CLAUDIA GIRAUDO M AT T H I A S V E R G I N E R con performance di G I O VA N N A L A C E D R A
DAIMON 25 SETTEMBRE - 5 NOVEMBRE 2016 CON PERFORMANCE DI GIOVANNA LACEDRA PARÀDEIGMA - 22 OTTOBRE 2016 MOSTRA A CURA DI / EXHIBITION CURATED BY: ALESSANDRA REDAELLI CATALOGO A CURA DI / CATALOGUE CURATED BY: SOFIA MACCHI E GIULIA STABILINI TESTI / TEXTS: ALESSANDRA REDAELLI PROGETTO GRAFICO / GRAPHIC PROJECT: GRETA PALASTANGA Copyright © PUNTO SULL’ARTE PUNTO SULL ARTE | VIALE SANT’ANTONIO 59/61 | 21100 VARESE (VA) ITALY | +39 0332 320990 | INFO@PUNTOSULLARTE.IT
DAIMON “Prima della nascita, l’anima di ciascuno di noi sceglie un’immagine o disegno che poi vivremo sulla terra e riceve un compagno che ci guidi quassù, un daimon, che è unico e tipico nostro. Tuttavia, nel venire al mondo, dimentichiamo tutto questo e crediamo di essere venuti vuoti. È il daimon che ricorda il contenuto della nostra immagine, gli elementi del disegno prescelto, è lui dunque il portatore del nostro destino”. James Hillman “…il daimon che ci costringe, con il bisogno, a imboccare la via: il piccolo dio individuale, lo Shiva interiore”. Carl Gustav Jung
Immersi come siamo in un presente frenetico misurato in gigabyte, trascinati dentro flussi incessanti di immagini, informazioni, stimoli costantemente mutevoli e che costantemente ci richiedono di mutare la qualità delle nostre risposte, sparati come proiettili verso un oltre che si posiziona sempre più lontano, ha ancora senso, nel 2016, una ricerca sull’anima? Oggi tutto è superficie, quanto più sottile possibile e quanto più luccicante – e impenetrabile – possibile. Il “dietro” (il dentro) è vergogna o, nella migliore delle ipotesi, oblio. Eppure è come se non riuscissimo a farne a meno, a dimenticarla. L’anima è lì, da qualche parte,
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appallottolata in un cassetto, magari, ma ineludibile. E se noi non riusciamo a trovare le parole per richiamarla, come spesso accade queste parole le trova l’arte. L’arte racconta quello che noi siamo, anche quando sembra un discorso privato e sussurrato tra l’artefice e la sua opera, come nel caso della pittura di Claudia Giraudo. Piccole stanze, soliloqui, una figura giovane, acerba, con un abbigliamento che sembra collocarla in un altrove onirico. Lo sguardo così limpido che pare lo si possa attraversare. Quando è puntato verso di noi ci incatena, ci spalanca il cuore dandoci la netta sensazione che davanti a quello sguardo non potremo mai più mantenere un segreto. Quando si nega, e si rivolge altrove, sentiamo l’urgenza di seguirlo, di cogliere l’oggetto della sua attenzione e farlo nostro, e se non è possibile perché questo si trova fuori campo, il risultato è un senso di frustrazione sottile, come un bisogno inespresso. E poi c’è l’animale, lì accanto. Può essere un pappagallo dal ricco piumaggio o un camaleonte splendente come se fosse tempestato di pietre preziose, un rospo smeraldino con il suo sguardo saggio o un gufo elegante che sta per spiccare il volo, un germano reale pronto per il prossimo viaggio o una farfalla leggera. O magari un pavone maschio, bello come un imperatore abbigliato per l’incoronazione, che mite, accucciato tra le braccia del suo giovane padrone, lo nutre come una madre attraverso il suo becco in un gesto che è al tempo stesso accudimento,
bacio e consegna di un’eredità preziosa. Ciò che conta, e che si coglie al primo sguardo, è l’intensità della relazione che vibra tra i due personaggi: l’umano e l’animale. La loro intimità è talmente serrata da creare nello spettatore la vaga sensazione di avere infranto un muro invisibile, di essere colpevole di un’intrusione. Loro sono due esseri e uno solo. Sono corpo e anima. Così Claudia Giraudo ci rende partecipi del suo concetto di anima e di daimon. Nei suoi dipinti lenti e pensati, figli di una pittura antica che lei, con un’abilità fatta di amore e dedizione, rielabora in una contemporaneità scintillante, nelle sue scene emblematiche, intrise di simbologie e di riferimenti aulici, ma tuttavia leggere, fresche, l’anima si fa daimon e appare accanto alla “sua” persona come se improvvisamente noi ci scoprissimo dotati di un terzo occhio. Il daimon, lo spirito guida, si concretizza in una figura protettrice, sì, ma anche selvaggia, indomabile, proprio così come la descrive uno dei massimi pensatori junghiani: James Hillman. È stato lui con i suoi scritti, da Il suicidio e l’anima del 1964 a Il codice dell’anima, pubblicato trentadue anni dopo, a ridare attualità al tema. Ciò che nella pellicola cult di Alejandro González Iñárritu del 2003 viene calcolato in “21 grammi”, secondo la teoria espressa dal medico statunitense Duncan Mac Dougall (il quale rilevò che ogni persona al momento della morte perde esattamente 21 grammi, appunto, e dunque volle identificare così
il peso dell’anima), nelle parole di Hillman torna ad essere vocazione e aspirazione autentica, scelta nata ancora prima di noi; motivazione, anzi, del nostro stesso esistere. Se l’anima è, nelle parole di Hillman, “il fattore che rende possibile il significato, che trasmuta gli eventi in esperienza e che si comunica nell’amore”, il daimon è – proprio come dice Platone – il compagno che l’anima ha scelto in un “prima” assoluto, la sua manifestazione fisica, la personificazione del nostro destino. Ecco allora, nei dipinti di Claudia Giraudo, la leggerezza e l’aspirazione alla metamorfosi della farfalla, ecco la chiaroveggenza del gufo e la mutevolezza del camaleonte, ecco il viaggio iniziatico dell’uccello migratore e la rinascita simboleggiata dal rospo o dalla rana, ecco la lepre, simbolo della magia e della comunicazione tra i mondi, che sembra spiccare il volo da un cappello come un sogno sfuggente. Il senso di sottile inquietudine che questi muti dialoghi di sguardi comunicano allo spettatore, quella sensazione di attesa che proviamo nell’assistere a quei contatti fugaci, è frutto della consapevolezza di quanto questa relazione sia complessa e talvolta crudele; di quanto il daimon, da protettore, possa in un istante trasformarsi in tiranno. Perché il daimon non è l’angelo custode della tradizione cristiana: esso è piuttosto la radice più pura (la ghianda, direbbe Hillman) del nostro carattere. È insistente e determinato, “si oppone alla ragionevolezza facile, ai compromessi e spesso obbliga il suo padrone
