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5.1 La Logica …………………………………………………….... pag
from DO i NUMERI tra Arte e Matematica - Tesi di laurea di Tiziana Pavone in Net Art e Culture Digitali
by poianissima
determinati dall'uso nefasto delle risorse del pianeta da parte dell’uomo ed all’uso della sua intelligenza per procurarsi armi offensive contro il genere umano, animale e vegetale. Nell’era digitale tutto il nostro mondo è in fermento continuo, determinando una velocizzazione dei processi delle conoscenze, delle comunicazioni, degli scambi commerciali ed intellettuali e l’uomo stesso, se da un lato ha la piena accettazione del paradigma tecnico-scientifico come unico strumento in grado di produrre verità certe per il suo progresso e quello della società, dall’altro pone il rifiuto e la demonizzazione della scienza accusata di essere la causa di tutti gli elementi negativi presenti nell’odierna società. E onestamente si può riconoscere che la velocizzazione del processo che si sta vivendo non lascia quasi il tempo all’uomo di riflettere su ciò che gli sta accadendo interiormente e nei mondi reali e virtuali che frequenta. Sempre più avverte che dietro una presunta maggior libertà di espressione diffusa ci sia un disegno che intende l’uomo come una merce del presente e del futuro. Come un balletto in perpetua esecuzione, con passi verso l’accettazione del reale ed altri verso la sua continua correzione, semmai si riuscirà a comprendere come vivere la rivoluzione in atto, è certo che, come tutte quelle che si sono succedute, non sarà una passeggiata e al finale ci scopriremo probabilmente “Altri”.
5.1 LA LOGICA Come siamo arrivati fin qui? Già nel secondo capitolo si è trattato di come, attraverso i secoli, gli studi e le ricerche matematiche hanno permesso di progettare la prima macchina analitica da parte del matematico Babbage coadiuvato dall’incantatrice di numeri Ada Lovelace. E’ bene comunque ritornare a quel momento storico, ripercorrendo i passi del processo storico-scientifico e filosofico a cui hanno partecipato le menti pionieristiche dei “giganti” vissuti dall’ 800 in poi, per meglio comprendere come siamo giunti oggi all’indispensabilità dell’odierno computer, determinante ed indispensabile in ogni nostra attività. Ritorniamo nel sec. XVII per incontrare Gottfried Wilhelm von Leibniz che con sorpresa scoprì, attraverso la corrispondenza con un missionario italiano in Cina, che il sistema binario che lui intendeva adottare per la realizzazione del suo sogno, costruire una logica matematica basata sulla manipolazione algebrica delle strutture razionali, era già utilizzato da oltre 2000 anni dalle popolazioni cinesi. Nel testo basilare del pensiero orientale dove confluiscono le teorie di Confucio e del taoismo ,“I Ching” (Il libro dei Mutamenti)(1b), sono presenti 64 figure che compongono i “I ching”. Queste sono create utilizzando solo due segni: una linea ed una linea spezzata (lo yin e lo yang) e costituiscono una prefigurazione degli elementi primordiali componenti la realtà. Attraverso la manipolazione delle 64 figure, unendo o separando le linee che le compongono, si possono compiere delle trasmutazioni delle linee in altre, come un passaggio da uno stato ad un altro. Con queste nuove conoscenze giunte dal lontano Oriente unite a quelle dei suoi studi sull’aritmetica binaria, Leibniz pensò che entrambe potevano essere usate anche per fini logici. Nel suo manoscritto “De progressione Dyadica” del 1679 Leibniz enunciò i fondamenti matematici e le prime applicazioni del sistema binario e dimostrò l’idea che il sistema decimale poteva essere sostituito da quello binario nell’esecuzione dei calcoli aritmetici.
