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CAPITOLO 1

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L’INTRODUZIONE ALLO SPECCHIO

Il motivo di questo saggio è determinato dalla consapevolezza che sia giunto il momento per il Sapiens di cambiare paradigma, di procedere ad una svolta necessaria e funzionale per il proseguimento del nostro lungo percorso evolutivo, anzichè mutilare la nostra esistenza, personale e sociale, semplificandola in ragione di metodi e di ascesi: è arrivato il momento di decidersi ad abbracciarla nella sua complessità e anche nella sua ricchezza corrosiva. Si tratta di un approccio che potrebbe fornire un importante ponte di collegamento tra le disquisizioni scientifiche e quelle religiose, evitando speculazioni intellettuali tra gli addetti ai lavori, relativi alle diverse interpretazioni e ai significati degli stati modificati di coscienza negli intricati universi dello sciamanesimo, dalle origini fino alle recenti esperienze mistico-ascetiche dei neosciamani, alla luce delle recenti scoperte in ambito neuroscientifico. Questa tipologia di ricerca rivaluta anche le implicazioni neuro-biologiche di quella forma primordiale di guarigione per arrivare, attraverso un affascinante viaggio tra gli stati modificati di coscienza e della transe, a ciò che conosciamo meglio come forme di

sciamanesimo.

Gli studi interculturali finora condotti stabiliscono l’universalità delle pratiche sciamaniche nelle società di cacciatori-raccoglitori e tra i primi allevatori nomadi di tutto il mondo, sin dalla più lontana antichità. Questi principi o denominatori comuni universali dello sciamanesimo, riflettono particolari e complessi processi neurologici che ci forniscono nuove indicazioni per una diversa teologia evolutiva su cui vale la pena investigare. Il paradigma dello sciamano, se così lo vogliamo chiamare, coinvolge processi neurali peculiari, ricodifiche del sistema mnestico e riattivazioni funzionali di strutture neurognostiche che sono di interesse cruciale per questa ricerca. Questo percorso investigativo ci rivela come gli universi cognitivi dello sciamanesimo rimandino ad alcune operazioni fondamentali del cervello e alle risposte della coscienza avvenute nel corso dell’evoluzione, che rispondono alla consapevolezza che il nostro corpo è fatto anche di tempo e di spazio, di desideri, di repressione e di ambiguità, oltre che di stati percettivi, emotivi e cognitivi. Si tratta di cercare la nostra identità attraverso espe- 21

ALLE ORIGINI DELLA GUARIGIONE: SCIAMANESIMO E NEUROTEOLOGIA

rienze e contaminazioni che ci mettono a confronto con “il nostro Io, come paesaggio umano”, dove troppo spesso, il generale ingloba il particolare, rendendolo invisibile e alle volte, persino inesistente.1 Il matematico Charles Lutwidge Dodgson, meglio conosciuto con lo pseudonimo di Lewis Carroll scrive :“Nel nostro paese, in genere si riesce ad arrivare

in qualche altro posto, correndo così velocemente

come abbiamo fatto noi”. Questo dice Alice rivolgendosi alla Regina, che le risponde: “qui invece devi correre più che puoi per rimanere dove sei!”. E ancora, Alice chiede al Daino: “scusa puoi dirmi come ti chiami? Mi aiuterebbe un po”. E il Daino risponde: “te lo dirò se ci spostiamo più in là, perchè qui non riesco a ricordarmelo”.2 Lavorando sulle inferenze cognitive, nei suoi affascinanti Trattati di Logica3 il matematico inglese concettualizza l’estensione della rappresentazione mentale come la totalità degli oggetti e degli eventi che sottostanno alla rappresentazione stessa. Perchè un’attività fisiologica possa contribuire a un’esperienza emotiva, deve comunque esserci una rappresentazione cognitiva della stessa che, in forme diverse, interagisce con la coscienza per generare i sentimenti.4 Con questi presupposti possiamo affermare che il paradigma sciamanico può contribuire a riconciliare le prospettive scientifiche e religiose fornendo un quadro bio-psico-sociale più generalizzato che esplica le basi biologiche delle esperienze e delle pratiche spirituali, e fornisce una piattaforma di lavoro, per nuovi approcci di neuroteologia, per una rinnovata teologia evolutiva. In breve, la transe o stato modificato di coscienza in cui lo sciamano opera, rappresenta l’evoluzione di una forma di plasticità dell’organismo che va disfacendosi della propria animalità, procedendo verso la costituzione della consapevolezza e della cultura, che tende a riconciliare i continui strappi e le tensioni che la caratterizzano. Riteniamo che nel percorso evolutivo, gli umani abbiano acquisito una nuova consapevolezza grazie alla quale superare gli inveterati modelli di pensiero e comportamento dei propri cugini, per trovare nuove risposte in materia di guarigione. Contingenza evolutiva significa potere causale del singolo evento che diviene generatore di molte storie alternative ed equivalenti, e dove alla fine solo una prevale.

