Patto, ascolto, relazione. Perché educare è sempre un atto di speranza Azioni e riflessioni sul Global Compact on Education di Papa Francesco
Le voci dell’Università Cattolica
© 2020 per i contenuti Università Cattolica del Sacro Cuore Largo A. Gemelli, 1 - 20123 Milano a cura della Funzione Comunicazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore Edizione a cura di EDUCatt - Ente per il Diritto allo Studio Universitario dell’Università Cattolica Largo Gemelli 1, 20123 Milano | web: www.educatt.it/libri | tel. 02.7234.22.35 e-mail: editoriale.dsu@educatt.it (produzione) | librario.dsu@educatt.it (distribuzione) Associato all’AIE – Associazione Italiana Editori ISBN: 978-88-9335-763-0 Stampa: Tiber SpA - Brescia Questo volume è stato composto con i caratteri Salzburg, Quebec, Jenson e Pastonchi, e stampato nel mese di dicembre 2020.
Videomessaggio del Santo Padre in occasione dell’incontro promosso e organizzato dalla Congregazione per l’educazione cattolica: “Global Compact on Education. Together to Look Beyond http://www.vatican.va/content/francesco/it/messages/pont-messages/2020/documents/papa-francesco_20201015_videomessaggio-global-compact.html
Sommario 4
Introduzione di Agostino Picicco
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Prefazione di Domenico Simeone
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Una rete per l’educazione contro il pensiero breve di Vincenzo Buonomo
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L’educazione è più della scuola. Chiama in causa tutta la comunità di Pierpaolo Triani
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I media sono le strade e le piazze dell’educazione di Maria Grazia Fanchi
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Europa e diritto all’educazione: la lezione che ci viene da Africa e Arabia di Francesco Bestagno
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L’incontro tra culture per una pace positiva e uno sviluppo sostenibile di Riccardo Redaelli
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La nuova economia di Francesco contro la catastrofe educativa di Raul Caruso
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Una famiglia che sappia essere generativa anche oltre i propri confini di Camillo Regalia
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Un patto educativo per e con i giovani basato sulla reciproca capacità di ascoltarsi di Monica Amadini
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Cittadinanza ecologica sotto un unico Cielo, sopra un’unica terra di Simona Sandrini
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La storia di Hany, fuggito dalla Siria sotto le bombe col suo diploma, ci dice che davvero educare è sempre un atto di speranza di Paolo Gomarasca
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Le voci dell’Università Cattolica
Introduzione Fraternità e sviluppo, l’Università Cattolica protagonista del Global Compact on Education di Agostino Picicco*1
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n un intervento del 12 settembre 2019 Papa Francesco invitava a “dialogare sul modo in cui stiamo costruendo il futuro del pianeta e sulla necessità di investire i talenti di tutti, perché ogni cambiamento ha bisogno di un cammino educativo per far maturare una nuova solidarietà universale e una società più accogliente”. A tal fine esprimeva il desiderio di promuovere un evento mondiale, previsto nella giornata del 14 maggio 2020, poi rinviato a causa della pandemia al 15 ottobre 2020, inteso come un incontro finalizzato a rilanciare l’impegno di tutte le componenti della società per un patto educativo globale. Il 15 ottobre il Papa, nel videomessaggio proposto nell’Aula Magna della Pontificia Università Lateranense, ha ribadito che “le necessarie misure sanitarie saranno insufficienti se non verranno accompagnate da un nuovo modello culturale”. Notevoli gli altri spunti offerti: l’educazione come una delle vie più efficaci per umanizzare il mondo e la storia, l’educazione come una questione di amore e di responsabilità, naturale antidoto alla cultura individualistica. Per realizzare l’appello del Papa la Congregazione per l’educazione cattolica della Santa Sede ha individuato quattro aree tematiche per approfondire i contenuti e aprire piste di riflessione: a) dignità e diritti umani; b) pace e cittadinanza; c) ecologia integrale; d) fraternità e sviluppo. Per ognuna di queste aree è stata mobilitata una rete di università per promuovere i progetti. Quattro le università capofila individuate: per dignità e diritti umani, l’Università Notre Dame degli Stati Uniti d’America; per pace e cittadinanza, la Pontificia Università Lateranense; per ecologia integrale, e la Pontificia Universidad Javeriana di Bogotà; per fraternità e sviluppo, la nostra Università Cattolica del Sacro Cuore. Il coordinamento è curato dall’Università Lumsa di Roma. Per aderire all’invito del Papa, l’Università Cattolica ha istituito l’Osservatorio per l’Educazione e guidato dal professor Domenico Simeone, e preside della facoltà e la Cooperazione internazionale, di Scienze della Formazione, come annunciato dal rettore Franco Anelli, durante l’incontro del 15 ottobre. Il Rettore ha fatto anche presente che tale Osservatorio va ad aggiungersi all’attività di altre strutture della Cattolica (Centro di Ateneo per la Solidarietà Internazionale, Centro di Ateneo per la Dottrina sociale della Chiesa, Alta Scuola per l’Ambiente) che da tempo, attraverso uno “sforzo multidisciplinare”, si occupano di temi educativi in linea con quanto auspicato dalla Laudato si’,’ che invita a collaborare per custodire la “nostra casa comune”. Ma l’intero Ateneo è attivo nel lavoro quotidiano sul fronte educativo con le nuove generazioni e con l’attenzione a una pedagogia della cooperazione internazionale basata sull’etica della responsabilità e sul principio di solidarietà, alla luce della Dottrina Sociale della Chiesa, consapevoli che “educare è sempre un atto di speranza”, come ha affermato il Papa: una speranza di bellezza, di bontà, una speranza di armonia sociale che chiama in causa gli uomini di cultura. Per questo proponiamo le riflessioni interdisciplinari di alcuni nostri docenti, in linea con l’invito del Papa: guardare avanti insieme “per costruire una civiltà dell’armonia dove non vi sia posto per la cattiva pandemia della cultura dello scarto”.
