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I parchi e le aree naturali protette del Veneto: valorizzazione e promozione

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Verona

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Per proteggere i valori naturali e il paesaggio, per tutelare, restaurare e valorizzare l’ambiente, sviluppando le potenzialità sociali, culturali, economiche delle comunità locali, la Regione del Veneto ha provveduto, fin dal 1989, ad istituire sul proprio territorio cinque parchi regionali e favorito la istituzione di venti parchi di interesse locale, i cui ambiti intendono essere rappresentativi di alcuni dei principali aspetti morfologici e idonei che la natura assume nella nostra regione.

I Parchi, non sono pensati come un’area tutelata dal punto di vista naturalistico, paesaggistico e culturale in cui si individuano solo divieti e neppure, sul versante opposto, come area destinata allo svago e fruizione turistica; nella “politica regionale” il parco è inteso come un territorio nel quale convivono le legittime aspirazioni di sviluppo socioeconomico delle popolazioni con il mantenimento delle peculiarità naturali-paesaggistiche, in un’ottica di conservazione e di sviluppo compatibile.

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La risorsa acqua e la sua gestione

L’assetto territoriale attuale dei comprensori di bonifica della Regione Veneto deriva dalla legge 13 gennaio 1976 n. 3, la quale ridusse i preesistenti 76 consorzi di bonifica agli attuali 201, della dimensione prevalente dell’ordine dei 50.000 ha. Alle nuove esigenze i consorzi di bonifica della Regione Veneto si sono preparati per tempo predisponendo strumenti di programmazione delle funzioni di propria competenza i quali hanno consentito un notevole sviluppo delle attività conoscitive legate al territorio. Verso la fine degli anni ‘80 la Regione Veneto ha predisposto il documento relativo alle Direttive per la redazione del Piano generale di bonifica e di tutela del territorio rurale, che ha poi portato alla elaborazione del Piano stesso sull’intero territorio della Regione classificato di bonifica, primo esempio in Italia di un documento di tale tipo elaborato su scala regionale. Successivamente l’Unione Veneta Bonifiche, in collaborazione con la Regione del Veneto, ha predisposto un Sistema Informativo Territoriale relativo alle opere di bonifica dell’intero territorio regionale, anch’esso primo esempio in Italia. Il Sistema Informativo Territoriale comprende l’intera rete idrografica dei collettori di bonifica e consente una precisa rappresentazione e descrizione delle reti idrauliche; risulterà strumento indispensabile per la programmazione e per l’esecuzione di tutte le attività in ambito di bonifica.

A tale Sistema Informativo Territoriale fa successivamente seguito quello relativo al Bacino scolante nella laguna di Venezia messo a punto nell’anno 2001, largo di applicazioni successive in tema ambientale eseguite dai consorzi di bonifica compresi in tale area. Da ricordare inoltre le attività per la gestione delle reti di bonifica in relazione agli eventi atmosferici prevedibili basati sui sistemi radar di Concordia Sagittaria e Teolo, i quali consentono un preannuncio degli eventi atmosferici. La difesa dagli allagamenti provocati dalle piogge intense viene perseguita con la ricerca di soluzioni estremamente differenziate in relazione alla complessità delle situazioni, che conducono alla individuazione di interventi di notevole articolazione. Primaria importanza assumono tra questi le opere di difesa idraulica dei centri abitati, in un quadro di visibile emergenza al verificarsi di eventi intensi; gli interventi di bonifica si spingono all’interno delle città, interconnettendosi con quelli di fognatura. Essi risultano di particolare rilievo e difficoltà, in quanto vanno ad inserirsi all’interno

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di un tessuto urbano talora compromesso sotto il profilo idraulico, nel quale risulta complesso reperire spazi per la realizzazione delle nuove opere. È questo uno dei compiti più gravosi ai quali deve adeguarsi la bonifica, studiando appropriate soluzioni tecniche che richiedono risorse finanziare, ingenti, ma di ordine di grandezza ben inferiore rispetto alle conseguenze di uno o più eventi meteorici critici. Si può ritenere che la realizzazione di opere idrauliche di bonifica in ambiente urbano possa essere inquadrata ormai in una lotta contro il tempo fra la necessità di portare a termine i nuovi interventi da un lato, e le difficoltà tecniche ed economiche dall’altro, legate alla loro realizzazione. Altro aspetto delle variazioni climatiche, di carattere opposto a quello delle esondazioni, è legato alla carenza idrica prevedibile da fronteggiare con l’irrigazione, che costituisce nella Regione Veneto un’attività di primaria importanza. Uno studio sull’irrigazione nel Veneto, realizzato nel 1979 a cura del Centro internazionale per gli studi sull’irrigazione di Verona poneva in evidenza una superficie irrigata di circa 370.000 ha, ed una superficie ulteriore convenientemente irrigabile di valore ad essa superiore.