Ciò significa imprevedibilità ma non assenza di re-

gole5, la stessa che per molti versi caratterizza le cerimonie sciamaniche di guarigione, in cui l’inconsueto può divenire la chiave risolutrice e rafforzare l’agire dell’officiante. Cerchiamo di gettare un po di luce sull’ombra che avvolge questo particolare e intrigante mistero. Nella favola di J. M. Barrie, Peter Pan, colui che cavalca la capra come il dio Pan dell’antichità classica, quando per la prima volta incontra Wendy, è intento a catturare la propria ombra, che aggirandosi nella cameretta, sfugge ogni volta alla sua presa. L’ombra che accompagna ogni essere umano non riguarda solamente il fenomeno fisico bensì la metafora dell’inconscio, cioè del lato oscuro in ognuno di noi: quella parte non riconosciuta del Sè che è la sommatoria degli Io divisi. James Hillman, nel suo Saggio su Pan, scrive “Pan ci

dice che il più forte desiderio della natura ‘dentro di noi’ è quello di unirsi con se stessa nella con-

sapevolezza”6; Pan è l’ombra, e Peter cerca di acciuffarla, perchè sta cercando sè stesso; la sua è la caccia all’anima, La chasse à l’âme, che non a caso è

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anche il titolo del grande saggio sullo sciamanesimo siberiano, scelto dalla famosa antropologa francese Roberte Hamayon. Quell’ombra è in realtà anche il corpo, la vita e il tangibile dell’universo sciamanico. Spesso la capacità di risanare, ritornare ad un equilibrio, non dipende unicamente dal visibile, ma anche da quel mondo invisibile in cui l’ombra sembra voler rappresentare le molteplici forme del corpo di cui quello fisico è solo la forma visibile. Questo territorio dell’ombra è la patria degli sciamani, il luogo dove agiscono tra immagini, metafore e uscite dal corpo nel regno quantistico del sacro. Negli ultimi decenni il ruolo delle funzioni cerebrali nelle esperienze spirituali ha ricevuto sempre più crescente attenzione, non solo nei testi accademici ma anche nelle pagine di importanti riviste scientifiche.7 La comprensione neuroteologica degli impulsi religiosi in termini di biologia umana e psicologia evoluzionistica8 rende più comprensibili alcuni aspetti della spiritualità, attraverso un’attenta rilettura che evidenzia come troppo spesso la ricerca sia stata influenzata da distorsioni tendenziose, prodotte da concettualizzazioni specifiche della cultura o della religione.9 Tali pregiudizi includono la definizione della religiosità in termini di esperienze particolari (si veda la critica di Carol Rausch Albright a Ramachandran e Blakeslee) o di assunzioni a priori, descritto ad esempio nei lavori di Eugene D’Aquili e Andrew Newberg10, nei quali i ricercatori si concentrano sull’esperienza mistica e su l’assoluta unitarietà dell’essere come base primordiale dell’esperienza religiosa, attraverso una verifica scientifica sui processi neurologici nella percezione della spiritualità. La ricerca interculturale e interdisciplinare sulle pratiche religiose può aiutarci a superare i limiti sulle definizioni dei concetti culturali e delle ideologie legati alla religiosità. Per esempio, attraverso la ricerca che utilizza campioni interculturali sistemici, si è giunti alla conclusione che esistono modelli universali delle pratiche magico-religiose e che tali modelli ci possono fornire dinamiche e strategie transculturali per una teoria neuroteologica d’insieme. Le ricerche condotte dall’antropologo Winkelman ci dicono che molte delle pratiche religiose associate alle società di cacciatori-raccoglitori di tutto il mondo, implicano un complesso di caratteristiche, pratiche e credenze specifiche, riassunte nello sciamanesimo, in cui universi e i modelli concettuali hanno le loro basi in strutture e processi innati che forniscono rappresentazioni mentali, pratiche di guarigione ed esperienze spirituali.11 L’idea è quindi quella di ridelineare il paradigma sciamanico della neuroteologia e porre lo sciamanesimo alla base dell’evoluzione cognitiva nell’esperienza spirituale. Di seguito verranno descritti i moduli rappresentativi innati e i processi naturali che forniscono le basi dello sciamanesimo. Le attività e le esperienze rituali degli sciamani, come ad esempio, il volo estatico dell’anima, la ricerca dello spirito adiutore, l’esperienza di morte e rinascita, l’OBE (Out of Body Experience - Esperienza fuori dal corpo) coinvolgono strutture fondamentali della cognizione, della coscienza e delle rappresentazioni della psiche, riconducibili alla consapevolezza del Sé e dell’Io. Molti etnografi hanno documentato, al di là di ogni ragionevole dubbio, di essere stati testimoni di esperienze psicofisiche che vanno ben oltre le possibilità accettate dalla medicina scientifica.12 È giunto il momento di cercare una traccia, una 23

