TRAKS MAGAZINE #23

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MAGAZINE

Numero 23 - aprile 2019

CISCO respirare aria nuova

ALO EAZY TV LUMIERE

ONDANUEVE SCARDA


sommario 4 Cisco 8 Alo Eazy 12 Ondanueve 16 TV Lumière 20 Luciano Tarullo 22 Dheiti 24 Wallace Records 28 UnTimore 32 Scarda #5mc 36 Fabrizio Moro #qcs

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CISCO respirare aria nuova Stefano “Cisco” Bellotti torna con “Indiani & Cowboy”, album composto di dieci canzoni. Il cantautore è volato fino in Texas per raccogliere la giusta ispirazione e l’album è nato con il prezioso contributo di Rick del Castillo Per “Indiani & Cowboy” sei partito da presupposti differenti, sei volato fino in Texas e hai cambiato un po’ di cose. Ci spieghi perché? C’era per me necessità di cambiare aria musicalmente parlando perché gli ultimi dischi li ho sempre fatti in Emilia con i miei musicisti. In questo caso avevo bisogno di respirare aria nuova per pensare un nuovo progetto e l’immagine

della frontiera americana con il discusso muro che vuole costruire Trump, la vita normale quotidiana di tutti i giorni dove la frontiera è un posto simbolico dove le culture si intrecciano e si mischiano, ecco quel discorso mi interessa tanto. Ma è un discorso che possiamo trovare anche in Italia, nel Mediterraneo, è un legame che ci unisce molto forte e quindi quei concetti quei pensieri sono alle basi 4


del disco stesso. Mi sembra che oltre al discorso sonoro ci siano motivi ideali che ti hanno spinto in America. Sbaglio? Si per Indiani e Cowboy l’idea è stata proprio quella di mescolare le carte soprattutto a livello musicale, sfruttare questo ponte che si era creato con l’America grazie a Paolo Pagetti della Rivertale e alle sue conoscenze americane di Austin con Rick Del Castillo, un ponte quindi tra l’Emilia e il Texas, dove noi qui in Italia abbiamo creato le basi e poi l’abbiamo mandate oltreoceano per essere prodotte, completate e finite il cui risultato è qualcosa di completamente diverso da quello che ho sempre fatto nella mia vita, dove i suoni si mescolano, le radici non si perdono, la mia scrittura si sente. Il mio modo di scrivere canzoni infatti non è tanto cambiato, ma è cambiato il sound fatto da un produttore come Rick appunto che ha stravolto in alcuni casi i brani rendendoli affascinanti con suoni tex-mex, suoni di frontiera, suoni a me cari, rendendoli unici.

Questo lavoro è un lavoro pensato, voluto in questa maniera dall’inizio, non a caso ho a realizzare il disco quando ho avuto la concreta certezza di poter lavorare con Rick, di poter andare ad Austin a cantare, a mixare, a finire il lavoro del disco realizzandolo con queste determinate caratteristiche. Per quello reputo Indiani e Cowboy un album diverso dagli altri e per quanto mi riguarda, di cambiamento. I riferimenti all’attualità non mancano, così come i ritratti di personaggi “forti”. Come nascono, a proposito, le canzoni dedicate a Guido Rossa e Don Gallo? Questo senza dubbio è di sapore vintage ma dalle forti tematiche di attualità, non a caso si parla di confini, di muri, di migrazioni, di sceriffi e di indiani, perché il mondo è fatto sempre di più da indiani che tentano di sopravvivere e da cowboy che continuano a non capire. E quindi per questo è un disco di forte attualità. Le figure di Guido Rossa e di Don Gallo ovviamente si schierano dalla parte degli indiani, sono due figure di 5


capi indiani che resistevano e un grande amico che è venuto a mancare anni fa ed io ne sento personalmente la mancanza. Ho avuto modo di frequentarlo diverse volte, i miei primi due figli sono stati battezzati da lui, ho assistito alle sue messe laiche anzi direi quasi pagane, dove si passava da Gesù Cristo a Che Guevara, da Gandhi a Mao Tse Tung. È stato un personaggio importantissimo per la mia formazione ma credo che sia un personaggio che manca tantissimo nel mondo sociale culturale italiano perché era uno che sapeva sempre dire le cose giuste al momento giusto e che oggi giorno avrebbe messo al proprio posto alcuni personaggi che cercano di farla da padroni. Purtroppo è scomparso, ma dobbiamo assolutamente ricordare la sua importante figura. Che cosa ha regalato la produzione di Rick Del Castillo a

