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Periodico di informazione dell’Alto Vicentino
Volete ricaricare? Mettetevi in colonnina - p.6 ◆ Finalmente a Schio è arrivato il canile - p.12
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Padovana di origine e a Schio dal 2008, Giulia Andrian è la nuova capogruppo del Pd in consiglio comunale. C’è chi la vedrebbe candidata sindaco tra un anno per il centrosinistra, Lei lo esclude e assicura: “Serve lavorare per un percorso da fare insieme con gli alleati, e per un programma comune che tenga conto degli obiettivi dell’Agenda 2030, mettendo al centro la sostenibilità ambientale, sociale ed economica”.
Più che la ragione, potè la regina. Pare che sia servito un intervento diretto di Camilla, la consorte di re Carlo d’Inghilterra, per convincere l’editore dei romanzi di Roald Dahl a fare un passo indietro nella decisione di “ripulire” i libri del celebre autore da parole come “grasso” “nano”, “piccolo” e “brutto”, percepite oggi come non inclusive e discriminanti. Nei giorni scorsi la notizia della volontà di “correggere” i testi di Dahl aveva sollevato un vespaio di critiche e di polemiche, montate fino a provocare addirittura la reazione della Corona.
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E in effetti viene da chiedersi se non si stia un po’ esagerando con questa cosa del politicamente e socialmente corretto. Se non si stia inseguendo anche qui in Europa il fenomeno della “cancel culture” partito in terra americana, dove sono arrivati a mettere in discussione un padre della patria come Thomas Jefferson - uno degli autori di quel documento eterno che è la Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Unitiper il fatto che all’epoca (la sua epoca) nulla aveva fatto per combattere la schiavitù. Qualche tempo fa, nel numero di gennaio dello scorso anno, avevamo provato anche noi a “prendercela” con il nostro padre della patria, Alessandro Rossi, producendoci in un esercizio di stile che ne dissacrava la figura in punta di ironia e arrivava a chiedere la rimozione di tutte le “dediche” a suo nome presenti in città, dal monumento alla piazza.
Ora questo dell’intervenire “a posteriori” perfino sull’eredità artistica e creativa di chi ci ha preceduto può sembrare un problema secondario, ma occhio a sottovalutarlo. Perché se prendesse piede una sorta di “clausola Dahl” in senso più esteso, si potrebbe finire con il rimettere in discussione decine, centinaia di creazioni artistiche del passato. Anche di quello recente, visto che basta risalire di una generazione per trovare sensibilità collettive ben diverse da quelle di oggi.
Prendiamo la musica leggera di casa no -
stra. Un esempio per tutti: la canzone “Ancora”, presentata nel 1981 al Festival di Sanremo da Eduardo De Crescenzo e vincitrice del Superpremio della critica. Una canzone che è tuttora considerata un cult, tra le più belle di quegli anni. A un certo punto dice: “Mi fa smaniare questa voglia, che prima o poi farò lo sbaglio di fare il pazzo e venir sotto casa, tirare sassi alla finestra accesa, prendere a calci la tua porta chiusa”. Come la mettiamo? Oggi ci sarebbero gli estremi di una denuncia per stalking, e anche le avvisaglie di un comportamento ossessivo foriero di rischi seri per l’incolumità della malcapitata. Lo lasciamo girare indisturbato, questo De Crescenzo e la sua canzone, o applichiamo la “clausola Dahl” e lo togliamo dai palinsesti radiofonici?
Oppure prendiamo un libro celeberrimo come “Tre uomini in barca” di Jerome K. Jerome? I tre protagonisti sono tutti autentici WASP (white anglo-saxon protestant), inglesi bianchi e borghesi: sono ancora credibili o non sarebbe il caso di rivedere la composizione etnica del terzetto per renderla più coerente con le sensibilità nel frattempo maturate?
Risaliamo più indietro nel tempo, al capolavoro della letteratura italiana per antonomasia, i Promessi Sposi. È ancora opportuno veicolare un don Abbondio che si lascia intimorire da un mafioso come l’Innominato, oggi che si celebra invece il grande valore civile di certi preti eroi che hanno sacrificato la loro vita per lottare contro la criminalità organizzata?
E chissà, magari potrebbe andarci di mezzo anche un insospettabile come Luigi Meneghello, che nel suo “Libera nos a Malo” descrive suo fratello come un bambino che “aveva mani carine e grassottelle”, e il buon don Tarcisio come “lustro, grasso”.
Ora, questi sono esempi volutamente ironici e paradossali, ma la questione è sul tappeto. Perché a far rotolare qualche sassetto lungo questa china, è un niente a ritrovarsi una valanga a fondo valle. Si sa come si comincia e non si sa dove si finisce. In definitiva, la domanda da farsi è: possiamo ritenerci in diritto, noi qui negli anni
Supplemento mensile di Lira&Lira e La PiazzaVenti del Ventunesimo secolo, di appiattire secoli di creatività altrui – espressa in qualsiasi forma artistica, dalla letteratura alla musica, dalla pittura alla scultura – applicando i nostri attuali criteri di giudizio alle epoche passate, e in questo modo giudicando le opere di ingegno di chi è venuto prima di noi con il metro delle nostre sensibilità, assolvendo alcuni e condannando altri? O non si tratta invece di conservare quelle opere come sono nate, limitandosiquesto sì - a contestualizzarle e a inserirle nello spirito del tempo in cui sono nate? Perché alla fine è proprio questa la parola magica: tempo. Ognuno è figlio del suo tempo e ne vive le contraddizioni, i cambiamenti, i contrasti. E ognuno, nel suo tempo, deve fare i conti con i tempi che lo hanno preceduto. Sapendo anche che ne verranno altri, di tempi. E che se fra 50 anni si applicasse una “clausola Dahl” aggiornata ai canoni e alle sensibilità del 2073, potrebbe essere che, in un’Italia diventata per qualche motivo 100% vegana, si decida di correggere tutti i libri di Camilleri, non potendo più tollerare che quel commissario Montalbano stia sempre a mangiare succulenti piatti di pesce.
È iniziata una primavera anomala. Non soltanto perché mancano le piogge e sarà grasso che cola se si riuscirà ad arrivare a fine giugno senza razionare l’acqua, ma perché la prima specie arborea a fiorire quest’anno sembra sia stata questa pianta misteriosa, palesemente non autoctona, già denominato “albero delle mascherine”.
Gli esperti botanici lo stanno studiando per individuarne le origini. C’è il sospetto che sia una specie importata dalla Cina, forse nata in laboratorio, i cui semi potrebbero essere sfuggiti via per un colpo di vento, arrivando fin qua. La strana pianta produce un fiore che in gergo botanico è stato de-
nominato “mascherinus pandemicus”, che a quanto pare ha una fioritura fugace che dura al massimo otto ore, poi appassisce e cade e al suo posto ne nasce un altro. Il “mascherinus pandemicus” sbocciato qui in via Rossi, è di un bianco candido ma pare possa fiorire con colori diversi su uno stesso albero, e fa parte della variante chiamata FFP2. C’è però chi nega con forza questa teoria e sui social grida al complotto, sostenendo che l’albero non esiste e sia un’invenzione dei poteri forti, di Soros e delle grandi case di fitofarmaci. Vedremo come evolveranno le ricerche su questo caso non del tutto chiaro. [S.T.]
