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grado di fare la musica che “viaggia” senza bisogno di supporto se non l’aria. Kandinsky ci insegna ad «ascoltare» la forma e il suo insegnamento ci mette in un nuovo rapporto con l’opera d’arte, aprendo nuove possibilità di esplorazione, che è, come scriveva egli stesso, “..... la possibilità di entrare nell’opera, diventare attivi in essa e vivere il suo pulsare con tutti i sensi”. (5)

Come per il musicista, il lavoro di un pittore non sarà mai frutto di un'improvvisazione cieca e inconsapevole, ma il risultato di studi che soprattutto hanno la Matematica alle fondamenta e di cui Kandinsky ci vuole rendere consapevoli, partecipi ed eruditi. E riprendendo dalla prefazione del libro scritta da Max Bill (1908/1994), artista scultore architetto, “Punto, linea, superficie” va oltre il fatto pittorico e “abbraccia problemi generali dell’attività creativa” (6) che riguardano anche la Matematica, punto di partenza per tutte le indagini che contemplano la conoscenza e l’Uomo.

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4.2.3 MAURITS CORNELIS ESCHER Maurits Cornelis Escher (1898/1972), l’artista che non sapeva di comporre le sue opere nel rispetto delle Leggi proprie della Matematica, le iniziò a studiare per comprenderle e lasciarci opere strabilianti. Nacque in Olanda da una famiglia borghese che lo avrebbe voluto ingegnere come il padre, ma il giovane studente non amava per nulla la matematica, materia regina nelle facoltà di ingegneria. Eccelleva, però, nel disegno riempiendo interi quaderni di ritratti e paesaggi. Si indirizzò, quindi, verso la Scuola di Architettura e Arti Decorative. Dopo un anno, nel 1920, si dedicò esclusivamente alle Arti decorative sotto la guida di un insegnate stimolante e discreto artista Samuel de Mesquita (1868/1944), che coltivava un interesse particolare per il disegno e per la xilografia e che comprese subito il talento del giovane studente. Terminata l’Università, nel 1922, Escher intraprese un lungo viaggio verso l’Italia con amici, visitando la Toscana, Roma e la costiera amalfitana. Stregato dalla luce dei paesaggi italiani immortalati nel suo quaderno di schizzi, vi tornò per trasferirsi nel 1923 a Ravello. Conobbe una giovane ragazza svizzera, anch'essa appassionata di Arte, e l’anno dopo si sposarono e stabilirono a Roma. Vissero agiatamente in un’elegante casa dove al piano ultimo Escher poté disporre di un suo studio dove realizzare le sue opere, disegnandole, incidendole sul legno e stampandole. La situazione serena in cui viveva era inframmezzata dall’altra passione di Escher per i viaggi, che compì in tutta l’Italia meridionale. Nella capitale italiana il “Gruppo romano artisti incisori” gli organizzò la sua prima grande mostra personale allestita a Palazzo Venezia nel 1926, che riscosse un discreto successo di critica e di pubblico ed ammirazione totale per la squisita tecnica. Ma ormai il clima politico italiano si era fatto troppo opprimente ed insopportabile per il giovane artista che con la moglie si trasferì nel 1935 in una sua proprietà sui monti svizzeri. Il clima era pessimo, la luce mancava, il paesaggio era bianco e monotono ed Escher sognava il sole del sud. Ben presto, era il 1936, arrivò il tempo di ripartire per il sole caldo, questa volta, della Spagna del sud. Visitò Granada e si innamorò dell’Alhambra: sia delle sua architettura moresca che, soprattutto, delle decorazioni geometrizzanti che la abbellivano. Giorni e giorni