Funzione Comunicazione, relazioni pubbliche e attività promozionali dell’Università Cattolica
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Patto, ascolto, relazione. Perché educare è sempre un atto di speranza
Prefazione La nostra risposta al patto educativo globale di Papa Francesco di Domenico Simeone*
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n patto educativo globale. È quello che propone Papa Francesco, nella consapevolezza “che si deve imprimere una svolta al nostro modello di sviluppo”1. La situazione di emergenza sanitaria che stiamo vivendo ha reso ancora più evidenti le contraddizioni del contesto sociale in cui viviamo e sempre più urgente la necessità di recuperare l’educazione come atto di speranza, “una delle vie più efficaci per umanizzare il mondo e la storia” e “naturale antidoto alla cultura individualista”2. L’appello a costruire il Patto Educativo Globale non potrebbe essersi rilevato più urgente. Il nostro mondo in rapido cambiamento deve affrontare sfide importanti – dall’accelerazione tecnologica al cambiamento climatico, ai conflitti, alle migrazioni, a fenomeni di intolleranza e odio – che potrebbero ampliare ulteriormente le disuguaglianze e che potrebbero avere un impatto molto rilevante nei decenni a venire. Per questo “mai come ora, c’è bisogno di unire gli sforzi in un’ampia alleanza educativa per formare persone mature, capaci di superare frammentazioni e contrapposizioni e ricostruire il tessuto di relazioni per un’umanità più fraterna”3. Le opportunità educative continuano a essere distribuite in modo diseguale nel mondo. Secondo recenti stime Unesco4, ancora prima della pandemia Covid-19, circa il 17% dei bambini, adolescenti e giovani di tutto il mondo era completamente escluso dall’istruzione. Oggi più che mai abbiamo la responsabilità collettiva di sostenere le persone più vulnerabili, contribuendo a ridurre le disuguaglianze sociali, culturali ed economiche che minacciano l’intera comunità umana. Nel suo appello per la costituzione di un’alleanza educativa globale, il Papa ci ricorda che è necessario trovare nuovi modi di intendere l’economia, la crescita e il progresso. Tuttavia, ogni cambiamento richiede che al tempo stesso venga costruito un cammino educativo, grazie al quale formare persone capaci di vivere nella società e per la società, disponibili a mettersi al servizio della comunità. Si tratta di un’educazione che permetta una comprensione più ampia e profonda della realtà, che educhi alla solidarietà universale e a un nuovo umanesimo. L’invito è a rinnovare la passione per un’educazione più aperta e inclusiva, capace di ascolto paziente, dialogo costruttivo e mutua comprensione. Occorre formare persone mature, capaci di superare frammentazioni e contrapposizioni e ricostruire il tessuto di relazioni per un’umanità più fraterna.
Preside della Facoltà di Scienze della Formazione, direttore dell’Osservatorio per l’Educazione e la Cooperazione internazionale 1 Videomessaggio del Santo Padre in occasione dell’incontro promosso e organizzato dalla Congregazione per l’educazione cattolica “Global Compact on Education. Together to look beyond”, Aula Magna della Pontificia Università Lateranense, giovedì 15 ottobre 2020. 2 Ibid. 3 Papa Francesco, Messaggio per il lancio del patto educativo, Città del Vaticano, 12 settembre 2019. 4 Unesco. (2020). Inclusion and Education: All means all. Global Education Monitoring Report. Parigi, Unesco.
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Le voci dell’Università Cattolica
In questa prospettiva il nostro Ateneo ha promosso l’istituzione di un Osservatorio sull’educazione e la cooperazione internazionale che intende favorire la collaborazione tra università, centri di ricerca e organismi internazionali per promuovere studi, ricerche, attività formative e pubblicazioni sull’educazione e la cooperazione internazionale, sviluppando nuovi strumenti di analisi e di indagine che consentano la fondazione di una pedagogia della cooperazione internazionale basata sull’etica della responsabilità e sul principio di solidarietà, alla luce della Dottrina Sociale della Chiesa. L’alleanza educativa auspicata da Papa Francesco rappresenta la possibilità di mettere in campo un nuovo modello di cooperazione tra i Paesi e i popoli del mondo per avviare processi di trasformazione, per costruire quel villaggio dell’educazione dove, nell’incontro tra le generazioni e le culture, ci si possa educare a un nuovo umanesimo.
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Patto, ascolto, relazione. Perché educare è sempre un atto di speranza
Una rete per l’educazione contro il pensiero breve di Vincenzo Buonomo*1
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ealizzare i modi per “costruire insieme un futuro di pace”, è uno dei punti concreti dell’itinerario tracciato da Papa Francesco nel Patto educativo globale, perché il cammino pedagogico operi nel ricostruire scenari di convivenza capaci di armonizzare le iniziative e le pratiche che parlano di pace attraverso il disarmo, la sicurezza, la transizione post-conflitto. E allo stesso modo si impegni nella ricerca di quanto ostacola la pace, delle cause proprie, marcate dal sottosviluppo, dalla crisi ecologica, dalla mancata tutela dei diritti fondamentali. Da questa indicazione l’Università Lateranense ha tracciato una strategia per “fare rete”, per coordinare, cioè, attività future orientate a unire centri e istituzioni accademiche pronte a condividere il valore del Patto e trasformarlo in altrettante proposte di formazione e di ricerca. Costruire una rete che si ritrova nel fare dell’educazione uno strumento per garantire continuità alle visioni culturali, alle prospettive di e immaginato in pochi e pensiero e alla trasmissione dei valori. Anche per rispondere a quel pensiero breve, sintetici caratteri, che sembra raccogliere più seguaci del pensiero debole del post-moderno. Sul versante propriamente accademico questo significa l’elaborazione di percorsi formativi integrati per lo studio delle teorie e degli strumenti d’intervento capaci di concorrere all’affermarsi di una cultura della pacee che è la risultante della convergenza di mezzi, elementi, metodi, nozioni e percorsi per prevenire e risolvere conflitti. Per chi guarda la realtà attraverso i canali della vita internazionale, spiccano la funzione delle istituzioni di promozione e formazione alla pace, come