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CAPITOLO 19

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CAPITOLO 18

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CONCLUSIONI... TRANSITORIAMENTE PARLANDO

L’importanza delle esperienze spirituali nell’evoluzione del Sapiens è stata ampiamente argomentata: quale essere capace di elaborare pensieri di cui è cosciente e di ipotizzare eventi futuri, si è da sempre confrontato con la ragione della propria esistenza. Le domande ‘che ci faccio qui’ e ‘cosa accadrà dopo la morte’ hanno generato il senso del sacro come strategia evolutiva per rispondere indirettamente alla questioni sollevate dalla consapevolezza di sè e della propria morte. In tutte le epoche e in tutte le culture storiche finora studiate e analizzate, il pensiero religioso ha sempre contribuito a dare conforto e a reindirizzare implicitamente in funzione evolutiva questa necessità cognitiva. Il biologo evoluzionista inglese Richard Dawkins afferma che “i neuroscienziati hanno trovato nel cervello un’area del Divino” 1 che ci ha permesso di sopravvivere meglio dei nostri cugini ominidi che ne mancavano: prodotto indiretto di una tendenza psicologica fondamentale, si è comunque rivelata utile alla sopravvivenza del Sapiens, e riteniamo che debba essere investigata anche nei suoi aspetti culturali. Si è indagato a fondo sulle origini della cultura e molti comportamenti sociali che si sono rivelati incredibilmente efficaci in termini di evoluzione e sono stati spesso ascritti all’inventiva di intelletti formidabili, menti straordinarie e genialità visionarie. Riteniamo piuttosto che ci sia una base biologica delle culture umane: nell’interpretazione di Damasio, l’omeostasi è la vera responsabile della comparsa di strategie comportamentali e di azioni sociali atti a garantire la conservazione della specie. Le prime forme viventi sono emerse tre miliardi e mezzo di anni fa sviluppando una membrana cellulare che permetteva a quanto racchiuso all’interno una relazione selettiva col mondo esterno. Questa nuova condizione è invece ancora generalmente interpretata come l’atto di separazione della cellula dal mondo esterno e l’espressione primordiale di una forza vitale individuale e autonoma. Lo stesso Damasio cita a questo proposito Spinoza: “ogni cosa, per quanto è in essa, si sforza di preservare, non è altro che l’essenza della cosa stessa” . 2 Ma è davvero possibile concepire una qualsiasi cosa facendo astrazione della sua relazione con i suoi componenti e il resto del mondo? Non è forse la capacità di pensare una qualsivolglia entità in assoluto nient’altro che una tecnica culturale, che abbiamo semplicemente ereditato dei suoi inventori, i filosofi Greci classici?

CAPITOLO 19 / CONCLUSIONI

E in questo caso, siamo sicuri che questa tecnica sia lo strumento adeguato a ricostruire la nostra storia evolutiva? I batteri, le prime forme di vita che conosciamo, sopravvivono ancora oggi. In eoni di evoluzione molte delle loro specie sono state inglobate in cellule più grandi, come ad esempio in quelle del nostro corpo, in una forma di simbiosi che possiamo definire cooperativistica: in ogni organismo umano ci sono più batteri delle cellule eucariote che formano i nostri tessuti. I batteri percepiscono e rispondono all’ambiente circostante attraverso molecole con cui inviano e ricevono messaggi: la ragione ultima è ovviamente la sopravvivenza, ma sarebbe difficile separare a questo riguardo l’interesse del batterio da quello della colonia. Pur non avendo un sistema nervoso nè una mente, questi organismi sono dotati di varie forme di percezione, memoria, di comunicazione e persino coordinazione sociale. Le elaborazioni che essi fanno si basano su reti chimiche ed elettriche, come quelle dei sistemi nervosi nel nostro cervello. Tecnicamente le nostre cellule sono nate incorporando nella loro struttura i batteri, secondo un unico principio generale: la cooperazione. Le cellule nucleate cooperano per formare i tessuti, i quali cooperano per formare organi e sistemi, e via dicendo. In sintesi, si rinuncia all’indipendenza per qualcosa di più grande che altri organismi posso offrire. Questo è il punto di partenza per comprendere fino a dove siamo arrivati. Tutti i meccanismi necessari per regolare la vita, ancor prima che si sviluppassero i sistemi nervosi e una mente, si basavano su quelli che oggi definiamo comportamenti emotivi, e i processi vitali erano orientati dai precursori del sistema endocrino e del sistema immunitario.3 Successivamente si giunse alla comparsa dei sistemi nervosi che rese possibile il sorgere della mente, delle immagini e delle mappe del mondo esterno e le sue relazioni con l’organismo-mente, determinate dall’intervento dei sentimenti, che altro non sono che l’espressione della soggettività. Quella che definiamo la mente culturale umana (Damasio 2018) e che contraddistingue molti dei nostri antenati apparve solo in seguito, con la costruzione del complesso sistema delle memorie e di conseguenza del linguaggio verbale e della creatività. Le numerose specie che ci hanno preceduto avevano a disposizione un insieme di relazioni sociali specializzate come la competizione, la cooperazione, la produzione di oggetti specifici ma elementari prevalentemente di uso comune, e soprattutto reazioni emotive semplici e immediate. Il sorgere di emozioni complesse e dei sentimenti nelle esperienze mentali generarono nuove motivazioni originate dall’intelletto e che non solo erano essenziali per l’omeostasi, ma potevano anche essere trasmesse culturalmente secondo la selezione culturale operata dal gruppo. Le relazioni culturali devono aver avuto successo nei processi di correzione delle tendenze dell’organismo, riportandolo entro intervalli omeostatici più utili e funzionali: è qui che a nostro avviso emerge la figura dello sciamano. Seguendo questa linea evolutiva, è ragionevole pensare che alcune risposte culturali siano sopravvissute ad altre in quanto forme vantaggiose di comportamento e socialità. Possiamo supporre che queste risposte evolutivamente vincenti siano state associate ad esperienze concrete ed affetti positivi che, come ampiamente 117

