Kairos 15 00

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KAIROS

Numero 0 Dicembre 2015

Kairòs La parola che si sposa con il Tempo

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È da qui che vogliamo partire, ed è esattamente lì che vogliamo ancora arrivare… La parola che si sposa con il Tempo: è da qui che vogliamo partire, ed è esattamente lì che vogliamo ancora arrivare in un gioco caleidoscopico di visioni e pensieri, dove la realtà non deve mai vincere sulla fantasia, e la fantasia deve essere sempre al servizio della realtà: perché le distorsioni, se esistono, non devono creare mostri, ma solo momenti di rottura dentro i quali coltivare giardini, ascoltarsi come musica, confrontarsi, ritrovare se stessi. Ripartire. Dunque abbiamo scelto Kairòs, per dare senso e titolo a questa avventura, e per ribadire con convinzione che le parole h a n n o u n s i g n i fi c a t o p r e c i s o e responsabilità insite dalle quali non

possiamo fuggire. Kairòs, preso in prestito dai greci antichi, come il tempo opportuno, il tempo debito, occasione offerta dove la nostra quotidiana esperienza può trovare un’occasione per tornare a manifestarsi: il tempo dove la parola si incontra con l’ascolto senza fraintendimento, in una esatta coincidenza, in contrapposizione al più percettibile Kronos, “ieri, oggi e domani", l’eterno rivale. Vogliamo lanciare una sfida: scommettere nel tempo cairologico, esteso, nel quale "qualcosa" di speciale accade. E farci aiutare dalla parola, e da chi la usa in quanto essere speciale. Nella lotta tra kairòs, lo spazio sospeso, e chronos, la logica sequenziale,

Ipàzia D.

kairòs è sempre stato perdente. Ed è da questa sconfitta che la parola cessa. Dobbiamo tornare a riappropriarci di un tempo non cronologico e di dare dignità alle parole come solo strumento che abbiamo per arginare questa orgia prolissa, consumistica e ciarliera in cui ci stanno richiudendo: gabbie umane dentro le quali passano rancio scadente e fetido, in cui tutto è illuso, confuso, imposto, drogato, corrotto. Il nostro kairòs è l'attenzione alle sfumature, i particolari, le pause; è una porta sempre aperta, il dialogo, l'incontro; è condivisione, ricerca, accoglienza. Il nostro kairòs è un ponte ed è femmina.


Il cambiamento climatico al tempo del capitalismo

Holden Caulfield

Uno spettro si aggira per il mondo: è lo spettro del senato americano (a maggioranza repubblicana).

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Obama, e con lui il 'nord globale', si è fatto scudo del 'negazionismo' e dell'insofferenza alla spesa (che non sia militare o a sostegno delle multinazionali) della destra guerrafondaia, razzista e xenofoba statunitense. Non avrebbe potuto (lui, Obama) sottoscrivere accordi che mai avrebbero ottenuto un voto favorevole dal suo senato.

Solo vaghe promesse, quindi, di trasferimenti di risorse e tecnologie, in un tempo a venire, per sostenere l'adattamento ai cambiamenti climatici dei paesi più poveri. Resta, inoltre, da comprendere come ciò possa verificarsi alla luce del Trattato transatlantico di libero scambio (TTIP) che USA e UE stanno negoziando e che rafforza il potere delle multinazionali (una cessione di sovranità tout court mediante il meccanismo -ISDS- della risoluzione delle controversie Stato/Investitore) e della proprietà intellettuale. E resta ben strano, ai tempi dell'austerità e di tagli di spesa che non si siano posti in discussione i sussidi, 5.300 miliardi di dollari, che i governi garantiscono, in forme più o meno indirette, ai combustibili fossili. O,

Non ci sono impegni vincolanti (non nel senso della definizione di meccanismi sanzionatori) nell'Accordo di Parigi della Conferenza delle Parti dell'ONU (COP 21) sui cambiamenti climatici, sottoscritto, dai paesi partecipanti, sabato 12 dicembre al termine di due settimane di lavori. Nel nome di una realpolitik tesa, a parole, a contenere il surriscaldamento globale ben sotto i 2°C e mirando a non oltrepassare la soglia di 1,5°C, si fa affidamento sugli impegni volontari (INDCs, Intended Nationally Determined Contributions) dei singoli paesi. Tali intendimenti, purtroppo, nel loro insieme, porteranno la temperatura globale a un +3°C. Impattando ulteriormente sulle vite ed i mezzi di sussistenza di popoli e territori del sud globale già oggi seriamente minacciati

forse no. Non è strano affatto. Per dirla con Naomi Klein (Una Rivoluzione Ci Salverà): "Non abbiamo intrapreso le azioni necessarie a ridurre le emissioni perché questo sarebbe sostanzialmente in conflitto con il capitalismo deregolamentato, ossia con l’ideologia imperante nel periodo in cui cercavamo di trovare una via d’uscita alla crisi. Siamo bloccati perché le azioni che garantirebbero ottime chance di evitare la catastrofe – e di cui beneficerebbe la stragrande maggioranza delle persone – rappresentano una minaccia estrema per quell’élite che tiene le redini della nostra economia, del nostro sistema politico e di molti dei nostri media”.