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Costruì la sua macchina analitica che però era di difficoltoso utilizzo a causa della meccanica degli ingranaggi non adeguata alla sua pionieristica idea. Ma anche i geni ci lasciano ed il buono è che il suo profondo visionario ragionamento non si fermò lì. Chi riuscì a tradurre l’intuizione di Leibniz fu un professore matematico inglese George Boole (1815/1864), considerato poi il padre fondatore della logica matematica. Questi, arrovellandosi il cervello, dimostrò che non solo il sistema binario era valido al pari del sistema a 10 cifre, in quanto con solo due cifre si potevano generare tutti i numeri al pari del sistema decimale, ma giunse anche ad una conclusione che qui ci interessa maggiormente. Considerò la linea spezzata o intera dello yin e dello yang come le dualità che caratterizzano la mente e la vita degli uomini: bene/male, giorno/notte, vuoto/pieno,… vero/falso. Associando allo zero la rappresentazione del falso ed all’uno la rappresentazione del vero, Così pensando Boole inventò l’algebra booleana, che ben espose nel suo trattato “Indagine sulle leggi del pensiero“ nel 1854. Le operazioni che si possono compiere con l’algebra booleana riguardano soltanto i numeri ordinari 0 e 1 o gli insiemi rappresentati sempre e solo da una delle due cifre; la differenza con l’algebra ordinaria si manifesta quando moltiplichiamo due insiemi uguali ottenendo come risultato l’insieme al quadrato, mentre con l’algebra booleana il risultato è sempre 0 o 1. algebra ordinaria : x*x= x al quadrato; algebra booleana : se x è uguale a 1 o a 0, l’equazione sarà vera restituendo il risultato 1 o 0. Quindi l’equazione x*x=x è vera soltanto se consideriamo i numeri ordinari 0 e 1. Le operazioni con l’algebra booleana si possono compiere con gli operatori logici, di cui i più importanti sono: quello della negazione, NOT, quello della congiunzione, AND e quello della congiunzione inclusiva, OR, per poter così attuare manipolazioni delle proposizioni date. L’algebra booleana è quindi la versione matematica della logica, ed ha l’intento di comprendere le Leggi fondamentali che stanno dietro alle operazioni compiute dalla nostra mente quando viene eseguito un ragionamento e di esprimere queste operazioni nella lingua simbolica del calcolo. Si stabilisce così il fondamento della scienza della logica e si afferma e
dimostra che anche i pensieri umani possono essere oggetto di computazione.
La mente di Boole non si fermò alla paternità della logica matematica in quanto, quando la sua teoria entrò nel vivo delle problematiche della vita pratica, pensò che anche queste si potevano rappresentare con un 1(vero) o uno 0 (falso). Per esempio un 1 poteva rappresentare una lampadina accesa, mentre lo 0 rappresentare la stessa, ma spenta; si poteva raffigurare anche la corrente elettrica che passa o non passa in un filo, sempre con uno 0 o un 1. Usando quindi le stesse leggi matematiche dell’algebra booleana si poté costruire la teoria dei circuiti elettrici e di quelli elettronici. Si capisce quindi che, tassello dopo tassello, i giganti sulle spalle di altri giganti posero le solide basi del mondo in cui viviamo oggi, mentre il sogno di Leibniz di matematizzare la logica fu in parte realizzato da Boole. Negli stessi anni in cui Boole si affaccendava con la logica, un team di due matematici anch’essi inglesi lavorava al progetto della loro macchina analitica, una macchina che poteva anche programmare: Babbage e Ada Lovelace. L’idea era fantascientifica e l’impresa per la realizzazione era ardua, poiché necessitano tanti soldi, tanti studi e pochi riconobbero la genialità del progetto. Tanto che purtroppo i due matematici non vedranno mai il loro sogno realizzarsi per le difficoltà legate alla complessità meccanica delle sue 25.000 parti componenti da assemblare, perchè avrebbe funzionato grazie all'energia data dal vapore e
