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2.6 La prospettiva …………………………………………………. pag

Se ci dotassimo di uno strumento adeguato potremmo vedere come anche il nostro corpo sia organizzato rispettando la sequenza Fibonacci. La molecola del DNA, che ha una struttura a doppia elica, costituita da due spirali che si intrecciano, misura in lunghezza 34 angstrom e in larghezza 21 angstrom (unità di misura adottata per le molecole), due numeri consequenziali della magica sequenza che troveremmo anche misurando le frequenze delle vibrazioni elettriche del nostro cervello per scoprire che queste hanno una intensità pari a 1,62 hertz (molto vicino al 1, 618) quando il nostro cervello sperimenta una condizione di benessere e leggerezza, come dire, quando si è in armonia con l’ambiente circostante e l’Universo tutto. Oltre alla sezione aurea, alle spirali, alle eliche e tutte le forme geometriche che posseggono caratteristiche dettate dalla sequenza Fibonacci e di conseguenza portatrici del numero aureo, esistono altri esempi in Natura di come e quanto la Matematica sia presente e detti le sue regole. Penso alle api ed alle loro celle perfettamente esagonali, agli stessi esagoni cesellanti le loro testoline, al loro volo che disegna nell’aria messaggi cifrati; penso ai fiocchi di neve con simmetrici inediti disegni, ai cristalli, alle forme dei nuclei degli atomi che ricordano poliedri platonici e archimedei, alle bolle di sapone capaci di moltiplicarsi nella loro estrema fragilità per comporre agglomerati di sfere mobili ed alle infinite possibilità di forme frattali in scale diverse. Ed alla Musica…, ma rimando ad un’altra tesi la trattazione di questo vasto tema artistico-matematico. La Natura sembra agire con regole armoniche ed assolute adottando forme che sono sempre la soluzione più efficiente per l’oggetto interessato inserito in un sistema universale che porta in sé il codice del tutto, scaturito dalla Matematica. Come un codice fondamentale che muove il sole e l' altre stelle e che è alla base dell’esistenza di ogni cosa cosa conosciuta, che raccoglie in sé l’armonia, la bellezza, il passato, il presente, il futuro, ogni spazio, ogni forma ed ogni desiderio.

2.6 LA PROSPETTIVA L’eredità lasciata di Fibonacci aprì finalmente le porte rimaste troppo a lungo chiuse della ricerca matematica anche in Europa. Mentre gli studiosi ed i sapienti cercavano di assorbire tutte le novità arabe ed anche quelle greche, considerato che da ben poco tempo circolava la traduzione in latino de “Gli Elementi” di Euclide, la raccolta per eccellenza di tutti i saperi matematici greci e non solo ai suoi tempi, si creava il giusto humus per quello che da lì a poco, soprattutto, in Italia, diventerà il periodo storico più sinergicamente ricco di ingegno artistico-matematico, il Rinascimento. Ma, mancava ancora un tassello alla pienezza della conoscenza per meglio riprodurre un ambiente credibile a livello pittorico: la prospettiva, intesa come mezzo rigoroso e scientifico per imprigionare in un dipinto la realtà con i suoi volumi e i suoi spazi. La prospettiva sarà nel Rinascimento, un importante punto di incontro tra teoria e pratica, tra Arti figurative e Matematica. Tutti gli artisti sanno sulla loro pelle e tela l’importanza che riveste la prospettiva in ogni singola loro opera, certamente se l’intenzione è restituire una immagine realistica di ciò che l’occhio umano può vedere nella sua interezza: figure solide su diversi piani traslati con un centro (punto di fuga) da cui partono tutte le linee del disegno preparatorio per rappresentare la realtà.