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alla devianza e alla bizzarria, specialmente quando si sente trascurato o contrastato”. È quello che ci spinge verso gli amori impossibili che – lo sappiamo già – porteranno solo distruzione e sofferenza, ma dei quali non possiamo fare a meno. Quello che fa di Van Gogh un maestro incomparabile e lo costringe a dipingere fino alla follia e anche quello che spinge un ragazzo francese (Philippe Petit) un giorno d’agosto del 1974 ad intrufolarsi di nascosto nel World Trade Center, a stendere un cavo d’acciaio tra le due torri e a percorrerlo senza protezione come un funambolo, diventando un mito e dando a quel monumento – che ventisette anni dopo sarà distrutto nell’attentato più tragico del nuovo millennio – un’aura di sacralità. Sono daimon anche quelli che racconta nelle sue sculture Matthias Verginer, ma dove Claudia Giraudo è riflessiva, lenta, carica di echi antichi, il collega si rivela scanzonato, immediato, intriso di cultura pop. Utilizzando il legno di tiglio con grande abilità, trasformando le asperità in morbidezze, Verginer ci regala fulminanti dialoghi tra uomo (anzi, molto spesso donna) e animale. La ragazza protagonista, dalle forme tonde ma atletiche, può essere colta in una posa ginnica, con un Bulldog che si tiene in equilibrio, a testa in giù, sulla sua spalla, oppure può cavalcare allegramente un Bassett Hound; può dialogare con un pappagallo multicolore o prendere lezioni di volo da un gallo; può usare come mezzo di trasporto una
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gigantesca cavalletta oppure una balena, sulla quale si erge dritta in piedi come una consumata campionessa di surf. Ogni singola situazione raccoglie una stratificazione di letture, cortocircuiti e significati che vengono letti dallo spettatore gradualmente ma che contribuiscono subito a rendere l’opera terribilmente seducente, ipnotica. Alla coscienza arriva prima di tutto la consistenza vellutata della materia, il legno che si fa serico, che invita alla carezza, l’incantevole purezza del dettaglio, in un gioco di spazi che è, anche, gioco ed equilibrio di pesi e di forme. La forma piena dei seni della ragazza, la consistenza solida delle cosce, ne fanno un piccolo capolavoro di architettura rinascimentale che va a creare, senza soluzione di continuità con l’animale, un gioco di linee e di curve che va ben al di là del mero significato iconografico. Poi ecco il doppio binario cromatico, la scelta dell’artista di lasciare per il corpo della ragazza il legno al suo candore naturale (facendocela immaginare come una sontuosa valchiria dai capelli biondi e dagli occhi celesti) e di dipingerlo invece in maniera realistica quando si tratta dell’animale, con il risultato di avere sempre la sensazione di muoversi su due piani paralleli, quello della realtà, della verosimiglianza, e quello della favola. Qualche volta, poi, questo doppio binario si divarica ulteriormente quando Verginer decide di ribaltare le
proporzioni, come nel caso degli insetti, per esempio, facendo irrompere l’incongruo e il sogno in una scena che i nostri occhi continuano a voler leggere come verosimile. I daimon di Matthias Verginer appaiono dunque come domati, alleggeriti da tutto il bagaglio di tragicità che le parole di Hillman e la pittura di Claudia Giraudo sembrano voler sottintendere. Non sono mai daimon crudeli, questi, nemmeno quando prendono le sembianze dei grandi predatori. Al massimo possono essere dispettose personificazioni del nostro carattere, entità capricciose. Le loro dimensioni spesso ipertrofiche – la balena, ma anche l’ape gigante – sembrano paradossalmente indebolirne la potenza, renderli sudditi più che guide di chi sta loro accanto. Ecco allora la balena, appunto, ridotta a regale mezzo di trasporto per una moderna sirena senza coda, oppure la tigre, tenuta saldamente per la coda da una ragazza nuda che ha l’aria di sapere bene il fatto suo. Completa la mostra il lavoro di Giovanna Lacedra, pittrice, disegnatrice, ma soprattutto raffinatissima performer. Ispirandosi all’assunto di Eraclito secondo il quale il carattere è destino e seguendo il pensiero di Hillman che sottolinea come le gabbie della quotidianità e dei doveri troppo spesso portino alla rimozione della propria vocazione più autentica, l’artista, con la sua nuovissima performance Paràdeigma, vuole richiamare l’attenzione sui messaggi del nostro daimon. Accompagnata da un violinista, Giovanna Lacedra
ci invita infatti a cercare, nascoste tra le foglie, le parole chiave per ritrovare il nostro destino, ci spinge a riaccendere – fisicamente e simbolicamente – la fiamma delle nostre aspirazioni. Mentre una rosa di Gerico (il fiore simbolo della rinascita, che si nutre delle negatività per trasformarle in energie positive) pian piano si schiude dentro una ciotola, e, dietro, due voliere si spalancano, a simboleggiare la sconfitta delle gabbie e dei vincoli dentro i quali ognuno si costringe.