ALLE ORIGINI DELLA GUARIGIONE: SCIAMANESIMO E NEUROTEOLOGIA

dimostrato dalla ricerca biochimica e molecolare, determinano la produzione di oppioidi endogeni come endorfine, encefaline, dinorfine e endomorfine: componenti che stimolano il sistema immunitario, riducono il dolore, permettono una maggiore tolleranza allo stress e stimolano la partecipazione sociale4, esattamente come avviene nella transe sciamanica. L’ipotesi del filosofo statunitense Daniel Dennett sui vantaggi genetici del pensiero religioso connesso all’innamoramento ci sembra avvincente: ma poichè ci offre come prova tangibile solamente una valenza o attitudine riferita al gene VMAT2, che è coinvolto nella sintesi di una molecola trasportatrice delle monoammine, non ci sembra possa ancora essere valutata adeguatamente.5 La sostanziale omologia tra cervello e universo proposta da Franco Fabbro, che sembra far sorridere molti, è invece a nostro avviso molto ben ponderata, perchè risponde ad esigenze maturate nei vari ambiti della filosofia dell’evoluzione, dell’antropologia cognitiva, della paleoantropologia, della psicobiologia e delle neuroscienze; la metafora interpretativa di Fabbro trova inoltre corrispondenze nella filogenesi del sacro, nelle strategie evolutive di cooperazione e nel rispec-

chiamento reciproco.6

Anche questo stesso saggio sulla neuroteologia dello sciamanesimo verte sulla tendenza innata alla trascendenza della sfera individuale che si concretizza negli stati di transe della cerimonia sciamanica: in queste condizioni, l’officiante diviene un tramite tra il microcosmo individuale e il macrocosmo, come sottolineato esplicitamente nei racconti mitologici, nei resoconti di etnografi e ricercatori e negli stessi racconti degli sciamani.7 Le ricerche svolte ed elaborate in questo saggio, mostrano gli effetti neurofunzionali associati all’eperienza della dimensione del sacro durante le cerimonie sciamaniche e suggeriscono l’esistenza di un possibile cambiamento determinato da cause e fattori interni ed esterni che vanno ben oltre la cosiddetta convergenza o flessibilità evolutiva8: questo cambiamento effettivo ha determinato l’essenza e lo sviluppo dello sciamanesimo. Senza entrare nello specifico, i rimandi agli antichi testi religiosi in ogni area del pianeta, le tradizioni spirituali orali e le testimonianze dirette che spaziano dai mistici agli sciamani in ogni continente, sembrano suggerire un cambio di percorso durante l’evoluzione, che ha coinvolto unicamente la nostra specie, poichè ciò che il nostro apparato conoscitivo ci comunica del mondo esterno corrisponde a qualcosa di reale che supera le nostre capacità meramente cognitive.9 Vista la situazione planetaria, la condizione sociale e lo scenario poco rassicurante che si prospetta per la maggior parte dell’umanità e soprattutto per le generazioni future, è giunto il momento di effettuare l’ennesimo salto evolutivo, a partire dalla consapevolezza che ogni sforzo individualista e competitivo nei confronti dei nostri simili potrà avere solo conseguenze devastanti. È ora di ricominciare a imparare da noi stessi, dalla nostra storia e dal nostro corpo: è giunto il momento di ritrovare attraverso il dialogo, il rispetto della natura e la consapevolezza della funzione privilegiata della figura dello sciamano e degli stati modificati di coscienza per riprendere il cammino evolutivo della nostra specie, che ancora una volta saprà meravigliarsi e gioire, condividere e sognare, con una nuova consapevolezza e un senso universale di armonia. Il grande studioso Lawrence Eugene Sullivan, esperto di religioni indigene del Sud America, scriveva: “ve-

dere in modo nuovo e straordinario, significa che lo sciamano assume una forma nuova e straordinaria.

