Press Italia Regioni 02/2008

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2008

Incontro con il Gran Priore dei Templari di Spagna

Furono decimati, vogliono riunirsi

Pilotare un aereo?

Bastano un po’ d’impegno, del tempo e qualche soldo da spendere o litic o p , ale ultur c o t men fondi o r p p o d’a Periodic

ità tual t a ed


Press Italia

REGIONI

Numero DUE | anno 2008

Supplemento al N. 651 di pressitalia.net Registrazione Tribunale di Perugia n. 33 del 5 maggio 2006 Diffusione via Web

Direttore Responsabile Alberto Cappannelli Direttore Editoriale Mauro Piergentili Redazione Giulio Rosi, Paola Pacifici, Mauro boschi, Gian Giacomo Bei, Maria Annunzia Selvelli, Matteo Scandolin, Franco Baccarini, Aldo Rondoni, Marco Carboni, Maria G. Nuti, Hector Gonzales di Villarica Progetto Grafico Mauro Piergentili

VOLETE PARTECIPARE A FIERE TEMATICHE ED EVENTI INTERNAZIONALI IN SPAGNA: A MALAGA, TORREMOLINOS, FUENGIROLA E MARBELLA, SULLA COSTA DEL SOL? Assessorati a l t urismo e alla cultura, gruppi folcloristici e proloco, a ssociazioni d i artigiani, produttori a limentari, aziende v inicole, p ittori, scultori, agriturismi, bande musicali Chiamate

EDITORIALE di Giulio Rosi

Come preannunciato quando uscimmo la prima volta, i nostri lettori avranno notato che il giornale ha mantenuto la promessa di impegnarsi in una costante evoluzione. Aumentato il numero delle pagine e migliorato continuamente il contenuto, Regioni offre oggi un panorama vario e ragionevolmente approfondito, che tocca, con modestia, ma con altrettanto orgoglio, argomenti insoliti ed originali. Parliamo di tutto, cercando di racontare, ma prima di tutto di capire. Il vero giornalista - mi disse una volta il bravo Luciano Ragno, redattore scientifico del Messaggero di Roma - è quello che non pretende di dare nulla per scontato, è quello che prima di tutto deve capire, sapere bene. Solo così potrà spiegare ai lettori cosa ha capito e cosa ha verificato. Il giornalista sapiente,tronfio, l’esperto per antonomasia, il superbo conoscitore, non sempre è un bravo divulgatore. Sete di sapere, umiltà di apprendere, coraggio di chiedere e naturalmente capacità di raccontare, sono infatti gli ingredienti di una professione che, come dice una famosa battuta, tutto sommato “è meglio che lavorare”. Detto questo, anche in questo numero abbiamo spaziato da un capo all’altro della divulgazione, partendo da una autorevole intervista al Gran Maestro dei Templari di Spagna - raggiunto a Marbella in occasione di una sua trasferta di lavoro - allo sconvolgente libro su Cristoforo Colombo, ultima opera del famoso giornalista e scrittore Ruggero Marino il quale, da grande inviato - racconta con chiarezza e puntualità la vera storia della Scoperta dell’America. Gli argomenti passano con agilità dalla Sindone, controverso baluardo di contrapposte teorie mai definitivamente provate, ad uno sconosciuto odio del Mago Houdini per i ciarlatani, dalla Borsa Italiana del Turismo di Milano alla Mostra itinerante sulle Vie del Mare, ed a quella sempre interessante sulle Macchine di Leonardo, occasioni appetitose intervallate dal rapporto Censis sull’Italia, senza lasciare da parte un’affascinante proposta per chi vuole imparare a volare, passando per inviti di sport, di arte e di turismo, concludendo con una raffinata parentesi enogastronomica, che vede protagonisti delle nostre mense il simpatico maiale e il prelibato moscato italiano. Se alla fine avrete voglia di saperne di più, vorrà dire che avremo raggiunto lo scopo di farvi sombolicamente “alzare da tavola con un salutare residuo di appetito”. La gratificazione più bella per un editore e per un giornalista.

l’Associazione Italiani in Spagna allo +34 670.030.227 eMail: info@italianinspagna.org Web: www.italianinspagna.org


IL PRIORE CHE VUOLE RIUNIRE I TEMPLARI DEL MONDO Un monarca li fece sterminare per non pagare i suoi debiti Don Manuel Pérez Quintanilla, Priore Generale dei Templari e Gran Cancelliere General dei Baroni di Trastámara, è la massima autorità in Spagna di questo famoso Ordine. Due lauree, in diritto e in Filologia Inglese, una laurea in Educazione Fisica e una lunga esperienza vissuta negli Stati Uniti, accompagnano una semplicità di tratto ed un’ amabilità istintiva che sembrano confermare i principi più edificanti dell’antico Ordine da lui rappresentato. In questa intervista rilasciataci in esclusiva, riassume brevemente la lunga storia dei Templari e ne ristabilisce la verità, rispondendo ad alcune domande personali su temi di scottante attualità. Parliamo dell’Ordine Sovrano e Militare del Tempio di Gerusalemme, cioè dei Cavalieri Templari. Quando comincia la vostra storia? La storia comincia nell’anno 1108, quando nove cavalieri, tutti molto ricchi e di classe nobile, decidono di andare a Gerusalemme per proteggere i pellegrini dai banditi che li assaltavano, rubandogli tutto dopo averli massacrati. Possiamo dire che fossero dei frati? Erano l’equivalente dei frati, ma soprattutto erano un Ordine militare di Cavalleria. Avevano tre voti: obbedienza, lealtà e a quei tempi castità. Pertanto non potevano sposarsi o avere contatti con donne. Quest’ultimo voto con il tempo è andato cambiando ed attualmente, se lo vogliamo, noi templari ci sposiamo ed abbiamo figli. Ma questi nove Cavalieri avevano anche un altro scopo, uno “scopo segreto”, trovare antiche reliquie dai poteri immensi (Arca dell’Alleanza, Santo Graal). All’inizio furono chiamati i “Poveri Cavalieri di Cristo” ed erano un Ordine monastico e guerriero. Questo Ordine fu una cosa rivoluzionaria per quel tempo. Infatti i ceti sociali dell’epoca si dividevano tra: Bellatores, coloro che combattevano; Oratores, coloro che pregavano e Laboratores, coloro che lavoravano. I Cavalieri Templari unirono la mansuetudine del monaco alla forza del guerriero. Va detto che mentre anche i monaci tradizionali avevano tre voti: obbedienza, povertà e castità, i Cavalieri Templari ne avevano anche un quarto, cioè lo “stare in armi”, quindi il combattimento armato. Furono dei veri e propri monaci guerrieri. Quando i nove Cavalieri, si presentarono al Re di Gerusalemme Baldovino II, dichiarando di essere disposti a proteggere i pellegrini e a controllare le strade di Gerusalemme, erano coperti da un sem-

Manuel Perez Quintanilla, Gra Priore dei templari di Spagna

plice mantello bianco senza nessun altro fregio o armatura luccicante. Hugues de Payns, che li capeggiava, disse al re che non erano le vesti che facevano i buoni e coraggiosi cavalieri, ma il cuore. Il Re Baldovino II, dopo averli ascoltati, diede loro come quartier generale un’ala del monastero fortificato di Nostra Signora di Sion, accanto a quello che era stato il Tempio di Salomone. I cavalieri cominciarono così a controllare le strade come promesso al re, il quale fu soddisfatto del loro operato. Dopo poco tempo, con l’aumentare dei cavalieri, il quartier generale si trasferì andando ad occupare tutta l’area di quella che era la spianata del Tempio di Salomone, ossia l’area fra la Moschea della Roccia e la Moschea di Al-Aqsa. A questo punto presero il nome di “Ordine dei Poveri Cavalieri di Cristo e del Tempio di Gerusalemme”, e furono più semplicemente riconosciuti come

“Templari”. Oltre alla protezione che attività svolgevano? All’interno del Tempio i cavalieri creano la prima banca del mondo, per custodire al sicuro i beni depositati a Gerusalemme, in modo che all’occorrenza il loro valore finanziario equivalente potesse essere riscosso nelle principali capitali europee. In questo periodo i Cavalieri Templari incontrarono grandi difficoltà, sia dal punto di vista militare, perchè erano pochi, sia dal punto di vista economico. Per questi motivi Hugues de Payns tornò in Francia nel 1127 a cercare rinforzi morali ed economici. Proprio in questo periodo avviene la svolta decisiva dell’Ordine del Tempio: Hugues de Payns dopo aver incontrato a Roma il Papa Onorio II arriva a Troyes. Bisogna ritenere che la creazione di questo Ordine non aveva precedenti nella storia cristiana, e, anche il Papa mostrava evidenti segni di imbarazzo. Certo, i Cavalieri Templari non furono i primi monaci con altre finalità oltre la preghiera e la meditazione, anche i Cavalieri di San Giovanni conosciuti come Ospitalieri o Gerosolimitani e oggi come Cavalieri di Malta già esistevano, ma non avevano il voto delle armi, si occupavano soprattutto della cura dei feriti, degli invalidi e dei pellegrini. In seguito però, sull’esempio dei Cavalieri Templari, presero anche loro le armi. Dopo l’appello di Hugues de Payns, nominato primo Gran Maestro dell’’Ordine dei Templari, cominciano ad arrivare donazioni molto


Il Gran Priore di Spagna con l’autore dell’articolo

generose. Nei quasi due secoli trascorsi in Terra Santa, i Cavalieri Templari persero sette Gran Maestri in combattimento, cinque in seguito a ferite e uno nelle prigioni saracene. Dunque tredici, sui ventitré Gran Maestri di tutta la storia dell’Ordine. L’ultimo Gran Maestro, Jacques de Molay, si preparava a rendere più forte l’Ordine nella Francia di Filippo IV il Bello, portando con sé il tesoro accumulato in Terra Santa. I Cavalieri Templari erano ricchissimi e potenti, un vero Stato nello Stato e non soltanto in Francia, dove pare fossero ventimila. Tanta ricchezza e tanta potenza scatenò l’invidia del Re di Francia Filippo IV il Bello che determinò, con l’aiuto e l’inettitudine di Papa Clemente V, la fine dell’Ordine. Il Re di Francia Filippo IV il Bello infatti, già scomunicato nel 1303 da Papa Bonifacio VIII, pensò che invece di restituire i capitali che gli erano stati prestati dai Cavalieri Templari per condurre le varie guerre con Aragonesi, Inglesi e Fiamminghi, fosse più economico eliminare l’Ordine dei Cavalieri Templari e impossessarsi dei loro beni. Venne dunque istruito un processo-farsa per eresia che durerà ben sette anni - dal 1307 al 1314 - contando sulla testimonianza di due Cavalieri Templari espulsi dall’Ordine. Li si accusò di essersi dati a pratiche diaboliche, di idolatria verso la testa magica di Bafometto, di sodomia, di riti iniziatici che comportavano il bacio dell’ano del Maestro e lo sputo sul Crocefisso. Sottoposti a torture terrribili, fra cui l’immersione dei piedi nell’olio bollente, molti Cavalieri Templari confessarono ciò che volevano gli aguzzini, persino il Gran Maestro cedette. Ciò che

stupisce è la loro arrendevolezza. Tutti o quasi si fecero prendere senza opporre resistenza. Forse Jacques de Molay sperava nella protezione del Papa, ma Clemente V non seppe o non volle opporsi ai voleri del Re di Francia. La bolla papale del 1312 sciolse l’Ordine senza prove, ma per legittima suspicione. Jacques de Molay, ebbe la possibilità di salvarsi, ma ritrattò coraggiosamente la confessione resa e venne condannato al rogo. Prima di morire, si rivolse al popolo rivendogli la verità su quanto era accaduto, poi predisse al re di Francia che entro l’anno anche lui sarebbe morto. Dopo 37 giorni il re morì, si dice per una caduta da cavallo. Tre mesi dopo muore anche Clemente V,

