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CAPITOLO 18
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Lo studio dell’evoluzione umana necessita di sforzi comuni: ricerche interdisciplinari che partano da dati empirici anche frammentari, come nelle indagini paleoantropologiche e archeologiche, ma anche da assunti teorici di antropologia molecolare e filosofia evolutiva, che in un secondo tempo potranno trovare le auspicate conferme di laboratorio. Più di sette miliardi di Sapiens che popolano il pianeta, presentano una variazione genetica molto ridotta, che proporzionalmente scende ulteriormente, man mano che ci si allontana dal continente africano. Tuttociò ci suggerisce che un piccolo gruppo umano, che alcuni ricercatori e paleontologi stimano non superasse le poche migliaia, iniziò circa 160mila anni fa la sua deriva genetica: il cosiddetto collo di bottiglia degli evoluzionisti, effetto dell’isolamento da altri gruppi avvenuta per crisi ambientali (qualunque esse siano state) determinò dapprima la diminuzione degli effettivi membri di questa comunità, che successivamente vide ricominciare a crescere il numero dei suoi membri.1 Queste dinamiche non si conformano completamente alla narrazione darwiniana del processo adattivo: o meglio evidenziano il fatto che derive genetiche prevalgono sulla selezione naturale, favorendo mutazioni locali a discapito degli adattamenti. Una piccola variazione del corredo genetico che provvede alla regolazione dello sviluppo è in grado di innescare e modificare linee e ritmi evolutivi e produrre divergenze irreversibili, anche partendo da sistemi genetici assai simili.2 Questo percorso evolutivo non solo sarebbe una prova della validità dell’orologio molecolare dell’antenato originario, dopo la sensazionale scoperta dei genetisti di Eva mitocondriale3, ma aiuterebbe a sciogliere i dubbi espressi da molti studiosi sulle origini e soprattutto sulle ragioni evolutive del cromosoma numero 2. Le perplessità manifestate da alcuni critici nei confronti degli effetti della traslocazione robertsoniana, cioè la fusione cromosomica avvenuta tra i due cromosomi 2a e 2b, si fondano sulla mancanza di suoi vantaggi adattivi evidenti che possano motivare la sua ereditarietà. È comunque interessante notare quanto rileva uno di questi critici: “di fatto questo nuovo as-
setto cromosomico deve aver conferito ai nostri
CAPITOLO 18 / LO STRANO ORDINE DELLE COSE E IL CASO DEL CROMOSOMA NUMERO DUE
antenati qualche tipo di vantaggio sugli altri”. Comunque, lo stesso autore cerca poi strade alternative per giustificarla.4 E gli sciamani con tutto questo cosa c’entrano? E la neuroteologia dello sciamanesimo? Facciamo un passo alla volta. Da Ippocate di Cos, il padre della medicina, che definisce l’epilessia come morbo sacro, scrivendo che
il cervello è la sede della malattia come di qualsiasi
altra malattia con manifestazioni violente, alle precise descrizioni di Ernesto De Martino nel suo lavoro con i Tarantolati delle Puglie, in tutte le culture sciamaniche del mondo l’attacco epilettico è uno dei segni premonitori più importanti per riconoscere il futuro sciamano.5 Un recente studio italiano ha permesso di identificare il gene responsabile dell’epilessia mioclonica corticale; il lavoro è stato coordinatato dal professor Giorgio Casari, direttore del Centro di Genomica Traslazionale e Bioinformatica e professore ordinario accademico a Roma, che ne ha pubblicato il resoconto nel 2014 sulla rivista scientifica scientifica
Annals of Neurology (vol.75).
L’epilessia mioclonica corticale (ADCME) è caratterizzata da movimenti involontari ritmici alle estremità degli arti, che sono frequenti nelle crisi epilettiche. Lo staff del laboratorio di Neurogenomica del San Raffaele, diretto dallo stesso Casari, studiando una famiglia che presentava questa forma di epilessia, ha individuato nel cromosoma 2 quella sequenza del genoma che contiene il gene responsabile della malattia. Si tratta del recettore adrenergico alfa2B (ADRA2B) che svolge un ruolo critico nella regolazione di neurotrasmettitori da neuroni adrenergici. Il lavoro pubblicato dimostra come la mutazione genetica, alteri la funzionalità della trasmissione del segnale elettrico tra neuroni: il recettore mutante interagisce meno stabilmente con una proteina strutturale, detta spinofilina, che aumenta patologicamente la sua attività, provocando l’ipereccitabilità corticale nei pazienti studiati. Nella pubblicazione si legge: “Qualche volta si fa
una distinzione tra due forme di crisi focali con alterazione della coscienza. Nella prima, l‘alterazione della coscienza si verifica fin dall‘inizio della crisi, mentre nella seconda si verifica prima una crisi focale senza alterazione della coscienza sotto forma di un‘aura, spesso con una strana sensazione di calore e di nausea che dallo stomaco risale verso la gola, e che solo in seguito comporta un‘altera-
zione della coscienza”. In questa fase “le persone
colpite appaiono assenti, trasognate e dissociate dal mondo che le circonda, come se fossero in trance o in un sogno”.6
Gli studi antropologici più recenti confermano che lo sciamanesimo è sempre stato legato ad una forma di epilessia (nella maggior parte dei casi ereditaria) e che alcuni degli individui colpiti dalla malattia hanno imparato a gestire e utilizzare gli attacchi ed i conseguenti stati mentali (ASC) da essa derivati, in modo cosciente e attivo, finalizzando alla cura questa loro nuova capacità.