cui la prima tragica, della storia recente italiana, risalente a 40 anni fa quando negli anni di piombo le brigate rosse decisero di eliminare un sindacalista genovese che aveva denunciato alcune persone che erano conniventi con le br, quindi una storia non semplice che ancora oggi divide, ma che credo sia importante far conoscere. Per parlare di Guido Rossa tra l’altro ho usato la metafora della montagna perché lui era un grande scalatore, era un amante della montagna, quindi ho voluto usare questa immagine che mi sembra fosse molto adatta al personaggio. Don Gallo invece è uno di quei 6


questo disco? Rick Del Castillo è stato fondamentale per la realizzazione di questo disco, primo perché ha reso meno scontato e meno banale quello che noi avevamo registrato e inciso, facendo quello che fa un produttore di un certo tipo con una certa formazione e spessore, creando parti e stravolgendo i pezzi però assecondando l’indole della canzone stessa senza snaturarla. Rick ha dato delle vere e proprie perle e penso all’ultimo brano del disco che è Bianca, una ballata in dialetto che lui ha reso unica con il suo tocco di chitarra stile messicano facendola diventare una vera e propria chicca. Mi ricordo ancora la notte in cui mi mandò il provino di quello che lui aveva fatto e avevo avuto i brividi oltre che le lacrime agli occhi. Quindi una cosa importante il suo lavoro, fondamentale per la riuscita di questo disco e gliene sarò per sempre grato. So che Rick del Castillo non è un nome altisonante, così conosciuto come altri, lui si occupa anche e soprattutto di colonne sonore per esempio nei film

di Robert Rodriguez, Machete, Sin city, Dal tramonto all’alba, El mariachi, ecc…ma anche con Quentin Tarantino dove in Kill Bill Vol.2 troviamo proprio la chitarra di Rick e si possono sentire alcuni pezzi suonati da lui. Qual è il tuo film preferito del genere “indiani & cowboy”? Da ragazzino ero uno molto patito del mondo western e dei film western, giocavo sempre a cowboy e indiani ovviamente cercando di parteggiare sempre dalla parte dei cowboy perché erano i più fighi, avevano le pistole, gli sceriffi avevano la stella e il cappellone. Poi crescendo la storia ci ha raccontato in qualche modo la verità, siamo tutti diventati pro indiani. Riguardo al mondo western a me viene da citare tra i classici Ombre rosse del grande regista John Ford, di più recente invece mi aveva colpito L’ultimo dei mohicani, un film ben fatto che ancora oggi mi emoziona vederlo, e poi sicuramente i film del grande Sergio Leone con i suoi spaghetti western, per citarne uno fra tutti Per un pugno di dollari. 7


ALO EAZY

Con uno spiccato amore per l’ “Erba”, protagonista anche dell’ultimo singolo, la band della provincia di Alessandria progetta un ep e nel frattempo sabota matrimoni Volete raccontare qualcosa della vostra storia per chi non vi conosce? Siamo un gruppo di ragazzi di Capriata d’Orba, un paese in provin-

cia di Alessandria. Praticamente è tutta la vita che ci conosciamo, alcuni di noi hanno fatto l’asilo insieme, altri studiano insieme tuttora. Insomma siamo una sor8


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ta di grande famiglia. Ci piace la musica, ci piacciono le grigliate, la natura, le belle ragazze, il mare, le persone ricche che danno i soldi, i festival che chiamano i gruppi emergenti pagandoli, i bonifici e l’arte. Facciamo il nostro genere musicale, che si chiama Alo Eazy. Per tutto il resto, ascoltateci e magari comprate i nostri lavori. Altrimenti ci sarà un momento dove faremo soltanto le grigliate. Potete comprare anche quelle se volete.