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strada percorribile che possa fornirci spunti e anche chiarimenti in proposito. Lo sciamanesimo implica adattamenti sociali che utilizzano potenziali processi biologici forniti dagli stati modificati di coscienza (da qui useremo ASC, acronomo di Altered States of Consciousness) per facilitare l’integrazione con l’officiante, per sviluppare l’esperienza personale e, quindi, la guarigione come verrà descritto in seguito. In sintesi, i processi sciamanici intensificano le connessioni tra il sistema limbico e le strutture cerebrali inferiori e rielaborano queste informazioni attraverso percorsi sinaptici integrativi, sincroni a onde lente (theta e delta), nella neocorteccia frontale. Secondo Winkelman e Fabbro, questa funzione cognitiva viene determinata da una diminuzione dell’attività del neurotrasmettitore serotonina su una popolazione di neuroni dell’ippocampo.13 L’ippocampo, liberato dall’influenza inibitoria della serotonina, inizierebbe a generare le caratteristiche onde lente Theta, come viene rilevato dall’elettroencefalogramma (EEG), che favorirebbero la generazione delle tipiche perturbazioni elettriche del lobo temporale e che molto probabilmente, determinano una modificazione dello stato ordinario di coscienza (ne parleremo approfonditamente nel capitolo che tratta il cromosoma numero Due e l’epilessia). Come già dimostrato da molti ricercatori, numerose sostanze psicoattive, nonchè attività fisiche estreme, digiuno14, deprivazioni sensoriali e del sonno, e anche la meditazione profonda, sono in grado di ridurre i livelli di serotonina cerebrale, determinando una disinibizione dei lobi temporali, e la conseguente generazione di ritmi lenti, ma soprattutto attivando la sincronizzazione delle strutture del sistema limbico e del lobo frontale.15 Queste dinamiche neurali integrative determinano quella che possiamo definire con il termine di flessibilità cognitiva: un significativo miglioramento dell’attenzione, dell’autoconsapevolezza, dell’apprendimento e della ricodifica delle memorie, che determinano quei meccanismi che relazionano il Sé all’attaccamento, alle motivazioni e ad una coscienza della consapevolezza più estesa.16 Il rituale sciamanico induce effetti terapeutici attraverso meccanismi derivati dalle dinamiche psicobiologiche dell’ASC, dal rilassamento dovuto agli effetti dell’azione serotoninergica e al rilascio endogeno di oppioidi, e sull’attivazione del cervelletto in questi processi. Lo sciamanesimo, attraverso l’esperienza di transe (preferiamo l’uso del vocabolo di origine latina al termine anglosassone per motivi che riguardano la filogenesi del termine; Lapassade 1990, Bellatalla 2018), rielabora le emozioni, gli attaccamenti, i legami sociali, il senso di Sé e l’identità dell’Io, vivificando quello sviluppo primordiale della coscienza che molto probabilmente ha costituito le prime manifestazioni degli umani cosiddetti culturalmente moderni. Le strutture e la percezione della coscienza nelle pratiche sciamaniche si manifestano nell’uso univoco degli stati modificati di coscienza, nella guarigione religiosa17, nelle malattie chiamate in gergo emergenze spirituali18, nelle dinamiche della dipendenza, nelle forme di pensiero delle contemporanee esperienze religiose spontanee19 e anche nella moderna rinascita dei cosiddetti modelli neosciamanici.20 Le basi del paradigma sciamanico nella psicologia evoluzionistica e nella psicobiologia della coscienza spiegano la sua diffusa presenza nelle società antiche, così come in quelle contemporanee. Questa base psicobiologica rende lo sciamanesimo

