REDAZIONE
Direttore: Corrado Piroddi. Vicedirettore: Anna Maria Ricucci Redazione: Valeria Bizzari, Antonio Freddi, Giacomo Miranda, Teresa Paciariello, Lavinia Pesci, Corrado Piroddi, Anna Maria Ricucci, Timothy Tambassi. Collaboratori esterni: Marco Anzalone, Simona Bertolini, Mara Fornari, Donatella Gorreta, Federica Gregoratto, Francesco Mazzoli, Giovanna Maria Pileci, Marina Savi, Cristina Travanini. Direttore responsabile: Ferruccio Andolfi.
SOMMARIO
Figure dell’individualismo..............................................................................................................................................p. 4 Mutua solidarietà tra gli uomini di Pierre Leroux..................................................................................................................................p. 5
Meditazioni filosofiche..................................................................................................................................................p. 18 Astrattismo come pathos: l’affinità tra Henry e Kandinskij di Verbena Giambastiani.........................................................................p. 19 La mano destra e la mano sinistra. In ricordo di Jerome S. Bruner di Emma Nanetti...........................................................................p. 24
Cinema e filosofia............................................................................................................................................................p. 30 The fathers are back – and this time as an anticapitalist force? Some considerations on Maren Ade’s Tony Ermann di Federica Gregoratto…....p. 31
Letteratura e filosofia...................................................................................................................................................p. 38 Codice Perelà di Elisa Zimarri..............................................................................................................................................................p. 39 Losing oneself in the music: phenomenological considerations di Simon Høffding...................................................................................p. 45
Libri in discussione....................................................................................................................................................p. 52 Limite e libertĂ : una dicotomia dalle origini antiche di Alessandra Sofisti..............................................................................................p. 53 Il futuro ha un cuore antico di Emma Nanetti........................................................................................................................................p. 56 Scacco alla memoria. Il GdM e la staffetta della testimonianza di Silvia Ferrari......................................................................................p. 58
Figure dell’individualismo
MUTUA SOLIDARIETÀ TRA GLI UOMINI DI PIERRE LEROUX1
A
pparso per i tipi dell’editore parigino Perrotin nel 1840, il trattato De l’humanité, de son principe et de son avenir di Pierre Leroux
compone un dittico insieme all’Essai sur l’égalité e ne prosegue la riflessione intorno al “dogma dell’uguaglianza”. Secondo l’autore, che recupera esplicitamente l’idea di Lessing di una graduale educazione attraverso la storia, vige una separazione netta del presente dalle epoche precedenti, intese come fasi propedeutiche all’avvento di quell’homme nouveau che, infrante le catene dell’ineguaglianza, avrebbe fieramente issato il vessillo dell’egualitarismo su un’umanità parimenti rinnovata. L’uscita dal regime di casta, che fin dall’antichità aveva stretto l’individuo nei vincoli dell’asservimento a poteri estranei alla sua natura, viene salutata con la coscienza mistica di un processo irreversibile che si è attuato non senza travaglio e con margini di perfezionamento, ma il cui esito decisivo risulta un ritorno all’uomo, la riscoperta dell’umanità in quanto essenza immanente di ogni istituzione evolutasi nel tempo. Nella scelta dei capitoli proposti (I-VI) tratti dal quarto libro del primo tomo di De l’humanité, Leroux, trait d’union tra Illuminismo e Positivismo, socialista utopista che coniugò l’ispirazione saint-simoniana con il buddhismo e le dottrine mistico-pitagoriche delineando un ardito tentativo sincretico, si concentra sulla 5
solidarietà rilevandone il carattere “religiosamente umano”, degno precursore di quella Religione dell’Umanità che avrebbe animato le pagine comtiane.
Quaderni della Ginestra
I. Ciò che oggi si deve intendere per carità è la mutua solidarietà tra gli uomini.
al contrario, lo abbiamo abbracciato e, come ho detto poc’anzi, incoronato.
Abbiamo iniziato dalla natura dell’uomo considerato come essere
Ora, ha fatto questo il Cristianesimo?
individuale; siamo partiti dal suo bisogno, che gli attribuisce dei diritti
Il Cristianesimo è la più grande religione del passato; ma esiste
sui suoi simili e sull’universo e che, a questo proposito, gli conferisce
qualcosa di più grande del Cristianesimo: l’Umanità.
anche un diritto virtuale assoluto; abbiamo riconosciuto questo diritto,
Il Cristianesimo è la verità, senza dubbio; ma, poiché il mondo l’ha
l’abbiamo previsto come necessario, legittimo, santo: in una parola, non
messa a margine da tre secoli, è evidente che di verità incompleta si
soltanto abbiamo ammesso l’egoismo umano ma abbiamo, per così dire,
tratta e, di conseguenza, errata sotto molteplici aspetti; si tratta di una
incoronato siffatto egoismo: ed ecco che, per altro verso, attraverso
verità che, sviluppata come dev’essere, cessa di essere il Cristianesimo,
ragionamenti stringenti siamo giunti alla carità. Di più: la carità, nella sua
così come il Mosaismo sviluppato e ampliato cessa di essere il
essenza, non era stata ancora compresa filosoficamente; rimaneva basata
Mosaismo.
su ciò che si definiva Rivelazione nella misura in cui serviva, al bisogno,
Per la sua imperfezione, la carità del Cristianesimo è una delle prove
da fondamento per questa Rivelazione; per quanto ne sappiamo, non ne
più grandi che si possano invocare per sostenere l’imperfezione generale
era stata data una dimostrazione metafisica; e questa dimostrazione è
del Cristianesimo stesso.
scaturita per noi dal principio medesimo dell’egoismo umano, di questo interesse dell’io dal quale eravamo partiti. Che cosa significa? Tutto il lavoro compiuto dalla filosofia finirebbe per confermare e spiegare il precetto del Cristianesimo? Evidentemente no. Perché, pur confermando e spiegando la carità,
Mi dite di amare il mio prossimo, me lo ordinate nel nome di Dio. Obbedisco. Tuttavia ditemi cosa debba fare dell’amore per me stesso che, evidentemente, la natura ha introdotto in me e che Dio, attraverso la voce della natura, mi ordina di seguire, mentre voi in nome di Dio mi ordinate di amare il mio prossimo.
abbiamo conservato l’egoismo. L’abbiamo, dico, conservato; siamo
Eccoci allora con due amori e due tendenze di cui non mi dimostrate
partiti da quello, non lo abbiamo abbandonato, non lo abbiamo negato;
affatto la possibile armonia: da un lato, il riconoscimento dell’amore per
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Figure dell’individualismo
me stesso o per l’io, l’egoismo; d’altro, l’amore per il prossimo, o non-io,
questi filosofi capovolgevano così le parole di Gesù, l’umanità intera
la carità. E questi due amori sono entrambi santi. Poiché, se mi dite che
sembrava dar loro ragione concedendo come evidente, legittima e santa
l’amore per il prossimo è santo agli occhi di Dio, è di pari evidenza che
soltanto questa legge naturale che fa risiedere la nostra vita nei nostri
l’amore per me stesso è necessario, e quindi legittimo e santo agli occhi
bisogni,
del Creatore di tutte le cose.
incontrovertibile che l’assioma morale del Cristianesimo è incompleto e
È certo che il Cristianesimo ha lasciato l’umanità nella vaghezza e nelle tenebre per quanto riguarda l’antinomia tra l’egoismo necessario e santo e la carità altrettanto santa e, di conseguenza, necessaria.
nei
nostri
desideri,
nella
nostra
individualità.
Prova
incapace, come ho appena sostenuto, di fondare una scienza autentica della vita. In effetti, il Cristianesimo non è altro che una profezia in rapporto
Tutti i precetti dei più eccellenti maestri del Cristianesimo non sono
allo sviluppo futuro dello spirito umano, e, proprio in quanto profezia e
mai usciti da questa vaghezza. La carità, per come l’hanno concepita e
punto d’inizio, non ha dovuto conoscere chiaramente la legge della vita
insegnata, non è mai arrivata a fondare una scienza autentica della vita in
sulla quale si fonda il precetto divino della carità. In questa legge, come
quanto non riusciva a comporre in unità l’io e il non-io, e perché rendeva
vedremo, la carità e l’egoismo, o, per usare un termine non ripugnante,
subalterno l’egoismo santo e necessario sia all’amore per gli altri uomini,
la libertà umana, sono intrecciati al punto da costituire una cosa sola. La
sia, ancor di più, come dimostrerò tra poco, all’amore divino.
libertà umana nasce dalla carità, o dalla comunione con i nostri simili e
Non dunque senza ragione l’egoismo, o l’io, è più tardi insorto per
con l’universo, così come la carità si origina dal diritto individuale che
combattere questa carità che l’aveva reso subalterno senza illuminarlo e
noi abbiamo per questa comunione, il che significa, in altre parole, dal
soddisfarlo. Il mondo, a poco a poco, ha messo da parte questa dottrina
nostro interesse e dal nostro egoismo. In una parola, in questa legge di
così bella della carità e diciotto secoli dopo che Gesù aveva pronunciato
vita si rivela l’identità dell’io e del non-io. Il Cristianesimo non ha colto
le parole: «Amate Dio con tutto il vostro cuore e il vostro prossimo
con sufficiente vigore questa concatenazione e gli è sfuggito il legame
come voi stessi», sono apparsi filosofi che asserivano: ‘Amate voi, voi
necessario, l’unione indispensabile dell’io e del non-io nel fenomeno della
stessi’ e che fondavano la morale sull’egoismo e sull’interesse. E quando
vita.
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Quaderni della Ginestra
II. Tripla imperfezione della carità nel Cristianesimo
l’Eucarestia un’altra. L’Eucarestia, come si usa dire, rappresentava un mistero.
Certo, non voglio dire che Gesù e gli altri fondatori del Cristianesimo
Inoltre, pur ispirata dalla legge della vita, la carità del Cristianesimo
abbiano assolutamente ignorato il principio metafisico che è la vera base
non risponde esattamente a questa legge e non ne è il riflesso fedele. Il
della carità. Al contrario, ho mostrato in un altro scritto
Cristianesimo, come ho appena detto, non ha afferrato il rapporto tra
(Dell’Uguaglianza, Parte II) che per molto tempo anche prima di Gesù gli
l’egoismo santo e la carità: in altre parole, il legame necessario, l’identità
Esseni, suoi predecessori, avevano avuto il sentimento profondo di
di fondo e, di conseguenza, l’identificazione dell’io e del non-io. Ne è
questa verità. È d’altronde certo che il Cristianesimo, il cui simbolo
derivato che la sua carità è rimasta senza rapporto con la libertà umana;
principale è stata la Comunione o Eucarestia, ha conosciuto e insegnato
l’io, o la libertà umana, alla ricerca del suo oggetto si è lanciato verso
fino ad un certo punto, e velatamente, questa legge della vita che fa sì
l’amore diretto dell’Essere Infinito o di Dio; il non-io, il simile, è stato
che l’essere non viva soltanto per se stesso, ma per la comunione con i
esso stesso privato del suo ruolo e della sua dignità da questa carità che,
suoi simili e con l’universo. Tuttavia si può dire, senza cadere in errore,
all’apparenza e per una mera questione nominale, sembrava fatta
che il Cristianesimo non ha dimostrato il suo precetto della carità e non
esclusivamente per detto non-io, per questo simile.
l’ha chiaramente riferito alla verità metafisica che ne risulta l’origine; ne segue che tale precetto, per come l’ha propugnato il Cristianesimo, è assai incompleto. Ha inoltre dato adito a molti errori. In quale monumento del Cristianesimo – domando – il principio della carità è esposto e dimostrato con una formulazione metafisica? In
Tre difetti, invero, ci colpiscono nella carità del Cristianesimo: 1. l’io, o la libertà umana, abbandonato; l’egoismo necessario e santo disdegnato, calpestato sotto i piedi; la natura disprezzata, violata; 2. l’io, o la libertà umana, orientata direttamente a Dio; l’essere finito che aspira direttamente ad amare solo l’Essere Infinito.
nessun luogo. Il legame misterioso che in seno al Cristianesimo univa il
3. il non-io, o il simile, svilito nella carità stessa: apparentemente amato,
principio morale della carità con il sacramento dell’Eucarestia è rimasto
e per una sorta di finzione, in vista di Dio, unico amore del cristiano.
velato per i Cristiani, al punto tale che la Carità era per loro una cosa e
Il cristiano fervente, orientato unicamente a Dio, non amava davvero
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Figure dell’individualismo
né se stesso né gli altri e s’ingannava credendo di amare Dio come Dio
atto che vi fa percepire, al tempo stesso, la vostra esistenza e quella
vuole essere amato.
degli altri, non chiede di essere amato in altro modo, ossia chiede
È, in effetti, al puro amore di Dio e alla rinuncia a tutte le creature
che, amandolo, abbiate contemporaneamente coscienza di voi stessi
che sono approdati tutti i dotti del Cristianesimo provvisti di una certa
e degli altri. Dio non chiede di essere posto al di fuori di noi e
profondità di pensiero. Mentre la carità assumeva un’aria di umanità per
adorato alla distanza cui il Cristianesimo lo aveva relegato. Dio
il senso comune, cercandovi quest’ultimo una regola pratica per la
chiede di vivere in noi e non ha bisogno di porsi esternamente per
conduzione della vita, i veri pensatori del Cristianesimo comprendevano
impartirci ordini. Non è forse in tutte le creature senza essere alcuna
che la carità del Cristianesimo, in realtà, aveva solo Dio come oggetto, e
di queste creature né tutte insieme? Egli interviene nella vita e si
che tale carità, intesa dal senso comune come l’amore per gli uomini,
manifesta solo al suo interno: conservate, dunque, la vita se volete
non era realmente che un astratto amore per Dio.
mettervi in rapporto con lui! Amate Dio ma non pretendete di
È facile rendersi conto del carattere imperfetto della carità del
amarlo direttamente, per così dire faccia a faccia. Egli è infinito e voi
Cristianesimo nei seguenti tre punti.
siete finiti. Il finito non può comunicare direttamente con l’infinito.
