Num. 03 - Anno 2007
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Speciale
Italiani in Spagna
La Fiera Internazionale di Marbella
Buon compleanno Europa! 50 anni dal trattato di Roma
Press Italia REGIONI Numero TRE | anno 2007
Supplemento al N. 335 di pressitalia.net Registrazione Tribunale di Perugia n. 33 del 5 maggio 2006
Direttore Editoriale Mauro Piergentili Direttore Responsabile Alberto Cappannelli Progetto Grafico Mauro Piergentili Redazione Giulio Rosi, Paola Pacifici, Gian Giacomo Bei, Maria Annunzia Selvelli, Arturo Fabra, Matteo Scandolin Foto Copertina http://ec.europa.eu Stampa Centro Servizi “Le Colibrì” Gubbio (PG)
L’EDITORIALE di Giulio Rosi
La cultura italiana e il Made in Italy, entrambi frutto della genialità e della capacità imprenditoriale tipiche del nostro Paese, sono sempre più apprezzati nel mondo. La nostra imprenditoria, industriale, commerciale e artigianale, va alla ricerca di nuovi mercati che si presuppongono tanto più allettanti quanto più distanti dall’Italia. Questo a volte fa perdere di vista le grandi possibilità tuttora esistenti in alcuni Paesi vicini, come la Spagna e in particolare la zona meridionale andalusa chiamata Costa del Sol, dove lavorano e vivono moltissimi stranieri e più di diecimila nostri connazionali, generando una forte e crescente richiesta di prodotti italiani. Tale richiesta può essere soddisfatta attraverso valide iniziative, basate sul contatto diretto fra produttori italiani e importatori presenti in Spagna. Come infatti è avvenuto alla recente 1ª Feria Internazionale Gastronomica e Culturale, svoltasi nel Palazzo dei Congressi di Marbella, con la partecipazione di operatori italiani provenienti direttamente dalle loro regioni. Tutto si è svolto alla presenza di autorità spagnole e dei rappresentanti consolari delle 142 etnie residenti a Marbella, con grande risalto sulla stampa internazionale. Cultura e folclore hanno accompagnato le iniziative economiche.
Regioni | DUE
VOLETE PARTECIPARE A FIERE TEMATICHE ED EVENTI INTERNAZIONALI IN SPAGNA: A MALAGA, TORREMOLINOS, FUENGIROLA E MARBELLA, SULLA COSTA DEL SOL? Assessorati al turismo e alla cultura, gruppi folcloristici e proloco, associazioni di artigiani, produttori alimentari, aziende vinicole, pittori, scultori, agriturismi, bande musicali Chiamate l’Associazione Italiani in Spagna allo +34 670.030.227 eMail: info@italianinspagna.org Web: www.italianinspagna.org
Ia FIERA INTERNAZIONALE DI MARBELLA L’ASSOCIAZIONE ITALIANI IN SPAGNA PRESENTA IL MADE IN ITALY
Alla Iª Feria Internacional di Marbella, svoltasi nel Palazzo dei Congressi della famosa città spagnola, nello stand dell’Associazione Italiani in Spagna, presieduta dalla giornalista Paola Pacifici, sono stati ospiti molti rappresentanti del Made in Italy e della cultura italiana. La manifestazione è stata organizzata da Otilia Garcia Diaz Ambrona, l’infaticabile Oti, direttrice del Dipartimento Stranieri di Marbella, e dai suoi validi collaboratori, assieme alle associazioni degli stranieri presenti con stand, testimonianze culturali, prodotti tipici ed esibizioni artistiche. L’inaugurazione, alla presenza dei rappresentanti diplomatici e consolari delle 142 etnie residenti a Marbella, è stata effettuata da Ricardo Garcia Moro, vice presidente della Commisione prefettizia che attualmente gestisce il Comune di Marbella. In rappresentanza delle istituzioni italiane alla cerimonia è intervenuto il vice console di Malaga signor Pietro Lano. L’iniziativa ha rappresentato un avvenimento rilevante per la comunità italiana, numericamente al secondo posto fra tutte comunità straniere residenti stabilmente a Marbella. Una comunità molto impegnata in molteplici attività produttive, specialmente nella costruzione, nella ristorazione, nell’artigianato, nel commercio, nel terziario e nei settori professionistici. Marbella: questo importante centro turistico della Costa del Sol, ubicato sulla litoranea andalusa di fronte al Marocco, è considera-
to il paradiso del giuoco del golf e degli investimenti immobiliari più vantaggiosi. Il suo clima sempre mite attrae un turismo residenziale a tutti i livelli, nel suo spettacolare Puerto Banus, frequentato dal jet-set internazionale, approdano gli yacht più lussuosi del mondo. Pertanto Marbella e le altre cittadine costiere che vanno da Malaga ad Algeciras, dove è ancora vantaggioso l’acquisto di piccole proprietà immobiliari a scopo di vacanze o investimento, sono il palcoscenico più qualificato per presentare in un solo colpo al mondo intero i prodotti, la cul-
tura e le attività italiane. Nello grande spazio espositivo italiano, arredato con bandiere tricolori e materiale promozionale dell’Enit (Ente Nazionale Italiano Turismo), si potevano ammirare due autentici gioielli dell’industria automobilistica italiana: una Ferrari ed una Maserati presentate da De Salamanca e dal Ferrari Club Andalusia. Su due schermi al plasma sono stati proiettati ininterrotamente filmati promozionali sulle istituzioni e sulla cultura italiana, fra i quali quelli dell’ Enit, delle Frecce Tricolori, della polizia e del Progetto Homerus, un sodalizio benemerito sul Lago di Garda che istruisce alla navigazione equipaggi di non vedenti. All’interno dello stand - oltre alla testimonianza della rivista internazionale “Oh là là”, edita a Marbella e in altre regioni spagnole dall’italiano Daniel Facchetti - era presente il costruttore italiano Carlo Civiero, titolare del Grupo “C”, autore di importanti realizzazioni urbanistiche sulla Costa del Sol, come il famoso porto Cabopino e il Cerrado del Aguila, abitazioni altamente rifinite vicine al mare, sui campi di golf e presso il nuovo grande ippodromo di Spagna realizzato a Mijas. Il dottor Carlo Marasco, direttore commerciale della Aertecnica, attraverso una interessante documentazione esplicativa, ha presentato la sua impresa, leader italiana nell’aspirazione domestica centralizzata. Dall’Italia, ospiti dell’ Associazione Italiani in Spagna, sono arrivati i rappre-
TRE | Regioni
