Press Italia Regioni - 04/2007

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Num. 04 - Anno 2007

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Speciale

Il vero r uolo dei piccoli comuni

Maggio al suono delle campane

Questo strumento religioso f첫 inventato da San Paolino


Press Italia REGIONI

Numero QUATTRO | anno 2007

Supplemento al N. 335 di pressitalia.net Registrazione Tribunale di Perugia n. 33 del 5 maggio 2006

Direttore Editoriale Mauro Piergentili Direttore Responsabile Alberto Cappannelli Progetto Grafico Mauro Piergentili Redazione Giulio Rosi, Paola Pacifici, Gian Giacomo Bei, Maria Annunzia Selvelli, Arturo Fabra, Matteo Scandolin Foto Copertina Mauro Piergentili Stampa Centro Servizi “Le Colibrì” Gubbio (PG)

L’EDITORIALE

di Giulio Rosi Maggio è uno dei mesi più belli dell’anno. In parte perchè a maggio si consolida la primavera con i suoi colori, sapori e profumi, cancellando ogni residuo d’inverno ed aprendo la strada all’estate. Ma anche perchè a maggio si concentra una grande quantità di tradizioni, di ricorrenze, di avvenimenti. Per i credenti è il mese dedicato alla Madonna, per i romantici il mese delle rose, per gli innamorati il mese per sposarsi. Ma è anche il mese in cui le campane delle chiese sembrano più armoniose e squillanti, che le candele brillano di più e che dappertutto iniziano festival musicali, spettacoli all’aperto, eventi folcloristici e intensi programmi turistici, che superando i confini nazionali raggiungono gli italiani residenti in ogni parte del mondo risvegliandone i sentimenti e i ricordi. Su questa linea anche noi abbiamo scelto dei temi in armonia con il mese di maggio, curiosando nel mondo, parlando di vacanze, di confetti, di campane e di quella preziosa realtà italiana rappresentata dai paesi più piccoli, vero patrimonio culturale antico e recente, oscuri protagonisti dello sviluppo economico. Ad essi, durante questo mese, viene dedicata una grande manifestazione che esalta l’orgoglio italiano, evidenziando i valori spesso assopiti dei piccoli centri, disegnando una mappa fin’ora sconosciuta, ma densa di fervore, di storia e di silenzioso progresso, lungo la quale si snoda un percorso che unisce idealmente città, paesi borghi con una forma di sinergia costruttiva che si chiama Italia.

Regioni | DUE

VOLETE PARTECIPARE A FIERE TEMATICHE ED EVENTI INTERNAZIONALI IN SPAGNA: A MALAGA, TORREMOLINOS, FUENGIROLA E MARBELLA, SULLA COSTA DEL SOL? Assessorati al turismo e alla cultura, gruppi folcloristici e proloco, associazioni di artigiani, produttori alimentari, aziende vinicole, pittori, scultori, agriturismi, bande musicali Chiamate l’Associazione Italiani in Spagna allo +34 670.030.227 eMail: info@italianinspagna.org Web: www.italianinspagna.org


LA LUNGA FILA DELLE AUTO GIALLE A ROMA ALMENO UN TASSISTA SU TRE È ORIGINARIO DEL MOLISE Ve la racconto così come me l’ha raccontata un tassista in servizio a Roma. Non tutti sanno che nella Capitale un tassista su tre è molisano, spesso originario di un paese in provincia di Campobasso che si chiama Bagnoli del Trigno. Come sia accaduto è intuibile. I primi tassisti chiamarono gli altri e nasce una comunità. Attualmente sono almeno 2.500 i tassisti molisani di Roma, riuniti in cooperative come “Radio Taxi 3570”, che ne raccoglie oltre un migliaio, o “La Capitale”. Dietro le loro sigle come si celano nomi e volti che racchiudono tante storie. Salvatore, originario di Bagnoli del Trigno, vive a Roma dal 1970 è il tasista che ci racconta l’aneddoto. Ogni estate e come in ogni località italiana, anche a Bagnoli del Trigno si verifica un massiccio ritorno dei nativi per ritrovare i famigliari, i vecchi amici e le proprie radici durante le vacanze estive. “Anche se in verità gran parte di noi ci ritorna tutti i fine settimana - spiega Salvatore - perché per noi la vera casa è il Molise. Un fine settimana è libero per i dispari ed uno per i pari, a seconda cioè dei turni riferiti alle nostre sigle. Pensi che noi tassisti abbiamo un modo di dire: vigna o maiale pari o dispari, perché ci sono i turni anche quando è tempo di vendemmia o di ammazzare il maiale. E visto che capita spesso di fare il viaggio tutti insieme, provi un po’ ad immaginare che fila interminabile di taxi”.Ora accade che, essendo migliaia i tassisti romani originari di Bagnoli del Trigno ed usando in prevalenza il loro taxi temporaneamente fuori servizio - per andare in vacanza, risulta inevitabile che in quel periodo il paese si riempia letteralmente di macchine gialle. All’epoca in cui questi erano tutti di color giallo, il fenomeno dei taxi parcheggiati lungo le strade di Bagnoli del Trigno era senz’altro vistoso e curioso insieme. Tanto è vero che un italo americano, originario di questo paese, decidendo di conoscere la terra dei suoi nonni, dopo aver visitato Milano e Roma approdò a Bagnoli del Trigno. “Era ferragosto - prosegue Salvatore - ed ogni angolo era occupato da un taxi. Al che il turista, rivolgendo-

si ad un vigile urbano, gli chiese come mai a Roma e a Milano per trovare un taxi aveva dovuto faticare sette camicie, mentre in un piccolo paese come questo avevano così tanti taxi? Certo, gli disse, che dovete essere molto ricchi se usate sempre il taxi per spostarvi! Al che, sbellicandosi dalle risate, il vigile gli spiegò che si trattava di compaesani in vacanza. E che furono i lori nonni a diffondere il mestiere del tassista tra i molisani a Roma”. Questi pionieri, indubbiamente intraprendenti e coraggiosi, partirono da Bagnoli del Trigno, Salcito, Fossato, Pietracupa, Pietrabbondante, Duronia, Poggio Sannita, per cercare lavoro nella capitale. Esperti nel trattare gli animali, vennero subito considerati i più affidabili nell’accudire i cavalli di quei signori che, ai primi del novecento, potevano permettersi una carrozza propria. Ma l’intraprendenza e la tenacia dei molisani fece sì, che nel giro di un’attività più redditizia come la conduzione delle carrozze pubbliche si affermarono anche in quella che era la naturale prosecuzione del lavoro di cocchiere. La rapida evoluzione dei mezzi di trasporto, passando dalla romantica carrozza a cavalli all’automobile, non ha quindi dissolto un’attività diventata ormai tradizione e che vanta ben tre generazioni. Ma la saga molisana continua perpetuando e

intensificando il pittoresco fenomeno della fila di macchine gialle che settimanalmente percorre l’autostrada che da Roma porta al Molise. ■ Maria Annunzia Selvelli