dall'innalzamento dei mari, da alluvioni e siccità. Inutile dire che essi sono i meno responsabili della catastrofe in atto: il 10% della popolazione più ricca del pianeta è responsabile del 50% delle emissioni di gas clima-alteranti, mentre la metà più povera della popolazione mondiale – 3,5 miliardi di persone – ne produce solo il 10%. Responsabilità, giustizia e diritti umani non hanno trovato ostello a Parigi. "L'idea stessa di discutere di compensazioni per le perdite ed i danni (loss and damage) ora o in futuro era proibita. Gli americani ci hanno detto che ciò avrebbe fatto fallire la COP", ha dichiarato Leisha Beardmore, capo delegazione delle Seychelles. "Hanno continuato a dirci: non le menzionate nemmeno".


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Una vita Melquìades approssimativa. Click ergo sum So di non sapere, “docta ignorantia”. Ora, diversamente dal tempo socratico, non presenta più problemi. Qualsiasi curiosità, ignoranza, può essere soddisfatta con un semplice click su un qualsiasi motore di ricerca, ed, opplà, arriva la risposta alla pruriginosa curiosità. Si legge velocemente, ci si informa sulle quattro notizie fast-food e si tira avanti in modo approssimativo, in attesa della prossima domanda o curiosità da soddisfare. Questo modo così approssimativo di trattare argomenti che avrebbero bisogno di ben altro impegno, approfondimento e studi è diventato regola e approccio. Sembra quasi che uno abbia paura e timore di entrarci dentro, di scoprire altro, di saperne di più. Un altro sapere che potrebbe turbare la quotidianità imposta e accettata. E’ stato assorbito il concetto che “studiare è inutile”, non serve, non dà sbocchi lavorativi. Quindi perché profondere tempo, denaro, sacrificio, energie per un’attività che non dà nessuna, o poche risposte occupazionali? Mi sono sempre interrogato su questa domanda, da decenni, e ho rifiutato questo binomio: studio-lavoro. Lo studio, la conoscenza, gli approfondimenti culturali, le curiosità intellettuali, la ricerca continua di nuove e stimolanti concetti, parole, autori, libri, argomenti sono cibo per la mente. Un cibo che fa bene all’anima, un cibo che rende meno approssimativa una vita. Hanno inculcato il concetto della utilità, finalità dello studio solo come sbocco lavorativo, quindi non trovare un lavoro rispondente allo studio intrapreso vorrebbe significare il fallimento dell’impegno profuso in tanti anni sui banchi di scuola. Ho svolto un lavoro per anni non legato al mio diploma, questo non ha mai interrotto il mio continuo informarmi, studiare, approfondire, la mia sete di conoscere, scoprire, viaggiare verso altri lidi e sponde lontane. Ancora oggi, rimane immutata la voglia di leggere ed informarmi per capire le piccole e grandi cose che la vita ci serba. La Cultura non deve necessariamente essere legata ad una funzionalità produttivistica, ad un tornaconto di accumulazione non di saperi, ma, di profitti. Così si snaturano millenni di amore per l’Arte fine a se stessa. Quella libera e indipendente azione spirituale di ricerca e approfondimento. Il Libero Pensare è fuori dal mercato, è bello librarsi in alto, spaziare senza vincoli e limiti temporali. La Cultura ha un unico obiettivo come azione profittevole. Un profitto legato alla crescita proficua degli individui, alla condivisione dei saperi e della Conoscenza. La Cultura è un alimento slow, lento, da gustare prolungando il piacere nel tempo. L’approssimazione è altra cosa. E’ precarietà e limite. E’ un approccio che tale rimarrà.

Cannibalismo di genere. Mi è capitato qualche volta di raccontare a giovani donne episodi e condizioni di vita di meno di cinquant’anni fa, in questo luogo di provincia. Noto la loro sorpresa, la loro incredulità. Non riescono a credere possibile che le loro madri o le loro nonne abbiano dovuto affrontare battaglie durissime per accedere allo studio o al lavoro. Probabilmente la loro totale estraneità alla questione di genere è un altro frutto avvelenato della completa assenza di memoria collettiva, del presente immobile in cui siamo immersi, un tempo che tutto evolve e nulla cambia. Abbiamo, oggi, nei paesi occidentali, le garanzie di una legislazione in tema dei diritti delle donne che segna un divario enorme rispetto a quella di mezzo secolo fa. In Italia è cambiato il diritto di famiglia, è stato introdotto il divorzio, c’è la 194, che non è una legge abortista, come ancora si vuol far credere, ma sancisce l’autodeterminazione in tema di nascite, è garantita la parità di genere in politica. A guardar bene, però, si scopre un guscio vuoto, perché anche nei nostri Paesi, la reale condizione delle donne resta subalterna ad un potere saldamente in mani maschili, un potere che ha forma maschile, escludente, gerarchizzato, intriso di competizione, di spirito guerresco, come se fossimo ancora ai primordi della storia e fosse ancora necessario, per sopravvivere, armarsi. Le stesse donne che occupano posti di potere devono snaturarsi, far propria tale forma maschile se vogliono esserci

