QUENTIN GAREL VANNI CUOGHI GABRIELE BURATTI MASSIMO CACCIA ALICE ZANIN
G A L L E R I A P U N T O S U L L’ A R T E Q U E N T I N G A R E L - VA N N I C U O G H I - G A B R I E L E B U R AT T I MASSIMO CACCIA - ALICE ZANIN
COMUNE DI COMERIO CENTRO CIVICO - PRESSO LA SALA DELLA COLLEZIONE ZOOLOGICA MASSIMO CACCIA - ALICE ZANIN
RESPECT 11 MAGGIO – 7 GIUGNO 2014 MOSTRA A CURA DI: ALESSANDRA REDAELLI IN COLLABORAZIONE CON: COMUNE DI COMERIO (VA) CATALOGO A CURA DI: SOFIA MACCHI E GIULIA STABILINI TESTI: ALESSANDRA REDAELLI PROGETTO GRAFICO: ALESSANDRO ILARDA Copyright ©PUNTO SULL’ARTE CENTRO CIVICO DI COMERIO | VIA STAZIONE 8 | 21025 COMERIO (VA) | ITALY | WWW.COMUNE.COMERIO.VA.IT PUNTO SULL’ ARTE | VIALE SANT’ANTONIO 59/61 | 21100 VARESE (VA) | ITALY | +39 0332 320990 | INFO@PUNTOSULLARTE.IT QUENTIN GAREL | COURTESY GALLERIA FORNI, BOLOGNA ALICE ZANIN | COURTESY GALLERIA BIANCA MARIA RIZZI & MATTHIAS RITTER, MILANO
QUENTIN GAREL VA N N I C U O G H I G A B R I E L E B U R AT T I MASSIMO CACCIA ALICE ZANIN
La mostra “RESPECT” nasce dal desiderio di promuovere e rivalutare in chiave artistica il patrimonio culturale di Comerio. Il nostro borgo, seppur di piccole dimensioni, oltre che di bellezze naturali straordinarie è ricco di testimonianze storico-architettoniche che rimandano a diverse epoche: la chiesa romanica di San Celso dell’XI secolo è uno splendido esempio del romanico lombardo, la villa Tatti Tallacchini con il suo parco, recentemente tornato a nuovo, ci porta al 700 ed alle prestigiose dimore di quell’epoca, proprietà di famiglie che, incantate dalla bellezza di questi luoghi, stabilirono le loro sedi sia lavorative sia di residenza. E’ proprio in questo articolato complesso architettonico, composto dalla villa e dagli annessi fabbricati occupati fin dalla metà dell’800 dalla vecchia filanda, poi sino al 1970 dalla fabbrica del “Caffè HAG” ed attualmente invidiata sede del Centro Civico Comunale, ove trovano spazio il Municipio, le Scuole Elementari, vari uffici pubblici e la sede di diverse Associazioni, che è situata l’area oggetto della mostra e precisamente nella ex sala di produzione del cacao che, opportunamente ristrutturata, è divenuta sede dal 2008 di una prestigiosa collezione zoologica di notevole interesse scientifico e didattico. In essa si possono trovare animali imbalsamati provenienti da tutto il mondo: dall’orso polare al lupoartico, dai bufali americani ai leoni della savana....... L’incontro con Sofia Macchi della galleria PUNTO SULL’ARTE di Varese, e la condivisione del tema della divulgazione dell’arte all’interno delle case comunali, che devono intendersi oltre che case di cristallo per quanto riguarda la loro trasparenza nei confronti del cittadino, anche case della cultura e della bellezza, ha fatto nascere l’dea di progettare un percorso di valorizzazione dei luoghi di cui Comerio fortunatamente dispone. Il tema della mostra che si svolgerà contemporaneamente a Comerio e Varese sarà quello di promuovere li i temi dell’arte, del rispetto degli animali, della protezione dell’ambiente e della valorizzazione del territorio in un unicum ideale che solo l’arte può fare. Sono convinto che l’Arte possa svolgere due ruoli cruciali in questo momento storico, da un punto divista meramente economico può essere un volano per la crescita del nostro Paese ma, e questo è ancora più importante, da un punto di vista ideale può sostenere e rilanciare il nostro spirito e la nostra naturale propensione al bello. In bocca al leone.
SILVIO AIMETTI | SINDACO DI COMERIO
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The exhibition “RESPECT” is born from the desire of promoting and reconsidering, according to an artistic interpretation, the cultural patrimony of Comerio. Our village, although very little, is abundant of extraordinary beauties of nature and historic-architectonic exemplars dating back to various periods: the San Celso Romanesque church is a wonderful example of Northern Italy Romanesque, the Tatti Tallacchini Villa and its garden, recently requalified, belong to the 18th century when many noble families decided to live and work in this area due to the enchanting surroundings. This compound, composed by the villa and the annexed buildings, which were occupied by the spinning mill during the 19th century, then by the “Caffè Hag” factory until 1970 and nowadays by the Civic Centre of the Municipality -which hosts the Town Hall, Primary Schools, various public offices and associations- has been chosen for the exhibition, more specifically the room previously used for cocoa production, which since 2008 hosts a prestigious zoological collection. The collection presents stuffed animals from all over the world: from the polar bear, to the arctic wolf, the buffalos and the lions from the savannah... The encountering with Sofia Macchi from the PUNTO SULL’ARTE gallery in Varese and the sharing of the concept of art’s divulgation within municipality locations, which should be intended both as cristal houses with reference to the transparent relationship with citizens and culture and beauty places, wasthe starting point of Comerio’s valorization. The exhibition, which will take place both in Comerio and Varese, will focus upon art, animal andenvironmental protection and territorial valorization. I believe Art can solve two fundamental needs for our country and people: it should become both the driving force of our economy and the foundation of our natural inclination towards beauty. Good luck.