pure la descrizione di segni sempre più concreti di dialogo che si conferma strumento per superare i confronti più difficili, per arginare e superare conflitti anche atavici. La convinzione è che le situazioni concrete non consentono di ignorare le diversità fatte di persone con le loro visioni, principi, vincoli, linguaggi, norme, interpretazioni. E questo è possibile solo se si pone la pace a conclusione di un cammino rispettoso della dignità umana e delle situazioni che da essa sgorgano, con pazienza, non spezzando mai quel filo, anche sottile, costruito e con il quale anche la diversità diventa la strada per guardare al futuro, avendo coscienza del passato. Senza fermarsi, ma piuttosto avviando processi e rispondendo alle sfide. Come è tipico della dimensione universitaria, alla prospettiva didattico-formativa si affiancano i percorsi di ricerca, dell’analisi scientifica e dell’interazione. In questa linea si colloca la già avviata collaborazione con la United Nations University for Peace, e quale organismo specializzato dell’Onu per la formazione di personale a servizio delle missioni di pace e delle attività di prevenzione e soluzione dei conflitti, con la sua rete di istituzioni accademiche cooperanti e la definizione dei primi progetti di studio e ricerca. Alla luce del Patto, si tratta di prospettare non solo soluzioni di ordine tecnico, diplomatico, giuridico o istituzionale, ma di concorrere a definire un metodo della pace, e come categoria risolutiva delle dinamiche di conflitto che caratterizzano la contemporanea fase delle relazioni internazionali e della vita della famiglia umana. Viene incontro lo strumento del dialogo come valore capace di trasformarsi in solidarietà, reciprocità, comunità, comunione di obiettivi. Nel contesto della pace significa recuperare quella reciprocità organica che è propria della comunità a tutti i livelli (famiglia, nazione, gruppo religioso), superando però due pericoli di fondo: la spinta a non riconoscere l’autonomia dei singoli che viene diluita nella dimensione del gruppo e la chiusura verso l’esterno a cui è facile legare le forme più diverse di individualismo, come espressione di singoli e di gruppi. Rettore della Pontificia Università Lateranense in Roma
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L’educazione è più della scuola. Chiama in causa tutta la comunità di Pierpaolo Triani*1
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uando si parla di educazione, occorre prendere una posizione. Se, infatti, è facile essere d’accordo sul fatto che la pratica educativa sia un fattore imprescindibile per lo sviluppo dei singoli e delle culture, occorre tuttavia chiedersi: a quale educazione stiamo pensando? Quando Papa Francesco ci chiede di moltiplicare gli sforzi per costruire un patto educativo globale, verso quale direzione chiede di muoverci? Abbiamo bisogno di un’educazione che abbia a cuore lo sviluppo integrale della persona; che non abbia come fine l’imporre ad un soggetto una forma predefinita, o semplicemente intenda istruirlo per svolgere determinate mansioni; che non riduca l’educare a controllo, oppure, dall’altro lato a semplice facilitazione dell’espressività. Il senso più profondo dell’educazione, infatti, sta nel promuovere in ciascuno il compimento della sua umanità, lo sviluppo della sua libertà e responsabilità, coltivando in ogni persona le sue risorse personali e consegnando ad essa ragioni profonde per vivere. Scrive a questo proposito Papa Francesco in Amoris Laetitia: “L’educazione comporta il compito di promuovere libertà responsabili che nei punti di incrocio sappiano scegliere con buon senso e intelligenza; persone che comprendano senza riserve che la loro vita e quella della comunità è nelle loro mani e che libertà è un dono immenso” (n. 262). C’è bisogno, perciò, di un’educazione “umanizzante”, attenta a far crescere in ogni persona la consapevolezza della propria dignità di essere umano, e soprattutto dei diritti e dei doveri che questo comporta. Far crescere in umanità, per riprendere il pensiero di Jacques Maritain, significa coltivare in ogni generazione, l’amore per la vita, l’amore verso la verità e la giustizia, il senso del lavoro ben fatto e della cooperazione. Lo sviluppo economico, tecnologico, scientifico non è solo questione di risorse e di tecniche, ma di persone “esperte in umanità”, capaci di porre la propria intelligenza, creatività, abilità a servizio del bene di tutti. L’educazione della persona nella sua integralità è così lo strumento più importante che abbiamo per cercare di costruire e coltivare contesti di vita dove l’interazione umana sia segnata dal dialogo, dal rispetto, dalla ricerca della pace e della giustizia. Abbiamo bisogno di un’educazione cha raggiunga tutti. I numeri al riguardo sono ancora impietosi, se si considera che almeno 60 milioni di bambini al mondo, soprattutto femmine, stanno crescendo senza istruzione. La pandemia che stiamo vivendo purtroppo peggiorerà questa situazione. Occorre, perciò, al riguardo innalzare la collaborazione per rendere davvero la scuola accessibile a ogni bambino, e soprattutto perché sia una scuola davvero liberatrice. Sarebbe un errore tuttavia far coincidere l’impegno educativo con il potenziamento del sistema scolastico. L’educazione è ben di più; è la promozione della crescita delle persone che comporta la partecipazione, in forme diverse, di tutta la comunità. È questo il senso di un patto educativo globale: richiamare il fatto che tutti siamo in gioco nell’impegno educativo e ricordare che ciascuno può concorrere a coltivare nelle nuove generazioni uno sguardo costruttivo nel presente e per il futuro.
Docente di Pedagogia alla Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università Cattolica, dirige il Centro studi per l’Educazione alla legalità del campus di Brescia
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Patto, ascolto, relazione. Perché educare è sempre un atto di speranza
Una società che delegasse l’azione educativa soltanto a istituzioni e figure specializzate sarebbe destinata a impoverirsi dal punto di vista sociale e valoriale. Come una madre e un padre crescono nella loro capacità genitoriale prendendosi cura dei figli, il tessuto sociale cresce in umanità nella misura in cui continua ad avere a cuore la crescita delle nuove generazioni. Si potrebbe perciò dire che impariamo a essere più uomini educando.