Antiope

e contare. Non esiste un potere femminile, almeno non esiste un potere femminile riconosciuto come tale. Si è consumato, nel corso della storia della nostra specie, una sorta di cannibalismo di genere, che opera ancora. Lo dimostra la violenza da sempre esercitata sul genere femminile, da quella di prede di guerra a quella nelle mura domestiche. Lo dimostra la violenza sulla Natura, associata profondamente al femminile, alla sua capacità procreatrice, il piegarla alle proprie ambizioni a costo di distruggerla. Lo dimostra l’identificazione di Dio, il potere massimo, con il principio unico maschile. Lo dimostrano le condizioni di vita della maggioranza delle donne del mondo, del mondo povero, senza alcuna possibilità di vivere un minimo di pienezza di sé.

Ho una consapevolezza, che con gli anni si delinea sempre più nitidamente: finché l’umanità non assumerà la propria dualità, il femminile ed il maschile, come norma di vita, la sua storia non conoscerà pace duratura, equilibrio, serenità, progresso. Per le più curiose “Una stanza tutta per sé” di Virginia Wolf: come iniziare a capirci qualcosa.


”From Hell” lettera dall’inferno

Mr Lusk

« Dall’inferno. Mr Lusk, Signore, vi mando metà del rene che ho preso da una donna l’ho preservato per voi l’altro pezzo l’ho fritto e l’ho mangiato era molto buono. Potrei mandarvi il coltello insanguinato con cui l’ho tolto se solo aspettate ancora un po’ firmato Prendetemi se ci riuscite Signor Lusk »

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Sostenibilità ambientale: I contadini proteggono il territorio e la biodiversità. Difendono la terra, preservandola per le future generazioni.

Quando nella seconda metà dell’ottocento prese piede per le vie di Londra il terrore di incontrare Jack lo Squartatore, già esistevano i mitomani. Migliaia di lettere giunsero alla sede di Scotland Yard, tra queste solo alcune furono prese in considerazione. Una in particolare ha attirato la nostra attenzione intitolata “from Hell”. Perché ci dovremmo occupare, anche se brevemente, di una vicenda “dark” del ‘800? Jack lo Squartatore è realmente esistito, o meglio uno o più uomini hanno compiuto quelle barbarie nelle vie di Londra, come uno o più uomini compirono altrettante barbarie nelle campagne intorno Firenze qualche decennio fa. Barbarie che spesso troviamo nelle pagine di cronaca, barbarie di cui immaginiamo possiamo essere testimoni, barbarie che vediamo nei talk show in prima serata (barbarie anche questa). Questa lettera, contrariamente a quanto si possa pensare rappresenta a nostro giudizio l’antitesi della barbarie. From Hell, dall’inferno, è per noi la consapevolezza del proprio essere. Vi scrivo dall’inferno, non sono un Dio, non sono un superuomo, non sono immortale: sono un dannato. Non sono il vostro inferno, ma vi scrivo dall’inferno. Non è lucida pazzia, non è schizofrenia, non siamo difronte a un dissociato, un esaltato, un maniaco ossessivo, siamo di fronte ad un uomo che ci scrive dall’inferno. Probabilmente è l’inferno della sua mente e di sicuro si rende pianamente conto di scrivere da li. Spesso ci capita di leggere lettere, pensieri, per ultimo post su social network. Molti sono addirittura georeferenziati dai dispositivi mobile sui quali vengono scritti: si pubblica un post sulla propria bacheca di Facebook e ci compare il luogo di Google Map dal quale scriviamo. Ciò che scriviamo, però, spesso non coincide con il vero luogo in cui siamo. Il luogo della nostra mente si intende. Jack lo sapeva: dall’inferno!. “Sono già all’inferno prova a prendermi!”. Ecco il suo pensiero. lucido, chiaro. Non sappiamo se il sig. Lusk, investigatore di Scotland Yard, l’abbia capito. Non sappiamo se il sig. Lusk abbia cercato di trovare Jack in qualche locanda malsana o nei salotti dell’alta borghesia londinese ma sappiamo sicuramente che lo cercò nel posto sbagliato. Jack è morto, come sicuramente morte sono le sue 11 vittime. Di questa storia oggi rimane il mito, la leggenda che leggenda non è perché tutto ciò che si è scritto di Jack in queste righe è realmente accaduto: un uomo un giorno iniziò a commettere azioni abominevoli, barbarie. Quell’uomo non venne mai trovato, perché non si cercò nel posto giusto. Nonostante avesse scritto chiaramente dove si trovava nessuno andò a prenderlo. Quell’uomo era all’inferno, l’inferno che è dentro ognuno di noi.


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