SILVIO AIMETTI | SINDACO DI COMERIO
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COMERIO, STORIA DI UNA COLLEZIONE Sono quasi 200 (per l’esattezza 193) gli animali presenti a Comerio. Tra questi ci sono tre leoni, un ghepardo, due leopardi, due coccodrilli, un numero sorprendente di erbivori (tra cui l’orice dalle corna a sciabola e l’addax, o antilope dalle corna a vite) e anche un orso polare e un lupo artico. Sono così reali, così vicini e accessibili, che lì per lì il visitatore restaspiazzato come se fosse stato ammesso in uno spazio che non gli compete. Abituati all’inaccessibilità e alla distanza che contraddistinguono le collezioni di animali imbalsamati nei più classici musei di scienza naturale (di solito sono conservati dietro gelide teche o inseriti in artificiosi diorami dove sono inscenate azioni tipiche della loro specie), restiamo interdetti davanti alla soffice criniera del leone che sembra lì apposta per farsi accarezzare o alla sua zampona che ci offre alla vista i polpastrelli (e il paragone con quelli del gattino di casa è inevitabile...). Al di là dei pregiudizi – che per certi versi possono anche essere considerati legittimi – questo di Comerio è un patrimonio che dal punto di vista scientifico e didattico non può che essere considerato un tesoro. Marco Isabella, che a Comerio esercita la professione di vigile urbano, si occupa in prima persona della collezione come volontario e conosce gli animali uno per uno. Non solo è lui a farsi carico della manutenzione, ma è, prima di tutto, il depositario della loro storia. Una storia che comincia all’incirca quattro anni fa, quando due famiglie della zona, i Braito di Comerio e i Bossi di Gavirate, decidono di donare le loro collezioni di animali al comune. Trovato lo spazio, gli animali sono quasi subito resi visibili al pubblico, tuttavia sono ancora pochi quelli che conoscono e fruiscono di questo patrimonio, nonostante si tratti di una delle più ricche collezioni italiane visitabili di animali africani. Questi animali sono stati cacciati, naturalmente. Non ieri, in passato, ma sono stati cacciati, e questa forse è una realtà inconciliabile con i convincimenti più profondi di molti di noi. Ma dato questo fatto oramai incontrovertibile, vale la pena di riflettere per qualche istante su un tema scottante, doloroso, che ci mette a disagio, ma che non può renderci miopi al punto di rinunciare alle valenze positive di un patrimonio del genere. Anche perché quando questi animali sono stati abbattuti, in Namibia, in Botswana, in Mozambico, ciò è stato fatto secondo criteri selettivi controllati. La caccia è stata condotta secondo le leggi vigenti. (Discutibili? Forse: ma comunque leggi). Tutto è avvenuto all’interno di zone apposite e sotto la supervisione di autorità competenti che concedevano o meno la possibilità di scegliere l’uno o l’altro animale. E perché le tasse governative incassate dalle autorità per quell’attività sono state convertite in asili, scuole, stipendi per guardie antibracconaggio e per sostanziali miglioramenti della qualità della vita in molti villaggi. E’ una buona ragione? Non siamo onestamente in grado di dirlo. E’ almeno una ragione sufficiente? Forse sì. E’ una consapevolezza che non riporta in vita animali bellissimi, intelligenti e preziosi per il pianeta. Ma è un fatto. E, mentre il dibattito resta aperto, è un fatto che ci consente di guardare un po’ più a fondo dentro di noi, di venire a patti almeno in parte con un lato di noi (noi umani, noi umanità) che non possiamo ignorare.
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ALESSANDRA REDAELLI
COMERIO, STORY OF A COLLECTION Almost 200 (193 to be exact) animals are exposed in Comerio. Among them three lions, a cheetah, two leopards, two crocodiles, numerous plant-eating (such as the saber-horn orice and the addax or screw-horn antelope), a polar bear and a polar wolf. They are so real, near and reachable to cause surprise within the audience, as if it has trespassed its usual boundaries. Accustomed to the typical inaccessibility and gap of stuffed animals’ collections into classical Natural Science museums (usually they are preserved behind icy cases or within dioramas which stage the common actions of their species), the audience is taken aback in front of the soft lion’s mane which almost invites caressing or its big paw turned on the pads’ side (to be compared with the domestic kitten’s one...). Apart from prejudices -which in certain ways are fully licit- the one in Comerio is an invaluable scientific and didactic patrimony. Marco Isabella, one of Comerio’s traffic policemen, takes care of the collection as a volunteer and knows the animals one by one. He isn’t the only person in charge of the maintenance, but first of all he is the depositary of their history. A history which began 4 years ago, when two local families, the Braito from Comerio and the Bossi from Gavirate, donated their animal collections to the municipality. Once the location was found, the public exposition was almost immediately organized, nonetheless few people know and visit it, although it is one of the biggest Italian collections of African stuffed animals. These animals have been hunted, of course. Even if it happened in the past, it might be an incompatible reality according to our deepest beliefs. However, given this undeniable fact, and conscious of the importance of pondering upon such a burning, painful and embarrassing theme, we should also consider also the positive value of this patrimony. Not least because those animals were shot down in Namibia, Botswana, Mozambique, according to controlled selective criterion. The hunting was conducted following existing laws (maybe arguable, but still laws). It was carried out within special areas, under the supervision of competent authorities who allowed the killing of an animal or not. Moreover, the taxes paid for this activity were turned into kindergartens, schools, salaries for anti-poaching guards and substantial improvements of the living standards in many villages. Is this a good reason? We cannot honestly pronounce upon it. Is it a sufficient one? It might be. It is an awareness which doesn’t bring back beautiful, intelligent and important animals. Nonetheless, it is a fact. A truth which, while the debate goes on, allows a deeper analysis of ourselves thus coming to terms with an aspect of human behaviour which cannot be ignored.