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I media sono le strade e le piazze dell’educazione di Maria Grazia Fanchi*1
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ducare alla comunicazione e all’uso dei media non è mai stato più difficile. La crescita esponenziale degli strumenti di comunicazione, la rapidità con cui evolvono e, insieme, la rilevanza che essi rivestono nelle nostre vite e nell’esperienza quotidiana di ciascuno di noi rendono la formazione alla comunicazione un compito complesso e insieme ineludibile. Educare alla comunicazione e ai media, significa in particolare oggi raccogliere quattro sfide. La prima è quella di una formazione che sappia mettere in dialogo saperi diversi e guardare a tale differenza come a un’opportunità per comprendere “in modo più largo e più profondo la realtà”: psicologia e sociologia; lo studio dei linguaggi e la comprensione degli orizzonti legislativi, economici e politici in cui i media operano; arte ed estetica e insieme ingegneria, informatica e data sciences ciascuna disciplina con le proprie peculiarità, i propri punti di forza e i propri limiti, attraverso un confronto e uno scambio fra comunità scientifiche, che riproponga in piccolo quell’alleanza di conoscenze che il Papa ci invita a sottoscrivere con il Global Compact on Education. La seconda sfida è quella della formazione permanente. L’accelerazione del progresso tecnologico, il naturale avvicendarsi dei contenuti mediali, il cambiamento dei rapporti fra media e soggetti sociali rendono indispensabile l’aggiornamento continuo delle conoscenze. L’educazione ai media rappresenta un impegno costante, non solo per chi si sta preparando a operare come professionista nel mondo della comunicazione, ma anche per chi usa i media, perché essi siano, come possono essere, risorse per la crescita della persona e delle comunità e non pericoli, strumenti di manipolazione o di coercizione. La terza sfida è quella di combinare pensiero e pratica. Spesso si ritiene che una buona formazione nell’ambito della comunicazione sia quella che assicura le competenze più aggiornate, che insegna a usare gli strumenti di ultima generazione per creare, diffondere o valutare l’impatto dei contenuti mediali. Tutto questo è senz’altro necessario ma non può andare disgiunto dalla costruzione di un retroterra di saperi ampio, che tragga alimento dal nostro patrimonio culturale e di valori e che lo accresca, che fissi le coordinate teoretiche ed etiche del nostro agire, consentendoci di governare e non solo di assecondare i processi comunicativi, orientandoli al bene, alla pace e alla giustizia. Infine la formazione ai media deve essere inclusiva. Includere significa saper spingere lo sguardo oltre i confini del Primo Mondo e guardare ai Paesi Terzi, non come mercati da conquistare, ma come realtà con cui confrontarsi, in una prospettiva di autentica convergenza che riconosca il meglio che ciascuno può dare. Nell’ambito delle industrie mediali e creative il contributo all’innovazione, al miglioramento dell’informazione, al rinnovamento dei linguaggi e delle estetiche che questo dialogo, e nuovamente, questa alleanza possono dare è da tempo evidente.
Docente di Cinema, fotografia e televisione alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Cattolica, dirige l’Alta Scuola in Media Comunicazione e Spettacolo
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Patto, ascolto, relazione. Perché educare è sempre un atto di speranza
Ma la sfida dell’inclusione ha anche un secondo e non meno importante fronte che si esprime nella necessità di coinvolgere tutti i soggetti: indipendentemente dalla loro età (gli anziani devono avere le stesse opportunità di accesso e di comprensione dei media dei più giovani); indipendentemente dal sesso (le donne devono poter accedere ai percorsi di alta formazione che preparano alle professionali apicali nell’ambito delle industrie culturali e mediali al pari degli uomini); indipendentemente dal livello culturale (la formazione ai media deve diventare una materia che si insegna nelle scuole primarie e secondarie non solo in università); indipendentemente dal censo (tutti devono avere accesso ai media digitali ed essere messi nelle condizioni di usarli come strumenti per esercitare la propria cittadinanza attiva, con responsabilità). Il villaggio comune evocato da Papa Francesco nel suo discorso di lancio del Global Compact on Education deve poter trovare nei media la propria infrastruttura: i media possono e devono essere le sue strade e le sue piazze, i luoghi in cui ci si incontra, ci si confronta, si scambiano saperi e conoscenze. Formare alla comunicazione non è mai stato più difficile, si scriveva. Formare alla comunicazione non è mai stato più importante.
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Le voci dell’Università Cattolica
Europa e diritto all’educazione: la lezione che ci viene da Africa e Arabia di Francesco Bestagno*1
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e parole con cui il Santo Padre ha sollecitato l’adesione al Global Compact on Education evocano l’urgenza di promuovere il diritto all’educazione. Come si dirà, sia pure per sommi capi, la valenza anche giuridica del discorso del Papa si può cogliere notando la similarità dei termini impiegati, nonché dei concetti e dei valori in esso richiamati, rispetto a quanto si riscontra in alcuni tra i principali atti internazionali di tutela dei diritti umani. Il diritto all’educazione ha ricevuto una notevole attenzione negli ultimi anni a livello internazionale, e merita di essere sottolineato come, in varie aree del mondo, siano in vigore degli atti vincolanti, che definiscono precisi obblighi al riguardo in capo agli Stati contraenti. In questa prospettiva può essere interessante porre in luce varie affinità tra l’appello di Papa Francesco e alcune delle principali convenzioni regionali in materia di diritti fondamentali. Limitandoci in questa sede a un esame parziale, va notato innanzitutto il riconoscimento del valore fondamentale dell’educazione per la formazione integrale delle persone, che il discorso del Santo Padre rimarca con forza sotto più profili, in particolare con riferimento all’esigenza di formare individui maturi valorizzando le specificità di ciascuno. In quest’ottica, si può ricordare la Carta Africana sui diritti e il benessere del bambino, che colloca al primo posto tra i vari obiettivi dell’educazione “la promozione e lo sviluppo della personalità del bambino (…) nella sua piena potenzialità” (art. 11), nonché la Carta Araba dei diritti dell’uomo che dispone che lo scopo principale dell’educazione è “il pieno sviluppo della persona” (art. 41). Lo sviluppo della personalità dell’individuo, come ha ricordato il Santo Padre, deve però mirare anche a promuovere la capacità di essere in relazione con gli altri. Ciò trova riscontro, ad esempio, nella citata Carta Africana, che tra gli obiettivi dell’educazione pone la preparazione dei bambini a una vita responsabile nella società, nel rispetto e nel dialogo con tutti i gruppi etnici, tribali e religiosi. In una prospettiva non dissimile, la Carta Araba rimarca l’importanza del fatto che l’educazione promuova il rispetto da parte del singolo dei diritti e delle libertà fondamentali. Appare condivisa, del resto, l’idea che l’educazione e l’istruzione richiedano il coinvolgimento di più attori. Questo concetto è alla base dell’appello del Papa ad un Patto educativo che impegni non solo le istituzioni pubbliche e scolastiche, ma anche tutti gli altri soggetti che possono e devono partecipare ai processi educativi, a partire dalle famiglie. A questo riguardo si può ricordare che la Corte europea dei diritti dell’uomo ha da tempo affermato che la primaria responsabilità dell’educazione dei bambini è in capo ai genitori, e anzi che l’educazione costituisce un “dovere naturale verso i figli” (sentenza Kjeldsen, 1976). Di diritti e doveri dei genitori in relazione all’educazione della prole parla anche la Carta Africana sui diritti e il benessere del bambino (art. 11). I vari strumenti riconoscono, parallelamente, la libertà dei genitori di educare i figli secondo le proprie convinzioni religiose e morali (art. 30 Carta Araba; art. 2 Prot. 1 Conv. Europea; art. 11 Carta Africana; art. 12 Conv. interamericana).
