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20 NOVEMBRE - 30 DICEMBRE 2016 MOSTRA A CURA DI / EXHIBITION CURATED BY: ALESSANDRA REDAELLI CATALOGO A CURA DI / CATALOGUE CURATED BY: SOFIA MACCHI E GIULIA STABILINI TESTI / TEXTS: ALESSANDRA REDAELLI PROGETTO GRAFICO / GRAPHIC PROJECT: GRETA PALASTANGA Copyright © PUNTO SULL’ARTE
PUNTO SULL ARTE | VIALE SANT’ANTONIO 59/61 | 21100 VARESE (VA) ITALY | +39 0332 320990 | INFO@PUNTOSULLARTE.IT
5 ANNI - CLASSICO CONTEMPORANEO Il dibattito è aperto da un bel po’, naturalmente, ma negli ultimi tempi sembra che ci sia una rinnovata attenzione verso quelli che sono – o che dovrebbero essere – i canoni dell’arte. Sarà colpa di un mercato sempre più spinto (è dello scorso maggio la notizia dell’aggiudicazione per 17 milioni di dollari del piccolo Hitler inginocchiato di Maurizio Cattelan intitolato Him) o forse sarà colpa di una difficoltà reale degli addetti ai lavori – artisti in primis, ma anche galleristi, critici, direttori di musei, giornalisti – di orientarsi in una realtà troppo variegata, ancora pesantemente dominata da un concettuale (spesso di comodo) che di fatto apre le porte a qualsiasi espressione regalandole tout court la qualifica di opera d’arte. Tra un paio di mesi, però, saremo nel 2017, e dunque quel concettuale di cui unanimemente si rintracciano le origini nell’orinatoio rovesciato (la Fontana) di Marcel Duchamp, compirà cento anni. E cento anni sono veramente un’enormità: un’era geologica se si parla di movimenti nell’arte. Nel 2007 Aude de Kerros pubblica L’art caché, un libro che misteriosamente non ha ancora una traduzione né un editore italiano e che fa molto riflettere. Usando un linguaggio giornalistico chiaro e semplice, tratta argomenti che semplici non lo sono per niente. La sua teoria (vagamente complottista, ve lo concedo, ma indubbiamente interessante) è che “arte contemporanea” non sia affatto una definizione temporale, ma piuttosto la più facile etichetta di un movimento che accorpa
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dentro di sé le derive più spinte del concettuale. Un genere fluido (come la nostra epoca, è vero), multiforme, trasformista, a volte gigantesco come un’installazione di Richard Serra altre sussurrato come una performance di Marina Abramovic, ma con una capacità di penetrazione spaventosa. Un genere (e questo è il punto, il nodo intorno al quale L’art caché diventa qualcosa come un’appassionante fantathriller) studiato a tavolino e caparbiamente sostenuto da chi volle, e ottenne, lo spostamento dell’asse del potere dell’arte dall’Europa agli Stati Uniti, e che quindi affonda le radici della sua forza nella stagione gloriosa dell’Espressionismo Astratto. Un genere, poi, sostenuto e abbondantemente nutrito da abili manovre di mercato, anche per motivi politici. Personalmente sono convinta che Jackson Pollock sia uno degli artisti più autentici e più geniali che il mondo abbia avuto il privilegio di vedere. E non riesco a credere che basti una strategia a far nascere e crescere talenti immensi come Francis Bacon o Piero Manzoni, e forse nemmeno per dare spazio – e credibilità – a spiriti geniali come Andy Warhol o Robert Rauschenberg. Tuttavia riconosco che la longevità di un genere che si basa, sostanzialmente, sull’idea e sul concetto (caratteristiche quanto mai labili) a discapito dell’abilità tecnica e dell’originalità creativa apra a spunti interessanti. Soprattutto tenendo conto che nei decenni, ma in particolare oggi più che mai, si assiste proprio a una divisione netta di campo tra chi sposa il concetto a tutti i