Per l’alimentazione di tali superfici vennero realizzate in passato strutture di notevole rilevanza, tra le quali sono da ricordare le opere di presa dai maggiori corsi d’acqua, ed in particolare dal fiume Piave, dal fiume Adige e dal fiume Po, i corsi d’acqua della regione con maggior portata. I fiumi Adige e Po consentono la derivazione delle portate di entità più elevata, attraverso una serie di opere di presa di varia natura, da quelle di notevole entità a quelle più modeste costituite da pompe sulla sponda o da prese galleggianti. Attualmente la superficie irrigata nella regione ammonta ad oltre 580.000 ha, ma l’estesa siccità verificatasi nel corso dell’estate del 2003 ha posto in evidenza la vulnerabilità del sistema irriguo, e la necessità della ricerca di adeguate soluzioni. I problemi principali che i consorzi di bonifica devono affrontare ed avviare a soluzione riguardano la riduzione della disponibilità idrica e la necessità di adeguamento delle strutture irrigue, con particolare riferimento a quelle di distribuzione. Le iniziative per la riduzione dei consumi idrici legati all’irrigazione hanno assunto nella Regione Veneto ampia consistenza, in particolare nell’ambito collinare e pedemontano con il ricorso diffuso alla sostituzione degli impianti di irrigazione a scorrimento con impianti di irrigazione per aspersione e localizzata. Accanto a tali interventi di trasformazione delle strutture irrigue, si rendono necessarie la tutela delle risorse idriche esistenti e la ricerca di ulteriori fonti di approvvigionamento, ottenuta principalmente attraverso un incremento degli invasi superficiali e sotterranei. In tale ambito sono state assunte iniziative diffuse e di rilevante interesse applicativo, tra le quali la ricerca di disponibilità di maggiori risorse idriche attraverso il riutilizzo a circuito chiuso delle acque di pioggia, esperienza avviata nel bacino di Vallevecchia ubicato nel comune di Caorle in provincia di Venezia.

Rilevante risulta il fenomeno dell’intrusione salina, con particolare riferimento alla penetrazione del cuneo salino lungo le aste fluviali, lungo la fascia costiera veneta. In corrispondenza delle foci fluviali si determinano complessi fenomeni di interazione tra l’acqua dolce proveniente dall’entroterra e l’acqua marina, dipendenti sostanzialmente dal rapporto tra la portata fluviale e l’oscillazione di marea e dalle caratteristiche geometriche ed altimetriche della foce, nonché, nel breve periodo, funzione anche del moto ondoso e del vento. Quando la portata d’acqua dolce è dello stesso ordine di grandezza di quella dovuta al flusso e riflusso di marea, il che tipicamente accade per i corsi d’acqua veneti che sfociano nel mare Adriatico, caratterizzato da basso sviluppo di marea, si forma un interfaccia relativamente ben definito tra acqua dolce ed acqua salata, con la formazione di due distinte correnti sovrapposte caratterizzate da diverse densità. La corrente inferiore, di acqua salata, costituisce il cosiddetto cuneo salino. Il moto del cuneo salino è legato alle variazioni della portata d’acqua dolce in arrivo da monte. I periodi di magra sempre più prolungati che si stanno verificando in maniera sistematica negli ultimi anni, causati anche dall’incremento delle derivazioni dai corsi d’acqua e dai continui emungimenti dalle falde per soddisfare la crescente domanda di acqua dolce per uso acquedottistico, agricolo e industriale, favoriscono notevolmente la risalita del cuneo salino dalle foci dei fiumi verso monte.