Le squisite olive ascolane di Antonella Borzacchini, preparate in loco per i visitatori della manifestazione di Marbella
sentanti del Comune di Ascoli Piceno, l’artigiano Gabriela Botis di Fano ha affascinato il pubblico con le sue originali calzature da donna e Antonella Borzacchini, con le figlie Anna e Carlotta, ha personalmente portato dall’Italia e fritto in diretta per il pubblico di Marbella le sue famose Olive Ascolane. Con l’occasione lo scrittore Piercarlo Maria Savini ha presentato il suo nuovo libro “Il cammino del vento”, la cui prefazione è stata scritta dal giornalista Giulio Rosi, vice presidente dell’ Associazione Italiani in Spagna. La “Licor Mediterraneo”, con Salvatore Piredda e Liliana Battisti, ha offerto senza sosta il suo ineguagliabile Limoncello e il Mirto sardo; l’importatore alimentare Bruno “La Contadina” ha offerto la Mortadella di Bologna e Mauro, titolare del ristorante Mammamía, dei gustosi assaggi gastronomici; Massimo Sapio del Caffè Pavarotti ha offerto il vero caffè espresso della Bei & Nannini; Paolo Cesarone, direttore marketing di Sapori & Qualità d’Italia e in rappresentanza della ditta Leonardi Pasta e Pizza, ha cotto sul posto delle squisite pizze napoletane per i visitatori della mostra. Per disposizione dell’ Associazione Italiani in Spagna, che è un sodalizio volontaristico e senza fini di lucro, tutti i prodotti alimentari italiani sono stati distribuiti gratuitamente ai visitatori della 1ª Feria Internacional di Marbella. E poi lo spettacolo. Sul palcoscenico del Palazzo
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dei Congressi l’istruttore Cristian Zaghini dell’Università italiana della Pizza e il tre volte campione mondiale di pizza acrobatica Paolino Bucca - entrambi in rappresentanza del Mulino Quaglia e anche loro arrivati dall’Italia come ospiti dell’Associazione Italiani in Spagna - si sono esibiti in un applaudito spettacolo di Pizza Acrobatica al ritmo della disco-music; il grande tenore italiano Toni Dalli, titolare dei ristoranti Oasi, Pizza Factory e presidente del Ferrari Club, accompagnato da un caratteristico gruppo
musicale, ha cantato alcune famose canzoni italiane, mentre la Boutique “Egoiste Italian Fashion” ha effettuato un defilè di moda prêt a porter per uomo e donna. A conclusione la presidente Paola Pacifici ha ringraziato il Comune di Marbella e in particolare la direttrice del Dipartimento Stranieri, congratulandosi per la manifestazione che ha confermato il ruolo sociale e culturale della città di Marbella e la sua importante vocazione internazionale. Mauro Piergentili
ECCO I SEGRETI DELLA BUONA PIZZA INCONTRO CON L’ITALIANO CHE CREA I PIZZAIOLI DI SUCCESSO Lo abbiamo incontrato a Marbella, invitato dell’Associazione Italiani in Spagna, in occasione della “Feria Internacional de Cultura e Gastronomia”, svoltasi al Palazzo dei Congressi della celebre città andalusa, paradiso del giuoco del Golf, degli yacht da miliardari e del jet-set internazionale. A vederlo, sembra soltanto un giovane dai lineamenti fini e bene educato come tanti, ma dopo averci scambiato qualche frase ti accorgi di avere di fronte un autentico professionista che non concede nulla all’improvvisazione. Cristiano Zaghini, in arte “Cristian”, è nato 33 anni fa nella provincia di Rovigo ed è il responsabile didattico del laboratorio del Mulino Quaglia, dove si tengono sperimentazioni e corsi professionali per dare ai clienti la professionalità necessaria per ottenere un ottimo prodotto finale. È anche responsabile didattico dell’Università della Pizza, un progetto creato dal Mulino Quaglia per rispondere alle necessità presenti e future del vasto mondo della “pizza”. L’iniziativa si prefigge l’obbiettivo di fornire lezioni di marketing e gestione aziendale, ma anche di sviluppare processi di elaborazione e di informazione tecnica, in linea con l’evoluzione di questo importante comparto alimentare italiano. In questa fase progressiva, che ha trasformato l’umile ed amata pizza in un fenomeno alimentare trainante e di alta cucina a livello mondiale, si inserisce con garbata fermezza la figura di Cristiano Zaghini. È sposato con una ragazza ungherese di nome Palma, che lo appoggia nelle sue aspirazioni professionali. Di suo figlio Alessandro, quattro anni appena compiuti, dice che non gli dispiacerebbe se seguisse le sue orme, perchè questa professione non ha nulla da invidiare a quella dei grandi chef di cucina. Cristian ne è più che convinto e i risultati gli danno ragione. La sua è una storia che merita di essere raccontata. Dopo il diploma di perito elettronico, come tutti i ragazzi della sua età deve scegliere che direzione prendere. Il primo incontro con il mondo della pizza era già avvenuto tempo prima, durante una festa in paese, in cui un pizzaiolo faceva volteggiare una pizza. Ne rimane entusiasta e decide che quella sarà la sua strada. Le prime vere esperienze le fa a Padus di Salara (Rovigo), nella pizzeria di Patrizio Liboni, poi lavora nella pizzeria-ristorante di Martina Colombari, quindi approda al famoso Canasta di Riccione. Nello stesso tempo - sempre attento e curioso, instancabile osservatore e desideroso di apprendere
Pietro Lano (al centro) vice console d’Italia a Malaga, con i due “acrobatici” Paolino Bucca (a sin.) e Cristian Zaghini
Cristian Zaghini nel laboratorio del Mulino Quaglia
- nel tempo libero frequenta il team di “Riminipizza”, segue corsi, consegue master, diventa istruttore e anzichè intraprendere la strada del pizzaiolo dipendente o dell’imprenditore in proprio, sceglie quella della libera consulenza. Si tratta di una decisione ragionata, che gli permette di continuare ad imparare, di confrontarsi giornalmente con altri colleghi, di accogliere nuove esperienze, di scoprire tutti i “segreti del mestiere”, di fare ricerche e individuare soluzioni innovative, di sperimentare formule inedite di prodotti, tecniche, procedimenti e ricette allo scopo di migliorarsi