1. Voi non volete amare voi stessi. Ma potete vivere e, tuttavia, non
Il finito non può comunicare con l’infinito che tramite
vivere? Vanamente respingete la natura; vanamente condannate,
l’intermediazione della vita, la quale racchiude allo stesso tempo il
come marchiate da un vizio innato, radicale e inemendabile, le
finito e l’infinito. Amare Dio vi riporta sempre, in ultima analisi, alla
aspirazioni umane della vostra anima. Non amare voi stessi è non
vita che comprende il finito, l’io e il non-io, un soggetto e un oggetto,
amare la vita, poiché la vita comprende necessariamente questo voi
allo stesso modo in cui comprende l’infinito, vale a dire un
che non volete amare; e non amare la vita è amare la morte, il nulla.
intervento dell’Essere universale per effetto del quale l’io e il non-io, il
2. Voi non volete avere come oggetto che Dio, l’Essere infinito. Ma
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soggetto e l’oggetto, si distinguono unendosi.
l’Essere infinito non vi si manifesta senza di voi e senza gli altri. Dio,
3. Infine, voi non volete amare veramente i vostri simili in quanto non
pertanto, non manifestandosi altrimenti e apparendovi solo in un
volete amare veramente che Dio. Qui vale ancora l’idea
Quaderni della Ginestra
dell’allontanamento da voi stessi. Cessando di amare voi stessi, ho
Infine, e tutto il mondo ne conviene, l’espressione ultima del
dimostrato che avete cessato di vivere, e che, invece di orientarvi
Cristianesimo è la considerazione di questa vita come una valle di
verso la vita, vi orientate verso la morte, verso il nulla. Il male è
lacrime, di tutte le creature come esseri spregevoli e del solo Dio come
ancora più grande in questa negazione di un amore reale rivolto agli
degno di amore. Nel Vangelo il Cristianesimo, nei suoi più grandi
altri; perché non soltanto distruggete voi stessi, ma distruggete
apostoli, in S. Paolo come in S. Agostino, come in tutti i Santi senza
anche gli altri che sono in voi. Dite di esser fatti unicamente per
eccezione, sempre ha atteso, implorato, invocato con zelo la fine del
Dio: che vi importa dei vostri simili! Invano voi asserite che, a dire il
mondo.
vero, non amerete che Dio, ma, in vista di Dio, voi tratterete le creature come se le amaste. Non le amerete affatto come devono
III. Vera formula della carità o della solidarietà reciproca
essere amate. Perché voi siete loro oggetto come esse sono il vostro; voi siete necessari alla loro vita come esse lo sono alla vostra: non è
Nei riguardi dei nostri simili la carità del Cristianesimo era pietà,
dunque una parvenza d’amore ciò di cui hanno bisogno, bensì un
commiserazione, compassione piuttosto che amicizia o, per usare un
amore vero. Bisogna, per essere loro veramente utili e per
termine generale, amore. Che cosa erano, in effetti, le creature per il
contribuire realmente e normalmente alla loro vita e al loro
cristiano? Non erano nulla e non dovevano esser nulla. Esistevano solo
perfezionamento, che vi sentiate uniti a quelle, solidali con quelle. Al
per essere un oggetto di carità in vista di Dio. Poiché il legame tra loro e
di fuori di questo la vostra carità non ha alcuna efficacia per quel
noi era comandato senza che essere dimostrato come necessario,
che riguarda la vita e il suo perfezionamento. La prova è che, a
rimanevano fuori di noi. Noi le amavamo, dunque, per dovere e non per
misura che la vostra carità si accresce, essa tende sempre più solo a
un diretto sentimento di solidarietà. Inoltre l’uguaglianza non rivestiva
Dio, e, in tale misura crescente, i vostri simili vi sembrano
alcun ruolo in questa carità, e il solo principio di uguaglianza che vi
spregevoli. Voi andate verso il cielo completamente soli e lasciate
regnava era piuttosto l’uguaglianza del nulla, ovvero l’uguaglianza di
per strada i compagni che arresterebbero il vostro volo.
creature ugualmente effimere davanti a Dio. È sorprendente che gli
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Figure dell’individualismo
esseri inferiori dell’umanità, i deboli, i poveri, gli afflitti, abbiano finito
Dio non era meno difettoso degli altri due. In effetti, Dio stesso non si
essi stessi per rifiutare una carità così imperfetta che umanamente non li
concede a tale amore; perché Dio si manifesta solo nel perfezionamento
elevava, ma li abbassava?
del mondo.
Quanto ai potenti, ai dominatori, ai ricchi, situati fra i due principi
Si doveva arrivare ad un principio in base al quale l’amore di Dio,
non armonizzati dell’egoismo e della carità, si vedevano sempre più
l’amore per noi stessi, e l’amore per le altre creature non fossero che un
abbandonarsi brutalmente all’egoismo o piegarsi superstiziosamente al
unico e medesimo amore.
cospetto della carità. Quando la disgrazia li colpiva, quando il rimorso li
È pur vero che il precetto di Gesù tende formalmente a unificare
attanagliava, si mettevano in ginocchio, i miserabili, davanti alla carità
questi tre amori in un solo fascio: «Amate Dio con tutto il vostro cuore,
come davanti ad un giogo che dovevano subire. Gli uni allora, come si
e il vostro prossimo come voi stessi». Tuttavia, in questa formula
diceva, morivano alla natura per rinascere alla grazia, vale a dire a una
l’unificazione dei tre termini è più apparente che reale.
devozione superstiziosa dove la considerazione di se stessi e dei loro
La vera formula che ci consegna la filosofia è la seguente:
simili scompariva di fronte al terrore dell’Inferno o alle gioie egoistiche del Paradiso. Gli altri tornavano ben presto all’egoismo della terra. Non
Amate Dio in voi e negli altri;
è forse evidente lo spettacolo uniforme che ci offre la storia per tutti i secoli nei quali il Cristianesimo ha regnato?
che ci riporta a:
Inoltre, umanamente, la carità del Cristianesimo non era meno difettosa nei nostri confronti di quanto non lo fosse in quelli altrui. In effetti, per causa sua, noi non potevamo realmente amare né gli altri né
amate voi stessi attraverso Dio negli altri; oppure a:
noi stessi. Resta dunque l’ultimo elemento sotto il quale la si può considerare, vale a dire l’amore di Dio. Ma, come abbiamo visto, questo amore di
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amate gli altri attraverso Dio in voi. Non separate Dio, voi e le altre creature.
Quaderni della Ginestra
Dio non si manifesta fuori dal mondo, e la vostra vita non è separata da quella delle altre creature.
Amate il vostro prossimo ha generato la Chiesa, o clero secolare, che cercava – mi spingo a dire – di accomodare le cose, di colmare il vuoto lasciato dalla Rivelazione tra la vita naturale e la vita devota, cercando,
IV. Conseguenze dell’imperfezione della carità nel Cristianesimo
per quanto possibile, di armonizzare la natura e la grazia e sforzandosi di servire da collante tra l’ascetismo e l’egoismo, vale a dire tra la vera
Convengo che il Vangelo, se si assume con grande semplicità di cuore e senza domandargli una soluzione filosofica, era, sotto questo aspetto della carità, più vero e più avanzato di quanto non sarebbe stata, in
vita religiosa e la vita secolarizzata. Sì, lo so, la Chiesa ha compiuto ogni sforzo per armonizzare queste tre cose:
seguito, la teologia cristiana. Ma, non avendo il Vangelo sciolto e neppur toccato il nodo fondamentale della questione, la teologia è dovuta
un Dio fuori dal mondo e dalla vita;
necessariamente arrivare là dove è giunta.
un uomo separato da questo Dio;
un altro uomo, il prossimo, ugualmente separato da Dio e
Gesù disse: «Amate Dio»; poi disse: «Amate il vostro prossimo»; infine aggiunse in forma comparativa ed esplicativa: «come voi stessi».
separato anche dall’uomo suo simile.
Dunque egli non esclude assolutamente l’amore per noi stessi. Soltanto vuole aggiungervi l’amore di Dio e l’amore del prossimo. Considerare
Tuttavia il male era troppo grande perché il rimedio fosse possibile.
tre termini per addizione non significa, tuttavia, fonderli e unirli. Anche
Tutti gli sforzi della Chiesa hanno fallito di fronte al vizio radicale di
la teologia cristiana ha errato.
questa teologia che non aveva compreso la vita.
Amatevi voi stessi ha lasciato sussistere il mondo al di fuori della verità, l’ha abbandonato alla fatalità, e, per questo, ha creato la società laica. Amate Dio ha generato la devozione ascetica, i monaci, i conventi, l’anacoretismo, il clero regolare.
Il Cristianesimo aveva lasciato i nostri simili al di fuori di noi, il mondo al di fuori di noi. Mai i nostri simili e mai il mondo, se uniti a noi, ci avrebbero garantito quel ‘dopo’ a cui l’uomo aspira, la felicità in Dio, vale a dire il bene, il bello, il giusto. 12
Figure dell’individualismo
Di qui il rigetto della vita e della natura nel Cristianesimo. Di qui il
dire il triplice amore di Dio, dei nostri simili, e di noi stessi, fosse
suo Dio terribile. Di qui il suo Paradiso e il suo Inferno, ugualmente
assunto realmente, sarebbe stato necessario che all’epoca della comparsa
chimerici, posti come sono al di fuori della vita. Di qui il suo dogma
del Cristianesimo vi fosse il progetto di una simultanea realizzazione di
della fine prossima del mondo. Di qui anche la sua separazione del
questi tre amori. Progetto del tutto irrealizzabile al tempo in cui prese
temporale dallo spirituale. Di qui la Chiesa e lo Stato. Di qui gli affari
forma.
umani demandati ai laici, gli affari celesti affidati al clero. Di qui il Papa e Cesare. D’altronde i tempi non erano maturi. L’opera del Cristianesimo doveva svolgersi in una fase transitoria. Per il tramite di una comunione mistica, esso avrebbe preparato gli uomini a una comunione più perfetta e più reale.
Così, non soltanto questi tre amori non erano armonizzati e, nella parola del maestro, risultavano meramente indicati e giustapposti; ma, anche quando si considerava la pratica, continuavano a dimostrarsi inconciliabili, e il precetto che li conteneva appariva contraddittorio. Mi dite di amare Dio sopra ogni cosa. Ma che cosa vuole da me questo Dio che io devo amare prima di tutto? Dove risiede questo Dio?
Il Cristianesimo, trovando gli uomini tanto brutali, tanto divisi, tanto
Dove si manifesta? In quale prospettiva devo cercarlo e come posso
ostili gli uni contro gli altri da non esservi alcun modo di far sentire loro
andare verso lui? È d’un sol colpo o gradualmente che devo raggiungere
Dio in una comunione reale, si è accontentato di calare Dio, separato da
questo Padre del mio essere e di tutti gli esseri? È attraverso la natura e
tali uomini e al di fuori dei loro cuori, in un pane santificato che, in
la vita che devo progredire dalla mia attuale natura verso Dio, o è
seguito, avrebbe condiviso con loro e con il quale si sarebbero nutriti di
proiettandomi fuori dalla natura e dalla vita? Se il Cristianesimo non
Dio.
avesse predicato la fine del mondo, ma il progresso e il perfezionamento dello stesso, ciò sarebbe bastato perché gli altri due amori, l’amore per i V. Il precetto del Cristianesimo era contraddittorio e non organizzabile
nostri simili e l’amore per noi stessi, si conciliassero con l’amore per Dio.
Affinché il precetto della carità, com’è enunciato nel Vangelo, vale a
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Da una siffatta prospettiva, questo ammirevole precetto della triplice
Quaderni della Ginestra
carità è sfociato nell’ascetismo più insensato.
ferventi hanno amato l’uomo nell’uomo né l’umanità per se stessa. Essi
Lo stesso vale per il secondo dei tre amori. Mi dite di amare il mio
hanno soltanto preteso di vincere il male abolendo la natura, la vita,
prossimo. Io voglio obbedire al precetto, mi propongo di alleviare i mali
l’uomo, l’umanità. Ponendo la loro salvezza al di fuori della vita, della
dei miei simili. La terra rigurgita di flagelli e le società pullulano di
natura, e ponendo Dio stesso al di fuori della vita e della natura, non
miserie. L’occasione di esercitare la carità, quindi, si presenta in ogni
hanno concepito la salvezza degli altri uomini che al di fuori della
dove. Ma vediamo se questa carità sia possibile e a quali condizioni.
natura. Hanno realizzato un’opera grandiosa, di certo provvidenziale e
È anzitutto evidente, quando si pensa a quale fosse la situazione del
necessaria. Chi lo nega? Ma non si dica che hanno amato gli uomini di
mondo in quest’epoca, che per praticare il precetto dell’amore generale
un amore vero. Hanno preteso di superare negli altri, come in se stessi,
per gli uomini occorreva non avere mogli, figli, patria, proprietà, né
la natura includendo nella loro disapprovazione il principio necessario,
alcun genere di attaccamento particolare a beni terreni. È ciò che i
legittimo, santo, dell’egoismo e delle sue false conseguenze.
monaci e tutti i santi hanno ben compreso. Il loro amore per l’umanità
Così, da questo secondo punto di vista, il mirabile precetto della
non sussisteva che alla condizione di non prendere alcuna forma; era un
triplice carità è approdato al rinnegamento insensato dell’essere dell’io e
amore generale che non si particolarizzava in alcuna determinazione.
ad una dedizione sconsiderata non all’umanità in quanto perfettibile, ma
Ma c’è di più: sostengo che questo amore per gli uomini non potesse
alla sua chimerica redenzione al di fuori della natura e della vita.
essere reale, bensì una specie di violenza per farli uscire dalla condizione
Infine, come terzo amore, voi mi dite di amare me stesso. Ora, amare
umana e spingerli verso la stessa abnegazione e lo stesso ascetismo nei
me stesso significa attaccarmi alla vita, alla natura; vuol dire avere una
quali ci si era immersi. Allora il mondo era un orrendo caos dove tutte
famiglia, una patria, una proprietà. Amare me stesso è farmi del bene; è
le razze si divoravano tra loro, dove tutti gli uomini si sbranavano a
rifuggire il male che minaccia me e quanti io amo d’un amore
vicenda. L’amore per gli uomini poteva ben consistere nella speranza di
particolare, insieme a coloro con i quali ho contratto dei doveri specifici.
provvedere in qualcosa alla loro salvezza senza farli uscire dalla natura e
Dunque, se io mi amo non posso amare il prossimo come me stesso.
dalla vita: speranza, nondimeno, inconcepibile perché mai i Cristiani
Perché se io amassi il prossimo come me stesso, mi farei del male e ne
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Figure dell’individualismo
farei a chi devo amare d’un amore particolare. Il precetto è dunque
Questo egoismo, o questa libertà, fonda il diritto; e il diritto si trova, per
contraddittorio: far del bene al prossimo mi danneggia; far del bene a
l’appunto, a essere la carità. Così la carità diviene la libertà stessa.
molti o a tutti significa danneggiare coloro che più mi sono prossimi. Tale ammirevole precetto si è arenato, sotto quest’ultimo punto di vista, alla sua parodia: la carità ben ordinata comincia da se stessa. Il precetto della carità del Vangelo, per come lo ha assimilato il Cristianesimo, non era dunque suscettibile di organizzazione, o lo era in
Dunque nessuna divisione, nessun abisso invalicabile tra l’io, ovvero la libertà umana, e il simile, ovvero la carità umana. È possibile amare se stessi e gli altri; perché ci si ama negli altri e si ama gli altri in sé. E inoltre, amarsi significa amare Dio; significa amare Dio, come afferma Cristo, sopra ogni cosa.
una forma quanto mai anomala: creando due società, l’una abbandonata
Ora, dal momento in cui l’io umano è reintegrato nella formula stessa
all’egoismo, l’altra consegnata ad una carità rivolta unicamente a Dio. E
della carità, il principio della carità diviene organizzabile. Perché non
tuttavia, così organizzato, questo non era più lo stesso precetto, era anzi
appena l’io è legittimo, i differenti modi di comunione di questo io con
la sua negazione.
gli uomini e con la natura sono legittimi. La famiglia, dunque, la patria, la proprietà, sono legittimi e di diritto. La società, che comprende la VI. Solo la solidarietà è organizzabile
famiglia, la città, la proprietà, è tanto legittima quanto necessaria. Questa famiglia, questa patria, questa proprietà, richiedono di essere organizzate
Al contrario, che la vera carità sia conosciuta, cioè che la carità sia
non solo in vista di loro stesse, ma anche in vista dell’umanità; perché
concepita come la legge stessa della vita, come la legge delle nature
l’egoismo umano, conoscendo il suo vero interesse e il suo diritto, cerca
solidali tra loro, come la legge d’identità e – di conseguenza – di
la comunione con l’umanità intera. La politica, che è la scienza di queste
identificazione dell’io e del non-io, dell’uomo e dei suoi simili! Cesserà
cose, assume come principio l’accordo dell’individuo con l’umanità; e la
ogni antinomia e l’egoismo si abbasserà di fronte alla carità, perché, pur
manifestazione di questa scienza, il governo, ha come sua missione
legittimo e santo, si ritroverà in essa.
realizzare questo principio.