TRE | Regioni


IL VERO RUOLO DEI PICCOLI COMUNI

È UNA GRANDE OCCASIONE PER VOLERE BENE ALL’ITALIA

In Italia più di un comune su due ha meno di 5.000 abitanti: è la piccola grande Italia, custode di risorse paesaggistiche e culturali straordinarie e luogo di economie tipiche; questa Italia va resa protagonista del futuro”.Così ha detto Roberto Della Seta, presidente nazionale di Legambiente, inaugurando Voler Bene all’Italia, la festa nazionale dei piccoli comuni, organizzata da Legambiente insieme a un vasto comitato promotore di associazioni ed enti, sotto l’Alto patronato del Presidente della Repubblica e con la collaborazione di Enel. Oltre 2000 stupendi e pruttivi borghi del Belpaese hanno mostrato il meglio di sé, organizzando degustazioni, visite guidate, percorsi naturalistici, mostre, convegni, rappresentazioni folkloristiche e poi musica, sagre, spettacoli e attività ludiche. Anche Civitas, da anni punto di riferimento del terzo settore, ha partecipato alla campagna Voler bene all’Italia per valorizzare e rilanciare il protagonismo dei piccoli comuni custodi della maggior parte dei tesori di bellezze naturali, architettoniche e di saperi e sapori del nostro Paese. “In Piccola grande Italia” – ha detto Napolitano –si riconosce il 72% dei Comuni in cui risiedono stabilmente 10 milioni di cittadini, ma che, custodendo il 55% del territorio nazionale, rappresenta un sicuro punto di riferimento anche per tanta parte dei cittadini

Regioni | QUATTRO

che vivono e lavorano nelle città e, quando possibile, cercano lungo gli itinerari verso i più piccoli borghi di avvicinarsi a una più alta qualità della vita. Mi unisco, dunque, al motto che caratterizza questa edizione della festa: è davvero una buona occasione per “voler bene all’Italia”. Secondo Roberto Della Seta proprio i piccoli comuni a testimoniare, spesso anche all’estero il meglio del made in Italy e, nello stesso tempo a farsi promotori di modelli civici e di teconologie all’avanguardia nel rispetto dell’ambiente. I piccoli comuni meritano, quindi, opportunità e investimenti per far sì che queste realtà possano proseguire senza pericoli di indebolimento.

“L’iniziativa di Legambiente – ha detto Piero Gnudi, presidente di Enel - è in linea con due dei principali obiettivi della nostra Società: rafforzare il legame con il territorio, contribuendo al suo sviluppo e valorizzando le sue risorse; sensibilizzare tutti gli italiani su un uso più razionale dell’energia, la principale “fonte rinnovabile” della quale disponiamo. E proprio all’efficienza e al risparmio energetico sono destinate importanti risorse nel nostro piano per l’Ambiente, che prevede investimenti per oltre 4 miliardi di euro.” Nel Lazio è partito da Roma “Il Treno dei piccoli Comuni” per un viaggio alla scoperta dei tesori paesaggistici regionali. Durante la festa, ogni famiglia presentava il proprio paese con un piatto tipico. Nel 99.5 % dei piccoli Comuni si trovano, infatti, prodotti tipici certificati. E’ qui che vengono prodotti il 93 % delle DOP e degli IGP accanto al 79% dei vini più pregiati fra DOC e DOCG. Perle di gusto famose nel mondo come il re dei vini prodotto a Barolo (CN) e celebrato oggi da Voler Bene all’Italia. Ma si festeggia anche nei borghi ecocompatibili come ad Albairate (MI) dove hanno applicato l’elettronica alla raccolta dei rifiuti. Ai cittadini infatti viene consegnato un contenitore con un chip che legge la quantità e trasmette al centro operativo le informazioni così da agevolare lo smaltimento. Sono riusciti anche a tassare i rifiuti non sulla superficie immobiliare, ma sulla quantità prodotta. ■ Mauro Piergentili


SULMONA, CONFETTI IN OGNI OCCASIONE

UNA SECOLARE TRADIZIONE RIMASTA IMMUTATA NEL TEMPO

Pittoresche composizioni floreali realizzate con i confetti

A Sulmona, ubicata nella Conca Peligna, tra ampie piazze, stretti vicoli e scenografici spazi urbani, si respira ancora molta dell’atmosfera d’altri tempi, profumata del dolce aroma di quei confetti che l’hanno resa famosa in tutto il mondo. La tradizione letteraria ricollega la fondazione della città alle leggendarie vicende di Solimo, eroe frigio scampato assieme ad Enea all’ira dei Greci e approdato sulle sponde italiche dopo la distruzione di Troia. Sul finire dell’800, le realizzazioni ferroviarie ne fecero uno dei più importanti nodi d’Abruzzo, contribuendo in misura non trascurabile alla ripresa economica avviata dopo l’Unità d’Italia, accompagnata al deciso incremento demografico che portò la

popolazione residente quasi sui livelli attuali, ma che nel contempo diede l’avvio all’imponente esodo migratorio. Nell’ultimo secolo, pur inevitabilmente segnata dalle due guerre mondiali e dai problemi economici e occupazionali propri delle regioni centro-meridionali d’Italia, la città mantiene fede alla sua vocazione di fedele custode della propria identità e delle proprie tradizioni, quali i riti della Pasqua e la rievocazione della Giostra Cavalleresca, anche attraverso una rimarchevole serie di istituzioni e manifestazioni, alcune di risonanza internazionale, in campo culturale, musicale, artistico, teatrale e cinematografico. Ma ciò che ha contribuito in larga parte alla sua celebrità sono indubbiamente i confetti. La mo-

derna fabbricazione di confetti cominciò in Sulmona nel XV secolo, quando le monache del Convento di Santa Chiara cominciarono ad utilizzarli confetti nella preparazione di composizioni a forma di fiori, grappoli d’uva e rosari. Ma le vere manifatture di confetti apparvero ala fine del 1700, epoca in cui i Confetti di Sulmona - grazie all’abilità di una famiglia che li fabbrica secondo una ricetta immutata nei secoli - cominciarono ad invadere i mercati di tutto il mondo. La storia è incerta, ma sembra che dei rozzi antenati dei nostri confetti, realizzati mandorle, miele e farina, esistessero già in epoca romana per festeggiare nascite e matrimoni. Va precisato però che fino al tardo ‘400 l’odierno confetto non poteva esistere, visto che lo zucchero arrivò dopo la scoperta delle Indie occidentali. Da allora il magico confetto ha dilagato. Nell’Italia rinascimentale coppe ricolme di confetti accolgievano gli ospiti ai ricevimenti, e venivano offerti per festeggiare i voti di monache e sacerdoti. Ampiamente citati in letteratura: nelle opere del Boccaccio, dal Manzoni fino a Goethe che regalò uno scrigno di confetti alla futura moglie. Documenti trecenteschi “dell’ Opera di S.Jacopo”riferiscono di “anici confecti” fra i dolci offerti dalle autorità durante i festeggiamenti in onore del santo patrono. Nel quattordicesimo secolo i confetti venivano preparati dalla corporazione dei medici e speziali. Tradizionalmente la produzione del confetto avviene in grosse caldaie ruotanti di rame, dette “bassine”, nelle quali i confetti si ingrossano ricoprendosi con strati successivi di zucchero sciolto a cottura graduale e introdotto nella bassina per mezzo di un alambicco. Oggi il sistema è praticamente immutato. Bianco per matrimoni, argento per i venticinque anni di matrimonio, oro per i cinquanta, celeste o rosa per battesimi, rosso per lauree, verde per il primo impiego, con cuore di mandorla, nocciola e anice; con cannella, rosolio, caffè, pistacchi, marzapane e cioccolato, ormai da vari secoli i confetti di Sulmona accompagnano i momenti più significativi della vita. ■ Paola Pacifici