professionalmente. Ma nello stesso tempo di diversificare e rendere fantasioso il tradizionale prodotto pizza, connotandolo di una originalità che rasenta, ed a volte raggiunge, la creatività artistica. Secondo Cristian, un pizzaiolo ai massimi livelli della professionalità, per realizzare un prodotto eccellente deve conoscere tutto su acqua, farine, impasti,mozzarella, percentuali di umidità, tasso di idratazione e sistema di cottura, che rappresenta uno dei problemi base della buona pizza. Addio vecchia pizza. E benvenuta la qualità. Giulio Rosi
CINQUE | Regioni
TRE VOLTE CAMPIONE DEL MONDO
gwkct35x DELLA PIZZA ACROBATICA COME TRADIZIONE DI FAMIGLIA L’ARTE È stato per tre volte campione del mondo di pizza acrobatica. Nato 49 anni fa a Barcellona Pozzo di Gotto (Messina), venti anni fa Paolino Bucca decide di trasferirsi in Val di Fassa, ma il repentino passaggio dal caldo mare siciliano alla fredda neve dolomitica lo inducono a cercare latitudini più miti; per cui, trascorsa una stagione, approda a Brenzone, una pittoresca località sul Lago di Garda immersa negli ulivi, dove si ferma sei anni. Adesso vive in Lombardia. Lo incontriamo alla 1ª Feria Internacional di Marbella, anche lui ospite nello stand dell’Associazione Italiani in Spagna, dove ha galvanizzato per due giorni il pubblico con i suoi virtuosismi di pizza acrobatica. È un vero campione dal piglio atletico, ma anche un maestro cuciniere. Da sette anni, infatti, risiede a Gallarate (Varese) dove gestisce una pizzeria immersa in un parco secolare che fa delle pizze eccezionali. “Anche perché - sostiene Paolino - le realizziamo con delle miscele di farina biologica, che è la base della migliore qualità in pizzeria. Inoltre collaboriamo con il Mulino Quaglia, che produce delle farine speciali, come quelle di soia e farro, oppure di crusca, le quali fanno parte di una classe di particolari miscele dalla qualità elevata e con caratteristiche organolettiche decisamente superiori alla classica farina “00”. Praticamente le farine del futuro sono queste, perchè ci riportano alla bontà e ai sapori genuini di una volta”. E prosegue: “Lavoriamo con lievitazione naturale e poco lievito, il che rende la pizza molto digeribile. Naturalmente anche la cottura riveste una grande importanza ed ogni miscela richiede un suo proprio trattamento. I risultati, dicono i clienti, sono strabilianti. Ma a parte lampreparazione delle pizze, vengo chiamato spesso per fare delle esibizioni acrobatiche”. Per lui l’acrobazia èuna tradizione di famiglia, tanto è vero che anche suo figlio Federico, che adesso ha 15 anni, ha cominciato a far volteggiare le pizze fin da quan-
Regioni | SEI
do aveva dieci mesi. Praticamente, stando nel girello, non sapeva ancora camminare ma maneggiava contemporaneamente ben due pizze, non solo una!. Un vero fenomeno. Quando aveva appena quattro anni e mezzo, è stato il primo ed unico bambino della storia ad aver vinto i campionati mondiali di pizza acrobatica nella categoria adulti. Ma il padre non è da meno: tre volte campione mondiale di pizza acrobatica a squadre con la Regione Sicilia negli anni 1998, 2001 e 2002. In Italia, dove questo sport è notevolmente diffuso, ai mondiali si gareg-
gia con formazioni regionali, mentre gli altri stati gareggiano con squadre nazionali. La coreografia a squadre è molto suggestiva, tenendo presente che ogni squadra è formata da cinque a sette persone, che si muovono con perfetto sincronismo, scambiandosi le pizze e realizzando delle figura di grande effetto acrobatico. Ma qual’è la pizza preferita da un campione? Palino non ha dubbi: “La solita margherita, perchè lascia intatti i suoi gusti. Purchè venga fatta con gli ingredienti giusti”. Giulio Rosi
PORTA IN SPAGNA I SAPORI D’ITALIA UNA “CONTADINA” MARCHIGIANA CONQUISTA LA PENISOLA IBERICA
Titolare dell’azienda di importazione di prodotti alimentari italiani “La Contadina”, Bruno Procaccini, originario di Matelica, nella provincia di Ancona, è sposo fresco di Paloma, una bella ragazza spagnola che si occupa di pubblicità e comunicazione. Lo abbiamo incontrato alla 1ª Feria Internacional de Cultura y Gastronomia di Marbella, nello stand dell’Associazione Italiani in Spagna, dove ha allestito un angolo della migliore gastronomia nostrana, e lo abbiamo intervistato per i nostri lettori di tutto il mondo. Quando e perchè la Spagna? Dodici anni anni fa ci venni in vacanza per trovare degli amici, poi nacque l’idea di impiantare una fabbrica di mozzarella ad Antequera, in provincia di Malaga. Successivamente abbiamo cominciato ad importare diversi prodotti italiani ed oggi siamo un’impresa che lavora su tutta la Costa del Sol, coprendo l’Andalusia e quasi tutto il sud di Spagna e Portogallo. In Italia di cosa ti occupavi? Sono chimico alimentare ed ho lavorato nel settore del vino, in particolare
del famoso Verdicchio di Matelica. Poi sono passato al settore caseario come responsabile di produzione in una azienda agricola dell’ Alto Maceratese, dedicandomi dalla produzione del latte alla sua trasformazione. Quando arrivasti in Spagna, quale era la situazione dei prodotti italiani? Molti prodotti addirittura non esistevano, la mozzarella di bufala non sapevano cosa fosse. Si trovavano gli spaghetti, ma mancavano la varietà di scelta e la qualità che abbiamo oggi. I vini italiani, ad eccezione del lambrusco, erano introvabili e le classiche “delizie” italiane, come ad esempio i tartufi con i loro derivati, erano completamente sconosciute. L’Italia dell’alimentare, insomma, si riduceva soltanto a pasta e pizza. Ed anche in quello era molto limitata. Chi sono oggi i tuoi clienti? Il mio cliente tipo è il ristorante-pizzeria italiano. Tuttavia il mangiare italiano è già ampiamente apprezzato in molti ristoranti spagnoli e di altre nazionalità, i quali servono dei piatti di pasta fresca artigianale che