L’egoismo, in realtà, cessa di essere egoismo perché diventa libertà.
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L’uomo cessa di essere isolato, o di avere una famiglia isolata, o di
Quaderni della Ginestra
avere una proprietà isolata o una città isolata. Egli è, è per sé stesso, è a
seno, le vittime di un’ingiusta separazione: il regno di Dio e il regno
titolo di individuo; egli possiede, ha una famiglia, una città, una
della natura.
proprietà. Il suo io si ritrova in tutte queste cose; e, tuttavia, possedendo tutte queste cose e vivendo, di conseguenza, secondo l’ordine normale
TRADUZIONE A CURA DI ELIO CANALI
della natura e della vita, non risulta in minor comunione con tutti gli altri uomini, ricevendo da loro e donando, considerandoli tutti come oggetto ed essendo per tutti loro oggetto sia direttamente, sia
P. Leroux, De l'humanité, de son principe et de son avenir, où se trouve exposée la vraie définition de la religion, et où l'on explique le sens, la suite et l'enchaînement du mosaïsme et du christianisme, Tomo I, Perrotin, Paris 18452, pp. 157 – 175. 1
indirettamente. Egli ha, dico, questa possibilità di vivere secondo natura, vale a dire secondo il suo egoismo, e quindi di vivere secondo l’umanità; perché, conoscendo la sua legge, la realizza attraverso la politica e il governo. Nel Cristianesimo era la Chiesa, vivente fuori dalla natura, che si era caricata della cura di organizzare la carità. La società temporale aveva come principio l’egoismo. Di qui un dualismo che ha percorso la storia. Al contrario, col principio della carità inteso come lo comprendiamo noi, cioè con il principio della mutua solidarietà, la società temporale è investita del compito di organizzare la carità perché, in fondo, la carità è egoismo. La società temporale, che fino ad oggi non aveva dei principi religiosi, ne ha uno. La Chiesa può cessare di esistere. La sua missione è divenuta la nostra missione. Nei disegni della Provvidenza, la Chiesa non era che una figura della grande Chiesa che doveva riunire, nel suo
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Meditazioni filosofiche
Meditazioni filosofiche
ASTRATTISMO COME PATHOS: L’AFFINITÀ TRA HENNRY E KANDINSKIJ
L
’intento di queste pagine è tracciare una diagonale tra filosofia e arte, che faccia emergere quell’interrogarsi comune sulla natura
umana, sulla sua radice più profonda e sfuggente, su quell’eccedente irriducibile posto a fondamento dell’arte e della filosofia stessa. A questo scopo verrà riletto il saggio su Kandinskij di Michel Henry1. Henry si dedica all’analisi dell’opera di Kandinskij perché vi trova un’assonanza con la propria ricerca fenomenologica: il disvelamento della piega nascosta dell’invisibilità della vita. Kandinskij determina, «Ricordo ancora la sensazione - o meglio: l'esperienza vitale - del colore che esce dal tubetto […] pronti in ogni momento a mescolarsi fra loro e creare serie infinite di mondi nuovi.»
infatti, una rivoluzione del paradigma della pittura, tanto quanto Henry
Vasilij Kandinskij
dall’altra Henry cerca di superare la mediazione del linguaggio per
compie una rivoluzione del movimento fenomenologico. Se da una parte il pittore non ricerca più il visibile che si dispiega alla luce del sole, afferrare l’immediatezza affettiva della vita. In questa dinamica di velamento e svelamento dell’affettività, emerge con forza la necessità interiore di esprimere il pathos. L’accordo che Henry sente di avere con il capostipite dell’astrattismo, riguarda il primato attribuito all’interno sull’esterno che rivela come qualsiasi forma sia legata essenzialmente al contenuto affettivo. L’arte astratta «non poggia più sull’involucro esterno dei fenomeni naturali»2, l’astrazione si fonda sulla soggettività e sul suo peculiare divenire. La pittura astratta rimanda a una dimensione fuori dallo spazio e
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Quaderni della Ginestra
dall’esteriorità, all’essenza invisibile. Eliminando l’oggetto dischiude la
tonalità-colore, che non è altro che l’interiorità propria del colore in
vita affettiva.
quanto impressione pura o pathos.
Per Kandinskij la forma è tensione3 di forze, manifestazione
Procedendo nell’analisi, scopriamo come il punto sia nella sua
significante di una realtà che può essere compresa solo in rapporto al
essenza un’entità invisibile, immateriale, l’unico legame fra silenzio e
suo sottofondo invisibile. Per questo l’indagine di Kandinskij «si
parola8. Visto dall’esterno è solo un segno usato funzionalmente,
estenderà oltre i confini dell’arte, nel campo dell’“unità” dell’“umano” e
nondimeno esso nasconde internamente molto di più, essendo «il
del “divino”»4.
risultato dello scontro tra lo strumento e la superficie». Il punto può
Lo sguardo di Kandinskij penetra all’interno della sostanza pittorica
assumere infinite forme e grandezze, rendendo così difficile stabilirne i
ripensando il colore, il punto, la linea e la superficie. La riflessione su
limiti esatti. Pertanto questa forma, che sembrerebbe così elementare,
questi elementi evidenzierà che «la pittura astratta definisce l’essenza di
elementare non è. E per di più, essendo propria questa forma
ogni pittura»5.
indefinibile la forma pittorica originaria, possiamo dire che l’arte si basa
Il colore per Kandinskij, come riporta Henry6, non si rapporta ai sentimenti attraverso una relazione estrinseca ma trova in essi, nei
su qualcosa di sfuggente e non riducibile a un oggetto determinato. Quando, infatti, possiamo dire che un punto si trasforma in superficie?
sentimenti, il suo autentico essere. Ogni colore ha una propria tonalità
Il punto permette a Henry di compiere un ulteriore riflessione. La
affettiva, in un accadimento paradossale: i colori che si mostrano a noi
sua caratteristica peculiare è il respingere lo spazio della tela che lo
solo grazie alla luce manifesta, tuttavia trovano nella pura affettività la
circonda senza dissolversi in essa. Il punto, scrive Kandinskij, è «la
loro realtà sostanziale. Non può esserci colore se non là dove questo
forma internamente più concisa»9, la sua tensione è sempre
colore viene sentito, sullo sfondo del suo «sentire sé stesso» e quindi
«concentrica», si tiene ben fermo al suo posto e non mostra la minima
nella vita invisibile e solo in essa. Per questo motivo Henry asserisce che
inclinazione a muoversi in una qualunque direzione, né orizzontale, né
il colore sottrae il suo essere alla luce del visibile7. E quindi la teoria
verticale. Una simile tensione concentrica è la prova che «questa
kandinskiana dei colori riposa interamente sull’interiorità del legame
tensione fa di sé costantemente, il suo pathos»10, afferma con decisione
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Meditazioni filosofiche
Henry. Il carattere particolare della sua forza è quella maniera di restare
Il pittore può quindi disegnare tutte le linee che è in grado di
in sé, ripiegandosi in sé e rifiutando l’esteriorità. Il punto è il sentimento
concepire, quello che non può inventare è il pathos che corrisponde
del Sé.
ogni volta alla tale forma grafica, alla tale configurazione. È il variegato
La linea, in questa analisi, è «la traccia del punto in movimento, 11
dunque un suo prodotto» . Nella linea si compie il salto dallo statico al dinamico, ed è per questo la massima antitesi dell’elemento pittorico originario.
pathos della vita e delle sue infinite modulazioni il contenuto astratto dell’arte. Il colore, il punto, la linea, risiedono tutti sulla superficie di fondo: la «superficie materiale destinata ad accogliere il contenuto dell’opera»15.
È sufficiente una forza12 diversa da quella del punto che lo allontani
Questo «piano originario», come lo definisce Henry, non presenta a
dal luogo nel quale si trova perché una linea sia generata. Alla tensione
prima vista niente di notevole. Sembra solo un elemento esteriore, le
concentrica del punto, la linea oppone «una tensione legata al
cose sembrano iniziare solo al primo tocco di pennello. Tuttavia la
movimento ed esprimentesi in esso»13. Supponiamo che la vita sia nella
riflessione di Henry e Kandinskij ci spinge a riconoscere il piano come
sua essenza una forza e supponiamo che le forze che si esercitano su un
dato originario e iniziale. È quell’elemento di cui ogni artista avverte
punto siano le forze della vita. Questa forza della vita non è una forza
l’incontestabile presenza. La superficie è la vita misteriosa che impone la
diversa, altra, alla forza che agisce sul punto. Non sussiste nessun
sua invisibile presenza agli elementi che in essa si raccolgono.
dualismo tra la forza che agisce sulla tela e la forza soggettiva in quanto
Soffermarsi sul piano originario vuol dire perciò «interrogare l’opera
stretta patetica del sé. Per Henry:
d’arte alla sua origine»16. La superficie può dunque restare il più delle volte impercepita, ma non per questo essa è meno determinante.
21
«non ci sono due realtà la cui «corrispondenza» costituirebbe
Tuttavia – e questa è una domanda che Henry stesso si pone – se
problema, ma una sola, un’unica forza vivente che sperimentiamo in noi
l’arte è la vita a che scopo il primo se la seconda esiste comunque senza
sotto forma del pathos che dobbiamo esprimere e che è anche la forza
di esso? In realtà arte e vita non sono due eventi distaccati, l’arte è una
che produce la linea»14.
modalità della vita perché la vita è presente nell’arte secondo la sua
Quaderni della Ginestra
propria essenza. Si delinea così quella corrispondenza tra interno, vita invisibile e pathos che Kandinskij renderà manifesta con la sua arte astratta.
riguarda ogni possibile manifestazione e tutto ciò che si mostra a noi. La teoria dell’astrazione in pittura si definisce quindi in opposizione alla figurazione oggettiva e quindi alla natura?
Ma è davvero possibile cogliere la forma nella sua purezza, prima del
Henry sottolinea che a una lettura più attenta dei testi kandinskiani,
suo oggettivarsi, prima della storia o della cultura? Nel puro sentire il
risalta l’ambizione metafisica del pensiero del pittore che si realizza
mondo si dilegua. Resta l’impressione, il sentire-sentirsi della vita, né
nell’unità dell’arte con la natura stessa. La creazione estetica è identica
soggettivo né oggettivo. Tramite questo gesto di svelamento, possiamo
alla creazione del cosmo. L’arte visibile e il mondo condividono
restituire all’arte la vita da cui è stata dissociata troppo a lungo, confinata
interiormente la stessa essenza. Gli oggetti del mondo e le forme
nel limite di occhio-visibile.
pittoriche portano in sé, come condizione della loro stessa venuta
Una conseguenza troppo radicale sembrerebbe derivare da questa
all’essere, la divisione originaria tra visibile e invisibile. La realtà del
prospettiva. La via dell’astrattismo conduce forse Henry a escludere
mondo, identica a quella dell’arte, si esaurisce nella «sfaldatura tra
ogni esteriorità? A non accettare alcun compromesso con il mondo,
visibile e invisibile»18.
affinché l’interiorità sia finalmente intesa come quell’immediato sentirsi
La natura non deve essere disprezzata come se fosse la negazione del
che accade come “pathos”? La Vita è affettività, un rapporto a sé senza
regno dell’arte. Al contrario, la natura è essa stessa radicale interiorità.
tramite e distanza.
L’astrattismo non deve essere pensato in opposizione al mondo
E come ci ricorda la distinzione posta in apertura del libro Punto,
oggettivo. Esso disvela l’essenza invisibile e affettiva che essenzialmente
linea, superficie ogni fenomeno può essere vissuto in due maniere, «queste
costituisce la natura, l’oggetto e il mondo. L’astrattismo abbandona così
due maniere non sono arbitrarie, ma legate ai fenomeni – esse vengono
il recinto delle forme reali per svelarne l’essenza invisibile, dove ogni
derivate dalla natura dei fenomeni, da due loro proprietà: esterno-
forma diventa pathos, vita, sentire. Tutta la sostanza dell’opera pittorica
interno»17. Se ogni elemento pittorico comporta un duplice aspetto
proviene dalla vita e da essa soltanto.
esterno ed interno, questa strutturazione dualistica della fenomenicità
Henry afferma che «questa natura originaria, soggettiva, dinamica,
22
Meditazioni filosofiche
carica di impressioni e patetica, quest’autentica natura la cui essenza è la Vita, è il cosmo»19. Il mondo è risonanza dell’azione spirituale ed è per questo che non c’è materia che non sia una tonalità, un’affezione. L’astrattismo non si oppone alla natura ma ne scopre l’autentica essenza, è in grado di rapportarsi all’invisibile, a quel luogo che non somiglia a nessun mondo e che nessuno sguardo ha mai misurato. L’astrattismo maneggia quelle forme e quelle forze «che sonnecchiavano in noi e attendevano da millenni, dall’inizio dei tempi, ostinatamente e pazientemente […] che esplodono nella violenza e nel rutilare dei colori, che percorrono gli spazi e generano le forme mondi, sono le forze del cosmo che sono sorte in noi […] L’arte è la resurrezione della vita eterna»20.