Docente di Diritto dell’Unione Europea alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Cattolica, è Consigliere Giuridico presso la Rappresentanza Permanente d’Italia all’Unione Europea
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Patto, ascolto, relazione. Perché educare è sempre un atto di speranza
Merita infine di essere richiamata la preoccupazione del Pontefice per i rischi di esclusione dai percorsi educativi, specie per chi versa in una situazione di difficoltà economica o in altre condizioni di fragilità. In riferimento a questi rischi si apre il messaggio di cui parliamo, nel sottolinearne l’incremento per la contingente pandemia, che può portare a una “catastrofe educativa”. È una costante negli strumenti internazionali sui diritti umani il riferimento al carattere aperto e “accessibile” che l’istruzione deve avere, anche per chi appartiene alle categorie più vulnerabili sotto ogni punto di vista, proprio nello spirito di inclusione che emerge più volte nel messaggio del Santo Padre. Pur con le diverse declinazioni e sfumature che si rinvengono in vari testi internazionali, che sono il riflesso delle diverse sensibilità, culture e realtà sociali, il diritto all’educazione è inteso in larga misura con caratteri e finalità comuni nei testi stessi, che il discorso del Santo Padre tocca sotto più profili. In tale ottica le parole del Pontefice mostrano una chiara attitudine a rivolgersi alle “persone di buona volontà”, indipendentemente dalla propria formazione e cultura, nel quadro della vocazione universale del Global Compact on Education e della prospettiva dello sviluppo di un dialogo sul piano globale per la promozione dell’educazione.
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L’incontro tra culture per una pace positiva e uno sviluppo sostenibile di Riccardo Redaelli*1
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n un mondo così confuso, in cui le dinamiche politiche, socio-economiche, culturali, demografiche e ambientali inducono cambiamenti sempre più repentini all’interno del sistema internazionale, il ruolo della trasmissione della conoscenza e le sfide educative possono sembrare meno prioritarie rispetto a quelle securitarie o economiche. In fondo, dinanzi al desolante panorama di guerre civili e proxy wars, ai conflitti dichiarati o minacciati, ai colpi inferti dal terrorismo jihadista, alla redistribuzione del potere in corso a livello globale, alle sofferenze di decine di milioni di migranti – vuoi spinti dalle violenze vuoi dal bisogno –, alla pandemia che ci ha fatto riscoprire così vulnerabili, ebbene dinanzi a tutto ciò potremmo pensare che la comunità internazionale dovrebbe concentrare i suoi sforzi sulla sicurezza globale, sul peacebuildingg e sulla promozione dello sviluppo e dei diritti umani. Obiettivi certo cruciali ma che non possono essere raggiunti senza un impegno molto più incisivo per rafforzare il volano educativo negli strumenti della cooperazione internazionale. La trasmissione della conoscenza e lo sforzo educativo rappresentano infatti un pilastro, forse poco visibile, ma davvero portante di ogni progetto di lungo periodo che voglia favorire il raggiungimento di una pace positiva e di uno sviluppo sostenibile. Una semina costante e lenta, i cui effetti si vedono attraverso le generazioni ma che permette concretamente di far crescere dall’interno di ogni comunità un modo diverso di guardare al rapporto Noi/Altro, di lenire le ferite della storia, di promuovere uno sviluppo più bilanciato e maturo. Da molti anni, ormai, le agenzie internazionali dello sviluppo e i Paesi occidentali promuovono programmi educativi e di “knowledge transfer”, come spesso vengono chiamati. Per quanto utili e importanti, celano talora una visione dei meccanismi di cooperazione che può suonare paternalistica, allorché venga enfatizzato il “trasferimento” della conoscenza specialistica da noi alle regioni più povere. Al contrario, i frutti migliori che possono germogliare dall’impegno per l’istruzione e la diffusione della conoscenza sono sempre biunivoci. Il primo, forse il più importante, è quello di promuovere e favorire la conoscenza reciproca. Un obiettivo ancora molto lontano dall’essere raggiunto: basti pensare a quanto poco si conoscano reciprocamente le comunità che vivono lungo le due sponde del Mediterraneo, nonostante i lunghi secoli di scambi, contatti e scontri. Ma, e sembra ancor più grave, assistiamo a una scarsa conoscenza e addirittura alla mancanza di voglia di conoscersi, fra le comunità etno-religiose che convivono sullo stesso territorio. E che incredibilmente sono legate a visioni stereotipate dell’Altro. Da qui l’importanza di promuovere una riforma dei percorsi educativi e dei meccanismi di cooperazione in questo settore, che favorisca l’emergere di una conoscenza reciproca più consapevole e matura e che – accanto al “bagaglio” della conoscenza specialistica – diffonda una cultura del rispetto, della solidarietà, dello scambio che arricchisce e fa crescere reciprocamente. Imparando l’uno dall’altro. Da questo punto di vista, la chiesa cattolica, con il suo Docente di Geopolitica alla Facoltà di Scienze Politiche e Sociali dell’Università Cattolica, dirige il Centro di Ricerche sul Sistema Sud e il Mediterraneo Allargato (Crissma) dell’Ateneo
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Patto, ascolto, relazione. Perché educare è sempre un atto di speranza
patrimonio unico di scuole e centri educativi sparsi per tutto il globo, rispettati anche – e forse ancor di più – da milioni di frequentatori di altre religioni, può e deve essere parte integrante di questo sforzo mondiale. Con un’azione che si innesta da sempre nelle diverse culture, senza volerle prevaricare, ma favorendo la promozione di progetto educativo aperto all’interculturalità e al rispetto reciproco. Consapevoli che, per quanto lenta, la messa a dimora attenta di buoni semi darà sempre ottimi frutti.