perché i concetti sui quali la macchina avrebbe basato il suo funzionamento anticipavano di almeno cent’anni il livello tecnologico necessario alla loro attuazione pratica. Basti sapere però che nella testa di Babbage e nel suo progetto, la macchina analitica poteva risolvere problemi di velocità di calcolo, di precisione numerica e di programmazione delle formule da eseguire. Egli progettò la sua macchina analitica costituita da due parti: il Mill (mulino-motore) e lo Store (magazzino), la stessa architettura con cui è concepita la struttura di un moderno computer oggi, in cui abbiamo il Processore Centrale (CPU) e la Memoria. Ma nell’800 i matematici non erano mai satolli, e Babbage voleva che la sua macchina fosse un sistema capace di emulare a più livelli il ragionamento necessario al calcolo automatizzato. Usò le schede forate e stabilì che queste non erano tutte uguali, ma ognuna aveva una funzione diversa: alcune conservavano i dati, altre stabilivano quando eseguire una operazione, altre specificavano in quale parte della memoria un particolare dato doveva essere preso per essere processato e in quale altra parte doveva essere immagazzinato assumendo la posizione di risultato. Alla macchina venne aggiunta anche un’altra possibilità, quella di ripetere automaticamente una sequenza di operazioni per un prefissato numero di volte. Per ottenere tutto questo, Babbage aveva bisogno di programmare la macchina e questo arduo compito sarà affidato alla giovane Ada Lovelace che nel 1843 descrisse la macchina analitica come uno strumento programmabile, in grado di agire in conformità a delle istruzioni generali che lei fornirà attraverso la creazione di algoritmi.(2) Possiamo dire che Babbage sia stato il primo essere umano, matematico, a realizzare, almeno sulla carta e nella sua mente, il primo hardware della Storia, ed Ada la prima creatrice di software (3), cioè un linguaggio con cui poter “dialogare” con la macchina. In quel tempo, la filosofia subiva anch’essa le sue mutazioni con l’avvento del pensiero del filosofo tedesco Immanuel Kant (1724/1804), che opererà con l’intento di provocare un ribaltamento della prospettiva filosofica in essere all’epoca, al pari del cambio di prospettiva generato dalla rivoluzione copernicana. Ormai da qualche secolo si sapeva che la Terra non era il centro del mondo, Newton aveva scoperto la forza di gravità universale e le applicazioni della matematica producevano scoperte e conseguenti invenzioni senza sosta, Ma mancava un pensiero filosofico a sostenerle, l’analogo di ciò che aveva fatto Aristotele (-384/-322) per la matematica e geometria greca: una visione del mondo dai connotati rinnovati dall’apporto dei fondamenti della nuova matematica e fisica. Secondo Kant gli “Elementi” di Euclide e l’opera di Newton “Philosophiae Naturalis Principia Mathematica” (1687), si dovevano considerare di pari fondamentale importanza per l’Uomo, in quanto entrambe le opere titaniche erano da considerare pietre miliari e strumenti fondamentali per la conoscenza del Mondo (prima e dopo) per l’Uomo. Ma mentre l’opera del matematico greco era stata supportata dalla filosofia aristotelica nel testo “Organon”, dove Aristotele sviluppò, sulla base dei concetti euclidei, la sua teoria dei fondamenti della matematica e del ragionamento che ad esso si abbina, il capolavoro di Newton, non aveva ancora il meritato ed indispensabile supporto filosofico, cioè i fondamenti filosofici della fisica moderna. Ma nel 1781 Kant con la sua “Critica della ragion pura” compì la sua “rivoluzione copernicana” riuscendo a spostare il punto di vista della filosofia tanto quanto aveva fatto la scoperta eliocentrica per l’astronomia. Per Kant l’uomo non era più il centro dell’Universo anche per la conoscenza umana, nel senso che molte delle cose che fino ad allora si ritenevano assolute, es. lo spazio ed il tempo, erano da considerare
