovi tecnici in azienda, le nostre farine sono diventate sempre più specifiche per ogni settore e ogni prodotto da realizzare. L’azienda infatti offre oltre 400 tipologie di farine: da quelle tradizionali per pane, pizza, pasta e dolci alle linee senza glutine e lattosio. Tra le novità più recenti: leDivine, una linea di farine da grano italiano, Uniqua, una linea di farine multiuso in grado di soddisfare il desiderio di gusto e benessere; le Miscele Oltregrano, studiate per conferire agli
“La figura del pizzaiolo, rispetto a qualche anno fa, ha subito una forte evoluzione sia di immagine che culturale. Non è più visto come un mestiere “alla portata di tutti” ma ci vuole studio, formazione e consapevolezza del prodotto pizza. Questa stessa evoluzione non l’ha subita solo il pizzaiolo ma la pizza stessa. Un
prodotto che nasce come popolare ma che oggi ha raggiunto anche i menù stellati; declinato in svariate varianti di impasto e di condimento.”
Quali sono per voi i valori irrinunciabili con cui operate tutti i giorni?
“Durante l’evento celebrativo dei 190 anni, avvenuto lo scorso 10 Settembre, abbiamo individuato 5 parole, i 5 Pilastri che racchiudono i 190 anni di Molino Dallagiovanna e che ci hanno dato e ci daranno la spinta verso il domani. Molino Dallagiovanna fa farina infatti dal 1832. La fa con cura, passione e dedizione da 190 anni, rispettando una Storia che non dimentichiamo e anzi tramandiamo; puntando sulla Famiglia, visto che siamo alla quinta e alla sesta generazione di operatori; facendo Ricerca attenta e costante per mantenere sempre una qualità dei prodotti e dei servizi che offre elevata; lavorando in tutto il Mondo con oltre 60 Paesi raggiunti e l’apertura della nuovissima filiale americana. E ovviamente puntiamo sul Futuro dove imprenditorialità, lungimiranza e un pizzico di follia si fondono per puntare sempre più in alto. I 5 pilastri fondamentali che ci raccontano e ci appartengono hanno un importante collante, senza cui non avremmo mai potuto arrivare a ciò che siamo oggi: le Persone. Senza di esse, Molino Dallagiovanna non avrebbe una storia da raccontare, un prodotto da sfornare e un futuro da vivere.
In defintiva, noi diciamo che è una Famiglia intera, una grande famiglia che dal 1832 ci sceglie e condivide i nostri valori: sono i nostri clienti italiani ed esteri, i professionisti, i fornitori e i dipendenti. 190 Anni di Molino Dallagiovanna scritti ogni giorno, insieme!”
Guardando al futuro dove vedete andare il mercato della pizza e la figura del pizzaiolo?
Qual era inizialmente il “mercato di riferimento”? Che evoluzioni ci sono state poi nel tempo?
Mantenimento ad alto
La parola ai pizzaioli
La “segnalatrice”
Nome: Helga
Cognome: Liberto
Errata Corrige
Per un mero errore, su queste pagine nello scorso numero è comparsa accanto ad Ivano Veccia un’attribuzione errata del locale presso il quale opera. Ivano è attivo infatti presso QVINTO - Restaurant Lounge Café, in Via Fornaci Tor di Quinto a Roma. Ci scusiamo per il disguido con l’interessato e con tutti voi.
Storia professionale
“Sono Helga Liberto, meglio nota come “la chef dei grani".
Per buona parte della mia vita ho operato come docente di Chimica e Tecnologia Ali mentare.
Nel 2004 ho avviato con il mio compagno un'attività di ristorazione, che in itinere è diventata un piccolo polo gastronomico in cui si fondono aspetti altamente innovativi le gati alla lievitazione con capacità di gestione d'impresa multitasking. Somministrazione, produzione artigianale, selezione, commer cializzazione, divulgazione, formazione, gestione della comunicazione rappresentano in questo momento le mille sfaccettature della mia attività. Fino ad un certo punto la mia crescita personale è stata direttamente proporzionale all'improving dell’attività.
Per circa 10 anni sono riuscita a mantenere in equilibrio la mia formazione professionale che mi ha vista discente dei più grandi lievi tisti e chef di caratura nazionale e interna zionale, la mia capacità di gestione d'impresa che ha prodotto una crescita aziendale di rilievo, la mia natura di docente che non mi ha fatto perdere contatto con la scuola e la formazione, tenendomi impegnata in innu merevoli avventure di carattere formativo, molte delle quali di formazione superiore.
Sono stati questi, anni che hanno accom pagnato anche un aspetto fortemente mediatico della mia attività: da responsabile dell'area food di Casa Sanremo per diverse stagioni a protagonista degli spazi dedicati all’enogastronomia al Giffoni Film Festival, al Festival del cinema di Cannes, alla biennale di Venezia, al David di Donatello e tanti altri. Nel 2018 nasce, quasi per scherzo, un'azienda parallela a Pizzaart, un piccolo laboratorio di produzione artigianale: I Lievitati di Helga.
