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SOMMARIO

L’incontro tra sciamanesimo e neuroteologia che si propone in questo libro mette in connessione sfere distanti e apparentemente incompatibili senza rimuoverne le differenze: per questo lo si potrebbe quasi definire, con le parole di Lautréamont, ‘bello come l’incontro fortuito di una macchina da cucire ed un ombrello su un tavolo operatorio.’ Ma quella che non è fortuita in questo incontro è la collocazione rispettiva di pratiche sciamaniche e scientifiche sui due versanti principali delle culture umane, quello dell’oralità e quello della scrittura. L’uso della parola parlata si distingue infatti dall’uso della parola scritta (e poi stampata e digitalizzata) non come semplice mezzo di comunicazione, ma soprattutto come modalità di costruzione dell’esperienza umana. A rischio di semplificare eccessivamente, si potrebbe dire che strumenti diversi come narrazione orale e scrittura costruiscono mondi diversi. Queste note intendono mostrare una tale differenza non in modo sistematico, ma esplorandone gli effetti nelle più varie attività umane, dalla scultura alla pratica clinica, dalla letteratura alle scienze e dalla musica alla religione. A questo scopo, la serie delle note genera un percorso che simula l’esperienza della narrazione orale ma permette la sosta ad ogni passo. Ne risulta un itinerario che non solo attraversa discipline e luoghi diversi, ma viaggia anche avanti e indietro nel tempo. Lungo il cammino si ha l’opportunità di fare esperienza dell’effetto stabilizzante della scrittura sui suoi oggetti, tanto vari quanto l’ormone TRF, la scultura michelangiolesca, il significato del sogno, l’isotopo dell’idrogeno di massa 2, l’America, la psiche umana e la natura. L’effetto di questa stabilizzazione è che ciascuno di questi oggetti non sembra risultare dall’attività umana, ma sembra sia sempre stato lì, aspettando di essere rivelato agli occhi di tutti (nelle parole di Latour e Woolgar). Al contrario, lo stile orale non consente disvelamenti né ripetizioni di elementi originari, ma solo riattivazioni: potremmo dire che opera secondo una logica di flusso e non di stato. Quest’ultima logica (e la nozione di equilibrio che ne deriva) è invece l’effetto del ruolo che le culture europee letterate hanno affidato al verbo ‘essere’: quello di confine tra l’interno e l’esterno delle cose. Da Aristotele in poi, la condizione di ‘essere qualcosa’ ha contraddistinto ciascuna entità dall’altro da sé: per questo i praticanti dello stile orale sembrano ‘essere sé e allo stesso tempo qualcos’altro.’ Poiché invece l’universo orale di cui gli sciamani sono espressione non avviluppa le persone nella camicia di forza dell’identità individuale, è stato possibile distribuire, per così dire, nella comunità l’esperienza convulsiva, elaborandola culturalmente in forma di transe perché diventasse una risorsa terapeutica. L’esempio sciamanico della valorizzazione terapeutica di una variante umana che la scienza europea definisce patologica è non solo un invito a valorizzare la neurodiversità, ma anche a rivedere radicalmente la narrazione tradizionale dell’evoluzione come mera competizione. E poiché non dovrebbe essere difficile comprendere quest’opera di valorizzazione come una produzione culturale aggiunta al mondo, dovrebbe essere più facile concepire per analogia anche il discorso biomedico europeo – e la sua costruzione biologica del vivente – come una aggiunta umana al mondo. 145

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