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La nuova economia di Francesco contro la catastrofe educativa di Raul Caruso*
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apa Francesco con il Global Compact on Education ha proposto un’alleanza per riunire quanti nel mondo hanno a cuore l’educazione delle giovani generazioni. Un processo che metta al centro la persona, la sua dignità e che abbia a cuore il bene comune e la fraternità. Un’educazione, pertanto, che abbia tra i punti focali quello dell’accoglienza di tutti e in particolare dei più vulnerabili, per contribuire alla costruzione della pace. In questa prospettiva, Papa Francesco non fa altro che ribadire in maniera molto chiara alcuni degli obiettivi che ha evidenziato nell’enciclica Fratelli tutti, in particolare la rimozione di diseguaglianze e un nuovo modo di intendere la politica e l’economia. La lotta alle diseguaglianze, infatti, si basa in primo luogo sulle rimozioni degli ostacoli nell’accesso a un’educazione di qualità per le fasce più deboli della popolazione. Quest’ultima esigenza, peraltro, è divenuta decisamente più urgente a causa della situazione che si sta determinando per la pandemia di Covid-19 e che potrebbe escludere diversi milioni di bambini e adolescenti dai percorsi educativi non solo nei Paesi più poveri. In questo senso, l’allarme lanciato dal Santo Padre è che la permanenza della situazione pandemica stia aggravando le disparità già esistenti, allargando il gap tra Paesi ricchi e Paesi poveri e all’interno degli stessi Stati tra famiglie ricche e famiglie povere, a causa della chiusura forzata delle scuole e della mancata disponibilità di offerta didattica realizzata in maniera digitale. Che questo rappresenti un’emergenza globale è confermato dall’Unesco, secondo cui il 40% dei Paesi non hanno implementato politiche di supporto per le fasce della popolazione a rischio dal punto di vista della scolarizzazione. Inoltre, la necessità di porre rimedio alla “catastrofe educativa” in atto deve essere poi congiunta a un nuovo modo di considerare il ruolo dell’educazione. Gli obiettivi economici che dobbiamo porci quali prioritari – la gestione corretta dei beni comuni, la lotta alla fame, alle povertà e alle diseguaglianze – non possono che basarsi su una nuova educazione che abbia messo al centro la persona e la sua dignità. In questo approccio, l’impegno sull’educazione non può non essere considerato come uno dei temi fondanti di una solidarietà intergenerazionale che chiama tutti i membri di una società a svolgere il proprio ruolo. In questo senso, Papa Francesco è molto chiaro poiché definisce “infantile” l’idea secondo cui debbano essere solo i governi a svolgere un ruolo decisivo su questo piano. In questo spazio di corresponsabilità, il ruolo della società civile è essenziale poiché, in particolare al suo interno, si ritrovano le capacità e le attitudini a riconoscere e comprendere i bisogni di cui sono portatori i bambini e gli adolescenti. Questo spazio di corresponsabilità deve essere in grado di dare forma a nuovi processi che siano in grado di contribuire al benessere e all’armonia delle società. In tale prospettiva il principio di sussidiarietà è legato in maniera indissolubile al principio di solidarietà. Sono imperativi da cui non si può prescindere nella custodia della casa comune e nella costruzione della pace.
Docente di Politica economica alla Facoltà di Scienze Politiche e Sociali dell’Università Cattolica
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Patto, ascolto, relazione. Perché educare è sempre un atto di speranza
Una famiglia che sappia essere generativa anche oltre i propri confini di Camillo Regalia*1
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edere nella famiglia il primo e indispensabile soggetto educatore”. È l’invito e l’orizzonte entro cui la famiglia è chiamata da Papa Francesco a riproporsi e a rilanciarsi in questi tempi così difficili e oscuri. Oggi stiamo vivendo un periodo che sta mettendo fortemente alla prova la tenuta dei legami interpersonali e comunitari. I pericoli, le paure e le minacce che ci circondano ci possono portare a ripiegare su noi stessi, ad accentuare forme di difesa e di chiusura tanto comprensibili quanto alla lunga inefficaci e pericolose. Abbiamo bisogno di luoghi concreti e di relazioni che ridiano speranza e fiducia, innanzitutto a noi stessi, e la famiglia è il luogo originario della speranza umana. La famiglia, infatti, non ha soltanto una funzione riproduttiva, procreativa ma ne ha un’altra che la caratterizza in modo unico e speciale, quella generativa. La famiglia non solo dà la vita, bensì genera e rende umano ciò che da lei nasce. L’invito del Papa è, quindi, un’esortazione alla famiglia a diventare quella che è nella sua struttura fondante, ossia la realtà umana originaria in cui è possibile avviare e sostenere processi generativi capaci di valorizzare ogni suo membro, e aiutarlo nella piena realizzazione delle proprie potenzialità all’interno di una prospettiva autenticamente relazionale. La famiglia è il posto in cui, prima che in altri, il piccolo dell’uomo può fare esperienza della forza fondante delle relazioni e della dimensione affettiva dei legami. È in famiglia che le persone imparano che l’identità si struttura in relazione ai legami che la costituiscono. Ed è per questo che la famiglia è sia il luogo in cui mettersi alla prova sperimentando al contempo la possibilità di venire accolti per come si è, sia il luogo dell’assunzione di responsabilità, dei vincoli, dell’acquisizione e della trasmissione delle norme e dei valori. La famiglia è il primo soggetto educatore perché è al suo interno che si comincia a comprendere ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, in cui si può imparare a essere riconoscenti, ad amare le persone per come sono, a prendersi cura degli altri, in particolare delle persone più fragili. In famiglia si viene al mondo e si impara a stare nel mondo insieme agli altri, e si scopre che la libertà di ciascuno non può prescindere da quella delle altre persone. Sono note e numerose le trasformazioni che hanno negli anni caratterizzato la famiglia. È esperienza comune osservare uno sbilanciamento sul piano degli affetti a discapito di quello etico e la difficoltà di molti genitori a stabilire chiari obiettivi educativi. La deriva individualista della nostra società spinge, poi, sempre di più la famiglia a circoscrivere il suo ambito di azione e di generatività solo al suo interno, quasi in contrapposizione con il mondo sociale. Una famiglia che educa non può ripiegarsi al suo interno ma è chiamata ad allargare lo sguardo oltre i suoi confini, a declinare la sua spinta generativa anche in termini sociali, nei confronti degli altri e della società nel suo complesso. Ciò significa che la sfida dell’educazione per le famiglie non è mai portata a termine una volta per tutte, ma deve essere costantemente rinnovata, oggi più che mai. C’è un aspetto della realtà familiare che ha un valore educativo particolare per il mondo contemporaneo. La famiglia è un intreccio di persone e di generazioni che affondano le loro raDocente di Psicologia sociale della famiglia alla Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università Cattolica, dirige il Centro di Ateneo di Studi e Ricerche sulla Famiglia
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dici nel tempo. Oggi rischiamo di perdere la memoria di quello che siamo, coinvolti e immersi in un mondo accelerato, che brucia il presente incessantemente proiettato verso il futuro. La famiglia ci ricorda che noi siamo il prodotto di una storia che ci precede e che a ciascuno è dato il compito di riconoscere e rinnovare questa storia, che ci appartiene ma che anche ci trascende. La memoria che la famiglia ci consegna ed è chiamata a custodire diventa così l’antidoto più forte al rischio di autoreferenzialità e individualismo così diffuso nella nostra epoca.