ALESSANDRA REDAELLI
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L’ANIMA E L’ANIMALE Alle soglie del terzo millennio dobbiamo tutti seriamente riconsiderare il nostro rapporto con gli animali. E un’occasione può essere anche la scoperta (sì, la collezione esiste ed è aperta al pubblico da quattro anni, più o meno, tuttavia ha il sapore del ritrovamento archeologico) di un lascito di animali imbalsamati. La prima sensazione che si prova quando ci si trova davanti a oggetti di questo tipo – e già la scelta della parola “oggetti” si avverte come faticosa, ma qual è la parola giusta? – è un immediato senso di disagio. Perché sono morti? Non è una spiegazione sufficiente. Al netto della curiosità per il fatto di vedere così da vicino da poterlo toccare un esemplare adulto di leone maschio, o di saggiare le proporzioni reali tra un orso polare e un lupo artico, la definizione più verosimile della sensazione che proviamo è senso di colpa. Anche se non è chiaro per cosa. È un senso di colpa stratificato e transgenerazionale, direi, che ci fa sentire responsabili del fatto che questi animali, oramai, sono oggetto di documentari e trasmissioni televisive che potrebbero – nel giro di pochi anni – restare le ultime testimonianze della loro esistenza. Abbiamo la percezione che la natura, nel suo complesso, va sempre più sfuggendoci come concetto reale e che se noi adulti di oggi, generazione degli anni Sessanta o Settanta, forse abbiamo avuto la fortuna di avere una bisnonna o una zia che ci ha portati in una fattoria a vedere i suoi conigli e a prenderli in braccio (salvo poi servirceli con le patate, facendoci sciogliere in lacrime... ma anche quella era un’emozione positiva), la fruizione che i nostri figli hanno della gran parte degli animali è spesso quella artificiosa del giardino zoologico – per quanto raffinato e “umano” esso sia – in cui l’animale resta qualcosa di così “altro” e lontano da essere facilmente paragonabile a un supereroe dei fumetti o alla versione sdolcinata e leziosamente umanizzata dell’orso che possono darci i cartoni animati di Winnie the Phoo. Che cosa è successo, esattamente? Secondo la Società italiana di Ecologia, la prima causa di distruzione dell’ambiente è la presenza umana (sarà da qui che viene il nostro strisciante senso di colpa?). Il tasso di estinzione legato alle nostre attività è mille volte superiore (mille!) a quello naturale. Negli ultimi quarant’anni le popolazioni di vertebrati sono diminuite di un terzo e secondo la World conservation union sulle 71mila specie esistenti, 21mila stanno già correndo un serio rischio di scomparire. Del rinoceronte di Sumatra, per fare un esempio semplice, sono rimasti meno di 270 esemplari, di quello di Giava meno di 60, mentre quello nero occidentale è stato dichiarato ufficialmente estinto nel 2011. Tuttavia, al di là della tenerezza che ci suscita il musetto dell’ultimo panda (sicuramente più in grado di generare immediata empatia rispetto al rinoceronte), il rischio reale è quello di appiattire la biodiversità in un’uniformità che svuota e svilisce il pianeta. E se per farcelo ricordare una volta di più, per ricordarci che ogni singolo gesto di ogni singolo individuo può fare la differenza, può essere utile una
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visita a una collezione di animali selvaggi impagliati, questo può rivelarsi un ottimo motivo per andare oltre la sensazione di “sbagliato” che questi animali ci comunicano al primo impatto. Per cogliere nella sua pienezza il tesoro che comporta poter vedere e studiare da vicino un essere che diventa di giorno in giorno sempre più prezioso. Perché non è ignorando un problema che lo si risolve: al limite lo si aggira, lasciandolo alla prossima generazione. E se forse la posizione di Jonathan Safran Foer può sembrarci troppo estrema, non si possono ignorare le realtà alle quali ci mette davanti in un saggio fondamentale come “Se niente importa, perché mangiamo gli animali?” Il fatto che per ogni chilo di gamberetti pescati si uccidono 24 chili di altri animali e che le prede accessorie (così si chiamano) della pesca del tonno sono altre 95 specie tra cui diversi tipi di squali e tartarughe, per esempio; o che secondo l’ONU gli allevamenti intensivi (bovini, suini, pollame) sono responsabili del 18% delle emissioni di gas serra, 40% in più dell’intero settore dei trasporti; o, ancora, che una spaventosa percentuale dei polli allevati intensivamente sono contaminati dal batterio dell’Escherichia Coli e che proprio lì, negli allevamenti intensivi di polli (e di suini), si annida la minaccia della prossima pandemia influenzale. Il vero cortocircuito, oggi, è quello che si crea tra il rapporto intenso eintensamente umanizzato che abbiamo con i nostri animali domestici – di cui ogni giorno abbiamo occasione di saggiare l’intelligenza e l’emotività – e la distanza che sempre di più ci separa da tutti gli altri animali, che finiscano o meno nel nostro piatto. Il nostro volontario ignorare le sofferenze degli animali che abitualmente consideriamo come oggetti a nostra disposizione e la nostra (reale) ignoranza sulle risorse intellettive degli animali la cuiesistenza rischiamo quotidianamente di