CINQUE | Regioni


ARICCIA E IL FASCINO DI PALAZZO CHIGI

L’ANTICO EDIFICIO DUCALE È SEMPRE UNO SCRIGNO D’ARTE

Il palazzo ducale di Ariccia costituisce un esempio unico di dimora barocca rimasta inalterata nel suo contesto ambientale e nel suo arredamento originario, a documentare il fasto di una delle più grandi casate papali italiane: i Chigi, già proprietari dell’omonimo palazzo romano, oggi sede della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Iniziato nella seconda metà del sedicesimo secolo dalla famiglia dei Savelli, il palazzo fu trasformato su commissione dei Chigi in una fastosa dimora barocca tra il 1664 e il 1672 su un’idea progettuale di Gian Lorenzo Bernini, che si servì della collaborazione del suo giovane allievo Carlo Fontana. La famiglia è di antica origine senese. Figura di spicco fu il banchiere Agostino Chigi detto “il Magnifico” (1465-1520), uno dei più grandi mecenati del Rinascimento. Dopo un periodo di assenza dalla scena politica e culturale, la famiglia raggiunse nuova gloria con l’elezione a pontefice del cardinale Fabio Chigi col nome di Alessandro VII (1655-1667). Ebbe due nipoti cardinali: Flavio I (1631-1693), principale artefice delle collezioni artistiche di famiglia, e Sigismondo (1649-1678); l’altro nipote Agostino (1634-1705) sposò Maria Virginia Borghese, nipote di Papa Paolo. A partire dalla seconda metà del ‘600 si formò il grande patrimonio immobiliare dei Chigi fino a divenire nella metà dell’ ‘800 tra i cinque maggiori proprietari ter-

Regioni | SEI

rieri dello Stato Pontificio. Da allora fino ad oggi, la famiglia Chigi è stata sempre al centro della nomenclatura italiana. Ultimo Maresciallo è stato don Sigismondo Chigi (1894 - 1982) che ha sposato l’americana Marian Berry (1901 1989). Agostino Chigi (1929 – 2002) che ha profuso il suo impegno in attività filantropiche in India e in Italia; appassionato di fotografia, ha ceduto al Comune di Ariccia il Palazzo Chigi, con annesso parco e vari beni immobili di famiglia, il 29 dicembre 1988. Attualmente la famiglia Chigi è rappresentata dal principe Mario Chigi (1929), figlio di Francesco, che risiede nella villa avita di Castel Fusano e dal figlio, il duca Flavio Chigi (1975). Il palazzo vanta un’importante collezione

di dipinti, sculture ed arredi, per lo più del XVII secolo provenienti anche da altre dimore di famiglia, tra cui lo stesso palazzo di Roma, venduto allo stato nel 1918. Forse per le sue caratteristiche spagnoleggianti Luchino Visconti volle ambientare nel palazzo gran parte del suo capolavoro: “Il Gattopardo”, girandovi tutti gli interni di Donnafugata, comprese le soffitte. L’edificio, ceduto a particolari condizioni di favore al Comune di Ariccia il 29 dicembre 1988 dal principe Agostino Chigi Albani della Rovere, è adibito a museo di se stesso e centro di molteplici attività culturali. La Collezione Chigi costituisce l’asse fondamentale delle raccolte del Palazzo Chigi, visitabile e aperto al pubblico tutto l’anno. Disposta al Piano Nobile e nell’appartamento privato del Cardinal Flavio Chigi sito al pian terreno, comprende una vasta raccolta di opere d’arte della famiglia Chigi risalenti al XVII secolo. Sono presenti pezzi unici di arti applicate e arredi risalenti fin dal Seicento. Il Museo del Barocco nasce nel 1999 su idea dello storico dell’arte Maurizio Fagiolo dell’Arco che con la sua importante donazione di dipinti al Palazzo Chigi ha creato il nucleo iniziale della sezione. La Collezione Chigi si è dunque arricchita di importanti acquisizioni e donazioni. Tra queste la Collezione Fagiolo, opere dalla Collezione Koelliker e la Biblioteca Chigi. Un vero gioiello culturale, incastonato nella preziosa cornice gastronomica di Ariccia. Da non perdere! ■ Giulio Rosi


MAGGIO AL SUONO DELLA CAMPANA QUESTO STRUMENTO RELIGIOSO FU IDEATO DA SAN PAOLINO Maggio, per i cristiani è il mese della Madonna, ma per tutti è anche il suono festoso delle campane, la cui nascita è rimasta immutata nel tempo e la cui materia ha assunto per questo reconditi significati morali. Richiamo delle genti, monito di Dio, le campane hanno assunto nella vita dell’uomo e nelle varie culture significati solo un apparenza distanti. Assolvevano a funzioni protettive ed evocative delle divinità, con lo scopo di allontanare le forze del male ed avvicinare quelle del bene. Già presso gli Ebrei esistevano i “tintinnabula”, piccoli campanelli che ornavano la veste sacerdotale; esistevano anche presso i Romani e si ergevano sugli edifici pubblici per segnare l’ora delle funzioni pubbliche. Per non parlare dei monaci tibetani, per i quali i sonaglini sono parte vitale della liturgia. Su chi sia stato però l’inventore della prima vera campana e dei campanili, è in atto una controversia fra gli studiosi della materia. Senza soffermarci troppo sul tema, riteniamo che potrebbe essere stato San Paolino da Nola colui che nel 420 fece ingrandire dei campanelli, sospendendoli con meccanismi oscillanti ad una torre e azionandoli per usi sacri. La torre, poi detta campanile, era di forma quadra, con 18 palmi di larghezza per ogni lato, 100 palmi di altezza e tre ordini di finestre, l’una rispondente all’altra e rivolta alle quattro parti del mondo. Fu eretta accanto al sacrario della basilica di San Felice in Pincis. Stando a questi fatti, donque, il primo campanile e la prima campana della cristianità furono dunque fatti a Nola. Infatti col termine

“Nolanae” , il Pontefice Urbano VIII definì la campana e “Nolarium” il campanile. Fu in seguito il venerabile Beda ad usare il termine “Campana” ricavato dalla terra di origine dello strumento più meliodoso che il mondo avesse mai conosciuto e che l’uomo avesse mai prodotto con estenuante fatica. Nel 550 la campana era già diffusa in tutta Italia e di li a poco si diffuse in tutto l’Occidente. L’uso delle campane considerate ormai simbolo di Cristianità, è definito nei seguenti esametri: Laudo Deum verum, plebem voco, congrego clerum, defunctos ploro, nymbos fugo, festaque honoro. Ossia: Lodare Iddio, chiamare il popolo, cogregare il clero, piangere i defunti, allontanare le procelle, onorare le feste.