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Già in tempi assai remoti la rappresentazione tridimensionale su supporti bidimensionali era stato oggetto di studi e riflessioni sia da parte degli artisti che dei matematici. A guardar bene anche i nostri antenati preistorici nelle loro pitture su pareti rocciose si erano posti il problema e a loro modo affrontato, ma dovranno passare millenni per giungere a documenti che testimoniano l’attenzione che gli studiosi ed artisti vi hanno posto. E troviamo tentativi di prospettiva in alcune opere di origine assira, babilonese ed egizia e naturalmente greche, già prima che Euclide elaborasse il suo fondamentale testo specificatamente sul tema della prospettiva: l’ “Ottica”. Necessario è citare l’importanza che ebbe il teatro greco, meglio le scenografie per l’allestimento di tragedie, nell’elaborazione di tecniche che rendessero la scena teatrale più consona ad un ambiente reale. Eschilo (-525/-456) si appoggiava al pittore Agatarco per creare ambientazioni credibili per le sue tragedie e secoli dopo fu un altro pittore Apollodoro (-180/-110) che diede un grande apporto alla evoluzione della prospettiva, in quanto egli dipingeva le luci e le ombre, affinando una tecnica che ora chiamiamo chiaroscuro, che aiuta l’occhio a percepire la tridimensionalità. Ma tornando ad Euclide, il suo “Ottica” , diversamente dagli “Elementi”, dove raccolse e rielaborò lo scibile matematico disponibile fino all’ora, si rivelò un’opera del tutto originale dove affrontò sia problematiche legate alla visione che alla prospettiva, ed è probabilmente il primo trattato di ottica geometrica che sia mai stato scritto. Ma questo testo ebbe una sorte complicata, come del resto molti altri testi greci, compreso “Gli Elementi”, dovuta alla tarda traduzione, alla sua presunta distruzione ed all’ incertezza della autenticità dell’opera. Ora, al di là delle “disavventure”, possiamo affermare che Euclide, all’interno della sua opera propose un’originale teoria sulla visione della realtà di tipo emissivo, secondo la quale dall’occhio partono dei raggi che si diffondono nello spazio fino ad incontrare gli oggetti. E gli arabi, prima di chiunque altro, tradussero e studiarono anche questa sua opera e ne approfondirono alcuni aspetti. Il contributo più prezioso fu dato da un matematico-astronomo, Alhazen (965/1039), uno tra i più importanti scienziati musulmani, che con precisione descrisse la fisiologia dell’occhio e formulò un’altra ipotesi sulla visione, smontando la teoria di Euclide circa la propagazione della luce. Egli sosterrà, ed oggi possiamo dire a ragione, che i raggi visivi partono dall’oggetto osservato per arrivare all'occhio e non viceversa. Di lì in seguito tanti furono gli studiosi anche in Europa ad appassionarsi a questa disciplina, traducendo ed ampliando trattati in arabo, per, pian piano, permettere una rappresentazione verosimile della realtà nelle opere artistiche affidandosi alla Matematica, in particolare alla geometria, e ciò sarà una costante che segnerà l’Arte rinascimentale. Ma anche prima del periodo magnifico possiamo osservare che diversi pittori si approcciarono nelle loro opere a ipotesi di prospettiva per meglio rendere la loro rappresentazione della realtà tridimensionale. Si possono riscontrare in affreschi presenti in numerose ville a Pompei (-900 /79) e in dipinti su vasi dell’epoca romana in cui visse Vitruvio. Questi anche si occupò nei suoi studi di scenografia e dell'immagine apparente in un dipinto, che, secondo le sue parole, deve soddisfare l’occhio mettendo parti del quadro in una posizione che queste sembrino rientrare o sporgere dal piano del quadro stesso. Seppur nel Medioevo i soggetti più importanti dei dipinti erano rappresentati in dimensioni maggiori, come le Madonne e i Gesù in croce, senza tener in conto qualsiasi ipotesi di visione prospettica, già qualche pittore osava proporre nelle sue opere una visione differente esponendo immagini che davano un senso, seppur erroneo, di prospettiva. Venivano dipinte

