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CAPITOLO 14
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MA LA GUARIGIONE NON PROVA NULLA?
Parigi, 1784. Sono state nominate due commissioni da Luigi XVI, per indagare sulle pratiche del medico viennese Franz Anton Mesmer, e mettere alla prova la sua terapia medica rivoluzionaria: il baquet, letteralmente la tinozza piena d’acqua, intorno alla quale i malati vengono magicamente curati attraverso il fluido magnetico che costituisce l’essenza delle terapie mesmeriche. Tale fluido è invisibile (come d’altronde l’attrazione newtoniana e anche il campo elettromagnetico, aggiungiamo noi), e la sua esistenza sembrerebbe confermata dalle guarigioni dei pazienti che prendono parte alle terapie. Il baquet avrebbe potuto essere riconosciuto dalle commissioni come un dispositivo insieme terapeutico e dimostrativo, dal momento che il potere curativo costituiva al tempo stesso la dimostrazione dell’esistenza del fluido e ne spiegava gli effetti. Le commissioni, di cui facevano parte anche Lavoisier e Franklin, dopo due settimane di lavoro con malati sia poveri sia benestanti, non avevano raggiunto alcuna conclusione. Si decise per un metodo di indagine più risolutivo: si chiese ad un operatore di magnetizzare un soggetto senza avvisarlo e di far finta di magnetizzarne un altro, o ancora, mentre il soggetto aveva gli occhi bendati, magnetizzare un punto del suo corpo, e di comunicargli che se ne stava magnetizzando un altro. La prima commissione giunse a questa conclusione:
“il fluido senza immaginazione è impotente mentre l’immaginazione senza il fluido può produrre
gli effetti che venivano attribuiti al fluido”. Paradossalmente, la commissione dichiarava che il fluido non esisteva nella misura in cui non esistevano gli effetti che ne avrebbero dovuto dimostrare la reale e indiscutibile efficacia. E ancora, al fine di spiegare le guarigioni a cui assistevano, i membri della commissione scrissero: “si
vedono uomini colpiti, a quanto pare, dalla stessa malattia, guarire secondo regimi opposti o del tutto diversi; dunque la Natura è abbastanza potente da mantenere la vita nonostante il cattivo regime e da trionfare al tempo stesso del male e del rimedio. Se può in tal modo resistere ai rimedi, a maggior ragione essa ha il potere di operare senza
di loro”.1 La seconda commissione andò oltre: “la speranza
concepita dalle pazienti, l’esercizio al quale si sono
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ALLE ORIGINI DELLA GUARIGIONE: SCIAMANESIMO E NEUROTEOLOGIA
assoggettate ogni giorno, la cessazione dei rimedi di cui potevano fare uso in precedenza e la cui quantità è tanto spesso nociva in un caso del genere, sono cause molteplici e sufficienti dei risultati
che si dice di aver osservato in casi simili”.2 L’immaginazione, alla quale i commissari dettero il potere di spiegare gli effetti attribuiti da Mesmer al fluido, è tuttoggi altrettanto presente nell’effetto placebo che assilla l’industria farmaceutica quanto nella suggestione che si sospetta alterare la scena psicoanalitica, che è ancora più temibile perchè implicita. In questo caso possiamo facilmente constatare che la suggestione non è una vera variabile, perchè lo sperimentatore non sarà mai in grado di controllarne le variazioni. Dal punto di vista sperimentale la suggestione rappresenta un ostacolo perchè costituisce un contropotere rivale che si oppone alla scena terapeutica come realizzazione della competenza dello sperimentatore. Ricapitolando, sembra invece che attraverso l’evoluzione e lo sviluppo dell’omeostasi, il corpo umano abbia avuto la possibilità di intervenire direttamente in modo più sofisticato sulle cause che agiscono su di esso. Il sistema nervoso autonomo ha assunto un potere di iniziativa, e durante la cerimonia sciamanica o nella scena sperimentale che non è più una semplice prova o una messa in scena, invece di essere sottomesso diviene un fattore irriducibile della situazione in atto. Qualunque tentativo di scoprire cosa stia realmente accadendo durante il rituale si scontra con l’evidenza che l’altro, il malato a cui la cerimonia si rivolge, non è mero oggetto di questa iniziativa. La prova cui il malato dà senso, quella che lo influenza secondo le modalità e le condizioni stesse del procedimento, è la chiave di volta dei processi di guarigione descritti in precedenza. Il processo omeostatico, la coscienza spontanea e il sistema emozionale che coinvolge e ricodifica il sistema mnestico nonchè i sentimenti della coscienza che ne emergono rendono possibili condizioni di cambiamento e di recupero dell’equilibrio: ecco allora che anche guarigioni apparentemente miracolose iniziano ad avere un senso più comprensibile e compiuto. Nella cerimonia di guarigione sciamanica la perdita dell’anima è spesso la condizione centrale del rituale, quella che Jeanne Achterberg identifica come una lesione al nucleo o essenza del proprio essere.3 Questo travaglio si manifesta nel sentimento di perdita di significato della vita, nel suo senso di appartenenza e di connessione con gli altri e col mondo. Tale perdita comporta frustrazione e anche disperazione da parte del malato: ma laddove una parte del Sé ancora cerca di reintegrare l’equilibrio perduto con volontà e determinazione, si può individuare un elemento costituente e significativo come chiave della guarigione. Il recupero dell’anima comporta spesso rappresentazioni e immagini mentali delle esperienze vissute dello sciamano in stato di transe. Le interpretazioni psicologiche suggeriscono che questa esperienza rappresenta le manifestazioni tangibili delle paure e degli aspetti dissociati del Sé. L’anima del malato può vagare nel regno dei morti e il compito dello sciamano è quello di riportarla al suo proprietario anche a costo di feroci lotte che mettono a rischio la vita stessa dell’officiante.