Le campane sono state protagoniste anche di fatti di cronaca, come accadde due anni fa al campanone del Santuario di San Giovanni Rorondo dedicato a Padre Pio. Narra il cronista:” Le undici sono passate da poco, quando una delle otto campane del santuario, quella consacrata a San Michele, che è anche la più grande, rompe improvvisamente l’armonia del suono a distesa che chiama i fedeli alla messa e si schianta al suolo, dopo un volo di una ventina di metri. Due tonnellate di bronzo che si sbriciolano in pochi secondi. Sono attimi di paura e di panico. Alcune schegge colpiscono la gamba di un pellegrino, che rimane lievemente ferito”. Ma anche durante l’ultima guerra il ruolo delle campane divenne vitale. Il 23 aprile 1944 la Prefettura di Trieste avvisò che a causa della mancanza di energia elettrica che alimentava le sirene, in caso di incursioni aeree l’allarme sarebbe stato dato a mezzo delle campane azionate dai carabinieri. Le segnalazioni erano così codificate: allarme: suono a distesa, per la durata di due minuti primi, del campanone di San Giusto, della campana maggiore di S. Antonio nuovo, seguiti subito da tutte le altre campane di Trieste. Cessato pericolo: suono a rintocchi per la durata di un minuto primo. Probabilmente le campane salvarono molte vite umane. ■ Mauro Piergentili

SETTE | Regioni


Grandi speranze Come ti accorcio le distanze Questo mio pezzo non vuole essere un riassunto, né un saggio, del grande e magico universo dei blog: ma un punto di partenza per ulteriori riflessioni. È incompleto, poco ma sicuro: ho inevitabilmente saltato alcuni passaggi storici, come anche alcuni aspetti meno noti ma certamente importanti di quella che viene chiamata la “blogosfera”. Nascono decine di nuovi blog ogni giorno, e ogni giorno il paradigma stesso della blogosfera è sotto costante cambiamento. Considera quindi queste righe come un trampolino di lancio per le riflessioni dei prossimi mesi. Siamo tutti scrittori, in Italia. Mi ci metto in mezzo anch’io. La sociologia ci dirà, in futuro, se il nostro è un paese di esibizionisti delle parole o da milioni di fini pensatori, le cui opere devono essere consegnate al perdurante ricordo della stampa. Certo è che internet è stata una manna dal cielo: per gli esibizionisti come per i filosofi. Anni fa sembrava che non fosse possibile fare un passo per strada senza incontrare qualcuno che ti dicesse “vai a vedere il mio blog”; il pensiero medio era: ma che cazzo avrai da dire sul tuo blog? Oggi sembra ancora peggio. Blog ovunque, centinaia di migliaia di iscritti su piattaforme come Splinder, Blogger, WordPress, solo per citarne alcuni; migliaia di mini siti su MySpace; circoli di blogger che si conoscono, si spalleggiano, si linkano. Io pure, prima su Splinder poi in proprio (su www.grandisperanze.net) faccio parte di questo mondo: ormai sono ben radicato nel tunnel. Come me, tanti: diari quotidiani, diari specifici (d’informatica, di politica), diari di viaggio. Conosco un ragazzo che durante l’erasmus in Cina, per rimanere in contatto con amici e parenti, s’è fatto il blog. Utilizzo intelligente d’un paradigma abusato. Spesso e volentieri leggi sfoghi personali. Spesso e volentieri un blog è seguito da pochi fedeli, generalmente conoscenti dell’autore, che continuano a leggere le sue avventure telematiche. Altre volte no: può succedere che un blog diventi una specie di fenomeno editoriale digitale. Penso ad esempio a Dania, che per quanto non abbia ancora pubblicato un libro (né voglia farlo, da quel che so), col suo www.dottoressadania.it è uno dei più longevi e smaliziati blog d’Italia. Succede anche che, appunto, i blogger diventino autori di libri, di grande o piccolo successo: sono nate case editrici con lo scopo di pubblicare in volume i migliori post dei migliori blogger. Se si pensava che fosse un fenomeno destinato a sgonfiarsi come la bolla dell’e-commerce, be’, la realtà è ben diversa: come l’ecommerce è ancora vivo, anche se modesto in Italia, ed è diventato un altro modo di fare acquisti (non ha sostituito il negozio vero: l’ha affiancato, ed è giusto così), allo stesso modo la blogosfera è diventata un altro modo per esprimere sé stessi. Ha catturato nella sua rete giornalisti, scrittori, musicisti; ha annullato la distanza tra chi scrive e chi legge; ha cambiato il modo di concepire il ruolo di un artista. In pratica, è un riassunto di quello che ha fatto internet, di cui il blog è il figlio prediletto.

Regioni | OTTO

RUBRICA LETTERARIA di Matteo Scandolin www.grandisperanze.net

ESPERANTO di Rodrigo Fresán (2000) Einaudi, 195 pagine, € 11,36. Tradotto da Paola Tomasinelli. Titolo originale: «Esperanto». Tante sono le cose da cui fugge Federico Esperanto, musicista trentacinquenne reduce da un glorioso successo e ora compositore di jingle pubblicitari: una moglie impazzita e redenta dalla luce divina in un istituto religioso, una figlia scomparsa, una donna amata in gioventù assassinata dal regime del Processo di riorganizzazione nazionale assieme alla figlioletta, un generale dell’esercito particolarmente feroce, una madre particolarmente stupida e avida, un fratellastro idolo delle teenager argentine particolarmente stupido, e un passato da dimenticare. Al lettore basterà fuggire dai frequenti ed eccessivi incisi di Fresán per godere di questo romanzo carino, spaccato del mondo argentino di metà anni novanta, in piena ripresa economica del governo Menem. Su tutto aleggia lo spettro della repressione militare degli anni ‘70, quando il giovane Federico Esperanto era un musicista promettente, prima che il servizio militare – e il golpe – gli rovinasse la vita. Ma il servizio militare gli ha fatto anche incontrare quello che considera suo fratello, La Montagna García, un gigantesco omone che con lui gestisce la Cima Pubblicità. E nel corso del romanzo, la vita di Esperanto si ribalterà più d’una volta, perché da una foto di Lisa, la ragazza che amava in gioventù, e Anita, la figlioletta, si scatenerà la più disastrosa settimana che Esperanto abbia mai vissuto, lui, schiacciato dalla vita e incapace di fare alcunché. Pieno di citazioni (anche inventate), enciclopedico, Esperanto è un romanzo che parte da un piccolo ricordo, una piccola foto invecchiata, per disegnare il dramma dei desaparecidos argentini, e il dramma del tempo, che macina tutto quello che incontra. Persino l’amore.