ufficialmente per problemi intestinali, ma più probabilmente per avvelenamento. Nello stesso periodo morirono misteriosamente altri protagonisti dello sterminio dei Templari. I Templari si spargono in Spagna, Inghilterra, Italia e Germania, continuando ad aumentare di numero. La Chiesa non li scomunica, ma si limita a separarli dal proprio organico. Prima di morire, in un documento rinvenuto dopo 700 anni negli archivi segreti del Vaticano, Clemente V riconosce che il processo era stato una ignobile farsa ed assolve i Templari da ogni accusa, autorizzandoli in quanto frati a impartire ogni Sacramenro, compreso quello della Comunione. Ma il tesoro esisteva davvero? Che fine ha fatto? Questa stessa domanda mi venne rivolta da una signora, durante una conferenza che tenni l’anno scorso nel Castello di Peñiscula. E sa cosa le risposi? Le dissi: cara signora, sa dove ci troviamo? Sa quanto vale questo castello? Forse più 500 milioni di euro. Insomma non ha prezzo. E siccome nel mondo esistono 400 castelli templari anche più imponenti di questo, se lei li quantifica in denaro ecco il tesoro dei Templari, un tesoro immenso, incalcolabile. Qual’è oggi il ruolo svolto dai Templari? Prima di tutto continuiamo con la stessa regola di allora: essere cavalieri e guerrieri. Ovviamente non combattiamo come si faceva nell’atichità, però siamo cavalieri prima di ogni cosa, e dedichiamo obbedienza e lealtà ai nostri superiori. Non siamo una setta e celebriamo la cerimonia di investitura dei neofiti con un grano di sale, un pezzo di pane e un poco di vino, che sono gli stessi elementi del rituale cattolico. La nostra missione, soprattutto la mia come Priore Generale di Spagna, è quella di riunificare tutti gli Ordini della Spagna. Se se sono creati molti, alcuni con fini di lucro. Noi, al contrario, abbiamo abbassato la nostra quota di iscrizione al minimo necessario A livello universale vogliamo essere un solo Ordine del Tempio, perchè altrimenti il Vaticano non ci riconoscerà. Quali sono attualmente o vostri rapporti con il Vaticano? Siamo cattolici apostolici romani e la maggior parte siamo praticanti. Abbiamo relazioni con il vaticano, perchè vogliamo che ci riconosca. Ora è chiaro che fino a quando si hanno 417 Ordini Templari nel mondo, questo non può avvenire. Questa è la nostra missione: unificarci, non solo in Spagna, ma anche nel resto del mondo. Cosa pensa dell’Opus Dei? Come prelatura dei Gesuiti, indubbiamente è molto forte e potente. Recentemente il suo fondatore, Joaquin Escrivá de Balaguer, è


salito agli onori dell’altare. Sono molto intelligenti, professionisti e di alto livello. Noi abbiamo buoni rapporti con tutta la Chiesa e quindi anche con le sue legittime ramificazioni riconosciute. E con la Massoneria? Agli inizi si disse che i Templari e la Massoneria erano uniti. La Massoneria era composta dai muratori, per questo il loro simbolo erano la squadra e il compasso. La nostra simbologia è diversa. Certo, abbiamo buone relazioni, però tutti sanno che la Massoneria non ha niente a che fare con la Chiesa., nel senso che i suoi adepiti non sono obbligati ad avere relazioni con la religione, anche se non possono essere atei. Noi invece siamo dichiaratamente cattolici. Si è parlato molto sulle buone relazioni fra Templari e Massoni ed è vero; così come abbiamo buone relazioni con i i Catari, il noto movimento religioso-culturale, propulsore di un nuovo ordine sociale a partire dallo sviluppo individuale. Da loro ci separammo come istituzione perchè erano eretici e perseguitavano la Chiesa Cattolica, ossia l’esatto contrario di quello che facevamo noi. Cosa avete in comune con i Cavalieri di Malta? Premetto che esistono vari Ordini dei Cavalieri di Malta. Il primo fu quello di Malta e Rodi, poi assorbito dal Vaticano con l’appellativo Malta del Vaticano, che attualmente è il numero uno. Poi ci sono l’Ordine Malta di Inghilterra, quello di Danimarca e quello spagnolo dei Cavalieri Ospedaleri di San Giovanni Battista, il cui patrocinatore è lo stesso re di Spagna Juan Carlos. Quali sono le vostre attività, a parte il compito di riunificazione? Facciamo opere di beneficeinza e di filantropia. Raccogliamo alimenti e medicine per inviarli ai Paesi dell’Africa. Riuceviamo spesso attestati di riconoscenza da parte dei governi per gli aiuti umanitari ricevuti. Continuiamo sempre su questa strada, compatibilmente con le nostre limitate possibilità economiche. Quando non ce la facciamo con le nostre forze chideiamo aiuto agli altri. Recentemente abbiamo scritto all’Esercito, chiedendogli razioni alimentari per le popolazioni che ne hanno bisogno. Poi realizziamo iniziative culturali, attraverso conferenze, incontri e seminari, rispomdemdo alle innumerevoli domande che la gente ci rivolge sui temi più importanti del nostro Ordine. Chi è oggi il Cavaliere Templare? Una persona qualsiasi, ma che deve rispondere ad alcuni requisiti. Quando ci viene chiesto di ammettere un nuovo membro esigiamo l’invio di una domanda e due fotografie, con un curruculum. Inoltre deve scrivere un paio di pagine per sapere

quali nozioni possiede sul Tempio. Il più difficile di tutto è una autocritica, perchè criticarsi da soli è molto difficile, ma permette di scendere nell’animo umano con assoluta sincerità. Una volta fatto questo gli si fa un intervista, che magari può durare due o tre ore, per verificare se quello che ha scritto corrisponde a verità. Poi la pratica viene sottoposta al Consiglio di Ammissione, il quale studia e decide se il postulante è una persona degna di diventare Cavaliere Templare. Qual’è la cosa che non le piace della società di oggi? Posso risponderle con ña rase di un papa: se non ho carità sono un tamburo vuoto, se non ho carità non sono nessuno. Per me, la carità in tutti sensi è la migliore qualità dell’essere umano. Come disse Gesù, si deve perdonare non sette volte, ma settanta volte sette. Di conseguenza quello che più mi addolora è la mancanza di carità. Un Cavaliere Templare deve avere questo sentimento vero nel cuore, altrimenti non è un Templare. Ammettete anche le donne nel vostro Ordine? Fino a qualche tempo fa era impensabile, ma attualmente accettiamo le dame perchè hanno poteri che spesso non hanno gli uomini. Sono brave nell’organizzazione, affidabili, precise, coscienzose. A volte avviene che in un Priorato una dama svolga le funzioni di tesoriere. Quando entrano nell’Ordine hanno il grado di “dueñas”, cioè padrona, poi diventano sergente e infine Cavaliere (Sor). Una volta emmesse partecipano a tutti gli atti come gli altri membri. Cosa pensa che ci riserverà il futuro? Non è facile immaginare che il mondo migliori fino al punto in cui vorremmo, cristianamente parlando. Tutti, uomini e donne, dovremmo essere trattati con uguaglianza di diritti e doveri. Ma pur-

troppo non è così. La povertà dovrebbe essere poco a poco eliminata e anche la fame che affligge molti popoli. Credo che giuochino un ruolo fondamentale le grandi potenze, che sperperano il denaro senza preoccuparsi di chi soffre la fame. Non parlo solo dell’Africa, ma anche del Sud America, in Cina, in Russia ed anche in Spagna. Dobbiamo sradicare questa piaga. È un compito difficilissimo, ma non possiamo fermarci. Dobbiamo andare avanti per raggiungere dei risultati. In questo percorso, la base spirituale è importantissima. Lo vedo non solo come Priore Generale di Spagna, ma anche come membro del Consiglio Magistrale dell’Ordine. A proposito di spiritualità, cosa pensa del’affermazione del Papa, che vuole ritornare alla vecchia liturgia, con la messa in latino, il prete rivolto verso l’altare e la distribuzione della Comunione direttamente dalle mani del sacerdote? Per mia opinione personale sono d’accordo con il Santo Padre che si ritorni alla celebrazione della Messa come si faceva anticamente. Fin da quando studiavo e per tutta la mia vita ho ascoltato la Messa in latino e improvvisamente si combiarono le regole. Io credo fermamente nell’antica abitudine. Secondo lei, chi è stato il Papa migliore? Secondo me Giovanni Paolo II è stato il miglior pontefice della storia, perchè si è aperto a tutte le religioni, ortodossa, ebrea, musulmana, protestante, anglicana e così via. Ha cercato di riunire, di dimenticare rancori, di creare fratellanza umana e universale. Un compito difficlissimo, ma come in tutte le cose difficili l’importante è cominciare e poi perseverare. Nulla è impossibile, se si vuole veramente. Giulio Rosi

Andres Merchan, Gran Cancelliere di Spagna, il Principe Templare Cesare Pro Pignatelli di Antiochia e Ferentino, il Gran Priore Manuel Perez Quintanilla


LA VERA STORIA DELLA SCOPERTA DELL’AMERICA Ruggero Marino smantella cinque secoli di scritti su Cristoforo Colombo

La scoperta dell’America non avvenne per caso e non fu fatta nel 1492. Cristoforo Colombo era già approdato nel Nuovo Mondo nel 1485. L’impresa fu finanziata per il 70-80% dal mondo italiano. Il marinaio genovese era un uomo molto colto ed era figlio di Innocenzo VIII, il ‘’Papa che era anche papà’’. Chi era Cristoforo Colombo? Un marinaio premiato al di là dei suoi meriti? O qualcosa di più, molto di più? Perché si firmava Christo Ferens, portatore di Cristo? Sulla base di una nuova interpretazione di antiche carte e documenti, l’autore rivisita le vicende del «navigatore dei due mondi» e della «scoperta» dell’America. Quanto si sostiene in questo libro non è mai stato affermato in cinque secoli di scritti colombiani: complotto secolare, thriller storico-politico-teologico, sottofondo alchemico-esoterico, sorprendenti parentele, eredità templari e cavalleresche. Per un sogno di pace universale fra cristiani, musulmani ed ebrei e una Chiesa da rifondare. Sullo sfondo, «mappe impossibili», spedizioni e sbarchi precedenti fra realtà e leggenda, attese millenaristiche, personaggi come Marco Polo, Pico della Mirandola, Paolo Dal Pozzo Toscanelli. Partendo dalla caduta di Costantinopoli, dal confronto Oriente-Occidente, dall’inquietante somiglianza fra Colombo (definito nepos) e Innocenzo VIII (il papa fatto sparire dal successore spagnolo Rodrigo Borgia), da una lapide in San Pietro, dai fondi per la partenza, dalle lotte e dai segreti del Vaticano (“otro mundo” compreso) scopriremo

che l’esploratore sapeva dove sarebbe giunto: un mondo nuovo, non l’Asia. Non fu il primo ad approdarvi: un antico codice alessandrino, nella biblioteca di Innocenzo VIII, dava già le giuste coordinate. Come conferma il turco Piri Reis, che avanza anche un predescubrimiento, una «pre-scoperta» da parte di Colombo. Certamente Colombo fu il definitivo: l’umanità è cambiata solo in seguito ai suoi quattro viaggi. La storia fu poi stravolta, la Spagna poté impadronirsi dell’Eldorado e la ragione di stato, nel tempo, prevalse. Av v a l e n d o si di apparati iconografici, di libri e pubblicazioni anche straniere, questo saggio rivoluzionario, appassionante come un romanzo, rivisita a 360 gradi la vicenda della «scoperta dell’America», proponendone una lettura nuova, ricca di fascino e di mistero. L’autore,