L’ALBERO DELLA VITA | L’albero della vita, presente nelle tradizioni dei più antichi popoli, è strettamente collegato ai 4 elementi: fuoco, aria, terra e acqua. Elementi che si combinano per dare all’albero il suo potere. I suoi frutti, a coloro che riusciranno a trovare quest’albero, doneranno la vita eterna e/o la sapienza.

ALLE ORIGINI DELLA GUARIGIONE: SCIAMANESIMO E NEUROTEOLOGIA

È immerso nella pura luce, colori inimmaginabili di realtà sacre soffondono la sua sostanza o si concentrano dentro di lui come cristalli. L’esperienza di una luce celeste e di soprannaturali visioni si acuisce e riplasma la sensibilità. La luce soprannaturale rifà l’occhio offrendogli un’acutezza, un fuoco che penetra fino al cuore delle realtà invisibili. Scompare l’oscurità della distinzione tra le forme, le quali cessano d’essere separate da loro. Gli sciamani scorgo-

no la realtà come assoluta immediatezza”.10

La neuroteologia dello sciamanesimo ci suggerisce che l’essere umano per conoscersi deve innanzitutto fare un giro attorno a sè stesso: deve scoprirsi e, approfondire la propria ragion d’essere con strumenti, esperienze e ipotesi adeguate, ma partendo dall’esterno, da quel mondo di cui fa parte, compiendo l’ennesimo passo nel suo lungo percorso evolutivo. La filosofia del corpo, già nei tempi preanatomici, aveva in sè le tracce di quello che si sarebbe andato formando: perdere di vista queste dinamiche evolutive significa non avere più la facoltà di sapersi ascoltare, o forse riuscirci solo in parte, o solo quando ci fa più comodo; per poi tacere, fuggire o nascondersi davanti a noi stessi, e persino diffidare di chi si è realmente. Stiamo vivendo un momento cruciale nella nostra breve (su scala evolutiva) storia, quella del Sapiens: un momento epocale per la sua sopravvivenza. Viviamo in un mondo in cui il profitto e la tecnologia, regolati da algoritmi sempre più sofisticati, appaiono come fini a sè stessi, depauperando l’essere umano della propria umanità. In questo mondo una balena morta vale molto di più di una viva, il legname tagliato di un albero ha molto più valore della pianta rigogliosa; c’è qualcosa che non funziona, qualche strana alchimia che ci ha fatto di perdere la rotta in quel meraviglioso e grande viaggio iniziato più di sessantamila anni fa. Abbiamo viaggiato in un continuo processo evolutivo, dettato sin dall’inizio dall’equilibrio dell’omeostasi e dalle scelte primordiali di collaborazione, che ci ha portato al vertice tra gli organismi viventi di questo pianeta; siamo arrivati ad esprimere valori e principi universali nei quali riconoscerci consapevolmente, durante quello stesso percorso che ha saputo far crescere in noi quello che definiamo senso del sacro, spiritualità o religione. Fedi e credenze hanno preso le mosse da ciò che molto tempo fa aveva privilegiato alcuni dei nostri simili, quelli che oggi chiamiamo sciamani: si tratta ora di riconoscere la loro coraggiosa accettazione di una chiamata ad usare la loro capacità o dono di saper guarire per aiutare gli altri, e perseguire il loro stesso scopo perpetuando al meglio la sopravvivenza della nostra specie. In termini neurologici, si tratta di dare continuità evolutiva alla gestione delle potenzialità di un cervello che si è sempre più perfezionato e specializzato, e di farlo tutti insieme, con la coscienza dei nostri sentimenti e del nostro corpo. Possiamo farcela? Dobbiamo farcela! Per quelli che verranno dopo di noi, è questa la vera grande sfida che dobbiamo superare, insieme. Facendo il punto, si potrebbe pensare di rovesciare il detto cartesiano “Cogito ergo sum”, in “Sum ergo cogito”, per ricordarci che la conoscenza e la coscienza che abbiamo degli eventi del mondo deriva inevitabilmente dalla traduzione nell’esperienza individuale e sociale: o ancora meglio, è il nostro essere agenti che ci permette di essere pensanti, e non viceversa. E questo perchè “l’uomo moderno ha bisogno di ritrovare l’Homo Sapiens alle radici del mondo”.11

EVANGELISTI ANTE LITTERAM | Nella grotta dei cervi, in Puglia, in Italia, è stata dipinta 30.000 anni fa un’immagine perfetta e ammaliante nella sua arcana semplicità contenente i simboli dei quattro evangelisti.

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