BABAU BIANCO | Su uno sfondo di disegni rupestri uno spirito adiutore apparve a un bambino inuit, futuro sciamano, che aveva da poco perduto i genitori, dicendogli di non avere paura, perché anche lui combatteva quotidianamente contro pensieri pieni di tristezza.

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un paradigma naturale per le teorie dell’esperienza religiosa, e inoltre, illustra il valore di un approccio neurofenomenologico all’esperienza religiosa.21 Esiste un dissenso, a livello accademico, riguardo alla natura dello sciamanesimo.22 Alcuni autori ancora sostengono che il termine sciamano e il concetto di sciamanesimo dovrebbe essere usato per riferirsi solo ed esclusivamente a pratiche di culture dell’area siberiana, regione da cui il termine occidentale shaman, deriva. Ciò riflette una grave lacuna sia dal punto di vista linguistico ed etimologico23 nonchè un’insoddisfacente indagine storica sullo sciamanesimo di carattere planetario; in sintesi si tratta di un ennesimo esempio di deliberato etnocentrismo e di motivazioni che non sono scientificamente fondate, e nel cui merito non intendiamo entrare. Gli studi empirici basati su campioni mondiali, la ricerca sistematica interculturale e transculturale, nonchè le analisi quantitative formali24 stabiliscono che esistono paradigmi universali dello sciamanesimo in cui il concetto di sciamano ha uno status interculturale ed etico storicamente affermato. Lo sciamanesimo non è un concetto arbitrario o culturalmente determinato, ma piuttosto un complesso specifico di caratteristiche, che si ritrovano tra gli officianti di pratiche magico-religiose dei primi gruppi di cacciatori-raccoglitori e nelle prime società pastorali e agricole di tutto il mondo. Questi cosiddetti professionisti della guarigione, empiricamente simili nelle loro caratteristiche, non sono limitati alla Siberia o all’Asia centrosettentrionale. La loro distribuzione mondiale non è il risultato della diffusione delle tradizioni, come valutato dall’analisi dell’autocorrelazione illustrata da Winkelman e altri ricercatori, bensì di una prerogativa peculiare dell’Homo Sapiens legata alla neotenia, che rievoca lo sforzo di un’umanità che non si è ancora costituita, ma anche di una consapevolezza dell’individuo e della sua cultura che ancora non si è separata dalla Natura.25 Da uno studio del 2010 è emerso come la nostra specie sia la più neotenica di tutte nel genere Homo. La selezione naturale avrebbe agito per fissare la

mutazione neotenica in virtù dei suoi effetti bene-

fici adattivi.26 Come sottolinea il paleoantropologo Ralph Holloway, le osservazioni sui calchi ricavati dalle pareti interne dei crani fossili del genere Homo, evidenziano la divisione degli emisferi cerebrali e il peculiare sviluppo di alcune aree specifiche: in altre parole, non soltanto si era innescata la crescita quantitativa del cervello ma erano iniziate alcune trasformazioni graduali nella sua organizzazione interna.27 Queste trasformazioni, coinvolgono le aree del cervello che sovrintendono ai compiti di pianificazione e di previsione, e alla creazione di modelli e mappe mentali della realtà, del linguaggio e del pensiero speculativo. Possiamo immaginare che nella mente dei nostri predecessori costruttori di utensili cominciasse a prendere forma l’universo sognante dei nostri desideri, la capacità di immaginare con ambizioni ed emozioni, che tendevano ad assumere nuovi significati: la plasticità biologica del nostro cervello cominciava ad esplorare nuovi territori. Due terzi del nostro cervello si formano dopo la nascita e sappiamo dagli studi evoluzionistici che le esperienze vissute dal soggetto e l’ambiente sociale e naturale nel quale vive, sono determinanti nel processo dello sviluppo biologico del cervello umano.