costi (certe fiere ne sono una testimonianza) e chi invece sostiene strenuamente l’ “altra” arte, quella che Aude de Kerros chiama grand art e che si sostanzia di lungo lavoro, di studio, di tecnica, di attività al fianco di maestri che possano suggerire percorsi, che parla al pubblico usando linguaggi immediatamente comprensibili. E che – e qui sta una delle discriminanti principali – dà la possibilità al fruitore di definire una risposta come “mi piace” o “non mi piace”, cosa che il concettuale, dall’orinatoio di cui sopra a, poniamo, il mucchio di caramelle appoggiate al muro di Felix Gonzalez-Torres, non consente. Come a dire che sì, il concettuale è profondo e interessante, ma c’è un pubblico che ha voglia di quella cosa vaga ma per certi versi molto precisa che si chiama Bellezza, con la “b” maiuscola, e della quale per un po’ si erano proprio perse le tracce. Tra chi ha scelto la grand art c’è la galleria PUNTO SULL’ARTE di Sofia Macchi, che non ha mai deviato, in cinque anni, da un percorso nettissimo di ricerca della radice classica all’interno delle correnti più nuove e più frizzanti del contemporaneo. Scelte prima di tutto di gusto, le sue. E di solito, anche quando si tratta l’arte dal punto di vista del mercato, se si ha una preparazione reale e un occhio attento, quella del gusto finisce per essere la scelta giusta. Perché se si va “dove porta il cuore” le scelte saranno giocoforza coerenti e armoniose, le voci degli artisti – nelle loro inevitabili differenze – troveranno accordi inaspettati e controcanti
interessanti. Fondamentali quando, com’è abitudine della galleria, gli artisti vengono raggruppati in doppie e triple personali a tema, per scandagliare (e in questi cinque anni è stato fatto senza risparmiarsi) le correnti più o meno sotterranee della realtà e della società. Una scelta classica, quella di PUNTO SULL’ARTE, ma non per questo prevedibile. Insieme ai suoi collaboratori, Sofia Macchi ha condotto una ricerca capillare sulla realtà locale e su quella italiana, ha viaggiato e si è guardata intorno dall’Europa a New York, ha frequentato e regolarmente frequenta fiere d’arte, e ogni giorno è un’occasione per incontrare nuovi linguaggi e valutarne la portata. Ha dato spazio a nomi già affermati che ha fortemente voluto con sé e ha fatto da talent scout a giovani che stavano muovendo i primi passi e che hanno trovato qui, a Varese, l’occasione per farsi conoscere e la conferma del loro valore artistico. Così oggi la galleria, facendo il punto su cinque anni di attività, ha la possibilità di mostrare con orgoglio una “scuderia” varia e nutrita, una serie di artisti che, ognuno a modo proprio, ci raccontano gli esiti più nuovi del paesaggio e della natura morta, ci raccontano la figura e l’astratto, ci parlano della natura e degli animali, filtrando per noi – e poi restituendocele sulla tela o nelle tre dimensioni – le problematiche e i nodi di questo inizio di millennio. Il PAESAGGIO oggi è uno dei generi più interessanti da analizzare, perché lo spazio di una veduta offre possibilità infinite e la portata lirica è immensa. Oggi, poi, c’è tutto
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il filone del paesaggio urbano che ci racconta le nostre metropoli regalando loro una poesia che senza gli occhi dell’artista sarebbe impossibile cogliere. Il paesaggio dunque può diventare il pretesto per giochi cromatici e di atmosfera, come nelle vedute frontali e nei cieli sterminati di Luca Gastaldo, oppure può diventare lo spazio di una denuncia sottile, calibratissima, verso i crimini ambientali, come fa Jernej Forbici sulle sue tele gigantesche (o piccole e profonde) dove gli sfondi possiedono una grazia quattrocentesca e i primi piani appaiono graffiati e gestuali. Può raccontarsi nella materia scabra e ruvida di Andrea Mariconti – quasi corteggiando l’astratto – o farsi nube di colore nelle fronde di Arcangelo Ciaurro, o ancora sostanziarsi in un labirinto di tronchi rarefatto, minimale, in cui perdersi come nella favola di Alice (le grafiti su legno di Marika Vicari). Mentre la città si fa orizzonte materico e colante nei lavori di Daniele Cestari, che ci trasmettono il brusio del traffico come una vibrazione sottopelle. Ma è città anche quella di Matthias Brandes, costruita attraverso una pittura scabra, spigolosa, tridimensionale nella sua essenza, resa in ammassi di edifici pericolanti, che sembrano cadere uno sull’altro ma senza mai frangersi, o in costruzioni solitarie, perse nel nulla come nature morte. E dentro la città, nelle sue case, nei suoi appartamenti momentaneamente abbandonati, si muove con la precisione di un bisturi il pennello di Matteo Massagrande, aprendoci la porta di stanze intrise di memorie e scolpite dalla luce. Mentre