Centro Servizi “Le Colibrì” Fotocopisteria

Via Mazzatinti, 1 - 06024 Gubbio (PG) Tel. 075.922.01.95 - Fax 075.922.01.97


MALEDETTI DA DIO di Sven Hassel (1966) Sonzogno, 271 pagine, € 5,95. Tradotto Luisa Theodoli. Titolo originale: «The Legion Of The Damned». AUTOBIOGRAFIA di Charles Darwin (2006) Einaudi, 226 pagine, € 11,50. Tradotto da Luciana Fratini. Titolo originale: «The Autobiography Of Charles Darwin (1809-1882)». Sfogli svogliatamente le riviste che trovi in giro, o i cataloghi delle case editrici, e trovi ogni tanto delle vere chicche. Libri che ti (ri)dischiudono i mondi che pensavi lontanissimi dalla tua esistenza. Roba da scuola elementare, pensavi. E invece. (Ri)trovi quei temi su cui ci si picchia anche oggi, tra creazionisti ed evoluzionisti. (Ri)scopri certe istanze all’onestà intellettuale che farebbero bene ai giorni nostri, in cui un pezzo da novanta come l’autore di questo libro dice, con estrema umiltà: «Ho sempre cercato di tenermi libero da idee preconcette, in modo da poter rinunciare a qualunque ipotesi, anche se molto amata (...), non appena mi si dimostri che i fatti vi si oppongono». L’Autobiografia di Charles Darwin permette di andare oltre le storie sull’autore dell’Origine della specie, trovando un uomo semplice, innamorato della moglie e legato alla famiglia, alla quale spesso si affidava; un uomo in grado di dare il colpo (si sperava) mortale al creazionismo, a scapito dei turbamenti provocati nella moglie religiosa; capace di provare un fortissimo dolore nel ripensare alla figlioletta Annie, morta quasi trent’anni prima della stesura di queste note. Il libro è stato scritto pensando alla famiglia, non alla divulgazione; il figlio Francis ne ha curato la prima edizione, cui negli anni ‘50 si è affiancata l’edizione di Nora Barlow, nipote di Darwin, che ripristina i passi censurati dalla famiglia, soprattutto dalla vedova del grande scienziato, alla prima pubblicazione. Da leggere, sicuramente: c’è così tanto da imparare. LA POSIZIONE DELLA MISSIONARIA di Christopher Hitchens (2003) minimum fax, 134 pagine, € 7,75. Tradotto Eva Kampmann. Titolo originale: «The Missionary Position». Il sottotitolo recita Teoria e pratica di Madre Teresa, e direi che basterebbero queste due righe per darti una panoramica sufficiente su questo libro. Nell’eterna diatriba sulla religione, sulle cose giuste da fare o da dire quando si parla di santi (effettivi o ad interim) Hitchens arriva, dà fuoco a tutto e se ne va, placido e tranquillo. Per amor di precisione: il suddetto Hitchens è uno che sta per i fatti suoi: all’evidente impostazione trockijsta aggiunge una passione per la provocazione e la mancanza assoluta di paura o reticenza quando si tratta di scomodare un’icona, che sia Bill Clinton, Diana Spencer o Madre Teresa di Calcutta. Alla suora albanese dedica un libello, edito in Italia da minimum fax, che contesta la figura di benefattrice e vincitrice del premio Nobel per la pace che la piccola Agnes Bojaxhiu s’è conquistata con tanto sudore della fronte. Portando testimonianze di chi con la suora ha lavorato o parlato, Hitchens distrugge l’aureola di sacralità che stava attorno alla testa della missionaria dei poveri: ad esempio la mancanza quasi assoluta di antidolorifici seri nei suoi ospedali per moribondi, le donazioni accettate dalle figure più imbarazzanti della terra (tiranni assassini, truffatori), e il tutto ovviamente senza tenere contabilità; e mentre i suoi poveri stanno a morire su un letto di paglia, lei poteva correre negli States a farsi curare in maniera decente... Ed è stata beatificata.

Difficile fare una recensione completa di questo libro, perché in 270 pagine al protagonista ne succedono di tutti i colori. Viene incarcerato in un campo di concentramento nazista, scarcerato, arruolato a forza in un reggimento di disciplina, assegnato ai carristi, fatto combattere sul fronte russo, imprigionato dai russi, riesce a scappare, rimesso ai carristi, ferito, ricoverato in un ospedale militare, rimesso al fronte, e riesce a: sposarsi, ricevere la notizia della morte della moglie, farsi un’altra fidanzata, assistere alla morte di tutti i suoi compagni e alla pazzia di un suo superiore, adottare un gatto rosso chiamato Stalin... E ho raccontato neanche metà del libro. Al di là dell’anedottica, Hassel il romanzo l’ha scritto bene. Privo di patetismi e sentimentalismi, ma pieno di uno spirito di solidarietà umana e fra soldati (di entrambe le parti), svuotato da ogni retorica politica e guerresca. Hassel non fa mistero del fatto di aver unito, nei suoi diversi romanzi, eventi separati; la storia del battaglione di disciplina poi è un mezzo per denunciare la bruttezza del sistema nazista, e si capisce chiaramente. Quel che conta, una volta tanto, è il risultato raggiunto: un libro che si lascia leggere bene (per quanto l’edizione che ho è stampata male, e soprattutto fittissima), e che permette al lettore di avere un punto di vista diverso da quelli solitamente adottati quando si parla di Seconda guerra mondiale: ecco un soldato tedesco (non nazista, si badi bene), che combatte per il Fuhrer, anche se preferirebbe piuttosto starsene a casa. Consigliato a tutti.

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Il 70º MAGGIO MUSICALE FIORENTINO

IL PRESIDENTE NAPOLITANO GLI HA CONCESSO L’ALTO PATRONATO

Ponte Vecchio

La 70ª edizione del Maggio Musicale Fiorentino, cui il presidente Giorgio Napolitano ha concesso l’Alto Patronato, è iniziata in aprile e si concluderà il 24 luglio sviluppando un programma intenso e di alto profilo artistico. Essa coincide con la recente scomparsa del grande violoncellista Rostropovich, cui è stata dedicata una versione dell’Orfeo e Euridice diretta da Riccardo Muti. L’edizione si è aperta con una importante anteprima prima mondiale dell’ “Antigone”. Imponente e di straordinario impatto l’allestimento ideato dal regista napoletano con lo scenografo e costumista Sergio Tramonti: un’enorme grata-città che invade letteralmente palcoscenico e platea, sopra la quale agiscono Antigone-Monica Bacelli, Creonte-Roberto Abbondanza e Ismene-Chiara Taigi,

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per l’eterna e quanto mai attuale tragedia del conflitto fra legge divina e leggi degli uomini. Negli anni su questo palcoscenico si sono alternati i nomi più prestigiosi della musica di questo secolo, direttori quali Vittorio Gui, Bruno Walter, Wilhelm Furtwängler, Dimitri Mitropoulos, Zubin Mehta, von Karajan e Muti, la “divina” Maria Callas, Pietro Mascagni e Richard Strauss, Paul Hindemith e Bela Bartòk, Igor Stravinskij e Luigi Dallapiccola, Luigi Nono, Karlheinz Stockhausen e Luciano Berio quali interpreti delle loro stesse musiche. Al loro fianco registi e scenografi di eccezione quali Max Reinhardt e Gustav Gründgens, Luchino Visconti e Franco Zeffirelli, Luca Ronconi e Bob Wilson, Giorgio De Chirico ed Oskar Kokoschka. Fondato nel 1933 da Vitto-