Lei nega in modo deciso, e in effetti si tratta soltanto di una suggestione, ma la domanda qualcuno se l’è già fatta: e se Giulia Andrian fosse la candidata sindaco del centrosinistra alle elezioni Comunali dell’anno prossimo? Fresca di subentro a Leonardo Dalla Vecchia nell’incarico di capogruppo del Pd in consiglio comunale, già candidata a consigliere alle ultime Regionali e alla Camera nelle Politiche del settembre scorso, Andrian ha dalla sua due carte a favore: predica l’unità del centrosinistra e lavora per raggiungerla cercando i punti di contatto invece di quelli di divisione; e poi è donna, e sotto questo profilo potrebbe fare da contraltare alla probabile candidata sindaca della maggioranza uscente, l’attuale vice di Orsi, Cristina Marigo. Certo saranno altre dinamiche a far emergere il candidato del centrosinistra, ma intanto la suggestione ci può stare. Giulia Andrian di origine è padovana, per la precisione di Montagnana. È lì che ha vissuto fino a una quindicina di anni fa, contribuendo a gestire la piccola azienda di arredamento del padre. Poi nel 2008, dopo il matrimonio, essendo il marito di Schio, si è trasferita in riva al Leogra, dove ha cominciato un’altra vita. Prima professionale, e poi politica.
“Io ho sempre voluto insegnare, mi ero iscritto a lettere per quello, poi è stata una necessità entrare in azienda, per aiutare la famiglia – spiega -. Ho studiato lavorando, fino alla laurea. Quando poi mi sono trasferita qui ho preso la strada dell’insegnamento, ho frequentato la scuola di specializzazione a Bressanone, tre anni impegnativi dividendo lo studio con il lavoro e la famiglia”.
Ora Andrian insegna lettere alle scuole medie dell’Istituto comprensivo “Tessitore” e, in parallelo, collabora da tempo con la casa editrice Erickson sui temi della didattica inclusiva, attraverso la produzione di testi e attività di formazione per insegnanti. La politica come e quando entra nella sua vita? “Sull’onda dell’entusiasmo per la nascita del Pd. Era il 2008, c’era al governo Berlusconi e io non riuscivo ad accettare le leggi ad personam. Mi sono iscritta e ho cominciato a fare la semplice militante, aiutando nel volantinaggio nel quartiere, dando il mio contributo. Col tempo, un’esigenza di cui mi sono resa conto era quella di attrarre i giovani: mi pareva che al partito mancasse una scuola di formazione e che potesse essere utile avviarla, anche come strumento per avvi-
Padovana di origine e a Schio dal 2008, Giulia Andrian è la nuova capogruppo del Pd in consiglio comunale. C’è chi la vedrebbe candidata sindaco tra un anno per il centrosinistra, Lei lo esclude e assicura: “Serve lavorare per un percorso da fare insieme con gli alleati.
cinare proprio i giovani alla politica. Quando Pietro Menegozzo è diventato segretario provinciale mi ha dato l’incarico per la formazione politica a livello provinciale, in quel contesto abbiamo organizzato un bellissimo corso per aspiranti amministratori, con 130 iscritti da tutta la provincia”. Adesso è diventata capogruppo in consiglio in una fase complicata per il Pd, ma foriera di novità importanti con la nuova segreteria nazionale di Elly Schlein. E si avvicinano le elezioni comunali. Su cosa concentrerete il lavoro in questo ultimo anno di mandato?
“È importante innanzitutto far sì che il rapporto con Coalizione civica sia sempre più stretto, nell’ottica di andare insieme anche alle prossime Amministrative. E soprattutto serve che il lavoro del nostro gruppo consiliare sia ben collegato e in sinergia con quello del circolo. Va dato meri-
to al segretario Gigi Copiello e a chi lo sta supportando di aver rianimato davvero il circolo, l’aumento di iscritti che si è registrato è merito suo.
Dopodiché, una cosa su cui tengo molto sono gli obiettivi dell’Agenda 2030, e dunque la sostenibilità ambientale, sociale ed economica. Tre elementi che vanno insieme e su cui punterò molto, obiettivi che si realizzano a partire dal locale, dai progetti quotidiani e puntuali sul territorio. Penso ad esempio al tema dell’acqua, al lavoro dignitoso”.
Come dire che l’Agenda 2030 è già una sorta di programma di mandato per un’amministrazione futura?
“È sicuramente la cornice. Il mio tentativo sarà quello che il programma di mandato punti a incidere il più possibile su questo, lavorando anche perché non sia un pro -
gramma circoscritto a Schio, ma sviluppato attraverso una condivisione preventiva con il territorio. Questi sono i due fari: la sostenibilità, anche per garantire l’attrattività del territorio, e la sovracomunalità, perché ci sono cose che è assurdo pensare di fare a livello di singolo comune: bisogna ragionare come Alto Vicentino”. Ma quanto conteranno questi contenuti complessi, in campagna elettorale? Non finirà per contare di più il clima politico che si vivrà fra un anno nel paese?
“Questi temi sono essenziali per lo sviluppo e il benessere del nostro territorio. Però in campagna elettorale contano poco, è vero. Sono argomenti ostici, presi in considerazione solo da una parte dei cittadini. Diventa importante la personalità del leader, individuare una persona che sappia avere il carisma del leader. E d’altra parte penso che sia importante anche il lavoro che tutti noi militanti sapremo fare dal punto di vista della creazione di relazioni e di rete, come credo che abbiamo fatto in questi anni”. A proposito di leader da individuare, lei si sente in lizza?
“No, assolutamente. Ci dev’essere un percorso fatto insieme con gli alleati. Il mio obiettivo è trovare un candidato comune, non essere io la candidata”.
Quindi un candidato espressione del partito o della famosa società civile?
“Più facilmente della società civile, mi viene da dire, così da essere comune e sentito da tutti”.
E l’identikit qual è?
“Direi una persona che abbia da una parte capacità di ascolto, di creazione di consenso e di rispondere anche a bisogni semplici e quotidiani dei cittadini, ma che abbia an-
che una capacità di visione, per guardare almeno al 2030 e anche più in là, per fare in modo che questo territorio ritorni a essere attrattivo, non a discapito dell’ambiente”. Intanto alle recenti primarie nazionali anche a Schio gli elettori del Pd hanno votato per Schlein. Lei aveva appoggiato la candidata De Micheli…
“Sì. Qui in provincia ha fatto un buon risultato, ha preso intorno al 10%”.
- Una scelta minoritaria consapevole?
“Avevo molta paura della possibile frattura che avrebbe potuto crearsi nella competizione tra Bonaccini e Schlein e vedevo De Micheli come un punto di equilibrio. Anche a Schio a livello di iscritti aveva vinto Bonaccini, poi i nostri elettori hanno fatto un’altra scelta, l’immagine del cambiamento è stata incarnata più da Schlein che da Bonaccini”.
Però è comprensibile, è stata una reazione da un lato a un Pd da troppo tempo fermo in mezzo al guado e dall’altro al chiaro spostamento a destra dell’asse di governo.
“Secondo me, paradossalmente, era più rivoluzionario il progetto di Bonaccini e anche quello di De Micheli, con la volontà dichiarata di dare più attenzione ai territori. Adesso comunque la mia segretaria è Elly Schlein, sono serena, anche perché non ho mai votato per il candidato segretario risultato poi vincente, ma sono sempre rimasta nel partito”.
Vi siete resi conto se alle primarie ha pesato magari anche un certo elettorato di area cinque stelle?