dimenticare. E così, se guardare negli occhi il ghepardo impagliato, forse morto per cause che oggi la sensibilità di qualcuno potrebbe considerare non “politicamente corrette”, ma che oramai è lì, e nulla possiamo fare per lui se non prendere il meglio da quello che può darci, se guardare nei suoi occhi, dicevo, può ricordarci che questo animale ha un’intelligenza sofisticatissima, che gli permette, ad esempio, di mappare lo spazio e catturare la preda sfruttando l’ipotenusa di un triangolo rettangolo... be’, forse può davvero valerne la pena. L’arte, oggi, ha con l’animale un rapporto ambivalente che la dice lunga su quello che realmente l’uomo pensa di sé. Per un Wim Delvoye che tatua i maiali (con metodi assolutamente indolori, giura) e poi decide di allevarli in una tenuta protetta, in Cina, dove non verranno mai macellati e moriranno felici di vecchiaia (ancorché tatuati...), abbiamo un Maurizio Cattelan – ad oggi il più quotato artista italiano vivente – che per la Biennale di Venezia del 2011 posiziona per tutto il Palazzo delle Esposizioni, sulle capriate e sui cornicioni, duemila piccioni impagliati. Mentre Damien Hirst – stiamo parlando di un artista che va a cena con François Pinault – fa catturare su commissione degli squali, li mette in formaldeide, li espone in grosse teche. E poi li vende a 12 milioni di dollari. E non possiamo essere così ingenui da credere che questa sia solo la conseguenza del folle marketing dell’arte: la verità è che l’animale sta diventando destinatario di attenzioni inimmaginabili fino a cinquant’anni fa. Icona e oggetto di culto. Qualcosa che sempre di più ci mette davanti al nostro essere vivi, al nostro destino e alla nostra mortalità.
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Eccole lì, tutta la nostra finitezza e la nostra mortalità, nei crani giganti di Quentin Garel. Nelle teste di elefante che si affacciano dal muro come ospiti curiosi, nei lunghissimi, sinuosi colli di struzzo che sbucano a sorpresa dal pavimento, e in quei teschi imponenti, che basta un paio di zanne o un lungo becco arcuato a rendere potentemente espressivi. Ha cominciato con gli animali più umili, quelli che l’uomo ha asservito per farne forza lavoro e cibo (si torna sempre lì), e davvero è difficile trovare teste di bue o di mucca più splendenti e più regali di quelle che Garel realizza in legno, bronzo oppure in ferro, giocando con i materiali e con la nostra percezione, presentandoci il bronzo con una patina opaca, fitto di nodi e nervature, convincendoci al di là di ogni ragionevole dubbio che sia legno. E invece non lo è. Come non è reale la misura, che ci costringe a ripensare l’oggetto e – di conseguenza – a ripensarci. Incompleti come se fossero stati mangiati dal tempo, corrosi dal mare o dalle intemperie, quei teschi ci appaiono redenti dalle brutture della morte proprio attraverso la minaccia tangibile delle loro fauci che sembrano ancora pronte allo scatto. Una morte che si trasfigura nel reperto archeologico, nel lascito prezioso di un tempo passato. E’ un tempo “altro”, invece, quello che si respira nei lavori di Vanni Cuoghi. Un tempo fiabesco e poetico che ci porta a perdere i contatti con il reale. Intensissimo nei contenuti e incomparabilmente lieve nel linguaggio, l’artista ci ha abituato negli anni a lasciarci andare alle sue opere, a perderci in questi mondi costruiti con la logica del sogno per consentire di far emergere le nostre ragioni più semplici e più profonde. Accade qui, davanti a un falcone la cui bellezza imponente e terrificante ci inchioda, facendoci dimenticare il rostro affilato e gli artigli pronti nella posizione della cattura. Ma accade anche davanti all’orso polare a fauci spalancate, personaggio centrale di una favola della quale non ci è dato conoscere né l’antefatto né la conclusione, ma che ci coinvolge dentro una narrazione che si intuisce complessa, tra personaggi che sembrano rubati ad antichi dagherrotipi e misteriose macchine volanti. E se le tigri diventano stupendi gatti domestici, docilmente sottomessi a una fanciulla, ecco preziose gabbie di carta ritagliata, trasformata in un merletto leggerissimo, a contenere belve la cui ferocia si stempera nella pura delizia estetica. Chi ci richiama bruscamente alla realtà è Gabriele Buratti. I suoi oli su tela o su tavola dalle atmosfere brumose, la sua tavolozza spartana giocata tutta sui grigi e sui bruni, ci mettono davanti a un mondo spento, soffocato, nel quale l’animale sembra lottare per la sopravvivenza. Il contrasto stridente che si crea tra l’animale selvatico – iena, ghepardo, elefante, rinoceronte, zebra – e lo scenario urbano in cui l’artista decide di collocarlo, ci spiazza, ci invita a cercare l’uomo, da qualche parte. E non trovandolo ci spinge a pensare a un dopo forse nemmeno lontanissimo, un day after in cui la natura selvaggia si impadronirà della metropoli oramai abbandonata e lì, a fatica, ricostruirà il suo habitat. La scelta, poi, di inserire nel dipinto codici a barre e numeri in sequenza come in sovrimpressione, sdoppia i piani significativi, offrendoci una seconda lettura simbolica, quella del consumismo, destinato inesorabilmente a distruggere ciò che di più autentico ancora possediamo.