con dimensioni inferiori le colonne che si trovavano più indietro rispetto alle altre, le figure nelle folle venivano poste una di fianco all’altra, anche in profondità, ma mantenevano le stesse proporzioni, i tavoli venivano dipinti portando il piano quasi rovesciato a 70° per permettere la visione di ciò che vi era posto sopra. Insomma, ci provavano, ma mancavano gli strumenti matematici per compiere il passo per non “fare errori”. E in Italia ecco il primo artista che, prima sbagliando e poi correggendosi, arriva a soluzioni che, seppur senza ancora appropriate conoscenze matematiche, rendono perfettamente l’idea della profondità. E’ Giotto (1267/1337), l’uomo capace di disegnare cerchi perfetti, che nel suo dipinto “L’Annuncio di sant’Anna”(1305) svela la sua applicazione nel fare calcoli nell’esecuzione della sua opera, lasciando entusiasti i suoi committenti e l’intero mondo dell’Arte del presente e del futuro. E non fu il solo pittore concentrato, oltre che sul disegno e sui colori, allo studio delle regole precise matematiche: mi piace ricordare Cimabue (1240/1302) ed i fratelli Lorenzetti, che operarono intorno all’inizio dell’anno 1300 e che continuarono a cercare in forma empirica la soluzione all’arcano.

Fig. 9 Ambrogio Lorenzetti, Effetti del Buon Governo in città, 1338-1339, affresco. Siena, Palazzo Pubblico, Sala della Pace

Circa cent’anni dopo furono tre gli artisti-matematici che diedero la svolta decisiva e che tramutarono la necessità di rappresentazioni pittoriche veritiere in un organico sistema di regole matematiche: Filippo Brunelleschi (1377/1446), Leon Battista Alberti (1404/1472) e Piero della Francesca (1417/1492), entrambi toscani. Il Rinascimento è esploso in tutta la sua magnificenza artistica e di ricerca scientifica ed umanistica soprattutto in questo territorio baciato dalla saggezza e dalla ricerca della bellezza. Un ineguagliato tempo in cui gli artisti per ideare, progettare e realizzare le loro opere fecero ricorso allo studio di tante altre discipline, soprattutto la Matematica, per offrire al mondo capolavori d’Arte inestimabili. Filippo Brunelleschi superando il concetto euclideo secondo il quale sono i raggi visivi che partendo dall’occhio arrivano a colpire l’oggetto, suggestionato dalle innovazioni matematiche arabe e recuperati tanti concetti vitruviani, elaborò per la prima volta studi a dimostrazione del concetto di piramide visiva e di punto unico di fuga. Il suo capolavoro, la