ALESSANDRA REDAELLI
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DAIMON “The soul of each of us is given a unique daimon before we are born, and it has selected an image or pattern that we live on earth. The soul-companion, the daimon, guided us here; in the process of arrival, however, we forget all that took place and believe we come empty into this world. The daimon remembers what is in your image and belongs to your pattern, and therefore your daimon is the carrier of your destiny.” James Hillman “…the daimon, which forces us through need to take the path - the small individual god - the inner Shiva”. Carl Gustav Jung
Plunged within a fast-paced, measured in gigabyte, present, dragged into endless flows of images, news and constantly changing impulses, forcing us to adjust the quality of our answers, fired like bullets towards an unreachable beyond, should we still – in 2016 – investigate our souls? Since nowadays, everything is a surface, as thin, shining and thick as possible; our inner dimension is seen as a shame or, in the best case, left behind. Nonetheless, we are unable to drop it nor forget it. Our soul remains somewhere, although screwed within a closet, yet unavoidable. Moreover, if we cannot recall it, art does it on our behalf. Art represents us, even when it seems a private and whispered dialogue between the artist and his work, as the paintings by Claudia Giraudo. Tiny rooms, a young, green figure, placed within a dreamlike elsewhere due to its clothes. A look so pure one could almost go through it. When staring at us, it ties us down, flaring our hearts as if we could not keep any secret. When aiming somewhere else, we are urged to seize it, to grasp and own the focus of its attention; whether it is out of sight, we feel frustrated, dealing with an unspoken need. Beside the figure, the animal. It could be a parrot with dense plumage or a
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shining chameleon as if it were covered with precious stones, an emerald toad with a wise glance or a graceful owl almost taking flight, a mallard preparing for the next journey or a light butterfly. Perhaps a peacock, as beautiful as an emperor dressed up for his coronation, which, gently curled up into his young owner’s arms, carefully feeds him through his beak, in the act of kissing and delivering of a precious legacy. What matters and can be seized at first glance is the vibrant strength of the relationship between the two characters: human and animal. Their clamped intimacy arouses within the audience the sensation of having crashed an invisible wall, of having trespassed. They are two in one creatures. They are body and soul. This is how Claudia Giraudo involves us in her idea of soul and daimon. Through her slow and thoughtful works of art, deriving from an ancient painting, which she translates into a shining contemporaneity thanks to love and dedication, within her emblematic, symbolic and noble scenarios, yet light and fresh, the soul becomes daimon and emerges besides her, as if we were suddenly gifted with a third eye. The daimon, the guiding light, actualizes into a protecting yet wild and untamable figure, as described by one of the greatest Jungian intellectuals: James Hillman. Through his writings, from Suicide and the Soul (1964) to The Soul’s Code – In Search of Character and Calling, published 32 years later, he revived the topic. What is estimated into “21 grams”, within the cult movie of 2003 by Alejandro González Iñárritu, based upon Duncan Mac Dougall’s theory (the American Doctor who revealed that each person - at the point of death - loses 21 grams, thus identifying the weight of the soul), reverts into vocation and true ambition within Hillman’s works, a choice made before our birth; the motivating force our own existence. If the soul, according to Hillman, is “the factor which enables meaning, turns events into experience, being conveyed through love”, the daimon – as Plato said – is the companion our soul chose within an absolute “before”, its physical manifestation, the personification of our destiny.
Therefore, within Claudia Giraudo’s paintings, we find the lightness and desire for metamorphosis of the butterfly, the clairvoyance of the owl and the shimmer of the chameleon, the initiatory journey of the migratory bird and the rebirth of the toad or the frog, and the hare, representing the communication between the two worlds, which seems to fly off from a hat like a fleeing dream. The sensation of subtle anxiety aroused within the audience by those mute dialogues, the feeling of wait in front of those fleeting contacts, derive from being aware of the complexity and cruelty of this relationship, since the daimon can turn from protector into tyrant within a moment. It is not the guardian angel of Christian tradition: it is rather the purest root (the acorn, as Hillman would say) of our nature. It is unrelenting and stubborn, “it resists compromising reasonableness and often forces deviance and oddity upon its keeper, especially when neglected or opposed”. It leads towards impossible loves, which – we already know – will only carry destruction and suffering, yet we cannot avoid them. It is the element turning Van Gogh into a unique master, forcing him to paint until madness, and urging a French young man (Philippe Petit), on a day of August 1974, to sneak into the World Trade Center, stretch a steel cable between the two towers and tread it unprotected like a funambulist, thus becoming a legend and gifting that monument – which will be destroyed 27 years later by one of the most tragic terrorist attack – with an aura of sacredness. Matthias Verginer too represents daimons within his sculptures; however, if Claudia Giraudo is meditative, slow, filled with ancient echoes, her colleague is laid-back, immediate, soaked in pop culture. Perfectly handling limewood, turning coarseness into smoothness, Verginer gives birth to piercing dialogues between man (more often woman) and animal. The female protagonist, with chubby but athletic shape, can be seized into a gymnastic pose, with a bulldog balancing upon her shoulder, or while riding a Basset Hound, while dialoguing with a colorful parrot or learning how to fly from a rooster. She can use a giant grasshopper or a
Heraclitus’ assumption stating that personality is destiny and supporting Hillman’s statements, which underline how daily routine and duties’ cages cause the annihilation of one’s true vocation, focuses upon the messages conveyed by our daimon. Flanked by a violinist, Giovanna Lacedra invites us to look for the key words which identify our destiny among the leaves, to physically and symbolically reawaken the flame of our aspirations. While a rose of Jericho (the flower that conventionally represents rebirth, turning negativity into positive energies), slowly unfolds into a bowl, and on the background two aviaries open wide, symbolizing the victory upon cages and obligations we impose ourselves.