Come nasce “Erba”? Erba nasce dai campi della nostra zona, dall’amore per la natura. Alcune parole a volte ci fanno pensare subito male, tipo: erba, negro, siluro, vengo, “lo metto dentro?”, “sono duro!”, toccami, “di che segno sei?” Insomma Erba sì, potete pure vederlo come un inno blah blah droghe, delinquenti, siete pazzi. Però pensate, non giudicate tutto subito, altrimenti vi perdete un sacco di cose. Tra 10


merà Warhol e sarà una Botta!! Non pensate male che sbrocco scrivo le parole a caso e bestemmie, spacco tutto! Siamo contenti, abbiamo viaggiato tra diversi colori e sentirete che per colori noi intendiamo diverse sonorità. Per questo si chiamerà Warhol, come lui abbiamo usato un punto di vista diverso per quanto riguarda la nostra musica. Siamo orgogliosi di essere maestri del “me ne fotto”! Vogliamo stare bene e magari far stare bene qualcuno, il tutto, divertendosi. Un saluto a tutti voi, grazie per aver dedicato il vostro tempo alla lettura della nostra intervista.

queste cose ci siete anche voi stessi. Dite quello che volete e fate quello che volete, oppure fate i soldi. Direi che anche il video che accompagna la canzone meriti qualche approfondimento… Il video… sì... allora, abbiamo deciso di buttare 300 euro di un lavoro che avevamo fatto in un pupazzo. La Piga. La Piga doveva sposarsi con Michele, però lui è stato con noi a fare festa, come suo solito, e si è dimenticato di sposarsi. La Piga voleva rapirlo, noi però siamo Duri! (Avete pensato male?) Comunque siamo andati a salvarlo, è andata bene perché la Piga è un’infame sbrocca di brutto, dentro c’è uno di noi, ma non riusciamo a capire chi è! Alla fine abbiamo trovato il nostro cantante ed era nella stanza sopra la sala prove. È in arrivo il vostro prossimo ep: ci raccontate come sarà? Il nostro ep si chia11


ONDANUEVE STRING QUARTET

“Mutazioni” è il nuovo ep della formazione che ha affiancato alle esperienze classiche il rock, la world music e il jazz, per arrivare a un linguaggio musicale eclettico


Da quali premesse nasce il vostro nuovo lavoro “Mutazioni”? Questo lavoro nasce con l’intento di evidenziare una nostra visione musicale sviluppata nel tempo. Come ogni cosa, anche la musica muta, si evolve, si fonde creando nuovi generi e così anche il modo in cui utilizziamo i nostri strumenti classici del quartetto d’archi in maniera diciamo molto meno “classica”. Abbiamo fuso quindi


molti generi musicali apparentemente lontani tra loro ma con così tanti elementi in comune da generare nuove sonorità e creando quindi, a modo nostro, una mutazione. Avete lavorato a colonne sonore, avete riproposto e riarrangiato classici del pop, ma immagino che l’approccio per un lavoro di inediti sia differente. Qual è il vostro metodo di lavoro? Il metodo inizia in maniera uguale per tutti, e cioè con le note sul pentagramma. Da lì si lavora in-

sieme per arrivare ad ottenere l’effetto desiderato. Un lavoro di inediti è sicuramente piu difficile e rischioso rispetto a riarrangiare canzoni che hanno avuto già un loro successo e che godono quindi del vantaggio di una forza in più, ma riuscire ad esprimere qualcosa di nostro, qualcosa che nel bene o nel male crea una nostra identità è sicuramente più emozionante ed appagante. Quali sono i dischi che avete ascoltato di più lavorando a “Mutazioni”? 14


me e gioioso talento. Una curiosità: se doveste individuare un/una cantante per i vostri o per un vostro brano, chi vorreste? Un nome solo, ma assolutamente senza limiti di tempo e spazio Un nome che ci viene in mente senza limiti soprattutto di importanza è Sting. Un artista che è riuscito a creare musica sempre innovativa e che non si è mai fermato nella sperimentazione, nonostante i suoi oltre 40 anni di carriera. Ha attraversato generi musicali più vari. Nel nostro piccolo ci rivediamo molto nel suo stile musicale.

Stare qui ad elencarli sarebbe davvero difficile. In questi 5 brani si spazia dall’ Irish al flamenco, al tango, musica venezuelana, popolare del sud italia, rock, balcanica e molti altri. Ogni genere di questi è stato assimilato con l’ascolto di decine di dischi l’uno. Come nasce “Mano de Diòs”? Si parla ovviamente di “quella” “Mano de Diòs”? In effetti abbiamo voluto valorizzare e avvicinare degli aspetti di Maradona con quelli della nostra città che l’ha ospitato nei sui tempi d’oro: Napoli. Questa composizione infatti rappresenta in musica alcuni aspetti del suo genio: un lato oscuro scandito da una pulsazione ritmica fusa a una tensione melodica iniziale, una parte introspettiva caratterizzata da un tango elettronico che lo lega alle sue origini, per poi sfociare in un mood mediterraneo solare, l’immagine sonora del suo enor15


TV LUMIERE

E’ disponibile “Avrei Dovuto Odiarti” il disco che segna il ritorno della band, otto anni dopo “Addio Amore MIo” un disco “folk”, il nostro album contiene molte trame volutamente desertiche ma non mancano gli interventi violenti a rievocare le nostre radici, abbiamo cercato di utilizzare le liriche per collegare tutti gli episodi di questo disco. Ho letto che la gestazione di questo disco è stata particolarmente lunga. Incidenti di percorso o vostro perfezionismo?