BABAU NERO | Uno sciamano canadese, in uno dei suoi viaggi alla ricerca di spiriti alleati, vide sbucare da una spaccatura tra i ghiacci questo mostro che lo terrorizzò al punto che non fu in grado di farselo alleato e dovette lottare e sconfiggerlo per poter proseguire il suo viaggio.
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Tra gli Nganasan, lo sciamano può raggiungere il regno ultraterreno tramutandosi in uccello, oppure in un toro come raccontano le storie degli Yakut, o ancora come cervo o renna come avviene tra i Chukchi della Siberia. La lotta, la caccia, la richiesta di liberazione o la ricerca dell’anima in luoghi inesplorati, comporta ogni genere di strategia da parte dell’officiante, che deve confrontarsi e sconfiggere anche le proprie paure/ ombre per poter far ritorno vittorioso dal suo viaggio nel regno dei morti. Una volta recuperata l’anima del malato, che si ritiene venga trattenuta dagli spiriti per diverse e peculiari ragioni nelle quali non entriamo nel merito per ovvi motivi di spazio, lo sciamano deve fare molta attenzione a non perderla nuovamente; la posiziona in un luogo sicuro e la trattiene legandola con cura, utilizzando diverse strategie e operazioni che necessitano fatiche e sforzi congiunti con gli spiriti adiutori. Infine lo sciamano restituisce l’anima al malato come corpo eterico, che costituisce il campo morfogenetico o vitale del corpo materiale, e alla psiche dello stesso, che è frutto del comportamento, della memoria, del sentimento e dell’azione. In tal senso il rituale sciamanico gestisce, attraverso l’emotività e la coscienza, l’immagine predefinita del Sé, ripristinando e ricodificando le memorie inconsce per la ricodifica cognitiva necessaria al raggiungimento dello scopo prefissato. Nella cerimonia, la partecipazione della comunità al recupero dell’anima manifesta l’importanza delle relazioni sociali nella guarigione, evidenziando l’effetto del potere derivato da altri testimoni/partecipanti empatici nel cosiddetto riequilibrio dell’anima. Come ricordato in precedenza, le reti comunitarie di supporto sociale svolgono ruoli vitali nelle relazioni di attaccamento e nella reintegrazione del Sé. Attraverso il recupero dell’anima si riacquista il senso del Sé sociale precedentemente alienato dal trauma. Per Platone l’anima dell’uomo era tripartita (così come lo è nella gran parte delle culture sciamaniche): quella razionale era situata nella testa, quella emotiva tra il collo e il diaframma, e infine quella istintuale nelle viscere (Platone, in Repubblica e Timeo). Aristotele ha poi aggiunto l’idea della potenza delle tre anime: quella nutritiva, responsabile delle funzioni vegetative, quella sensitiva dei desideri e delle passioni, e infine quella pensante (Aristotele, in Dell’Anima). Se riportiamo in forma di lista i sei vocaboli in corsivo nei due periodi precedenti, ritroveremo le linee guida di quanto scritto finora. Nel rituale di cura i sistemi di attribuzione dello sciamanesimo stabiliscono relazioni con il mondo spirituale, che invece nelle varie religioni sono tipicamente soggette al controllo esclusivo dell’officiante: lo sciamano fornisce così al malato un sistema di auto-potenziamento sia fisico, attraverso la stimolazione del sistema immunitario e omeostatico, sia psichico-funzionale, attraverso la stimolazione della coscienza.