“No, non penso che sia stato questo. Tanti avevano il timore che alle primarie venissero elettori non della nostra area, in realtà io ho visto arrivare signore di ottant’anni
Lo scorso 3 marzo, al Giardino dei Giusti di Milano, Mons. Girolamo Tagliaferro, arciprete di Schio dal 1932 al 1957, è stato nominato “Giusto dell’Umanità” nel corso di una commovente cerimonia a cui ha partecipato una delegazione scledense con il pronipote Osvaldo. A promuovere l’istanza per inserire Mons. Tagliaferro nell’elenco che fa onore all’umanità tutta è stato lo studioso della Resistenza altovicentina Ugo De Grandis, che ha condotto un’accurata ricerca e presentato la richiesta, in seguito accettata.
Ma chi era Mons. Girolamo Tagliaferro?
Nato a Campiglia dei Berici il 20 maggio del 1887, profuse ogni sua energia a favore dei più poveri, degli orfani, dei bisognosi e durante l’occupazione tedesca nascose numerosi ebrei provenienti dall’ex-Jugo -
slavia, procurando loro documenti falsi per farli fuggire in Svizzera, tenendo contatti con elementi della Resistenza; come conseguenza i fascisti lo colpirono negli affetti più cari, uccidendo nel suo paese natale i fratelli Aldo e Gerardo. Nell’aprile del ‘45, a Schio, fu incaricato dalla Garemi di trattare per indurre i tedeschi a deporre le armi. Già in vita Mons. Tagliaferro ebbe dei riconoscimenti: nel ‘55 la comunità ebraica di Trieste lo iscrisse tra i suoi benemeriti e nel ‘57 l’allora sindaco di Schio Carlo Gramola gli conferì la medaglia d’oro della città per le sue iniziative a favore dei più poveri (aveva potenziato la Casa della Provvidenza, istituito dormitori femminili e maschili, un asilo e un collegio per orfane, un asilo d’infanzia e una scuola di rammendo al Sacro Cuore...).
che hanno votato Schlein. C’è stata la volontà di dare un segnale di cambiamento e penso che siano stati i nostri elettori a dare questo segnale, hanno percepito che il cambiamento fosse quello e non l’altro. Non tanto una scelta più di sinistra, dunque: secondo me chi ha votato Schlein lo ha fatto con una decisione pre-politica”. In ogni caso, a Schio questo nuovo corso del partito cambierà qualcosa nel cammino verso le Amministrative dell’anno prossimo?
“Alla fine per noi è comunque una cosa positiva, perché possiamo partire dallo zoccolo duro di chi ha votato alle primarie. Un processo che nessun altro partito ha e che ha dimostrato che questa comunità è viva, e dev’essere il nostro punto di partenza”. Dunque in autunno ci saranno le primarie per il candidato sindaco di coalizione?
“È tutto da costruire. Ci stiamo incontrando per costruire il criterio con cui individuare insieme il candidato. Le primarie sono uno strumento che a me piace molto, perché porta coinvolgimento. Però porta anche divisioni. Con quello che prima era il tuo competitor, poi ci devi lavorare insieme: o sei tu che appoggi lui o è lui che appoggia te. Insomma, qualche rischio c’è”.
Resta ora da compiere il passo successivo: De Grandis ha inoltrato la richiesta per inserirlo fra i “Giusti delle Nazioni” allo Yad Vashem di Gerusalemme, prestigioso elenco che raccoglie i nomi di chi è stato veramente Uomo, nel senso più vero e profondo del termine. ◆ [M.D.Z.]
Attualità
Camilla MantellaLa mobilità elettrica è uno dei pilastri degli spostamenti sostenibili. Il dibattito sull’elettrificazione del trasporto pubblico e privato è aperto e acceso, ma è indubbio che una quota crescente di persone stia valutando l’acquisto di vetture elettriche. Il bisogno di ricaricare le auto elettriche in circolazione è in aumento e, quando si è fuori casa, è necessario trovare punti di appoggio per poter garantire autonomia ai propri spostamenti.
Grandi player del settore stanno quindi installando sul territorio nazionale colonnine e stazioni di ricarica. Ve ne sono alcune anche qui a Schio: ma chi sceglie dove collocarle? Chi si occupa della loro manutenzione? Ne saranno installate di nuove a breve? E, al di là dei punti di rifornimento elettrici, su quali forme di mobilità sostenibile sta puntando la nostra città?
Le colonnine di ricarica collocate sul territorio comunale in spazi pubblici autorizzazi dal Comune sono sei. Si trovano in via Luigi Dalla Via e in via Lago di Pusiano in zona industriale, in via Raffaello poco lontano dal Campus delle scuole superiori, in via degli Orti vicino al Parco Robinson, in Piazzale Pubblici Spettacoli e in via Baracca, in centro. A breve sarà installata una nuova colonnina, in via Milano, nel parcheggio sul retro della stazione ferroviaria. Esistono poi colonnine installate su spazi privati, di cui però è più difficile ottenere una mappatura completa.
Dal Comune spiegano che l’installazione delle colonnine negli spazi pubblici parte da un gestore qualificato che sottopone una richiesta alla valutazione dell’amministazione e degli uffici. Se il Municipio dà il via libera si va a stilare un protocollo di intesa. La scelta delle aree è frutto di una mediazione tra le esigenze dei gestori, che mirano a ottenere spazi in aree ad alto transito e visibilità e a facile allaccio alla rete elettrica pubblica, e quelle dell’amministrazione, che invece spinge per un servizio equamente distribuito sul territorio. Una volta installate, le colonnine sono manutenute dai gestori, che di fatto ne sono proprietari, per tutta la durata del protocollo di intesa. Vengono monitorate da remoto ed eventuali guasti dovrebbero essere subito rilevati.
Nella pratica è accaduto che alcune colonnine rimanessero fuori servizio per un
Le colonnine elettriche installate negli spazi pubblici scledensi sono sei, attualmente sufficienti per gli utenti della città. Ma oltre l’elettrico, va ripensato il modo di spostarsi per raggiungere una mobilità davvero sostenibile.
tempo prolungato, come testimoniano alcuni residenti della zona di via Baracca. In questo caso si può segnalare la cosa agli uffici comunali, che tuttavia non possono fare molto se non riportare le segnalazioni al gestore e sollecitarne un intervento.
Attualmente i punti di ricarica sul territorio comunale rispondono alle esigenze degli utenti delle auto elettriche. Attorno alle colonnine non si creano lunghe attese e nel momento in cui stiamo scrivendo tutti i punti risultano attivi e funzionanti.
“La mobilità elettrica è solo una componente della mobilità sostenibile. Il Comune di Schio sta progettando tutta una serie di azioni ulteriori in ambito sovracomunale assieme all’Unione Montana e all’Area Urbana - dichiara Alessandro Maculan, assessore alle Politiche Ambientali -. All’interno dei confini comunali abbiamo adottato il BiciPlan, strumento per la programmazione coordinata degli interventi sulla ciclabilità, dalla riqualificazione dei percorsi esistenti alla realizzazione di nuovi. L’obiettivo è quello di far sì che gli spostamenti non siano più legati solo alle auto, ma che quest’ultima sia una tra le opzioni disponibili. L’approccio adottato rispetto alla mobilità sostenibile, infatti, deve essere molto più strutturato e andare oltre la mobilità elettrica: la vera sostenibilità si può ottenere soltanto quando il nu-
mero di auto diminuisce. Un’auto elettrica inquina meno a livello emissivo rispetto a un’auto a combustione interna, ma occupa lo stesso spazio e prevede i medesimi costi di produzione. La vera partita si gioca agendo sulle abitudini dei cittadini: se si riesce a far in modo che nel raggio dei 3-5 km gli spostamenti avvengano sulle due ruote miglioriamo non solo l’aspetto ambientale, ma alleggeriamo anche la congestione del traffico e liberiamo lo spazio occupato dai veicoli”.