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In tal senso diviene più ragionevole pensare che gli sciamani differiscano sistematicamente dal mondo dei praticanti magico-religiosi che si trovano anche nelle società più complesse, come ad esempio quelli etichettati come pranoterapeuti/guaritori, mistici e medium, posseduti e sensitivi di ogni genere.28 Generalizzando, le caratteristiche dello sciamano includono: • la transe, un’esperienza ASC, nota anche come viaggio dell’anima o volo dell’anima. • l’uso di paraphernalia, canti, musica, tamburi e danze. • la capacità di divinazione, diagnosi e profezia. • ASC deliberatamente indotte finalizzate alle ricerche di visioni, che comportano un’esperienza iniziatica. • le esperienze e relazioni di ordine spirituale come l’ineffabilità, il carattere transitorio dell’esperienza, il senso di unità e la certezza dell’obiettività e della coscienza intuitiva. • l’elezione di uno o più spiriti adiutori e stabilizzazione del rapporto con esso. • il chiarimento e la visione in processi terapeutici di interazione focalizzati sul recupero dell’anima. • relazioni con manifestazioni di esseri e entità, anche mitologici, il controllo della loro azioni e della loro trasformazione. • la leadership carismatica spirituale, ma non politica, nel gruppo. • azioni che coinvolgono ripercussioni su persone, animali e cose • azioni propiziatorie di diverso tipo. Queste peculiarità includono le caratteristiche fondamentali che si ritrovano nella descrizione dello sciamano di Mircea Eliade.29 Gli sciamani in genere si impegnano in attività di guarigione, in riti propiziatori e in cerimonie divinatorie che coinvolgono, una famiglia, alcuni individui o l’intera comunità tribale. Le cerimonie si svolgono generalmente nell’abitazione dello sciamano (capanna, gher, casa, maloca, tenda, ecc.) ma anche in luoghi naturali (foreste, grotte, presso corsi d’acqua o alture, vicino a luoghi di sepolture, e altro ancora), oppure nelle abitazioni delle stesse persone che hanno richiesto la cerimonia. Il rituale non è una ripetizione di formule accompagnate da liturgie codificate, come avviene normalmente per le grandi religioni, bensì è la preparazione individuale (e a volte collettiva) a mettersi in gioco su un piano transpersonale (che è insieme teatro e rituale), e anche l’interazione visiva e iniziatica, in cui partecipanti e pazienti sono trascinati in un’atmosfera spirituale che li allontana dal proprio “Io” per condurli verso una coscienza empatica e allargata.30 Attraverso la musica, la danza, i profumi, le luci ed i suoni si procede ad una intensificazione dei cinque sensi, focalizzandola verso quel luogo dell’anima dove si trova un “varco”. Ritmare, cantare, muoversi contribuiscono ad intensificare quella spinta necessaria ad attraversare la soglia in una dimensione dove lo spazio e il tempo, le categorie fondamentali dell’esperienza umana, si presentano in tutt’altre forme rispetto all’ordinario. E pensare che nell’antichità, questo processo di coinvolgimento era già stato riscontrato e descritto; per esempio, Plotino, che era sicuramente ben informato su cosa stesse avvenendo durante le cerimonie di guarigione, scriveva: “l’arte di cantare in un

certo modo, di gridare, di aspirare e soffiare al fine di raggiungere le potenze superiori è il ‘susurrus