Photo courtesy: Pablo Peron
whale as means of transport, towering them like a surf champion. Each situation contains a stratification of interpretations, short circuits and meanings, which even gradually discovered by the audience, immediately render the work seductive and hypnotic. The first detail that reaches our conscience is the velvet texture of the material, a wood that becomes silky, encouraging caresses, the enchanting pureness of the details, within a game of spaces, which is also a balance of weights and shapes. The full breasts of the girl, her brawny thighs, recall a renaissance masterpiece and create, together with the animal, a game of lines and bends, which overcome the mere iconographical meaning. Then comes the double chromatic binary, the artist’s choice of using the natural wood colour for the girl’s body (letting us imagine her like a magnificent Valkyrie with blonde hair and blue eyes), while realistically painting the animal, thus providing the sensation of moving upon two parallel levels, the one of reality and plausibility, and the one of fairy tales. Sometimes this double binary further stretches when Verginer overturns proportions, as in the case of insects, introducing incongruous and dream within a scenario we keep on intending as plausible. Therefore, the daimons by Matthias Verginer seem tamed, unburdened from the tragic baggage carried by Hillman’s words and Claudia Giraudo’s paintings. They are not cruel daimons, not even when they resemble predators. At most, they are spiteful personifications of our nature, capricious entities. Their enlarged dimensions – the whale, as well as the giant bee – seem to lessen their power, turning them into subjects rather than guides. Therefore, the whale is degraded to a royal means of transportation for a contemporary tailless mermaid, as well as the tiger, firmly seized by the tail by a naked girl who seems to know her stuff. The exhibition will end with the work by Giovanna Lacedra, painter, illustrator, but especially exquisite performer. The artist – through her new performance Paràdeigma – being inspired by
ALESSANDRA REDAELLI
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CLAUDIA GIRAUDO
LA SAGGEZZA DEGLI OGGETTI La dimensione di Claudia Giraudo è quella della meditazione e della lentezza. Niente nel suo lavoro è mai veloce, nulla fugge, ma tutto, ogni singolo personaggio, ogni ambientazione, ogni stanza – anche i paesaggi sullo sfondo – sembra godere di una pace che è data dalla lenta accettazione del tempo come di un dono prezioso, da non sprecare mai e da godere proprio nel suo lento divenire. Anche quando dipingeva saltimbanchi in scena, magari in bilico in situazioni precarie, tutta la scena appariva come pacificata in un’immobilità superiore, in una sorta di saggezza degli oggetti. C’erano i saltimbanchi, sì, e poi c’erano gli arlecchini, i poeti e le poetesse con gli strumenti della loro arte; c’erano le costellazioni e i segni zodiacali raccontati in tele preziose dai dettagli di sapore quattrocentesco. E gli animali, immancabili, protagonisti del circo ma soprattutto emblemi di una sensibilità superiore, di una più profonda – e selvaggia – conoscenza di sé. Ogni tela era contaminazione di simboli, creature e oggetti che andavano relazionandosi in dialoghi serrati e intensissimi. Il melograno e la coppa piena di vino, gufi e farfalle, fanciulli e tarocchi, teatrini e bolle di sapone, rinoceronti volanti e mongolfiere, elefanti arlecchini e ippopotami incoronati d’alloro, tutto andava a comporsi in rime e metafore dipinte come in una poesia visuale. E ogni serie rimandava alla precedente e cominciava a porre le radici della
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successiva in un unico lungo racconto coerente che ci porta, oggi, ai lavori più recenti, quelli dove l’artista ha sfrondato, ha asciugato il dettaglio, ha concentrato la tensione poetica in un discorso privato tra la persona e l’animale, il suo daimon, la sua anima. E se spesso si tratta di giovani non è un caso. Il daimon del giovane è quello più intenso e vibrante, è il tutto in cui si concentra e si assomma ciò che si dispiegherà con lo scorrere del tempo, nello svolgersi della vita e nel futuro. Addirittura, secondo Philip Pullman, autore del romanzo La bussola d’oro, il daimon dei bambini non ha una forma fissa: cambia a seconda dell’umore e delle circostanze. Ecco allora che si spalanca il ventaglio delle possibilità, ecco la fanciulla su cui si posa la farfalla pronta a una metamorfosi che coinvolgerà lei stessa e la sua anima ancora mutante, in un gioco di rimandi e specchi magici che il pennello dell’artista rende via via più ricco di risvolti inaspettati e di inquietanti colpi di scena.
ALESSANDRA REDAELLI
THE WISDOM OF OBJECTS The dimension chosen by Claudia Giraudo is the one of meditation and slowness. Nothing, within her works, is fast, nothing flees; on the contrary, each character, setting, room – even the landscapes on the background – seems to be filled by an inner peace, given by the identification of time as a precious gift, to be preserved and relished within its slow course. Even when she painted tumblers balancing through precarious situations, the whole scene seemed pacified within a greater stillness, a sort of wisdom of the objects. There were tumblers, and Harlequins, poets and poetesses with the tools of their art; constellations and zodiac signs represented upon precious canvases enriched with details recalling the fifteenth-century. Moreover, the unavoidable animals, protagonists of the circus, symbols of a superior sensibility, a deeper – and wilder – self-knowledge. Each canvas was a mix of symbols, creatures and objects connected through clamped and intense dialogues. The pomegranate and the chalice of wine, owls and butterflies, boys and tarot cards, little theaters and soap bubbles, flying rhinoceros and balloons, multicoloured elephants and hippopotamuses crowned with laurel, all combined through rhymes and metaphors, like a visual poem. Each series recalled the previous one, while preparing the roots for the following, within a unique long coherent tale leading us, nowadays, towards the most recent works by the artist; she has pruned, dried out the details, channeling the poetic tension into a private discourse between the person and the animal, his daimon, his soul. It is no coincidence that the chosen subjects are often young people. Their daimon is the most intense and vibrant, the whole, which gathers what will disclose within the flow of time, life and future. Moreover, according to Philip Pullman, author of The Golden Compass, the daimon of children has no fixed shape: it changes according to mood and circumstances. Thus, the range of possibilities opens wide; thus, the young lady, upon whom the butterfly lies, is ready for a metamorphosis which will involve herself and her changing soul, within a game of references and magic mirrors, even more filled with unexpected implications and disturbing climaxes by the artist’s brush strokes.