E da questo momento la mia crescita sia professionale che motivazionale ha subito un'impennata.
La mia fame di sapere, di innovare, di creare, mi hanno portata in un quinquennio ad entrare a pieno diritto nel gotha dei lievitisti italiani, avviando una start up aziendale alta mente innovativa in cui ho provato a sdoga nare il concetto di grande lievitato legato solo alle festività e renderlo prodotto di utilizzo quotidiano. Penso di esserci riuscita, visto che il Natale 2021 mi ha vista trionfare al Re Panettone di Milano nella categoria Impasti Innovativi.”
La pizza di Helga
“La pizza, ma i lievitati in generale, rappresen tano lo strumento con il quale riesco ad unire la mia esperienza, le mie conoscenze, la mia sete di approcciarmi a nuove avventure, la mia innata propensione alla sperimentazio ne e l'infinito amore per il mio territorio. In pratica una tela che mi racconta, sulla quale ogni volta riesco a dare forma alla fantasia.”
La pizza che ci propone
“La pizza scelta è la JAP, un impasto di macina integrata e croccante di farro. Per il topping: morbido di zucca butternut, mozzarella di bufala, pancia di maiale affumicata, riduzio ne di aceto di lampone, mandorle tostate.”
Il professionista consigliato e perché?
“Il pizzaiolo da me suggerito è Diego Ciraudo, pizzeria DIE' GUSTIBUS a Baronissi. Diego è stato mio allievo, mio collaboratore, mio pupillo. Ama profondamente ciò che fa e non lascia mai nulla al caso.”
Il “segnalato” Storia professionale
“Sono Diego Ciraudo, pizzaiolo verace di 31 anni, originario di Battipaglia. Inizio la mia carriera in provincia di Salerno, tra pizzerie locali, per poi portare la mia idea di pizza anche all'estero: Varsavia, Parigi, New York, Vienna. All'età di 29 anni torno in Italia per aprire la mia pizzeria, Die' Gustibus, a Baro nissi in provincia di Salerno.”
La pizza di Diego
“La pizza nasce come un piatto povero, fru gale, ma con il cambiamento delle abitudini alimentari delle persone si è trasformata in qualcosa di più complesso e fantasioso. La mia pizza vuole essere un matrimonio tra le due cose: gusti semplici che rievocano momenti, idee, azioni del passato, in armonia con nuovi abbinamenti e sperimentazioni. In sostanza per me la pizza è una storia da raccontare.”
La pizza che ci propone
“Iron & wine: Fior di latte di Agerola, castagne, lardo aromatizzato. In uscita: caciottina alle noci e riduzione di Aglianico.”
Luca Doro
di David Mandolin“Dalla mia Macerata Campania ho preso centinaia di voli lavorando come cuoco e pizzaiolo tra Amsterdam, Brasile, Colombia (dove ho incontrato mia moglie), New York e Londra, per poi tornare nel 2014 ed aprire un’attività di pizza d’asporto che è subito divenuta di tendenza. Nel 2018 ho trasformato poi quel piccolo locale in una pizzeria con oltre 70 posti: Doro Gourmet”.
Parole di Luca Doro, pizzaiolo attento, curioso e sperimentatore, nonché titolare della pizzeria in questione.
“Nella mia formazione hanno influito molto l’Università della Pizza di Vighizzolo d'Este, la Fe derazione Italiana Pizzaioli Nel Mondo e l’Alleanza Slow Food dei Cuochi, per la quale sono stato tra i primi pizzaioli ad aderi re. Arrivano col tempo anche riconoscimenti importanti, non facili in un territorio come Caserta presidiato da storici “mostri sacri”: la Guida Osterie d’Italia, Il Golosario, Pizzerie d’Italia del Gambero Rosso 2020 con 2 Spicchi confermati finora anche nell’ultima guida, cui si sono aggiunte nel 2022 il ricono scimento 3 pizze Guida l’Espres so e Giovane Pizzaiolo dell’anno. Nel 2021, mi sono classificato al secondo posto dietro soltanto a Gabriele Bonci al contest online Personaggio dell’Anno del gior nale Italia a Tavola, totalizzando oltre 27.000 voti.”
Che tipo di pizza la rappresenta e cosa significa per lei “fare pizza” tutti i giorni?
“Le mie pizze spesso si rifanno a piatti della mia famiglia o del luogo e per accompagnarli degnamente ho imparato a lavorare bene sugli impasti, utilizzando farine di qualità non raffinate e macinate a pietra, facendole lievitare con lievito madre liofilizzato.
Penso al Friuli Venezia Giulia: ho aderito infatti alla campagna “Gente di Lago Gente di Fiume” con la pizza in padellino "Un Fiu me di Buono”, che rappresenta l’incontro tra Friuli e Campania ed è composta da Trota Affumi cata Friul Trota, fiore di Aglio di Resia Presidio Slow Food, Strac ciata di Mozzarella di Bufala Dop. Fare pizze significa, inoltre, raccontare valori come il lavoro e la famiglia:
una delle mie pizze storiche è la Carmenella, dedicata a un piatto semplicissimo che faceva spesso mia zia con scarola, sale e limone.