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Michele De Lucchi, architetto visionario, ci racconta una città immaginata nei suoi disegni liberi e densi di poesia. La FIGURA ci chiama al riconoscimento, all’immedesimazione. Chi di noi non vorrebbe essere, per esempio, una delle fanciulle dipinte in punta di pennello da Claudia Giraudo, colte nel momento più intimo del dialogo con il loro daimon, il loro spirito guida, sostanziato in un animale? O chi, invece, non vorrebbe perdersi dentro uno di quegli orizzonti sterminati dipinti da Federico Infante con una pittura materica, istintiva, e restare lì, col vento che solleva i vestiti, a guardare negli occhi la grandezza della natura per ritrovarvi il vero sé? O forse ci riconosciamo meglio negli interni onirici di Ilaria del Monte, dove le piante parlano, le tappezzerie si animano e i fiori del tappeto salgono ad avvolgere i nostri piedi. E che dire della metropoli raccontata da Liliana Cecchin attraverso la folla che si incontra nei luoghi pubblici o nelle stazioni, folla della quale l’artista rende il movimento con una pennellata inquieta e vibrante? E’ forse la stessa folla che Pietro Scampini narra in sequenze di “ombre”, sagome leggere, in ferro, che camminano una in fila all’altra, o quella che Dolores Previtali rende nelle sue terrecotte sofferenti, in gruppi serrati che hanno la potenza mistica del pellegrinaggio e della preghiera. Folla che si sostanzia, poi, nei singoli viaggiatori grazie alle terrecotte di Nicola Biondani, perfetta fusione tra scultura del grande Novecento e contemporaneità. La potenza virile dei bronzi di Matteo Pugliese è una rilettura
contemporanea della statuaria classica, bruscamente catapultata nel contemporaneo dalla scelta stilistico-formale di farli sgorgare dal muro come apparizioni fantasmatiche. Gioca invece di sponda con le nostre percezioni l’uomo di Alex Pinna, sagoma appena accennata, ibrido tra figura reale e suggestione, ombra di Peter Pan staccata dal corpo e venuta a porci domande alle quali non sappiamo (o forse non vogliamo) rispondere. Anche gli ANIMALI parlano di noi: quelli resi in campiture piatte da Massimo Caccia e colti in situazioni emblematiche di indecisione e di sospensione o quelli dipinti da Gabriele Buratti su sfondi di città deserte, quasi a raccontare un day after in cui la natura riconquisti gli spazi perduti; quelli di Johannes Nielsen, cavalli esili, minimali, quasi l’idea stessa dell’animale forse più scolpito della storia, e quelli giocosi di Matthias Verginer, impegnati in prodezze circensi con una polposa valchiria bionda. Ma anche quelli di Mario Branca, capace di piegare il metallo a una poesia unica, verissima e splendidamente artificiale, o quelli di Alice Zanin, Liberty e modernissima al tempo stesso nel suo uso poetico della cartapesta. La NATURA MORTA acquista qui valenze nuove e inedite. Perché se Ottorino de Lucchi ce la restituisce nella sua forma più classica, facendoci scoprire però le doti luministiche e metafisiche dell’acquerello a secco e se Paolo Quaresima ci invita a scoprire nelle sue stoviglie e nei suoi oggetti poetici un’ultrarealtà più vera del vero,
ecco la luce di Maria Teresa Gonzalez-Ramirez, ecco gli scatti di Alberto Bortoluzzi. E poi ecco le camicie e le cravatte di Alberto Magnani, così vive da uscire dallo spazio e da sembrare esse stesse piene della vita di chi le ha indossate, e la resina di Annalù, domata con una tecnica unica e particolarissima fino a diventare fiore, acqua, farfalla o foglia vibrante di trasparenze. Infine l’ASTRATTO, che ha mille forme e mille racconti da scoprire sotto la pelle. Come nelle tele materiche e coloratissime di Tomàs Martínez Suñol, che nascondono percorsi segreti tra le case di un villaggio spagnolo, o come nella materia liscia e ipnotica di Paola Ravasio, intrigante ibrido tra riconoscibili antropomorfismi e algide geometrie, o ancora come negli assemblaggi materici di Antonio Pizzolante, in bilico tra emozione aniconica e paesaggio. Jill Höjeberg ci regala sinuose curve di marmo che invitano a farsi accarezzare come morbidi corpi femminili, mentre Marica Fasoli ci invita a una caccia al tesoro, dispiegando davanti ai nostri occhi, con il suo pennello dalle abilità squisite, la carta ordinatamente stropicciata degli origami.