Altro fattore che favorisce l’intrusione salina è costituito dal fenomeno della subsidenza, provocato soprattutto per la massiccia estrazione di metano dal sottosuolo iniziata negli anni ’50, che si aggiunge al naturale e costante bradisismo e all’eustatismo marino Il fenomeno della penetrazione d’acqua salmastra nei fiumi può determinare seri problemi per l’irrigazione. Inoltre, la penetrazione del cuneo salino può contribuire, a seconda delle caratteristiche di permeabilità di alvei ed argini, alla salinizzazione delle falde freatiche, determinando l’estensione di tale fenomeno, generalmente confinato alle zone costiere, anche alle aree più lontane dalla linea di costa, con conseguenti difficoltà di utilizzo delle acque di falda. La filtrazione di acqua salmastra attraverso gli argini e gli alvei dei fiumi determina altresì l’inaridimento dei terreni, modificando i locali ecosistemi; la vegetazione alofila, resistente alla salinità, va di conseguenza espandendosi lungo le aste fluviali, sostituendo le altre forme vegetali, ed ambienti tipici scompaiono. Per contrastare il fenomeno della risalita del cuneo salino si possono adottare due diversi approcci; il primo consiste nel garantire una portata fluviale sufficiente a respingere l’acqua salata verso il mare, il secondo prevede invece la realizzazione di opere nei pressi delle foci. Per quanto riguarda il primo, occorre intervenire sulla regolazione idrica del bacino idrografico, calibrando opportunamente i prelievi ed i rilasci d’acqua. Per quanto concerne invece le opere da realizzare nei pressi delle foci,queste possono consistere essenzialmente in sbarramenti antisale non superabili dal cuneo salino o in risagomature dell’alveo finalizzate alla riduzione della sezione del corso d’acqua e quindi ad un aumento delle locali velocità di flusso, tali da respingere verso mare il cuneo stesso. Dispositivi per la riduzione della penetrazione del cuneo salino sono stati messi a punto da tempo dai consorzi di bonifica prevalentemente con l’utilizzo di porte vinciane, ma nel corso degli ultimi anni gli studi in tale direzione sono stati estesi, ed hanno portato alla realizzazione di traverse mobili, di traverse flessibili e di barriere mobili.