Un altro ricordo della mia infanzia che ho portato in tavola è legato alla Carpaccio di polpo, perché mio nonno da bambino mi portava a Napoli a mangiare il polpo e poi, per accontentarmi, mi comprava anche i lupini. Così io in questa pizza ho abbinato il carpac cio di polpo al lupino gigante di Vairano e al limone di Sorrento. Oppure la Napoletana dell'Alle anza fatta per celebrare l’Allean za Slow Food dei Cuochi: sopra ci sono i prodotti più interessanti della mia terra come le olive caiazzane, i pomodori del pien nolo, i pinoli e le alici di menai ca. Da qualche mese propongo anche una Margherita con un pomodoro di recente rivalorizza zione: il cannellino flegreo della zona di Cuma e mi piace sempre più valorizzare il pesce povero come le alacce di Lampedusa.”
Fare pizze significa raccontare i territori, a cominciare ovviamente dalla terra in cui lavoro ovvero la Campania ma anche altre che mi hanno sempre colpito.
"Un Fiume di Buono”
"Margherita con cannellino flegreo”
Come pensa di aver conquistato il suo pubblico?
“Penso molto derivi dalla veridi cità del mio racconto che viene riscontrato nelle pizze assieme, ovviamente, al gusto. Mi reputo una persona vera, utilizzo ingre dienti veri, l’impasto è sempre sincero, ti dà quello che ci metti come passione e cuore.
Penso la gente oltre al gusto cerchi sempre di più racconti veri. Le persone conoscono molto di più di noi e di come lavoriamo di quanto crediamo.
Sincerità è quello che consiglio a tutti. Sto lavorando ad un proget to che si chiama Impronta; come pizzaiolo ho adottato i terreni di alcune produzioni di 4 piccoli agricoltori, approntando una segnaletica ottenendo, da parte del produttore, la produzione an nuale di quella parte di terreno.”
Qual è la sua pizza del cuore, alla quale è legato e perché?
“Sono profondamente attaccato al mio paese e per questo ho creato Pizzellessa, ispirata alla Past' ellesse, il piatto tipico della festa di Sant'Antonio Abate –Santantuono - che si festeggia a Macerata Campania il 17 gennaio per scacciare gli spiriti maligni facendo suonare i tini, le botti e le falci come degli strumenti a percussione per creare dei ritmi apotropaici ovvero scaramantici.
A questa festa, patrimonio Unesco, io ho dedicato la mia Pizzellessa che ha sopra le castagne di Roccamonfina IGP cotte e in crema, la mozzarella di bufala campana DOP, la provola di latte nobile, una grattata di conciato romano Presidio Slow Food e la polvere di pomodoro riccio casertano disidratato.”
Quali altri lievitati prepara in pizzeria?
“Ho ripreso a fare classici della tradizione come il panuozzo o la pizza nel ruoto, chiamandola 81047, che è il cap della mia città, in segno di omaggio ad essa e alle sue origini contadine. Mi sono specializzato in padellini al vapore che riscuotono sempre più successo presso il pubblico, mi diverto proponendo biscotti in cui si esaltano farine d’eccezione e poi nelle “feste comandate” - Natale e Pasqua - faccio una serie limitata di lievitati d’eccellenza, il Panetto ne, la Colomba e il Doro... Pan.
Il pizzaiolo moderno è sempre più un interprete dell’impasto, deve saper recitare tutte le parti del grande teatro della panificazione.”
Ci racconta il Doro... Pan?
“Il Doro… Pan, realizzato in sole 160 confezioni regalo, rappresenta una dimensione di sperimentazione che incontra sempre di più il favore di un pubblico informato ed esigente, con ingredienti di notevole artigianalità: dalle bacche di vaniglia di Ma dagascar alle uova di galline di territorio allevate a terra e non di allevamenti intensivi, miele di Piana di Monteverna, crema di arance di Sicilia, canditi arti gianali siciliani, burro di latte nobile. L’impasto è con farina per Panettone con licoli; poi, il giorno successivo lo chiudo e si va in cottura. La confezione è presa da uno scatolificio locale che utilizza cartone riciclato e sostenibile per alimenti.”
Legumi, cereali, verdure: una linea completa di cotti a vapore, che garantisce agli chef ingredienti di alta qualità, genuini, buoni e pronti da utilizzare, senza sprechi e senza perdite di tempo.
Quale forno per la mia pizzeria?
a cura della redazione
La cottura ottimale di un lievitato (come il pane o la pizza, ma non solo) si compie grazie al graduale aumento interno dell’impasto, con il calore che modifica la struttura molecolare della pasta, rendendola profumata, morbida e croccante. Nel caso della pizza, la cottura della pasta avviene ad una tem peratura massima di 95 °C, limite dell’e bollizione dell’acqua: la pizza cuoce per assorbimento d’umidità e circa il 60% dell’impasto è composto di acqua, per cui superata questa temperatura limite, il rischio è di cuocere troppo e quindi bruciare la pasta.