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ALLE ORIGINI DELLA GUARIGIONE: SCIAMANESIMO E NEUROTEOLOGIA

magicus’ ... essi desiderano guarire se stessi dalle

malattie” attraverso il controllo dell’Io e del Sé (Plotino, Enneadi 2.9.14). Questa è, a grandi linee, la funzione primaria della cerimonia sciamanica, votata ad ottenere un risultato concreto e tangibile, per una persona malata o per la collettività. Il rituale sciamanico non è, e non sarà mai, lo stesso perchè è un viaggio dell’anima, un’esperienza che si rinnova di volta in volta, dove le certezze sono ben poche, ed al contrario, i mutamenti sono molteplici. Le cerimonie operano attraverso i simboli, il modo più efficace di esprimere le forze della Natura, su molteplici piani di lettura ed interpretazione. René Guenon dedica un intero volume ai simboli del Sacro, rivelando le loro funzioni, i loro molteplici significati nel mondo, evidenziandone l’universalità e il valore culturale profondo.31 Il luogo stesso dove verrà officiato il rito ha un valore simbolico: la gher o yurta, la maloca o il tepee diverrà il luogo di raffigurazione del cosmo, e l’albero sacro, prescelto e consacrato per il rituale, diverrà l’axis mundi che metterà in contatto i tre mondi paralleli: il tamburo dello sciamano sarà il mezzo con cui muoversi durante il viaggio estatico, e molto altro ancora. All’osservatore, estraneo al contesto etnico nel quale la cerimonia si svolge, il rituale appare ricco di rappresentazioni simboliche astratte. Se alcuni oggetti e determinati comportamenti dello sciamano possono sembrare facilmente comprensibili e interpretabili, al contrario, svelare i significati di altri aspetti del cerimoniale è tutt’altro che semplice e intuitivo. Le simbologie e le forme del rito fanno riferimento ad un esteso e complesso sistema di valori. In altri termini, il significato dei simboli nella cerimonia sciamanica è polivalente e comunica simultanei messaggi a diversi livelli di percezione, sia cosciente sia inconscia. La moderna psicoanalisi ci ha rivelato come il subconscio operi mediante associazioni simboliche. Alcuni autori sostengono come i simboli e i concetti astratti attivino processi metacognitivi sui modelli di elaborazione nella rappresentazione mentale, sia di ordine emotivo sia cognitivo, attraverso l’idea che più informazioni di carattere esterocettivo e enterocettivo, insieme alle loro rappresentazioni, influiscano diversamente sulle nozioni di concretezza e astrattezza. Nell’inconscio risiede quindi la chiave di lettura per l’esplorazione della coscienza dell’individuo. Il rituale sciamanico deve essere osservato come un sistema di riferimento che integra la moltitudine degli oggetti utilizzati e le forme di rappresentazione del ‘viaggio’, come il complesso sistema di significati che rappresentano il mondo. Nel rituale, lo sciamano si adopera e si mette in gioco: il suo scopo è portare sollievo, sanare, ripristinare le condizioni di equilibrio interiore e esteriore, attraverso un percorso/processo tutt’altro che scontato, in cui rischia, affronta, combatte e mette in gioco la sua stessa sopravvivenza. Durante la cerimonia terapeutica, la seduta divinatoria o il rito di caccia, lo sciamano attinge a piene mani dal mondo mitologico: giustificherà le sue azioni e gli avvenimenti anche grazie all’interpretazione di questo universo. Le categorizzazioni delle rappresentazioni mentali e le loro proprietà semantiche seguono sia il percorso analogico, in altre parole quello non concettuale sui sensi di tipo modale, sia una pista di ridescrizione distaccata dai meccanismi di ancoraggio.

SCIAMANO SIBERIANO | Dettaglio di danza rituale accompagnata/guidata dal ritmare incessante del tamburo atto ad aprire i varchi verso gli altri mondi sotterranei o celesti.