cupola di Santa Maria del Fiore a Firenze, ha dell’incredibile, almeno per l’epoca, non essendoci mai state prima opere simili, anche perché fu costruita senza l'ausilio delle tecniche tradizionali finora utilizzate. Questa fu realizzata in muratura e rimane tuttora la più grande cupola in muratura mai costruita, per la cui costruzione Brunelleschi si avvalse di tutte le conoscenze matematiche che potè reperire, di tanto intuito ed abilità artistiche. La cupola ha una base ottagonale e si esprime in una curva che nei secoli successivi è stata oggetto di studi da parte di tanti importanti matematici che la definirono catenaria e che fu poi ripresa nel ‘900 da un altro architetto, lo spagnolo Antonio Gaudi (1852/1926). Prima ancora di ammirare la perfezione della prospettiva, al termine dell’esecuzione dell’opera, sono da apprezzare gli studi, i disegni ed i prospetti che Brunelleschi fece prima della costruzione della cupola che lasciano meravigliati per l’originalità nell’impiego delle formule matematiche adottate, tanto che riesce difficile immaginare come abbia potuto realizzarli non essendoci ancora un trattato teorico matematico completo su cui appoggiarsi. Fatto sta che i geni vedono cose che gli umani normali non riescono nemmeno ad immaginare e lui ha visto prima e creato poi anche gli strumenti e le macchine, carrucole, argani e prototipi di gru (quelle che costantemente da oltre un secolo circondano la Sagrada Família a Barcellona), senza le quali la costruzione (forse) non si sarebbe potuta alzare. Nel 1420 iniziarono i lavori dopo anni di progetti, idee innovative, altri progetti, disegni, altri disegni, errori, correzioni, calcoli e calcoli e finalmente nel 1436 il progetto geniale della più strana cupola al mondo finalmente fu terminato e l’Umanità potè meravigliarsi per sempre di uno dei tanti simboli della Firenze che tutto il mondo adora. Brunelleschi non lasciò nessun trattato circa i suoi approfonditi studi sulla prospettiva, ma ci pensò il più grande, diremmo ora, intellettuale della scena fiorentina del momento, Leon Battista Alberti. Questi infatti nel 1436 pubblicò il trattato “De pictura” dove sono enunciate, codificate ed ampliate le idee del suo amico Brunelleschi; il testo sarà la prima, seppur non esaustiva, teorizzazione della prospettiva lineare, mentre egli immaginava il quadro come una finestra aperta nello spazio. Il testo ancora era condizionato dall' empirismo del procedimento e non produsse una sintesi teorica rigorosa, ma tuttavia fu un documento prezioso per conoscere come affrontare le problematiche teoriche nella pittura. Soprattutto fu fondamentale per aver inserito l’Arte del pennello tra gli strumenti di ricerca intellettuale e culturale. Del resto L.B.Alberti fu una figura di primo piano del Rinascimento, proprio per la sua attitudine a spaziare tra le diverse discipline del sapere, considerandole tutte come i frutti di una sola unica Cultura. Si prodigò nella letteratura, con innumerevoli testi su tematiche più disparate, nell’architettura, realizzando importanti palazzi che testimoniano la volontà dell’artista di conciliare la matematica con il senso estetico del tempo. Ricoprì anche una figura di primo piano nella ricerca storica dell’Arte ed anche nell’approfondimento di questioni scientifiche matematiche, geometriche, tecniche, a volte poste in forma ludica, superando l’approccio distaccato e freddo tipico di Euclide e del metodo matematico normalmente così inteso, per stimolare la curiosità e l’interesse verso la materia che anche allora era considerata ostica. Geniale! Un artista intellettuale dedito a 360° alla Cultura in ogni manifestazione, capace di spaziare tra discipline apparentemente discordanti tra loro e di trovare il senso unificatore del tutto. E mentre Brunelleschi studiava come stupire il mondo col suo ingegno artistico-matematico, ed Alberti progettava palazzi e riempiva libri di tutto lo scibile riscontrabile in Firenze,