Il calore è una fonte di energia che si può diffondere all’interno di un forno principalmente in tre modi:
per irraggiamento ovvero con la fonte di calore che viene dalla cupola o dal cielo del forno. La cottura in questo caso privile gia la parte superiore del disco di pasta.
per conduzione: attraverso il contatto diretta della platea del forno o della teglia con il disco di pasta, si constata una cottura che afferisce alla parte inferiore della pizza.
per convezione: l’aria calda che circola all’interno del forno permette una cottura più diffusa del disco di pasta, disidratando progressivamente la pizza e i suoi ingre dienti e permettendo la formazione della caratteristica alveolatura del cornicione della pizza.
La corretta gestione delle modalità di diffusione del calore permette di otte nere una pizza ben cotta, oppure più umida, a seconda delle esigenze del piz zaiolo. In questo caso, come vedremo, il forno assume un ruolo fondamentale, dando la possibilità al pizzaiolo di crea re pizze molto diverse tra loro. Ne parliamo con Graziano Bertuzzo, professionista di lunga esperienza e plurivincitore di numerose competizioni internazionali, consulente e formatore.
Prima di scegliere un forno biso gna stabilire che prodotto voglio fare? O è – provocatoriamentevero il contrario?
“È un tema che a mio avviso non si pone. Per prima cosa devo essere convinto di ciò che voglio proporre al pubblico, che sia una pizza in pala, al tegamino, la tonda classica o la pizza napoletana. Devo già sapere cosa voglio ottenere e di conseguenza scegliere lo strumento che ritengo più adatto al mio percorso; è molto molto più difficile – o raro - il percorso inverso".
Il forno a legna.
“Generalmente lo si usa per la pizza tonda, che sia napoletana o meno. Si può lavorare con prodotti che presentano idratazioni oscillanti tra il 55% ed il 70% all’incirca; qui serve la bravura del pizzaiolo, necessaria a gestire le tempe rature ideali alla cottura del suo impasto farcito.
Dovremmo però fare una distinzione tra forno a legna statico e rotante. Lo statico non permette, qualora si de siderasse più calore per conduzione, di deciderne a piacimento l’innalzamento della temperatura. Qualora il pizzaiolo necessitasse di maggior calore al suolo infatti, dovrebbe per un po’ sospendere le infornate, perché il calore in questo caso deriva principalmente dall’irrag giamento. Sospendendo le infornate, il suolo si riscalda; il tempo necessario a questo processo però lo deve conoscere il professionista, che deve avere ben chiare le caratteristiche del forno che sta utilizzando, come ad esempio – ma non
esclusivamente - grandezza, ampiezza, altezza, grado di coibentazione.
Il sistema rotante permette di far arri vare calore anche dal basso, o con il gas o con la combustione di legna o pellet o grazie alle resistenze elettriche; la platea si alza e in quel momento è possibile lavorare in tal senso, senza sospendere le infornate.
Vorrei poi ricordare che è scorretto scegliere il forno a legna in base ad idee o credenze che ancora si sentono, ovvero che la cottura a legna darebbe un gusto diverso alla pizza: io direi invece che sarebbero guai se si sentissero odori sgradevoli, avremmo un problema! Altra cosa invece è il fascino – eventuale – per il cliente o l’abitudine culturale del pizzaiolo, magari di quelli come me che hanno iniziato il mestiere molti anni fa. Va ricordato che il forno a legna non perdona, bisogna avere molta dimesti chezza ed accortezza nel maneggiare le infornate”.
SperaIl forno elettrico
“La scelta è chiaramente molto varia, e si deve fare molta attenzione a come impo stiamo l’attività.
Ipotizziamo che voglia proporre in pizze ria pizza in pala e tonda. Se parliamo ad esempio di pizza in pala, considerata una tendenza generale a lavorare all’incirca con un 80% di idratazione, si necessita di una regolazione definita e diversa delle temperature rispetto alla tonda. Se dovessi infatti infornare una pala ed una tonda nella stessa camera, combinerei disastri e probabilmente brucerei la seconda. Devo infatti considerare che se per una pala (ipotizziamo 20 x 40 cm) ho 500 gr di pasta, siamo già al raddoppio del peso rispetto alla tonda. Prevederò dunque minor calore per convezione (meno in camera) proprio affinché si elimini progressivamente e lentamente tutta l’acqua presente nell’impasto, alme no in 12 minuti.
Cosa che non va bene per un panetto più leggero.
Si possono però fare cotture di prodotti diversi in camere diverse, che è anche il mio consiglio: avere due camere ti permette da una parte di sviluppare il prodotto da cui sei partito e dall’altra di svilupparne di nuovi a mano a mano che la tua clientela lo richiede e il tuo lavoro si evolverà.”
Tutti i forni elettrici sono adatti alla pizza in pala?