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Lievi, sottili, aerei anche quando hanno le zampe ben piantate a terra sono gli animali di Alice Zanin. Sono lemuri dai musi affilati, elegantissime manguste, fennec dalle grandi orecchie e nobili antilopi che sembrano muoversi in una danza leggiadra. La scelta di un materiale versatile come la cartapesta regala all’artista una libertà creativa altrimenti inimmaginabile e dà alle sue opere una reale leggerezza che le consente di appenderle in installazioni scenografiche di stormi in volo. La cartapesta, lasciata spesso a nudo, rivela gli articoli delle pagine dei quotidiani utilizzati come materia prima, i titoli, le fotografie, e lascia così sul manto dell’animale un mondo di parole (sottolineato dai titoli dei lavori, in particolare nella serie Verba volant scripta...), creando una contrapposizione interessante con l’esattezza, invece, millimetrica di alcuni dettagli anatomici. La stilizzazione allo stato puro è invece la cifra principale di Massimo Caccia, i cui smalti su legno sono una delle voci più squillanti ed emblematiche del nuovo Pop di inizio millennio. Definiti da linee pulitissime di eleganza quasi astratta, scanditi in campiture piane a colori accesi e costruiti su impeccabili equilibri spaziali, gli animali di Caccia sono vicinissimi e accessibili nella loro immediata riconoscibilità, ma soprattutto nel loro piccolo dramma personale. Sono conigli minacciati da forchette che stanno precipitando in verticale sulla loro schiena, libellule in equilibrio sulla lama affilata di un taglierino, pesci che tra un istante abboccheranno all’amo; esseri al bivio, in bilico tra la salvezza e un destino crudelmente beffardo sul quale non hanno alcun potere di intervenire. E allora rieccoci da capo a riconsiderare quale sia, oggi, il nostro rapporto con l’animale, come l’anima si specchi nell’animale. Perché in fondo, nella loro colorata solitudine, così piacevole e appagante per il nostro occhio, questi conigli minacciati, questi insetti inconsapevoli, questi pesci pronti a farsi divorare sono, senza ombra di dubbio, ognuno di noi.
ALESSANDRA REDAELLI
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THE SOUL AND THE BEAST Being at the beginning of the third millennium, we should reconsider our relationship with animals. An opportunity could be the discovery (even if the collection exists and has been open to public for 4 years, it still seems like the finding of an artifact) of a legacy of stuffed animals. The first sensation felt in front of this kind of objects - even the choice of the term “objects” is painful, but which is the right word?- is an immediate sense of embarrassment. Why did they die? It is not an adequate explanation. Apart from the curiosity of observing very closely an example of male adult lion, or assay the real proportions between a polar bear and a polar wolf, the true sensation felt is guilt. Although we cannot define its origin. It is a stratified and transgenerational guilt, making us responsible of turning these animals into mere subjects for documentaries and TV shows, which could become within few years the last proof of their existence. We perceive that the real concept of nature is slipping away from us; whereas nowadays adults, born during the sixties and seventies, had the chance of growing with a greatgrandmother or an aunt who took them to farms to pet rabbits (only to then baking them with potatoes, making us cry... even though it was a positive sensation), our kids’fruition of animals is often the one conveyed by the zoological garden, wherein the animal is too distant to be compared to a superhero or Winnie the Phoo. What happened? According to the Italian Ecology Society, the first cause for environmental destruction is human presence (is this the origin of our guilt?). The rate of extinction connected to our activities is a thousand time superior (a thousand!) compared to the natural one. During the last 40 years vertebrate populations decreased of one-third and according to the World conservation union among 71 thousands of existing species, 21 thousands are already risking to disappear. The Sumatra Rhino amounts to 270 examples, the Giava one to less than 60, whereas the western black one extinguished in 2011. However, going beyond the tenderness inspired by the last panda (which surely raises more empathy than the rhino), the risk is to iron biodiversity into an uniformity which empties and debases the planet. Therefore, visiting a collection of stuffed animals could be useful to remember that each gesture by each individual makes the difference, thus outdoing the first sensation of wrong. Consequently seizing the value of observing and studying an exemplar which day after day becomes more precious. Since the problem can’t be solved by ignoring it: in the best case, we elude it, leaving it to next generation. Although the positin by Jonathan Safran Foer might seem extreme, some aspects shown in his essay “Eating Animals” cannot be neglected. For example, the fact that for each kilogramme of fished shrimps 24 kilogrammes of other animals are killed and that the accessory preys during the tuna fishing amount to 95 other species, among which there are sharks and turtles; or else, according to UN intensive animal farming (bovines, pigs and poultry) produce the 18%