ALESSANDRA REDAELLI
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5 YEARS - CONTEMPORARY CLASSIC The debate has been on the table for a while, however attention towards the true canons of art has just lately reawakened. It might be due to an even more aggressive market (last May the Hitler by Cattelan, Him, was sold for 17 million dollars) or to a real crisis of the insiders – artists first of all, as well as gallerists, critics, directors of museums, media – who are unable to focus within a multi-faceted reality, still dominated by the idea that any expression can be defined art. However, within a couple of months, we will enter 2017 and the symbol of this conceptual rule – the Fontana by Marcel Duchamp – will be 100 years old. One hundred years is an eternity: a geological era for Art movements. In 2007 Aude de Kerros published L’art caché, a book which provokes deep reflection, but bizarrely still does not have an Italian translation nor an editor. Through a journalistic language, clear and simple, it deals with difficult topics. Her theory (vaguely paranoid, yet undoubtedly interesting) claims that “contemporary art” is not a time definition, but the easiest term to define a movement which gathers the most daring extensions of conceptual. A fluid genre (like our times), multi-shaped, transforming, sometimes as huge as an installation by Richard Serra, other times as whispered as a performance by Marina Abramovic, but always characterized by a tremendous penetrating power. A genre (this is the point, the knot around which L’art caché becomes a sort of fantasy thriller) which has been meticulously built and strongly supported by those who wanted, and obtained, the displacement of artistic power from Europe to the United States, and therefore is deeply rooted into the glorious era of Abstract Expressionism. A genre which was then protected and fed by skilled market actions, also due to political reasons. Personally, I believe that Jackson Pollock is one of the most true and brilliant artists the world has ever known. Moreover, I do not think that a strategy is enough to create such talents like Francis Bacon or Pietro Manzoni,
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nor to provide with space and gifted figures like Andy Warhol or Robert Rauschenberg. Nonetheless, I admit that the longevity of a genre based upon ideas and concepts (definitely unstable elements), at the expenses of technical ability and inventive originality, offers interesting food for thought. Particularly considering that throughout decades, especially nowadays, it born a wide distinction between those who are married to this concept (some art fairs prove it) and those who support the “other” art, the one which Ayde de Kerros defines grand art and is made of hard work, study, technique, activities carried alongside with masters who can inspire paths, and speaks to the audience through immediately understandable languages. An art which – this is the fundamental difference – allows the audience to “like” or “dislike”, something which conceptual, from the urinal to the candies piled up a wall by Felix-GonzalezTorres, strictly forbids. As if to say that, even if conceptual is deep and interesting, there is an audience who still needs that undefined yet precise thing called Beauty, which has been lost for a while. Among those seeking the grand art it can be listed the PUNTO SULL’ARTE Gallery of Sofia Macchi, who has never deviated from a clear path of researching the classic root within the most new and lively trends of contemporary art. Her choices are first of all originated by taste. And usually, even when art is considered from a market point of view, whether one is experienced and accurate, taste is always the right choice. Since following one’s own heart choices will surely be coherent and harmonious, the artists’ voices – even with their unavoidable differences – will definitely give birth to unexpected chords and interesting counter melodies. Even more important when the Gallery, as often happens, gathers the artists within double or triple solo exhibitions upon a theme, in order to plumb (as it happened without rest within the last five years) the underground tendencies of reality and society.