Ni. A prescindere dalla marca, è impor tante decidere prima di tutto l’altezza della camera, perché se fosse troppo alta si potrebbe danneggiare il prodotto. Le camere più alte sono per pezzature più grosse come i panettoni ad esempio. Poi va valutato il materiale: che siano pie tra refrattaria, cemento refrattario o altre leghe e, subito dopo, lo spessore della pietra refrattaria, che è molto importan te. Senza considerare che va deciso se il materiale refrattario lo si vuole solo al suolo o in tutto il rivestimento interno della camera. In quest’ultimo caso, il calore è meno aggressivo, più tenue pos siamo dire; non hai l’effetto immediato delle resistenze e ci vuole un po’ più di tempo. È una scelta che il pizzaiolo fa in base alla sua esperienza, alle sue capacità e conoscenze e del prodotto che vuole servire”.
Come imposto i miei parametri?
“I forni di ultima generazione prevedono la regolazione di tutti i fattori possibili ed immaginabili: calore, umidità, tempi di cottura.
L’umidità ci serve affinché non avvenga subito la caramellizzazione con ancora l’interno crudo. Il tempo di cottura inve ce conta ben poco, se non considero l’ef fetto dell’apertura della porta del forno; se sono un pizzaiolo esperto, non guardo i tempi di cottura; devo impostare altri parametri.
Si trovano in commercio forni dei quali si regolano i gradi sia in camera che in platea che in irraggiamento. Ce ne sono di manuali con un sistema di emissione calore al 50% o al 100% ed altri con schede elettroniche”.
Perché ne scelgo uno piuttosto che un altro?
“In base all’esperienza di chi lo usa o alla disponibilità economica. Se devo far “parlare” la mia esperienza, posso dire che quello con scheda permette di avere più parametri decisionali a discrezione del pizzaiolo, come ad esempio far lavo rare le resistenze in base alle percentuali date.
Quello manuale magari può essere utile per chi ad esempio cuoce la pizza in teglia, perché ti dà uno spunto di calore importante, ma attenzione al contempo se lo si dovesse usare per la pizza tonda, perché la spinta per conduzione è impor tante e rischia di cuocere troppo presto la base. Quello con regolazione a gradi, a mio avviso, ha una fruibilità interme dia; che permette comunque sempre la regolazione della convezione e della conduzione, bilanciandole”.
Il forno a tunnel
“È sicuramente comodo e funziona mol to bene. È una tecnologia che ho visto all’opera in locali che lavorano una o due pizze alla volta, con infornate continue e costanti. La variante da considerare è il tempo di uscita della pizza dal nastro, e dunque bilanciare i tempi di servizio al tavolo in caso di compagnie numerose. Vanno regolati i tempi di rotazione del nastro in relazione a irraggiamento e conduzione; sono io che gestisco in base ai miei impasti quanto tempo deve cuo cere la mia pizza, sono io che imposto. Una volta trovato l’equilibrio però si va avanti senza alcun problema: lo può usare chiunque. Raccomando comunque, a prescindere dal forno che si sceglierà, di prenderlo dopo molta gavetta ad infornare ed aver fatto – possibilmente – esperienza sui diversi tipi di forno disponibili.”
Le Birre di Natale
di Alfonso Del FornoCon l’avvicinarsi delle feste nata lizie si cominciano a respirare nell’aria gli aromi della gastro nomia tipica di questo periodo e, complice il freddo che avanza, si è propensi a consumare pasti più calorici e a bere bevande più alcoliche.
Questa atmosfera conviviale e festosa non lascia indifferente il mondo della birra, da sempre protagonista dei momenti di condivisione degli amanti del buon bere e della buona tavola.
Non a caso cominciano ad apparire in pub, ristoranti e beershop le cosiddette Birre di Natale, una tipologia di birra che, per certi versi, affonda le proprie origini nella notte dei tempi. Il BJCP (Beer Judge Certification Program), organismo ame ricano che identifica tutti gli stili birrari esistenti al mondo, non ha mai classifica to queste birre in una categoria specifica, ma le cita quando si parla di Winter Ale, le birre invernali in cui si possono utilizzare molte materie prime diverse da quelle convenzionali, proprio come avviene nelle birre di Natale.
La caratteristica principale di queste bir re, che sono attese un anno intero dagli appassionati del genere, è l’assoluta anar chia della ricetta, demandata alla bravura dei singoli birrai.
In genere la differenza la fanno i paesi di origine delle singole birre, che per scuola e cultura brassicola, sono diversi tra loro.
LA BIRRA
Partiamo col vedere cosa accade in Bel gio, che in assoluto rappresenta la patria delle Birre di Natale. Qui le caratteristiche comuni a tutte le produzioni “natalizie” sono di certo l’elevato grado alcolico, l’im portante speziatura, con prevalenza di noce moscata, zenzero e cannella, e dalla presenza dello zucchero candito. Queste birre prendono il nome di Kerstbier, che di base sono delle Belgian Strong Ale a cui vengono aggiunti gli ingredienti indicati sopra.
Se dal Belgio facciamo un salto nel Regno Unito, possiamo trovare le Winter War mer, il cui nome è già tutto un program ma. Alta gradazione alcolica e speziatura sono le caratteristiche principali, come le antiche Lambwool. Anche se questa tipologia di birra non è espressamente riconducibile alle produzioni di Natale, è di fatto l’equivalente delle Kerstbier. Rappresentano di certo uno dei rari casi in cui le produzioni brassicole britanni che concedono una deroga all’utilizzo delle spezie nella ricetta. Gli stili di par tenza per queste birre sono in genere Old Ale e Barley Wine.