Ruggero Marino, è giornalista e scrittore. Ha lavorato per 34 anni al quotidiano Il Tempo di Roma, ricoprendo le cariche di inviato speciale, di redattore capo e di responsabile del settore cultura. Ha scritto due libri di poesie, Minime e massime e L’inferno in paradiso. Ha vinto oltre 10 premi giornalistici, fra i quali quello dell’Associazione Stampa Romana. Con il suo primo volume sull’Ammiraglio, Cristoforo Colombo e il papa tradito, ha vinto il Premio Scanno. Delle sue ricerche, che proseguono da oltre 15 anni, e che per la prima volta coinvolgono la Chiesa di Roma nella vicenda, si sono occupati storici, scrittori e media in Italia e all’estero (il Times gli ha dedicato due pagine). I suoi studi sono stati citati all’Accademia dei Lincei. Estratti delle sue tesi sono stati pubblicati da Apollinaris, dai Quaderni ibero-americani e fanno parte degli Atti del Simposio «La evangelización del Nuevo Mundo» e del Convegno «Il Letterato tra miti e realtà del Nuovo Mondo: Venezia, il mondo iberico e l’Italia». Ha esposto le proprie tesi in numerosissime conferenze, anche in università italiane e straniere. È stato invitato a New York dall’Istituto italiano di cultura e fa parte della Commissione scientifica per le annuali celebrazioni del 12 ottobre in onore di Colombo. Paola Pacifici


COSI AVVENNE LA CONSERVAZIONE DELLA SINDONE Finalmente una teoria inconfutabile nella sua storia controversa Alla luce delle operazioni compiute per il nuovo sistema di conservazione della Sindone, diventa interessante cercare di risalire ai modi di conservazione della Sindone durante la sua tormentata esistenza. Oggi, come noto, il Lenzuolo è custodito disteso in una apposita teca nella cappella del transetto sinistro della Cattedrale di Torino. Fino al 1998 tuttavia la Sindone era conservata arrotolata su di un cilindro di legno all’interno della preziosa cassetta cinquecentesca, oggetti oggi visibili presso il Museo della Sindone di Torino. Il sistema di conservazione che vedeva la Sindone arrotolata è documentabile solo dopo l’arrivo a Torino.Già allora tuttavia vi fu chi si pose delle questioni circa le migliori condizioni per tutelarne il decoro e l’integrità. San Carlo Borromeo, che come noto nutriva una particolare venerazione per la Sindone, aveva addirittura inviato il suo architetto Pellegrino Tibaldi a Torino per consigliare Carlo Emanuele I sull’argomento. Straordinariamente attuale e degno di menzione è l’approccio di Tibaldi, il quale, oltre a sostenere la necessità di costruire un edificio all’interno del Duomo - secondo le direttive del Cardinale Borromeo - per sottoline-

are la centralità della Sindone per Torino, affermò in una lettera l’utilità di una struttura che permettesse di evitare di “piegare e dispiegare” il tessuto per le ostensioni. Precedentemente al periodo torinese abbiamo il termine certo del 1532: all’epoca la Sindone era conservata ripiegata su se stessa in modo da formare un pacchetto, di circa 75 cm per 30 cm. Il telo era stato piegato per la conservazione nel contenitore d’argento dapprima quattro volte, in modo che venivano a trovarsi sovrapposti sedici strati di stoffa. Poi il pacchetto venne adattato alle misure della cassetta con una ulteriore piegatura di circa 35 cm da un lato. In questo modo si trovavano 32 strati sovrapposti all’interno di un cofano d’argento.Questo sistema di conservazione è testimoniato dalle bruciature simmetriche sul tessuto dovute all’incendio della Sainte-Chapelle di Chambéry di quell’anno. Per quanto riguarda il periodo anteriore al 1532, quasi certamente la Sindone era conservata ripiegata, anche perché, sino al principio del cinquecento, il Lenzuolo seguiva la Corte sabauda itinerare per i vari castelli dei propri feudi. Sono documentati infatti viaggi ed ostensioni nel ‘400 in vari luo-

ghi del Piemonte ed anche a Torino nel 1495. Risalendo agli anni di proprietà degli Charny, quindi alla metà del XIV secolo, non abbiamo notizie del modo di conservazione. Non è tuttavia possibile datare tale sistema di piegatura. Recenti studi hanno voluto vedere in alcuni piccoli segni presenti su una miniatura del XII secolo raffigurante la sepoltura di Cristo e la visita delle donne al sepolcro, contenuta nel Manoscritto Pray di Budapest, una riproduzione di queste bruciature. In ogni modo queste bruciature dimostrano che al momento della loro formazione la Sindone era ripiegata in modo diverso, tale da dividerla in 12 settori. La disposizione delle grandi macchie di acqua sul tessuto attestano, secondo Flury-Lemberg, un sistema di piegatura ancora diverso, a fisarmonica, precedente a Chambéry. Recentemente, durante i lavori per la conservazione della Sindone, si è anche potuta rilevare la traccia di una lunga piegatura che percorre tutto il lenzuolo nel senso della lunghezza, dovuta all’originaria piega del tessuto al momento della sua confezione. Il mistero continua. Mauro Piergentili


TRENTOLA DUCENTA PROTAGONISTA A MADRID Ugo Rufino e il progetto culturale della sua terra antica

Originario di Trentola Ducenta, il dottor Ugo Rufino è l’addetto culturale dell’Istituto di Cultura Italiana di Madrid, con cui la Provincia di Caserta ha siglato un accordo che ha concesso per tre anni una “vetrina” dei prodotti tipici casertani nel Caffè letterario dello stesso istituto. Per Trentola Ducenta espongono il salumificio Rosotta e le cantine “I Borboni” di Carlo Numeroso. Oggi in paese molti si chiedono: “Come è arrivato un nostro concittadino a lavorare in Spagna?”. A rispondere è lo stesso Ugo Rufino che, contattato, ci spiega il suo percorso professionale: “Sono arrivato a Madrid dopo aver superato il Concorso per l’Area della Promozione culturale del Ministero Affari Esteri. I funzionari di questa carrire ministeriale vengono tutti dal campo dell’insegnamento e la loro carriera è intermedia tra quella diplomatica ed amministrativa. La rete degli Istituti Italiani di Cultura nel mondo è composta da 93 Istituti distribuiti su tutti i Continenti. Generalmente

veniamo assegnati alle differenti aree per competenze e conoscenze dei Paesi, nonché della lingua”. Rufino è stato lettore ministeriale prima in Honduras, poi a Cáceres e Granada in Spagna, con permanenza a Roma presso il Mae per tre anni, dopo il periodo di formazione e di lavoro in diversi settori - dalla cooperazione, all’organizzazione di eventi ed alla collaborazione presso segreterie culturali di Sottosegretari con delega alla Cultura. Poi è stato inviato a Madrid presso il prestigioso Istituto Italiano di Cultura, sito nel Palazzo de Abrantes del 1654. Qui svolge attività dirigenziali da tre anni come responsabile di eventi culturali, rapporti con le Università e gli Enti spagnoli preposti alla cultura, organizzazione dei Corsi di Lingua. “Il nostro Istituto di Cultura - servizi culturali dell’Ambasciata – racconta Rufino - gode di ottima fama qui a Madrid, essendosi formata buona parte dell’intellighentia spagnola presso la nostra sede durante il franchismo. La nostra mission

consiste anche nella valorizzazione delle eccellenze territoriali e culturali del nostro Paese, per cui abbiamo instaurato rapporti di collaborazione con diverse realtà ed in questa direzione va la collaborazione con Caserta”. E, a proposito della collaborazione con il territorio casertano, Rufino commenta: “Il presidente della Provincia Sandro De Franciscis è una persona squisita e credo che possa darci una mano anche per la nostra realtà territoriale”. Ugo Rufino è Lettore di Italiano alla Facultad de Filosofía y Letras UNEX di Cáceres.L’insegnamento dell’italiano nelle Università spagnole ha avuto negli ultimi anni una grande diffusione, grazie anche alla crescita dei Dipartimenti di Italianistica nelle diverse Univeristà, tra cui Madrid, Salamanca e Siviglia emergono in ordine a numero ed importanza accademica. L’insegnamento della lingua è affidato nella maggior parte dei casi alla figura del lettore che, oltre ad occuparsi dell’attività didattica, funge nelle realtà di provincia anche da antenna periferica degli Istituti Italiani di Cultura di Madrid e Barcellona per quanto riguarda la diffusione della cultura italiana in termini di organizzazione di mostre, giornate del cinema, conferenze, ecc. La figura del lettore ha assunto negli ultimi anni una maggiore professionalizzazione grazie alla definizione del suo ruolo da parte del nostro ministero degli Affari Esteri, in quanto figura professionale di ruolo e non più supplente, proveniente da un’esperienza professionale nei ruoli della nostra Pubblica Istruzione e con adeguata formazione didattica. Maria G. Nuti


CADICE, UNA PARENTESI FESTOSA FERMA NEL TEMPO Forse è la più antica città fenicia fondata nel Mediterraneo Occidentale Chi è stato a Cadice, nell’estremo sud della Spagna, dice che è una “fiesta” continua. Ma la vera festa si scatena incontenibile a carnevale. Per chi la vede per la prima volta la città sembra una parentesi di memoria ferma nel tempo, un molo in mezzo all’oceano dove il vento fa paura, la spiaggia è ventosa, ma il mare è bellissimo. A due passi si trova Tarifa, paradiso del windsurf mondiale. Cadice sorge su un promontorio roccioso proteso tra il golfo omonimo e l’Oceano Atlantico, collegato alla terra ferma da un sottile istmo lungo una decina di chilometri. Si tratta probabilmente della più antica città fondata nell’occidente del Mar Mediterraneo, dai Fenici nel XI secolo a.C. anche se oggi si fa risalire ufficialmente la sua nascita alla fine dell’VIII secolo a.C. Conosciuta già dal 1100 a.C. come importante emporio fenicio con il nome di Gadir, fu conquistata prima da Annibale, che vi risiedette lungamente, e nel I secolo a.C. dai romani, che ne fecero la terza capitale dell’Impero con il nome di Julia Augusta Gaditana. Dopo secoli di decadenza sotto il dominio arabo, che inizialmente neanche la Reconquista poté arrestare, ritornò all’antico splendore con la scoperta dell’America, grazie al porto, che entrò in aperta concorrenza con quello di Siviglia. Il primato di Cadice divenne assoluto nel XVIII secolo, quando il porto rivale si insabbiò e la città ebbe il monopolio degli scambi con il Nuovo Mondo. Il declino economico arrivò però di lì a poco con il tramonto dell’Impero coloniale spagnolo, ma a quel punto la città divenne il baluardo della cultura liberale, presa ad esempio anche dai patrioti italiani, quando promulgò la famosa costituzione di Cadice nel 1812. Da allora vanta una radicata tradizione liberale non tradita neppure nel corso della guerra civile, durante la quale si schierò apertamente dalla parte repubblicana. La visita della città può cominciare con una bella passeggiata lungo i bastioni seicenteschi che la circondano completamente, proteggendola dalla furia del mare. L’Avenida è il lungomare del porto che termina nell’ampia Plaza de Espana, caratterizzata dal monumento del 1927 dedicato alle Cortes che vararono la costituzione. Nell’antica Grecia era conosciuta come Gadeira e ai tempi dell’impero romano come Gades da cui deriva il gentilizio attuale di gaditano. Prima di raggiungere il Parque Genovés

e il Castillo de Santa Catalina, a pianta stellare, si incontrano i due viali più eleganti della città, l’alameda de Apodaca e l’alameda Marqués de Comillas. Dopo la bella spiaggia sabbiosa, proseguendo lungo campo del Sur, si incontrano prima la Catedral Nueva (1722-1838), un imponente edificio neoclassico dov’è conservata la Custodia de la Plata, portata in processione durante il Corpus Domini, e poi la Catedral Vieja (XIII secolo), ricostruita nel ‘600. Altri interessanti edifici religiosi sono il barocco Hospital de Nuestra Senora del Carmen (1740), con un S. Francesco di El Greco; la chiesa barocca di San Felipe Neri, il cui altare maggiore ospita un’Imma-

colata di Murillo; l’Oratorio de la Santa Cueva (XVIII secolo) che presenta due cappelle: una sotterranea molto sobria, ottenuta in una cava naturale, e una sovrastante molto elaborata la cui cupola è ornata da tre affreschi di Goya.Proprio al centro della città si trova il Museo de Cádiz, con una sezione di archeologia sulla storia della città, che conserva tra l’altro un’enorme statua di Traiano.. Sono famose e divertenti le sue “chirigotas”, specie di buffi cori satirici che a carnevale si esibiscono gareggiando in bravura e originalità sui temi sociali e politici del momento. Paola Pacifici