VERBENA GIAMBASTIANI 1
M. Henry, Vedere l’invisibile. Saggio su Kandinskij, Guerini e associati, Milano, 1996. W. Kandinskij, Punto, linea, superficie, Adelphi, Milano, 1968, p. 117. 3 Al concetto di movimento Kandinskij preferisce quello di tensione, spiegata come la forza viva presente nell’elemento che esprime solo la prima parte del “movimento”, la seconda parte è la “direzione”, anch’essa determinata dal movimento. 4 W. Kandinskij, Punto, linea, superficie, cit., p. 13. 5 M. Henry, Vedere l’invisibile, cit., p. 82. 6 Ivi, pp. 97-108. 7 Ivi, p. 97. 2
23
8
Kandinskij, Punto, linea, superficie, cit., p. 17. Ivi, p. 27. 10 Henry, Vedere l’invisibile, cit., p. 66. 11 Kandinskij, Punto, linea, superficie, cit., p. 57. 12 Per Kandinskij la forma è manifestazione significante di una realtà, è tensione di forze. Forza e movimento differiscono nella teoria kandinskiana, poiché la prima può sussistere senza il secondo. 13 Henry, Vedere l’invisibile, cit., p. 68. 14 Ivi, p. 71. 15 Kandinskij, Punto, linea, superficie, cit., p. 131. 16 Henry, Vedere l’invisibile, cit., p. 81. 17 Kandinskij, Punto, linea, superficie, cit., p.7. 18 Henry, Vedere l’invisibile, cit., p. 183. 19 Ivi, p. 185. 20 Ivi, p. 190. 9
Quaderni della Ginestra
LA MANO DESTRA E LA MANO SINISTRA. IN RICORDO DI JEROME S. BRUNER
I
l Bruner de La fabbrica delle storie. Diritto, letteratura, vita, edito nel 2002, è scettico sulla possibilità che i due linguaggi, quello paradig-
matico, razionale, e quello narrativo, intuitivo, possano effettivamente essere traducibili l'uno nell'altro ma non rinnega la convinzione che lo aveva animato in gioventù: perdere di vista l'alleanza tra i due mondi, scientifico e fantastico, significa abdicare alla totalità delle nostre potenzialità umane. «Quand'ero un giovane psicologo entusiasta, impaziente di abbracciare il mondo –
Il pensiero narrativo è infatti in grado di fornire delle chiavi di com-
racconta Bruner –, scrissi un libretto intitolato Conoscere. Saggi per la mano sinistra
prensione della realtà che non potrebbero provenire dal pensiero cosid-
[...]. Intendevo celebrare le ingegnose intuizioni della fantasia sulla condizione uma-
detto paradigmatico, la cui precisione è bilanciata dalla limitatezza delle
na, che ci avviavano alla comprensione di questa stessa condizione umana in una
applicazioni.1 «Per dirla in modo un po’ sbrigativo, – leggiamo in La
maniera più equilibrata e «scientifica». La mano sinistra dell'intuizione offriva dei
mente a più dimensioni, del 1986 – il pensiero logico-scientifico […] si oc-
tesori alla mano destra della ragione.»
cupa delle cause di ordine generale e del modo di individuarle, e si serve
J.S. Bruner, La fabbrica delle storie. Diritto, letteratura, vita, Laterza, Bari 2002, pp. 114-115
di procedure atte ad assicurare la verificabilità referenziale e a saggiare la verità empirica. Il suo linguaggio è regolato dai requisiti della coerenza e della non contraddizione.»2 Il modello mentale offerto dalla narrazione presenta invece una gran varietà di orizzonti interpretativi differenti, stimolando la ricettività dei soggetti interessati e la loro capacità comunicativa. «Il pensiero narrativo si occupa delle intenzioni e delle azioni proprie
24
Meditazioni filosofiche
dell’uomo o a lui affini, nonché delle vicissitudini e dei risultati che ne
spirito critico:
contrassegnano il corso. Il suo intento è quello di calare i propri prodigi atemporali entro le particolarità dell’esperienza e di situare l’esperienza nel tempo e nello
spazio.» 3
«Mediante la narrativa costruiamo, ricostruiamo, in certo senso perfino reinventiamo, il nostro ieri e il nostro domani. La memoria e l'immaginazione si fondono in questo processo. Anche quando creiamo i
Pensare narrativamente significa in altre parole rapportarsi al mondo
mondi possibili della fiction, non abbandoniamo il familiare, ma lo con-
dandovi un significato, senza limitarsi a recepire le informazioni ma in-
giuntivizziamo trasformandolo in quel che avrebbe potuto essere e in
serendole automaticamente in un contesto.4
quel che potrebbe essere.»6
Un concetto chiave a questo proposito è quello di verosimiglianza, che per Bruner rappresenta un valore aggiunto dell’espressione narrati-
L'approccio alla narrazione è di carattere intuitivo: le storie si intui-
va.5 Se gli aspetti logici e sistematici della vita mentale possono essere
scono, non si comprendono. La coniugazione della realtà attraverso la
soggetti a falsificazione, lo stesso non può dirsi dei prodotti collettivi
modalità narrativa non si limita dunque a riposare su una grammatica
della storia intellettuale degli uomini come i racconti, le fiabe popolari, le
certa e determinata ma spalanca le porte alla possibile, al plurale.
leggende, i miti. Per Bruner, la narrazione è una delle forme espressive
Anche i progressi scientifici hanno per Bruner basi narrative: il pro-
più significative della nostra cultura, come testimonia la longevità della
cesso del fare scienza è anzi eminentemente narrativo, dal momento che
tradizione orale, che per millenni ha tramandato di generazione in gene-
procede per ipotesi. Ecco perché la scienza non può fare a meno della
razione i racconti mitici nei quali oggi universalmente ci rispecchiamo e
narrazione: se così fosse, dovrebbe rinunciare all'idea stessa di progres-
riconosciamo come nostri.
so, non potendo far altro che analizzare i dati provenienti dal mondo
Compito precipuo della narrazione è trasmettere gli aspetti più pro-
circostante senza mai poter avanzare nuove ipotesi interpretative. Inol-
fondi della cultura: desideri, convinzioni, conflitti. Educare narrativa-
tre, il pensiero logico ha bisogno di essere guidato da quello narrativo
mente significa perciò contribuire allo sviluppo di capacità di giudizio e
perché solo così può essere inquadrato in una cornice etica e assumere
25
Quaderni della Ginestra
una dimensione morale.
intuitivo, non si escludono ma si completano vicendevolmente. Dare
Dare spazio alla dimensione narrativa nella società contemporanea
spazio al mito e alla creatività nella società contemporanea significa
significa combattere la passività e il conformismo. Perciò «la letteratura
combattere l’idea secondo la quale le scienze cosiddette esatte sono
di immaginazione, anche se ha il potere di porre fine all'innocenza, non
l’unica via d’accesso al sapere, una via breve e poco accidentata ma
è una lezione, ma una tentazione a riesaminare l'ovvio. La grande
proprio per questo cieca al panorama, agli ostacoli durante il percorso
narrativa è, in spirito, sovversiva, non pedagogica.»7
che possono trasformarsi in occasione di cambiamento e di crescita.
*** Allo stesso polo di cui fa parte il pensiero narrativo, appartiene anche il mito, una conoscenza che ci viene offerta dalla mano sinistra:
Scienziato e poeta non devono perciò, secondo Bruner, vivere agli antipodi: la separazione tra i due rende infatti l'intellettuale un inefficace creatore di miti, vale a dire lo rende incapace di comprendere il proprio tempo e di reinterpretarlo.
«Sin dall'infanzia – confessa Bruner – sono stato incantato dal fatto e
Il mito si manifesta prima di tutto come un'esperienza partecipativa:
dal simbolo della mano destra e della mano sinistra: la prima
attraverso il mito, infatti, l'uomo esteriorizza la propria interiorità,
rappresenta colui che fa, la seconda colui che sogna.»8
rendendone gli altri uomini partecipi e superando così l’isolamento:
La mano destra è il simbolo della scienza, della conoscenza logico-
«Il mito, se e fin dove sia appropriato alle esigenze ed ai tempi,
concettuale, mentre la mano sinistra è il simbolo dell'arte, dell'intuizione,
provvede a fornirci, nella forma di trame e di caratteri, di mezzi pronti
del sentimento, della creatività e, appunto, del mito.
all'uso per esteriorizzare la condizione umana.»9
La scienza moderna, in ossequio al culto quasi feticistico dell'oggettività e della precisione, è restia ad ammettere la propria
Vengono così generati dei modelli collettivi di comportamento che
umanità così come i propri limiti. La conoscenza ne risulta dunque
forniscono agli esseri umani un'immagine stabile di sé e del mondo.
impoverita poiché scienza e mito, inteso come sapere di carattere
Questa funzione mira allo scopo più generale di contribuire alla
26
Meditazioni filosofiche
formazione e allo sviluppo dell'identità umana:
posto per sé, un mondo personale»12. La riflessione di Bruner prende i passi dall'idea di un “curricolo a spirale”, di un tipo di insegnamento
«È qui che il mito diventa il plasmatore ed il tutore di identità; è
cioè che privilegi la conoscenza intuitiva e da questa proceda alla
qui che la personalità imita il mito, in un senso così profondo quanto lo
dimostrazione. Questo tipo di insegnamento, che Bruner definisce
è il mito come esteriorizzazione delle vicende interiori della
ipotetico, si contrappone a quello meramente enunciativo, che reprime il
personalità.»10
pensiero creativo del bambino inibendo la sua curiosità e limitandone
Qualunque popolo, sia esso primitivo o socializzato, è uguale all'altro,
l’autonomia.13 Partire da se stesso e dalla propria esperienza consente al bambino di guardare il mondo sfruttando la preconoscenza di cui è già
poiché ciò che emerge con il mito è la sua essenza umana. In questo
in possesso e concentrandosi così sugli elementi e sui problemi che ai
senso lo studio pedagogico del mito ha anche un profondo significato
suoi occhi hanno effettivamente significato. Il processo educativo
filosofico e politico. La scienza, a differenza della filosofia, non
costruirà su questa base un percorso il cui punto d’arrivo sarà la capacità
garantisce il raggiungimento di un significato comune dell'agire umano,
di problematizzare e interpretare la realtà.
senza il quale è impensabile fondare una società. La «comunità 11
In un mondo in cui il sapere è sempre più profondamente
mitologicamente istruita» di cui parla Bruner ha perciò bisogno della
frammentato, la strada indicata da Bruner – ricostituire un’unità almeno
filosofia per essere indirizzata verso quei modelli che ne favoriscono la
in ambito educativo rinnovando l’alleanza tra la mano destra e la mano
crescita. La scienza da sola non basta e non convince.
sinistra, tra la scienza e il mito, la logica e l’immaginazione – sembra
Anche sul piano più strettamente pedagogico mito e narrazione
dunque essere l’unica percorribile. Solo così il discorso scientifico e
agiscono nella direzione di una costruzione e di un consolidamento
quello umanistico (e umano?) potranno coesistere senza ostilità o
dell'identità. Entrambi rappresentano «la modalità di pensiero, il modo
quiescenza
di sentire che aiuta i bambini (e in generale tutte le persone) a creare una
complementare.
versione del mondo in cui possono immaginare, a livello psicologico, un
27
ma
intrattenendo
un
rapporto
autenticamente
Quaderni della Ginestra
EMMA NANETTI J.S. Bruner, La fabbrica delle storie, cit., p. 12. J.S. Bruner, Prefazione all’edizione originale di Il conoscere. Saggi per la mano sinistra, Armando, Roma 1968, p. 23. Cfr. I. Grazzani Gavazzi, G. Scaratti, La psicologia culturale di Bruner tra sogno e realtà, in AA.VV., Vygotskij, Piaget, Bruner. Concezioni dello sviluppo (a cura di O. Liverta Sempio), Raffaello Cortina, Milano 1998. 9 J.S. Bruner, Il conoscere, cit., p. 60. 10 Ivi, p. 65. 11 Ibidem. 12 J.S. Bruner, La cultura dell'educazione. Nuovi orizzonti per la scuola, Feltrinelli, Milano 1998, p. 52. 13 «Molto tempo fa proposi l'idea di un “curricolo a spirale”, l'idea cioè che nell'insegnamento di un argomento si debba partire da una spiegazione “intuitiva” che sia pienamente alla portata dello studente, per poi risalire con moto circolare a una spiegazione più formale o più strutturata finchè, con tutti i passaggi che possono risultare necessari, l'allievo abbia capito l'argomento o la materia in tutto il suo potere generativo.» Ivi, p. 133. 7 8
«La capacità di organizzare narrativamente la propria visione del mondo è tutt'altro che espressione di fantasia o di creatività individuale; essa fonda la particolare forma di adattamento vitale propria degli esseri umani, consistente nel produrre un mondo di significati il cui scambio è essenziale per le loro attività vitali e le loro stesse possibilità di sopravvivenza. Il pensiero narrativo struttura infatti i rapporti umani, sostiene le scelte e giustifica le azioni a livello individuale e collettivo, e consente di fornite alle nuove generazioni un'enorme quantità di conoscenze accumulate e pronte per l'uso non meno necessarie delle conoscenze relative agli strumenti materiali e alle tecniche del loro impiego. Pensiero paradigmatico e narrativo, pur diversi quanto al loro procedere e agli esiti a cui portano, hanno entrambi un fondamento di specie, ed entrambi devono essere trasmessi socialmente, presentati, insegnati. Entrambi, oltre a combinare e riorganizzare fatti osservati, ne creano di nuovi mediante il loro specifico approccio e le loro logiche.» P. Paolicchi, La morale della favola. Conoscere, narrare, educare, ETS, Pisa 1994. pp. 109- 110. 2 J.S. Bruner, La mente a più dimensioni, Laterza, Bari 1988, p. 17. 3 Ivi, p. 18. 4 Cfr. L. Carrubba, Pensiero logico-scientifico e pensiero narrativo, in AA.VV., La psicologia culturale di Bruner. Aspetti teorici ed empirici, Raffaello Cortina, Milano 1999. 5 Cfr. L. Bellatalla, E. Marescotti, Il piacere di narrare, il piacere di educare. Per una pedagogia della narratività, Aracne, Roma 2005, p. 98: «Ogni domanda ed ogni adeguamento, cui la narrazione sollecita, vanno a determinare situazioni nuove, inesperite in cui il possibile sopravanza il reale. E la dimensione del possibile porta con sé necessariamente anche la dimensione del verisimile, l’ammissione dello straordinario e, infine, la rivalutazione della menzogna, che è, al fondo, il luogo stesso della verisimiglianza, della coesistenza di elementi compossibili, del paradosso come slancio teorico verso l’altrove. La menzogna assurge al ruolo di strumento intellettuale per disegnare scenari inesperiti.». Le autrici sottolineano come la narratività abbia sempre una “funzione perturbante”, allontanando dall’ordinario e dal consueto e inaugurando prospettive inedite e in alcuni casi stranianti. 6 J.S. Bruner, La fabbrica delle storie, cit. p. 106. «La finzione narrativa crea mondi possibili – ma estrapolati dal mondo che conosciamo, per quanto in alto essi possano levarsi sopra di esso. L'arte del possibile è un'arte pericolosa. Deve tener conto della vita quale noi conosciamo, eppure alienarci da essa abbastanza da tentarci con possibili alternative che la trascendono. È un conforto e insieme una sfida.» Ivi, p. 107. 1
28
Cinema e filosofia
THE FATHERS ARE BACK - AND THIS TIME AS AN ANTICAPITALIST FORCE? SOME CONSIDERATIONS ON MAREN ADE’S TONY ERDMANN
E
Friedrich Schiller’s well-known play The Robbers (1781-2), in which the tormented relationship between a father, the old Moor, and his two sons, Franz and Karl, constitutes a crucial axis of the drama. Moor is
uropean modernity, and maybe not only, can be depicted as the
depicted as a weak man, incapable of loving and recognizing his
story of
a progressive emancipation from the Father.
children, and therefore unable to handle the rivalries between them. He
Enlightenment has been often conceptualized as a titanic
ends up locked up by Franz and subsequently deeply saddened by Karl’s
struggle against a threefold Patriarchal order, namely against the “holy
rebel “career”; the latter disappointment will eventually cause his death.
alliance” of three powerful fathers – God, the Sovereign and the Pater
Then, of course, consider Sigmund Freud’s work and his
Familias – that oppress individuals and prevent their rational capacities
groundbreaking analysis of the crucial, ambivalent role of the father for
to unfold. And what do the French Revolution’s values of liberté, égalité
the formation of the individual psyche and of the normative communal
and fraternité represent if not the claim to equality between brothers
order. On Freud’s account, the son owes to the father the achievement
(and, if possible, sisters) liberated from any authority except their own?