Illustrazioni di Antonella Manenti
Un caso a parte è la Germania, paese che non concede deroghe alla produzione delle birre tradizionali e quindi non ha mai avu to produzioni specifiche di birre natalizie. Cosa completamente diversa avviene in paesi non legati alle tradizioni brassicole, come Stati Uniti e Italia. Negli USA troviamo tantissime tipologie di Birre di Natale, ispirate proprio ai paesi europei più impegnati in tal senso, come il Belgio e Gran Bretagna. C’è da dire che i nord americani amano estremizzare le birre da loro prodotte e spesso si dedicano alle luppolature estreme, condizionando fortemente le caratteristiche organoletti che delle birre a cui si ispirano, cosa che accade puntualmente anche in questo caso. Chiudiamo la rassegna delle Birre di Natale con il nostro paese. L’Italia notoriamen te trae grande ispirazione proprio dalla cultura brassicola belga. Pur partendo da queste tipologie di birre, molto alcoliche e morbide, la forte sensibilità rispetto alla cultura della valorizzazione del territorio spinge gli italiani a utilizzare spezie locali nella ricetta delle Birre di Natale. Elemen to ancora più caratterizzante è l’utilizzo delle botti quale contenitore per affinare e far maturare le birre, che nello specifico, creano i presupposti per produrre birre molto caratterizzate dalla qualità delle materie prime e dalle tecniche di produ zione. Lo scorso anno si è tenuto il primo concorso sulle birre di Natale, organizzato da Unionbirrai. La prima edizione del con test riservato alle birre di Natale italiane, appartenente alla sfera delle competizioni legate a Birra dell’Anno, ha visto la parte cipazione di quarantotto birre artigianali che s’ispirano alla tradizione europea delle birre natalizie, ormai consuetudine anche alle nostre latitudini.
Che sia la presenza di spezie o di una gradazione alcolica elevata, la caratteristi ca più importante di queste birre è legata alla sensazione di calore e avvolgenza che regalano agli appassionati. Ritornando all’esito del concorso dello scorso anno, il protagonista della prima edizione non veniva da gelidi paesi innevati, ma dalle calde terre napoletane. Il suo nome è Ignazio Iavarone, birraio del Birrificio Incanto, nome che completa la trama di questo racconto di Natale napoletano. La birra vincitrice del concorso è stata la 21 12, nome che rende onore alla “natalità” della città di Napoli, fondata il 21 dicem bre 475 a.c., e presente in tutto il progetto Incanto, dal logo ai nomi di tutte le birre prodotte. La napoletanità è fortemente presente anche in etichetta, con il “pana riello” della tombola e i due bussolotti in legno corrispondenti ai numeri della birra. Ma veniamo alle caratteristiche di questa 21 12. I malti sono stati selezionati per dare struttura alla birra e valorizzare il mix di spezie utilizzate per regalare un bouquet elegante. Cannella, noce mo scata, bucce d’arancia amara, albicocche essiccate e fava Tonka sono presenti nella birra senza che nessuna prevalga sull’al tra, in un rincorrersi di aromi e gusti che ricorda il Natale in ogni sfumatura. La birra campana è stata seguita al secondo posto da Honey Moon del Birrificio Gra vità Zero (Giaveno - TO) che si aggiudica la medaglia d’argento, mentre a conqui stare il bronzo è Giotto di Crak (Campo darsego - PD). Menzioni speciali, inoltre, per Pan di Zenzator, birra nata dalla collaborazione tra Ofelia (Sovizzo - VI) e MC77 (Caccamo - MC), per Re Magio del Birrificio di Legnano (Legnano - MI) e per Santa Ila di Birra Perugia (Torgiano - PG).
La rigenerazione continua.
A
dicembre Slow Food celebra il Terra Madre Day.
a cura di Slow Food Italia www.slowfood.it
La stagione autunnale che stiamo vivendo passerà alla storia come una delle più calde di sempre. Un ennesimo record che si somma a una ormai lunga serie registrata dai climatologi negli ultimi anni a livello planetario. Ora, per quanto ci risultino piacevoli le giornate calde di fine ottobre e inizio novembre, è necessario tenere presenti le conseguenze che situazioni come queste comportano. Più di un quinto del territorio italiano ormai è a rischio di desertificazione e l’agricoltura è il primo settore a essere colpito. L’agri coltura di piccola scala, in particolare, è la
più esposta a queste condizioni estreme. Proprio le piccole produzioni - a cui dobbiamo la sussistenza della maggior parte della popolazione in molti angoli del pianeta e che sono capaci di produrre non solo derrate alimentari, ma cura del territorio, paesaggio, cultura, socialità - oggi sono a rischio, per via della loro fragilità. I contadini, attraverso la buona agricoltura, ci hanno insegnato che il rapporto dell’uomo con la natura è fatto di rispetto reciproco e adattamento ed è quindi strutturato intorno a sottili equilibri. Proprio loro possono indicarci la soluzione a questa crisi globale.