Da dove nasce il mutamento sonoro, da noise a folk, che si riscontra nel nuovo disco? Si tratta di un processo graduale, non di una scelta fatta a tavolino o per seguire una particolare corrente. Questo immagino che lo dobbiamo ai nostri ascolti recenti e alla voglia di andare sempre più incontro alla forma canzone, tuttavia non credo si possa definire 16


Touchè! Ci hai preso in pieno. Dopo Addio! Amore mio abbiamo avuto una lunga serie di problemi, la scomparsa di un nostro caro amico che stava lavorando a un nuovo progetto con il nostro chitarrista Ferruccio lo ha tenuto lontano dalla musica per un lungo periodo, seguito poi da un incidente stradale che lo ha bloccato fisicamente per un sacco di tempo e infine l’abbandono del gruppo da parte di Irene, l’arrivo del nuovo bassista e la ricostruzione. Come nasce “Fondo alle ancore”? Questo brano nasce da un’idea di Federico, così come le cose più cantautorali che trovi in questo album, tutto il disco avrebbe dovuto già funzionare con sole chitarra e voce e la band avrebbe dovuto soltanto colorar-

lo ma poi è uscito fuori il nostro istinto e questo è il risultato finale. La vostra band naviga nell’alveo della musica alternativa italiana ormai da qualche anno. Come giudicate il momento musicale italiano in generale? Grazie per la domanda, non capita spesso di poter parlare di questo senza dover mettere le mani avanti. Cercherò tuttavia di fare una sintesi. Non conosciamo i retroscena alla perfezione e non ci permettiamo di giudicare il lavoro altrui, il problema rimane sempre la gente e quanta voglia abbia o meno di guardarsi intorno anzi-

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tv non le discuto, purché ci vadano con la loro idea, che piaccia o meno, la musica per teenager non discuto neanche quella, c’è sempre

ché prendersi quello che gli viene offerto da chi ha pagato di più. Le scelte che fanno le band indipendenti di andar nei vari festival in 18


stata, che piaccia o meno. Se c’è un problema è quello che a differenza di qualche anno fa, i piccoli club che aprono e chiudono in continuazione e non vengono affatto aiutati dagli enti statali, anzi, vengono affondati, questo fa sì che i cachet siano sempre più bassi e molte band di un basso livello di popolarità non riescono più a spostarsi e portare la loro musica in tutte le città. Se prendo poi la domanda dal punto di vista artistico o gusto personale, non si tratterebbe più di un problema

italiano. Tra produttori e aperture ai concerti avete incontrato alcuni giganti della musica alternativa. Chi ha lasciato il segno maggiore su di voi? Senza dubbio alcuno la persona che sentiamo più vicina e con la quale abbiamo collaborato di più è Amaury Cambuzat, sia come Ulan Bator che come nostro produttore, egli ci ha strutturato come musicisti e aiutato a colmare le nostre lacune, oltre ad averci fortemente influenzato con la sua musica, Amaury rimane uno dei nostri punti di riferimento oltre che un buon amico!

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LUCIANO TARULLO

Il cantautore originario di Agropoli (Salerno) pubblica l’album “L’isola”, una miscela di cantautorato e rock come insegna la migliore tradizione musicale italiana Vuoi raccontare la tua storia? Ho incontrato la musica a 15 anni e da quel momento non l’ho più lasciata. A tal proposito tutte le mie scelte, anche di studio e professionali, sono state fatte in un’unica direzione e con un unico obiettivo, quello di far diventare questa passione un lavoro, e a oggi posso dire di avercela fatta anche se la strada è ancora lunga. Di conseguenza tutta la mia “storia” è parte integrante di questo lavoro discografico. C’è dentro un po’