A classic choice, the one made by the PUNTO SULL’ARTE, yet unpredictable. Together with her collaborators, Sofia Macchi has carried out a meticulous research upon local and Italian realities, she travelled and investigated from Europe to New York, she attended and still participates to Art Fairs, and she takes each day as an opportunity to meet new languages and evaluate their power. She made room for well-known artists who were strongly wanted by her and acted as a talent scout for young artists, who found in Varese a chance to be known and confirm their artistic value. Therefore the Gallery, analysing five years of activity, can be proud of a varied and substantial team, a group of artists which, in their own personal way, describe landscapes and still life, figures and abstract, nature and animals, filtering for us – then representing them upon canvases or in sculpture – the problems and knots of this beginning of the millennium. LANDSCAPE is one of the most interesting genres, since a glimpse offers endless possibilities and its lyrical power is limitless. Moreover, nowadays our metropolis are described through the trend of urban landscape, which gifts them with a kind of poetry only the artist can seize. Therefore, landscape can become the chance to express chromatic and atmospheric games, as in the frontal views and endless skies by Luca Gastaldo, or it can become the space of a subtle and balanced denunciation of environmental crimes, like Jernej Forbici does upon his huge (or little and thick) canvases, whose background recall a fifteenth-century grace while close ups seem scratched and gestural. It can be narrated by the rough and scratchy matter by Andrea Mariconti – almost courting abstract – or become a coloured cloud within the fronds by Arcangelo Ciaurro, or materialize within a rarefied and minimal labyrinth of trunks, among which one can get lost like Alice in Wonderland (the graphite upon wood by Marika Vicari). On the other hand the city becomes material and drifting horizon
within the works by Daniele Cestari, which transfers the buzz of the traffic like a subdermal vibration. Also the one by Matthias Brandes is a city, built through a rough, sharp, threedimensional painting, expressed through piles of rickety buildings, which seem to fall one onto the other, but never collaps, or through isolated structures, lost within nothing like still lives. Inside the city, within its houses, its temporarily abandoned apartments, the brush by Matteo Massagrande turns into a scalpel, letting us enter rooms filled with memories and carved by light. Whereas Michele De Lucchi, visionary architect, tells us about an imagined city through his free and poetic drawings. On the other hand, FIGURES urges us towards identification, recognition. Who would not want to be, for example, one of the young ladies painted by Claudia Giraudo, seized within the most intimate moment of dialoguing with their daimon, their spiritual guide, materialized into an animal? Or who would not get lost within one of those endless horizons by Federico Infante, realized through a material and impulsive painting, then remaining there, within the wind lifting the clothes, staring at the greatness of Nature to recognize one’s own self? Or maybe we better identify within the dreamy interiors by Ilaria Del Monte, where plants speak, wallpapers animate and the flowers on the carpet wrap around our feet. And what about the metropolis described by Liliana Cecchin through the crowd crossing public places and stations, a mass materialized through a restless and vibrant brushstroke? Is it the same multitude narrated by Pietro Scampini through a series of “shadows”, light iron figures, which walk one after the other, or the one which Dolores Previtali represents with her suffering terracotta, gathered in dense groups thus recalling the mystic power owned by pilgrimages and prayer? A mass which then materializes within each bronze traveller by Nicola Biondani, a perfect mixture between twentieth-century sculpture and