Ma è chiara l’urgenza di azioni portatrici di un benefico equilibrio in grado di ri-generare piuttosto che de-generare. Azioni singole e locali in grado di coin volgere e moltiplicarsi per spingere in un’unica direzione e portare benefìci a livello globale.
La recente edizione di Terra Madre svolta da Slow Food a Torino lo scorso settembre ha rappresentato un grande laboratorio di attività tenute insieme dal filo della rigenerazione. Una tappa importante di quello che vorremmo realizzare ogni giorno su tutto il territorio nazionale. Per questo abbiamo deciso quest’anno di rilanciare un appuntamento importante per tutta la nostra associazione: il Terra Madre Day
Ci piacerebbe che questo appuntamento diventasse l’opportunità per raccontare la rigenerazione attraverso le attività che svolgiamo nelle Condotte e nelle Co munità di Slow Food in Italia. Lo faremo incontrando tutti voi nelle piazze, nelle case, nei mercati, nei locali amici per met tere a disposizione degli altri la bellezza dell’essere parte di un movimento, del nostro Movimento, che in ogni angolo del Pianeta si adopera per un mondo più bello e più equo, in grado di rigenerarsi guardando al futuro. Vi invitiamo dunque a unirvi a noi per il Terra Madre Day il prossimo sabato 10 dicembre. Cercate l’appuntamento più vicino a voi sul no stro sito slowfood.it. Costruiamo insieme la rigenerazione, l’unica via per salvare la biodiversità e, quindi, la nostra vita sul Pianeta Terra.
sotto Letture
l'albero
amore. Nulla di più vicino alla cucina di Cooker Girl, una delle più celebri “Foodsta grammer”. In questo libro, Aurora raccon ta tutto ciò che ha imparato in questi anni di intensa pratica e di studi appassionati: le basi, le tecniche e tutte le ricette migliori per ottenere lievitati perfetti.
I segreti della Dieta Mediterranea Il Mulino
Aun buon libro da leggere subito dopo questo periodo natalizio, quando ai ristoratori sarà (forse) concesso un po’ di meritato riposo?
Ecco dunque 10 titoli che condensano i nostri consigli sotto l’albero, che vanno dal manuale al ricettario fino ai libri di appro fondimento. Le nostre scelte sono in puro ordine alfabetico per volume.
Cibo e Salute. Manuale di resistenza alimentare Terra Nuova Edizioni
L'importanza di un cambio di paradigma in agricoltura, di tecniche di coltivazione che rispettino il suolo, di un cibo sano che garantisca salute; così come la necessità di mettere un freno allo strapotere delle mul tinazionali che stanno distruggendo ciò
salute", grazie al contributo di quattro studiosi ed esperti impegnati in prima per sona in questa battaglia di civiltà. Vandana Shiva è presidente di Navdanya Interna tional, da anni impegnata a sostenere e diffondere un'agricoltura rispettosa di ambiente e salute; Bhushan Patwardhanè biochimico ed esperto di nutrizione; Mira Shiva è medico e attivista. Vi è inoltre il contributo esclusivo del dottor Franco Berrino, epidemiologo e presidente dell'as sociazione "La grande via".
Come l’acqua per la farina Fabbri Editori
Il profumo del pane, la friabilità della sfoglia, la morbidezza della focaccia. E poi la pizza, i grissini, i dolci più golosi. Non c'è nulla che esprima meglio dei lievitati i valori della cucina: pazienza, cura, tenacia,
Proclamata Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO nel 2010, indicata dalla FAO come uno dei regimi alimentari più sostenibili del pianeta, promossa dall’OMS quale modello nutrizionale del futuro, la Dieta Mediterranea rappresenta una ricetta che tiene insieme gusto e salute. Etica e dietetica. Essere e benessere. Cul tura e identità. Perché è uno stile di vita che valorizza il rispetto del cibo e della sua origine, la convivialità, la stagionalità, la biodiversità, la lotta allo spreco, l’educazio ne alimentare, la vita attiva, il paesaggio. In questo volume, Marino Niola ed Elisabetta Moro, due antropologi che hanno messo la Dieta Mediterranea al centro dei loro interessi di studio, ci illustrano i vantaggi di un modo di vivere e di mangiare antico, ma quanto mai attuale per il benessere del le persone e del pianeta. Per saperne di più hanno chiesto un contributo al giurista Pier Luigi Petrillo e all’economista Andrea Segrè. E hanno domandato a un gruppo di chef di regalare ai lettori la ricetta che li ha resi celebri.