of independent adulthood, but the price to be paid is high: In order to
European philosophical and cultural production has dealt in various
become like him, the son has to kill the father and take his place. In
ways with the promises and disillusions inherent in the striving for a
Totem and Taboo (1912-1913), Freud establishes a homology between the
fatherless society and in those empty spaces it inevitably leaves behind.1
psychic-individual and the social dimensions by telling the story of the
German philosophy and culture in particular have been for more
father’s “greatest defeat”, which becomes “the stuff
for the
than 200 years obsessed with the figure of the father: the necessarily
representation of his supreme triumph.”2 In this text, moreover, Freud
conflictual relationships between father and children, the overthrow of
introduces the expression “fatherless society”, which has been taken on
the former and the troubles absent fathers necessarily create have been
several times thereafter. In an article written in 1919 (“Zur Psychologie
leading motives for many reflections, from literary to psychological,
der Revolution: Die vaterlose Gesellschaft”: On the Psychology of
from philosophical to sociological ones. Let’s think for instance of
Revolution: the Fatherless Society) Paul Federn uses the expression
31
Quaderni della Ginestra
“fatherless society”, contrary to Freud, as a positive term, indicating the
students but also women raised claims against a wide range of capitalist
victory of the proletarian revolution against the traditional family and
and capitalist-friendly institutions (e.g. the factory, the school, the family,
its patriarchal rule. In 1963, Alexander Mitscherlich writes a book
the cultural system), all dominated by some kind of fatherly rule. There
entitled Society Without the Father (original title: Auf dem Weg zur vaterlosen
is a lot to be said and discussed about these claims. Let me solely
Gesellschaft, that can also be translated into: Towards a Fatherless Society),
underline here the peculiarity of the German context in the late 1960es,
where he nostalgically laments the loss of a world in which the father
in which the rebels had an additional reason for protesting and striving
had not yet assumed the social function of exclusive breadwinner and
for radical transformation: their “fathers” had been, collectively seen, all
did not have to spend so much time outside of the household in order
involved in the Nazi regime. Germany after 1945 was a fatherless
to make ends meet. This was a (mythic) world in which the economic
society not only in the sense that the war had buried a great number of
and the private spheres were not sharply separated, and the intimate
fathers and men in the parental age; what is more, for those who were
relationships, those between the absent father and other family
coming to age after 1945, to be “fatherless” corresponded to the wish
members, had not yet become cold and arid.
of somehow getting rid of the horrors of their past.
The father, and of course the family he is the head of, plays a
Today western society seems to have defeated patriarchy for good.
structural role in capitalism. For example, Max Horkheimer has pointed
Women have massively entered the job market and the male
out capitalism’s dysfunctional conjunction between an individualistic
breadwinner model has declined. As Boltanski and Chiapello in The
dynamic, which pushes men (fathers) to struggle for survival in the
New Spirit of Capitalism (1999) or Dardot and Laval in The New Way of
market, and the collectivist structure of the bourgeois, traditional family,
the World (2014), and many others, have argued, economic production is
which, not in spite of but precisely because of its noncapitalist logic,
today based on the precarization, flexibilization and mobilization of the
does function as a capitalist bedrock (“Autorität und Familie in der
labor force. As such, it is largely incompatible with family life, tending
Gegenwart”, 1949: Authority and Family in the Present Age). In the
to discourage the youth to form strong, committed intimate bonds. This
whole western world, during the protest movements of 1968, workers,
is precisely the situation in which we find Ines Conradi (Sandra Hüller),
32
Cinema e filosofia
the female protagonist of Toni Erdmann and daughter of Winfried
her forget, or never find out, what “fun”, “happiness” and especially
Conradi, a.k.a. Toni Erdmann (Peter Simonischek). She is a cold,
“humanity” mean. He decides then to intervene by building up another
nervous, sullen corporate consultant, working in the Bucharest office of
world, an imaginary, absurd, almost surreal one. It is not clear, and this
a big firm, and preparing a business plan for a local oil company to
doubt is one of the keys of the movie, whether the fictive characters
outsource labor. She is constantly struggling to affirm herself and to be
and stories he sets up are aimed at exposing neoliberalism’s “true face”
recognized in a male-dominated environment, whose implicit and
and thus “saving” Ines’s soul (and body), or at just winning back his
explicit sexism the director Maren Ade does tirelessly portrait from
daughter’s heart and reconnecting with her.
different angles – Ines, anyhow, willfully refuses to be identified as a
One thing is clear though: Winfried is not an absent father, or at least
feminist. In line with neoliberal dictates, the boundaries between labor
he does not intend to be one anymore. He tries to act as a father by
time and leisure time are blurred: She agrees to accompany the oil
caring for and steering his daughter’s life, within a narrative plot that
company’s boss’s young wife on shopping on a Sunday and at a very
rediscovers – and revisits – all classic topics of an intergenerational
short notice, aware of how this kind of informal (and slavish)
conflict that must result in reconciliation. We have all the ingredients:
connections are paramount for success in her business. Furthermore,
“the lost son”, the separation, the “heroic father”, the reunion in which
she sexually bosses a co-worker around in a way that mimics the power
the “prodigal son” ends up by somehow taking on the father’s place. All
dynamic at the office. Her father belongs to another world: Winfried is
these elements assume, however, queer features. The lost/prodigal son
a rather ambitionless music teacher in his late sixties or early seventies.
is a woman characterized by what according to traditional gender
Badly shaved and shabbily dressed, with a passion for tricks and pranks,
identities can be identified as masculine traits (independence, strength,
he appears as a cheerful wreck of the ’68 Generation, who has not
control of emotions, workaholism, etc.). Moreover, she is not the
completely given up his untimely all-power-to-imagination-dreams.
transgressor who has challenged the family and societal order. On the
When he impulsively visits Ines in Bucharest, he immediately starts to
contrary, she is the perfect champion of the current order. The
worry that her daughter’s absorption in the corporate world would make
separation moreover corresponds to the normal condition of many
33
Quaderni della Ginestra
young Europeans today, who are compelled or seduced by the
the persona Winfried plays in order to infiltrate into Ines’ everyday life,
globalized job market to accept jobs quite far from their place of origin.
claims to be a “life coach”: A great part of the film’s amusement
Winfried is more like an anti-hero: His clumsy attempts to destabilize
consists in laughing at Toni’s absurd caricatures of this neoliberal
her daughter’s routines appear as not leading anywhere. In the very end,
character and especially at the weird willingness of all the CEOs,
somehow, they do actually bring about some positive result: Ines and
managers and consultants to believe in and play along with him.
her father are drawn closer to each other. But the final reunion remains
The climax of the parody is reached in the nude party scene, which
ambiguous. On the one hand, it suggests that Ines has learnt something
many critics have praised as one of the most hilarious nude scenes ever
from her father: that life is not to be taken very seriously after all, and
made. It is Ines’ birthday, and she has decided to throw a party: The
that masquerades are good ways to deal with disappointing, boring,
only invited guests are her co-workers and her boss Gerald (Thomas
pressing realities. On the other hand, nothing is going to change for
Loibl), and its main goal is defined by Ines herself as “team-building”
real: She has left her job in Bucharest, but she has already accepted a
(remember Ines does not know or does not appreciate the work time /
new position at McKinsey and will soon move to Singapore (even
leisure time distinction). The day before, she had spent a particularly
further away from her father’s influence).
meaningful day with her father: First they had visited together one of
What is truly peculiar about Toni Erdmann is that the father does not
the posts of the oil company her firm is helping to “modernize”, and
stand in any way for the given social, political or economic order (his
thanks to her father’s warm interactions with the local workers, she had
child does). Even more interestingly, he does neither represent an
maybe begun to vaguely realize the consequences of her business plan
alternative, he does not suggest how things could be different or hint at
on these workers’ lives. Afterwards she crushed the house party of
possible solutions. Family relationships are not conceived of as an oasis
Toni’s new Romanian friend, and unexpectedly agreed to sing Whitney
of warmth and happiness in opposition to the economic sphere. The
Houston’s Greatest Love of All as her father accompanies on the piano.
movie’s “critique” of present-day capitalism consists in parodying it and
The duet unlashes intense emotions, thus enabling father and daughter
thus exhibiting its practices as ridiculous and pointless. Toni Erdmann,
to communicate with each other in ways not otherwise possible.3 So
34
Cinema e filosofia
Ines and Winfried are already getting closer, and while dressing up for
giant hairy creature. This rare display of fatherly “heroism” does betray,
the party, she has maybe already begun to realize the idiocy of all the
albeit ironically, a traditional element: The awe-inspiring father has come
rules and social conventions related to her working life (that is, of her
to protect the exposed, vulnerable (naked) daughter from other men’s
life tout court). Her decision to show up naked at the door when the
possible ambushes.
first guest arrives, and later to insist on everyone’s entering naked, is not
This moment ends quickly and Winfried leaves the awkward party.
a deliberate calculation or even a rational calling into question of certain
Ines runs after him and the two reunite in a warm and liberating hug.
conventions and rules. It is just the bodily, emotional reaction to a
This does not last long either, because the woman leaves almost
society which she can now for the first time see as it is: cruel,
immediately and her father is left alone trapped in the costume that has
humiliating, useless, ridiculous. The exposure to her father’s mocking
meanwhile become rather suffocating. Authority is a heavy burden and
caricatures has finally given her the strength to liberate herself from the
Winfried is not really up to it. Another episode of affection and affinity
usual meetings’ routines, communication patterns, toxic norms and
between father and daughter that is right away interrupted occurs in the
slogans. The moment when Winfried shows up at the party, the giant
very last scene: Ines has bashfully put on her father’s fake signature
furry mask that conceals him is highly revealing. There could not be a
dentures and a weird hat, and Winfried leaves to take a camera and
better, graphically more dramatic representation of the contrast
immortalize this funny moment. As he had just maintained, the
between the standardized and globalized business culture and those
meaning of life is contained in unpredictable, volatile instants, which we
traditional societies that are seen, from the perspective of Ines & C., as
usually do not even perceive. Capturing them may however turn out to
pre-modern,
be a hopeless undertaking. In fact, the film ends before the father
backward and
in
desperate
need
of
economic
development. The Bulgarian costume, the Kukeri, has traditionally the
returns.
function of driving away evil spirits and propitiating fertility; here, it has
Is ironic critique of capitalism a volatile moment as well? Are deep,
the effect of scaring to death Ines’ boss Gerald, who, engrossed in the
intense emotional connections as fleeting as a hug or a laugh? Sure,
embarrassment for his nudity, had failed to notice the presence of the
turning tragedies into farces, relativizing the seriousness and heaviness
35
Quaderni della Ginestra
of things, emotionally and bodily connecting are precious aspects of what critical theories have called emancipation. And Toni Erdmann does tell us that today emancipation is badly needed. It does not tell us,
those emotions that are not functional to the economic system. Winfried’s “business” idea to hire a daughter’s double to keep him company and care for him is quite spoton.
however, how to do it. It would be good to have fathers – and mothers, older people, mentors, teachers – who can disrupt our routines and habits and thus help gaining an ironic and critical distance, who care for and support us while we totter, who try to remind us of the important things. But it is up to ourselves what to do next.
FEDERICA GREGORATTO For a very rich overview of the issues and themes that I am going to very briefly sketch out in the first introductory part of this article, see the German collection of essays: D. Thomä (ed.), Vaterlosigkeit. Geschichte und Gegenwart einer fixen Idee, Suhrkamp, Berlin 2010; see also D. Thomä, Väter. Eine Moderne Heldengeschichte, Carl Hanser Verlag, München 2008. 2 S. Freud, Totem and Taboo, Routledge, London/New York 2001, p. 174. 3 In his review of Toni Erdmann for The New Yorker (21.12.2016), Richard Brody complains that Ade has emptied the father-daughter relationship of all its psychological reality. The personal story she tells “remains as schematic and impersonal as a position paper”. He adds: “the troubles that Toni Erdmann diagnoses are, obviously, real; the dangers that it senses are at hand; but the personal lives and motives, the needs and desires, the memories and identities of those who are at its heart, as agents, witnesses, victims, remain obscure” (http://www.newyorker.com/culture/richard-brody/a-stilted-vision-of-a-decliningeurope-in-toni-erdmann). I do not agree with this critique: the interior lives of Winfried and Ines Conradi are not deeply investigated because one of the “thesis” of the movie is that current-day capitalism bans the expression of emotions, at least of 1
36
Letteratura e filosofia
CODICE PERELÀ
considerato responsabile della morte, è accusato e condannato come perturbatore dell’ordine. Il Ministro della Giustizia accusa l’imputato di
I
n giovinezza Palazzeschi aveva respirato con Marinetti e Boccioni il
essersi servito di male arti per ingannare la reale opinione, l’opinione del
vento nietzschiano e bergsoniano del divenire, del movimento,
consiglio dei ministri e l’opinione pubblica. Infatti, Perelà, recluso a
dell’evoluzione continua e ciò traspare in diverse sue opere. In
vita, fugge dal carcere in cielo si disperde e ritorna alla condizione
particolare nel Codice di Perelà, una “favola aerea” pubblicata nel 1911,
primigenia di nuvola di polvere. La favola aerea di Perelà testimonia
allegoria della farsa del potere a cui si oppone la trasparenza leggera e
l’alterità, la coscienza possibile, la vita libera dai ceppi nel suo significato
anarchica del protagonista Perelà, l’omino di fumo vissuto nella cappa
religioso e sociale. La leggerezza è la forza per opporsi alle catene del
del camino. Il tragicomico del personaggio è espressione di un
vivere, è la reificazione dell’esistenza nel mondo capitalistico. Perelà è la
misticismo e di una religiosità decadenti trascesi nel registro parodico
trascendenza rispetto a questo mondo. La superficie comica e farsesca
nel quale gli individui si muovono come maschere di una realtà segreta
del romanzo cela un’angoscia serpeggiante continua, non c’è nella
la cui interpretazione sfuggente non si deve confondere con un
narrazione un elemento esistenziale unificante, ma la claustrofobia di
superficiale gioco. La fantasia libera e leggera dell’autore crea una
una società diventata sistema. Lo scomparire dell’angoscia è la parodia
struttura allegorica di riferimenti sociali; si tratta dell’allegoria della
dell’incubo e dell’assurdo. L’angoscia nutre questo romanzo ed è
società e dell’impossibile opera di salvazione universale tentata dal
l’elemento costitutivo pervasivo di grandi opere dell’epoca imperialista
protagonista della vicenda. In un’anonima città reale e favolistica, Perelà,
composte da Kafka, Camus, Sartre. Perelà ricorda di essere stato istruito
scende dal camino in cui si era formato ed è accolto alla corte del Re
dalle tre vecchie sedute intorno al fuoco “sopra ogni utile condizione del
Torlindao. L’uomo di fumo è benvoluto a palazzo e, così, riceve il
vivere” e di avere appreso “una filosofia leggera, leggerissima […] Tanto leggera che
compito supremo: redigere il nuovo codice di leggi. Ma la tragica morte
lascia salire ad altezze inaccessibili”. Nelle forme culturali ed esistenziali che
di Alloro, decano dei domestici reali, bruciatosi vivo nel tentativo di
l’umanità ha finora prodotto, si può facilmente intravedere la natura
diventare anch’egli di fumo, fa cadere in disgrazia Perelà; egli,
debole e malata di quell’ “animale venerante” che è l’uomo. Il suo
39
Quaderni della Ginestra
bisogno di certezze, valori stabili, riferimenti sicuri ha finito con il
verità tremenda: la morte di Dio. Essa ha il valore di una constatazione:
produrre una malattia della volontà i cui sintomi evidenti sono la fede
non c’è più alcun Dio che ci può salvare; oltre agli uomini sta il nulla. La
religiosa, la rinuncia all’autodeterminazione, il culto della verità,
morte di Dio è dunque il segno della tragicità dell’epoca. Con essa la
l’asservimento alla morale. La scienza, la filosofia, l’etica, la religione
Terra si snatura e l’umanità, orfana, priva di fondamento, corre verso la
non sono dunque che forme diverse della stessa malattia: le
decadenza. Se Dio è morto non ha più senso parlare di morale, di bene
accomunano la fiducia in una verità superiore, la contrapposizione tra
e di male, di giusto e di ingiusto. Non ha più senso domandarsi dove
l’uomo e la natura, la rinuncia ad ogni atteggiamento critico e ad ogni
l’uomo stia andando e da dove sia venuto. Nell’aforisma 1 125 l’uomo
dubbio, l’ossequio nei confronti dei comandi, ed infine, il nichilismo.