Il Comune sta lavorando anche sul trasporto pubblico. È partito un tavolo di coordinamento permanente, il Tavolo per la mobilità sostenibile scolastica, che interessa l’area Campus: sono coinvolti studenti e docenti per approfondire la tematica. In questa zona gravitano ogni giorno circa 8 mila persone tra insegnanti, studenti e personale ATA e solo il 30% di loro è residente a Schio.
“Il tavolo cercherà di capire come raggiungono l’area, differenziando chi è dotato di auto e chi no – spiega Maculan -.. Ci stiamo anche muovendo per quanto riguarda la mobilità casa-lavoro con l’idea di aprire un nuovo tavolo di coordinamento. Abbiamo già incontrato alcune aziende sensibili per capire come poter promuovere congiuntamente la mobilità sostenibile anche per quanto riguarda questo tragitto”.
Si trova a Schio la prima azienda italiana ad aver introdotto la farina di insetti nella produzione alimentare. Si tratta della Fucibo, fondata da Lorenzo Pezzato, un imprenditore di 49 anni originario del veneziano. Uno che ammette di essere sempre stato schifiltoso e delicato: “Quando ho mangiato insetti per la prima volta ho fatto una fatica pazzesca, ma poi mi sono reso conto che è come provare qualsiasi altro cibo, può piacere oppure no”. Dopo alcuni anni in Gran Bretagna, “dove gli insetti erano già permessi”, Fucibo nel 2015 comincia a produrre pasta, patatine e gallette anche in Italia, creando la sua sede legale proprio a Schio.
Pezzato, ma gli insetti c’entrano con la cucina italiana?
“I tempi cambiano e le tradizioni si evolvono, anche quelle in cucina. Il mondo è interconnesso, arrivano nuovi incredibili ingredienti dai quattro angoli del pianeta a fondersi con altri con cui prima non avevano mai avuto niente a che fare, proprio come i popoli, come le persone. E nascono opportunità, combinazioni inaspettate, sinergie sorprendenti”.
Qual è stato il suo primo approccio con un insetto da mangiare?
“Il primo insetto che ho mangiato era essiccato e non è stato facile, non sono uno che mangia di tutto. Ho fatto parecchia fatica. Ma mi sono reso conto subito che è solo una questione culturale. Mio figlio li mangia senza problemi”.
Deve ammettere che il cibo a base di insetti è piuttosto rivoluzionario…
È di Schio la prima azienda italiana ad aver introdotto la farina di insetti nella produzione alimentare. Si tratta di Fucibo, società fondata da Lorenzo Pezzato, imprenditore veneziato trapiantato nello Scledense.
“Fino a qualche anno fa il nostro sembrava un progetto visionario, sembrava impossibile diventasse realtà, invece oggi siamo sugli scaffali del supermercati, più realtà di questa… Io comprendo, perché è stato così anche per me, che il cibo a base di insetti può provocare repulsione, ma si tratta solo di assaggiare e se piace, rendersi conto che è commestibile come qualsiasi altro cibo che siamo abituati a riconoscere”.
Pensate che gli insetti siano in gradi di “invadere” il mercato italiano?
“Per quanto riguarda Fucibo non c’è nessuna intenzione di imporre i nostri prodotti. Abbiamo però la consapevolezza che questo cibo esiste e che il mercato è pronto ad accoglierlo. È pronto anche il mercato italiano, infatti il numero dei clienti è in crescita costante. Fucibo non è una start up, noi non siamo dei ragazzini. Siamo manager con esperienza che hanno fatto un percorso e creato un’azienda che ha trovato il suo spazio nel mercato”.
Perché secondo lei è arrivato il momento di mangiare insetti anche in Italia, in Europa e in altri paesi con tradizioni culinarie diverse?
“Gli insetti commestibili sono gustosi. Ogni tipo di insetto commestibile ha un proprio sapore, una sfumatura caratteristica, in alcuni casi molto leggera, in altri più presente. Al naturale molti ne associano il gusto a quello della nocciolina tostata, della mandorla, ma ovviamente possono essere aromatizzati a piacere. Il sapore delicato della farina di insetti la rende poi particolarmente adatta a essere inserita in prepa-
razioni come pasta, pizza, pane e dolci, diventando una perfetta integrazione delle farine tradizionali”.
È solo una questione di gusto o c’è di più?
“Gli insetti commestibili sono nutrienti, contengono tutti gli elementi nutritivi essenziali, soprattutto proteine complete, grassi, ferro e zinco. Le proteine sono uno dei nutrienti la cui richiesta è in aumento vertiginoso e le proteine contenute negli insetti sono migliori di quelle contenute nella carne. La popolazione mondiale è in aumento, abbiamo bisogno di trovare velocemente fonti di proteine alternative che la possano soddisfare e che siano sostenibili per l’ambiente. Gli insetti hanno un basso contenuto di grassi e sono versatili, sono un alimento perfetto per integrare la normale dieta quotidiana, nelle diete per perdere peso e nell’alimentazione degli sportivi, dilettanti o professionisti”. Quando si parla di cibo a base di insetti si sente spesso la parola “sostenibilità”. Che significa? “Gli insetti commestibili sono sostenibili. Sono molto più efficienti degli animali che attualmente alleviamo nel processare il cibo che assumono per trasformarlo in proteine. Per essere allevati hanno bisogno di poco spazio e poca acqua, si riproducono velocemente e il loro ciclo vitale comporta l’emissione di pochissimi gas serra. Gli insetti commestibili sono facilmente collocabili all’interno di un’economia circolare, dove fungono da veri e propri trasformatori di scarti alimentari in nuove e preziosissime proteine”. ◆
“Fino a qualche anno fa il nostro sembrava un progetto visionario, sembrava impossibile diventasse realtà, invece oggi siamo sugli scaffali del supermercati”
È possibile effettuare il prelievo del sangue e la consegna di analisi di laboratorio dal Lunedì al Sabato 06:50 - 10:00 anche senza appuntamento, con ritiro dei referti online.
Vengono utilizzati degli aghi specifici per ridurre il dolore e il personale infermieristico è altamente preparato a tranquillizzare tutte quelle persone che presentano ansia o fobie causate dagli aghi.
I Check Up a disposizione possono essere personalizzati, in base alle necessità del paziente, con l'aggiunta di esami specifici.
La sezione Enpa di ThieneSchio sovrintende tutto il processo, occupandosi dell’organizzazione dell’accoglienza, della permanenza degli animali nel canile e del processo di adozione.
Camilla MantellaDall’inizio di febbraio è operativo il nuovo canile sanitario dell’Alto Vicentino, una struttura di cui il territorio aveva da tempo bisogno. Costruito su un’area di circa 8 mila metri quadrati di proprietà del Comune, in via Fornaci, poco lontano dalla sede della Protezione Civile, il canile serve i 32 comuni corrispondenti al Distretto 2 dell’Ulss Pedemontana. L’amministrazione comunale ha destinato circa 350 mila euro alla realizzazione della struttura che, attraverso un bando promosso dall’Ulss, è ora gestita dall’Enpa. “Il nuovo canile era davvero indispensabile per il nostro territorio - spiega Federica De Pretto, presidente di Enpa Schio Thiene -. Per anni è stata messa a disposizione una struttura a Marano Vicentino, che tuttavia non aveva le caratteristiche minime per poter essere considerata sufficiente ai bisogni degli animali. Inoltre il fenomeno dell’abbandono era tenuto sotto controllo con il contributo di privati ed era necessario un miglior coordinamento: ora la gestione è pubblica e fa capo all’Ulss, alla
Schio ha finalmente un canile sanitario, una struttura attesa da tempo, aperta in via Fornaci, che subentra a quella di Marano, non sufficiente a rispondere ai bisogni dei cani ospirati. È a servizio di 32 comuni dell’Alto Vicentino.
quale Enpa come gestore della struttura risponde, quindi le prese in carico degli animali, la loro cura e la loro nuova eventuale adozione vengono amministrati nella massima trasparenza possibile”.