QUELL’INESAURIBILE GENIO DI LEONARDO DA VINCI L’Aquila espone cinquanta prototipi di macchine funzionanti

“Le Macchine di Leonardo” è una esposizione di cinquanta prototipi di macchine funzionanti, realizzate in perfetta scala sui disegni del grande genio toscano dall’artigiano fiorentino Gabriele Niccolai con i materiali dell’epoca, cioè legno, cotone, ottone, ferro e corde. La mostra è aperta fino al 31 marzo. Ma c’è da scommettere che sarà opportunamente prorogata per l’interesse che ha suscitato in tutta Italia ed anche all’estero. Si svolge in un coinvolgente percorso artistico e scientifico tra le geniali macchine di Leonardo, ciascuna corredata da didascalie e disegni tratti dai Codici leonardeschi. Si dispiega

nell’ampia sala Chierici, lungo l’androne della cavallerizza ed in due bastioni del Forte Spagnolo dell’Aquila, sede del Museo Nazionale d’Abruzzo. Dunque un’operazione corposa questa mostra, realizzata dalla società SBS con partners scientifici di rilievo, come i Laboratori Nazionali del Gran Sasso, Micron Technology, l’Università dell’Aquila e l’Associazione Insegnanti di Fisica. Patrocinata da Regione Abruzzo, Provincia e Comune dell’Aquila, sponsor un gruppo bancario, può contare sulla collaborazione artistica della Soprintendenza PSAE per l’Abruzzo. Alla mostra si espongono le macchine con le quali Le-

onardo da Vinci lanciò una sfida contro l’impossibile: gli studi e i progetti che hanno rivoluzionato l’idea del volo. Una galleria dei modelli più importanti progettati da Leonardo, dalle prime macchine che sfruttano la forza dell’uomo fino al perfezionamento con l’applicazione delle leggi dell’aerodinamica: l’anemometro a lamelle, il deltaplano, l’inclinometro, l’ornitottero, lo studio d’ala e la vite aerea. Quindi le macchine belliche, progettate da Leonardo nonostante la sua repulsione per la guerra, solo al fine d’essere accettato a corte dagli Sforza, a Milano. Ecco dunque le sue macchine da guerra: il carro falciante, la barca con falce, il carro armato, il cannone navale, l’escavatrice da trincea, il ponte arcuato, il carro bombarda per l’assalto alle mura, scala mobile e catapulta, vari tipi di proiettili. La meccanica. Leonardo si avvicinò allo studio della meccanica sin da giovane, affascinato dalle enormi gru create dal Brunelleschi per costruire la Cupola del Duomo di Firenze. Egli andò molto più avanti, anticipando quasi di tre secoli la rivoluzione industriale, con la creazione di macchine completamente automatiche per alleviare il lavoro dell’uomo. Queste le altre macchine esposte: automobile a balestre, automa o robot, bicicletta, pinze, trivella verticale, gru con argano centrale e gru a piattaforma anulare, carro con differenziale, alzacolonne, argano multivelocità, podometro e gru brunelleschiana. Infine le macchine idrauliche di Leonardo. Anche l’idraulica appartiene agli studi di Leonardo che affronta temi come l’idrodinamica, i mezzi per l’offesa e la difesa sui mari fino alla creazione di strumenti per esplorare e lavorare sui fondali, quali sega idraulica, barca a pale, ponte mobile, draga, imbarcazione a doppio scafo, sci galleggianti, palombaro e vite d’Archimede. In un’apposita sezione della mostra il Laboratorio Nazionale del Gran Sasso presenta i plastici degli esperimenti in atto e le applicazioni attuali sulle intuizioni tecnico-scientifiche di alcune macchine di Leonardo, insieme ad un laboratorio scientifico interattivo. La visita alla mostra delle macchine di Leonardo può integrarsi con gli itinerari espositivi nelle molteplici collezioni all’interno del Forte Spagnolo, ma anche in visite guidate nei Laboratori sotterranei del Gran Sasso dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare. Andrea Rosi


SERVONO PIÙ RISORSE PER LE FERROVIE REGIONALI L’alta velocità non deve far dimenticare i diritti dei pendolari

Servono maggiori risorse per le tratte ferroviarie regionali usate dai pendolari. Questo il senso di un ordine del giorno approvato dalla Conferenza delle Regioni, e di cui ha parlato con i giornalisti il presidente Vasco Errani. Nel suo intervento ha chiesto “che il trasporto pubblico d’interesse regionale e locale ‘’siano aggiornati al tasso di inflazione e al trend di sviluppo programmato per ciascun anno del triennio, al fine di scongiurare il pericolo che si e’ bloccata sul nascere l’attuazione del piano industriale di Fs e di impedire che siano addirittura operati tagli rilevanti ai servizi per i pendolari, vanificando così anche i potenziamenti infrastrutturali già realizzati o in corso di realizzazione’’. Nell’ordine del giorno in materia di servizi di trasporto ferroviario di interesse regionale e locale resi da Trenitalia, approvato dalla Conferenza delle Regioni, si legge che “l’Italia sta sostenendo un enorme sforzo tecnico ed economico per realizzare il progetto della rete Alta Velocità-Alta Capacità” e “le Regioni e le Province autonome hanno predisposto il proprio Piano di sviluppo del trasporto pubblico di interesse regionale e locale incentrato su un progressivo incremento

dei collegamenti su ferro, sia sulla rete ferroviaria italiana che sulle reti regionali, fino a un + 35%, oltre che sulle reti metropolitane e sulle reti urbane ed interurbane su gomma” . “Il Piano industriale che FS ha presentato al Governo è perfettamente in linea con il predetto piano di sviluppo, per cui le Regioni lo condividono e lo sostengono, sia nella parte relativa allo sviluppo dei servizi, sia in quella riguardante gli investimenti finalizzati a migliorare la qualità, con particolare riferimento alla sicurezza ed al potenziamento ed ammodernamento del materiale rotabile” “Nella Finanziaria 2007 – si legge ancora nell’ordine del giorno della Conferenza - lo Stato, a distanza di 10 anni, ha adeguato all’indice di inflazione le risorse assegnate al servizio ferroviario regionale reso da Trenitalia, aggiornandole da 1384 a 1695 milioni di Euro; ma nella Legge Finanziaria 2008” si è registrato un decremento di risorse che potrebbe determinare “le condizioni per un taglio dei servizi stessi nella misura determinata da Trenitalia del 25%, e di rendere conseguentemente ingestibili e conflittuali i rapporti contrattuali tra le Regioni e il Gruppo FS”. Una “riduzio-

ne dei servizi che sarebbe inammissibile e nello stesso tempo ingiustificabile, tenuto conto degli ingenti investimenti in infrastrutture programmati e in corso di realizzazione che, ove non congruamente utilizzati per incrementi di servizi medesimi, rischierebbero di rimanere fini a loro stessi” e colpirebbe “essenzialmente il trasporto di interesse regionale e locale” e quindi la mobilità dei pendolari. Per questi motivi, le Regioni, “chiedono al Governo che nel triennio 2008-2010 i trasferimenti per il trasporto pubblico di interesse regionale e locale, di cui all’articolo 9 del decreto legislativo n. 422 del 1997, partendo dal livello di tali trasferimenti, come da ultimo riconosciuto per l’anno 2007 nella misura di 1.695 milioni di euro, siano aggiornati al tasso di inflazione ed al trend di sviluppo programmato per ciascun anno del triennio, al fine di scongiurare il pericolo che sia bloccata sul nascere l’attuazione del Piano industriale di FS, e di impedire che siano addirittura operati tagli rilevanti ai servizi per i pendolari, vanificando così anche i potenziamenti infrastrutturali già realizzati o in corso di realizzazione”. Marzio Cucchiara


L’AERO CLUB D’ITALIA RINNOVA LA SUA FLOTTA Motori ed ali nuove per nutrire il più antico desiderio dell’uomo

“La partecipazione del Ministro dei Trasporti Bianchi alla Assemblea dell’AeCI, del mese di settembre, ha segnato, per l’Ente un sostanziale e significativo cambiamento”. Così il Presidente dell’Aero Club d’Italia, Giuseppe Leoni, ha aperto la Conferenza Stampa sul rilancio del programma di rinnovo della flotta aerea dell’Aero club .L’Aero Club d’Italia (AeCI), Ente di diritto pubblico, con sede legale in Roma, sottoposto alla vigilanza del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, del Ministero della Difesa, del Ministero dell’Economia e delle Finanze, del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Ministero dell’Interno, riunisce in organismo federativo nazionale Associazioni ed Enti italiani che si interessano allo sviluppo dell’Aviazione nei suoi aspetti didattici, sportivi, turistico-promozionali, culturali, di utilità sociale e civile e attività collegate Grazie alla sensibilità ed all’apprezzamento per il mondo aeronautico, dimostrati dal Ministro e dal Sottosegretario, sono venuti meno, infatti, quei vincoli normativi di bilancio che hanno, fino ad ora, impedito l’utilizzo dei residui di bilancio, derivanti dai proventi del II Piano Rinnovo Flotta del 1987 ed ammontanti a più di 3 milioni di euro,

destinati al rinnovo della flotta stessa, consentendo all’Aero Club d’Italia, una volta ultimati i lavori dell’apposita commissione, di procedere all’acquisto di un certo numero di aeromobili da assegnare agli Aero Club federati. “ L’Ente, inoltre – sostiene il Presidente Leoni - da quest’anno potrà contare su maggiori risorse finanziarie determinate dall’aumento del contributo ordinario del Ministero dei Trasporti portato dai 40.000 euro, assegnati negli anni passati, ai 270.000 euro del 2008. Al Ministro Bianchi che chiede di valutare la possibilità di destinare, parte di tali fondi, alla formazione dei giovani ed ad una promozione che possa far conoscere le reali potenzialità dell’Aviazione Generale, il Presidente Leoni risponde che quanto evidenziato dal Ministro è uno dei principali obiettivi dell’Ente che, proprio per sensibilizzare i giovani offrendo agli stessi di usufruire di una struttura che possa offrire la possibilità di conseguire le varie licenza a prezzi contenuti, sta studiando la possibilità di istituire al Sud Italia, in quanto meteorologicamente più adatto, un Centro Nazionale. Un progetto che però richiede la disponibilità di velivoli. A tale affermazione si aggancia il Sot-

tosegretario Sartor per esprimere il compiacimento da Lui provato quando ha appreso che lo sblocco dei fondi era necessario per poter procedere al rinnovo della flotta e che tale operazione era fondamentale per poter proseguire nella politica a favore dei giovani.” Le attività aeronautiche sono formative a prescindere dal possibile sbocco professionale – dice il Sottosegretario- e insegnano ai ragazzi a rispettare la natura”. Come già precedentemente espresso dal Ministro anche per il Sottosegretario l’auspicio è che si facciano tutti gli sforzi necessari per eliminare, a favore dei giovani, le barriere economiche. Una interessante proposta per il rilancio dell’Aviazione Generale arriva dal Dottor Sciacchitano, vice direttore generale dell’Enac (Ente Nazionale Aviazione Civile), che a fronte della difficile convivenza sullo stesso aeroporto dell’aviazione generale e di quella commerciale, con una inevitabile penalizzazione dell’aviazione generale, propone l’eventuale collocazione, delle attività che hanno difficoltà ad operare negli aeroporti commerciali, presso una serie di aeroporti non finalizzati all’attività commerciale. Giancarlo Tulli