davanti alle tassellazioni colorate a copiare le figure geometriche ricorsive che ne ricoprono le intere immense pareti. Il suo quaderno di appunti scoppiava di disegni e forme, attratto com'era da quella moltitudine di figure incastrate tra loro che gli parlavano sia di estetica che di matematica e che stimolarono la sua curiosità per indagare i segreti di tanta simmetria armonica. Infatti, questo viaggio fu illuminante per Escher che al ritorno a casa, in una nuova abitazione in Belgio, abbandonò i soggetti paesaggistici e gli studi realistici. I suoi viaggi da quel momento non sarebbero più stati fisici, ma sarebbero diventati esplorazioni nella mente umana con attenzione alle sue visioni interiori da trasferire sulle tavole, mentre la sua notorietà si consolidava. Memore dello stimolo generato a Granada, questo si concretizzò con l’incontro di Escher col matematico inglese Donald Coxeter (1907/2003) che dal 1954 diventerà oltre che amico, anche suo insegnante di geometria. Grazie al matematico Escher scoprì la bellezza formale e la strabiliante fantasia propria della Matematica e da quel momento tutte le opere saranno da lei ispirate. Nonostante le diverse fasi artistiche che porteranno Escher a diventare uno degli artisti più amati nel ‘900 dal pubblico e dalla comunità matematica, bisogna ricordare che già prima della folgorazione andalusa e dell’incontro con Coxeter, che aiutò Escher a capire il significato e il valore matematico delle sue opere, Escher eseguì lavori applicando principi matematici che a lui potevano essere noti (trasformazioni sul piano cartesiano ed elementi di geometria non euclidea) ed altri invece che l’artista applicò senza che li conoscesse, poiché le loro applicazioni saranno in essere solo molti anni più tardi (autoreferenzialità e intelligenza artificiale). Le nuove idee scientifiche erano annunciate, ma non era accessibile a tutti la possibilità di comprenderle. Escher, non le conosceva, ma magicamente le applicava attraverso il linguaggio dell’Arte, cogliendo l’anima razionale dell’Universo e permettendo di “vedere” le sue Leggi su una tavola incisa. L’Arte e la Matematica parlano delle stesse cose, ma con linguaggi diversi. Escher riportò sulle sue stampe i pensieri e i dubbi in cui l’Umanità si dibatte da millenni nel tentativo di comprendere il mondo che la circonda, tenendo conto che all’inizio del ‘900 le domande erano rinnovate ed adeguate al tempo ed Escher le fece sue: cos'è l’infinito? Come si può comprendere? In quante dimensioni viviamo? In quale mi sento? Esiste un confine tra le diverse dimensioni? Cosa è reale? Escher propose le sue risposte attraverso illusionistici paesaggi, prospettive invertite, costruzioni geometriche minuziosamente disegnate e forme diverse che si confondono fino a perdersi nell’infinito, tutto frutto della sua inesauribile fantasia che stupisce e destabilizza. Ora cerchiamo, attraverso le sue opere, di comprendere quali siano state le connessioni logiche, matematiche e geometriche di cui Escher si servì per rappresentare il mondo come lo percepiva: il mondo del dubbio, dell’ambiguità, del dualismo e dell’incertezza. La prima sua opera è risalente al periodo in cui Escher si trovava in Italia, precisamente in Abruzzo, felice del sole che accarezzava ogni cosa e della sua ormai impeccabile padronanza della tecnica dell’incisione. E’ un classico paesaggio montuoso abruzzese, una sua “fotografia” incisa su legno eseguita con una tecnica perfetta e un uso della prospettiva ineccepibile che danno all’immagine una verità realista che sfocia nell’ illusione.

Fig. 15 M.C Escher, Castrovalva, xilografia, 1923

Sulla mano del disegnatore c’è una sfera riflettente. In questo specchio egli vede un’immagine molto più completa dell’ambiente circostante, di quella che avrebbe attraverso una visione diretta. Lo spazio totale che lo circonda – le quattro pareti, il pavimento e il soffitto della sua camera – viene infatti rappresentato, anche se distorto e compresso, in questo piccolo disco. La sua testa, o più precisamente, il punto fra i suoi occhi, si trova nel centro. In qualsiasi posizione si giri, egli rimane il punto centrale. L’ego è invariabilmente il centro del suo mondo. (7)

Quella sopra è la descrizione che Escher da alla sua tavola “Mano con sfera a specchio” realizzata nel 1935. Per la sua composizione Escher riprende a suo modo ciò che altri artisti espressero in passato in loro opere, quali “Ritratto dei coniugi Arnolfini” di Jan Van Eyck (1390/ 1441) del 1434, “Autoritratto allo specchio convesso” del Parmigianino (1503/1540) del 1523/24 e “Las Meninas” di Diego Velazquez (1599/1660) del 1656. Escher usando uno specchio si ritrasse immerso nel suo mondo che, attraverso lo specchio, poteva essere osservato più di quanto non sarebbe stato dal vivo. Lo specchio nelle mani di Escher è lo strumento che l’artista utilizza per indagare la struttura dello spazio che rimanendo sempre all'interno dell'illusione del disegno è capace di suggerire volumi e profondità anche dove nella realtà mancano. La non possibilità di poter distinguere ciò che è reale da ciò che è riflesso crea un

disagio per lo spettatore che si trova davanti più mondi nello stesso tempo e nella stessa cornice.

