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4.3.6 Salvador Dalì ….………………………………….. pag

4.3.6 SALVADOR DALI’ Chi direbbe che quel visionario di Salvador Dalì (1904/1989) avesse studiato matematica per realizzare le sue opere? A tutto fanno pensare le sue straordinarie fantasie oniriche, tranne a ciò che di più razionale esiste al mondo. Ma tant’è, Dali studiò le regole stabilite nelle Leggi del Mondo e le esibiva sulle sue tele. Era amico di un matematico rumeno Matila Ghyka (1881/1965) che lo indusse a studiare il trattato di Pacioli sulla proporzione divina e l’opera geometrica di Durer; negli anni prese anche lezioni di geometria ed approfondì il tema della quarta dimensione con il matematico americano Thomas Banchoff (1938). I risultati dei suoi studi non si fecero attendere e sulle sue tele apparvero la rappresentazione dei suoi sogni regolati da precisi calcoli e proporzioni. Sono moltissime le opere in cui Dalì manifesta le sue conoscenze matematiche e geometriche, e la prima che mi preme prendere in esame è “La Leda atomica” del 1949: il dipinto fa riferimento alla figura mitologica di Leda, una donna amata da Zeus, che nel dipinto è incastonata con un cigno in un pentagono pitagorico, al cui interno è stata inserita una stella a cinque punte (di cui Dalí ha realizzato diversi schizzi), i cui vertici simboleggiano i semi della perfezione: amore, ordine, luce (verità), forza di volontà e parola (azione). Il dipinto è quindi organizzato nel rispetto della più accurata proporzione aurea, che dona all’opera stessa quell’armonia tanto ricercata da Dalì, che riteneva che qualsiasi opera d'arte, per essere tale, dovesse essere basata sulla composizione e sul calcolo. “Leda atomica” fu eseguita dopo lo sgancio della bomba atomica di Hiroshima, ed allude al fascino che Dalì subiva per un’era atomica, da lui intesa come un tempo in cui le cose risultano sospese a causa della repulsione tra protoni ed elettroni. Si nota quindi l’interesse di Dalì anche per le teorie fisiche-matematiche da pochi anni in essere.

Fig. 31 S.Dalì, Schizzo per il dipinto Leda Atomica, 1949

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Un altro dipinto fondamentale a dimostrazione del vivo interesse di Dalì per la Matematica è “Crocifissione, corpo ipercubico” del 1954, che è la rappresentazione di una crocifissione del Cristo su una croce impossibile da vedere per noi bloccati nella terza dimensione. Si parte da un punto, dimensione “zero”, come Euclide ci insegnò (“Punto è ciò che non ha parti”), per aggiungerne un altro e trovarsi nella dimensione “uno” (la retta); ipotizzando poi una dimensione superiore si giunge alla “seconda” nella quale un segmento genera un quadrato e di seguito alla “terza” dove si genera un cubo per trovarsi nel mondo conosciuto. Chi può impedire di andare oltre? A Dalì interessò continuare la ricerca per conoscere anche la “quarta” dimensione ed ipotizzò questo mondo misterioso dove il cubo tridimensionale per continuità genera un ipercubo di dimensione “quattro” che ha 8 cubi come “facce” e che si può vedere come un ipercubo quadridimensionale (4D) "aperto" in 3D. La fantasia non manca agli artisti e nemmeno ai matematici, quindi Dalì, avendo compiuto i suoi studi sulla “quarta dimensione” col professore americano si lanciò nell’avventura pittorica di esprimerla sulla tela, dimostrando la sua indiscussa abilità pittorica e le sue competenze in campo matematico che il titolo dell’opera rivela. Non più solo, dunque, un Cristo che si manifesta in altri mondi, idea che fece condannare Giordano Bruno, ma un Cristo redentore in un mondo a multiple dimensioni.