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Patto, ascolto, relazione. Perché educare è sempre un atto di speranza
Un patto educativo per e con i giovani basato sulla reciproca capacità di ascoltarsi di Monica Amadini*1
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el videomessaggio in occasione del Global Compact on Education, papa Francesco chiede di sottoscrivere un patto educativo globale “per” e “con” le giovani generazioni: non possiamo sottrarre loro speranza, futuro, pace. Incomprensioni e dissensi, chiusure e silenzi non possono essere i tratti distintivi degli scenari intergenerazionali odierni. Da un lato, non possiamo disperdere l’eredità di valori e la matrice di senso che transita attraverso i legami intergenerazionali; ma, dall’altro, non possiamo nemmeno ignorare la forza trasformativa insita nelle nuove generazioni. Anzi, dobbiamo infondere in loro speranza, contrastando il senso d’indifferenza e d’impotenza che spesso le attanaglia. La costruzione dell’identità non è indipendente dalle eredità e dalle appartenenze, ossia da un legame con chi ci precede e dà radici alla nostra storia. Tuttavia, situarsi in un“noi” dischiude anche processi di differenziazione, tra fedeltà e cambiamento. I ragazzi e le ragazze di oggi, in altri termini, non sono solo “dentro” la storia, ma devono anche avere il diritto di produrre in prima persona la propria storia e quella dell’umanità: è in questo modo che il mondo si trasforma. Ogni nuova generazione introduce l’inaspettato e l’imprevisto, rompe la continuità portando la novità della propria presenza in un mondo già esistente, ma non per questo già compiuto. “Le nostre speranze sono riposte sempre nella novità di cui ogni generazione è apportatrice”, ammonisce Hannah Arendt (Tra passato e futuro, trad. dall’inglese, Garzanti, Milano 2001, pp. 250-251). L’educazione ha il preciso compito di conservare proprio “quanto c’è di nuovo e rivoluzionario” in chi si affaccia alla vita. Oggi le giovani generazioni risultano certamente più esposte all’incertezza dei riferimenti, all’ambivalenza e all’imprevedibilità dei modelli, per ragioni di varia natura, tra cui anche i drammatici problemi epocali. Tuttavia, l’impoverimento del tessuto etico-morale e religioso trova origine anche in una lacerazione del legame intergenerazionale. Laddove si trasmettono solo risposte parziali e provvisorie rispetto alla ricerca di senso, si continua a procedere senza punti di riferimento. È quindi indispensabile impegnarsi per la costruzione di un rinnovato patto educativo, capace di mediare i significati del singolo con quelli della collettività, dei padri con quelli dei figli. Dobbiamo metterci alla ricerca di approcci educativi che avvicinino e tengano insieme, capaci di assumere una rilevanza esistenziale ed essere strettamente connessi con l’impegno di vivere-la-vita. Gli adulti sono chiamati a rendere partecipi le giovani generazioni delle risposte che hanno dato alle domande profonde della vita. Un’attenzione specifica va, quindi, riservata a uno stile partecipativo e a un dialogo che scaturisce dal terreno dell’esperienza, accettando la fatica (e il rischio) di dare nome e storia, cuore e corpo, alle ragioni delle nuove generazioni e alle risposte che sanno dare alla propria ricerca di senso. Quello che viene a profilarsi, pertanto, è un patto che si fonda non solo sulla possibilità di essere ascoltati dai giovani ma anche sulla necessità di ascoltarli. Solo le comunità attente e pronte a recepire le istanze di senso dei giovani sanno testimoniare una presenza responsabile; e sanno rinnovarsi al tempo stesso. Le eredità possono conoscere nuove attualizzazioni soltanto se si genera una ricerca aperta e condivisa, ammettendo una certa dose d’incertezza ma anche di novità, attraverso il dialogo e l’ascolto reciproco. Docente di Pedagogia generale alla Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università Cattolica
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Cittadinanza ecologica sotto un unico Cielo, sopra un’unica terra di Simona Sandrini*1
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enciclica Laudato si’ di Papa Francesco fa appello all’educazione per creare una cittadinanza ecologica e recuperare i suoi diversi livelli di equilibrio: quello interiore con se stessi, quello solidale con gli altri, quello naturale con tutti gli esseri viventi, quello spirituale con Dio. L’iniziativa del Global Compact on Education va in questa direzione. “C’è bisogno di unire gli sforzi in un’ampia alleanza educativa per formare persone mature, capaci di superare frammentazioni e contrapposizioni e ricostruire il tessuto di relazioni per un’umanità più fraterna. […] Ogni cambiamento, però, ha bisogno di un cammino educativo che coinvolga tutti. Per questo è necessario costruire un villaggio dell’educazione […] un’alleanza tra gli abitanti della Terra e la casa comune, alla quale dobbiamo cura e rispetto”. Odio sociale e cambiamenti climatici, discriminazioni economiche e cultura dello spreco sono alcuni dei sintomi dell’allontanamento dell’umano dalla sua natura autenticamente relazionale: cosa tra le cose, se non discerne l’alterità come l’unica via di felicità e di crescita, di compassione gioiosa. Movimenti giovanili per la sostenibilità e comunità solidali in pandemia, cooperazione internazionale e sobrietà nei consumi domestici sono tentativi coraggiosi di rimettere al centro dei paradigmi culturali e dei modelli socio-economici il valore della cura condivisa della “casa comune”. Come sostenere nell’agenda educativa questa trasformazione che è l’unica possibilità di uno scenario futuro non catastrofico? Parlare di cittadinanza ecologica significa fare appello alla libertà: ogni persona che viva una profonda liberazione interiore acquisisce maggiore sensibilità verso il grido della propria povertà, di quella degli altri e della Terra. Indaga il bello e il bene, ne promuove personalmente la