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Si può avviare così un processo di multimodalità che rifiuta l’integrazione tra i moduli distinti grazie al controllo sovramodale da parte dei processi neurali che si attivano nel prosencefalo. La categorizzazione e l’elaborazione concettuale che opera attraverso l’attivazione delle aree neurali dei sistemi sensomotori (embodied cognition) e il processo di ricodifica simbolica legata agli stati mentali introspettivi, determinano un collage multimodale ben più complesso di quello espresso della teoria amodale, poichè l’azione dell’amigdala e dell’ippocampo determinano una differente attività dei processi neurali dell’intero impianto simbolico stesso.32 Utilizziamo un esempio per comprendere meglio quanto appena scritto: il nostro soggetto o assistente immaginario, si trova in luogo a lui sconosciuto, un enorme edificio, forse un tempio, per imponenza e maestosità architettoniche; grandi saloni e lunghi corridoi delineati da possenti colonne. Vede comparire da dietro un angolo della stanza nella quale si trova, una testa di un cane: dalle fattezze sembra un toy-terrier ma le dimensioni del muso sembrano più quelle di un grosso dobermann. Il nostro soggetto si sente disorientatio, fuori luogo, ma non prova alcuna paura. Questa prima rappresentazione mentale di quello che sta vedendo, mediante le operazioni di denominazione, classificazione ed etichettamento, rispecchia il primo processo di ancoraggio cognitivo. La figura canina procede lentamente, venendo interamente allo scoperto. Le fattezze del corpo sono umane, solamente una folta coda equina aggiunge l’ennesimo ingrediente alla anomala situazione; il soggetto cerca risposte e prova un senso di turbamento. Seconda rappresentazione mentale: inizia il processo di oggettivizzazione che consente a qualcosa di sconosciuto di assumere connotazioni simili a qualcos’altro, costruendo un lemma ontologico in cui far rientrare le pertinenze (con la soluzione, la meno peggiore, di quelle disponibili in memoria) di ciò che si sta osservando. Inferenze e metafore permettono di categorizzare l’essere che il soggetto sta osservando come una possibile figura religiosa, forse una derivazione o deformazione del dio Anubi dell’antico Egitto; il suo battito cardiaco allora rallenta e la temperatura corporea scende leggermente. Terza fase di rappresentazione mentale: il codice simbolico legato al linguaggio descrive e traduce le informazioni sensoriali cane-dobermann-Anubi-essere-divino attraverso l’uso dei simboli nella tipica cognizione staccata o amodale. Improvvisamente si accendono le luci, e la strana figura ora al centro della stanza si ferma e solleva una sorta di grande scettro dorato. Si levano cori soavi e inizia una lenta processione di adepti che circonda rapidamente la figura dell’officiante, mostrando devozione e sottomissione; il nostro soggetto comincia a sentirsi coinvolto empaticamente in quello che sta succedendo anche se non ha capito la propria funzione in questo scenario. Quello che abbiamo appena descritto è l’approssimativa rappresentazione mentale dei simboli percettivi che rielaborano le interazioni tra il sistema sensomotorio e le funzioni cognitive superiori, per arrivare al risultato multimodale dell’immagine mentale. La nostra mente elabora autonomamente vantaggi e potenzialità della circostanza in cui si trova, ponendo al centro della percezione l’aspetto fisico dell’esperienza, nel quale la corporeità della percezione precede le ricodifiche mnestiche e le conseguenti emozioni.

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In breve, il nostro assistente non sta sognando ma sta codificando al meglio un collage multimodale, cioè in funzione di quando tutto quello che sta osservando gli potrà tornare utile. Lo strano personaggio sta sollevando ripetutamente lo scettro, sulla cui sommità c’è un simbolo, un anello attraversato da una grande onda. Ad ogni alzata, i cori crescono di intensità, come cresce altrettanto l’eccitazione dei devoti. Quarta fase di mappatura: la mente del nostro assistente procede verso un processo di attenzione selettiva del vissuto, isola dall’insieme il simbolo sullo scettro (soprattutto mentre viene sollevato), e coordina corrispondenze premotorie e motorie sul simbolo per arrivare alla sua memorizzazione esplicita, ricollegandola ad una complessa serie di conoscenze e esperienze che hanno a che fare con culti religiosi e con il sacro. A questo punto, pensiamo che siano stati chiariti tutti i limiti dell’approccio cognitivista classico alla rappresentazione della mente che Susan Hurley definisce giustamente come “un sandwich”: due parti poco proteiche (il pane), che riguardano agli aspetti sensoriali e quelli motori, che contengono la carne, ovvero i processi cognitivi.33 La strategia comunemente adottata per le indagini scientifiche era quella di gettare il pane e mangiare la carne, ovvero concentrarsi sui processi cognitivi e tralasciare il corpo. Con l’esempio precedente abbiamo voluto sottolineare come attraverso le recenti ricerche in ambito neuroscientifico, stiamo procedendo verso un approccio più partecipato ai diversi processi mentali, in cui la corporeità della percezione pone al centro dell’indagine l’esperienza empirica del corpo che vive la condizione specifica in atto. Il come mi sento mentre osservo ciò che sta accadendo, le sensazioni che provengono dal corpo e i ricordi mnemonici che vi partecipano, determinano i sentimenti che si uniscono alla prospettiva sensoriale, producendo la soggettività. Marleau-Ponty e Husserl avevano già intuito nei loro lavori il ruolo primario della percezione sostenendo che “relativamente alla cognizione e all’a-