Nell’ambito del perseguimento di finalità ambientali trovano ampio spazio la rinaturazione dei corsi d’acqua ed il miglioramento della qualità delle acque rilasciate. Le esigenze di tutela ambientale hanno condotto ad un rinnovamento delle tecniche di progettazione in vari ambiti della bonifica, introducendo criteri innovativi mirati alla riqualificazione del territorio accanto a quelli tradizionali di natura idraulica. La rinaturazione dei corsi d’acqua viene perseguita attraverso la ricostituzione della vegetazione ripariale e la creazione di fasce alberate lungo i collettori, considerate indispensabili, oltre che agli effetti paesaggistici, anche per la costituzione di vie di comunicazione che consentano la vita e la riproduzione della fauna. Pertanto negli interventi sulla rete idrografica viene perseguita una funzione di “corridoio ecologico” del corso d’acqua, attraverso la presenza di sistemi verdi costituiti da siepi, arbusti ed alberature, atti a fornire ricovero, percorsi e passaggi protetti ai componenti degli ecosistemi presenti nell’area. Considerata la caratteristica forma a reticolo assunta usualmente dai collettori di bonifica, che nella Regione Veneto coprono una lunghezza di molte migliaia di chilometri, risulta evidente l’interesse capillare che viene ad assumere il ripristino della vegetazione arborea lungo tali corsi d’acqua, pur tenuto conto delle limitazioni che questa pratica può incontrare per la necessità parallela di consentire la manutenzione con mezzi meccanici. La costituzione di oasi naturalistiche può essere abbinata, altresì, con i requisiti di pregio delle zone umide, con la realizzazione di volumi di invaso utili alla laminazione delle punte di piena, i quali possono fungere in pari tempo da serbatoi volti a migliorare la qualità delle acque attraverso l’incremento dei tempi di ritenzione idrica e da aree di sviluppo di vegetazione spontanea. In definitiva nel riassetto delle reti di bonifica, accanto ai provvedimenti tradizionali di ricalibratura dei corsi d’acqua e di potenziamento dei manufatti, si rivela determinante per il riequilibrio idraulico ed ambientale la ricerca sistematica di superfici destinate ad un uso plurimo di laminazione di piena, di sedimentazione parziale dei soluti, di invaso con rilascio controllato per garantire un deflusso minimo vitale nel canale, di oasi naturalistica con sviluppo di vegetazione arborea. Il miglioramento della qualità delle acque viene perseguito attraverso procedimenti riconducibili principalmente al drenaggio controllato, alle aree umide ed alla realizzazione di fasce tampone. Il miglioramento della qualità delle acque superficiali viene attualmente praticato anche nell’ambito di superfici appositamente dedicate dette aree umide di fitodepurazione (“phytoremediation wetlands”), le quali possono essere naturali, o costruite ex-novo o ricostruite in terreni agricoli bonificati ove un tempo esse erano presenti naturalmente. Sembra opportuno chiarire che, mentre la depurazione dei reflui civili ed industriali può avere alternative e può scegliere, a seconda delle convenienze, tra la tecnologia tradizionale e quella della fitodepurazione, la rimozione degli inquinanti dalle acque superficiali è possibile solo sfruttando processi naturali di rimozione, restituendo ed ottimizzando la capacità di autodepurazione dei corpi idrici. Le aree umide rappresentano l’unica tecnica possibile per rimuovere l’inquinamento residuo sfuggito alle pratiche di prevenzione e depurazione. Un’area umida è essenzialmente un bacino di ritenzione, collocato a lato del collettore del quale si vuole incrementare la qualità dell’acqua (area umida extraalveo) o lungo il collettore stesso (area umida in-alveo). L’area umida extra-alveo viene attraversata solo da una parte della portata fluente nel corso d’acqua, regolata a mezzo di opportuni manufatti di ingresso e di scarico, mentre all’interno dell’area umida in-alveo fluisce l’intera portata del corso d’acqua. Il contributo fondamentale al disinquinamento nelle aree umide deriva dalla presenza di piante macrofite, radicate o flottanti, in grado di controllare una serie di processi di tipo chimico, fisico e biologico che separano e trasformano le sostanze inquinanti presenti nell’acqua. All’effetto complessivo di depurazione delle acque contribuiscono anche i collettori di bonifica, caratterizzati usualmente da pendenze modeste che favoriscono i processi di sedimentazione e da fitte masse di vegetazione sulle sponde. Particolare attenzione deve essere rivolta all’opportunità di creare aree a maggior profondità libere da vegetazione, necessarie per limitare le formazione di zone di acqua stagnante, per favorire l’azione antibatterica della radiazione solare, per promuovere la riossigenazione della colonna d’acqua e la creazione di habitat utili per lo sviluppo di molte specie di uccelli e pesci. Anche le aree umide possono avere, come finalità ulteriori, l’attenuazione dei picchi di piena e lo stoccaggio delle acque, la ricarica della falda, l’aumento del valore naturalistico di un sito e conseguenti usi paesaggistici e didattico-ricreativi. Fra le recenti tecniche sperimentate allo scopo di far fronte al problema della riduzione del carico inquinante delle acque addotte nei collettori di bonifica vi è altresì quella delle “fasce tampone” boscate costituite da formazioni di vegetazione arborea e arbustiva, mono o plurifilari, che separano i corpi idrici superficiali, quali scoline, fossi, canali, fiumi o laghi, da possibili fonti di inquinamento diffuso. Uno dei motivi di interesse per le fasce tampone è costituito dalla loro importanza nell’ambito del ciclo naturale dell’anidride carbonica. Nel caso di combustione della biomassa legnosa, il cui ciclo vegetativo sia avvenuto in anni recenti, l’anidride carbonica che viene liberata durante la combustione risulta la stessa assimilata dalle piante in fase di crescita, e il bilancio complessivo per l’anidride carbonica atmosferica diviene quindi pari a zero, chiudendosi in un ciclo la cui durata è relativamente breve, andando da pochi anni per le cosiddette colture arboree, e arrivando fino a 50-60 anni per le colture a ciclo medio-lungo. Fra gli effetti ambientali esercitati dalle fasce tampone boscate viene infine descritta l’azione frangivento, che permette di difendere le colture agrarie dai danni meccanici causati da flussi di elevata intensità e, inoltre, di ridurre l’evapotraspirazione delle piante che vegetano sottovento. Nell’ambito della valorizzazione ambientale, particolare attenzione è stata rivolta alla tutela qualitativa e quantitativa delle risorse idriche. Un esempio di rilievo è dato dalla promozione di azioni di tutela delle risorgive nell’alta pianura veneta, compromesse da un fenomeno di abbassamento generalizzato delle falde acquifere. Fra le azioni di tutela degli acquiferi risultano di particolare rilievo quelle di ricarica a partire da cave dismesse o da superfici arborate. Le cave rappresentano un elemento di notevole potenzialità, utile a contrastare gli eventi estremi che deve affrontare la bo-