Fig. 16 M.C.Escher, Mano con sfera a specchio, litografia, 1935

Nel 1936 Escher tornò a rappresentare un paesaggio, “Natura morta con strada”, quello che presumibilmente vedeva dalla sua finestra, e compì una magia che lasciava lo spettatore sopraffatto dalla sua stessa presenza che non sapeva dove collocare. I palazzi sono anche i libri, il davanzale è anche la strada, lo spazio cambia dipendendo dall’ occhio di chi guarda. Subito dopo il ritorno dal suo viaggio in Andalusia, le tassellature geometriche degli spazi diventarono la ossessione di Escher, dando inizio così al periodo delle Metamorfosi dal 1937 al 1945. In queste tavole meravigliose e spiazzanti i livelli di realtà continuarono a convivere, ma senza la possibilità di poter vedere contemporaneamente i mondi rappresentati, poiché questi si susseguono e si perdono uno nell’altro. Come avviene in “Giorno e notte” del 1938, dove la visione del soggetto sfuma in un altro della stessa importanza in una metamorfosi di una figura che da bidimensionale diventa apparentemente tridimensionale, dove una fa da sfondo all’altra e dove non c’è una visione più vera dell’altra. E in questa altalena dello sguardo le figure, quelle che risultano all’occhio in primo piano, sembrano diventare vive, pronte per spiccare il volo creando una plasticità illusoria che rimanda al fondo, anch’esso realizzato di sagome immobili speculari che attraverso il nostro sguardo abbandonano il piano simmetrico per anch’esse prendere vita.

Fig. 17 M.C.Escher, Notte e giorno, xilografia, 1938

Dal 1946 iniziò per Escher il cosiddetto periodo dei quadri di prospettiva, che durerà fino al 1955 circa, cioè di paesaggi impossibili che sfumano l’uno nell’altro offrendo una pluralità di letture. In questi anni Escher sarà attivissimo nella produzione di stampe ed in crescente aumento sarà il suo successo nel mondo artistico e matematico. Come, ad esempio in “Relatività” del 1953, che rimanda inevitabilmente alla scoperta di Einstein, della quale Escher parla nel suo libro, il “Grafiek en tekeningen” :

“Qui coagiscono perperdicolarmente tre livelli di forza di gravità. Tre superfici terrestri, su ognuna delle quali vivono degli uomini, s’intersecano ad angolo retto. Due abitanti di due mondi diversi non possono vivere sullo stesso pavimento, poichè non hanno lo stesso concetto di ciò che è orizzontale e di ciò che è verticale. Ciononostante possono usare la stessa scala. Sulla scala superiore procedono due persone, una accanto all’altra, nella stessa direzione. Evidentemente è impossibile che queste persone entrino in contatto perché vivono in due mondi diversi e, per questo, l’uno non è a conoscenza dell’esistenza dell’altro.” (8)

Fig. 18 M.C.Escher, Relatività, litografia,1953

Come dire che la conoscenza e l’accettazione di altri mondi fa la differenza: percorrere la stessa scala senza sapere di farlo o, se se ne ha la consapevolezza, trovarsi in un altro tempo su un’altra scala sapendo che tutto ciò si ribalterà nel momento in cui lo sguardo cambierà il suo punto di vista. C'è’ un quadro realizzato al termine dello stesso periodo che crea, se possibile, ancora maggiore disorientamento allo spettatore: è “Galleria di stampe” del 1956. La scena rappresenta un giovane che osserva un dipinto raffigurante una scena marittima in una galleria d’arte. La scena marittima a sua volta contiene l’ambientazione in cui lui e la galleria stessa esistono. Lo spazio ed il tempo si confondono fino all’infinito. L’idea dietro a questo dipinto è di rappresentare la proiezione infinita di un’immagine, ma è possibile che questo obiettivo sia stato impossibile anche per Escher, che, lasciando nel centro dell’opera uno spazio in bianco dove apporrà la sua firma, lascia l’immagine, seppur sconvolgente, anche non apparentemente ultimata. Come non pensare alla recente rivelazione, all’epoca, enunciata da Godel (1906/1978) nel suo teorema dell'incompletezza della Matematica?