PILOTARE UN AEREO? IL SOGNO DIVENTA REALTA’ Basta solo un po’ d’impegno, del tempo e qualche soldo da spendere

Pilotare un aereo da turismo è un’esperienza affascinante aperta a chiunque voglia investire un po’ di tempo, di soldi e di impegno. Stiamo parlando di un aeroplano vero, non di un ultraleggero o di un deltaplano. L’addestramento in volo avviene sotto la guida di un istruttore certificato che insegna come decollare, navigare da un aeroporto all’altro ed atterrare. Milioni di persone hanno imparato così. Quando uno sa pilotare un aeroplano non è più la stessa persona, perchè accede ad un nuovo mondo di libertà personale e di esperienze. “Da quel momento - spiega il comandante Gilberto Volpi, uno dei migliori istruttori italiani - i viaggi non si misurano più in chilometri, ma in ore. Si capirà cosa significa pianificare da soli i viaggi, volando alti sopra la folla, il traffico, i disagi dei mezzi di trasporto abituali. Il pilota troverà sempre nuovi motivi di appagamento e soddisfazione osservando come le sue capacità crescano costantemente. Con il pilotaggio - precisa Volpi - aumenta la fiducia in se stessi e la vita diventa parte del sogno dell’umanità: volare”. Il corso di pilotaggio, presso uno degli aero club italiani, ce ne sono un centinaio, comprende un breve corso teorico ed un minimo di 12 ore di volo, più almeno un volo da solista.Lo scopo del corso teorico è di dare all’Allievo le nozioni

basilari per affrontare le missioni di volo con serenità, sicurezza, avendo cognizione della meccanica del volo. Durata del corso circa due mesi, considerando due sere a settimana. Poi viene il corso pratico, che ha lo scopo di addestrare l’Allievo Pilota a compiere le manovre basiche di volo:decolli, atterraggi, volo rettilineo, livellamenti, virate, stalli, volo lento, spirali in salita e in discesa. La seconda fase del corso richiede più costanza e fatica. E’ la fase in cui l’allievo impara l’arte della navigazione aerea. Durata del corso pratico almeno 45 ore di volo, di cui almeno 10 “da solista”. Al termine della prima fase di istruzione teorico-pratica e dopo aver effettuato almeno un volo da solista, l’istruttore sottoporrà l’allievo ad un test scritto ed ad una prova in volo per conseguire un attestato che lo abilita ad essere pilota, ma ancora non può portare passeggeri a bordo. L’attestato ha validità due anni, può essere rinnovato con una pratica burocratica e dà facoltà al titolare di volare sul territorio nazionale, entro 100 chilometri dal punto di partenza, sempre sotto la responsabilità dell’Istruttore. Raggiunte almeno 45 ore di volo e superato il test teorico viene ammesso agli esami ministeriali. E diventa pilota a pieno titolo con la licenza di Pilota Privato.

Per mantenere la licenza sono necessarie 12 ore di volo nell’ arco di due anni. La Licenza di Pilota Privato dà la facoltà di volare in Italia ed all’estero, con passeggeri a bordo, per scopi turistico o sportivi. O magari sentimentali, visto che ogni neo pilota sogna sempre di convidere l’emozione del volo con un amico, una fidanzata o un fidanzato, oppure un familiare. La spesa per il conseguimento della Licenza di Pilota Privato - che ovviamente varia a seconda dell’ aero club e in base al tipo di aereo utilizzato - si aggira sui 10.000 euro. La Licenza è valida per il pilotaggio di qualsiasi aeromobile da turismo, sia esso terrestre, idrovolante o anfibio. Contrariamente a quanto generalmente si pensi, la Licenza è una ed unica; sta al pilota ampliare l’elenco dei tipi di aeromobili conosciuti effettuando le “abilitazioni”, che - parlando sempre di aerei da turismo - consistono in un breve addestramento supplementare sul tipo di aeromobile desiderato. Ed una spesa aggiuntiva per ciascuna abilitazione. Un’ultima cosa: il pilota non è un superman, basta avere una normale costituzione; un piccolo difetto visivo, correggibile con occhiali, in molti casi non rappresenta un impedimento. Provare per credere. Giulio Rosi


L’ASSOCIAZIONISMO UN PATRIMONIO DA TUTELARE Incontro con la presidente di un sodalizio multidisciplinare

Poco prima dello scorso Natale, il “New York Times” (seguito, a breve distanza, dal “Times” e dall’”Independent”) ha dedicato all’Italia un’analisi impietosa, dove il nostro Paese è descritto come decadente, incapace di stare al passo con i tempi e con le sfide civili, culturali, economiche degli altri Paesi occidentali. Un Paese colpito da un malessere diffuso, nel quale la cultura propone modelli anarco-individualisti, che favoriscono la diffusione di un edonismo triste. Poche settimane prima, un rapporto Eurispes indicava una società italiana sempre meno solidale e più egoista, dove i cittadini sarebbero legati solo agli interessi personali. Fortunatamente, non tutto è così. Esiste una valida tradizione di solidarietà e di associazionismo nella società e nella cultura italiana, legata soprattutto - alla volontà ed al coraggio di singole persone. Uno dei tanti casi, da portare ad esempio, è quello dell’Associazione “Gente di Villa”, di Villa Santo Stefano, in provincia di Frosinone. Il 18 dicembre 2004, un gruppo di cittadini del comune del frusinate, si è riunito ed ha deciso di fondare un’Associazione per la promozione della cultura, dell’arte, dello sport, dell’assistenza sociale e sanitaria, della beneficenza, della tutela e della valorizzazione della natura e dell’ambiente. Quest’organizzazione non ha alcuna finalità di lucro, è apolitica, apartitica ed

aconfessionale. Si tratta di un progetto che può essere esportato a qualsiasi altra realtà locale nazionale; anzi, possiamo solo auspicare che ciò avvenga. Per questo motivo abbiamo deciso di parlarne con il Presidente, il Cavaliere Ufficiale Franca Colonia. Qual è la motivazione che ha portato ad inventare l’Associazione “Gente di Villa”? La motivazione è stata quella di collaborare insieme alle Istituzioni alla crescita culturale del paese, rivolgendosi in particolar modo ai giovani che rappresentano il futuro, offrendosi a loro e coinvolgendoli in un progetto che è anche una scommessa, per far sì che essi per primi amino la loro terra, ne rispettino i valori e le tradizioni, e possano crescere anche aprendosi al mondo esterno con il quale dovranno prima o poi confrontarsi. Qual è il bilancio di questi primi anni di attività dell’Associazione? Sono stati anni molto intensi, sia per le manifestazioni importanti che ci hanno interessato, sia per l’acquisto della sede e la sua ristrutturazione, grazie anche a coloro che hanno creduto nell’iniziativa e ci hanno concesso un prestito che sta già per essere rimborsato. Credo che la soddisfazione riguardi tutti, sia chi ci ha creduto tanto fin da subito, sia chi è stato critico nella fase iniziale pensando

che il progetto fosse troppo difficile da realizzare. Per molti di noi si è trattato di un “rispettoso traguardo”; rispettoso perché è quello che si avverte intorno a noi da parte di persone fuori dal gruppo il quale, pur avendo attraversato - come tutte le realtà associative - momenti difficili, in particolare dovuti alle scarse disponibilità economiche, sembra esserne uscito ancora più unito, rinforzato proprio dalla soddisfazione dei risultati raggiunti. L’Associazione vuole anche essere sempre attenta alle situazioni di disagio e di povertà che esistono nel nostro paese, alle carenze dei servizi offerti dalla scuola, intervenendo attraverso la raccolta di fondi con pesche di beneficenza e serate conviviali, i cui ricavati vengono utilizzati per l’acquisto di libri, di pacchi dono e per l’offerta di campi scuola, avendo altresì stipulato un protocollo di intesa con l’Istituto scolastico locale. L’Associazione, che non persegue fini di lucro, vuole permettere ai giovani ed ai meno giovani di scoprire oltre ai tesori della propria terra anche quelli custoditi in altre regioni italiane; anche per questo motivo, abbiamo organizzato viaggi culturali e di svago in varie località italiane. Di chi si avvale al fine di portare avanti tutte queste iniziative? Molto utile è la presenza all’interno del Gruppo di alcuni docenti che collaborano in maniera molto significativa alle varie attività. Si tratta dei docenti: Carlo Cristofanilli, Carlo Toppetta, Ernesto Petrilli, Sonia Lucarini, Annarita Mancini, Annamaria Petrilli e le sue colleghe, ed altri ancora. Con il loro prezioso aiuto, abbiamo fatto tante cose: cultura, feste, beneficenza, aiuto alle scuole, accoglienza, viaggi, condivisione di eventi con altre associazioni Abbiamo aderito a manifestazioni proposte dall’Ail, dall’Inars Ciociaria, dagli anziani di Patrica e tanto altro ancora. Il nostro fiore all’occhiello resta la “Sede”; spesso mi capita di dire “casa”, perché di casa si tratta, di una piccola isola, alla quale ognuno, grande o piccino sente di “appartenere”. Abbiamo restaurato il “grottino” dell’associazione per renderlo fruibile e sicuro per i ragazzi. Lo abbiamo, infatti, adibito a “saletta cinematografica” acquistando tutto il materiale necessario per la proiezione di films e cortometraggi, realizzando un progetto approvato e - solo in parte - finanziato dalla Regione Lazio, intitolato “Educa-