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DOPPIO SOGNO
2016 | Olio su tela | 100 x 120 cm
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THE END OF INNOCENCE
2016 | Olio su tela | 90 x 80 cm
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CUORE DI FAUNO
2016 | Olio su tela | 70 x 50 cm
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VIAGGIATORE ALATO
2016 | Olio su tela | 60 x 50 cm
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AZIONE SENTIMENTALE
2016 | Olio su tela | 90 x 70 cm
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TRUE LOVE
2016 | Olio su tela | 70 x 60 cm
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CUORE DI CERVO
2016 | Olio su tela | 50 x 50 cm
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LA LUNA BACIA I TUOI OCCHI 2016 | Olio su tela | 40 x 60 cm
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DIALOGHI SILENTI
2015 | Olio su tela | 40 x 40 cm
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DIALOGHI SILENTI, ATTO II
2015 | Olio su tela | 50 x 50 cm
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M AT T H I A S V E R G I N E R
A CAVALLO DELLA TIGRE È figlio d’arte, Matthias Verginer. Suo padre è quel Willy Verginer che ha fatto del legno bicromo la sua firma e che con quel materiale, riletto appunto nei tagli improvvisi di colore acceso, racconta un’umanità intrisa di poesia. Matthias si è mantenuto fedele al materiale, il legno di tiglio con la sua grana chiara e liscia, ma ha scelto l’ironia di un linguaggio prettamente pop. Se nei Busti, la serie forse più classica della sua produzione, si legge una certa adesione all’impostazione più tradizionale della scultura – e l’ironia è affidata ai dettagli degli abbigliamenti eccessivi o simbolici, dei copricapi o degli accessori – è nelle Ironic sculptures che si avverte la voce più tipica del giovane artista altoatesino. Protagonisti sono un uomo e una donna (lui magrolino, lei felicemente tonda) per lo più nudi, qualche volta raccontati come una coppietta mano nella mano, con i corpi bruciati dal sole e le zone del costume rimaste candide, e molto spesso affiancati a degli animali. Il risultato è una sorta di Eden dal gusto vagamente fumettistico, dove la gioia di vivere si concretizza in un’armonia spensierata tra umanità e natura, uno stato selvaggio primitivo dove l’aggressività non è contemplata e dove se una ragazza siede a cavallo di una belva o tira per la coda una tigre si tratta certamente di un gioco. Precisissimo nel dettaglio, capace di una mimesi impressionante, l’artista si diverte a mettere alla prova la nostra percezione confondendoci con ribaltamenti
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di proporzioni e precise scelte cromatiche, come quella di lasciare il corpo della ragazza al colore naturale del legno e di dipingere, invece, l’animale in tinte accese, verosimili ma fino a un certo punto, colori in super HD, insomma, che ci lascino sempre in bilico tra realtà e fiaba. E anche dal punto di vista formale il lavoro di Matthias Verginer si rivela un intrigante gioco di equilibri e di volumi, di geometrie rinascimentali (il curvilineo corpo della ragazza) e di linee. Un divertissement intelligente che dietro una spumeggiante joie de vivre lancia messaggi relativi al nostro rapporto conflittuale con Madre Natura, da un lato, e per certi versi anche al nostro bisogno di ritrovare la nostra natura più autentica.
ALESSANDRA REDAELLI
RIDING THE TIGER Matthias Verginer followed his father’s footsteps, Willy Verginer, who turned twocolour wood into his personal sign and chose that material, reinterpreted through sudden cuts of bright colour, to narrate a humanity filled with poetr y. Matthias kept the material, the light and smooth limewood, but chose the irony of pop language. Whether within Busti, maybe the most classic series of his production, it might be perceived a cer tain acceptance to the most traditional configuration of sculpture – and the irony is expressed by the excessive or symbolic clothes, hats or accessories –, it is within Ironic sculptures that the ar tist from Alto Adige really manifests his true voice. The main characters are a man and a woman (he is slim, whereas she is happily chubby), mostly naked, sometimes represented like a cute couple holding hands, with the bodies burnt from the sun and the white lines of the swimsuits, often accompanied by animals. The result is a sor t of a car toon Eden, where the joy of living is actualized through a cheer ful harmony between humanity and nature, a wild primitive context where violence is not included and if a girl rides a beast or pulls the tail of a tiger is just for fun. Deeply focused upon details, per fectly able to camouflage, the ar tist plays with our perceptions by confusing us, through over turning of propor tions and precise chromatic choices, like the one of leaving the body of the girl in natural wood colour, while painting the animal with vibrant and not completely plausible hues, HD colours which leave us balancing between reality and fair y tale. Even from a stylistic point of view, the works by Matthias Verginer are an intriguing game of balances and volumes, renaissance geometries (the cur vilinear body of the girl) and lines. A clever divertissement that, behind a bubbly joie de vivre, conveys messages about our conflicting relationship with Mother Nature, and our need of recovering our most genuine nature.