tutto il percorso artistico e umano che ho compiuto da quando ho iniziato a suonare fino ad oggi. L’isola non è altro che la mia vita, il luogo dove sono cresciuto, le esperienze che ho fatto, le persone che ho incontrato sulla mia strada. La proiezione del mio mondo interiore e la visione di ciò che mi circonda. Questo disco nasce da una lunga gestazione: a cosa è dovuta questa elaborazione? Prima di tutto credo che per rea20


lizzare un lavoro discografico di qualità serva del tempo. Ho scelto di non avere fretta. Ho scelto di far uscire un lavoro che mi rappresentasse in tutto e per tutto. Diciamo che il lavoro più lungo è stato quello che ha riguardato la pre-produzione, e quindi la scelta dei brani, il lavoro di arrangiamento, la scelta dei musicisti, dello studio di registrazione. Tutte componenti fondamentali per la riuscita di un album. Anche la parte di mix e master è stata abbastanza lunga proprio perché c’era la voglia di non lasciare niente al caso. A tutto questo va aggiunto poi soprattutto il fatto che si tratta di un auto-produzione, e quindi come potete ben capire i sacrifici si moltiplicano. Questo per quanto riguarda la parte della produzione. Dal punto di vista artistico inoltre, ho deciso di inserire anche dei brani che ho scritto quasi agli inizi. Canzoni che avevo paura di lasciare per sempre nel cassetto. E anche per questo motivo che questo album rappresenta per me tutto un percorso che parte da lontano e arriva fino a qui. Un

percorso che rappresenta soltanto l’inizio. Dici di non esserti curato molto delle mode. Quali sono state le tue fonti di ispirazione? Sì in effetti è stato così. Questo assolutamente non per snobismo oppure perché non ci siano oggi dei riferimenti importanti da prendere in considerazione, anzi. È stato soltanto un voler approcciarsi alle canzoni in maniera diversa. Ho curato tutti gli arrangiamenti pensando al vestito migliore che andasse bene per ogni singolo brano dell’album. Questo per me significa “non seguire le mode”. Ciò non significa che non ci siano dei riferimenti importanti nella mia musica, anzi. Battisti, De Gregori, Vasco in primis. E poi il rock, soprattutto il sound legato agli anni 80’ e 90’. Visto che il disco si chiama “L’isola”… Tre dischi da portare su un’isola deserta? Risposta difficile. Mi gioco tre album degli artisti che ho citato nella risposta precedente, Il mio canto libero di Battisti, Rimmel di De Gregori e Gli spari sopra di Vasco. 21


DHEITI

Uscito il primo giorno di primavera, il nuovo ep della cantante e pianista si chiama “Rebirth”, alla ricerca di una rinasciata intima e del tutto naturale momento di cantare, ho semplicemente chiuso gli occhi e mi sono lasciata andare: infatti ho registrato le voci in pochissimo. Volevo che il risultato finale fosse il più naturale possibile. Sicuramente ho vissuto quell’intero periodo con grande intensità ed è stata una splendida esperienza. Dentro di me lo percepivo sia come un traguardo sia come la tappa iniziale di un nuovo percorso artistico. Da cosa origina la necessità di una “Rebirth”, di una rinascita?

Come hai affrontato il tuo primo lavoro da solista? È stato emozionante. Le sensazioni erano tante e diverse: entusiasmo, grinta, curiosità, approccio sognante, ma ci sono state anche fasi di stanchezza, timore, persino rabbia. Ci ho messo tutta me stessa. Ho partecipato a ogni step della produzione, seguendo i lavori con l’amore e la frenesia d’una mamma che attende la nascita del suo bambino, non lasciando nulla al caso... Però, quando è arrivato il 22


Credo che sia un bisogno che tutti proviamo più volte nella vita. Talvolta siamo fagocitati dalle abitudini, che spesso si fanno strette come catene togliendoci l’entusiasmo e la meraviglia negli occhi. Allora lì bisogna fare qualcosa. Serve spezzarle, quelle catene. Almeno provarci. Non c’è dubbio che, quando scrivevo i brani dell’ep, io attraversassi una fase del genere. Non è stata l’unica, e non sarà l’ultima. Come nasce “Feel”? Nasce in una piccola stanza di Lark Lane a Liverpool. Avevo da poco comprato una tastiera di seconda mano (decisamente “entry-level”) da un signore inglese. Erano due mesi che mi ero distaccata dalla pratica della musica e ne stavo soffrendo. Ricordo che quando salii le scale e la posizionai in un angolo della mia camera, chiusi la porta e non smisi di suonare e cantare per giorni. I miei coinquilini mi avranno odiata, penso, ma devo ammettere che sono stati gentili e non mi hanno mai detto nulla. “Feel” è stato il primo pezzo che ho scritto per