concetti “a priori”, cioè non qualità oggettive della Natura, ma una modalità che l’Uomo si era data per affrontare, vedere e classificare l’Universo che lo circonda. Queste affermazioni produssero un cambiamento epocale al pari effettivamente della rivoluzione copernicana, ed investirono anche la Matematica. Infatti Kant riguardo le verità matematiche sostenne che anch’esse erano a priori, ma introdusse una distinzione seconda la quale le verità matematiche erano verità sintetiche a priori, dove per “a priori” si intende essere verità dedotte con ragionamenti logici, ma sintetiche in quanto poggiano su assiomi che non sono logici e che richiedono la conoscenza e la sensibilità del mondo esterno. Un fatto importante da rilevare è che il titolo originario dell’opera di Kant era “I limiti della sensibilità e della ragione”, come a dichiarare implicitamente la incompletezza della ragione. Infatti Kant riuscì a capire che la ragione e la sensibilità hanno dei limiti per cui gli sono preclusi gli argomenti trascendentali, pena cadere nell’inconsistenza, nell’ antinomia. E si sa che la Matematica non ammette contraddizioni, quindi se non vi si vuole cadere si deve riconoscere che la Matematica è incompleta. Questa severa considerazione, questa ammissione di limitatezza, lavorerà nelle menti sopraffine dei giganti del primo ‘900 e porterà a nuove rivelazioni matematiche e alla prima macchina universale. Il confronto tra le menti più illuminate verterà intorno alla logica, al pensiero puro matematico per un'indagine più profonda e completa delle possibilità della logica stessa e della matematica. Una indagine implacabile in cui c’è chi appoggiò la tesi della logica kantiana e c’è chi vi trovò limiti e la ribalterà. Furono queste le menti dei matematici Friedrich Frege (1848/1925), tedesco, unita a quella dell’inglese Bertrand Russell (1872/1970), spronata dal metodo dell’italiano Giuseppe Peano (1858/1932), a sostenere che la matematica è analitica, puramente logica. Ma i loro tentativi, a suon di pagine di trattati, si arenarono di fronte al concetto di infinito, impossibilitati a rinchiuderlo in una astrazione esclusivamente logica. Inoltre, nel 1899 la giovane star matematica del momento, David Hilbert (1862/1943), dimostrò, nel suo “ I fondamenti della geometria”, a proposito dei 5 postulati di Euclide, che questi mancavano degli assiomi necessari per essere dimostrati (ricordiamo il V già citato). E ne scoprì altri 20, coi i quali Euclide fu nuovamente “riabilitato”, in quanto i 5 postulati erano dimostrabili dai nuovi assiomi aggiuntivi. Hilbert iniziò un ulteriore studio e sfida, rivolta a tutti i colleghi, per scoprire se i 20 nuovi assiomi enunciati erano sufficienti a dedurre tutte le possibili verità della geometria, come dire se questa possedeva la proprietà della completezza, e se da questi assiomi si potessero dedurre o no delle contraddizioni, facendo emergere il problema della consistenza degli assiomi. In sintesi si chiedeva come evitare di costruire un sistema con contraddizioni. E nel 1900 nel tripudio di luci della città lumière, a lato dell’evento di un expo internazionale che aveva dello straordinario, si tenne il secondo congresso internazionale dei matematici, in cui, tra l’altro, Hilbert enunciò 23 problemi che i matematici avrebbero dovuto affrontare nel prossimo futuro, dando inizio ai compiti a casa per lui e per gli altri matematici. Nel frattempo un altro matematico francese Henri Poincaré (1854/1912) era da poco uscito da una immersione in un altro ginepraio logico allo scopo di comprendere le influenze reciproche dei corpi del sistema solare per determinarne la sua stessa stabilità. Le sue analisi ed i suoi studi lo portarono a riempire migliaia di pagine, fino a sostenere non poter esserci soluzioni certe, in quanto quelle trovate erano instabili e caotiche poiché è sufficiente una piccola perturbazione per poter fare crollare il sistema stesso. E questa verità era da estendere
a tutti i sistemi. Ebbe così con lui avvio la teoria del caos. Inoltre in altri tre suoi consistenti saggi sferrò un attacco alla logica di Russell ed alla concezione che della stessa e della matematica aveva espresso Hilbert. Per Poincaré la matematica doveva fondarsi sia sulla logica che sulla intuizione, nel senso che la prima doveva fornire la dimostrazione delle scoperte invece realizzate con l’intuizione. Pertanto la filosofia di Kant (le verità matematiche sono a priori e sintetiche), riacquistò forza e ne nacque un dibattito fra i matematici schierati tra le due “correnti”. Intanto i matematici che si erano messi al lavoro per dare risposte ai 23 problemi enunciati da Hilbert cominciano a dare le prime risposte. Sarà un giovane genio matematico-logico Kurt Gödel (1906/1978) cecoslovacco-austriaco naturalizzato statunitense, si dice essere con