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WHALEWATCHING
2016 | Legno di melo e acrilico | 175 x 210 x 55 cm
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FLIGHT TRAINING
2015 | Legno di tiglio e acrilico | 45 x 37 x 44 cm
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FACIAL TREATMENT
2016 | Legno di tiglio e acrilico | 67 x 77 x 33 cm
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FLIGHT LESSON
2016 | Bronzo e colori ad olio | 56 x 40 x 36 cm
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EJECTION SEAT
2015 | Legno di tiglio e acrilico | 55 x 120 x 59 cm
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THE INVINCIBLE
2016 | Legno di tiglio e acrilico | 74 x 37 x 28 cm
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WE ARE NOT ALONE
2016 | Legno di melo e acrilico | 60 x 28 x 30 cm
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ELEPHANT RIDE
2016 | Legno di tiglio e acrilico | 60 x 34 x 20 cm
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BALANCE
2015 | Legno di tiglio e acrilico | 52 x 23 x 17 cm
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APOLLO 13
2016 | Legno di melo e acrilico | 47 x 17 x 17 cm
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BIOGRAFIE CLAUDIA GIRAUDO (Torino, 1974) L’artista si propone al pubblico con l’ambizione di creare un ponte immaginifico tra il passato, attraverso la memoria, e il presente, attraverso personaggi verosimilmente appartenenti a questo mondo ma collocati in uno spazio e in un tempo onirici. Che venga declinata in un omaggio simbolico alla produzione e alla creazione del poeta o che si materializzi nel mondo del circo e in particolare nella figura del funambolo, quello che lega tutta la produzione della Giraudo è la volontà di poetizzare la vita come forma di coincidenza tra l’immaginario e l’esistenziale, tra il desiderio e l’oggetto, seguendone ogni suo aspetto visionario. Nasce a Torino nel 1974. Nel 2001 si laurea presso l’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino e in seguito intraprende il suo percorso di ricerca nell’ambito della pittura figurativa formandosi attraverso lo studio delle opere dei maestri Rinascimentali e Nordeuropei; background che emerge sia nella tecnica che nella scelta dei soggetti, pur mantenendo la sua personale cifra stilistica. Espone con frequenza in fiere d’arte, gallerie private e in luoghi istituzionali pubblici. Le sue opere si trovano in collezioni permanenti ed acquisizioni museali nazionali ed internazionali, tra cui l’Harmony Art Foundation di Mumbai (India), il Museo MACIST di Biella, il Museo Eusebio di Alba (CN), la Sala del Consiglio di Bossolasco (CN) e il Museo Civico di Bevagna (PG). Ha partecipato alla Biennale di Venezia, Padiglione Italia nel 2011. Vive e lavora a Torino. MATTHIAS VERGINER (Bressanone, 1982) Figlio d’arte, come il padre Willy utilizza il legno con grande abilità, ma ha scelto l’ironia di un linguaggio prettamente pop, scanzonato e immediato. Trasformando le asperità in morbidezze, ci regala fulminanti dialoghi tra uomo (anzi, molto spesso donna) e animale. Precisissimo nel dettaglio, si diverte a mettere alla prova la nostra percezione confondendoci con ribaltamenti di proporzioni e precise scelte cromatiche, come quella di lasciare il corpo della ragazza al colore naturale del legno e di dipingere, invece, l’animale in tinte accese, verosimili ma fino a un certo punto, che ci lascino sempre in bilico tra realtà e fiaba. E anche dal punto di vista formale il suo lavoro si rivela un intrigante gioco di equilibri e di volumi, di geometrie rinascimentali (il curvilineo corpo della ragazza) e di linee. Nasce a Bressanone nel 1982. Si specializza in scultura presso la Scuola d’Arte di Selva in Val Gardena e nel 2001 inizia l’apprendistato presso lo studio del padre, il famoso scultore Willy Verginer. Dal 2002 al 2003 collabora con Aron Demetz e nel 2010 collabora con gli Artisti Reza Aramesh e Pietro Roccasalva. Ha iniziato a esporre il suo lavoro nel 2001. Ha realizzato mostre personali e collettive e fiere di settore in Italia e all’estero (Belgio, Germania, Lussemburgo, Olanda, Svizzera, Turchia e Taiwan). Vive e lavora a Ortisei (BZ).
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BIOGRAPHIES CLAUDIA GIRAUDO (Turin, 1974) The artist presents to the audience with the ambition of creating an imaginary bridge between the past, through memories, and the present, through characters probably belonging to this world yet positioned within dreamlike space and time. May it be translated into a symbolic gift to the production and creation of the poet or actualized within the circus milieu, particularly within the tightrope walker, what characterizes her whole production is the will of filling life with poetry, thus representing it like a coincidence between imaginary and existential, desire and objects, following all its visionary aspects. Born in Turin in 1974. In 2001 she graduated at the Academy of Fine Arts in Turin, then starting her own research within figurative art, focusing upon the works by Renaissance and North European masters; a background which emerges both in her technique and in the choice of the subjects, yet maintaining her own style. She often exhibits her works into Art fairs, private galleries and institutional public locations. Her paintings belong to permanent collections and national and international museums, such as the Harmony Art Foundation in Mumbai (India), the Museo MACIST in Biella, the Museo Eusebio in Alba (CN), the Sala del Consiglio in Bossolasco (CN) and the Museo Civico in Bevagna (PG). She partecipated to the Venice Biennale, Italy Pavillon, in 2011. She lives and works in Turin. MATTHIAS VERGINER (Bressanone, 1982) He followed his father Willy’s footsteps, using wood with great ability, yet choosing the irony of a pop, laid-back and immediate language. Turning coarseness into softness, he represents penetrating dialogues between man (more often woman) and animal. Focused upon details, he amuses by testing our perception, by confusing ourselves through the overturning of proportions and precise chromatic choices, like the one of using the natural wood colour for the girl’s body, while realistically painting the animal with bright hues, thus forcing us to balance between reality and fairy tales. Even from a stylistic point of view, the works by Matthias Verginer are an intriguing game of balances and volumes, renaissance geometries (the curvilinear body of the girl) and lines. He was born in Bressanone in 1982. He specialized in sculpture at the Scuola d’Arte in Selva di Val Gardena and in 2001 he started the apprenticeship at his father’s atelier, the famous sculptor Willy Verginer. From 2002 to 2003 he cooperated with Aron Demetz and in 2010 with the artists Reza Aramesh and Pietro Roccasalva. He started exposing his works in 2001. He took part into solo and group exhibitions, and into Art fairs in Italy and abroad (Belgium, Germany, Luxembourg, Holland, Switzerland, Turkey and Taiwan). He lives and works in Ortisei (BZ).