rio Gui, il Maggio Musicale Fiorentino è il più antico festival italiano ed uno dei più importanti a livello internazionale. Nato come manifestazione triennale e divenuto già dal 1937 appuntamento annuale, è da allora una delle mète obbligate per gli amanti della musica. Fin dalle sue origini il Maggio Musicale si è imposto all’attenzione mondiale per alcune scelte culturali di fondo, originali e mai smentite. In primo luogo, l’attenzione rivolta ai problemi della “visualità” nell’opera lirica, chiamando a collaborare al festival fiorentino i maggiori registi teatrali e cinematografici del nostro secolo ed una nutrita schiera di celebri pittori e scultori di fama, come scenografi e costumisti: una scelta, sviluppata a Firenze prima che altrove, che si è rivelata decisiva per lo sviluppo della moderna drammaturgia operistica. Quindi la costante esplorazione del Novecento musicale, dalle sue avanguardie storiche fino alle esperienze più recenti, attraverso la presenza attiva degli stessi compositori, accompagnata dalla riscoperta di opere ed autori del passato: così, fenomeni come la Rossini-Renaissance, nonché la rivalutazione di Donizetti e del primo Verdi, hanno avuto i loro inizi sul palcoscenico del Teatro fiorentino. Né si può dimenticare l’indagine approfondita su alcuni momenti della storia della musica, grazie a edizioni del festival tematiche, quali il Maggio rossiniano del ‘52; quelli del ‘64, ‘94 e ‘95, dedicati rispettivamente all’Espressionismo, al Novecento storico ed al primo Romanticismo. Infine, la presenza costante di grandi interpreti: direttori, solisti e cantanti, indispensabili per la realizzazione di progetti tanto ambiziosi e tali da consentire, grazie anche all’apporto di regie e scenografie innovative, vere e proprie “riletture” delle partiture e delle opere più tradizionali. Se il Festival occupa i mesi di maggio e giugno, l’attività del Teatro si estende per tutto l’anno con la Stagione di Opere, Concerti e Balletti, e gli spettacoli estivi nella magnifica e monumentale cornice del Giardino di Boboli. ■ Paola Pacifici


PABLO PICASSO È ANCORA VIVO IN LUCIA IL CINEMA E L’ARTE NELLA LUNGA CARRIERA DELLA BOSÈ Lucia Bosè, ammirata protagonista di una importante parentesi, non ancora conclusa, del cinema italiano, attualmente vive in Spagna, dove ha fondato un originale Museo dedicato agli Angeli. Un ambizioso progetto culturale realizzato in una vecchia fabbrica di farina e che attualmente, dopo innumerevoli solleciti, riceverà per la prima volta un contributo della regione di Castiglia. Ed è in Spagna che la incontriamo e dove ci ricorda la sua ultima partecipazione in Italia al film “I Vicerè”, girato l’anno scorso in Italia, imperniato sulla postdominazione dei Borboni in Sicilia. Prodotto da Elda Ferri in coproduzione con l’ICC di Barcellona, con la regia di Roberto Faenza, il film verrà presto distribuito in Italia e in Spagna.Tutt’ora dinamica ed aperta al colloquio, la Lucia nazionale non nasconde che fare del cinema è una delle professioni più faticose che esistano. “Doversi alzare alle cinque per girare delle scene che vanno avanti tutto il giorno - ci ha detto la Bosè - non è più cosa per me. La gente crede che questo lavoro sia facile e comodo, ma si sbaglia”. Ciò non le impedisce comunque di essere presente alle molteplici occasioni mondane e culturali, come i festival cinematografici di Lecce e di Stresa, e soprattutto una mostra intitolata “L’Arte e l’Amicizia”, svoltasi tempo fa a Milano.La mostra rievocava l’amicizia tra lo stesso Picasso, Luis Miguel Dominguìn, acclamatissimo torero spagnolo, e Lucia Bosè, moglie di quest’ultimo. Si trattava di un racconto in presa diretta, poiché i visitatori della mostra potevano ascoltare, tramite audioguide, la voce narrante della Bosè che, attraverso aneddoti e ricordi, faceva rivivere con vera suggestione l’atmosfera di quei giorni. Alle pareti delle sale, alcune riproduzioni di fotografie tratte dall’album personale della famiglia Dominguìn completavano la rievocazione di quel periodo. In esposizione opere di piccolo formato per lo più inedite e, in molti casi, di grande valore, non solo affettivo. Particolarmente interessante era la serie di realizzazioni grafiche, quattro litogra-

fie, una stampa in offset e un collage stampato, e - rappresentativa del lato più intimista del Picasso di quegli anni - la serie di nove disegni originali, quattro dei quali espressamente dedicati dall’artista ai figli della coppia Dominguìn-Bosè. Poi molte ceramiche, vasi e piatti dedicati alla tauromachia. Picasso ammirava i matador e fu un accanito ammiratore dello stesso Dominguìn, al punto di aver una volta ammesso: “Mi piacerebbe essere Luis Miguel Dominguìn. Quella sì che è arte”. Nella figura del torero Picasso vedeva una sorta di semidio, l’eroe di una lotta che esalta al contempo la bellezza e la morte. Parlando di quella mostra Lucia Bosè ha ricordato il suo primo incontro con Picasso, durante una cena a casa di Luchino Visconti.”Molti anni dopo - ha detto l’attrice - con una memoria e una lucidità invidiabili, nonostante al tempo fosse già quasi ottuagenario, Picasso mi rammentò l’abito, il trucco e l’acconciatura che avevo nella precedente occasione”. Picasso era rimasto ammaliato dalla bellezza e dal fascino della giovane attrice. Nei ricordi di Lucia Bosè, Picasso emerge con la sua personalità vivacissima e stravagante, grandiosa al pari delle sue opere, molte delle quali, intimamente legate ai ricordi dei suoi primi anni di matrimonio e

all’infanzia dei suoi tre figli, Miguel, Lucía e Paola, le vennero regalate da Picasso, una collezione “casalinga”, come lei stessa l’ha definita. Dalla visione di questa famiglia bella, ricca, felice, Picasso traeva lo spunto per ridare vigoria alla sua produzione. Non solo per Picasso, ma per tutti gli spagnoli la nostra bella attrice dai capelli turchini è tuttora un simbolo da amare ed ammirare. E l’Italia? “L’Italia è sempre a due passi - risponde Lucia - e ci vado molto spesso”. ■ Giulio Rosi

UNDICI | Regioni


SEALAND, UNA NAZIONE IN VENDITA LA TRATTATIVA È STATA AFFIDATA AD UNA AGENZIA SPAGNOLA

Chi è disposto a spendere 750 milioni di euro può diventare il principe dello stato più piccolo del mondo. Si chiama Sealand e non è altro che una piattaforma di cemento con una superficie di 550 metri quadrati situata ad undici chilometri dalla costa sud-est dell’Inghilterra. È 800 volte minore dello Stato più piccolo che sia stato riconosciuto dall’Onu, cioè il Vaticano. Nel 1967 questa struttura venne dichiarata nazione a regime monarchico parlamentare. Ma la vera novità sta nel fatto che la vendita di questo insolito bene è stata affidata ad una agenzia immobiliare di Motril, un piccolo centro di pescatori della provincia spagnola di Granada, in piena Andalusia. Il suo titolare si chiama Gabriel Medina e non nasconde il fatto che in fondo si tratta di un prezzo ragionevole e probabilmente trattabile, per uno stato e un titolo regale dal potere assoluto di vita e di morte su coloro che si avventurassero ad diventare suoi sudditi. Ed a quanto pare di sudditi già ce ne sono, attratti dalla possibilità di acquisire titoli nobiliari dall’indubbia connotazione ampollosa e secondo alcuni in qualche modo patetica. Per la modica cifra di 29,99 sterline, infatti, si può diventare Lord e Lady, Barone o Baronessa.