importiamo dall’Italia. Quali sono i prodotti trainanti? Decisamente la mozzarella che fabbrichiamo noi, poi quella di bufala e il bocconcino che importiamo dalla ditta Francia Latticini, lader in Italia per qualità. Come vini andiamo dai toscani, ai veneti ai piemontesi, senza dimenticare il Verdicchio di Matelica che è il mio vecchio amore. Comunque abbiamo un pò di tutto. In casa tua che lingua parlate? Agli inizi solo lo spagnolo, ma adesso ci parliamo in italiano, anche perchè quando avremo un figlio vorremmo che conoscesse almeno queste due lingue. Cucina spagnola o italiana? Italiana, perchè Paloma ha cominciato a conoscerla attraverso la mia attività e adesso non la lascia più. In cucina, generalmente, ci sto io per un settanta per cento del tempo e per un trenta ci sta lei. Cosa ti lega ancora all’Italia? Direi tutto. Mio padre e mia madre vivono ancora a Matelica ed io, a parte i motivi di lavoro, ci vado abbastanza spesso per stare un pò con loro. A livello culturale mi legano i film classici della commedia all’italiana, con Totò e De Filippo in testa, per me sono irraggiungibili. Per la canzone il mio preferito era ed è Pino Daniele. Cosa ti manca dell’Italia? L’Italia stessa, con Matelica e gli amici. Pensa che quando mi sono sposato sono venuti tutti in Spagna; praticamente hanno quasi riempito un aeroplano. Cosa piace a Paloma dell’Italia? Le piace tutto, cominciando da me. Ha iniziato a conoscere l’Italia stando con me e da allora non c`è una cosa che non le sia piaciuta. Paola Pacifici
SETTE | Regioni
Grandi speranze La lucida follia dolceamara degli ossimori Ah, gli ossimori. Accostare due parole che c’entran poco o niente tra loro, spremere fino in fondo quel che si ha e tirar fuori qualcosa che prima non c’era. A quello che ha scoperto “dolceamaro” dev’esser venuto un infarto: per la novità, la scoperta, mica per altro. Oh sì, forse anche per aver sfiorato la definizione della vita. Quello di cui ti voglio parlare è un ossimoro. Si chiama Inutile, e non lo è. Pretende di volare basso, con quel nome da “maddài, non starai guardando proprio me?”, e invece ha così tante cose da dire, talmente tanti cassetti da aprire che, oh, c’è una voglia matta di scardinarli tutti assieme e subito, questi cassetti. Meglio dirlo subito: in Inutile c’entro anch’io. Peggio: comando la baracca. Oddìo, diciamo: faccio finta. Meglio, sì. Perché qui la gente è grande abbastanza da non farsi comandare. Così han deciso che andavo bene come “responsabile editoriale” (l’abbiam chiamato così, ‘sto ruolo). Sarà che son grosso, mah. Ho le spalle larghe: così se c’è da prender botte mandano avanti me. Sì, sarà quello. Ah, gli ossimori, si diceva. Allora: Inutile (ch’è l’opuscolo letterario di cui ti voglio parlare) è un ossimoro. Prima c’era niente: e poi Inutile. Ch’è un po’ come dire Omero con Ulisse. Dio con la Bibbia. Shakespeare con Amleto. Come dire, la redazione di Inutile con Inutile. Prima c’era-
RUBRICA LETTERARIA di Matteo Scandolin http://grandisperanze.splinder.com
no otto persone: poi c’è Inutile. All’inizio non eravamo neanche in otto. Be’, all’inizio non c’era neanche Inutile. Questa è la magia dell’ossimoro: pum!, è venuto dopo. Ché abbiam pensato, accipicchia diavoletto, magari siamo buoni anche di fare una rivista. Siamo buoni di leggere. Siamo buoni di suonare. Di metter due parole in croce. Uno di noi è buono anche di far nascere i bambini!, una rivista verrà fuori no, porcomondo? Volevamo farla d’ostetricia, poi quello che lo fa per mestiere ha detto “fatemi svagare guagliò, mica posso lavorare tutto il giorno!”, e allora abbiamo ripiegato sulla rivista letteraria. Sì, rivista, ma se facciamo solo 4 paginette!, e allora chiamalo opuscolo e che nessuno più rompa. Eh. Opuscolo letterario. Bon, andata. Sappilo però: Inutile doveva essere una rivista d’ostetricia. Ma magari qualcosa è rimasto: se nei nostri pezzi trovi un’idea, prendila e falla tua. Falla crescere. E falla nascere, al di fuori della televisione-mondo, lontano dal libro-psicologia-da-sgabuzzino (ché da salotto sarebbe troppo). Facci sapere che nipoti abbiamo. Fai nascere quest’idea e vanne orgoglioso, perché Thoreau dice che molti uomini vivono vite di quieta disperazione, e un’idea è già un investimento sul futuro, allora. Basta avere le spalle larghe, e un po’ di voglia, e un po’ di speranza da perdere, per qualche idea in più nel mondo. Oh, detta così sembra importante: e invece è solo inutile.
UN SOGNO IN ROSSO di Alexander Lernet-Holenia (2006) Adelphi, Biblioteca Adelphi, 175 pagine, € 16,00. Tradotto da Elisabetta Dell’Anna Ciancia. Titolo originale: «Ein Traum in Riot». Molto ottocentesco questo romanzo, ambientato in una Polonia sulle soglie della seconda guerra mondiale: i protagonisti infatti non fanno che parlare, parlare, parlare, e Lernet-Holenia riduce l’azione diretta al minimo. Ma dopo le prime pagine, dopo essersi calati nell’atmosfera del romanzo, si riesce a lasciarsi andare e godersi la storia. In breve: il conte Chlodowski, nobile russo decaduto e rifugiatosi in Polonia, nella tenuta di Rafalówka, teme l’arrivo di suo nipote Šramcenko, secondo lo scrittore bohemien Ananchin incarnazione dell’Anticristo. Ma Ananchin non è un pazzo, e se lo è ci azzecca comunque: allo scoppio della prima guerra mondiale aveva predetto la Rivoluzione, con gli sconvolgimenti sociali e politici (e la distruzione, e le morti) che ne sarebbero conseguite. Così Chlodowski cerca di tenere lontano suo nipote, timoroso che ancora una volta Ananchin possa avere ragione, e intanto accoglie nella sua tenuta il figlio della sorella, Michail Rosenthorpe, giunto per il fidanzamento della cugina. Il romanzo soffre pesantemente del clima in cui è stato scritto, ovvero a cavallo della Conferenza di Monaco; Lernet-Holenia però guarda indietro, alla Rivoluzione, per darsi lo slancio per divinare il futuro, come il suo Ananchin. Non era troppo difficile, ma all’epoca in pochi lo fecero. Poi, premonizioni apocalittiche a parte, il libro è davvero interessante perché fa un excursus completo (fin troppo!) sull’Asia durante la Grande guerra e la Rivoluzione, e devo ammettere che mi sono un po’ perso: quella parte del mondo mi è piuttosto sconosciuta... ed è un altro motivo per leggere il libro.