Il canile di Schio è suddiviso in più aree: ci sono il canile sanitario, con otto box per l’accoglienza di altrettanti cani, dove gli animali vengono accolti immediatamente dopo il loro ritrovamento e vengono visitati e curati, il canile rifugio, con quattro box per un massimo di dodici cani, e un ampio spazio esterno dove i cani vengono fatti correre e giocare e dove possono essere organizzate attività socio-didattiche, con l’obiettivo di favorire il più possibile l’interazione uomo-animale.
meno 11 giorni nel reparto sanitario, per scongiurare eventuali malattie trasmissibili agli altri cani ospitati in struttura”. Enpa sovrintende tutto il processo, occupandosi dell’organizzazione dell’accoglienza, della permanenza degli animali nel canile e del processo di adozione.
“Siamo circa 40 volontari - precisa De Pretto -. Il numero può sembrare elevato, ma è necessario per garantire una presenza h 24 in struttura, 7 giorni su 7”.
In occasione dell’apertura
“In canile giungono i cani che vengono ritrovati nell’Alto Vicentino - continua De Pretto -. Fortunatamente nelle nostre zone il randagismo è un fenomeno pressoché assente, ma è frequente il ritrovamento di animali persi o abbandonati. Una volta che vengono individuati in uno dei comuni serviti dal canile, questi vengono accalappiati dai professionisti dell’Ulss e portati nel settore sanitario della nuova struttura di via Fornaci, dove vengono visitati. Se l’animale è chippato si risale immediatamente al padrone e si cerca di mettersi in contatto con lui: se si tratta di cani scappati o persi vengono restituiti alla famiglia di provenienza, se invece si appura che il padrone non può o non vuole più prendersene cura o, ancora, se il cane non è stato chippato, si inizia il percorso di inserimento nel canile rifugio e poi si procede con l’adozione. In ogni caso, prima di essere inseriti nei box rifugio assieme agli altri cani, gli animali appena arrivati sostano al-
Una volta che il cane è dichiarato fuori pericolo sanitario e viene trasferito nei box rifugio è ufficialmente adottabile. “Cerchiamo sempre di valutare con attenzione l’idoneità della famiglia che desidera adottare - racconta De Pretto -. Le adozioni devono essere il più consapevoli possibile, soprattutto se consideriamo che ci occupiamo di cani che nella stragrande maggioranza dei casi hanno già vissuto abbandoni. Spesso le persone richiedono animali di taglia medio-piccola, mentre i cani più grandi tendono a rimanere purtroppo più a lungo in canile. In ogni caso possiamo dirci soddisfatti di queste prime settimane di gestione: la struttura è adeguata nei numeri alle necessità del territorio, le adozioni procedono e i nuovi spazi permettono un’esistenza più felice e decorosa agli animali in attesa di una nuova famiglia”. I cani ospitati possono contare su box ampi e puliti, dotati di lampade a infrarossi per i periodi più freddi dell’anno, e di una costante sorveglianza attenta e premurosa: un nuovo corso, dunque, per gli animali abbandonati del territorio e un motivo di soddisfazione per la città che si è offerta di investire e ospitare una struttura utile a tutto l’Alto Vicentino. ◆
è un tempo per ogni cosa. E quando, per il normale corso della natura, è più la vita trascorsa di quella che rimane, c’è un tempo per la riflessione. Su di sé, sull’essere e lo stare nel mondo, per alcuni soprattutto su ciò che va al di là dell’immanente e si fa trascendente. È questo il livello della riflessione che ha fatto suo Antonio Cassuti, e che ora ha trasposto in un’opera di poesia edita da Caosfera, dal titolo “La canzone del tempo”. Un volumetto di formato antico, un tascabile raffinato, ideale per il contenuto che trasmette. Seguirà un secondo libro, che avrà per titolo “La parola e le sue stagioni”, andando a completare una sorta di summa poetica in cui Cassuti sviluppa il leitmotiv scelto per questa parte della sua vita: il rapporto, appunto, tra l’esserci e la trascendenza. Di Antonio Cassuti in molti ricorderanno due “tempi” diversi: quello professionale, come docente di filosofia e storia nei licei e per molti anni preside del liceo scientifico “Tron” di Schio; e poi quello politico, come assessore alla cultura e vicesindaco negli anni delle amministrazioni Berlato Sella. Anni in cui fece entrare a Schio l’aria culturale della sua amata Mitteleuropa, essen-
Antonio Cassuti, per molti anni preside del liceo “Tron”, ex assessore alla cultura e poi addetto culturale all’ambasciata italiana a Praga, ha pubblicato un volume di poesie dal titolo “La canzone del tempo”, nel quale sviluppa il tema scelto per questa parte della vita: il rapporto con il trascendente.
do lui dichiaratamente un “veneto-praghese” nell’animo, nel cuore e nello spirito. Dal ’92 al ’94, lasciata la politica locale, fu anche all’ambasciata italiana di Praga come addetto culturale alle dipendenze dell’ambasciatore.
Il Cassuti preside, assessore o addetto culturale non avrebbe scritto questi versi, proprio perché nella vita c’è il tempo giusto per ogni cosa. Adesso è il tempo di mettere tutto nella sua giusta dimensione e prospettiva. A cominciare proprio dal tempo e dalla sua eterna tirannia. Che condiziona la vita di ogni essere umano. Ma non impedisce all’uomo di aspirare, attraverso la fede, a trasformare questa tirannia in “canzone”, in qualcosa che permette il transito verso la trascendenza.
Cassuti, grande amante di Leonard Cohen, si professa apertamente giudaico-cristiano, senza approdare peraltro a una fede cristiana, e nel caso specifico cattolica.
“Mi viene naturale mettere in comunione poesia e dimensione religiosa, purché coltivate nel silenzio eloquente del cuore –scrive Cassuti in apertura di volume -. Entrambi i momenti dovrebbero portarti altrove, senza negare il qui e ora”.
Il libro è diviso in capitoli e uno di questi è
Èavvincente leggere “Antichi segreti –Miniere e leggende in Val Riolo”, dello scledense Stefano Giuseppe Ramazzotto. L’autore, giunto alla sua sesta pubblicazione, dimostra qui tutta la sua passione per la storia, soprattutto quella legata al mistero, che colora di giallo e nero i fatti. In Val Riolo si parte infatti con un’impiccagione e una conseguente indagine che fa sospettare un legame tra quella morte e un’antica leggenda legata alla valle stessa; due fratelli
dotati di grande intuito cercano di decifrare misteriosi scritti e di interpretare indizi millenari. Ramazzotto porta il lettore a Venezia e in Irlanda, nell’Alto Vicentino e in Medio Oriente; se alcuni passaggi risultano a tratti fin troppo veloci, va riconosciuto che questo lavoro, stampato da Editrice Veneta come gli altri dello scrittore, sa tenere col
dedicato a Praga, né poteva essere altrimenti. È questo, per Cassuti, il vero luogo del cuore e dell’anima, luogo in cui la “canzone del tempo” emerge con più forza. Praga che diventa confino e rifugio, strumento per far sì che il tempo venga accolto attraverso la memoria e l’amore per chi è stato. “Qui alfa ed omega saldano il conto nel rassegnato naufragare del tempo”, scrive Cassuti. Ma anche: “La fine dell’estate e la premonizione dell’autunno sono di una dolcezza senza pari nella Città d’oro”.