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nifica, le piene da un lato e la siccità dall’altro, in quanto gli ampi invasi disponibili nelle aree di pianura e in ambito. Da rilevare l’interesse per la produzione di energia elettrica anche da piccoli salti mediante impianti di varia natura, da quelli di tipo tradizionale a turbina a quelli a coclea di più semplice costruzione, oppure da condotte irrigue di grande diametro nei periodi di assenza di irrigazione. Una attività di notevole rilievo in campo ambientale svolta dai consorzi di bonifica della Regione Veneto, infine, è costituita dalla valorizzazione delle lagune, diffuse nella fascia costiera ed in particolare a nord della laguna di Venezia e nel delta del fiume Po. L’attività consiste principalmente nella vivificazione della circolazione idrica, svolta specialmente allo scopo di favorire la produzione di specie ittiche, e di mitili in particolare, praticata nelle lagune. Tra i risultati di maggiore rilevanza ottenuti mediante gli interventi sulle lagune va annoverato il contributo al mantenimento di un equilibrio idraulico in un ambiente tra i più complessi sotto il profilo morfodinamico.

1 Dopo l’adozione del PTRC, con L.R. 8 maggio 2009 n.12, i consorzi di bonifica sono stati ridotti a 10.

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Valle Vecchia: costruire il paesaggio delle aree costiere

Valle Vecchia è un sito di straordinario interesse ecologico. Ultima propaggine del comune di Caorle (Ve) prima di Porto Baseleghe e quindi di Bibione, si estende per circa 900 ettari, delimitata sui quattro versanti da acque marine, lagunari e fluviali. Il sito conserva ancora il suo patrimonio naturalistico fatto di una straordinaria varietà di piante ed animali, grazie ad interventi che risalgono alla fine degli anni ‘70 quando fu realizzata la fascia di tamerice e olivello a protezione delle dune a mare. Ai primi anni ’90 risalgono invece i primi interventi di forestazione; in particolare vennero realizzati in questi anni circa 14 ettari di bosco planiziale litoraneo, ubicati nell’area più orientale della valle e alcuni tratti di siepi campestri presso il centro aziendale. Il progetto generale di riqualificazione ambientale di Vallevecchia fu avviata dalla Regione Veneto con la partecipazione interdisciplinare degli enti operanti nel comprensorio: E.S.A.V. (Ente di Sviluppo Agricolo del Veneto) ed A.R.F. (Azienda Regionale delle Foreste), oggi confluite nell’Azienda Regionale Veneto Agricoltura, il Dipartimento Regionale per i Servizi Speciali all’Agricoltura ed il Consorzio di Bonifica Pianura Veneta Orientale. L’operazione condotta da Veneto Agricoltura ha conseguito un aumento della complessità ambientale, con la realizzazione di boschi, siepi e zone umide dolci e salmastre per oltre 80 ettari all’interno della superficie agraria, determinando a Valle Vecchia la ricomparsa e la nidificazione di specie di uccelli estinte da decenni e talvolta da secoli (pernice di mare; svasso maggiore; fistione turco; volpoca, moretta tabaccata, etc. etc.). L’avvio nel 2008 di una ulteriore fase di riqualificazione ambientale conseguirà un ampliamento della superficie allagata e, ponendosi in continuità con la strategia avviata da Veneto Agricoltura, porterà ad un ulteriore aumento del grado di complessità del sistema ambientale. A tale scopo all’interno del bacino è stato realizzato un serbatoio di invaso, nel quale le acque meteoriche fluenti nel collettore Sbregavalle, il corso d’acqua principale di Vallevecchia, sono immesse per sollevamento attraverso un impianto idrovoro dotato di elettropompe sommergibili. Un sostegno realizzato a valle dell’impianto idrovoro consente di trattenere le acque meteoriche da sollevare all’interno del bacino, e dal serbatoio le acque possono essere immesse a gravità attraverso una tubazione appositamente realizzata nel canale perimetrale Vallo, che scorre parallelo alla costa apportando allo stesso volumi idrici particolarmente preziosi in grado di contrastare la penetrazione salina dal mare verso l’interno del bacino. Da tale canale le acque di ricircolo possono essere immesse, attraverso appositi manufatti di derivazione, all’interno dei collettori di seconda raccolta, compresi tra Vallo e Sbregavalle, ed andare ad alimentare quindi con acqua dolce la falda freatica a supporto delle colture. In tal

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