folle si chiede: “Non è il nostro un eterno precipitare? Non stiamo forse vagando
L’uomo è pervenuto a costruire sistemi di valori che sovrastano il
attraverso un infinito nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto?”. Perelà ignora
mondo reale, pongono l’uomo stesso contro il mondo, lo inducono a
il Re, simbolo supremo del potere, si relaziona con la Regina e le donne
sottomettersi ai comandi, ai divieti, alle norme morali. La debolezza,
in genere, vittime del sistema patriarcale come Pena, Rete, Lama, le sue
l’anelito di certezza, il bisogno di fede tipici della moltitudine hanno
madri centenarie. Con un tocco leggero, ma preciso l’inconsistente eroe
svolto un ruolo decisivo insieme alla mancanza di un impegno critico da
è condotto nei luoghi deputati delle istituzioni di un sistema chiuso. Il
parte degli intellettuali per la loro incapacità di problematizzare
potere nelle sue varie forme si esprime attraverso personaggi (il Re, la
fenomeni religiosi e morali. Nella scena del colloquio tra Perelà e la
Regina, l’Arcivescovo, i Notabili) e luoghi (il monastero, il camposanto,
Regina, sublime e grottesco si fondono in un amalgama memorabile.
il bordello, le carceri, il manicomio) che costituiscono le tappe
Dio è la parola che risuona più volte come rintocco funebre
dell’iniziazione della verifica terrena di Perelà. Il potere non è descritto
dell’assenza, è la parola ripetuta dal pappagallo che sancisce la morte di
direttamente, ma evocato con figurazioni, movenze fiabesche su cui si
Dio. L’annuncio della morte di Dio è destinato a dividere il tempo in
innestano dissonanti elementi d’attualità tra l’orrore dell’oggi e il passato
due epoche quella dell’annullamento di sé e quella dell’affermazione di
lontano, precapitalistico e mitico. La perennità storica del dominio in un
sé. Nell’aforisma 125 della “Gaia scienza” l’uomo folle annuncia una
tessuto allegorico continuo consente intrusioni modernistiche, farsesche
40
Letteratura e filosofia
che stridono, attualizzano e inverano presunti elementi eterni. L’uomo
il concetto di Adorno per cui la forma è un contenuto sociale
di fumo ne ricava un senso di peso e di soffocazione insopportabile così
sedimentato. Il tono generale dell’opera è di umorismo tetro,
il racconto nella meditazione sulla collina abbandona il registro comico
malinconico, plumbeo, consono al colore del protagonista. La tetraggine
e diventa accorato, patetico, sublime. Il messaggio libertario inespresso
comica, il fallimento messianico, l’utopia pereliana non sono reintegrati,
dal suo portatore, ma affermato misteriosamente dalla sua sola
ma parodicamente allusi nel capitolo finale, scherzoso, rapido, stupendo.
presenza, indecifrato dalla massa degli uomini, avvertito nell’intimo
Gli uomini si volgono al cielo per cercare Perelà involatosi dalla prigione.
come altro, sempre pericoloso per l’ordine costituito, si apparenta
Il critico Luciano De Maria2 accolse l’interpretazione di Perelà in
all’essenza profonda dell’ideologia sociale della politica futurista. Il topos
chiave di parodia messianica poiché in esso individuò certi eventi
del fuoco purificatore-liberatore sostanzia di sé il libro ed è l’appello alla
assiali della vita di Cristo: la nascita miracolosa senza l’intervento
ragione dei pazzi contro la razionalità borghese. Il pazzo volontario è il
paterno, l’età (trentatré anni), la notorietà tra i notabili e il trionfo
principe Zarlino che abbraccia Perelà. Il volontarismo della follia
iniziale tra le folle, la creazione di un nuovo codice di valori, il
ragionata e il disprezzo della saggezza riscuotono l’approvazione della
processo ambiguo, la condanna, la salita alla collina petrosa fuori
gente e l’ammirazione dei pazzi. Perelà è l’archetipo dello Zarathustra
città, (l’Orto degli Ulivi), la passione e il martirio tra gli insulti e gli
nietzscheano per la qualità intrinseca della leggerezza e l’anelito a volare
sputi della gente al suo passaggio, la fedeltà fino alla fine di Oliva di
sopra la terra immonda. Zarathustra il lieve è detto da Nietzsche il suo
Bellonda, (Maria Maddalena), il carcere a vita sul monte Calleio, (il
eroe nel capitolo “Dell’uomo superiore”. La mistica del super uomo si
Calvario). Lì sulla collina, come per Cristo, avverrà l’ascesa al cielo
esprime con levità, dolcezza e mansuetudine.
con il lascito di un tenue messaggio, il Codice per l’umanità. Per
Il procedere schizomorfo del Codice di Perelà per capitoli brevi,
Caretti Perelà è il capostipite di molte metamorfosi di Kafka e di
essenziali, staccati, entro scene con vivacissimi concertati di voci,
Pirandello, emblematiche della crisi d’identità del ‘900, della
dialoghi di poche battute in una sticomitia personale consentono
distruzione del personaggio naturalista nella sua non più credibile
all’autore di trasferire, dalle poesie dell’“Incendiario” del 1910 al romanzo,
oggettività fisica. Nella prima parte del romanzo l’autore utilizza
41
Quaderni della Ginestra
modalità non narrative, ma drammatiche, i fatti sono presentati per
alla ragione, ma diffida e pone interrogativi. Egli è il grande scettico:
bocca di svariati personaggi ridotti a pure voci, puro discorso diretto,
non ha soggezione né rispetto verso tutto ciò che gli spiriti vincolati
in modo da togliere loro qualsiasi individualità e da assolutizzare i
accettano e venerano; ha la gaiezza e l’audacia di chi non indietreggia
diversi punti di vista. La nozione tradizionale di personaggio è messa
davanti a nulla; è alla caccia della verità, ma senza illusioni; ha la
in crisi. Perelà è un non personaggio, un personaggio senza
gelida freddezza del pensiero radicale che penetra nelle carni della
psicologia, un uomo leggero mentre gli uomini sono pesanti e non
vita. Il suo è un mondo organizzato sul principio della “Gaia scienza”
arrivano a sfiorare il senso positivo della sua leggerezza, è un attimo
di Nietzsche, libero dall’ignoranza e dalla paura. Indicando nella
di incertezza espresso dai puntini di sospensione. Nell’incertezza
debolezza e nel conseguente bisogno di certezze l’origine di tutte le
cade ogni volta che, imbattendosi in uno sconosciuto, è costretto a
forme di venerazione dell’assoluto, Nietzsche invita all’irrisione, alla
presentarsi. Perelà non sa chi sia: la sua dichiarata leggerezza è il
diffidenza, al dubbio, con lo scopo di condurre il “credente” ad una
dato di un’identità mancante. Fino a che si manifesta come anomalia
liberatoria trasmutazione dei valori che faccia di lui uno spirito libero.
tale da non incidere sulle istituzioni, o addirittura da suscitare
Perelà si esprime attraverso la frammentarietà, l’essenzialità
l’illusione di poterle modificare a vantaggio dei potenti, la leggerezza
dell’aforisma,
dell’uomo di fumo è guardata con benevola curiosità e
dell’enigma. Queste forme s’impongono nella scrittura così come nel
entusiasticamente
l’oscura
sostrato filosofico del Codice che esige modi espressivi capaci di
consapevolezza che essa finisca invece per provocare un
rompere i rigidi schemi della razionalità ottocentesca per dare spazio
rovesciamento delle istituzioni, la leggerezza, senza mai essere intesa
al dubbio, all’irrisione, alla meraviglia e all’invettiva. L’interpretazione
nella sua verità positiva, viene condannata dai potenti e rifiutata da
morale, divina e umana del mondo e della vita ha come presupposto,
tutti.
secondo Nietzsche, il bisogno di certezze proprie dell’uomo; l’uomo
accettata;
quando
si
diffonde
l’inquietudine
dell’interrogativo,
l’ambiguità
Perelà è protagonista di una riforma morale, non è un genio
infatti assume un atteggiamento di venerazione rispetto alle proprie
artistico, ma un Freigeist, uno spirito libero che non crede ciecamente
certezze e nutre diffidenza nei confronti di tutto ciò che possa porle
42
Letteratura e filosofia
in pericolo. Perelà entrando in scena sovverte le certezze degli esseri
“minestra grigia, scodellata con stridulo crocolo sciulo frastuono, e rimasta
umani con cui ha contatti e sembra discendere dalla cappa del
lì…immangiabile” che comunica al lettore soltanto un senso di
camino sulla terra per tracciare il percorso ad una nuova umanità.
profondo disgusto. L’uomo ha un carattere esclusivamente
L’uomo di fumo è un personaggio eccentrico e storicamente
trascendente è una “freccia che anela all’altra riva”, è “passaggio”,
rappresentante della piccola borghesia e del disagio esistenziale
“transizione”, “tramonto”; e la sua natura transitoria va vissuta con
originato dalla frustrazione del principio di piacere, è un buffo che
coraggio, pur nella sua caducità, perché è proprio essa la condizione
tende a rompere o a sabotare trasversalmente la norma del principio
per il passaggio a una natura umana superiore. Per i temerari della
di realtà. Nell’impatto di Perelà con il mondo egli è oggetto dello
ricerca e del tentativo la vita è come un labirinto, per attraversare il
stupore e dell’ilarità dei comuni mortali per il suo aspetto buffo.
quale essi, amanti dell’ignoto, rifiutano di affidarsi al dedurre, al filo
Come Zarathustra3, profeta incompreso, è schernito in città e al
di Arianna della pura ragione, che non farebbe altro che ricondurli al
mercato dalla massa anonima degli uomini, ma non rinuncia al suo
punto di partenza. Lo spirito ludico, il travestimento parodico che
ruolo di messaggero del superuomo presso “gli ultimi uomini” così fa
tanto diverte Palazzeschi, la sua dichiarata ricerca del comico non gli
Perelà nel Regno del Re. Se il superuomo è una speranza, l’ultimo
fanno mai perdere il senso della misura. Il suo estremismo libero ed
uomo è la realtà, è l’uomo del gregge, che ha perso ogni ideale, che
estroso è privo di acredine, e il suo sorriso non manca di provocare
non osa e non vuole più nulla; stanco e incredulo, egli è l’uomo del
la riflessione sul vero senso delle cose, per cogliere il lato comico e
nichilismo passivo la cui volontà di potenza è spenta. L’uomo va
tragico insieme. La forma psichica più vicina all’ironia di Palazzeschi
oltre l’uomo e porta a compimento la propria natura perché l’uomo è
è il “sentimento del contrario” di Pirandello. In entrambi, l’apparente
un cavo teso tra la bestia e il superuomo e si realizza nel superuomo,
comicità di un gesto o di una situazione diventa avvertimento di un
colui che è di spirito libero e di libero cuore.
senso recondito e drammatico. Come un fedele di Zaratustra Perelà
L’impatto con la cruda realtà produce il passaggio dalle immagini
conclude la sua esistenza sulla terra nella sua speciale Torre del
aeree di “passi agili, lanci furtivi, volute serpentine” alla similitudine della
Silenzio. Sul colle del Calleio su un mucchio di pietraglia che ha
43
Quaderni della Ginestra
aspetto di rovina, si erge la sua cella, su un ripiano della vetta. Il suo corpo inconsistente non sarà carpito dai demoni e dagli spiriti, né scarnificato dagli avvoltoi, nè contaminerà con il contatto la terra, il fuoco, le acque, ma attraverso la sua torre del silenzio, l’utero nero della cappa del camino, abbandonando sulla terra solo le scarpe, Sua Leggerezza ritornerà ultra, restando nell’aria, volando nel cielo. ELISA ZIMARRI 1
F. Nietzsche, La gaia scienza, Adelphi, Milano 1988, p.139.
2
Per una disamina critica su Palazzeschi si rimanda agli Atti del Convegno
tenutosi a Firenze nel 1976: Caretti L (a cura di) “Palazzeschi oggi” Il Saggiatore, Milano 1978 3
F. Nietzche., “Così parlò Zarathustra”, Adelphi, Milano 1973.
44
Letteratura e filosofia
LOSING ONESELF IN THE MUSIC: PHENOMENOLOGICAL
trying to recall what I had done, was blank. I was terrified that I had
CONSIDERATIONS
done terrible things and that everything had gone wrong.»1
f you read about, or speak with artists in general, and musicians in
Isn’t there something striking in the opposition between the
particular, you will inevitably hear about an unusual kind of
perspective of the performer of terror-inducing oblivion and the
experience of something like: “I lost myself in the music, I don’t know
perspective of the spectator of exceptional beauty? Something is going
what happened, I cannot remember, I lost sense of time and place”.
on here that does not reduce to our ordinary experiences of being
Many professional musicians claim that this kind of experience is of
carried away. We might think that the most extraordinary events in our
existential importance to them and that a great deal of purpose of their
lives, be it our first experience of falling in love, our wedding, the birth
work derives from having and striving for this kind of experience. Prima
of our children, or experiences of unusual beauty, such as the view of
facie, all this might sound rather innocuous. We all know the experience
the Grand Canyon or the canals and palazzi of Venice, or of being
of being carried away in our work, when we are writing or reading or in
submerged in Bach’s Giaconna or Dvorak’s Cello Concerto also would
our thoughts during something as simple taking a walk. The hours
be the events and experiences that left the strongest imprint on our
vanish and we cannot recollect what happened while carried away.
memory. Instead, at least in the case of the performer, we are seemingly
I
But now, consider this description from former world-famous ballet dancer, Erik Bruhn of a performance that was characterized as a once
left with some form of amnesia, as also expressed by the cellist Fredrik Sjölin from the “Danish String Quartet” (DSQ):
in a lifetime experience of exceptional beauty by important dance critics:
«The deeper you are in, the less you observe the world around you…and I had this especially powerful experience…where I
45
«When I left the scene, I went to my wardrobe, quite dazed. I was
completely disappeared. I remember that it was an incredibly pleasant
suddenly afraid. I had been so engaged in the performance that I, when
feeling in the body. And it was incredibly strange to come back and at
Quaderni della Ginestra
that point I spent a few seconds to realize where I had been. I had been
their own, first-person perspective, under the famous slogan “to the
completely gone and with no possibility of observing…It was this
things themselves”.
intense euphoric joy: xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx
Phenomenology is then an excellent contender to examine the experience of losing oneself in the music. There is, however, a very
Ok, but if you are certain of having played, you cannot have been completely gone,
immediate obstacle. To remain faithful to the phenomenological slogan,
so you must have known that you were playing, or..?xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx
one ought to examine this particular experience from the first-person perspective, which in turn implies that one in addition to being a
Weeell…in this case I cannot completely answer you.»
phenomenologist should be a skilled musician with first-personal access to the experience in question. Few, if any, can fulfill such an obligation.