E in fondo, in tanta dei versi della “Canzone del tempo” è proprio questa che emerge: la dolcezza della premonizione dell’autunno. Inteso, al di là dello scorrere delle stagioni, come autunno di vita e del proprio tempo. Lino Breda, che firma la postfazione, scrive che “questi scritti poetici hanno un carattere vesperale, dolcemente testamentario, sono scritti della sera della vita, di quell’ora che declina adagio, in una luce aranciata, verso orizzonti infiniti, senza tempo”. E qualcosa vorrà dire anche il fatto che tra le parole che più ritornano, nelle poesie di questo primo volume, ce n’è una rivelatrice che sembra tenere dentro di sé tutto, l’essere e il trascendente, la primavera e l’autunno. La parola speranza. ◆
fiato sospeso fino alla fine. Non è affatto poco e con “Antichi segreti”, ricco anche di dettagliate descrizioni e di personaggi ben connotati, l’autore ha siglato la sua propensione per una tipologia di romanzo che cattura il lettore, anche perché fortemente legato al territorio. Questa caratteristica, per un autore locale, è un valore aggiunto. ◆ [M.D.Z.]
“A Schio sarebbe importante creare le condizioni perché chi ha realizzato un percorso altrove possa ritrovare nella propria città spazi e occasioni per condividere le sue esperienze”.
Elia CucovazUn giovane fotografo scledense si è fatto notare al prestigioso concorso annuale indetto dalla Fondazione Bevilacqua La Masa di Venezia. Marco Reghellin, 21 anni, studente di arti multimediali allo Iuav, ancora fresco di diploma al liceo artistico cittadino, si è aggiudicato il secondo di quattro premi assegnati dalla giuria della 105° edizione della “Collettiva Giovani Artisti” organizzata come ogni anno dall’ente culturale nelle preziose sale della Galleria di Piazza San Marco. Reghellin ha visto il suo lavoro emergere tra i 28 in esposizione, a loro volta selezionati tra i 180 in lizza, tutti artisti emergenti tra i 18 e i 30 anni. Ma nonostante il significativo riconoscimento ottenuto nella città lagunare lo scledense resta con i piedi per terra: “Sarei presuntuoso se dicessi, ora, che nella mia vita voglio fare l’artista - spiega -. Si tratta di una grande responsabilità e per adesso è già tanto avere l’opportunità di sviluppare le mie idee e di poter vedere che cosa ne pensa il mondo”. Tanti i progetti per il futuro. “Peccato solo per quella macchina rottamata…”.
Quale macchina?
“Quella che ho usato per il lavoro premiato dalla fondazione Bevilacqua La Masa, intitolato ‘l’Ospite’ (con la elle minuscola e la O maiuscola: ci tengo. Anche la grafia del titolo per me ha un preciso significato e fa parte dell’opera). In poche parole si tratta di una serie di scatti compiuti dall’interno della mia macchina - una vecchia Fiat Punto - parcheggiata all’interno di garage altrui”.
E qual è il senso di questa operazione?
“Queste immagini hanno a che fare con una chiusura e con una immobilità. Un interno - quello dell’auto ferma, parcheggiata - da cui si guarda un altro interno, il garage. La griglia in cui sono disposte queste immagini, e le cornici che le contengono, aumentano questa sensazione di immobi-
Un giovane fotografo scledense si è fatto notare al prestigioso concorso annuale indetto dalla Fondazione Bevilacqua La Masa di Venezia. Marco Reghellin, 21 anni, studente di arti multimediali allo Iuav, si è aggiudicato il secondo premio alla 105° edizione della “Collettiva Giovani Artisti”.
lità. Ma l’automobile si è dovuta spostare per raggiungere un garage o l’altro, per essere ospitata e quindi per diventare l’ospite. Lo spostamento/movimento, dunque, non è presente nelle immagini, ma nel pensiero di chi le guarda. Questo avviene solo se lo spettatore stesso svolge questa operazione di spostamento, che non è visibile, ma concettuale”.
E riguardo la macchina?
“Ad oggi non considero ‘l’Ospite’ un lavoro compiuto e chiuso. Per questo mi servirebbero molti scatti e un importante lavoro di
selezione. Peccato che la Punto non ci sia più. La mia famiglia ha deciso di farla rottamare per acquistarne una nuova. Quindi se deciderò di portare a termine la serie dovrò farlo con un’automobile diversa. E questo influirà sullo sviluppo dell’opera in quanto il taglio del finestrino, così caratteristico, rappresenta un elemento della composizione fotografica”.
Un artista concettuale, insomma, deve affrontare anche questioni molto pratiche e concrete. Il suo obiettivo è quello di continuare a fare questo per tutta la vita: l’artista?
“Sarei presuntuoso se rispondessi di sì. Intanto il mio obiettivo è quello di proseguire gli studi, di sviluppare le mie idee e di metterle alla prova. Credo che l’arte sia una grande responsabilità per chi la realizza”. In che senso?
“Il pubblico investe tempo per fruire di un’opera, quindi la responsabilità dell’artista, a mio parere, è quella di riuscire a dare valore a questo tempo. Un compito che, però, non è per niente facile. Riguardo il mio futuro, quindi, bisognerà vedere se ne sarò all’altezza”.
Quando ha cominciato a fotografare?
“A 14 anni, con il cellulare. Le mie prime foto le ho fatte per pubblicarle sui profili social miei e dei miei amici. La svolta però è arrivata con il liceo artistico ‘Martini’. Non so bene perché ho scelto quel percor-
so - ero indeciso fra quello e l’Itis - però ricordo che ero molto convinto. Lì ho avuto modo di studiare in particolare con il professor Giampiero Valente, che insegna pittura, ma che ci ha dato l’opportunità di confrontarci anche con la fotografia e il video, e, più in generale, con tante situazioni e contesti il cui significato e la cui importanza sto capendo solo ora”. Ad esempio?
“Il rapporto tra l’arte e le parole, che ha molto influenzato la mia ricerca fino ad ora. Ma anche situazioni molto concrete, come quando ha invitato in classe una persona malata di neurofibromatosi, patologia che sfigura completamente chi ne è affetto, per metterci di fronte a un soggetto che supera ogni rappresentazione. Il professor Valente è diventato un mio punto di riferimento anche per quanto riguarda la realizzazione de l’Ospite: mentre lo realizzavo infatti gli mostravo i miei progressi e ne parlavamo. Una dialettica che mi ha certamente aiutato a dare una direzione al lavoro”.
Un maestro, insomma. Quanto sono importanti figure come questa per chi vuole portare avanti un percorso come il suo?
“Sono essenziali. Naturalmente non c’è soltanto lui: tra i miei punti di riferimento vo-
glio ricordare anche la mia professoressa di lettere, Maria Addolorata Ritti, e il mio professore di educazione artistica delle scuole medie, Franco Ruaro. Oggi, inoltre sto intrattenendo un rapporto con Guido Guidi, noto fotografo cesenate pioniere della nuova fotografia italiana di paesaggio, che mi sta insegnando, tra le altre cose, che anche l’occhio ‘pensa’ e non c’è sempre bisogno del cervello per sapere quando catturare un’immagine. Un approccio che rappresenta una delle direzioni di evoluzione della mia ricerca. In ogni caso, bisogna saper conoscere e riconoscere queste persone che possiamo considerare maestri: quello del ‘farcela da soli’, per me, è un mito che non porta da nessuna parte”. Non essere soli significa anche trovare un humus culturale fertile per sviluppare e far circolare le idee. Come giudica, sotto questo aspetto, Schio?