re i giovani al rispetto delle diversità”. E’ stata notevole l’adesione, così come l’interesse mostrato, tanto che nel corso della festa d’estate gli abbiamo dedicato un convegno molto interessante di cui si è occupata anche Rai 3. Abbiamo aderito all’iniziativa dell’Unicef sull’infanzia negata ed abbiamo proiettato i corti proposti durante la campagna di sensibilizzazione. Abbiamo proposto ed ottenuto il riconoscimento di un premio alla carriera per il nostro concittadino Roberto Toppetta ed abbiamo intenzione di continuare a tessere la tela fatta di reciprocità con altre entità che, come la nostra, perseguono un fine altamente sociale rivolgendoci in particolare ai bambini. Per loro, infatti, abbiamo dato il via a numerose attività ludiche e non, come il centro estivo realizzato grazie all’impegno di diverse preziosissime persone. Uno dei successi dell’ultimo anno è stato il corso di pittura realizzato con la collaborazione della nostra artista, il futuro architetto Federica Petrilli, che ha interessato moltissimo i giovanissimi. Grande la sorpresa dei miei concittadini che hanno visto bambini girare per il paese a riprendere scorci di vicoli e piazzette oppure, armati di sediole e tavolinetti, ritrarre la torre del re Metabo. Tutto questo ci mette allegria e ci dà la conferma che stiamo svolgendo un servizio al nostro paese. Molto positive le manifestazioni che abbiamo realizzato: la festa di Pasqua, la festa d’estate, il campo scuola etrusco, quello di Pestum, le feste di Natale che hanno riacceso il paese unendo magicamente tutti i cittadini, ed ancora la festa della befana con l’estrazione di regali e di befanini per tutti. L’impegno, economico e non, sarà senz’altro gravoso. Come lo affrontate? Abbiamo fatto fronte alle spese necessarie come l’acquisto di sedie, computer, proiettore, lettore dvd, cd di qualità, macchina fotografica, libri e materiali vari, offrendo ai più giovani, ad ogni incontro, anche una merenda, utilizzando i fondi residui della lotteria e delle pesche di beneficenza che ci impegnamo sempre a fare e che ci consentono di vivere e di pagare anche le bollette! Il tesseramento del 2007 ha registrato circa 150 adesioni di cittadini che ci sostengono anche psicologicamente. Ci sono stati accordati dei finanziamenti dalla Provincia di Frosinone e dalla Regione Lazio per tre precisi progetti, anche se - a tutt’oggi - siamo entrati in possesso di questi fondi solo in parte. Colgo l’occasione per ringraziare tutti quelli che hanno offerto la loro disponibilità; in

particolare, le insegnanti, le animatrici della ACR, il parroco, gli artigiani, i negozianti, i proprietari delle cantine, gli espositori, il gruppo della protezione civile, i visitatori, coloro che pur non essendo presenti fisicamente ci seguono e ci sostengono da lontano. Tutti quanti, con la loro presenza, hanno contribuito a dimostrare quanto sia importante aggregarsi, stare insieme per condividere principi e scopi comuni all’insegna della solidarietà. Il programma futuro prevede numerose attività sociali da svolgere presso e fuori la Sede che sarà aperta tutti il sabato ed i giorni festivi per incontri con i bambini per giochi di società, lettura delle favole, teatrino e così via; il cineforum, già avviato, continuerà con una cadenza mensile e riguarderà la proiezione di film-documento sui vari temi che possono interessare e far riflettere anche mediante un dibattito molti ragazzi: amicizia, tolleranza, droga, etc.. Nell’estate 2007 abbiamo finanziato un campo scuola a Paestum, Velia e costiera amalfitana di tre giorni, con grande soddisfazione. Durante il 2007, abbiamo realizzato il progetto “Come scoprirsi archeologi…”, affiancati da docenti ed esperti nel settore. Durante la 4a edizione della festa di Natale “Segui la stella.” Abbiamo concluso un progetto patrocinato dalla Provincia di Frosinone dal titolo “Scorci di Villa”, un concorso fotografico che lascia nel patrimonio culturale di Gente di Villa ben 69 foto che ritraggono paesaggi, vicoli, scalinate ed icone votive del nostro paese colti dai partecipanti, dodici dei quali sono

stati premiati. Ogni anno in occasione del Natale proponiamo una lotteria per finanziare un campo scuola per ragazzi. Nel 2008 mi auguro di poterlo realizzare sulla riviera adriatica mescolando come sempre mare, divertimento ed un po’ di cultura! Mi auguro per il futuro di avere ancora al mio fianco le persone che hanno collaborato sin qui, alle quali spero se ne aggiungano altre che vorranno collaborare alle nostre iniziative, oltre a volerci suggerire ulteriori idee, segnalazioni, esperienze. In conclusione di questo incontro, mi fa piacere segnalare la nostra presenza nel sito che ci ospita: www.villasantostefano.com/news/gentedivilla, ringraziando gli encomiabili web-master Augusto Anticoli ed Enzo Iorio. Pubblichiamo periodicamente anche un piccolo fogliaccio, un’eco della nostra associazione a cura del redattore Fernando De Filippi che distribuiamo ai soci ed ai cittadini. Questa è “Gente di Villa”, un’attivissima realtà che ravviva la vita di un paese di quasi 1800 abitanti, nella provincia di Frosinone. E’ una sfida di successo, che si pone ad esempio per tutte le altre realtà locali italiane, in barba ai cattivi oracoli che la stampa estera ci propone e che taluni studi statistici sembrerebbero confermare, non senza ragioni, purtroppo. Concludendo, anche da un piccolo paese può arrivare la migliore risposta alle accuse che ci giungono da oltreoceano, contribuendo ad infonderci ottimismo per il nostro futuro. Franco Baccarini


I 150 CAPOLAVORI DELLA MITE ARTE DI ALDO AJÒ La mostra di gubbio ci fa conoscere opere di un artista eccezionale

Aldo Ajò abitava in uno dei posti più suggestivi di Gubbio, fra Palazzo Ducale e Palazzo dei Consoli. Qui aveva la sua casa studio e qui ha lavorato ininterrottamente per tutta la vita. Dopo la sua morte avvenuta nel 1982 sua moglie, Ines Spogli, ha voluto allestire la sua mostra permanente. Sono circa centocinquanta opere che vanno dagli anni Venti sino alla fine degli anni Settanta. Oltre alle ceramiche vi sono presenti anche alcuni dipinti, bozzetti e disegni. Tutte le opere sono esposte secondo un determinato ordine tematico. “Sono solo alcuni delle sue opere. La maggiora parte…” ci dice Ines Spogli “sono all’estero. Una importante collezione è di proprietà della famiglia Colaiacovo. Forse dovrebbero fare loro una mostra e non io” dice scherzando. “Aldo lavorava parecchio, e vendeva molto. Ho cercato in questi anni di mettermi in contatto con alcuni clienti, ma molti non vogliono privarsi delle opere. Di alcune non so neppure che fine hanno fatto...” Ajò era un’artista infaticabile. Era capace di lavorare per tutto il giorno senza fermarsi mai. “Se non lo chiamavi per il pranzo” continua la moglie “non mangiava neppure. Anche quando venivano dei clienti non smetteva di lavorare, in genere ero io ad occuparmi di queste faccende. Così come mi occupavo della nostra scuola”. “Mio marito era un uomo mite, e la sua arte rileva proprio questo. Lui non

ritraeva mai animali feroci. Dipingeva spesso donne nude, ma non erano mai in atteggiamenti volgari”. Tra le sue opere spiccano diversi San Francesco, Madonne, Gesù Cristo, paesaggi di Gubbio. Ci sono anche diversi pesci. “Ad un certo punto iniziò a stufar-

si di fare sempre le stesse opere, in particolari i pesci. Ma visto che glieli commissionavano li doveva fare per forza.” La mostra voluta dalla signora Ajò ha avuto la supervisione del professore Gian Carlo Bojani che si è occupato del suo allestimento. “L’ho voluta fare per ricordare mio marito” dice la signora “tutti gli eugubini volevano questa mostra, e ho pensato che potessi farla anche senza l’aiuto dell’amministrazione comunale”. Nella sua casa studio spicca una bellissima madonna in gesso, una delle sue ultime opere rimaste incomplete. Poi i suoi paesaggi agresti, i ritratti di donne, i santi e il suo bellissimo autoritratto, in cui l’artista quarantenne si ritrae con uno sguardo austero. Sotto si legge una scritta autografa nella quale si legge che l’opera non era non finita, “forse perché…” ritiene la moglie suo marito pensava che fosse necessario “qualche colore, o qualche ritocco”. Usciamo dalla sua casa studio con una certezza. Il nostro artista non avrebbe concluso il suo dipinto neppure se fosse vissuto mille anni! Marco Carbone


HOUDINÌ, IL MAGO CHE ODIAVA I CIARLATANI Agli inizi della carriera non riusciva ad avere successo Erik Weiss, noto come Houdini, nacque il 24 marzo 1874. È stato uno dei più famosi illusionisti della storia, reso celebre dalle sue fughe impossibili.All’età di quattro anni, Houdini si trasferì con la famiglia, originaria dell’Ungheria, negli Stati Uniti. Nel 1891 Erik divenne un illusionista professionista; scelse il nome d’arte di Harry Houdini come tributo al mago francese Jean Eugène Robert-Houdin e riuscì nel 1913 a farlo diventare il suo nome legale. Agli inizi la sua carriera di mago non riscosse un grande successo, ma gli fece incontrare nel 1893 Wilhelmina Beatrice “Bess” Rahner, anch’ella illusionista, che sposò dopo un corteggiamento durato tre settimane. Bess divenne la sua assistente di scena per tutto il resto della sua carriera. Houdini inizialmente si applicò ai giochi di carte ed alle altre arti magiche tradizionali - si autoproclamò il re delle carte - ma cominciò presto a sperimentare le sue evasioni. La sua grande occasione venne nel 1899, quando incontrò lo showman Martin Beck. Beck, impressionato dal numero di Houdini con le manette, lo consigliò di concentrarsi sulle evasioni e lo inserì nel circuito di spettacoli di vaudeville dell’Orpheum. Nel giro di pochi mesi si esibì nei teatri di vaudeville più rinomati degli Stati Uniti e nel 1900 andò ad esibirsi in Europa. Al suo ritorno negli Stati Uniti, quattro anni dopo, era diventato una leggenda. Nei primi vent’anni del XX secolo Houdini si esibì con grande successo in tutti gli Stati Uniti. Era capace di liberarsi da manette, catene, corde e camicie di forza, spesso penzolando da una corda o immerso nell’acqua e sotto gli occhi del pubblico. Nel 1913 presentò quello che per molti è il suo numero più famoso, la cella della tortura cinese dell’acqua, in cui rimaneva sospeso a testa in giù in una cassa di vetro e acciaio piena d’acqua e chiusa a chiave. Svelò alcuni dei suoi trucchi nei libri scritti negli anni ‘20. Molti lucchetti e molte manette potevano venire aperti solo applicandovi una forza sufficiente in un modo particolare, altri potevano venire aperti con l’aiuto delle stringhe delle scarpe. A volte usava chiavi o bastoncini opportunamente nascosti. Era in grado di fuggire da un barile per il latte riempito d’acqua il cui tappo era legato ad un collare da lui indossato perché il collare poteva essere staccato dall’interno. Quando era legato da corde o da una camicia di forza, riu-

sciva a crearsi uno spazio per muoversi dapprima allargando spalle e torace, poi allontanando appena le braccia dal corpo e quindi disarticolando le spalle. Il suo numero della camicia di forza fu inizialmente eseguito dietro un sipario, da cui lui balzava fuori nuovamente libero, ma poi Houdini scoprì che senza il sipario il pubblico era molto più affascinato dal vederlo lottare per liberarsi. L’esibizione in diretta fu spesso combattuta al limite. Negli anni 20, dopo la morte dell’amata madre, Houdini dedicò le sue energie a smascherare medium e parapsicologi, un’attività che verrà poi proseguita ai nostri giorni, tra gli altri, dal mago Ja-

mes Randi e dalla coppia Penn & Teller. La preparazione tecnica di Houdini nelle arti della prestidigitazione gli permise di svelare frodi che avevano fino ad allora ingannato molti scienziati ed accademici. Divenne un membro del comitato di Scientific American che offriva un premio in denaro a chiunque avesse saputo dimostrare di possedere capacità soprannaturali. Grazie a lui il premio non fu mai ritirato. Houdini morì di peritonite, in seguito alla rottura dell’appendice, ad Halloween, il 31 ottobre 1926 all’età di 52 anni. Gian Giacomo Bei


“LE VIE DEL MARE” AL MUSEO DI GIBILTERRA Mostra itinerante per la salvaguardia del Mediterraneo