Fig. 32 S.Dali, Corpus Hypercubus, 1954, olio su tela 194,4 x 123,9 cm., The Metropolitan Museum of Art, New York,

Un altro dipinto significativo che offre richiami alla quarta dimensione è “Ultima Cena” realizzato nel 1955, nel quale Dalì ripropone la scena, simile a quella di Leonardo da Vinci, incastonata però dentro un dodecaedro regolare. Oltre alla esecuzione perfetta, all’atmosfera mistica che esprime, il quadro è intriso di matematica e simboli: lo studio prospettico è ineccepibile, 12 sono gli Apostoli come 12 sono le facce pentagonali del dodecaedro emblema platonico della perfezione dell’Universo. Il numero, però che maggiormente risalta dalla tela è Φ, il magico numero 1,6180339887..., (rapporto aureo) che viene profuso in ogni parte del quadro, in ogni rapporto che lega il lato del pentagono al cerchio circoscritto, in ogni piega della tovaglia, anche nelle dimensioni della tela stessa (167×268 cm ). La figura del Cristo immersa nella struttura matematica del dipinto è proiettata da una vita terrena a tre dimensioni a quella più elevata a quattro o più dimensioni, tante quante Dalì ne ha saputo “vedere” e vivere attraverso lo studio delle Leggi matematiche e la conduzione della sua intensa poliedrica vita.

Fig. 33 S.Dali, Ultima Cena, 1955, olio su tela 2,67 x 1,67 m., National Gallery of Art di Washingto

Ma della “Quarta dimensione” si occuparono, ben prima di Dalì, anche i futuristi ed i cubisti tutti, che nella loro compagine avevano un matematico che iniziò i pittori del movimento a raccogliersi intorno alle nuove scoperte di inizio secolo: Maurice Princet (1875/1973). Questi fece conoscere agli artisti del gruppo le teorie di Poincaré che esprimevano il concetto di “quarta dimensione”, che nel 1903 furono rese più accessibili e comprensibili da un piccolo elementare trattato redatto da un altro matematico Esprit Jouffret (1837/1904) dal titolo “Traité élémentaire de géométrie à quatre dimension” (Trattato elementare sulla geometria delle quattro dimensioni). L’autore descrisse e disegnò ipercubi ed altri poliedri complessi in quattro dimensioni “proiettandoli” sulle pagine bidimensionali del suo testo. Guillaume

Apollinaire (1880-1918), il teorico del movimento cubista, scrisse, prima in un articolo in una rivista parigina, e poi nel suo libro del 1913 “I pittori cubisti. Meditazioni estetiche”, il manifesto del Cubismo stesso :

“Sinora le tre dimensioni della geometria euclidea hanno soddisfatto l’inquietudine che il sentimento dell’infinito suscita nei grandi artisti. I nuovi pittori non si sono certo proposti, più degli antichi, di essere geometri. Ma si può dire che la geometria è per le arti plastiche ciò che la grammatica è per l’arte dello scrittore. Oggi gli scienziati non si attengono più alle tre dimensioni euclidee. I pittori sono stati portati naturalmente, e per così dire intuitivamente, a preoccuparsi delle nuove possibilità di misurare lo spazio che, nel linguaggio figurativo dei moderni, sono indicate con il termine di quarta dimensione”. (14)

Ancor prima della pubblicazione del testo di Esprit Jouffret e sicuramente dopo, tutti i pittori della cerchia cubista eseguiranno le loro opere avendo ben in testa e nella punta del pennello la volontà di proporre una vera esperienza di quarta dimensione. Fra tutti “Ritratto di Ambroise Vallart” del 1910 di Picasso che dichiarerà voler espressamente rappresentare la 4° dimensione in questa sua opera e “Nudo che scende le scale n.2” di Marcel Duchamp del 1912.

Fig. 34 M.Duchamp, Nudo che scende le scale, 1912, olio su tela 147×89,2 cm, Philadelphia Museum of Art

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