l’ep. È nato in modo molto naturale. Volevo immaginare di star già provando quello che, in realtà, “speravo” di arrivare a provare presto: un senso di totale armonia con il mondo. In seguito ce l’avrei fatta. Ma anche quelle belle sensazioni (come ogni cosa del resto) sono destinate a mutare. Siamo soggetti a infinite fluttuazioni. Queste quattro canzoni si possono considerare anche un “antipasto” di un lp futuro? Sicuramente sì. “Antipasto”, mi piace questo termine. Sì, è un antipasto. Non so se di un lp o se continuerò a pubblicare altri ep. Il modo di ascoltare la musica oggi è cambiato. Funzionano molto i singoli e i “mini-album”, di solito ascoltati in streaming. Da un lato mi spiace, perché adoro gli lp. Dall’altro, però, hai possibilità di pubblicare più spesso, e se hai la fortuna di avere un pubblico sei messa nelle condizioni di non lasciarlo a bocca asciutta per troppo tempo. A ogni modo “Rebirth” è senz’altro un assaggio. Di cosa ancora non so, ma lavorerò sodo affinché sia qualcosa di meglio. 23


WALLACE RECORDS Compie vent’anni l’etichetta di Trezzano Rosa (Milano), fedele all’etica del DIY, partendo dal punk rock ma uscendo poi spesso dal seminato. La compilation “TracceXX” la celebra. Ecco le nostre domande al patron Mirko Spino

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Direi di partire da un quadro storico: quando e come nasce Wallace Records e che cosa avete combinato in questi vent’anni? I primi passi sono stati mossi appunto nel 1999, venti anni fa. Il quadro storico era estremamente diverso da quello odierno: si compravano ancora i dischi fisici, non soltanto in ambito underground. Il contesto specifico era, ed è, quello del rock underground indipendente, ossia quel mondo fatto di musica suonata, ispirata dal punk ma che non suona necessariamente punk-rock, e fieramente lontana da logiche commerciali. Se vogliamo citare dei punti di riferimento dico Dischord e Touch&Go. Rimanendo ancorati a questa idea, tanti dischi (200) e tanti artisti (100) sono passati. Ma anche tanti concerti, party, e grosse soddisfazioni. Come nasce l’idea della compilation e com’è andata l’operazione? TracceXX è l’ideale seguito di Tracce, la prima uscita dell’etichetta. Mi sono ispirato a quell’idea: fotografare un pez-

zo di underground italiano di quel periodo. La differenza è che nella prima uscita ho lavorato con gruppi che avrei voluto avere nell’etichetta. In questa ultima compilation ci sono gruppi che già stanno nell’etichetta. L’operazione di crowdfunding è andata bene, abbiamo raggiunto l’obiettivo economico, ma avevo anche l’intenzione di sondare il terreno, ossia quanto potesse interessare l’operazione, se un po’ di “pubblico” fosse ancora li e se fosse pronto a sostenere l’etichetta. Ed è stato così. Queste sono domande da non

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fare, ma se ti chiedessi di scegliere una canzone in particolare alla quale sei più legato, tra quelle contenute nella compilation, quale sceglieresti? Ah ah… sì, domanda scorretta. Ovviamente non ho una rispo-

sta ma cerco lo stesso di dartene una: credo che sia molto significativo che su questa compilation ci siano quattro personaggi che erano anche nella prima: parlo di Paolo Cantù, Federico Ciappini, Xabier Iriondo e Roberto Bertac26


chini (ai tempi con Six Minute War Madness, A Short Apnea e Starfuckers, oggi con Makhno e The Shipwreck Bag Show). Sono musicisti e amici che hanno percorso questi venti anni con me. Discorso simile anche per Anatrofobia e Quasiviri. Tuttavia mi piace guardare al presente più che al passato, quindi è bene ricordare che TracceXX è composta da band che sono attive, che pubblicano regolarmente dischi e fanno concerti. Qual è il futuro di Wallace Records? Non ho mai pianificato le mosse del futuro, procedo per piccoli passi, forse questo è uno dei motivi della longevità dell’etichetta! :) Ti annuncio soltanto in anteprima le prossime uscite. Oltre a Marsala, appena uscito, ci sono in cantiere i dischi di Hysm?Duo, Daniele Brusaschetto e Nairobi. Ah… e poi la compilation dei trent’anni nel 2029. 27