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PA R À D E I G M A PERFORMANCE 22 OTTOBRE 2016
GIOVANNA LACEDRA Venosa (PZ), 1977. Nel 2000 consegue il diploma di laurea in pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. Si trasferisce poi a Milano, dove attualmente vive e lavora come docente, artista-performer e autrice.
L’infanzia, il passato, gli incubi, ma anche i traumi irrisolti, la violenza di genere, i disturbi alimentari; Giovanna Lacedra non ha paura di toccare con il suo lavoro di pittrice e di performer i temi più difficili di quella che si potrebbe definire la femminile quotidianità. E di fare del proprio corpo un prezioso strumento al servizio dell’arte. Una delle prime performance con cui si è fatta conoscere, Io sottraggo, affrontava senza sconti il dramma durissimo dell’anoressia. Esile fino alla trasparenza, fino all’annullamento, lei incantava il pubblico costringendolo a fissare lo sguardo su un male dell’anima che non è circoscritto e lontano, ma al contrario subdolamente radicato nella società contemporanea. La poesia struggente di Sylvia Plath è al centro di potenti lavori installativi e di una performance sull’amore malato, L’aspirante, dove l’artista, sposa dal volto tumefatto, lavando coltelli insanguinati ascolta le parole dell’uomo, dure come schiaffi. E ancora Non sono mai stata una bambina, ricostruzione incantata e tragica di un’infanzia rubata. Temi insidiosi, sempre gestiti da Giovanna Lacedra con impeccabile grazia. Come accade nella nuova performance Paràdeigma, dove due voliere – simbolo delle gabbie in cui sigilliamo le nostre vocazioni più autentiche – si spalancano davanti agli occhi dello spettatore, e dove lui è invitato a cercare tra le foglie la parola emblematica del proprio destino, la chiave della propria realizzazione, mentre l’artista, sacerdotessa e fata, muovendosi leggera sulle note del violino ci aiuta a riaccendere dentro di noi quella fiamma che non dovrebbe spegnersi mai.
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The childhood, past, nightmares, as well as unsolved traumas, gender-based violence, eating disorders, Giovanna Lacedra does not fear to deal with the most difficult issues of feminine daily life, through her works as a painter and performer. Nonetheless, to turn her body into a precious instrument at the service of Art. One of her first performances, Io sottraggo, straightly addressed the tragedy of anorexia. So reedy to be almost transparent, annihilated, she enchanted the audience forcing it to stare at a soul disease, which is not limited and distant, but on the contrary, sneakily rooted within contemporary society. The poem by Sylvia Plath is the center of powerful installations and of a performance about insane love, L’aspirante, where the artist, transformed into a bride with tumid face, while cleaning bloody knives, listens to the words of the man, as though as slaps. Moreover, Non sono mai stata una bambina, an enchanted and tragic reenactment of a stolen childhood. Insidious questions, always addressed by Giovanna Lacedra with flawless grace. As in her new performance, Paràdeigma, where two aviaries – symbolizing the cages where we seal our most true vocations – open wide in front of the audience, while inviting it to look for the emblematic word of its destiny, the key of its realization, while the artist, priestess and fairy, slightly moving upon the music of a violin, helps us to reawaken that flame which should never extinguish.
EUDAIMONÌA
2016 | Olio su tela | 20 x 20 cm
GIOVANNA LACEDRA IN “PARÀDEIGMA” 2016 | Performance | Fotografia di Pablo Peron
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CLAUDIA GIRAUDO MOSTRE PERSONALI / SOLO SHOWS
Stefano Belbo – Cuneo, Bergamo (IT)
2015 Altri Cieli. Elegie del Trovatore, a cura di A. Frosini e S. Gagliardi, Museo Casa del Conte Verde, Rivoli – Torino (IT)
2013 Ordine al Caos, a cura di A. Soricaro, Galleria ZeroUno, patrocinio Fondazione G. De Nittis, Barletta (IT) Muse, a cura di A. D’Atanasio e S. Gagliardi, Galleria Gagliardi, San Gimignano – Siena (IT)
2014 Opere in permanenza presso Galleria Gagliardi, San Gimignano – Siena (IT) 2013 Claudia Giraudo, a cura di E. Gargioni, Galleria Davico, Torino (IT) Effemeridi, a cura di A. D’Atanasio, Galleria Le Logge del Comune, Assisi – Perugia (IT) 2012 Opere in permanenza presso Galleria Gagliardi, San Gimignano – Siena (IT) 2011 Calligrammes, Munari Officina d’Arte, Torino (IT) Le Parole della Luna, a cura di A. D’Atanasio, Chiesa di Santa Maria Laurentia, Bevagna – Perugia (IT) Il Cerchio e il Circo, a cura di A. D’Atanasio, Chiostro di S. Caterina, Finalborgo, Finale Ligure, Savona (IT) 2010 Il Cielo Riflesso, Palazzo Oddo, Albenga – Savona (IT) 2009 Il Sole e la Cometa, Linea 451, Torino (IT) Mostra Personale, Hair Déco, Torino (IT) Il Soffio dell’Anima, Terme Reali di Valdieri, Valdieri – Cuneo (IT) MOSTRE COLLETTIVE / GROUP EXHIBITIONS 2016 <20 15x15/20x20 Collezione PUNTO SULL’ARTE 2016, Galleria PUNTO SULL’ARTE, Varese (IT) 2015 Museo Macist, Biella (IT) Artexpo New York, con Just Art Contemporary Art Gallery, New York (US) Arte Cremona, con Galleria d’Arte Contemporanea Emmediarte di S. Stefano Belbo – Cuneo, Cremona (IT) Arte Padova, con Galleria d’Arte Contemporanea Emmediarte di S. Stefano Belbo – Cuneo, Padova (IT) Bergamo Arte Fiera, con Galleria d’Arte Contemporanea Emmediarte di S. Stefano Belbo – Cuneo, Galleria Ess&rre di Roma, Bergamo (IT) 2014 Artexpo New York, con Just Art Contemporary Art Gallery, New York (US) Pinocchio, a cura di C. Pesce, Villa Vidua, Conzano – Alessandria (IT) Percorsi D’arte, con Galleria d’Arte Contemporanea Emmediarte, Sale dell’Agostiniana, Roma (IT) Arte Padova, con Galleria d’Arte Contemporanea Emmediarte di S. Stefano Belbo – Cuneo, Padova (IT) Bergamo Arte Fiera, con Galleria d’Arte Contemporanea Emmediarte di S.