Let us call the experience expressed here, an experience of “losing
A solution to this predicament, maintaining that we must get as close as
oneself in the music”. This essay will explore what this might mean and
possible to the things themselves, is to retain one’s first-person
suggest ways of thinking about it. First, however, a few considerations
methodology while adding a second-person methodology, namely that
on how to conduct such an exploration.
found in the qualitative interviews of ethnography. We find precursors
Phenomenology is traditionally considered a strict science for
to such a methodology already at the outset of the phenomenological
understanding experience and its structures. The founders of the
movement in the form of psychopathological work of Jaspers, Bleuler
phenomenological tradition, Husserl, Heidegger, Sartre and Merleau-
and Minkowski and in recent wave of “Neurophenomenology” initiated
Ponty all considered it naïve to think that you could obtain a complete
in the 80’s by Varela.
description of the world without first establishing the ways in which the
To put it squarely, if we want to understand experiences, to which we
mind and the world are always already involved in and co-imply one
do not have first-personal access, the best thing is to thoroughly
another.2 In each their way they began investigations to uncover these
interview and learn from the people with such access, while maintaining
co-implications, and they usually did so by examining experience from
a critical attitude to the reports obtained. Under the label of a
46
Letteratura e filosofia
“phenomenological interview”3 I have focused on understanding the
during which times seems to pass by at a different pace. But although
experience of losing oneself in the music and interviewed professional
daydreaming and absorption share the feature of an altered sense of
musicians, primarily from the Danish String Quartet4, which is
time, they ought to be distinguished, not least because the latter induces
considered one of the world’s leading chamber ensembles.
emotions and sensations of “euphoric joy” and “an incredibly pleasant
From these interviews as well as from observations of numerous performances and rehearsals, I’ve learned a thing or two about losing oneself in the music.
feeling in the body” as mentioned by Fredrik Sjölin above, while long distance-driving and dishwashing emotionally are rather flat. Thirdly, if we turn to the deep absorption of losing oneself in the
Firstly, you cannot see to what extent a musician is absorbed in his
music, all DSQ-members agree that it is a very rare experience. It comes
performance. Although seemingly very concentrated, he can in fact be
in degrees, but its deepest form marked by a kind of amnesia, yet
distracted and thinking of what he had for breakfast or where he is
accompanied by euphoric joy, is rare, according to the DSQ,
going to go out for beers after the concert. This form of daydreaming
experienced only a handful of times in their lives.
does not detract noticeably from the quality of the music. As spectators,
Fourthly, the already rare experience of absorption can be further
then, we have to be skeptical of any romanticism suggesting that the
divided into two distinct categories. The first is the aforementioned loss
musicians were as if in one mind or that a zone of concentrated
of some form of self-awareness – an analysis of which is yet another
absorption extended to include the audience.
can of worms – accompanied by a form of amnesia. The second is an
Secondly, all four musicians in the DSQ can clearly distinguish the
almost out-of-body like experience5 of being at a great distance from
aforementioned form of distracted performance, which we might label
one’s own performance, as expressed by DSQ violist Asbjørn Nørgaard:
day-dreaming, from forms of deep absorption. I believe this distinction is significant when applied to our everyday lives. Some might think that
«[I am] like disinterested, neutrally registering, I am not like inside, I
artistic absorption is kind of like long-distance driving down the
am not kind of a part of the set-up, I am just looking at it, while I’m in
highway, doing the dishes or some other kind of monotonous work
the zone. But if I’m not in the zone, I become a co-player, I become a
47
Quaderni della Ginestra
part of the whole thing. And cannot look at it like a bird over the waters.»
«But you can perhaps say that what we’re striving for at a technical level, that is to be…that it is coming by itself and that you are not too aware of it, that you do not spend any energy on it, that you just have
Being in the zone, or being absorbed, can also be experienced as like a bird flying over the waters, neutrally registering the setup, or the
this that it is coming by itself, but that you are aware of it maintaining itself.»
performance, as if it was happening on its own apart from me. Here, the performer is not lost inside the music. He remembers minute details
Any piece of classical music worth playing in a concert hall comes
from the performance as if seen from the perspective of the spectator.
with so many nuances and complexities that you cannot consciously
This experience is also filled with great joy, pleasure and even a feeling
control them all. You need to practice in advance to remedy this
of being omnipotent, according to Asbjørn, like an army general
situation. Musical experience and skill consists in incorporating the right
watching and commanding his troops from the top of the hill.
habits such that you can play a beautiful concert, while only having to
From these four points, we understand that losing oneself in the
pay attention to some aspects of the music, such as the artistic
music has specific experiential traits that do not conform to our
interpretation. This entails that much of the music played is not under
intuitions. It is not a form of concentrated thinking, nor an
your conscious control, which in turn engenders the experience of the
absentminded daydreaming. I cannot here account for all variations of
music playing itself. It is not “you” playing the music, it is not
the experience in question or for the various cognitive faculties that are
experienced as emerging from your control and agency. Rather, it is an
enhanced or reduced. But I can try to outline its genesis. Again, losing
anonymous subject, to a large part constituted by our bodily habits, or
oneself in the music is rare and in stark contrast to one of the most
body schema6, that performs. If we want to understand this in greater
ordinary experiences in skilled musicianship, namely the feeling that the
depth, we can turn to sources in phenomenology that expound how our
music is playing itself or coming by itself. Here is how Frederik Øland,
subjectivity, in addition to being active and agential, is passive and
DSQ violinist, expresses it:
receptive7 and how our body is anonymous. Consider, for instance,
48
Letteratura e filosofia
Shaun Gallagher’s example of eye-strain, in which one initially
The experience of the music playing itself is what unifies the
experiences a blurring of the letters or a lack of light of the room, and
two seemingly opposite deep forms of absorption. In the first,
then realizes that one’s tired eyes are giving rise to this experience:
one is lost in the music. In Fredrik Sjölin’s case, the music has been performed, but he does not immediately identify himself
«The eyes that have been reading have been anonymous eyes, doing
as its agent. In a plain sense, the music has played itself. In the
their work without my reflective awareness of them. Now, however, my
second, the music is neutrally registered as unfolding as if of
attention is directed to my eyes. The eyes suddenly emerge out of
itself. In other words, for Asbjørn, the music is playing itself
anonymity and become owned. My pain now becomes the present
while he enjoys the scenery from afar.
concern, and my body in general gets in the way of my reading comprehension.»8
Much of our bodily activity takes place at this anonymous level. Perhaps we can say that musical expertise consists in getting your anonymous body – in this case primarily fingers, hands and arms – to work for you, in tandem with your conscious agency, with the purpose of unified expressivity. That the music plays itself means that one has worked for thousands of hours to curb one’s anonymous body, it means that the present performance is allied with one’s entire personal history of practice and performance. The possibility of the body’s anonymity, which could also be termed the possibility of its automaticity, is then foundational to the experience of the music playing itself.
49
Let me conclude on these points. There exists an unusual and curious form of artistic absorption in which the musician loses himself in the music and cannot recollect anything from a just past performance. This essay has honed in on this phenomenon, described some of its traits and its genealogy deriving from the experience of the music playing itself. It remains to be explained how our subjectivity is transformed when the self is lost in the music, and to be shown exactly how the phenomenology of passivity, receptivity and anonymity renders this transformation possible. This much more comprehensive story is under way.9 SIMON HØFFDING
Quaderni della Ginestra
A. Meinertz, Erik Bruhn: billedet indeni. København: Schønberg, 2008, p. 117. My translation 2 S. Gallagher and D. Zahavi, The Phenomenological Mind: An Introduction to Philosophy of Mind and Cognitive Science. London; New York: Routledge, 2008. 3 S. Høffding and K. Martiny, “Framing a Phenomenological Interview: What, Why and How.” Phenomenology and the Cognitive Sciences, 2015, 1–26. DOI: 10.1007/s11097015-9433-z 4 www.danishquartet.dk 5 See also E. Hytönen-Ng, Experiencing “Flow” in Jazz Performance. Farnham, UK and Burlington VT, USA: Ashgate Publishing, Ltd., 2013, p. 84-5. 6 S. Gallagher, “Body Image and Body Schema: A Conceptual Clarification.” Journal of Mind and Behavior 7 (4), 1986, p. 541-554. 7 E. Husserl, Analyses Concerning Passive and Active Synthesis: Lectures on Transcendental Logic. Vol. 9. Amsterdam: Springer, 2001. A. Montavont, De La Passivité Dans La Phénoménologie de Husserl. Èpiméthée. Paris: presses universitaires de France.ì, 1999. D. Zahavi, Self-Awareness and Alterity: A Phenomenological Investigation. Northwestern University Press, 1999. 8 S. Gallagher, “Body Image and Body Schema: A Conceptual Clarification.” Journal of Mind and Behavior 7 (4): 541-554, 1986, p. 549. 9 S. Høffding, (under review), “Performative Passivity: Lessons on phenomenology and the extended musical mind with the Danish String Quartet” for (Eds. E. Clarke & R. Herbert) Music and Consciousness II. Oxford University Press. 1
50
Libri in discussione
LIMITE E LIBERTÀ: UNA DICOTOMIA DALLE ORIGINI ANTICHE
I
– il “paradiso” appare più desiderabile del “Sole dell'avvenire”, che tarda a giungere e dell'abbondanza annunciata dal capitalismo che continua ad aumentare le disuguaglianze sociali. Negli ultimi decenni le
limiti ci circondano e ci condizionano sotto ogni aspetto: dagli
biotecnologie hanno superato limiti che si pensavano invalicabili e
immodificabili dati della nostra nascita (tempo, luogo, famiglia,
intrinseci nella natura umana. La domanda viene spontanea: ci sono
lingua, Stato), dall'involucro stesso della nostra pelle, dagli orizzonti
limiti che, diversamente da quelli scientifici o intellettuali, l'uomo non
sensibili, intellettuali e affettivi del nostro animo per terminare con
dovrebbe mai infrangere? Per Bodei è diventato urgente ripensare l'idea
l'ultimo insuperabile: la morte. I limiti della specie umana però sono
stessa di limite, in modo da essere consapevolmente in grado di definire
storicamente e culturalmente mobili e si modificano nel corso del
l'estensione della propria libertà e di calibrare i propri desideri. È utile
tempo. Paradossalmente – come disse Simmel - nel trovarli, per lo più, li
quindi conoscere i molteplici e concreti aspetti dei singoli limiti,
si supera. Soprattutto la modernità occidentale ha trasformato l'uomo in
riscoprendone le ragioni e stabilendone i criteri di rilevanza.
libero creatore del proprio destino, negando la propria finitudine fino ad
Storicamente, a parte qualche tentativo sulla natura, la cultura antica
auto-trascendersi per diventare sempre più simile a Dio. La ripetuta e
e medioevale non conosceva il “pathos” per il progresso. Le innovazioni
vittoriosa esperienza del varcare confini geografici, scientifici, religiosi,
tecnologiche e la creatività furono viste con sospetto e considerate
politici, ambientali e da poco tempo anche biologici, ha generato una
nocive dal mondo greco-romano. In generale, sia nel passato, sia nel
sorta di delirio di onnipotenza, una vertiginosa autoesaltazione che
presente, l'espansionismo politico, la violazione delle frontiere altrui, il
arriva a negare che esistano limiti invalicabili. Eppure le religioni si
conseguimento di un potere immenso e illimitato hanno segnato la
stanno prendendo la loro rivincita sulla modernità. Gli Stati non sono
storia del mondo. Nel Settecento le barriere geografiche, marittime,
più in grado di tutelare sufficientemente la sicurezza e il benessere dei
immaginarie e reali, sono state infrante. La scoperta dell'America aveva
propri cittadini.
già moltiplicato le utopie e paradossalmente le grandi scoperte
Quando il mondo è percepito come incerto e ostile – afferma Bodei
53
geografiche del Cinquecento e del Seicento non hanno cancellato
Quaderni della Ginestra
neppure quelle filosofiche di Moro, Campanella, Bacone e altri, anzi le
delimita la sfera di validità dell'esperienza paragonando l'intelletto a
rilanciarono, quali moderni strumenti per immaginare una vita migliore,
un'isola dai confini ben precisi. Per Hegel il fatto stesso che qualcosa è
dove giustizia e uguaglianza avrebbero regnato. I filosofi e gli scienziati
determinato come limite implica che la limitazione medesima sia stata
hanno discusso a lungo anche sui confini dell'universo. Per Aristotele la
già implicitamente trascesa. La verità non consiste più nel poggiare sul
perfezione consisteva nell'aver un limite. L'infinito fu considerato per
fondamento immediato di qualcosa (l'intelletto kantiano o l'Essere della
secoli un concetto negativo, sinonimo di confuso, incompleto,
metafisica), ma nel continuo oltrepassare se stessa. Muovendosi sul
indistinto. Il cosmo è perfetto proprio perché limitato. Sarà Giordano
piano dei viaggi di scoperta scientifici e intellettuali, pensare – sostiene
Bruno a rivendicare con fermezza e coraggio non solo l'esistenza
Ernst Bloch – consiste nell'oltrepassare, varcare i confini sempre più
dell'universo infinito, ma anche che nel cosmo non esistono né centro,
remoti. Il risultato faticosamente raggiunto per prove ed errori sembra
né periferia. Se per Aristotele l'infinito potenziale non è altro che una
costituire l'unica via “maestra”. Solo quando si è trovata la soluzione si
reiterazione del finito, sarà l'analisi infinitesimale a sciogliere alcuni
scopre a posteriori la necessità del procedere verso di essa.
aspetti dei paradossi dell'infinito, istituendo continuità tra finito e
Sono stati i grandi progressi della civiltà europea e nordamericana, a
infinito. I numeri transfiniti di Cantor conducono ad una nuova visione
partire dal Settecento, ad accreditare l'idea di un progresso illimitato,
del problema, che viola il precetto di Gauss per cui «l'uso di una
non frenato dalle catastrofi periodiche, teorizzate soprattutto da Platone
grandezza infinita conclusa non è in matematica mai permesso».
e dagli Stoici, di un destino che consente all'uomo di modificare quel
Anche la filosofia moderna con Locke e Kant si è interrogata a lungo
che prima era immodificabile. Il proiettarsi verso l'ignoto costituisce il
sui limiti dell'intelletto umano. Fin dove può giungere una solida
maggior vanto dell'età moderna. Sebbene si debba rifuggire da una
conoscenza basata sull'esperienza o sul sapere matematico prima di
concezione trionfalistica della modernità, essa ha indubbiamente
lasciare spazio alla metafisica o alla fede, ossia a questioni indecidibili e a
rovesciato i principali dogmi imposti dalla tradizione, in particolare
convinzioni non razionalmente argomentabili? Per Locke ogni idea trae
quelli ereditati dalla religione cristiana. Tuttavia solo tra Seicento e
il suo materiale unicamente dall'esperienza dei sensi, mentre Kant
Settecento l'umanità europea riuscì ad acquisire una più precisa e
54
Libri in discussione
articolata consapevolezza dell'interdipendenza tra individui e popoli.