Grande successo per la mostra itinerante nel Mediterraneo “Le Vie del Mare”, che nella sua nona tappa è approdata a Gibilterra presso le Casemates Galleries de “The Gibraltar Museum”. “Le Vie del Mare”, mostra itinerante multimediale per la salvaguardia del Mediterraneo, sostenuta da Confindustria Mezzogiorno e creata dalla Rete dei Musei del Mare - capofila il Museo regionale Palazzo d’Aumale di Terrasini (Palermo), su un progetto finanziato dal Por Sicilia 2000-2006 – vuole promuovere la conoscenza e la salvaguardia del patrimonio naturalistico del Mediterraneo. Scopo finale del progetto è inserire in un portale Web tutte le collezioni

degli oltre 50 Musei del Mare aderenti all’iniziativa. Alla cerimonia d’inaugurazione è intervenuto il Direttore del “The Gibraltar Museum”, Clive Finlayson; il Co-Direttore dell’Unità di ricerche sottomarine del Museo, Darren Fa; e il Direttore del Museo regionale Palazzo d’Aumale di Terrasini, Valeria Patrizia Li Vigni. Nell’allestimento di Gibilterra (curato dal Museo di Terrasini, da “The Gibraltar Museum” e dalla locale Unità di ricerche sottomarine in collaborazione con la Soprintendenza del Mare della Sicilia, del Politecnico di Milano e dell’Università “Suor Orsola Benincasa” di Napoli), le installazioni multimediali delle sei

sezioni della mostra ben si sposano con gli ambienti medievali del museo, con le collezioni perfettamente conservate e con le sue numerose attività di fedele ricostruzione di tutte le epoche storiche del “Mare nostrum”. La “Rete dei Musei del Mare”, cui aderiscono Musei di Francia, Gibilterra, Spagna, Grecia, Italia, Malta, Monaco, Slovenia e Turchia, si propone come un ragionamento unitario sul Mediterraneo, cercando elementi e somiglianze tra culture marittime differenti. In ognuna delle tappe l’allestimento cambia e dialoga con le collezioni esistenti in quel museo. Le tecnologie multimediali consentono di visionare in tempo reale le collezioni degli altri siti museali della rete mediterranea, e lo scopo finale, con il sostegno di Confindustria, sarà il potenziamento del portale per farlo diventare il più grande museo virtuale al mondo dedicato al mare, alle sue terre e ai suoi fondali, con sviluppo di turismo e di occupazione. La mostra ha già registrato circa quarantamila visitatori nelle precedenti località. Le prossime due tappe saranno: Fundaciòn Provincial MARQ di Alicante (Spagna) e il Musée de la Marine et de l’Economie di Marsiglia (Francia) dal 30 marzo al 15 aprile. Sono esposti carte e rilievi delle profondità marine, delle correnti, delle coste, esempi significativi di quanto vive nel mare e la formazione del Mediterraneo e dei suoi vulcani. Mette in luce il ruolo fondamentale assolto dal mare nella circolazione di merci e uomini. Si mostrano antiche carte geografiche, portolani, grafici unitamente a rappresentazioni pittoriche, incisioni e immagini fotografiche. Sono documentati gli itinerari commerciali e dei flussi migratori, ma anche delle incursioni corsare in direzione soprattutto del Continente americano. Una sezione riguarda l’intero arco delle attività , dei mezzi e delle tecniche nelle diverse aree ai fini dello sfruttamento delle risorse marine, animali e minerali da parte delle popolazioni rivierasche nel corso della loro storia. Il mare è considerato, da sempre, oggetto di percezione simbolica e indica come siano stati assunti a simboli di forza magica o sacra i suoi molteplici prodotti, evidenziando che la lavorazione artistica di alcuni di essi ha fatto sorgere un artigianato specializzato. Paola Pacifici


RISCUOTE VIVO SUCCESSO LA BORSA DEL TURISMO Un vero boom italiano assieme a Francia, Spagna, Usa e Cina La Borsa Internazionale del Turismo si è conclusa alla Fiera di Milano con espositori da 152 nazioni. Il Bit è la vetrina del turismo mondiale. Quest’anno fra le novita’ c’erano la presenza del Parlamento Europeo, il debutto del nuovo salone dell’enogastronomia Certicibit, e il workshop Byclub International dedicato al mondo dell’associazionismo. I nove padiglioni della Bit serano suddivisi in due sezioni: ‘Italy’ e ‘The World’. Tra le presenze piu’ significativeprovenienti dall’estero, emergono le partecipazioni, per la prima volta, di Bhutan, Mali, Bielorussia, Belgio-Turismo Fiandre, Repubblica Democratica del Congo. Per la prima volta nella storia di Bit Milano, quest’anno, all’inagurazione, erano presenti dieci ministri del Turismo internazionali.E’ nata inoltre l’Unita’ Nazionale di Ricerca per il Turismo. La prima ricerca dell’Unita’ è stata presentata alla Bit di Milano. E’ il Lazio la regione italiana piu’ citata dalla stampa internazionale. Il dato e’ stato reso noto dall’Osservatorio Bitlab, il primo Osservatorio permanente sull’immagine all’estero del settore turistico italiano. Oltre 100 le testate monitorate in 12 nazioni. Si tratta di Australia, Austria, Cina, Francia, Germania, Gran Bretagna, India, Medio Oriente,Russia, Spagna, Svizzera, Usa. Su un totale di 12mila 373 articoli selezionati sul settore turistico, il Lazio si piazza in testa alla classifica nazionale, con 1.986 citazioni. Al secondo posto il Veneto, con 1.705 citazioni, la Toscana (1.285), la Lombardia (1.146), la Campania (773). Chiude il Molise, con 6 articoli dedicati al turismo pubblicati nel 2007. E il 2008 sara’ l’anno del boom turistico in Italia. Parola della stampa estera, che mette il Belpaese in cima alle proprie simpatie. Tedeschi ed austriaci, come pure russi, cinesi e arabi in testa. I dati diffusi dall’Organizzazione Mondiale del Turismo (Omt) sono rassicuranti. Il numero dei turisti nel 2007 ha infatti toccato una cifra senza precedenti. Ottocentonovantotto milioni, con un aumento del 6,2% rispetto al 2006. E tra i primi beneficiari di questoincremento figura proprio l’Italia, che ha registrato una crescita del numero dei turisti pari al +7%, mantenendo il quinto posto nella graduatoria dei paesi leader del turismo mondiale dietro a Francia, Spagna, Usa, Cina e davanti al Regno Unito. L’apprezzamento della stampa interna-

zionale e’ trasversale. Si va dai russi, che vedono nell’Italia la meta ideale per una settimana bianca, a cinesi, sauditi e egiziani che scelgono invece lo shopping; dagli austriaci (per il 24,4% l’Italia e’ la meta estera piu’ visitata) agli spagnoli: Zapatero, riportava a dicembre il quotidiano Abc, organizza per gli over 50 una vacanza al mare in Italia a 220 euro.E se il mare italiano vince ancora la concorrenza di localita’ esotiche, spuntano anche itinerari meno consueti: le proposte della stampa estera spaziano dal turismo ‘scientifico’, con spedizioni alla ricerca di specie rare o scavi a Pompei, alle vacanze ‘agricole’ suggerite dal

Sunday Times, con soggiorni in fattorie dove pagarsi vitto e alloggio lavorando e imparando come nasce un prodotto doc della nostra tradizione culinaria.Infine l’Italia e’ ancora la ‘capitale dell’amore’. La penisola e’ infatti la destinazione ideale per il viaggio di nozze secondo Modern Bride, bibbia delle future spose Usa. Secondo le agenzie di viaggio americane l’Italia ha superato addirittura la piu’ tradizionale meta per la luna di miele delle Hawaii. E, secondo l’inglese Guardian, le migliori alcove romantiche, sono in Italia. Maria Annunzia Selvelli


COSÌ IL CENSIS HA FOTOGRAFATO L’ITALIA PER IL 2007 Rivelando panorami inquietanti, ma anche molti dati confortanti

Povera Italia! Stiamo veramente cadendo in basso? La lettura del rapporto del Censis delinea panorami inquietanti, ma anche dati compensativi. Si spende meno per i prodotti alimentari e di più per i servizi, aumenta il ricorso alle rate, si va a caccia di sconti e di offerte promozionali, ma sempre con un occhio alla qualità. E allo stesso tempo non si fa a meno del cellulare. Il 74% degli italiani si sente ‘povero’ e dopo l’introduzione dell’Euro che per il 90% ha infiammato i prezzi, rivede in un’ottica strategica il proprio budget familiare e i consumi. Il quadro complessivo è quello che, dopo anni di tensione sul fronte dei prezzi, il consumatore italiano è in crisi, disorien-

tato, incapace di avere un rapporto rilassato con il denaro e a tratti spinto ad un consumismo piuttosto marcato. Dati alla mano, nel periodo 2000-2004, secondo gli italiani, i redditi reali sono cresciuti appena dello 0,5% annuo e cioè ben al di sotto dell’inflazione, e nemmeno per gli anni a venire si aspettano consistenti aumenti. Le spese per consumi nel periodo 2001-2006 hanno avuto invece un tasso medio annuo di crescita inferiore all’1%. Con il passare del tempo, il 74% dichiara quindi di avere meno risorse di quanto soggettivamente ritenuto necessario ed il 36% teme addirittura di correre il rischio di cadere in uno stato di povertà. Insomma, rileva il Censis, non

c’è tanto o solo una crisi dei consumi quanto “una crisi del consumatore, impaurito all’idea di non disporre di risorse economiche sufficienti per far fronte alle proprie spese, impaurito dalla mancanza di certezze per l’immediato futuro”. Rileva il Censis: “Dovunque si giri il guardo – sembra pensare l’italiano medio - facciamo esperienza e conoscenza del peggio: nella politica come nella violenza intrafamiliare, nella microcriminalità urbana come in quella organizzata, nella dipendenza da droga e alcool come nella debole integrazione degli immigrati, nella disfunzione delle burocrazie come nello smaltimento dei rifiuti, nella ronda dei veti che bloccano lo sviluppo infrastrutturale come nella bassa qualità dei programmi televisivi. E’ boom del web: 21 mln di italiani si connettono ogni giorno da casa o dall’ufficio. Parola del Censis, che nel suo Rapporto sulla situazione sociale del paese fotografa un’Italia sempre più online. Ma il nostro Paese è anche poco coeso, “poltiglia”, e tre cittadini su quattro si sentono poveri e spendono con molta attenzione. Fortuna che il boom economico continua in silenzio grazie ad una “minoranza vitale”. Le donne? Ancora discriminate sul lavoro assieme agli immigrati. I giovani, dai 18 ai 29 anni di età, si collegano ad Internet da casa; gli over 30 dal posto di lavoro. E solo l’11,7% degli anziani naviga in rete. L’80% dei 21 milioni di internauti si connette dalla propria casa: di questi, il 48,2% sono giovani. Chi ha tra i 30 e i 44 anni, invece, tende a collegarsi solo dall’ufficio (11%), anche se il 20% lo alterna alla connessione casalinga. Pochi invece gli anziani che si avventurano nel cyber-mondo, anche se sono in aumento rispetto al passato. Il popolo degli internauti cresce sempre di più: ben 21 milioni di italiani usano Internet, di cui quasi la metà ha più di 18 anni. L’internauta italiano è uomo ed è giovane: oltre la metà di chi si collega alla rete, infatti, è uomo e l’80% ha un’età tra i 18 e i 29 anni e naviga su Internet prevalentemente per cercare informazioni e scambiare e-mail, file musicali o filmati. Solo un terzo del popolo di Internet è composto da donne, che entrano nel mondo online soprattutto per prenotare e organizzare viaggi. Mauro Boschi