Regioni | DODICI

La persona che acquista uno di questi titoli può a sua volta venderlo e nominare altra gente passandogli la qualifica. Da notare che la nazione di Sealand dispone già di una propria nazionale di calcio, evidentemente non ancora riconosciuta dalla Fifa, ma perfettamente inserita nel calendario della NF-Board che organizza la Coppa Mondiale VIVA, alla quale partecipano fra gli altri la Lapponia e il Principato di Monaco. Come premessa non c’è male. E non cè male nemmeno come effervescenza politica, visto che nel 1978 questa micronazione ebbe la sua propria guerra civile, con la quale l’allora primo ministro deposto creò un governo parallelo che attualmente si trova in esilio in Germania. Anche le pulci hanno la tosse, insomma. Attualmente il leader di Sealand è il principe Michael Bates, figlio del fondatore della nazione, il quale vive abitualmente nella piattaforma con cinque persone. Altre persone che intrattengono affari con Sealand daspongono del relativo passaporto che gli permette di entrare ed uscire da Sealand a proprio piacimento. Va comunque precisato che per diventare padrone di Sealand non bastano i quattrini, poichè la vendita deve essere preventivamente apprivata da

un apposito Senato di Sealand, che a quanto pare sarebbe piuttosto esigente in fatto di requisiti. E la cosa ci sembre giusta, soprattutto tenendo presente che l’isola potrebbe cadere in mani sbagliate trasformandosi in un paradiso fiscale o in un regno dell’illegalità e dei traffici più spregiudicati.E soprattutto di pericolose triangolazioni di importexport. Nel frattempo assicura Gabriel Medina - due futuri monarchi di questo regno da fiaba si sono già fatti avanti e le loro offerte sono al vaglio di Sealand. Probabilmente hanno chisto dei forti sconti e questo rende problematica la trattativa. La creazione di piccoli stati indioendenti non è cosa nuova. Nel 1971 il milionario di Las Vegas Michael Oliver fondò la Repubblica di Minerva formata da alcune isolette nel Pacifico. La moda di creare nazioni arrivò anche a La Coruña, nella Spagna del Nord, dove nacque il Regno della Nuova Svevia, munito di scudo e bandiera propri. Ed infine nei Caraibi, un gruppo di personaggi celebri nel 1981, fra i quali Francis Coppola, ha dato vita ad un regno chiamato Redonda. Probabilmente, visto come vanno le attuali monarchie, saranno questi gli unici reami del futuro. ■ Gian Giacomo Bei


I 61 ANNI DELL’AUTONOMIA SICILIANA CELEBRATA CON UN GRAN GALA AL TEATRO MASSIMO DI PALERMO Si chiama “Sicil In-Out”, un termine originale, a metà fra l’inglese e l’italiano, misto ma perfettamente comprensibile a tutti, coniato per indicare i siciliani che vanno e che vengono, ma comunque sempre siciliani, che sono stati capaci di diffondere attraverso il proprio impegno e il proprio operato la cultura, l’energia e la tradizione siciliana in tutto il mondo. Questo in breve il concetto sul quale si indirizza l’organizzazione di un evento che, giunto alla sua seconda edizione, ha celebrato quest’anno il sessantunesimo anniversario dell’Autonomia Siciliana nella splendida cornice del Teatro Massimo di Palermo. La prima edizione si svolse due anni or sono nella Valle dei Templi di Agrigento con una maratona culturale di oltre sei ore presentata da Paola Maugeri e con la presenza di artisti di notevole fama, tra cui Lucio Dalla e Antonella Ruggiero. Il tema era l’emigrazione, volendo sottolineare il valore riconosciuto in ambito internazionale ad una Regione, la Sicilia, che nei secoli ha inciso come incide tutt’ora nello sviluppo sociale, nei cambiamenti culturali della società contemporanea, tenendo saldi principi e valori che appartengono alla sua storia e alle sue tradizioni. Quest’anno la ricorrenza è stata indirizzata, per continuità al movimento inverso, peraltro molto attuale: il fenomeno dell’immigrazione. La Sicilia è sempre stata in grado di far fronte alle emergenze accogliendo popolazioni “diverse” per cultura, religione e costumi, inglobandone gli aspetti in un mix socio-culturale di grande effetto. In questa chiave l’obiettivo della manifestazione è anche e soprattutto quello di fermarsi a riflettere sulle ragioni storiche che hanno reso questa terra così forte e significativa dal punto di vista politico, economico e socio-

culturale, al punto da conquistare un’Autonomia piena ed eccezionale. In un’atmosfera suggestiva e fascinosa il capoluogo di Regione siciliano ha ospitato ad il Gran Gala in una cornice intima qual è quella rappresentata dal teatro Massimo, che unito il momento istituzionale con un susseguirsi di iniziative culturali. Prima fra tutte la consegna del prestigioso Premio Sicilia Archimede, conferito annualmente a personaggi che – ciascuno secondo la propria vocazione e il proprio ruolo – hanno saputo dar lustri e risalto a questa terra e alla sua gente. La serata prodotta da Enzo Bellavia de “Il Sestante”, organizzata in collaborazione con l’Ufficio Cerimoniale della Regione Siciliana e diretta da Pepi Morgia, è stata presentata da Gianfranco Jannuzzo ospitando artisti di fama internazionale, tutti legatissimi alla propria terra, ma contraddistintisi negli ultimi anni per le proprie qualità professionali. Tra questi la prima balleri-

na dell’Opèra di Parigi Eleonora Abbagnato il crooner e soulman Mario Biondi, attualmente in testa alle classifiche mondiali, il cantante Mario Venuti e il giovane sassofonista jazz Francesco Cafiso. E ancora Rino Martinez, cantautore siciliano che ha partecipato a Sanremo, oggi impegnato nel sociale con azioni umanitarie nei paesi africani; Mary Salvato, Sebastiano Cicciarella, F. Buzzurro, Mara Eli, The Brass Group, storica big band di jazz di Palermo, che presenteranno insieme il lavoro discografico “Made in Sicily” , una sorta di rivisitazione dei canti popolari siciliani indirizzati verso un vasto bacino d’utenza. A partecipare direttamente agli arrangiamenti musicali dei suddetti artisti oltre alla realizzazione di Made in Sicily la prestigiosa Orchestra Sinfonica Siciliana, protagonista delle più rinomate manifestazioni musicali in ambito nazionale ed internazionale. ■ Paola Pacifici