contemporary. The virile force of the bronzes by Matteo Pugliese is a reinterpretation of classic sculpture, thrown within contemporary by the choice of making them emerge from the wall like phantasmal apparitions. On the other hand, the man by Alex Pinna plays with our perception, being a sketched figure, an hybrid between real and suggestion, like the Peter Pan’s shadow which, detached from the body, asks questions which we cannot (or do not want to) answer. Even ANIMALS represent us: the ones placed in plain coloured fields by Massimo Caccia and seized within emblematic moments of uncertainty and suspension or the ones painted by Gabriele Buratti upon backgrounds of desert cities, almost describing a day after where Nature conquers back its spaces; the ones by Johannes Nielsen, thin and minimal horses, as if the idea of the animal were more sculpted than the story itself, and the playful ones by Matthias Verginer, occupied in circus feats with a pulpy blonde Valkyrie. Moreover, the ones by Mario Branca, who is able to bend metal to create a unique poem, deeply rue and artificial, or the ones by Alice Zanin, both Liberty and contemporary, thanks to her poetic use of papier-mâché. STILL LIFE gains new and unexpected values. Since, whether Ottorino De Lucchi represents it in its classical way, yet gifting it with the luminist and metaphysical qualities of the watercolor drybrush, and Paolo Quaresima invites us to discover within his dishes and poetic objects an ultrareality more true than real, here come the light by Maria Teresa Gonzalez-Ramirez and the snapshots by Alberto Bortoluzzi. Then the shirts and ties by Alberto Magnani, so alive to exit their boundaries, seeming to be filled with the same life of those who wore them, and the resin by Annalù, tamed through a unique technique, which turns it into a flower, water, a butterfly or a leaf vibrating of transparencies. Finally the ABSTRACT, which has endless shapes and stories to be discovered under
the skin. Like in the material and colourful canvases by Tomàs Martínez Suñol, hiding secret paths among the houses of a Spanish village, or within the smooth and hypnotic material of Paola Ravasio, a fascinating hybrid between recognizable anthropomorphisms and alpine geometries, or again within the material assemblies by Antonio Pizzolante, balancing between an iconic emotion and landscape. Jill Höjeberg gifts us with sinuous marble bends, urging us to caress them as if they were soft feminine bodies, whereas Marica Fasoli invites us to a treasure hunt, unravelling in front of us – through her expert brushstrokes – the tidily crinkly paper of the origamis.
ALESSANDRA REDAELLI
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PA E S A G G I O
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JERNEJ FORBICI New born dead flowers
2015 | Olio e acrilico su tela | 130 x 180 cm
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MARIKA VICARI ...giungono stormendo attraverso i boschi come foglie d’autunno 2016 | Grafite e acquerello su tavola | 30 x 120 cm
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MATTHIAS BRANDES Cortile
2015 | Olio e tempera su tela | 100 x 120 cm
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MATTEO MASSAGRANDE Villa Contarini
2016 | Tecnica mista su tavola | 100 x 120 cm
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DANIELE CESTARI Silenzio assordante
2016 | Tecnica mista su tela | 70 x 150 cm
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LUCA GASTALDO Il grande saggio
2015 | Tecnica mista su tela | 20 x 20 cm
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LUCA GASTALDO Guardiano notturno
2014 | Tecnica mista su tela | 20 x 20 cm
ARCANGELO CIAURRO Connessione
2016 | Acrilico su tavola | 60 x 60 cm
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MICHELE DE LUCCHI Edifici vuoti
2014 | Matita su carta | 25,5 x 18,8 cm
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ANDREA MARICONTI Konis
2015 | Olio e cenere su tela coperta con plexiglass | 80 x 80 cm
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FIGURA
ALEX PINNA Upstairs heroes
2016 | Bronzo patinato | 135 x 105 x 85 cm
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ALEX PINNA Quattro
2016 | Bronzo e ferro | 120 x 20 x 15 cm
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FEDERICO INFANTE The sounds we follow
2014 | Acrilico su tela | 121 x 254 cm
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FEDERICO INFANTE Magnolia I
2015 | Acrilico su tela | 121 x 76 cm
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CLAUDIA GIRAUDO Cuore di fauno. Atto I
2016 | Olio su tela | 50 x 50 cm
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CLAUDIA GIRAUDO Cuore di alce
2016 | Olio su tela | 50 x 40 cm
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MATTEO PUGLIESE Raw
2015 | Bronzo | 74 x 37 x 23 cm
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MATTEO PUGLIESE Custode Samurai VIII