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of greenhouse gases, 40% more than the whole transportation system; moreover, a dreadful percentage of intensively bred poultry is infected by Escherichia Coli and intensive livestock (poultry and pigs) contain the next global flu epidemic. The true short circuit is represented by the intense and almost humanized relationship with our domestic pets -whose intelligence and sensitivity can be daily witnessed- compared to the distance kept with other animals, whether they wind up in our plates or not. Therefore, our voluntary ignoring animals’ sufferings, since they are usually considered as objects at our disposal, and our ignorance about the intellectual abilities of those animals whose existence we risk to forget. Therefore, looking into the eyes of a stuffed leopard -even if killed by politically incorrect actions- focusing upon its ability of mapping the surrounding space and capturing its prey by using the hypotenuse of a right triangle, can surely be a valued experience. Contemporary art has an ambivalent relationship with animals, which clearly explains how man sees himself. As Wim Delvoye tattooes pigs (through painless methods, he guarantees) and then breeds them into a protected farm in China where they will never be slaughtered and will die of old age (yet tattooed), Maurizio Cattelan - thus far the most valued Italian living artist - who, during the Venice Biennal in 2011, placed around the Exposition Palace, on the trusses and ledges, two thousands stuffed pigeons. On the other hand Damien Hirst -an artist who dines with François Pinault- gets sharks caught on commission, puts them in formaldehyde and exposes behind huge cases. In the end, he sells them for 12 million dollars. We cannot believe that it is the mere consequence of crazy art marketing: the truth is that animals are becoming the addressees of attentions which were unforeseeable fifty years ago. Icons and cult objects. Something which puts us in front of our being alive, destiny and mortality. Here are our finiteness and mortality, within the giant skulls by Quentin Garel. Within the elephant heads which appear from the wall like inquiring guests, or the long and sinuous ostriches’ necks suddenly springing from the floor and in those majestic craniums whose expressions can be made powerful simply adding a couple of tusks or a curved beak. He started with the most humble animals, the ones submitted by man to obtain labor force and food (our starting point of discussion), and it is hard to find steer or cow heads more shining and regal than the wooden, bronze or iron ones by Garel, who plays with materials and our perception, presenting bronze as an opaque patina, filled with bows and veins, thus convincing us it is wood. Although it is not. In the same way, the size is unreal, urging to rethink the object and -as a consequence- rethink ourselves. As if they were consumed by time, worn out by the sea or weather-beaten, those skulls appear redeemed from death’s ugliness since their jaws seem ready to spring. A death which transfigures into the artifact. A different kind of time is the one presented by Vanni Cuoghi. A fairy-like and poetic time, completely detached from reality. By choosing intense themes and a delicate language, the artist invites us to lapse into his works, loosing ourselves into surreal worlds letting our plainest and deepest emotions emerge. It happens both in front of a falcon whose beauty is so majestic and dreadful to ignore its sharp beak and claws, already positioned for the capture, and in front of a polar bear, the protagonist of a fairy tale whose prologue and conclusion are
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unknown, nonetheless involving us with a complex narration, among characters who seem to derive from ancient daguerreotypes and mysterious flying machines. His tigers are transformed into wonderful kittens, humbly subdued to a young girl, and his paper cages into airy crochets, trapping beasts whose ferocity is tempered by the aesthetic delight. The audience is then abruptly thrown back to reality by Gabriele Buratti. His oil paintings are characterized by a hazy atmosphere, since his palette is dominated by greys and browns, thus presenting a dull and repressed world, wherein animals struggle for survival. The clash between wild animals -hyena, cheetah, elephant, rhino, zebra- and the urban context wherein the artist sets them, shocks the audience, who desperately looks for human presence. Since man can’t be found, we are urged to ponder upon a future, a day after, when nature will conquer abandoned metropolis recreating its habitat. In the end, the choice of inserting bar codes and sequences of numbers, provides another interpretation linked to consumerism, an attitude which is going to destroy our remaining authenticity. The animals by Alice Zanin are delicate, thin and airy, even with their paws rooted to the ground. Lemurs with pointed snouts, elegant mongooses, long-eared fennecs and noble antelopes which move as if they were gracefully dancing. The choice of papier-mâché allows the artist to express her creative freedom, gifting her works with such lightness to enable their scenographical arrangement into flying flocks. The articles and photos of the newspapers used as raw material are clearly visible, and they decorate the animals’ coats with words (as described by the works’ title, especially in the series Verba volant scripta...), creating also an interesting contrast with the millimetric precision of certain anatomical details. Stylization is instead Massimo Caccia’s code, whose varnishes upon wood represent one ofthe brightest and most symbolical voices of third millennium’s new pop. His animals, defined by tidy, almost abstract, lines, spaced out by vividly coloured fields and built upon perfect balances, are more easily recognizable and their personal drama is more understandable. There are rabbits threatened by falling forks, dragonflies balancing upon a knife, fishes which are going to swallow the hook; living beings balancing between safety and a cruel, inevitable destiny. Observing them, we are urged to rethink our relationship with animals and our soul’s reflection into them. Since we are like threatened rabbits, unaware insects and fain to be devoured fishes.