Regioni | OTTO
USING BRIDGE: SHA WAO (2005)
NOVE RACCONTI di J.D. Salinger (2004) Einaudi, L’Arcipelago, 240 pagine, 13,00 €. Tradotto da Carlo Fruttero. Titolo originale: «Nine Stories». C’è da inchinarsi, poco ma sicuro. Perché Salinger è un mostro di bravura. Un sacco di prodromi carveriani, qui: e come sempre, succede di leggere il vecchio con i modelli del nuovo, ma questa volta lascio fare. Ci sono echi di Hemingway, per dire il più famoso, come realismo di scene e personaggi. E i dialoghi! Dialoghi così veri che sembrano venire fuori direttamente da una sceneggiatura cinematografica... Il primo dei nove racconti è forse il più famoso, Un giorno ideale per i pesci banana. Il gioco è bene o male il medesimo in tutti i racconti, lo spiazzamento finale; il modo in cui Salinger ci arriva è uno stile chiaro, con pochissimi fronzoli. Le uniche eccezioni sono forse rappresentate dalle parole francesi – in realtà nemmeno troppo presenti – del racconto Il periodo blu di De Daumier-Smith, per il resto la lingua è quella di tutti i giorni. Straordinarie eccezione i bambini, spesso, che come già nel Giovane Holden sono testimoni e protagonisti d’un mondo strano e incomprensibili. Teddy il piccolo genio, capace persino di prevedere la morte delle persone, la dolce Esmé e Lionel de Giù al dinghy: si esprimono in maniera che nemmeno i “grandi” li capiscono. Indice d’un mondo incomprensibile, che è sfuggito di mano, e che lascia solo scelte radicali, troppo estreme: il suicidio, la finzione, l’abbandono perfino dei sogni, come nel finale de L’Uomo Ghignante. Adattissime metafore, perdìo, anche del nostro mondo. BIBLIOTECHE: UNA STORIA INQUIETA di Matthew Battles (2004) Carocci, Saggi, 190 pagine, € 18,60. Tradotto da Idolina Landolfi. Titolo originale: «Library. An Unquiet History». Non so se può interessare ai lettori di questa rivista (ne dubito), ma ho un passato come bibliotecario. Ok, abbasso la cresta: ho fatto l’obiettore di coscienza nella biblioteca del Dipartimento di Studi eurasiatici di Ca’ Foscari, Venezia. Sempre sia lodato quell’anno. Così quando ho visto questo libro non ho resistito, e l’ho comprato. Un paio d’anni fa, o giù di lì. Hanno fatto a tempo a leggerlo i miei due ex capi, nel frattempo. Compro troppi libri. Matthe Battles, bibliotecario ad Harvard, ci accompagna in questo lungo, affascinante e a tratti un po’ palloso cammino dalla notte dei tempi all’ultimo link. Il sottotitolo del libro è, infatti, Conservare e distruggere il sapere da Alessandria ad internet. La cosa che stupisce di più di questo saggio è la quantità di violenza che le biblioteche (e i libri in generale) hanno subito nel corso dei secoli. Non solo i nazisti e i loro famosi roghi di libri non consoni al regime in piazza a Berlino: i cinesi all’inizio del primo millennio, il rogo di Alessandria, le biblioteche di Roma, scomparse... Curiosi e interessanti i capitoli che parlano di Dewey e degli altri riformatori della biblioteconomia. Gente con una visione, in un campo che sembra marginale e inutile nella vita di tutti i giorni, ma che in realtà è la mappa delle nostre conoscenze. Roba senza la quale rimanere smarriti. Com’è infatti avvenuto più d’una volta, nel corso del tempo. Occhio che a tratti procede molto lentamente. Ma vale la pena leggerlo.
C’è un nebbione a Rimini quando arriviamo al Velvet. Un nebbione che se anche guardi intorno, non vedi altro che bianco. Bello, anche, ma un po’ opprimente. Dico: Fede, che musica fate? La risposta mi fa pensare: vabbè, ma non mi piaceranno. E sticazzi, anzichenò: mette su il live registrato pochi giorni prima, e viaggia bene: peccato per il mixaggio, però comunque, oh. (A parte che con la nebbia sta da dio). E il cd che m’ha dato me lo sono ascoltato tre volte, una sera. Di seguito. Me lo sono messo sul MacBook, per portarmelo anche al lavoro, in giro, ovunque fossi, e ascoltarmi My Lonely Blue, che c’ha quell’armonica dove meno me l’aspettavo. Figli degli ultimi anni e delle sonorità che normalmente non mi piacciono, gli Using Bridge: non avevo sbagliato di troppo, come primo giudizio. Però c’è qualcosa in questo disco che, oh. Chitarre distorte e cupe, batteria che martella bene, voce graffiante e valida (poi il cantante suona anche il basso, ed è bravo). Non so darvi rimandi, non so dirvi “se vi piace questo, allora ascoltatevi anche gli Using Bridge”. Ripeto, non è il mio campo e quindi non mi ci muovo bene. Ma ascolto, e più d’una volta. I ragazzi sono di un poco più giovani di me, e hanno talento. Di più: lo sanno usare. L’ultima canzone del disco prende il monologo finale di Memento, il film, e lo musica che sembrano quasi i primi Perturbaziòne, quando ancora Tomi cantava in inglese. Bello. Il quartetto è romagnolo. Se capitate da quelle parti, magari vi capita di finire in qualche locale e ci sono loro che suonano. Ne vale la pena. Altrimenti potete fare un salto su www.myspace.com e cercare «The Using Bridge», e vedere dove suonano.
NOVE | Regioni
BUON COMPLEANNO VECCHIA EUROPA!