zione in generale, la percezione è basilare e ha la

precedenza”.34 Come vedremo in seguito, parlando degli stati modificati di coscienza e soprattutto nella transe sciamanica, questo passaggio risulterà fondamentale ai fini della neuroteologia. Lo sciamano narra, mima, canta, si muove e si atteggia con grande talento, come un provetto attore sul palcoscenico, ma con la sostanziale differenza che lo fa in stato di transe. Lo stato modificato di coscienza è la condicio sine qua non per poter operare: senza di esso la cerimonia sarebbe solo una rappresentazione drammaturgica fine a sè stessa. È qui che le metodologie di ricerca, i modelli antropologici e interpretativi iniziano a prendere strade diverse, e occorre valutare quanto la ricchezza corrosiva della vita tenga lontano il ricercatore da sè stesso. Osservare, partecipare, sentirsi coinvolti emotivamente, guardare con attenzione, cercare significati transculturali, rimanere distaccati dal contesto cerimoniale, abbandonare precondizionamenti e giudizi formali, utilizzare interpreti e attrezzature audiovisive per “comprendere meglio”; questi sono gli atteggiamenti riscontrabili nelle centinaia di resoconti di ricercatori e studiosi che hanno potuto partecipare ai rituali sciamanici nei diversi angoli del pianeta. 31

ALLE ORIGINI DELLA GUARIGIONE: SCIAMANESIMO E NEUROTEOLOGIA

De Martino scriveva: “Appena lo studioso si volge al

mondo magico, nell’intento di penetrarne il mistero, subito si imbatte in un problema pregiudiziale dal quale dipende in sostanza l’orientamento e il

destino della ricerca”.35 Durante le cerimonie gli sciamani non sono tuttavia caratterizzati da esperienze di possessione (si vedano in nota i lavori da Bourguignon, in poi36), in cui la persona è controllata dagli spiriti e subisce passivamente ciò che accade. Le ASC sciamaniche implicano l’attivazione di aree del cervelletto e nei nuclei subcorticali dei gangli della base, che vanno a interagire con il recupero delle memorie nella aree procedurali, associative e di priming, ricodificando a livello emozionale le tracce mnestiche, riconsolidando valenze e intensità, senza sollecitare il controllo del SNA (sistema nervoso autonomo), e stimolando la persona a fare propri e incorporare, i processi preverbali nell’esperienza e nella coscienza.37 Marjorie Mandelstam Balzer, nel suo Sciamanesimo e Modernità, riporta quanto accaduto alla sciamana Alykhardaakh della comunità sakha (yakuti) nel nord della Siberia: “Prima di morire fu spesso messa

sotto pressione, affinché desistesse dall’esercitare pratiche sciamaniche e confessare di essere una ciarlatana. Ma non lo era; e insistè nel voler dimostrare il proprio potere agli uomini della comunità yakuta che comandavano il Soviet del villaggio. Li invitò perciò tutti nella sua capanna e li fece sedere su delle panche. Per prima cosa si mise davanti al fuoco e cominciò a danzare e ad invocare gli spi-

riti Benigni (si tratta degli spiriti adiutori; nda.).

Entrò in trance, mentre balbettava davanti a questi uomini. Invocò il potere dell’acqua, e l’acqua bagnò i presenti fino alle caviglie; prima che la donna gli ordinasse di smettere di scorrere, evocò un luccio e lo afferrò per mostrare agli uomini la propria forza, infine disse a tutti gli uomini di togliersi le mutande, e tutti i presenti lo fecero. Quindi chiese loro di prendere in mano i propri organi genitali, e poi uscì dalla trance. Subito comandò loro di osservare cos’era accaduto, dato che erano tutti lì, tutti seduti, tutti senza mutande. Essi implorarono il suo perdono per aver dubitato dei suoi poteri e si inchinarono profonda-

mente, promettendo di non disturbarla mai più”.38 Come può avvenire una cosa simile? Come può una sciamana interagire con il subconscio degli astanti? Quale complesso sistema di comunicazione sottende il suo intervento? Che lo sciamano non sia un malato mentale e neppure un mero ciarlatano millantatore (negli ultimi decenni quest’ultima categoria è in grande crescita, praticamente in tutto il mondo), gli studi etnografici e antropologici degli ultimi cinquant’anni lo hanno assodato; e dunque? È necessario a questo punto seguire un percorso storico e ripartire dalle tracce nell’antichità di questa particolare figura, per cercare di sbrogliare la complessa matassa e trovare l’uscita di questo labirinto.

LABIRINTO UNICURSALE | L’incisione rupestre raffigura uno sciamano officiante nei pressi di un percorso rituale, ma non un dedalo dove è possibile perdersi, bensì un cammino sacro da percorrere con assoluta fiducia per raggiungere la meta.

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