Aristotele il logico più importante giunto sulla Terra, che esordì nelle proclamazioni. Nella sua tesi di laurea a 23 anni, si pose l’obiettivo di risolvere il problema di dimostrare la completezza della logica usando come sistema di riferimento gli assiomi posti da Russell e Alfred Whitehead (1861/1947) nel loro “Principia Mathematica” pubblicato tra il 1910 ed il 1913. Come Hilbert aveva dimostrato la completezza della geometria euclidea attraverso l’adozione di 20 nuovi assiomi a sua dimostrazione, Godel nel 1929 riuscì a dimostrare la completezza della logica attraverso gli assiomi espressi nei trattati dei “Principia Mathematica” e prima ancora da Frege, dando vita al suo teorema di completezza della logica. Ma Godel certo non intendeva fermarsi a questo importante risultato e si pose l’obiettivo di dimostrare che anche gli assiomi per l’aritmetica e per la matematica in generale erano completi. Se ciò gli fosse riuscito, cioè formalizzare tutte le teorie matematiche esistenti attraverso un insieme finito di assiomi, con la dimostrazione che gli stessi non conducevano a contraddizioni, si sarebbe esaurito il compito assegnato da Hilbert e le teorie di Russell e Frege sarebbero state definitivamente riabilitate. Nel 1931, nella sua tesi di dottorato, Godel dimostrò invece che gli assiomi della matematica non erano completi, che ci sono verità non dimostrabili. Stabilì che per ogni sistema assiomatico
formale coerente e sufficientemente forte c’è una proposizione che è vera ma non è
deducibile dagli assiomi del sistema. Non si trattava di cercare e trovare nuovi assiomi a sostegno di qualsiasi teoria, perché non si sarebbero trovati, in quanto non esistono, non ci sono. Il problema riguardava la natura stessa della matematica che rivelava così la sua incompletezza ben espressa nel teorema di Godel. Mentre per la logica e la geometria era stato possibile trovare dei sistemi di assiomi completi che permettessero di derivare tutte le verità, per tutta l'aritmetica e quindi per la matematica nella sua interezza non era possibile. Col teorema dell’incompletezza Godel risolse il secondo dei 23 problemi posti da Hilbert (quella della inconsistenza) dimostrando che non sia possibile dimostrare la consistenza della matematica all’interno del sistema stesso, cioè usando gli strumenti della stessa matematica. La scoperta di Godel insieme al dibattito nato già a fine ‘800 negli ambienti matematici, agitò la comunità matematica, ancora oggi in disaccordo sul tema, ed anche le acque, mai ferme, dell’Arte. Non si possono trascurare altre fondamentali scoperte realizzate nei primi anni del ‘900, atte a portare in fibrillazione tutti gli animi rivolti alla conoscenza del Mondo. La pubblicazione nel 1899 di “L'interpretazione dei sogni” da parte di Sigmund Freud (1856/1939) portava l’inconscio a far parte anch’esso a pieno titolo del sistema uomo, sconvolgendo le già precarie certezze acquisite. Nemmeno si può omettere il mirabile lavoro, studio ed intuizione di Albert Einstein (1879/1955), alla cui base c’erano le 4 equazioni
formulate dall’inglese James Maxwell (1831-1879) nel 1861, che stabilivano l'unificazione dei campi elettrici e magnetici in una sola teoria. Nel 1905 Einstein concretizzò tutto il suo pensiero nella pubblicazione di sei articoli ponendo le basi delle sue scoperte future sull’effetto fotoelettrico, sulla radiazione elettromagnetica e quelle che lo porteranno alla sua Teoria della relatività generale. In tutto questo ribollire di idee, parole, scambi, prove, verifiche, nuove teorie e nuovi dolori, certamente il teorema di incompletezza di Godel creò un grande shock nell’ambiente matematico, poiché forniva una dimostrazione inconfutabile che determinate cose, in matematica, sono realmente impossibili, persino in linea di principio, andando a minare gli stessi fondamenti logici della disciplina. Ma la necessità di comprendere il mondo per i matematici non termina mai, ed il sogno millenario di creare una sorta di meccanizzazione della matematica attraverso una macchina per fare calcoli in modo automatico nemmeno. Infatti questo ultimo era uno dei problemi-compiti enunciati da Hilbert nel 1899, ribadito nel 1928, ancora senza risposta. Era il