HA GIÀ COMPIUTO CINQUANT’ANNI PERÒ NON LI DIMOSTRA L’Europa ha appena compiuto cinquant’anni. Il 23 marzo 1957, infatti, venne firmato a Roma il trattato che diede via all’ Europa a sei, formata da Belgio, Olanda, Lussemburgo, Francia, Germania ed Italia. Un patto essenzialmente economico, che tuttavia avviò una progressiva quanto complessa strada verso la completa l’integrazione. Ma il percorso è ancora lungo. Tutto era cominciato Il 1° gennaio 1943, quando Altiero Spinelli redasse il “Manifesto di Ventotene” con la collaborazione di Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni, con l’obbiettivo di creare una libera federazione europea: un’ idea che Giuseppe Mazzini aveva resa nota un secolo prima. Dal 1° gennaio 2007, con la Romania e con la Bulgaria. l’Europa si è allargata a 27 paesi. Il primo maggio 2004 erano entrati Repubblica Ceka, Slovacchia, Polonia, Ungheria, Slovenia, Estonia, Lettonia , Lituania, Malta, Cipro. L’Euro è la novità del terzo millennio. Al momento, solo 13 dei 27 Stati membri hanno adottato la moneta. Dovremo aspettare il 2013 per avere la una moneta unica in Europa. Dopo l’11 settembre 2001 con la ‘guerra al terrore’, i paesi dell’UE intraprendono una più stretta collaborazione per combattere la criminalità. Con l’adesione all’UE di ben 10 nuovi Stati membri, nel 2004 si sono attenuate molte divisioni politiche tra Europa orientale e occidentale. Negli anni Novanta il crollo del comunismo ha unito fisicamente l’Europa e l’Unione Europea ha eliminato il pericolo di guerre tra paesi vicini. Uno sguardo al passato. Nel 1993 il mercato unico offriva quattro libertà di circolazione: beni, servizi, persone e capitali. Un successo per il trattato di Maastricht (1993) e il trattato di Amsterdam (1999). I cittadini europei si preoccupano di come proteggere l’ambiente e di come i paesi europei possano collaborare in materia di difesa e sicurezza. Nel 1995 aderi-
Regioni | DIECI
scono all’UE tre nuovi Stati membri: Austria, Finlandia e Svezia. Una piccola località del Lussemburgo dà il nome agli accordi di ‘Schëngen’ che aprono le frontiere interne. Milioni di giovani studiano all’estero con il sostegno finanziario dell’UE. Gli anni Sessanta sono gli anni boom per l’economia, grazie anche al fatto che i paesi dell’UE non applicano più dazi doganali nell’ambito dei reciproci scambi. 1° gennaio 1973: il primo allargamento alla Danimarca,
’Irlanda, del Regno Unito. La politica regionale comunitaria comincia a destinare ingenti somme al finanziamento di nuovi posti di lavoro e di infrastrutture nelle aree più povere. Il Parlamento europeo accresce la propria influenza nelle attività dell’UE e, nel 1979, viene eletto per la prima volta a suffragio universale. Nel 1981 la Grecia diventò il decimo Stato membro dell’UE; il Portogallo e la Spagna aderiscono all’UE nel 1986. Sempre nel 1986 viene firmato l’Atto
unico europeo, che pone le basi per un ampio programma di sei anni, creando così il ‘Mercato unico’. Mano a mano che l’Unione Europea prende consistenza, avviandosi verso quella completa integrazione territoriale che ha già eliminato gran parte delle frontiere interne, la nuova realtà geopolitica che ne deriva si vede costretta ad adeguare continuamente le differenti strutture sociali dei Paesi membri alle nuove esigenze scaturite dalla fusione di mentalità, tradizioni, leggi, costumi e culture spesso molto distanti fra di loro. Questo complicato processo di standardizzazione, iniziato a livello economico con la moneta unica, con la costituzione avvierà anche l’integrazione politica. Cinquant’anni sono molti, ma anche pochi per la nascita di una grande realtà federalista. Buon compleanno vecchia e giovane Europa. Mauro Boschi
Momenti di celebrazione a Roma. Nella pagina precedente: cerimonia in Campidoglio con il sindaco Veltroni, il presidente del Consiglio Prodi, del Senato Marini e della Commissione europea Barroso.
UNDICI | Regioni
PER DUE SETTIMANE MEDICO IN AFRICA UN PAESE DOVE LA SANITÀ È INDIETRO DI TRENT’ANNI
Non basterebbero due vite per capire l’Africa, figuriamoci due settimane. Però era tutto quello che potevo ottenere dal mio lavoro ospedaliero, e il desiderio di poter dare una mano in Africa era troppo forte per non approfittare dell’occasione. Sono entrato in contatto con la ONLUS Ospedale di Civitanova Marche Pro African Hospitals la scorsa estate, scoprendo con piacere che a differenza di altre associazioni più grandi e famose perfino i miei quindici giorni potevano essere utili. L’associazione, nata nel 2004, raccoglie medici e paramedici che anche con poche settimane di disponibilità possono recarsi presso l’ospedale di Kisubi (ad una ventina di chilometri dalla capitale ugandese Kampala e altrettanti dall’aeroporto internazionale di Entebbe) per prestare la loro opera. Sinceramente non so cosa mi aspettassi, ma quello che ho vissuto non può evitare di essere definito con una frase scontata quale: “ho ricevuto molto più di quanto abbia dato.” Siamo partiti in tre, il dottor Massimo Mobili, il dottor Mimmo Sicolo (chirurghi dell’ospedale di Civitanova Marche) ed io, Arturo Fabra, ginecologo dell’ospedale di Gubbio. All’arrivo ho trovato un ospedale suddiviso in padiglioni, con un laboratorio analisi che “riesce a fare quasi tutti gli esami necessari” un reparto di radiologia, uno di chirurgia, la pediatria, il reparto vaccinazioni, la sala operatoria e l’HIV clinic. I colleghi mi
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hanno spiegato che al loro primo contatto, tre anni fa, l’ospedale era decisamente diverso, tanto da suscitare perplessità e preoccupazioni in chi all’epoca avrebbe dovuto operare. Ma l’aiuto professionale ed economico ha portato una crescita costante anno dopo anno, e ho potuto vedere la conclusione dei lavori del reparto maternità che sarà attivo tra qualche settimana. Mi sono trovato a esercitare una medicina che, in quanto a casi clinici, sembrava quella italiana di venti trent’anni fa. Nell’ospedale di Kisubi le prestazioni vengono erogate a