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ALESSANDRA REDAELLI
OPERE
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QUENTIN GAREL
C O U R T E SY G A L L E R I A F O R N I , B O LO G N A
AUTRUCHE II Bronzo | 230 x 100 x 50 cm | 2013
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CRANE D’ALBATROS Bronzo | 57 x 75 x 24 cm | 2013
FLAMAND ROSE II Bronzo | 180 x 120 x 40 cm | 2013
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TIGRE À DENTE DE SABRE Bronzo | 75 x 27 x 40 cm | 2013
PALIMPSESTE Matita su carta | 100 x 70 cm | 2013
AUTRUCHE II Bronzo | 230 x 100 x 50 cm | 2013
VA N N I C U O G H I
IL DISGELO Acrilico e olio su tela | 80 x 80 cm | 2014
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LEONIDA, IL DOMATORE DOMATO Acquerello su carta | 33 x 22 cm | 2014
AQUILINO, IL DOMATORE DOMATO Acquerello e acrilico su carta | 33 x 22 cm | 2014
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THE SCARECROW China e ecoline su carta foderata, ceramica e mangime per uccelli | dimensioni variabili | 2013
AI MARGINI DEL MONDO CONOSCIUTO Acquerello, china e collage su carta | 60 x 80 cm | 2014
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G A B R I E L E B U R AT T I
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RIFUGIATI POLITICI Olio su tela | 100 x 120 cm | 2013
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DIRITTO CIVILE, DIRITTO NATURALE Olio su tavola | 124 x 94 cm | 2013
RICOGNIZIONE URBANA Olio su tavola | 127 x 97 cm | 2013
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MINISTERO VACANTE Olio su tavola | 89 x 122 cm | 2013
RICOGNIZIONE URBANA Olio su tavola | 87 x 130 cm | 2013
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MASSIMO CACCIA
SENZA TITOLO Smalto su tavola | 20 x 20 cm | 2014
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SENZA TITOLO Smalto su tavola | 75 x 75 cm | 2011
SENZA TITOLO Smalto su tavola | 75 x 75 cm | 2011
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SENZA TITOLO Smalto su tavola | 75 x 75 cm | 2012
SENZA TITOLO Smalto su tavola | 20 x 20 cm | 2013
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ALICE ZANIN
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C O U R T E S Y G A L L E R I A B I A N C A M A R I A R I Z Z I & M AT T H I A S R I T T E R , M I L A N O
VERBA VOLANT SCRIPTA CAMELOPARDALIS SUNT I II Cartapesta | 140 x 240 x 60 cm | 2012
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VERBA VOLANT SCRIPTA DESILIUNT I II III Cartapesta | dimensioni varie | 2013
VERBA VOLANT SCRIPTA NECTUNT Cartapesta | dimensioni varie | 2013
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VERBA VOLANT SCRIPTA IMAGINANTUR Cartapesta | 84 x 57 x 46 cm | 2013
VERBA VOLANT SCRIPTA VELLICANT VIII Cartapesta | 29,5 x 18 x 13,5 cm | 2013
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BIOGRAFIE QUENTIN GAREL nasce nel 1975 a Parigi. Dopo il diploma alla Scuola Nazionale Superiore di Belle Arti di Parigi, una borsa di studio all’Art Institute di Chicago e un soggiorno di due anni alla Casa Velasquez di Madrid, opera con commissioni di grande prestigio. Ha realizzato importanti opere pubbliche a Rouen, Lille, Verona, Nanterre, Saint-Cyprien, e ha vinto cinque prestigiosi premi di scultura e disegno tra il 2001 e il 2005. Nel 2013 si è tenuta una sua grande mostra personale presso Bertrand Delacroix Gallery a New York, e nel 2014 ha esposto le sue sculture presso la Galleria Forni di Bologna in occasione della mostra “Garel and Garel”. Ha partecipato a tutte le ultime edizioni di ArteFiera Bologna. Le sue opere fanno parte di collezioni private e pubbliche in Italia, Francia, Spagna e USA. Vive e lavora in Francia. (Courtesy Galleria Forni, Bologna) VANNI CUOGHI nasce nel 1966 a Genova. E’ diplomato in scenografia presso l’Accademia di Brera, Milano. Ha partecipato a numerose biennali in Italia e all’estero, tra cui la Biennale di San Pietroburgo (2008), la Biennale di Praga (2009), la Biennale di Venezia (2011) e la Biennale Italia-Cina (2012) e ha, inoltre, partecipato a mostre pubbliche presso il Palazzo Reale di Milano (2007), l’Haidian Exhibition Center di Pechino, in occasione dei XXXIX Giochi Olimpici (2008), il Liu Haisu Museum di Shangai (2008), il Museo d’Arte Contemporanea di Permm, in Russia (2010), il Castello Sforzesco di Milano (2012). Sue opere sono state esposte in diverse fiere italiane e internazionali come Frieze (Londra), MiArt (Milano), Artefiera (Bologna), Scope (New York). Nel 2012, su commissione di Costa Crociere, ha realizzato otto grandi dipinti per la nave Costa Fascinosa. Vive e lavora a Milano. GABRIELE BURATTI nasce nel 1964 a Milano ed è laureato al Politecnico di Milano in Architettura del Paesaggio. Ha realizzato mostre personali e collettive, sue opere sono state esposte in fiere di settore italiane e ha partecipato a diversi premi classificandosi sempre tra i finalisti e semifinalisti. Nel 2010 si è qualificato primo al premio “United for animals Awards” a Milano. I suoi dipinti contengono un marchio, un vero e proprio codice a barre, lo stesso che si trova sui prodotti che segnano la produzione del nostro tempo, caratterizzata da un forte consumismo. Proprio questo marchio è diventato un’icona, un segno, un’immagine forte che si trova quasi sempre nei suoi dipinti, dando di lui un’idea forte della sua arte che non è avulsa dalla storia degli ultimi anni, di quella storia economico-sociale che ha dato ai paesi occidentali processi accellerati. Vive e lavora a Milano.
