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Gli elaborati del piano
La concertazione
La legge urbanistica regionale prevede che la Regione del Veneto, nella formazione del nuovo Piano Territoriale Regionale di Coordinamento (P.T.R.C.), conformi la propria attività pianificatoria territoriale al metodo del confronto e della concertazione con gli enti pubblici territoriali, con le amministrazioni preposte alla cura degli interessi pubblici coinvolti, con le associazioni economiche e sociali portatrici di rilevanti interessi sul territorio e di interessi diffusi, con i gestori dei servizi pubblici e di uso pubblico, invitando tali soggetti a concorrere alla definizione degli obiettivi e delle scelte strategiche. La normativa statale in tema di VAS e le disposizioni regionali nel merito stabiliscono la necessità di garantire l’approccio partecipativo dei soggetti aventi competenza in campo ambientale e del pubblico nel determinare le scelte pianificatorie, al fine di perseguire lo sviluppo sostenibile. A tale scopo la Regione Veneto ha provveduto, con DGR 4515 del 28.12.07 e DGR 1056 del 6.05.08, a realizzare 11 incontri pubblici, articolati per ciascuno dei temi individuati in sintesi nella Tavola degli obiettivi del Documento Preliminare: uso del suolo; biodiversità; energia, risorse e ambiente; mobilità; sviluppo economico; crescita sociale e culturale. Tre incontri invece hanno riguardato i temi trasversali alle azioni di piano, interessanti la montagna, la città, il paesaggio, considerati come i focus strategici, da cui derivano gli scenari di sviluppo futuro del Terzo Veneto. Due incontri sono stati dedicati alle consultazioni per la Vas, condotti secondo una metodologia che, ha privilegiato il ricorso a tecniche di lavoro di gruppo. Gli incontri hanno avuto luogo nei mesi di maggio e giugno (9/06-23/07) rispettando un principio di turnazione delle sedi nelle città capoluogo di provincia o comunque appartenenti alle diverse province del Veneto. Le modalità di articolazione della concertazione, definite con delibera, sono state esplicitate in forma scritta nell’invito indirizzato a tutti gli enti aventi diritto ai sensi della legge regionale 11/04 (allegato alla DGR 4515 del 28.12.2007) e pubblicizzate sulle pagine web del sito dedicato al PTRC dove è possibile consultare tutti i documenti relativi al processo di piano. La concertazione, che ha visto la partecipazione di circa 400 rappresentanti di enti e associazioni invitati, ha consentito di mettere a fuoco i temi da una prospettiva talora inusuale per l’approccio tecnico-urbanistico ma essenziale per sperimentare una metodologia interdisciplinare e concertata delle scelte di pianificazione.
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Incontro di apertura della concertazione sul PTRC al Pedrocchi di Padova il giorno 6 maggio 2008
L’apporto partecipativo si è esplicitato nella forma orale, attraverso il confronto emerso nelle diverse sedi che hanno ospitato gli incontri tematici e nella forma scritta (email, posta, fax) con le osservazioni/contributi propositivi che sono pervenute alla Direzione. Tali contributi, complessivamente in numero di 91, sono stati valutati attentamente e giudicati sulla base della loro incisività a interpretare e/o migliorare il disegno di piano e quindi tali da essere assunti o meno nella logica della sua impostazione. Come si è più volte detto il processo di redazione del Piano Territoriale Regionale di Coordinamento è un processo aperto che vede la collaborazione attiva dei diversi attori coinvolti: ciò significa che la “concertazione”, di cui oggi si parla, è una fase richiesta dal legislatore per consentire ai soggetti aventi diritto di intervenire nel processo di piano, dall’altro va intesa come un confronto necessario e costante per rendere credibile ed efficace uno strumento di governo del territorio: ne consegue che ogni apporto che si riterrà di proporre in questa ma anche nelle fasi successive di elaborazione ed approvazione del PTRC sarà considerato un’opportunità ai fini della condivisione e quindi degli esiti futuri del piano stesso.
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La sostenibilità del piano
Rinnovare la sostenibilità per un nuovo modello Veneto
Quando, all’inizio degli anni Sessanta, il Veneto si scopriva come una regione che aveva avviato il passo definitivo verso l’economia industriale, non fu immediato né facile interpretare un processo tanto rapido quanto inedito. L’industria era comparsa in forme e localizzazioni diverse, anche rispetto alle altre manifestazioni venete consolidate, come Porto Marghera e l’Alto Vicentino.
In sintesi estrema, la campagna veneta centrale, quella della casa sparsa e del modello culturale “bianco”, aveva prima affiancato e poi sostituito l’agricoltura con l’industria manifatturiera, mantenendone però localizzazione, impianti, connessioni territoriali, modelli culturali, relazioni sociali e di potere, stili di vita. Il processo dilagherà fino a permeare l’intero Veneto tra Pedemonte e Bassa Pianura, sconfinando un po’ dovunque, fino alle aree estranee al sistema insediativo del podere e della sua tipica cultura, fino alla Val Belluna e il Cadore e perfino nella “rossa” Bassa Pianura della grande proprietà capitalistica, che aveva per decenni alimentato l’emigrazione verso il “Triangolo” del miracolo economico. A questa ondata di industrializzazione, una autentica “rivoluzione tranquilla”, si è affiancato progressivamente un complementare processo di espulsione dell’industria dalle aree urbane riconvertitesi all’economia dei servizi. Nello stesso tempo il settore turistico completava il patchwork dei distretti industriali, adottandone le modalità territoriali, note ormai come “modello veneto”.