“Povera. O meglio: troppo povera rispetto alle sue possibilità. Ci sono tante persone che stanno realizzando cose di valore e anche alcuni luoghi di ritrovo. Ad esempio la galleria Casa Capra, che sicuramente è quello che sta vivendo lo sviluppo più interessante, la libreria Quivirgola, il centro sociale Arcadia, i festival “Underwool” e “Line”. Un’altra opportunità importante
è il bando annuale promosso dal Comune, grazie al quale all’ultimo anno di liceo ho potuto realizzare la mia prima mostra personale al Faber Box. Tuttavia non mi sembra che chi sta ‘nelle alte sferÈ abbia un grande interesse per la cultura. E questo è un peccato. Perché senza una regia il contesto cittadino resta frammentario e dispersivo”.
Quindi, quali sono le azioni necessarie?
“Una sicuramente sarebbe quella di creare le condizioni perché chi ha realizzato un percorso fuori da Schio possa ritrovare nella propria città spazi e occasioni per condividere le sue esperienze”. ◆
Tante volte il teatro civile viene promosso “per non dimenticare”, ma non basta: bisogna aggiungere anche “per portare avanti idee di democrazia, giustizia e libertà”. È quanto ha fatto, al Civico, il bravo Maurizio Donadoni, con il suo “Matteotti Medley”, che ha debuttato nell’ottobre scorso, proprio mentre si ricordava la marcia su Roma. Donadoni è capace e versatile, recita per il teatro ma anche per il cinema e per la televisione (è stato scelto e diretto, fra gli altri, da Lavia, Ronconi, Ferreri, Bellocchio, Giordana), spaziando con naturalezza da Shakespeare alla drammaturgia contemporanea. In questo documentario teatrale trapuntato di canzoni d’epoca scelte da Stefano Indino e ben suonate dalla fisarmonicista Katerina Haidukova, Donadoni ha raccontato fatti storici legati a Matteotti, ma anche aneddoti, ricordi politici e familiari, muovendosi con scioltezza, e cantando all’occorrenza, in uno spazio scenico minimalista, dove ogni oggetto aveva un preciso significato. Indubbiamente è un ottimo attore, ma forse in questo lavoro, che ha curato con meticolosità e convinzione, poteva operare qualche taglio, per renderlo ancor più incisivo: giustamente, non c’è un vero e proprio finale, perché le idee di Giacomo Matteotti devono trovare la strada per continuare e non si devono certo fermare. Scopo del lavoro era stimolare una riflessione sul significato di democrazia: è importante farlo a teatro, certo non è abbastanza, ma di sicuro chi, come Donadoni, ci prova, sparge semi destinati a fiorire. Semi e fiori, si sa, si moltiplicano.
La raffinata ironia di Fullin
Essere gay e saperlo raccontare con naturalezza, ironia, intelligenza, smontando a suon di battute liberatorie gli stereotipi, valorizzando la persona che ha il diritto di vivere la sua vita: Alessandro Fullin, al Civico in “Fullin legge Fullin”, è stato un mattatore sul palco e ha raccolto entusiastici consensi da parte del numeroso pubblico presente, che per oltre un’ora ha riso e sorriso della sua comicità surreale, irresistibile e imprevedibile. Era accompagnato in scena da pochissimi elementi: Charles, un cagnolone di pelouche adagiato poco dopo l’inizio dello spettacolo su una poltroncina, un leggio, le pinze georgette per asciugare l’insalata con stile. Non si sa mai cosa tira fuori “dopo” dal cappello delle sue trovate; la sua voce, unita a frasi intelligenti e mai
Nell’ultimo mese tre spettacoli hanno animato la piazza teatrale cittadina: il “Matteotti Medley” di Maurizio Donadoni, l’intelligente ironia di Alessandro Fullin e le parole con cui Michele Serra ha portato sulla scena la sua trentennale “Amaca”.
volgari (difficile, parlando di omo ed eterosessualità), lo rende unico, degno erede di Paolo Poli. Persona libera e consapevole, narciso, un po’ folle, Fullin si muove in modo inequivocabile spiattellando verità, leggendo brani dai suoi amati libri, (perché scrivere è ciò che preferisce fare) manifestandosi come acuto osservatore delle debolezze umane. Ne ha fatta di strada, Fullin, da quando lo si vedeva a Zelig nei panni della prof. isterica di lingua tuscolana, e ne farà ancora molta, perché tanti lo seguiranno volentieri nelle sue aeree elucubrazioni di varia umanità.
Sabato 12 marzo, all’Astra, siamo stati tutti sull’amaca di Michele Serra per riflettere sull’importanza della parola. Lui, sul palco con una mucca finta a rappresentare l’importanza del silenzio e con un carrellino di corsivi (ne ha scritti circa diecimila, tutti i giorni, per trent’anni) ha raccontato in tono un po’ dimesso, perché è evidente che quello dell’attore non è il suo mestiere, il potere della parola, spesso erroneamente contrapposta a quel silenzio che non è assenza di pensiero, ma profonda e necessaria riflessione: ne è emerso un quadro in cui Serra,
che da una vita mette insieme le parole, con gli anni ha scoperto che qualche volta starsene zitti a pensare è cosa migliore, buona e giusta. Magari lo facessimo tutti.
Nello spettacolo, diretto da Andrea Renzi, Serra si è raccontato fin da bambino, soffermandosi a quell’inizio carriera che per molti giornalisti – noi con lui – equivale a preistoria; da quel periodo pretecnologico, le uniche a rimanere immutabili sono state le parole, sempre e comunque scelte dalla persona che dice o scrive. Dopo un tantino di scontata autocelebrazione, Serra ha letto titoli del suo Cuore, giornale satirico, che sono rimasti nella storia e, in chiusura, anche “L’amaca del giorno dopo”. A noi è piaciuto soprattutto alla fine, quando ha tirato fuori da tasche e taschini un bel po’ di foglietti da leggere in caso di bis. Si è messo a nudo, fra le nuvole che scorrevano dietro di lui, ma alla fine una cosa s’è capita: accanto all’importanza del silenzio, sullo stesso piano, sta quella delle parole ben pensate, ben scelte, ben dette, che sono importanti tanto quanto. Lo stesso Serra ha citato quel rivoluzionario Don Milani che diceva “Un operaio conosce cento parole; un padrone mille, ed è per questo che è il padrone”… ◆
la
Domenica 23 aprile, alle 18.30, l’Astra ospiterà “Omaggio a Morricone”, spettacolo promosso da Veneto Jazz con Zen Production, in collaborazione con il Comune. A suonare le musiche del grande maestro sarà l’Ensemble Symphony Orchestra, diretto da Giacomo Loprieno. Già in passato il gruppo aveva proposto in giro per l’Italia un concerto dedicato a Morricone, ma stavolta sono stati inseriti altri titoli, come “Sacco e Vanzetti”, “La Califfa”, “Gli intoccabili”… con nuovi arrangiamenti per esaltarne la bellezza. L’Ensemble ha scelto tra le cinquecento colonne sonore, che hanno fatto vendere al loro autore ben settanta milioni di dischi in tutto il mondo, un record che ha dell’incredibile. Il gruppo diretto da Loprieno vanta colla-
borazioni, fra gli altri, con Biondi, Allevi, Zero, Renga, i Pooh, la PFM, Sting, Robbie Williams, Bacalov; ha all’attivo oltre seicento concerti in Europa e affida alla solista Anna Delfino il compito di emozionare con “Deborah’s Theme” da “C’era una volta
Una mostra particolare promossa da “Il Mondo nella città” presso la sede di Atelier Nuele, in occasione della festa della donna.