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MASSIMO CACCIA nasce nel 1970 a Desio (MI). Nel 1992 si diploma in pittura all’Accademia di Belle Arti di Brera, a Milano, e dal 1995 espone in mostre personali e collettive e partecipa a fiere di settore. Oltre a dipingere, crea titoli di testa per cortometraggi, illustra libri per bambini e si cimenta con l’animazione. Ha creato diverse campagne pubblicitarie per note reti televisive, come Tele+ e, nel 2007, ha pubblicato la graphic novel Deep Sleep (Grrrzetic Editrice). Protagonisti delle sue opere sono animali immortalati nelle più assurde situazioni, posti in relazione con oggetti quotidiani su fondali uniformi, spesso monocromatici. I suoi dipinti sono realizzati con smalti ad acqua su tavole quadrate di medie dimensioni. Vive e lavora a Vigevano.
ALICE ZANIN nasce nel 1987 a Piacenza. Dopo il diploma classico con indirizzo linguistico, frequenta per qualche mese la scuola d’arte “Gazzola” a Piacenza, abbandonando presto per proseguire il suo percorso artistico come autodidatta. Lavora sia nel campo della pittura che in quello della scultura. Per quanto riguarda le opere tridimensionali, il suo interesse investe diversi materiali: terracotta, resina, carta e ferro – singolarmente assemblati. Dal 2012 sceglie di concentrarsi pressoché esclusivamente sulla tecnica della cartapesta, dando vita alla serie “verba volant scripta…”, dove soggetti animali si muovono ironicamente attorno al valore tutto umano della parola. Ha realizzato mostre personali e collettive e ha partecipato a fiere in Italia. Sue opere fanno parte di collezioni private in Italia, Austria e Venezuela. Vive e lavora a Podenzano (PC). (Courtesy Galleria Bianca Maria Rizzi & Matthias Ritter, Milano)
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BIOGRAPHIES QUENTIN GAREL was born in Paris in 1975. After the degree at the National School of Fine Arts in Paris, a scolarship at the Art Institute in Chicago and a two years stay at the Casa Velazquez in Madrid, he now works with prestigiuos assignments. He has realized important public works in Rouen, Lille, Verona, Nanterre, Saint-Cyprien and won five awards between 2001 and 2005. In 2013 the Bertrand Delacroix Gallery in New York presented a huge solo-exhibition of his works, and in 2014 his sculptures were shown at the Galleria Forni in Bologna during the exhibition “Garel and Garel”. He took part in the most recent editions of ArteFiera Bologna. Many of his works belong to private and public collections in Italy, France, Spain and USA. He lives and works in France. (Courtesy Galleria Forni, Bologna)
VANNI CUOGHI was born in 1966 in Genoa. He graduated in scenic design at the Brera Academy in Milan. He took part into various art biennals in Italy and abroad, among which the Saint Petersburg Biennal (2008), the Prague Biennal (2009), the Venice Biennal (2011) and the Italy-China Biennal (2012), moreover he participated into public exhibitions at the Royal Palace in Milan (2007). the Haidian Exhibition in Beijing, during the XXXIX Olympic Games (2008), the Liu Haisu Museum in Shanghai (2008), the Contemporary Art Museum in Permm, Russia, (2010), the Sforza Castle in Milan (2012). His works have been exposed in various italian and international art shows, like Fieze (London), MiArt (Milan), Artefiera (Bologna), Scope (New York). In 2012, commissioned by Costa Crociere, he realized eight big paintings for the Costa Fascinosa cruise ship. He lives and works in Milan. GABRIELE BURATTI was born in Milan in 1964 and graduated in Landscape Architecture at Politecnico. He realized numerous solo and group exhibitions, his works have been selected for many italian art shows ad he took part into various awards, always placing among the finalists and semifinalist. In 2010 he won the “United for Animals Awards” in Milan. His paintings are characterized by a mark, a real barcode, like the one placed upon contemporary products, which so deeply underlines our devotion to consumerism. This mark has turned into an icon, inserted within the majority of his paintings, thus declaring that his art is strongly connected with contemporary history and the socio-economic structure which provided West countries with hasten development. He lives and works in Milan.
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MASSIMO CACCIA was born in 1970 in Desio (Milan). In 1992 he graduated in Painting at the Brera Academy in Milan, and since 1995 he realized solo and group exhibitions and took part into art shows. Apart from painting, he creates film credits, illustrates children’s books and deals with animation. He created various advertising campaigns for known tv networks, such as Tele+, and in 2007 he published the graphic novel Deep Sleep (Grrrzetic Editrice). His protagonists are animals captured in illogical situations and surrounded with daily objects placed against uniform and monochromatic backdrops. His works are medium square boards decorated with water varnish. He lives and works in Vigevano.
ALICE ZANIN was born in Piacenza in 1987. After the degree in classical and language studies, she attended for some months the Gazzola Art School in Piacenza, soon dropping out to continue his artistic path as an autodidact. She is both a painter and a sculptor. For what regards her three-dimensional works, she uses various materials such as: terracotta, resin, paper and iron -singularly assembling them-. Since 2012, she focused upon papier-mâché, creating the “verba volant scripta…” series, whose animal subjects ironically move around the human value of speech. She realized many solo and group exhibitions and took part into various art shows in Italy. Some of her works belong to private collections in Italy, Austria and Venezuela. She lives and works in Podenzano (Piacenza). (Courtesy Galleria Bianca Maria Rizzi & Matthias Ritter, Milano)
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