UNTIMORE UnTimore, all’anagrafe Numitore Fiordiponti, è un cantautore pugliese d’origine ma toscano d’adozione. A marzo ha pubblicato il singolo “Illusi Reclusi”, cui ha fatto seguito lo scorso 16 aprile l’intero debut album, intitolato “Il Falò dell’Umanità”

Chi è UnTimore e quanto di Numitore Fiordiponti c’è al suo interno? È una domanda che fomenta egocentrismo. UnTimore è un insie-



me di persone che hanno registrato un disco. Io sono la spinta creativa e il comburente che ha innescato la combustione. Hai pubblicato da poco il tuo primo singolo, “Illusi Reclusi”. Parlaci un po’ di questo brano. È un brano che mette in fila un elenco di luoghi comuni che oggi

sono considerati opinioni e che stimolano l’aggressività delle persone. Siccome al peggio non c’è mai fine, questi luoghi comuni creano consenso, sono diventati ideologie da inserire nei programmi elettorali. Il singolo ha anticipato l’uscita del tuo primo album, “Il Falò 30


dell’Umanità”, pubblicato lo scorso 16 aprile. Cosa rappresenta questo “falò dell’umanità”? Nel disco si racconta dell’essere umano, delle sue espressioni peggiori. Tra le righe si intravede l’amore come unica via di fuga a una esistenza meschina. Musicalmente è abbastanza vario, siamo partiti da brani chitarra e voce che abbiamo vestito degli arrangiamenti più adatti al nostro gusto personale. Quali sono le esperienze o le situazioni che ti stimolano maggiormente a scrivere una canzone? Sono gli stati d’animo a darmi la spinta creativa, a volte però devo impormi una disciplina di scrittura che sia indipendente dallo stato emotivo. Essendo tendenzialmente un pessimista sono più creativo nei momenti negativi che per fortuna non sono frequenti.

Qual è il tuo sogno nel cassetto? Non avere rimpianti. Prossimi live? Ci stiamo lavorando. Per gli aggiornamenti seguiteci su www. untimore.com e su Facebook @ UnTimoreBand. 31


SCARDA #5minuticon

Scarda è Nico Scardamaglio, un cantautore che con pochi ingredienti semplici e genuini è riuscito a farsi conoscere e apprezzare dal pubblico. Il suo tour di concerti ha avuto un grande successo, e il suo secondo album “Tormentone” continua a veder aumentare il numero di ascolti sulle piattaforme online nonostante la pubblicazione sia dello scorso ottobre, merito del passaparola e del suo indiscutibile talento. Lo abbiamo intervistato

di Chiara Orsetti Di tutte queste date credo di voler fare un vero bilancio solo alla fine. Nel frattempo, ciò che si avverte è tanta umanità. Fare i chilometri insieme, suonare su tanti palchi, conoscere tanta gente, dormire in tanti alberghi, crea tra noi della band un legame molto intenso. È

Il tuo “Tormentone” sta girando l’Italia in lungo e in largo: oltre 20 date dallo scorso autunno e avanti fino a primavera inoltrata. Che cosa porterai con te al termine di questo tour? C’è stata qualche tappa in particolare che ti ha lasciato ricordi indelebili? 32



A proposito di tour e di luoghi del mondo, non posso fare altro che chiederti se ami viaggiare e quali sono i luoghi “fisicamente raggiungibili” che hanno segnato il tuo cammino. Mi piace viaggiare, ciò che mi piace vedere di più è la provincia. Qui in Italia ne ho vista tanta, mi piace il mare, i borghi e la campagna, o i borghi che si incastrano con entrambe le cose, tipo Positano o Castellina in Chianti. All’estero sono stato quasi sempre in grandi città. Mi riprometto, appena potrò, di visitare la campagna francese, quella belga, i mulini a vento in Olanda, ma anche la provincia inglese. Altro desiderio che avrei: Santorini in Inverno. Magari anche primavera. Ma non in estate. Grazie a “Smetto quando voglio”, colonna sonora dell’omonimo film, sei arrivato a farti conoscere anche da chi è lontano dal mondo musicale indipendente. Com’è nata la collaborazione con la produzione? Molto brevemente (l’ho già raccontato in molte interviste) suo-