“Sciamani si nasce e allo stesso tempo lo si diventa: serve forza, determinazione e pazienza per passare dal piano umano a quello dei Tenger, gli spiriti del cielo. La vocazione divina è una richiesta che va ben oltre la scelta umana e determina l’attività dello sciamano. La vocazione divina si presenta come epilessia ereditaria, e la malattia deve esse-
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ALLE ORIGINI DELLA GUARIGIONE: SCIAMANESIMO E NEUROTEOLOGIA
re trasformata attraverso la forza di volontà dello sciamanesimo, nella capacità di portare il bene, cioè la cura di cui gli altri hanno bisogno. Se il candidato rifiuta questo compito, la pena è la degenerazione in pazzia o morte”
(intervista con la sciamana Aghin-Buriate Namjil Utgan; registrazione effettuata in Mongolia, provincia del Dornod, distretto di Dashbalbar; cass. 3/1997, archivio personale Bellatalla, 1997).
Alcuni attacchi epilettici nascono dalla corteccia temporale: nel corso dell’attività convulsiva si possono sentire suoni e voci, e vedere immagini più o meno complesse. In alcune persone gli attacchi epilettici sono rari o si manifestano in modo incompleto, ma producono varie alterazioni della personalità, che vanno da un eccesso di emotività ad una religiosità ardente, da forme di estremo moralismo sino a vere e proprie forme dissociative. Nei resoconti di testimoni e nei rapporti medici si legge sovente che durante gli episodi le persone
prendono a colloquiare con entità soprannaturali, con persone inesistenti o appartenenti ad altri mondi: è quindi possibile che dal punto di vista neurologico il lobo temporale sia all’origine di
questi fenomeni. Il ricercatore canadese Michael Persinger nel corso delle sue ricerche decennali ha sottoposto alcuni volontari ‘normali’ al condizionamento del lobo temporale per mezzo di onde elettromagnetiche. I volontari hanno avuto sensazioni che hanno interpretato come il tentativo di qualcuno di entrare in contatto con loro per influenzarli, come se fossero in balìa di entità soprannaturali. Il ricercatore spiega questi fenomeni con il determinarsi di una situazione simile a quella liminale che si crea tra
perdita ed acquisto di coscienza, come nelle epilessie o nel coma.7
E se ora gettassimo un sasso nello stagno? Riconsideriamo il percorso evolutivo del nostro comune antenato, quel gruppo di Sapiens che circa 160mila anni fa per qualche motivo rimase isolato: e se una mutazione genetica, la traslocazione robertsoniana del cromosoma numero 2 che determina il nuovo numero di cellule diploidi (23 paia di cromosomi, mentre gli altri primati ne hanno 24; quindi 46 cromosomi nell’uomo e 48 negli altri) avesse davvero dato inizio ad uno straordinario nuovo ordine delle cose? Questo evento, oltre ad aver generato nuove patologie come, tra le altre, la sindrome di Down familiare e la sindrome da delezione, potrebbe anche essere stato il fattore causale della transe nelle persone affette da epilessia, che come abbiamo visto, è anch’essa determinata dai geni del cromosoma numero 2. Allora lo strano ordine delle cose nel percorso evolutivo del Sapiens avrebbe forse comportato, per qualcuno dei nostri antenati, quella nuova capacità di interagire con la mente, attraverso uno stato modificato di coscienza controllato che oggi chiamiamo transe sciamanica: la pietra d’angolo della neuroteologia dello sciamanesimo.
ALCHIMIA DELLE PAROLE | Il linguaggio scritto e orale diventa realtà viva, espressione tangibile di una delle numerose manifestazioni misteriche. Le parole nel loro intrecciarsi mettono in circolo contenuti, idee, visioni, favorendo in chi legge una vista diversa, forse l’accesso a livelli di conoscenza superiori.