Entscheidungsproblem, il “problema della decisione”, cioè trovare un algoritmo che permettesse, data una formula della logica, di stabilire se una formula era vera o no, valida o no. Nel 1936 un giovane studente inglese, Alan Turing (1912-1954), a soli 23, trovò la soluzione al problema della “decidibilità” ancora in sospeso, e la rese pubblica nella sua tesi di laurea. In verità lo stesso anno uno dei suoi futuri professori all’università americana di Princeton arrivò alle stesse conclusioni, Alonzo Church (1903/1995), sebbene con dimostrazioni sostenute con argomentazioni diverse. Il risultato per entrambi fu: non esiste ora e mai potrà esistere un algoritmo in grado di decidere quali siano le verità logiche. Non era infatti di facile soluzione la dimostrazione negativa di un algoritmo che non c’è e non ci sarà mai, perché è necessario poter escludere tutti gli algoritmi passati, presenti e futuri dalla possibilità della loro fruibilità. Per la dimostrazione c’era bisogno di effettuare infiniti calcoli e manualmente non sarebbero bastate le vite di tutti i matematici passati, presenti e futuri per eseguirle. Quindi Turing per poter esibire la sua dimostrazione dovette inventare una macchina capace di simulare la computazione di qualunque altra macchina e capace di fare tutti i calcoli mai eseguiti fino ad allora, la Macchina Universale.
Fig.1 Primo computer per decifrare messaggi nazisti a Bletchley Park, (GB), 1943
Stabilì anche la nuova nozione di algoritmo, cioè una sequenza di istruzioni, con cui dimostrò l’esistenza di una procedura logica capace di elaborare numericamente qualsiasi altro algoritmo, soggetto quindi alla possibilità di essere programmato su un computer. Turing dotò l’Umanità della Macchina Universale, ovvero una macchina logica universale programmabile per mezzo di un algoritmo e questo straordinario strumento cambierà il mondo e oggi ci vede qua a cercar di capire le strade percorse dall'Uomo per giungere a ideare e, poi, costruire una macchina capace di emulare l’azione umana e i suoi processi cognitivi. Turing anch’egli mai satollo di conoscenza, spostò ulteriormente la frontiera del sogno, e oltre alla progettazione della Macchina Universale immaginò che questa potesse fare le veci dell’uomo e fu il primo ad avere l'intuizione che la stessa potesse compiere ragionamenti propri come il cervello umano e creò un programma, sempre sulla carta, affinché una macchina potesse giocare a scacchi con lui. All’epoca Turing perse la partita, ma oggi sappiamo che nel gioco degli scacchi l’odierno computer è più bravo del miglior giocatore in carne ed ossa del pianeta. Turing è da ricordare anche, seppur esuli dall’argomento trattato, per il suo preziosissimo contributo nella seconda guerra mondiale nella criptazione dei documenti della Germania nazista. Infatti egli applicò uno dei primi computer per la decifrazione del codice segreto tedesco chiamato Enigma, che i matematici tedeschi ritenevano inespugnabile. Quello che i nazisti non previdero fu la genialità di Turing, che costruirà un cervello elettro-meccanico chiamato Bomb, che in poche ore riuscì a scovare la chiave segreta per decriptare i messaggi dei nazisti. Poca gloria ricevette a causa della segretezza militare a cui era sottoposto il progetto anti-enigma, ma quanto dolore e umiliazione dovette subire questo Uomo straordinario a causa della sua omosessualità, ancora meno accettata di quanto lo sia oggi. Fu costretto a subire la castrazione chimica, che lo porterà al suicidio mangiando una mela avvelenata. E non è certo bello terminare una panoramica sulla logica imperante nella Matematica del XX secolo e, soprattutto nella nostra vita odierna, con un gesto così doloroso e tragico. L’uomo che ha regalato all’Umanità un dono preziosissimo viene punito per non essere “idoneo” nella società perbenista e ipocrita, come a ripercorrere il giardino dell’Eden e ritrovarsi di fronte all’albero della conoscenza del bene e del male, per scoprire che quest’ultimo continua a vincere contro la manifestazione del bene più grande: la ricerca della verità.
Fig. 2 Turing, giovane studente pieno di sogni ; Fig. 3 Godel con Einstein, passeggiando nel parco dell’Università di Princeton (USA)