La carta vincente di questa pacifica transizione all’economia industriale del Veneto è stata proprio l’attivazione del capitale territoriale, culturale e sociale ereditato dalla fase precedente, capitale attivato in chiave diversa, ma capace di ridurre i costi di produzione in modo determinante: grazie alla continuità nell’uso di abitazioni e fabbricati tecnici, alla disponibilità di suolo in un sistema territoriale già attrezzato, alle relazioni industriali gestite in chiave pre-moderna e affidate a rigorosi sistemi familiari e comunitari di controllo e garanzia. Ma ancora, le reti stradali, energetiche, idriche erano già attive e, in principio, sufficienti a sostenere lo sforzo della prima accumulazione; una consolidata connessione diretta tra risparmio e investimento d’impresa si è travasata dall’agricoltura all’industria, sono rimasti attivi solidi modelli culturali di comportamento, capaci di dare fiducia e riconoscibilità reciproca a famiglie, imprese, istituzioni, enti pubblici, sistema del credito.
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Borgo di Campo, Brenzone, Verona (DL)
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Oggi il capitale ereditato ha esaurito la sua funzione, minato in tutti i sensi proprio dallo sviluppo industriale che esso ha garantito; rappresenta più un impedimento che un fattore di propulsione. La insostenibilità del modello strutturatosi negli anni Sessanta, pur responsabile di uno splendido successo, è modificata dalla dispersione degli insediamenti che non ha prodotto, quasi ovunque, economie di agglomerazione; ma sente il peso anche della esiguità dell’eredità culturale tipica della grande impresa, della mobilità affannosa e capillare, insostenibile per la rete viaria (solo parzialmente e faticosamente rammodernata), dello sviluppo rovesciato sulla qualità ambientale in tutti i suoi elementi, del ritardo con cui si cerca una franca adesione a modelli culturali e sociali capaci di far senza della solidarietà familistica. Un modello di sviluppo che – nella sua maturità - ha messo il Veneto in una fase di sospensione, facendolo oscillare tra la prosecuzione di vecchi schemi e una difficoltà a riconoscersi nelle nuove modalità produttive a più alta tecnologia, rivalutando il ruolo della ricerca e della sua connessione con la produzione, la dimensione europea e globale, ben battuta come mercato, non ancora assimilata da protagonisti.
Questa fase di transizione, che impone una ridefinizione degli scenari e delle regole dello sviluppo, è resa più chiara, ma anche più complessa, al tempo stesso dalla necessità di aderire ai canoni della sostenibilità, indicati ai sistemi locali dagli obiettivi di contenimento della crisi ambientale globale.
Lo sviluppo sostenibile non è una semplice questione di qualità ambientale, né di solo contenimento dell’uso di energie fossili: è un itinerario di trasformazione del rapporto tra le società locali e l’ecosistema alle sue varie scale, rapporto mediato da apparati culturali, sociali e demografici, economici e tecnologici. Se la qualità ambientale e le performance energetiche sono una utile unità di misura, le sue modalità devono ricomprendere questo sfaccettato insieme di elementi. Molti dei quali leggibili e regolabili proprio delineando le modalità di organizzazione del territorio.
I temi in evidenza sono numerosi. Un primo aspetto, spesso trascurato, è il necessario sostegno allo sviluppo da parte della popolazione regionale, come garante sia della produzione, che di una cospicua domanda interna, ma anche come rinnovatrice delle dinamiche culturali e sociali. La nostra regione conosce da tempo un declino demografico, ora più che compensato dall’immigrazione, cui va ricondotta a sua volta, l’apparire di temi sociali ineludibili, nuovi e complessi.
Un secondo riguarda la qualità dell’aria che, per la densità delle emissioni e per la segregazione della circolazione atmosferica nella Grande Pianura, conosce nella nostra regione caratteri di gravità. La necessaria, più che auspicabile, riduzione delle emissioni imporrà una diversa ripartizione del trasporto persone tra settore privato e collettivo; ma il nucleo centrale del problema è costituito dalla necessità di correggere lo squilibrio presente a fronte dell’attuale dispersione dell’insediamento. Per altro verso va sottolineato il fatto che solo un’azione coordinata di tutte le regioni racchiuse dall’arco alpino e appenninico potrà dare qualche frutto, nel medio periodo.
Parimenti in evidenza la consistenza e la qualità delle acque di falda, sempre più condizionate dai processi di urbanizzazione che estendono la quota di suolo impermeabile, quota cresciuta in misura più che proporzionale rispetto alla edificazione. L’inibizione all’accesso in falda delle acque meteoriche, grazie alla loro raccolta e convogliamento di tipo urbano, da un lato enfatizza i problemi di smaltimento delle piene da parte da