TREDICI | Regioni


L’EVOLUZIONE DELLA CUCINA ITALIANA ANTICA, MODERNA, RAFFINATA O NATURALE È SEMPRE LA MIGLIORE I signori Romani vivevano il banchetto come un lungo godimento in cui spilluzzicare complicate vivande ricoperte di costosissime spezie tra gli accordi delle cetre e le melodie dei flauti. In Sicilia gli Arabi introdussero la pasta secca, nata probabilmente come alimento per le popolazioni nomadi arabe per la sua facilità di conservazione. Sarà la cultura del cristianesimo considerò i piaceri della gola come una colpa legata alla sessualità: il peccato di Adamo ed Eva nel Paradiso terrestre era un peccato di orgoglio, ma coinvolgeva una donna e si era concretizzato nell’atto di mangiare. La perfezione spirituale passava dunque attraverso l’astinenza alimentare e soprattutto attraverso la privazione della carne. In Toscana avvenne il rinnovamento della cucina nel corso del XIV secolo con eccellenti materie prime: l’olio delle colline senesi e fiorentine, i piselli e i cavoli di Lastra a Signa e Scandicci, gli agnelli del Casentino, i vitelli della Val di Chiana, le triglie del Tirreno e i lucci del lago di Chiusi. Tutto si comperava al Mercato Vecchio di Firenze, dove si davano convegno anche i venditori ambulanti del contado che recavano ceste di uova, cacio e selvaggina. Nel Chianti si produceva già un buon vino vermiglio, erano noti il Montepulciano e il Montalcino e dall’isola d’Elba proveniva un nobile Aleatico. Era particolarmente ricercato il pane di Prato, che ispirò ai cuochi dei conventi un pane raffinato addolcito col miele e profumato di spezie, condito di fichi secchi e acini d’uva; fu l’ante-

Regioni | QUATTORDICI

nato del panforte di Siena e probabilmente anche del panettone milanese, che divennero i dolci tipici del Natale. E dilagò la moda dei confetti, destinati per il loro costo alle occasioni importanti.Durante le epidemie che in quel secolo infuriavano, era concesso bere a garganella come antidoto e narcotico. Nel 1400 la Chiesa, e soprattutto la corte papale, accettò di buon grado la tendenza di onorare Dio a tavola: il peccato di gola non appariva più a nessuno tanto spaventoso I Medici signori di Firenze di origine borghese: piuttosto che stupire i propri sudditi con allestimenti di dubbia eleganza i Medici preferivano coinvolgerli con garbo nei loro festeggiamenti. Il Rinascimento creò nuove varietà di

cotture, il trionfo delle marmellate, confetture e pasticcini valorizzando alcuni ortaggi sulle mense ufficiali . Erano popolari lasagne e pappardelle, taglierini, gnocchi e maccheroni. Cibi semplici, nel complesso nutrienti, tra i quali però non compare la carne, presente con tanta monotona dovizia sulle mense signorili. La scoperta dell’America introdusse il tacchino sulle mense dei ricchi . Cristoforo Colombo aveva portato alcuni chicchi di mais, la patata e il pomodoro che venne subito adottato nel condimento della pasta secca. E adesso? In contrapposizione al diffondersi del fast food e dei cibi confezionati, è nata l’esigenza di ritornare ai sapori antichi, con prodotti genuini e cibi semplici ispirati alla cucina povera e contadina d’altri tempi . La cucina contemporanea considera ancora i piatti della cucina borghese e classica. Ognuno propugna una propria cucina, ma alcune cose sono comuni a tutte: la freschezza dei prodotti, l’ottima qualità, la riscoperta della semplicità e della bellezza. Ancora li accomuna l’uso di tecniche di cottura naturali che rendono i cibi inalterati nella struttura, e nella loro fragranza di sapori e colori. Resta inteso che, per chi abbia pazienza e voglia di realizzarla, la migliore cucina è sempre quella di casa propria. ■ Mauro Piergentili


FATTI E AVVENIMENTI DALLE REGIONI

NOTIZIE SELEZIONATE DALLA NOSTRA REDAZIONE QUOTIDIANA

LAZIO. - E’ la prima regione capace di accedere ai finanziamenti relativi ai fondi tematici Ue da parte dei diversi stati membri. E’ quanto emerge da una ricerca commissionata dal Progetto Opportunià Regioni in Europa che, prendendo in esame 40 regioni e nazioni europee, ha avuto come obiettivo quello di comprendere la capacita’ che alcune regioni italiane ed europee hanno di utilizzare i fondi. La ricerca, i cui risultati sono stati resi noti prima di un convegno sul ruolo delle autonomie locali italiane nell’Europa delle regioni, si concentra sui fondi riguardanti settori strategici per lo sviluppo locale quali, trasporti, infrastrutture , innovazione, e ricerca e formazione. I programmi campione, scelti dalla ricerca per aree tematiche sono il Marco Polo (infrastrutture), lo EIE (Energia), il Media (Informazione e Comunicazione), il Socrates (Cultura ed Istruzione), il Gioventu’ (Diritti Umani), e il VI programma Quadro (Innovazione, Ricerca e Sviluppo). Il Lazio - informa regioni.it - è prima in ben quattro dei progetti presi in esame: Marco Polo, EIE, Cultura e Gioventù. Segue la Lombardia prima nel progetto Socrates e VIFI e la Toscana. Le regioni del Mezzogiorno compaiono raramente tra le più virtuose, ma ciò – si ipotizza - potrebbe essere condizionato dal fatto che ‘la politica negoziata e i fondi strutturali rappresentano l’accesso principale e preponderante, per queste regioni, ai fondi comunitari. Fra le città la prima posizione spetta a Roma, seguita da Milano, Firenze, Napoli e Perugia. L’effettivo coinvolgimento dell’Italia nei fondi tematici nel periodo 2000/2006 si attesta tra le prime tre posizioni della classifica comunitaria dei fondi. In percentuale il dato dell’Italia rappresenta circa il 12-13% del totale dei fondi tematici.

Veneto - Prosegue in Veneto il dibattito sul federalismo fiscale. Una sollecitazione forte alle Camere arrivata dalle province della Regione, Mentre il presidente della Regione, Giancarlo Galan si appresta ad affrontare l’argomento in un incontro con i capigruppo del Consiglio. Infatti il presidente del Consiglio regionale Marino Finozzi, proprio su richiesta del presidente della Regione Giancarlo Galan, ha convocato per tutti i responsabili dei gruppi consiliari. Al centro del confronto, nell’aula consiliare di palazzo Ferro-Fini, ci saranno l’attuazione del federalismo fiscale e di particolari forme di autonomia, alla luce del tavolo aperto tra Governo e Regioni sull’attuazione delle riforme costituzionali, delle istanze di autonomia che provengono dagli enti locali e del dibattito statutario. ‘’L’accelerazione imposta dal Governo all’attuazione del federalismo fiscale e di altri particolari forme di autonomia - ha scritto Galan a Finozzi - impone la necessità di un preventivo approfondimento e di un confronto politico tra la Giunta regionale e il Consiglio. Nel frattempo le provincia del Veneto sollecitano il Parlamento per una definizione in tempi brevi in sede legislativa delle norme di attuazione dell’art. 119 della Costituzione relative al federalismo fiscale. Lo afferma un documento approvato oggi dai presidenti delle sette Province del Veneto, riuniti nel Vicentino. Le Province ribadiscono inoltre che ‘’sia data puntuale attuazione alle disposizioni dell’art. 118 della Costituzione che prevede la titolarità di funzioni amministrative proprie e di funzioni conferite con leggi statali e regionali, secondo le rispettive competenze, ai Comuni e alle Province. Chiedono inoltre l’avvio di uno specifico tavolo di confronto con la Regione su tutta una serie di temi. (red/11.05.07)

QUINDICI | Regioni



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