Fig. 19 M.C.Escher, Galleria di stampe, litografia, 1956

Escher, dopo il 1950 manifesterà in modo molto esplicito la sua passione per i poligoni di lontana memoria platonica, grazie ad un suo amico geologo che gli offrì l’opportunità di osservare da vicino dei cristalli. Già Escher conosceva i miracolosi poliedri descritti nel Timeo da Platone e decise di esplorarne le possibilità artistiche, dopo averli contemplati come gemme preziose dell’Universo, massima espressione dell'armonia e della perfezione in virtù della loro eccezionale simmetria:

“Molto tempo prima dell'apparizione dell'uomo sulla terra nella crosta terrestre crescevano i cristalli. Un bel giorno un essere umano vide per la prima volta un così risplendente frammento regolare, o forse lo colpì con la sua ascia di pietra, esso si ruppe e cadde ai suoi

piedi: lo raccolse e lo esaminò tenendolo nella mano aperta e si meravigliò. Nei principi fondamentali dei cristalli c'è qualcosa che toglie il fiato. Non sono creazioni della mente umana. Semplicemente essi 'sono', esistono indipendentemente da noi. In un attimo di lucidità, l'uomo può al più scoprire che esistono e rendersene conto. Essi simbolizzano il desiderio di Armonia e di ordine dell’uomo, ma nello stesso tempo la loro perfezione desta in noi il senso della nostra impotenza. I poliedri regolari non sono invenzioni della mente umana, perché esistevano molto tempo prima che l’uomo comparisse sulla scena.Questo piccolo meraviglioso cristallo ha milioni di anni. C'era già molto tempo prima che apparissero forme viventi sulla terra”. (9)

Fra tutte le opere, “Planetoide tetraedrico”del 1954 è la rappresentazione di un pianeta dalla forma di un tetraedro regolare costellato di terrazze ospitanti un villaggio con le sue case, le sue piazze, i suoi giardini e le sue chiese. ”Planetoide tetraedrico” è un mondo unico, ma nel percorrerlo offre un punto di vista sempre nuovo su se stesso, come se in un unico sguardo volesse rivelarci tutto quello che nasconde sotto, sopra, di fronte,… in ogni spazio ed in ogni tempo. E impossibile non ricordare anche gli studi che Escher fece sul “Nastro di Möbius” (forma già incontrata precedentemente) che è una particolare costruzione topologica che quando viene torta di mezzo giro, risulta essere munita di una sola faccia con un solo margine, un solo lato, senza sotto e senza sopra. Escher realizzò diverse opere utilizzando questa forma che pare impossibile, ma esiste, una delle quali è “Striscia di Möbius II”, dove una processione di formiche percorre il nastro di Möbius sull’unico lato-superficie esplorabile.

Fig. 20 C.M.Escher, Striscia di Moebius II, xilografia, 1963

Oltre agli insegnamenti di Coxeter, Escher ebbe modo di entrare in contatto con altri matematici durante il Congresso Internazionale dei Matematici nel 1954, in cui gli fu chiesto di intervenire e dove un giovane studente in matematica rimase molto impressionato da quanto esposto dall’artista, l’inglese Roger Penrose (1931). Questi inviò a Escher, poco tempo dopo, la copia di un articolo, scritto insieme al padre per una importante rivista inglese, che trattava di oggetti impossibili e rendeva omaggio all’ artista. L’ormai matematico ed artista d’eccellenza rimase impressionato da due illustrazioni presenti nell’articolo: una rappresentava una rampa di scale che portava verso il basso e verso l'alto in contemporanea e l’altra era un triangolo impossibile. Da notare che il triangolo impossibile era già stato

scoperto da un artista svedese Oskar Reutersvärd (1915/2002) nel 1934, senza che questi avesse cognizioni matematiche; questi scoprì che il triangolo impossibile potesse esistere solo come rappresentazione bidimensionale senza poter essere costruito nello spazio tridimensionale. Escher oltre ad esprimere stupore per le due illustrazioni, si mise al lavoro e realizzò diverse opere seguendo lo schema enunciato da Penrose. Una delle più emblematiche è “Salire e scendere” del 1960, dove figure umane semplificate, tutte uguali, salgono e scendono in continuazione una scala, inconsapevoli di percorrere un percorso chiuso trovandosi infatti in una costruzione paradossale, creando una illusione sia ai soggetti ritratti che allo spettatore.

Fig. 21 C.M.Escher, Salita e discesa, litografia, 1960,

"Le idee che stanno alla loro base derivano dalla mia ammirazione e dal mio stupore nei confronti delle leggi che regolano il mondo in cui viviamo. Chi si meraviglia di qualcosa si rende consapevole di tale meraviglia. Nel momento in cui sono aperto e sensibile nei confronti degli enigmi che ci circondano, considerando e analizzando le mie osservazioni, entro in contatto con la matematica. Anche se non ho avuto un'istruzione o conoscenze in scienze esatte, mi sento spesso più vicino ai matematici che ai miei colleghi artisti" (10) (M.C.Escher, Grafica e disegni, Taschen, Köln 1992, p. 6).

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