Il superamento dei limiti sembra risvegliare in molti sogni di
Grazie alla crescente coscienza di essere inseriti in un vasto contesto in
onnipotenza. In un mondo dove tutto è possibile, senza limiti, non si
incessante trasformazione, sorgono oggi problemi e inquietudini
tratta di evitare la trasgressione, ma solo di non farsi catturare: il
sostanzialmente nuovi: nazionalismi, lotte religiose e il discredito
corrotto impunito è il nuovo eroe da imitare. Siamo di fronte a un
dell'idea di verità. A causa di un pubblico “infantile” e interessato in
politeismo di valori, a uno scontro tra posizioni per principio
campo politico, il tratto fondamentale della menzogna non è oggi quella
incompatibili, sebbene di fatto normalmente conciliate grazie a
di nascondere la verità, ma di sostituirla, di distorcere le idee e di
compromessi pratici. Per questo oggi le domande come "fino a che
nascondere i fatti. Rispetto al passato esistono oggi molti più confini
punto posso inoltrarmi nel raggiungere i miei obiettivi o nell'esaudire i
cancellati o incerti. Sfumano le differenze tra le età della vita, come la
miei desideri?" oppure "dove si trova, se si trova, la linea di
solennità di alcuni riti di passaggio che transitavano gli individui dalla
demarcazione tra il buono e il cattivo, tra il lecito e l'illecito?" sono
giovinezza all'età adulta. Anche quando non si hanno di mira un
destinate a non avere risposte convincenti e univoche a causa delle tante
maggior benessere e una sicurezza garantita, il viaggio, senza vie
possibili soluzioni. In mancanza di regole oggettive o almeno condivise,
tracciate in anticipo, sembra costituire un tratto distintivo della
gli individui si adattano a una paradossale morale provvisoria
modernità. Hobbes considerava la felicità stessa come un non fermarsi e
permanente. In conclusione – scrive Bodei- l'attitudine a riconoscere e
un non accontentarsi mai. Il limite quindi diventa immancabilmente
distinguere i limiti è un'arte che va coltivata e praticata con cura,
provvisorio, si sposta, chiude per aprire, è fatto per essere sormontato.
lasciandosi guidare nello stesso tempo dall'adeguata conoscenza delle
Guardando al passato più recente si vede come nella cultura
specifiche situazioni, da un ponderato giudizio critico e da un vigile
dell'Occidente, la teoria e la pratica della dismisura abbiano messo
senso di responsabilità.
velocemente radici sempre più profonde. Gli individui credono nella
ALESSANDRA SOFISTI
prerogativa imprescrittibile di realizzare le proprie aspirazioni e di cercare la propria insindacabile felicità.
55
Remo Bodei, Limite, Il Mulino, Bologna 2016, pp. 124.
Quaderni della Ginestra
IL FUTURO HA UN CUORE ANTICO
U
Jasonni, nel quale i temi della filosofia, della letteratura e della politica si incarnano in un punto di vista che non prescinde dall’attualità. Così i
na buona pratica intellettuale, molto spesso trascurata, consiste
temi della pólis, delle “belle lettere” in via di estinzione, della scuola e
nell’andare alla ricerca delle radici etimologiche delle parole che
dell’Università, per le quali la parola e il pensiero rivestono un ruolo
scegliamo di utilizzare. Kéramos, la parola che Massimo Jasonni ha scelto
sempre più accessorio, appaiono in equilibrio tra l’ideale e il concreto, il
per dare il titolo al volume che raccoglie i suoi scritti apparsi sulla rivista
possibile e il fattuale. Le fonti di quest’operazione di analisi – e di
“Il Ponte” tra il 2007 e il 2016, offre dal punto di vista dell’etimologia
sintesi, perché non mancano all’interno del testo le soluzioni – non
una gran varietà di spunti di riflessione. Già in Platone e Aristotele il
sono perciò soltanto i nomi noti e nobili dei grandi personaggi della
kéramos è l’argilla, la terra per ceramica, e metonimicamente il vaso
cultura, Leopardi e Capitini su tutti, ma anche le pagine di giornale dalle
realizzato con lo stesso materiale. Il kerameikós è colui che lavora l’argilla
quali si affacciano le brutture e le storture che caratterizzano i nostri
cruda e dà vita così a oggetti di terracotta, tra cui vasi, piatti, brocche:
tempi, le conversazioni sempre meno pubbliche e più private, gli
oggetti comuni e quotidiani ma indispensabili. Per questo forse
schermi televisivi e cinematografici in cui si racconta un paese che a
l’oggetto kéramos assurge da semplice utensile domestico a supporto per
tratti si fatica a riconoscere come nostro.
le storie di dei ed eroi, le cui vicende sono narrate sulla superficie
Alcuni fili rossi attraversano la collezione di scritti, conferendo al
sensibile dell’argilla. Contenitore dalla forma preziosa, il kéramos accoglie
volume un’organicità forte e preziosa. Il principale è senza dubbio la
un contenuto altrettanto prezioso: il vino, frutto della trasformazione
riflessione lucida sul tecnicismo che Jasonni ravvisa nella società
dell’uva sacra al dio Bacco. L’orizzonte nel quale il kerameikós si muove
contemporanea e che opportunamente traduce in dilagante nichilismo.
non è dunque soltanto quello bidimensionale del quotidiano ma anche
Per utilizzare un’espressione di Aldo Capitini, quelli che oggi abbiamo di
quello, più alto, della conservazione dei riti e della celebrazione mitica
fronte sono mezzi tanto perfetti da far obliare i fini per i quali sono stati
delle azioni umane.
progettati. Questa è la causa del depauperamento di contenuti e valori
Questo stesso spirito anima le letture che incontriamo nel libro di
del dibattito pubblico, che del mezzo televisivo fa non il proprio
56
Libri in discussione
contenitore ma il proprio contenuto, oscillando fra un élitarismo
Enea nel governare gli eventi naturali senza per questo demonizzarli e
dimentico della propria storia e un colposo abbrutimento lessicale.
privarli della loro sublime bellezza. «L’uomo – scrive Jasonni – incide
L’importanza delle parole, delle “lettere” è ovunque sottolineata e
con le sue capacità e in forza delle tecniche di cui si avvale, sul mondo
richiamata a gran voce. Che cosa ne è stato – si chiede Jasonni con
che lo circonda: resiste […] ad avversità che sembrano fatte apposta per
Leopardi, Gadda e Montale – del suono della nostra lingua quando si
addestrarlo e costituiscono, quindi, occasione da non perdere». Lo
incontra col pensiero e dà vita al miracolo della parola, dono antico e
scoglio che l’eroe virgiliano incontra nella sua fuga da Didone può
grande? L’attenzione per il linguaggio non è un accademismo di maniera
essere visto come un ostacolo o come una sfida, un’occasione di
ma riluce al contrario quale piccolo piacere dimenticato, luminoso
crescita. Questa è la lezione che Kéramos mutua dal mondo classico e
antidoto a un analfabetismo che è in primo luogo culturale. La
letterario e di cui fa tesoro. Se sapremo far battere nel futuro nebuloso
letteratura viene anche in soccorso della deontologia, offrendo modelli
che ci attende il cuore antico che Carlo Levi gli attribuiva, ogni scoglio
da seguire di cui soprattutto nella scuola e nell’Università c’è un gran
sarà il punto di partenza per un nuovo viaggio, ogni radice l’ancora più
bisogno. In un mondo sempre più codificato e meno umano la lezione
salda per rafforzare il nostro sapere presente.
dei classici ci riporta a una dimensione in cui educazione non significa
EMMA NANETTI
matematizzazione del sapere ma autentica paidéia, percorso di crescita severo e amorevole, come lo definiva Concetto Marchesi e come Massimo Jasonni lo intende. Un lavoro intellettuale faticoso e paziente i
Massimo Jasonni, Kéramos. Scritti per Il ponte, Il Ponte Editore, Firenze
cui frutti non immediati ma duratori sono in primo luogo la
2016, pp. 330.
consapevolezza di sé e delle proprie responsabilità. Solo in questo modo si potrà ricucire lo strappo tra Università e cultura, rispettivamente un luogo e un’idea tra loro ormai pericolosamente distanti. Una fatica, quella intellettuale, che non pensiamo dissimile dal labor di
57
Quaderni della Ginestra
SCACCO ALLA MEMORIA. IL GDM E LA STAFFETTA DELLA TESTIMONIANZA
R
indesiderati e indesiderabili nell’avvicendamento generazionale. L’allarme di questo strascico è lanciato da Elena Loewenthal, scrittrice ebrea di terza generazione, in un libro del 2014, Contro il giorno
ileggere Primo Levi è utile non soltanto ogni 27 gennaio in
della memoria nel quale punta il dito sia verso l’istituzione di un giorno
commemorazione delle vittime dell’Olocausto, ma anche per
della memoria ormai svuotato di senso, sia verso un’inflazione
riprendere le fila della costruzione del dispositivo mnemonico che
memoriale strategica all’Europa che preferisce impiegare la memoria del
muove ogni discorso sulla Shoah dalla fine degli anni Quaranta ad oggi.
ricordo, quasi fosse un tributo agli ebrei caduti e una strizzata d’occhio a
Come avvertiva Levi «l’intera storia del reich millenario può essere
Israele, anziché assumersi la responsabilità di un crimine contro
riletta come una guerra contro la memoria» e il negazionismo latente alla
l’umanità e allenarsi a riconoscere le estreme conseguenze del razzismo
distruzione del Terzo Reich non è solo un suo ultimo riflesso, ma ne
e dell’estremismo così crescente negli ultimi decenni proprio nella stessa
costituisce il vero e proprio progetto fondamentale. Per questo motivo,
Europa.
l’esercizio costante della memoria è conditio sine qua non per riconoscere quel campanello d’allarme in tempo.
Le critiche che Loewenthal rivolge alla Giornata del ricordo sono ampiamente condivisibili, perché esso costituisce ormai un alibi per non
Risuona, in questo sfondo teorico, Deuteronomio 4,9 «ma guardati e
utilizzare un metodo scientifico nell’enucleare non solo gli eventi, ma
guardati bene dal dimenticare le cose che i tuoi occhi hanno visto: non ti
anche le dinamiche per disinnescare le violenze che invadono ancora
sfuggano dal cuore, per tutto il tempo della tua vita le insegnerai anche
oggi, a volte con trame simili, la contemporaneità. Il ricordo della
ai tuoi figli e ai figli dei tuoi figli», eppure il modo in cui la memoria si
Shoah, allora, è diventato una narrazione serena e unificante, una pax
esercita è importante quanto il tramandare il ricordo. Levi prefigurava,
aurea degli eventi del Novecento, che impedisce al 27 gennaio di
temendola, sia una memoria cristallizzata in una retorica sul passato, sia
assolvere il compito ad esso imputato, cioè essere il campanello
una memoria che allungasse le ombre dei sopravvissuti sui propri figli -
d’allarme di primoleviana memoria alla possibilità di un ritorno alla
e quindi sulla memoria di seconda generazione - lasciando strascichi
barbarie. Secondo questa logica, Auschwitz non si libera dall’essere
58
Libri in discussione
figura retorica, essendosi trasformata da metonimia del male assoluto
afflizione è la negazione di un accesso diretto alla memoria dei campi:
alla debolezza di una sineddoche abusata senza ritegno, e non ci si
come riferisce Spiegelman, la verità su Auschwitz fu quasi estorta
rassegna a sottoporlo ad un’analisi intellettuale dell’evento immerso
dall’autore di Maus al padre, e altri riferiscono quanto la consapevolezza
nella sua storicità.
dell’evento fosse costruito su memorie surrogate, da padri e madri
Al di là della giornata incriminata, nelle intenzioni di Loewenthal ci
testimoni putativi. La seconda afflizione è quasi l’ossessivo bisogno di
sarebbe una critica alla trasmissione intergenerazionale che è tutt’altro
ritrovare un legame con le radici della cultura e la lingua ebraiche - in
che pacificata, ma il limite di quest’opera, che pur ha il pregio di porre la
particolare l’yiddish - recise da una trasmissione di memoria abbozzata,
prima pietra nel mostrare la costruzione e la mistificazione del 27
intuita fra i non detti, silenzi e omissioni.
gennaio, è quello di rivolgere un j’accuse solo a quella data sul calendario -
I testimoni di terza generazione, schiera a cui Loewenthal appartiene,
data che le abbrevia, polemicamente, GdM (Giornata della Memoria).
sono stati mediaticamente bombardati dalle celebrazioni (dai piccoli riti
Per questo motivo, le conclusione a cui giunge sono iperboliche e
promossi dalle sedi ANPI e ANED locali, passando per i film e per la
inaccettabili: «[…] io rinnego la giornata della memoria […], non
letteratura,
riguarda la mia memoria».
maggiormente sugli ebrei il 27 gennaio) perché hanno vissuto da
fino
alla
monumentalità
del
ricordo
focalizzato
Indagare il modo intergenerazionale con cui si tramanda la memoria
protagonisti le estreme conseguenze della “pubblicità del testimone” del
sarebbe il vero scatto di reni perché consentirebbe di disinnescare con
1961 con il Processo Eichmann, e a loro tocca raccoglierne l’eredità. In
ancor più forza le aporie del 27 gennaio. Tre graphic novel - Maus di
questo senso, l’autrice sembra voler tornare indietro nel tempo
Spiegelman, Sono figlia dell’Olocausto di Eisenstein e La seconda generazione.
contrapponendo a questa logica sistemica il silenzio e l’oblio dei
Quello che non ho detto a mio padre di Kichka - hanno ben focalizzato i due
testimoni di prima generazione - e forse sarebbe meglio parlare di
problemi essenziali ed esistenziali che affliggono i figli dei sopravvissuti
discrezione testimoniale -, «superstiti della guerra e delle persecuzioni e
nel passaggio di staffetta nella marcia memoriale della Shoah - una
di Auschwitz» che «ricordavano loro malgrado e a loro modo: nel
staffetta che sempre più spesso assomiglia a una croce. La prima
silenzio. Nella paura. Negli incubi di notte. E di giorno, talvolta. Senza
59
Quaderni della Ginestra
parole». Infatti, all’ossessione del ricordo si oppone il «diritto al dimenticare», auspicio che dà anche il titolo all’ultimo capitolo dell’opera, che in ultima istanza combatte la retorica vuota del GdM che vuol far coincidere la consapevolezza del male con la repulsione del male, come chiosa amaramente l’autrice: «la cognizione del male non è un vaccino. “Ricordare perché non accada mai più” è una frase vuota. Se anche non dovesse accadere mai più, non sarà per merito della memoria, ma del caso».
SILVIA FERRARI Elena Loewenthal, Contro il giorno della memoria, ADD Editore, Torino 2014, pp. 93.
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