2016 | Marmo bardiglio e bronzo | 45 x 38 x 29 cm
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LILIANA CECCHIN Movement in art fair
2016 | Olio su tela | 30 x 40 cm
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NICOLA BIONDANI Lo scambio
2010 | Terracotta patinata | 72 x 21 x 37 cm
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PIETRO SCAMPINI Ombre
2012 | Ferro | 76 x 30 x 2 cm
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DOLORES PREVITALI Figure
2014 | Terracotta | 40 x 55 x 22 cm
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ILARIA DEL MONTE La prima sera
2016 | Olio su tela | 20 x 20 cm
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ALBERTO BORTOLUZZI Lei (Elafonissi Grecia)
2016 | Stampa su HahnemĂźhle fine art baryta montata su alluminio | 67 x 100 cm
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MONDO ANIMALE
JOHANNES NIELSEN No title Litografia | 56 x 72 cm
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JOHANNES NIELSEN Empty path #2
Bronzo | 36 x 42 x 13 cm
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MARIO BRANCA Studio per Pesce Scatola
Fusaggine e pastello encausticato su carta | 60 x 40 cm
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MARIO BRANCA Pesce Scatola
Rame ossidato e acciaio | 210 x 50 x 40 cm
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MASSIMO CACCIA Senza titolo
2016 | Smalto su tavola | 75 x 75 cm
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MASSIMO CACCIA Senza titolo
2016 | Smalto su tavola | 20 x 20 cm
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MATTEO PUGLIESE Zebra
2005 | Bronzo | 57 x 55 x 16 cm
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MATTHIAS VERGINER Facial treatment
2016 | Legno di tiglio e acrilico | 67 x 77 x 33 cm
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GABRIELE BURATTI Rhino
2015 | Olio su tela | 20 x 20 cm
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ALICE ZANIN Bay foxtrot chasing a May peacock
2016 | Cartapesta, tessuto, acrilico, piume di pavone, resina; montato su ferro | 65 x 43 x 18 cm
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N AT U R A M O R TA
ANNALĂ™ Uchiva
2016 | Vetroresina, inchiostri, radici | 110 x 147 x 12 cm
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PAOLO QUARESIMA Colazione con torta
2015 | Olio su tavola | 35 x 35 cm
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PAOLO QUARESIMA Grande caffelatte
2015 | Olio su tavola | 40 x 40 cm
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PAOLO QUARESIMA Colazione su (gremito) davanzale 2015 | Olio su tavola | 40 x 40 cm
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MARIA TERESA GONZALEZ RAMIREZ Mi luz
2016 | Ceramica e vetro | 26 x 12 x 12 cm
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ALBERTO MAGNANI Frames
2016 | Olio su tela | 50 x 70 cm
ALBERTO MAGNANI Frames
2016 | Olio su tela | 100 x 70 cm
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OTTORINO DE LUCCHI Ultimi di settembre
2014 | Watercolor drybrush su tavola | 40 x 50 cm
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A S T R AT TO
TOMÀS MARTÍNEZ SUÑOL Tot un dia de calor
2015 | Olio su tela | 130 x 97 cm
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TOMÀS MARTÍNEZ SUÑOL La cantonada
2015 | Olio su tela | 15 x 15 cm
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ANTONIO PIZZOLANTE L’essenza della Terra
2015 | Tecnica mista su tavola | 80 x 54 cm
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ANTONIO PIZZOLANTE Ipostasi
2014 | Ferro e acrilico su tela | 20 x 20 cm
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PAOLA RAVASIO Senza titolo
2013 | Disegno a china | 22 x 22 cm
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PAOLA RAVASIO Confidenze
2015 | Vetroresina | 35 x 45 x 45 cm
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JILL HÖJEBERG Holding visions black
2015 | Marmo nero Belgio | 46 x 27 x 19 cm
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JILL HÖJEBERG Glass obstacle - Hanging
2011 | Alabastro e vetro | 17 x 10 x 45 cm
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MARICA FASOLI Fiore quadrato
2016 | Olio su tela | 60 x 60 cm
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MARICA FASOLI Butterfly
2016 | Olio su tela | 20 x 20 cm
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di SOFIA MACCHI VIALE SANT’ANTONIO 59/61 21100 VARESE (VA) ITALY +39 0332 32 09 90
INFO@PUNTOSULLARTE.IT