nasceva poco distante dalla magnifica città, un altro geniale matematico, nonché bravissimo pittore dal nome Piero della Francesca. Un pittore eccezionale che nei suoi dipinti esprime e contempla l’Umanesimo più profondo dell’epoca, per lui una esigenza interiore a sostenere l’importanza della spiritualità nell’uomo. Tutte le sue opere sono il frutto di uno straordinario rigore geometrico, di una rara esattezza matematica ed una estrema precisione nella ricerca prospettica oltre che di una perfezione estetica sublime, a dimostrazione delle capacità intellettuali e spirituali dell’essere umano ora centro del mondo con lo sguardo divino a supportarlo. Sono da ricordare assolutamente alcune sue opere che meglio testimoniano la sua Arte realizzate con linee, compasso e dedizione ai canoni greci: del 1455 circa, “La Resurrezione di Cristo” tra il 1450 ed 1463, “Flagellazione di Cristo” del 1470 circa, “Madonna con Bambino e Santi” (Pala di Brera) del 1469/1474 circa. Ma soprattutto Piero della Francesca è da ricordare anche come un grandissimo matematico, le cui conoscenze ben si manifestarono nelle sue opere pittoriche per rivelarle poi attraverso tre trattati matematici, ispirato e motivato dai Greci e dagli Arabi. Il primo è il "Trattato dell'Abaco" del 1450, che è un manuale di matematica elementare, ma con elementi molto dettagliati e originali scritto dopo aver copiato ed illustrato un trattato di Archimede sulla spirale. Il secondo, il più importante per la tematica della prospettiva, è "De prospectiva pingendi", scritto intorno al 1480, quando ormai pare avesse perso quasi completamente la vista, per cui impedito alla dedizione della pittura. Qui Piero della Francesca detta le regole della moderna prospettiva, apportando notevoli novità al punto da poterlo definire uno dei padri della nuova scienza e del moderno disegno tecnico. Teorizza e disegna il cono visivo culminante nel punto in cui guarda l’occhio, così affermando che tutte le linee dello spazio perpendicolari al piano del quadro dovevano concorrere a un unico punto, il “punto centrico”, oggi detto punto di fuga. Il trattato organico, completo e teoricamente esaustivo che mancava agli artisti fu così accessibile, e con le sue teorizzazioni e dimostrazioni matematiche impeccabili sulla prospettiva aprì la porta alla realizzazione di fantastici capolavori rinascimentali. Il testo è anche ricco di disegni per insegnare ai pittori i segreti della prospettiva: come disporre nello spazio le figure, come colorarle e come ridurre all'essenziale e misurabile regolarità delle forme geometriche l'infinita varietà degli oggetti possibili del dipinto. Ancora al giorno d’oggi questo testo ed i disegni contenuti rimangono alla base di qualsiasi trattazione circa la prospettiva, anche in sede universitaria, e sono una dimostrazione del genio meticolosamente matematico di Piero. Nel terzo trattato, “Libellus de quinque corporibus regularibus”, sempre scritto negli ultimi anni della sua vita, Piero della Francesca approfondì ciò che fu già oggetto di studio di Pitagora e Platone, la geometria dei solidi detti appunto platonici. Nella stesura del testo viene seguito un ordine logico tipico di Euclide per indicare ai lettori, geometri ed architetti, l’esatta applicazione dei teoremi necessari per la risoluzione di problemi tecnici quando si è in presenza di solidi. Oltre allo studio dei poliedri regolari, Piero della Francesca fu il primo che li disegnò nel suo testo, spiegando anche le diverse relazioni matematiche che intercorrono tra essi. A questo punto, gli artisti ebbero quindi a disposizione tutti gli strumenti necessari per la traduzione del reale tridimensionale su un piano, attraverso opportune “degradazioni e deformazioni” degli oggetti, come ebbe a dire Piero della Francesca, che aiutano l’occhio a vivere pienamente l’illusione prospettica. La prospettiva ebbe il suo trattato, i pittori non

potevano più sbagliare ed il Rinascimento esplose magnificamente in un’Arte che si avvalse di numeri, di calcoli, di figure geometriche che sottendono la realtà.

Fig. 10 Piero della Francesca, Resurrezione di Cristo, tra 1450/1463, Museo Civico, Sansepolcro

Una produzione pittorica come non se ne era vista in precedenza, di opere sostenute da uno studio accurato della prospettiva matematica ed anche dalla consapevolezza, derivata dagli antichi greci, che la Matematica è l’essenza del mondo fisico. Tra i più significativi esempi di dipinti realizzati con l’ausilio di calcoli in base alle indicazioni di Piero della Francesca mi piace ricordare: “Consegna degli schiavi a San Pietro” del 1481 di Perugino, “La città ideale” di artista ignoto, dipinto modernissimo del 1470 circa, “La Scuola di Atene” di Raffaello Sanzio del 1509/11, “La Nascita di Venere” di Sandro Botticelli del 1482/1485 ed il più originale in assoluto, “Lamento sul Cristo morto” di Andrea Mantegna del 1475/8, che sconvolge ancora oggi per la visione inaspettata che il pittore ha voluto imprimere alla figura di Gesù. Inoltre, a dimostrazione che la matematica circolava nelle vene di tutti gli artisti rinascimentali, porto a testimonianza un mosaico marmoreo che rappresenta un dodecaedro che tutt’ora si può ammirare nella Basilica di San Marco a Venezia, realizzato nel 1420 da Paolo Uccello, un altro grande pittore che della matematica ha fatto il suo mantra.

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