bello, poi, girare, trovare e ritrovare i fan in giro, magari gente che si è fatta i chilometri, magari gente che si è fatta più città. Credo che la data che mi è rimasta più impressa é stata Prato (Capanno Black Out) perché c’è stata molta più risposta di quanto mi aspettassi e perché ero particolarmente “allegro” sul palco. Si accedeva al camerino tramite delle scalette. Ricordo che a fine concerto, uscendo dal palco le ho fatte di schiena, perché sono inciampato. In “Sorriso” parli d’amore e di malinconia, ma quello che mi ha colpita fin dal primo ascolto sono i luoghi che la abitano. I negozi sono uguali a Berlino e a Cosenza, i pensieri sono uguali a Taranto o a Milano, come a riprendere il concetto del non importa dove… ma chi? L’argomento principale di Sorriso è la morte. È dedicata a una persona che non ha mai saputo di essere amata, e come dici tu... il pensiero, il ricordo, può avere molti “dove” ma è il “chi”, spesso a dare davvero importanza a quel luogo, e a quel ricordo. 34


navo in un locale a Roma, era un breve intervento sul palco nell’ambito di un open mic (quello che dopo avrebbero chiamato Spaghetti Unplugged). Seduta tra il pubblico c’era la ragazza di Sydney, il regista. Mi ha fatto un video, poi glielo ha fatto casualmente vedere, e da lì si è interessato alla mia musica. Siccome aveva questo film da girare qualche mese dopo ha pensato di affidarmi la title track. Mi ha mandato la sceneggiatura e sulla base di quel-

la ho scritto il brano. Gli é piaciuto. Di solito chiedo una playlist agli ospiti di “Cinque minuti con...”, ma in questo caso mi piacerebbe che ne creassi una a tema viaggio, interiore o no lo decidi tu… Ti va? Vi do una Playlist che ascolterei percorrendo la provincia... la Via Emilia ad esempio, o le strade di campagna della Maremma, o una litoranea in Calabria. Clicca qui per la Playlist 35


FABRIZIO MORO

“PAROLE RUMORI E GIORNI” #quellochesentivo

di Chiara Orsetti

E’ appena uscito “Figli di nessuno”, il nuovo album di Fabrizio Moro, ma qui andiamo a ritrovarlo con una canzone datata 2007 ed estratta dall’album “Pensa” Accanirsi nella convinzione che il di non averne abbastanza, punenmeglio sia già venuto. Anzi, che dosi per gli errori commessi e per sia venuto e che ce lo siamo fatti le parole non dette. scappare. Perdere tempo dicendo Siamo ancora in tempo per rico36


minciare a ridere Siamo ancora in tempo per scrollarsi tutto e vivere Prenditi le scarpe e non gridare Per convincerti da solo che le cose vanno bene Con il tempo impari che è possibile dare tutto e non avere nulla in cambio. Quanta fatica costa dover accettare di non essere stati abbastanza? Abbastanza attraenti, abbastanza capaci, abbastanza pazienti. A volte le situazioni precipitano e basta, e tu puoi solo decidere se correre incontro al fallimento o darti la spinta e ricominciare a fluire. Il dolore sai è normale se le storie poi finiscono Maledette le ambizioni quando non si concretizzano Ma fra prendere e lasciare non si deve mai aspettare Perché il tempo che perdiamo non ce lo ridà nessuno, nessuno, nessuno Parole, rumori e giorni Attese, speranze e sogni Lontani, vicini, chi lo sa? Chi lo sa? Il coraggio dei vent’anni ha il sa-

pore della ribellione, ma il retrogusto che lascia in bocca spesso sa solamente di occasioni mancate. Perché quando provi a scappare da te stesso stai solo rimandando un incontro inevitabile. Rispondi alle domande, non cercare di scappare Per non essere costretto a rincorrerti più in là Quando avrai i tuoi quarant’anni e le risposte ancora vaghe E il dubbio che magari era meglio avere un figlio E sposarti quella donna che non hai tenuto stretta Perché avevi più capelli e più coraggio da investire Fare pace con la voglia di scappare, leccarsi le ferite e ricominciare a camminare. Piccoli passi, piccoli gesti. Un giorno alla volta. Senza sosta. Siamo fatti per sbagliare, e poi tornare indietro E desiderare sempre quello che sta dietro al vetro Ma prenditi le scarpe e riprendi la tua rabbia E continua a cercare il tuo ago nella sabbia 37



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