vitalità, locale e globale. Rifugge le frammentazioni della realtà, svincolandosi da lacci materiali e immateriali che semplificano banalmente la propria esistenza. Non si sente disorientato o minacciato davanti alle diversità, al contrario prova ad abitare insieme “sotto un unico Cielo” e “sopra un’unica terra”. L’educazione può accendere una scintilla interiore di riconoscenza. Per questo l’appello del Pontefice per le nuove generazioni è essenziale: facciamo in modo che ogni bambino e bambina abbia l’opportunità educativa di affinare questa sensibilità ecologica, perché l’apertura formativa di ogni giovane si esprima in processi di rinnovamento socio-economico e ambientale nel segno dell’equità. La famiglia umana, “è un’esperienza fragile e complessa – e per questo ricca – che mette in gioco non le idee, ma le persone” (Amoris Laetitia). La qualità relazionale necessita di essere messa al centro dell’impegno formativo perché la si incontri “corpo a corpo” e, conosciuta personalmente, la si persegua con creatività e sentimento. L’Università, con i suoi professori, i ricercatori e il personale amministrativo che prestano servizio ai giovani, è un Villaggio educativo in cui sperimentare relazioni aperte e reciproche, Assegnista di ricerca dell’Alta Scuola per l’Ambiente e referente dell’area mobilità sostenibile
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tese alla collaborazione umana e scientifica, nel quotidiano lavoro di studio dei modelli di pensiero che si fanno competenze. Una corale comunione di intenti transdisciplinari per immaginare un futuro più prossimo e creare attraverso i giovani un ponte verso la società civile. Ambire a una cittadinanza ecologica è significare educativamente il presente, dedicandosi ai fini che guidano la formazione dei giovani oltre che ai mezzi atti a realizzarla.
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La storia di Hany, fuggito dalla Siria sotto le bombe col suo diploma, ci dice che davvero educare è sempre un atto di speranza di Paolo Gomarasca*
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ual è stata la cosa più importante che hai portato via con te, mentre le bombe esplodevano nella tua città e le bande armate si stavano avvicinando?”. È la domanda che Melissa Fleming, portavoce dell’agenzia Onu per i rifugiati, ha rivolto ad Hany, un ragazzo siriano che, nel 2012, da un giorno all’altro, ha capito di non avere più tempo: doveva abbandonare tutto, perché l’oscurità della violenza aveva già raggiunto la sua famiglia. È scappato in Libano, raggiungendo un milione di sopravvissuti che, come lui, hanno provato a lasciarsi alle spalle l’orrore. E noi fantastichiamo che, in una situazione così drammatica, se per caso quella domanda ci venisse rivolta, a mo’ di esperimento mentale, la nostra scelta cadrebbe su qualcosa di essenziale per la sopravvivenza. Facile. È appunto quello che ha fatto Hany. Ma Hany ha un concetto di “essenziale della sopravvivenza” un po’ diverso: “Ho preso il mio diploma di scuola superiore”. Proviamo a farcene un’idea, perché non è scontato voler andare a scuola e dover salutare i tuoi non sapendo se potrai farlo ancora, visto che lungo la strada ti aspettano i cecchini; proviamo almeno a immaginare lo straniamento di tanti che, per sfuggire alla guerra, finiranno in un campo profughi dove staranno per anni, senza riuscire a combinare un granché, nemmeno andare a scuola, perché la scuola non c’è. Se non facciamo lo sforzo, sarà inutile sentire Papa Francesco mentre racconta che “educare è sempre un atto di speranza”. Non avrà molto senso. A meno che la speranza non ci torni indietro, inaspettatamente, magari nella forma straziante di un grido di aiuto: “Ho preso il mio diploma, perché da quello dipende la mia vita, il mio futuro”. Sarà per questo, forse, che il Papa chiede l’impegno ad “ascoltare la voce dei bambini, dei ragazzi e dei giovani cui trasmettiamo valori e conoscenze”. L’etica dell’educazione parte da qui: cedendo la parola. Cominciando da chi non sa più cosa sperare, perché magari è stato costretto al silenzio. Ecco: non c’è etica dell’educazione che non sia resistente, persino ribelle, laddove è urgente scongiurare la morte del desiderio di imparare, quella strana passione che ci fa essere umani insieme ad altri. E a uccidere l’amore del sapere basta molto meno di un cecchino. Lo ha detto un giovane Nietzsche, a Basilea, nel 1872: basta che la scuola diventi una macchina di addestramento al guadagno, per creare “uomini correnti”, proprio nel senso in cui si chiama “corrente” una moneta. Ovvio, formare persone competitive sul mercato è un imperativo. Ma se nel frattempo, come suggerisce ancora Papa Francesco, riuscissimo a creare anche dei poeti? Mentre aspettava di poter ricominciare a studiare, Hany ha scoperto di non poterlo più fare. “Nistagmo”, questa è stata la diagnosi, movimenti involontari dei bulbi oculari. Poi, per caso, incontra Brendan Bannon, un fotoreporter americano che gli fa provare la fotocamera. E così impara un modo tutto suo di scattare perché – testuali parole – per lui “la sensibilità è più potente della vista”. Sa già di poesia. Sta di fatto che inizia a fotografare il campo profughi. Le sue foto fanno presto il giro del mondo. E tolgono il fiato, perché raccontano la bellezza di sognare qualcosa di giusto, dentro il mare infinito della miseria.
Docente di Filosofia morale alla Facoltà di Scienze Politiche e Sociali dell’Università Cattolica
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Patto, ascolto, relazione. Perché educare è sempre un atto di speranza
Oggi vive in Canada. Se gli parli, comincia sempre col ringraziare Brendan. Pare Camus, che il giorno dopo aver vinto il Nobel per la letteratura, scrisse una lettera al suo maestro delle elementari, l’unico ad aver creduto nel talento di un povero “pied noir”. Sì, adesso forse si capisce, educare è sempre un atto di speranza.
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