PECHINO 2008, OSCAR PISTORIUS IL GRANDE ESCLUSO? Uno dei dubbi in vista delle Olimpiadi nella capitale cinese Le protesi aiutano? Oscar Pistorius, il sudafricano amputato a entrambe le gambe, rischia di non poter partecipare né all’Olimpiade né alla Paralimpiad. L’atleta, 21 anni ( 400 metri in 46”34), è un “diversamente abile” che partecipa ai giochi olimpici con i normodotati? Per adesso, sia da parte del Comitato Olimpico Internazionale (CIO) sia della federazione internazionale di atletica leggera (IAAF), i segnali sono decisamente negativi. Oscar Pistorius, plurimedagliato alle Paraolimpiadi di Atene 2004 (100200-400 metri) non dovrebbe partecipare alle attese olimpiadi di Pechino (inizio il prossimo 8 agosto). A marzo, avremo la decisione definitiva, ma la sensazione è che Pistorous parteciperà alle Paraolimpiadi. Anzi, forse, le sue famose protasi potrebbero impedirgli di partecipare anche tra i “diversamente abili”. In sostanza, le protasi in carbonio aiuterebbero Oscar Pistorius a ritardare l’innesco del tanto temuto acido lattico (veleno biologico per i muscoli…) sulla distanza dei temutissimi 400 metri, definiti da sempre “il giro della morte” . Secondo l’analisi fatta sulla sua corsa dal professor Bruggenman, biomeccanico tedesco, dopo due giorni di esami, è un muro contro cui è difficile non scontrarsi. Ora rischia di non gareggiare più nemmeno alle Paralimpiadi. “Oscar da tempo aveva smesso di sognare: si allenava, sudava, faceva fatica per partecipare ai Giochi di Pechino. Coi suoi Ghepardi, le protesi da qualche decina di migliaia di euro. Stava per vedere il traguardo- ha raccontato www.gazzetta. it - Attenzione: a questo punto lo sport potrebbe addirittura perderlo. Secondo Daniele Bonacini, amputato alla gamba destra, che ha gareggiato con Pistorius. E’ ingegnere meccanico, studia nuove protesi da corsa e contesta le tesi di Bruggenman: “Deliranti”. Ingfatti non si può sostenere che una protesi sia un vantaggio. Scienziati come Buckley, Czerniecki o Bitter sostengono il contrario. Semplificando: l’energia rilasciata dal piede protesico è dell’80%, quella del piede umano del 241%. Poi vanno considerati gli svantaggi in partenza e in curva. Questa è la realtà, non altro”. Dal mondo dei concorrenti “diversamente abili” , arrivano anche critiche all’atleta sudafricano. Oscar Pistorius ai Giochi di Atene 2004 corse 100 e 200 con atleti amputati di una sola gamba sotto il ginocchio (T44 nella classificazione para-

limpica). Non vi era, infatti, un numero sufficiente di atleti amputati a entrambe le gambe (T43) con tempi tali da poter competere a una Paralimpiade. Era l’unico nelle sue condizioni. Nel mondo paralimpico capita. Marlon Shirley, il più grande sprinter amputato (a una sola gamba) della storia, dopo quelle gare, battuto da Oscar sui 200, cominciò le critiche: “Io ho una gamba sana, Oscar due protesi”. E non corse più contro di lui. Ora gli fa eco Roberto La Barbera, il migliore fra gli italiani, anche lui T44: “Io potrei correre coi normodotati, lui no. Infatti parteciperò ai campionati Master. La mia protesi deve adattarsi alla potenza del piede sano. Se rendesse maggiore energia finirei per zoppicare.

A questo punto è chiaro che Oscar non può correre con noi. Andrei Daniel è il migliore nei T44 e fa i 400 in 51”24’. Oscar in poco più di 46”. Quando verrà a una Paralimpiade contro noi T44, che credibilità avrà? Deve correre con chi è nelle sue stesse condizioni”. Nel caso in cui, a marzo, Pistorius venisse escluso dalle competizioni con normodotati, probabilmente non avrà più spazio nemmeno nelle competizioni disabili. Quando, con chi e dove gareggerà allora? Speriamo si tratti solo di una decisione scientifica e che non sia stato vittima di una vampata di “focus” commerciale degli sponsor olimpici. Mauro Boschi


VI PRESENTO QUEL SIMPATICO DEL SIGNOR PORCO Allegro, grufolante e fatalmente nato per la nostra pancia

Molte volte si usa il suo nome come insulto. Ma i meriti di questo simpatico e benemerito animale, certificano l’ineguatezza di un uso offensivo della parola porco. Il maiale è uno degli animali da macello più diffusi e più utilizzati dall’uomo, anche in ragione dell’ampia gamma di sottoprodotti derivati, che vanno da articolatissime specifiche lavorazioni delle sue carni, allo sfruttamento delle setole; infatti del maiale non si butta niente. Alcuni evoluzionisti sono soliti suggerire la derivazione dal selvatico cinghiale, di origine Eurasiatica, probabilmente incrociato col suino mediterraneo. L’allevamento del maiale pare antichissimo, e raffigurazioni di

suoi presumibili progenitori sono anche nei graffiti della grotta di Altamira (ca. 40.000 aC). Intorno al 5.000 a.C. si suppone che sia avvenuta la domesticazione in Cina, e tracce di poco più recenti se ne hanno anche in Mesopotamia. Il maiale è sempre stato di vitale importanza nel sistema alimentare dell’uomo e la sua copiosa produzione lo ha reso di generale popolarità. Molte delle caratteristiche morfologiche o comportamentali del maiale sono anzi entrate nella fraseologia comune presso quasi tutte le culture. Le caratteristiche nutrizionali della carne di maiale, ricca di grassi, sono forse all’origine di taluni precetti di alcune religioni - particolarmente di alcune ori-

ginate in aree calde del Pianeta - che vietano di cibarsene o ne limitano l’assunzione. Il porco peraltro è onnivoro, pertanto nelle aree geografiche desertiche e semidesertiche, contraddistinte da generale scarsità di risorse alimentari, il motivo del precetto religioso che ne vieta la presenza, oltre che la consumazione delle carni e dei sottoprodotti, può essere ravvisato nel fatto che, sul piano alimentare, esso si pone in concorrenza diretta con l’uomo: il suo allevamento pertanto non potrebbe avvenire che a discapito della disponibilità di cibo per la specie uomo.Si noti che la domesticazione del maiale non è profonda, nel senso che il maiale lasciato libero immediatamente rinselvatichisce senza grossi problemi di riadattamento, e può presentare mutazioni morfologiche in tempi sorprendentemente rapidi; del resto, la differenza stessa fra i maiali selvatici ed il maiale d’allevamento è relativa.La vita del maiale d’allevamento non è lunga. Nei moderni allevamenti nasce in tutti i mesi dell’anno. Le cucciolate sono normalmente da circa dieci - dodici piccoli. Alla nascita il lattonzolo pesa da uno a due chili. La scrofa partorisce due volte all’anno; in realtà la somma delle durate delle due gestazioni è meno di un anno solare. Negli allevamenti, per evitare che la scrofa schiacci inavvertitamente i piccoli, essa viene fatta partorire ed allevare la prole in una gabbia che la contiene appena e nella quale non può muoversi liberamente. A seconda dello scopo per cui vengono allevati gli animali, esiste un’importante suddivisione: suino leggero e suino pesante. Il primo viene macellato quando raggiunge al massimo i 100-110 kg di peso vivo, il secondo tra i 150 e i 180 kg (mediamente attorno ai 160 kg). L’allevamento del suino pesante è una realtà specificatamente italiana e molto raramente spagnola; il resto del mondo occidentale alleva solo suini leggeri. Questo perché si tratta degli unici paesi dove si realizza la produzione del prosciutto. La stragrande maggioranza dei suini allevati in Italia segue questa filiera. La provincia italiana con la più alta concentrazione di suini è quella di Mantova, dove per ogni abitante ci sono in media quattro maiali. Alla luce di queste considerazioni, la parola porco sembra un complimento. Mauro Piergentili


IL MOSCATO, UN NETTARE DAL TEATRO ALL’ALTARE Prende il nome dalla dolcezza dei grappoli che attira le mosche Viva il vino spumeggiante, nel bicchiere scintillante. È il brindisi della Cavalleria Rusticana, che precede la tragedia, quasi per attenuarne l’orrore. Protagonista è il vino frizzante, di cui il moscato è degno rappresentante. La provenienza del “Moscato bianco” ha origine dal bacino orientale del Mediterraneo. Il nome “moscato” deriva dalla particolare dolcezza dei suoi grappoli che appunto... attira le mosche, il caratteristico sapore “moscato” deriva da “muschio”. Il vitigno era già anticamente coltivato in una vastissima area compresa tra Asia Occidentale e l’Europa ma si diceva che era nato “per volere degli Dei”. Già i Romani tre secoli prima di Cristo conoscevano questo vino aromatico. Catone (Marco Porcio detto il Censore, 234-149 a. C, e autore di “Agricoltura”), lo chiamava “Apicius”. Per Columella (Lucio Giunio Moderato, I sec. a. C, che scrisse un trattato sull’agricoltura), e per Plicio, era “Apianae”, nome che indicava come le api prediligessero quest’uva dolcissima. Si sa per certo che i Romani conoscevano i vini spumeggianti ottenuti dalla fermentazione in recipienti chiusi. Nel biblico libro dei Salmi (raccolta di 150 composizioni di carattere sacro), si parla di “una coppa dove spumeggia un vino”. Virgilio (70-19 a.C.), scrive di un vino spumeggiante. La mancanza di recipienti robusti, adatti al contenimento del vino, fa dedurre che la produzione si limitasse a quelli leggermente frizzanti, almeno sino al 1600. In seguito la produzione dello spumante fu possibile solo grazie all’uso di bottiglie capaci di resistere alla forte pressione interna, e a quello dei tappi di sughero. Pare che proprio verso la metà di quel secolo alcuni commercianti londinesi riuscirono a produrre il primo spumante con caratteristiche simili a quelle dei nostri giorni, utilizzando vino francese proveniente da Champagne a cui aggiunsero alcune spezie: cannella, melassa e chiodi di garofano. I francesi producevano i primi spumanti attorno al 1700, ma ci vollero due secoli per migliorare e perfezionare la tecnica di produzione. I primi vini prodotti, non ancora “secco”, furono posti in bottiglie resistenti alla pressione interna ma spesso l’effetto era disastroso in quanto a quei tempi si usava fermentare i vini in piccoli fusti, poi s’interrompeva la fermentazione ai primi freddi, per ripren-

derla in bottiglia durante la primavera. La conseguenza era che il gas sviluppato provocava una pressione tale da fare scoppiare le bottiglie. Una curiosità. In Piemonte, sul confine con la provincia di Asti, da quasi cento anni nel monastero delle Figlie di San Giuseppe le suore producono uno speciale “Moscato da Messa” che servirà ai sacerdoti di tutta l’Italia per officiare il servizio liturgico. Da sempre la Madre Superiora è la responsabile della vinificazione, coadiuvata da un enologo e dalle “consorelle”. I segreti della vinificazione venivano tramandati oralmente da quando Clemente Marchisio parroco di Rivalta Torinese, in visita al Pontefice Leone XIII

(1810-1903), venne invitato a produrre nella propria zona il vino indispensabile per la messa. Sulle colline torinesi nacque quindi una prima congregazione specializzata nella coltura e trasformazione del vino. Nel 1906 un gruppo di suore si trasferì a Santo Stefano Belbo, proseguendo la produzione del “Vino bianco per la Messa”. Il vino prodotto serve esclusivamente per uso liturgico e per evitare la vendita a privati viene confezionato in bottiglie particolari, con speciali tappi, capsule ed etichette. Viva il vino spumeggiante...A teatro come sugli altari. Hector Gonzales di Villarica



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