pagamento, e anche se i costi, rapportati in euro, possono sembrare irrisori (il ricovero completo di un bambino in gravi condizioni non supera il totale di spesa di 10 euro) purtroppo rapportandoli ai redditi locali sono insormontabili. La presenza dei medici italiani, invece, apre il periodo delle prestazioni gratuite, e quindi la popolazione aspetta per farsi controllare e operare, presentando spesso situazioni cliniche aggravate. Il ritmo del lavoro è intenso, ma la velocità alla quale ci si muove è diversa, è una velocità locale, sicuramente più a misura d’uomo e meno frenetica, talvolta per avere degli approfondimenti diagnostici che da noi si otterrebbero in poche ore bisogna aspettare anche due giorni. Ma quella è la loro velocità, così come quelle sono la loro terra e la loro gente. Una delle convinzioni che ho acquisito in questo soggiorno, infatti, è che l’Africa è degli africani, che vanno aiutati in loco a sviluppare capacità, tecniche e mezzi. Troppo facile, ad esempio durante la visita ad un orfanotrofio, pensare di portare in Italia quei bambini, quando invece farli crescere lì, dare loro un istruzione, aiutarli ad aiutare altri invece può creare una catena duratura di crescita e sviluppo. E lo sforzo economico non è enorme. L’intero budget annuale di quell’orfanotrofio (con 26 bambini e il relativo personale e struttura muraria) non supera i 6000 euro. Si potrebbe dire che
allora gli aiuti umanitari che si inviano siano sufficienti, ma purtroppo, come mi è stato confermato dagli abitanti locali, se vengono inviati 1000 euro attraverso i canali ufficiali che devono attraversare le maglie governative, alla fine ne arrivano circa 90 a chi ha davvero bisogno. Ecco perché infrastrutture come strade, ferrovie, reti energetiche sono pressoché inesistenti, ecco perché una capitale come Kampala ha l’aspetto di una città occidentale limitatamente al centro con i suoi alberghi, banche e sedi di Company internazionali attorniato da baraccopoli prive di elettricità, acqua potabile e qualsiasi altro genere di conforto dove la maggioranza della popolazione tira a campare in qualche modo. Eppure le terra dell’Uganda è fertile, ricca di vegetazione, frutta, coltivabilissima (enormi piantagioni di caffè e tè che però sono sotto il controllo delle multinazionali che reggono a salari bassissimi la manodopera locale con la connivenza del governo locale) adatta anche all’allevamento del bestiame. Ecco perché le trivellazioni petrolifere vengono viste allo stesso tempo come una benedizione e una maledizione (se il sottosuolo dovesse rivelarsi ricco si potrebbero scatenare nuove guerre per gli interessi economici). Anche il turismo, che potrebbe essere una risorsa enorme (l’Uganda “possiede” una grossa fetta del Lago Vittoria) per i parchi stupendi che farebbero la soddisfazione di appassionati birdwatchers (la fauna ornitologica è meravigliosa) stenta a decollare per la mancanza di infrastrutture. Eppure la popolazione ugandese esprime dignità in ogni occasione. Ogni paziente che veniva a ricoverarsi per un intervento si presentava con il vestito migliore perché, come mi ha spiegato una signora : “Sono ammalata, ma ho sempre la mia dignità.” Ho avuto modo di collaborare con medici locali estremamente in gamba, che meriterebbero di essere aiutati per sviluppare ulteriori capacità professionali, eppure non appena ci si laurea, in Uganda, si inizia a lavorare, si mette su famiglia, trovandosi a 28 anni già con figli a carico, e poter frequentare a tempo pieno una specializzazione richiederebbe spesa e tempo da sottrarre al lavoro e al sostentamento della famiglia (spesso anche della famiglia di origine). L’associazione sta lavorando in diversi campi, innanzitutto per il potenziamento della struttura dell’ospedale di Kisubi con aiuti economici, con l’invio di medici e paramedici che possano mostrare nuove tecniche
e anche facendosi carico della preparazione dei medici locali. Il “motto” se vogliamo definirlo così, è “con poco si può fare molto”, con poche decine di euro, ad esempio, si può contribuire a pagare un ricovero ad un bambino, con qualche centinaio contribuire ad acquistare strumentazioni, e con qualche settimana di ferie arretrate partire e lavorare concretamente in loco. E al ritorno, come è successo a me, quando nel parcheggio di un centro commerciale si viene abbordati da un ragazzo africano che cerca di vender accendini, magari scoprire di guardarlo con occhi nuovi, finendo a prendere un caffè insieme. articolo di Arturo Fabra foto di Elena Bozza e Nicola Sessa
Abbiamo parlato dell’associazione: Ospedale di Civitanova Marche Pro African Hospitals ONLUS Per donazioni le coordinate bancarie sono le seguenti: c/o Banca di Credito Cooperativo di Civitanova Marche cc n°55015 ABI:08491 CAB:68870 CIN: Y - Il conto corrente è aperto e chiunque ne può controllare i movimenti. Per ulteriore informazione rivolgersi al dottor Mimmo Sicolo presso il Pronto Soccorso dell’Ospedale di Civitanova Marche tel. 0733 8231 proafricanhospitals@gmail.com
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ADDIO AL PIEMONTESE ERNEST GALLO LA NAPA E LA SONOMA VALLEY HANNO PERSO IL LORO DECANO L’eredità? 1600 ettari di vigneto, 200 milioni di bottiglie prodotte all’anno, 1,5 miliardi di dollari di fatturato. La terza generazione, con i giovani Chris e Joe Gallo,è tornata nella terra degli avi, ma nelle campagne veronesi anziché in Piemonte: hanno un sogno: «conquistare il gusto italiano con l’esperienza del Nuovo Mondo». Da qualche anno, nei film di Hollywood, tutti i divi bevono vino per conquistare un amore, dopo avere preparato una cena italiana. E spesso sorseggiano vino californiano, prodotto da italoamericani, oltre che da ricchi e famosi registi… Tutto nacque da un prestito di 5.900 dollari per iniziare a produrre la loro Barbera piemontese di Fossano, dopo avere studiato nella biblioteca di Modesto come produrre il vino nel giusto modo, dopo una dura giornata di lavoro: un vero american dream... «Se vuoi produrre vino - affermava il ruvido Ernest Gallo - devi essere un guerriero». La E&J Gallo Winery è l’azienda leader del mercato “a stelle e striscie”: nel 2006, Gallo (nato a Fossano, nell’astigiano) ha prodotto 70 milioni di casse di vino californiano!!! La sua “missione”, nonostante le critiche sulla qualità era ben precisa:”… rendere il frutto della viticoltura popolare e accessibile, come la minestra Campbell nell’America della birra, del whisky e della Coca Cola - ha dichiarato in più interviste - dopo gli anni della guerra fredda”. Ma alla fine degli anni Ottanta, sono stati prodotti anche i vini pregiati. Nel 2001 e nel 2002, a Verona, la «Ernest & Julio Gallo Winery» vinse il premio «Gran Vinitaly», il massimo riconoscimento in uno dei concorsi più severi del mondo, totalizzando il punteggio complessivo più alto in base alle medaglie ricevute dalle sue bottiglie di Cabernet Sauvignon e Chardonnay. “…Ernest Gallo ha avuto un grande merito. Quello di aver dato una spinta per far uscire il