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2012 Mettiamo Le Opere in Comune, Museo Civico Eusebio, Alba – Cuneo (IT) Bossolasco e Dintorni di Langa. Natura, Vita, Leggenda, Sala del Consiglio, Bossolasco – Cuneo (IT) Nuovi Talenti Surreali, a cura di E. Gargioni, Galleria Davico, Torino (IT) Art Innsbruck, Fiera d’Arte Internazionale, Galerie Unique di Torino, Innsbruck (AT) 2011 54. Biennale di Venezia, Padiglione Italia, a cura di V. Sgarbi, Palazzo delle Esposizioni Torino (IT) In Chartis Mevaniae, a cura di A. D’Atanasio, Museo civico di Bevagna, Bevagna, Perugia (IT) Premio Internazionale Spoleto Festival Art 2011, a cura di A. Trotti, Spoleto – Perugia (IT) Torino Arte 150, a cura di S. Sottile, Palazzo Barolo, Torino (IT) 2010 Venezia Misteriosa, a cura di A. D’Atanasio, Cà Zanardi, Venezia (IT) Mom & Kids, a cura di FalpaPromozioneArte, Migheli Arte, Frida Arte, Sala Murat, Piazza del Ferrarese – Bari (IT) Agrigento Arte Vi Edizione, Mostra Internazionale d’Arte Contemporanea, Agrigento (IT) Gli Universi di Bottega Indaco, a cura di F. Bogliolo, Palazzo Oddo, Albenga – Savona (IT) Solchi, Teatro Vittoria, Torino (IT) Vit Arte, con Galleria Ess&rre di Ostia, Viterbo (IT) Arte Cremona, con Galleria Ess&rre di Ostia, Cremona (IT) 2009 Bergamo Arte Fiera, con Galleria Ess&rre di Ostia, Bergamo (IT) Immagina 2009, Fiera d’Arte di Reggio Emilia, con Galleria Ess&rre di Ostia, Reggio Emilia (IT) Contemporanea 2009, Fiera d’Arte di Forlì, con Galleria Ess&rre di Ostia, Forlì (IT) Meno Male, Teatro Vittoria, Torino (IT) 2008 Arteindaco, Centro Energea, Milano (IT) Cambiamento Universale nello Spazio, Spazio Tadini, Milano (IT) Il Volto, Incarnazione del Sogno, Ex Chiesa Anglicana, Alassio – Savona (IT) 2007 Segni, La Cavallerizza Reale, Torino (IT) 2001 Patchwork 3, a cura di C. Giuliano, Accademia Albertina di Belle Arti, Torino (IT) 2000 Documento Arte 2000, a cura di L. Gierut, Centro Frà Benedetto, Sillico – Lucca (IT) Antologica Dell’incisione Piemontese, L’isola di San Rocco al ponte delle Ripe, Mondovì – Cuneo (IT)
MATTHIAS VERGINER MOSTRE PERSONALI E COLLETTIVE / SOLO AND GROUP EXHIBITIONS 2016 Galleria Galp, Olgiate Comasco - Como (IT) Lucca Art Fair, Lucca (IT) Eurantica, Bruxelles (BE) Affordable Art Fair, Milano (IT) Art Breda 2016, Breda (NL) Preposterous, Matthias Verguner, Eddy Stevens, Galerie Van Campen & Rochtus (BE) 2015 Wooden eyes, Galeri Selvin, Istanbul (TR) C.A.R., Contemporary Art Ruhr, Essen (DE) C9 Arte a Corte, Explorando, a cura di C. Canali, L’Ospitale di Rubiera, Rubiera - Reggio Emilia (IT) Galleria Ravagnan, Venezia (IT) White Room, Positano, Capri - Napoli (IT) Arte Breda 2015, Breda (NL) Eurantica, Bruxelles (BE) Affordable Art Fair, Milano (IT) Galerie Regula Brun, Lucerna (CH) 2014 Dome Event - Arte a casa, Anversa (BE) Arte Padova 2014, Padova (IT) Sculteures Jumblins, Galerie Max 21, Iphofen (DE) Wooden eyes, White Room, Capri (IT) Galerie Van Campen & Rochtus, Knokke (BE) Young Art Taipei (TW) Tainan Art Fair (TW) Art Lussemburgo, Lussenburgo (LU) 2013 Art Gent, Gent (BE) PAN Amsterdam, Amsterdam (NL) Three by tree, Galerie Van Campen & Rochtus, Anversa (BE) White Room, Positano - Salerno (IT) Unika, Ortisei - Bolzano (IT) Matthias e Christian Verginer, Museo Civico, Chiusa - Bolzano (IT) Galerie Van Campen & Rochtus, Anversa (BE) Transart 12, Bolzano (IT) 2012 Verrätselungen des Alltags, Galerie Anne Malchers, Bensberg - Köln (DE) Galerie Max 21, Iphofen (DE) Coney Island 1903, Arte Boccanera, Trento (IT) Unika, Ortisei - Bolzano (IT) Galleria Valentinarte, Bellagio - Como (IT) Galleria White Room, Positano - Salerno (IT) Kunstart12, Bolzano (IT) 2011 Unika, Tubla da Nives, Selva di Val Gardena - Bolzano (IT) Game Heroes, Galleria Majke Hüsstege’s, Hertogenbosch (NL) Wood sculpture contest, Accademia delle Belle Arti, Catanzaro (IT)
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di SOFIA MACCHI VIALE SANTâ&#x20AC;&#x2122;ANTONIO 59/61 21100 VARESE (VA) ITALY +39 0332 32 09 90
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