A cura della redazione
UN LIBRO AL MESE
Gribaudo
Nutrirsi bene, se si hanno le informazioni giuste, è in realtà molto più semplice di quanto si pensi. La dottoressa Antonella Viola spiega che «dobbiamo iniziare a nutrirci in modo sano, con alimenti che diano una mano all'ambiente. Soprattut to frutta, verdura e cereali integrali». C'è dunque più gusto a nutrirsi bene, con cibi che fanno bene al corpo, alla mente e al pianeta. Grazie a ingredienti facilmente reperibili, che costituiscono fra l'altro i car dini della Dieta Mediterranea, e a moltissi mi consigli e informazioni utili, gli autori propongono un libro a metà strada fra saggio e ricettario, con un unico obiettivo in mente: il benessere della persona e la so stenibilità. Perché, al di là delle tante mode del momento, esiste un "cibo buono", buono per noi e per chi ci sta accanto.
Il libro dei cocktail Slow Food Editore
Attraverso un approccio allo stesso tempo tecnico e artistico al cocktail, questo è un libro pensato come un manuale per gli appassionati, alle prime armi o più esperti. Un volume completo e chiaro, che parte dai fondamenti della mixologia e dagli strumenti indispensabili nel laboratorio e nel bar, fino agli ingredienti e le tecniche per realizzare liquori, bitter, cordial e altri sciroppi. Si scoprono anche la storia e le ricette dei grandi classici, dal Gin Fizz al Moscow Mule, prima di farsi inebriare dal le creazioni dal barman parigino Florian Thireau.
Nik Sharma offre un approccio innovativo per diventare un cuoco migliore. Rivelan do la scienza dietro la nostra percezione del sapore, dimostra come ottimizzarlo. Con ogni piatto che prepariamo è possibile toccare sette note: vividezza, amarezza, salinità, dolcezza, sapidità, grassezza e piccantezza. Sono i sapori che fanno "can tare" il cibo. È la somma di tutto questo che fornisce l'equazione del gusto. Attraverso una serie di saggi su ciascun sapore, più di 40 infografiche e oltre 100 ricette, Sharma svela come è possibile modulare le singole note o gli accordi di sapori per arrivare al risultato desiderato.
La cucina di Foodqood.
Le ricette sfiziose che rivisita no la tradizione italiana Mondadori
«Molti anni fa pensavo che sarei diventato un elettrotecnico, perché era quello che stavo studiando. Le cose però non sono an date come pensavo. Nessuno dei lavori che trovavo mi portava in officina. Al contrario, finivo regolarmente in una cucina.». È così che inizia la storia di straordinario suc cesso di Khalid El Mahi, meglio noto come Foodqood: una storia d’amore con il cibo. Chef di un importante ristorante e vera e propria star del web con oltre 20 milioni di follower, Khalid è diventato popolare per le sue videoricette che mescolano in modo sapiente piatti della tradizione italiana a profumi e aromi internazionali, con una forte influenza marocchina.
La matrice dei sapori Biblioteca culinaria
Cioccolato bianco e caviale? Finocchi e prugne? Alcuni abbinamenti suggeriti dagli chef possono sembrare stravaganti trovate pubblicitarie più che rigorose scelte gastronomiche, ma non è necessa riamente così. Con l’aiuto di un sous chef particolare, il supercomputer dell’IBM, James Briscione ha usato algoritmi per approfondire la scienza che regge la perce zione dei gusti e dei sapori, traducendo le sue ricerche in un formato visivo facilmen te decifrabile e consultabile. Lo chef ha creato una specie di impronta digitale per circa 150 ingredienti, distillando queste informazioni in infografici o matrici che permettono di esplorare in modo efficien te e razionale un universo di sapori che potrebbero sposarsi felicemente.
Oggetti da cucina Slow Food Editore
Dal coccio coreano per la fermentazione, datata IV secolo, allo stiloso spremiagrumi italiano del XX secolo, gli utensili ideati per il cibo hanno contribuito a definire come cuciniamo, mangiamo e viviamo oggi. Organizzato per funzioni - per esem pio misurare e pesare, lavare, tagliare, scal dare - questo libro racconta 250 strumenti da cucina tra i più amati, intriganti e iconici, esplorando la loro storia, partendo dal valore che hanno in quanto oggetti di design e arrivando al posto che occupano oggi nelle nostre case.
Pizza per tutti Mondadori
Fulvio Marino, mugnaio, panettiere e volto noto della Tv, in questo libro ci conduce alla scoperta del fantastico mondo della pizza. Lo fa proponendo ricette che ap partengono a tradizioni diverse, ma non solo: questo volume, infatti, vuole essere un punto di riferimento, al contempo autorevole e accessibile, per tutti coloro che vogliono avere informazioni e consigli sulle lievitazioni, gli impasti, le tipologie di farina e i metodi di cottura. Un libro animato dalla grande passione di Fulvio Marino per la pizza e la panificazione, un alleato prezioso per preparare la pizza in casa e stupire amici e parenti in ogni occasione.
ECCELLENTE. NOVITÀ. ED È
Cereal Pizza è la nuova miscela per pizza della nostra Linea Origine, con farina Tipo “1” con semi e cereali, fonte di fibre, naturalmente fonte di fosforo e tiamina (vitamina b1) che contribuiscono al normale funzionamento del metabolismo energetico. Una miscela, altamente performante dal profumo e dal gusto intenso e originale, consigliata per tutte le tipologie di pizza e focaccia ricche di sapore.