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vino in America dal ghetto dei “ricchifamosi” e farlo entrare nelle case delle persone normali. Certo, all’inizio, qualità mediocre o scarsa. Certo, marketing aggressivo e spregiudicato… Ma è grazie a Gallo se altri produttori di maggior qualità hanno modificato le strategie e se si sono aperte le porte all’importazione di vini dall’estero… Ha anche aperto la strada a Robert Mondavi, che fa vino di qualità. Il “turned leaf” di gallo è un prodotto diverso dal vino di mondavi. Di vini di qualità in California ce ne sono parecchi. Tanti piccoli produttori appassionati che hanno assunto vignaiuoli italiani o francesi per sfruttare al meglio le loro uve straordinarie. Wente Family Estates, Arrow Creek, Fetzer Vineyards, Beaucanon Estate producono bottiglie pregevoli . Il resto lo fa il clima straordinario della California. Il mio pezzo di famiglia americano produceva vino a Napa con l’etichetta Rutherford Vintners fino al 1994, Pinot Noir e Chardonnay erano bottiglie di gran razza, bevute con sommo piacere anche da mio padre, alpino che beveva solo vino comprato in damigiana presso origini certe e piemontesi e imbottigliato da lui. Quanto ad Antinori, il loro
Vino Santo vero è nettare”. Questo è il pensiero del signor Alberto Biraghi (giovedì 8 marzo 2007), che sintetizza il pensiero del mondo dei blog, alla scomparsa del decano della Napa Valley, Ernest Gallo, scomparso alla soglia dei 98 anni, nella sua villa spettacolare di Modesto. Per chi non conosce il mondo del vino americano, stiamo parlando del pioniere della Napa Valley e del vino californiano. Di origine piemontese, la famiglia Gallo veniva dalla terra e dai vigneti. Grazie alla feroce determinazione lavorativa Ernest ha fatto scoprire agli americani che non esistevano solo whisky e coca-cola. Ernest Gallo è stato un uomo di grande successo,per 70 anni, arrivando a produrre il 25% della produzione vinicola Usa: la reale realizzazione per un emigrante di origine piemontese del “sogno americano”. Certo, la sua storia non è stata semplice, specie nel rapporto con il fratello Julio, scomparso dieci anni fa in un drammatico incidente stradale. Il terzo fratello, Joseph, era scomparso una settimana prima di Ernest, a fine febbraio, alla età di 87 anni. Adesso, è il turno della terza generazione dei Gallo… Mauro Boschi
FATTI E AVVENIMENTI DALLE REGIONI
NOTIZIE SELEZIONATE DALLA NOSTRA REDAZIONE QUOTIDIANA
Milano - ‘’Quello presentato alla Bit di Milano era solo lo schema del Portale Italia.It. Ora, con il contributo delle Regioni, va riempito di contenuti’’: il ministro per l’ Innovazione nella pubblica amministrazione Luigi Nicolais risponde cosi’ alle critiche sul sito lanciato per promuovere l’Italia nel mondo. “Il portale - ha spiegato Nicolais in un convegno sulla pubblica amministrazione - e’ nato cinque anni fa con una filosofia diversa rispetto a quella di oggi, e cioe’ pensando che il Governo centrale potesse gestire il sistema lasciando agli enti locali un ruolo di comparsa. Con Rutelli, quando abbiamo preso in mano la questione, abbiamo pensato di invertire il sistema, affidando al Governo la regia e alle Regioni la gestione”. Il ministro ha quindi annunciato la riunionedel comitato di redazione del portale, che comprende rappresentanti di molte regioni e del governo, per iniziare il riempimento del portale.
Nazionale - Il Ministero dell’Economia e Finanze - informa regioni.it - ha comunicato che il fabbisogno del settore statale del mese di febbraio 2007 è risultato, in via provvisoria, pari a circa 6.500 milioni di euro, in aumento di 450 milioni rispetto a quello registrato nel mese di febbraio del 2006 (6.056 milioni).Il fabbisogno del primo bimestre di quest’anno risulta complessivamente pari a circa 7.800 milioni, inferiore di 1.700 milioni rispetto allo stesso periodo del 2006, quando si era attestato a 9.502 milioni. L’aumento del fabbisogno di febbraio 2007 risulta determinato dalla concentrazione di alcune spese già programmate per l’anno in corso che risultano, peraltro, quasi interamente compensate dall’incremento delle entrate fiscali nel loro complesso. In particolare, sono state pagate cedole su titoli di Stato con un maggior onere per oltre 1.000 milioni rispetto a febbraio 2006 (tale fenomeno, connesso alla politica di gestione del debito, si verificherà anche nel mese di agosto). Di pari importo è risultato l’incremento delle risorse assegnate al settore agricolo a fronte dei finanziamenti comunitari. Sempre a febbraio, inoltre, si sono concentrati maggiori prelievi per circa 700 milioni da parte delle Regioni.
Sardegna - Con un emendamento che riserva alle donne almeno il 40 per cento dei posti nella Giunta regionale, il Consiglio regionale della Sardegna ha approvato – cosa unica in Italia - una misura che va in direzione di una reale attuazione al principio pari opportunita’ fra i sessi. L’emendamento, sostenuto senza distinzioni di schieramento da tutte le consigliere donna, appena 8 su un totale di 85 onorevoli, riguarda un articolo del testo di legge statutaria per il quale si attende a giorni il via libera definitivo dell’Assemblea. Altro provvedimento approvato è stato quello che servirà a Velocizzare la realizzazione delle opere pubbliche e, soprattutto, migliorarne la qualita’ architettonica: sono questi i compiti che avra’ ‘’Sardegna Arichitettura, Agenzia di Architettura e Ingegneria pubblica, la cui istituzione e’ prevista nella Finanziaria regionale varata dalla Giunta Soru e di cui a breve comincera’ l’esame in Consiglio regionale. L’organismo dipendera’ direttamente dalla Presidenza della Giunta regionale che deterra’ i poteri di indirizzo, vigilanza e controllo e sara’ coordinata da un direttore generale. Infine è partito il digitale. A Cagliari e in 122 Comuni del Suddella Sardegna dalle 3 della notte scorsa e’ arrivata la tvdigitale. Raidue, rete4 e QOOB di Telecom Italia Media,trasmettono soltanto in digitale terrestre, dopo aver spento letrasmissioni con il sistema analogico.
QUINDICI | Regioni