Iniziativa profonda e originale, la mostra promossa da “Il Mondo nella città” presso la sede di Atelier Nuele, in occasione della festa della donna. “Donne in particolare”, ha voluto raccogliere pensieri ed emozioni di donne ospiti dell’associazione scledense, che offre rifugio e progetti di integrazione per le richiedenti, e i richiedenti, asilo.
Attraverso gli scatti della fotografa Tina Galluccio, ogni donna ha potuto mettere in evidenza una parte del proprio corpo: occhi per osservare ciò che ci circonda, mani per crescere bambini, segni sulla pelle e sull’anima che hanno reso alcune donne quelle che sono oggi. Gli scatti ricordano come le singole parti del corpo ci caratterizzino, ma allo stesso tempo ci rendono una cosa sola, invitando a riflettere sul fatto che nessun mare e
in America” e al violinista del Circle du Soleil Attila Simon l’assolo di “Love Affair”; le voci dei personaggi sono dell’attore Andrea Bartolomeo, che gli scledensi hanno applaudito in uno spettacolo da storia del teatro: “Macbettu”. ◆ [M.D.Z.]
“Pinocchio”, del quartiere di Magré-Monte Magré-Liviera-Ca’Trenta, ha vinto il trofeo del carnevale scledense, tornato in grande spolvero e con pienone di pubblico dopo gli anni tristi della pandemia. Il personaggio fiabesco era una metafora delle bugie. Evidentemente gli abitanti di quella zona della città hanno voluto sottolineare che i politici non ne dicono un sacco, ma addirittura... un carro. [M.D.Z.]
nessuna frontiera saranno mai abbastanza spaventosi da separare famiglie, sogni e speranze, soprattutto se nutriti dalla forze delle donne. ◆ [T.F.M.]
Il prossimo 27 aprile l’Astra ospiterà una serata organizzata da Scoppiospettacoli con il comico Filippo Caccamo nel suo “Tel chi Filippo”, show che prende le mosse dal mondo della scuola raccontato ovviamente col metro della risata. Caccamo è un personaggio di successo nei social, con una community di mezzo milione di follower, ma ha preso parte anche a Colorado, Eccezionale veramente e ZeligLab. Ha al suo attivo anche un libro di successo edito da Mondadori, “Vai tranquillo”. A soli 29 anni, questo artista laureato in storia e critica dell’arte sta andando proprio forte. Un nutrito pubblico, soprattutto di insegnanti, è in attesa delle sue battute. ◆ [M.D.Z.]
Non ho niente contro i ciclisti. Io stesso fin quando il fiato mi ha sorretto, facevo lunghe gite in solitaria con una bicicletta da corsa. Poi quando gli anni hanno cominciato ad affollarsi nei garretti, l’ho regalata a qualcuno, non ricordo più a chi.
Ce l’ho un po’ su però con quelli che vogliono passare in bicicletta in mezzo alla folla del mercato del sabato. In altri tempi li avrei affrontati come un sostituto dell’Autorità: “Varda che no se poe mia ‘ndare in mezo al marcà in bicicleta”. Ma vuoi che il passare degli anni mi abbia rammollito o
vuoi che in fondo io tema reazioni violente, me ne sto zitto e anzi tendo a lasciare spazio. “Alla fine” mi dico “io non sono né vigile né carabiniere”.
Ce l’ho un po’ su anche con quelli che fanno le corse sui marciapiedi e che, totalmente silenti, mi càpitano alle spalle, sfiorandomi. Qualche volta ho pensato: “Se mi fossi spostato di un pelo verso destra o verso sinistra, mi avrebbe preso in pieno”.
Una volta, su tutte le biciclette era obbligatorio montare un campanello e suonarlo in caso di bisogno. Non so se questa regola valga ancora adesso: il fatto è che sul marciapiede la bicicletta non ci dovrebbe
essere, anche se le piste ciclabili disegnate nel centro storico hanno indotto l’errata convinzione che il ciclista possa andare dove vuole e nella direzione che gli è più comoda. Mi è capitato di essere in macchina in via Mazzini con l’intenzione, arrivato al Sojo, di girare a sinistra in via don Francesco Faccin: dall’angolo di casa Greselin è uscito come un fulmine un ciclista contromano. Non so dire come sono riuscito ad evitarlo. Gli ho suonato a lungo e poi ho guardato nello specchietto retrovisore e questo alzava un braccio, mi pareva con una certa stizza. Il messaggio era chiaro: “Va in mona”.
Per inviare lettere e contributi a SchioMese, scrivere a: schiothienemese@gmail.com Si prega di inviare i testi soltanto via posta elettronica e di contenere la lunghezza: testi troppo lunghi non potranno essere pubblicati a prescindere dai contenuti.
Per motivi di volontariato (servizio col pulmino della Scuola Paritaria dell’Infanzia San Domenico Savio di Magrè) il percorso quotidiano mi costringe a passare in viale dell’Industria verso la zona industriale, attraversando quindi, dopo l’intersezione con via Paraiso, i binari della ferrovia Vicenza-Schio. Mi è capitato spesso di restare “intrappolato” nelle ben note code che regolarmente si formano per effetto della chiusura del passaggio a livello e che hanno dato luogo a varie discussioni: spostamento della stazione nei pressi dell’attuale fabbrica ex Italcementi o costruzione di un sopra/sotto passo.
Ma la mia riflessione non è tanto sul fatto che sia migliore una delle due soluzioni (personalmente sarei favorevole senza ombra di dubbio per il sottopasso della strada rispetto ai binari, vedi Thiene), quanto sul fatto che sia urgente ar-
rivare a una risoluzione del problema, in quanto testimone, in uno degli innumerevoli quotidiani imbottigliamenti dovuti alle sbarre abbassate, del fermo di un’ambulanza, una volta proveniente da Santorso e un’altra palesemente diretta a Santorso. A nulla naturalmente hanno potuto i lampeggianti azzurri e la sirena, che è stata spenta durante la sosta per non far impazzire gli occupanti delle auto vicine e il trasportato. Se penso a quanto viene costantemente ribadito circa la tempestività di interventi risolutori in caso di particolari gravi patologie, interventi che sicuramente non possono essere effettuati in ambulanza, ma da specialisti in camera operatoria o in terapia intensiva! Mentre è recente il caso di due mezzi dei Vigili del Fuoco appena partiti dalla vicina caserma e diretti verso la zona industriale. Anche su questi mezzi, lampeggianti
blu e sirene spiegate, spente anche queste per riguardo e perché oggettivamente inutili durante la sosta forzata. Mentre guardavo la scena, pensavo: “E se fossero stati chiamati per l’incendio di un’abitazione? O in caso di incidente stradale? E non per salvare il gattino bloccato su una grondaia?” Magari ci sono in ballo vite umane che rimangono in funzione della tempestività degli interventi sia dei paramedici che dei vigili del fuoco (a volte, in caso di gravi incidenti stradali, le ambulanze e i paramedici attendono proprio l’arrivo dei vigili del fuoco prima di poter efficacemente intervenire). Quindi quello da me visto e documentato chissà quante altre volte sarà successo e succederà. Una soluzione quindi deve essere trovata subito e realizzata nel più breve tempo possibile (!?) e non solo quindi per evitare code e/o il congestionamento del traffico, magari anche prima di pensare all’elettrificazione della linea.
Ottorino Orizzonte