REDAZIONE
Direttori: Valeria Bizzari, Timothy Tambassi. Vicedirettore: Anna Maria Ricucci. Redazione: Valeria Bizzari, Antonio Freddi, Giulia Lasagni, Sandra Manzi-Manzi, Giacomo Miranda, Teresa Paciariello, Lavinia Pesci, Corrado Piroddi, Anna Maria Ricucci, Timothy Tambassi. Collaboratori esterni: Marco Anzalone, Simona Bertolini, Mara Fornari, Donatella Gorreta, Federica Gregoratto, Francesco Mazzoli, Giovanna Maria Pileci, Marina Savi, Cristina Travanini. Direttore responsabile: Ferruccio Andolfi.
SOMMARIO
Pierre Bourdieu: habitus collettivo e riconoscimento sociale di Corrado Piroddi......................................................................................................p. 6
‘Reciprocamente riconoscentesi’. Un argomento identitario per il multiculturalismo di Marta Boniardi .................................................................p. 17
Uniti da un senso comune? Il sensus communis e la collettività di Silvia Ferrari e Verbena Giambastiani................................................p. 29
Quale collettività? Risposte dall’ontologia sociale di Giulia Lasagni....................................................................................................................p. 41
Realtà della persona collettiva. Una proposta concettuale di Elisa Cacopardi.....................................................................................................p. 52
A (naive) view of conspiracy as collective action di M.R.X. Dentith...................................................................................................................p. 61
Intelligenza di gruppo e sistemi multi-agente di Francesco Consiglio................................................................................................................p. 72
IntersoggettivitĂ e delirio: Husserl e Binswanger di Daniela Bandiera................................................................................................................p. 86
Shared emotions and collective affective intentionality di Gerhard Thornhauser..............................................................................................p. 100
Bodily memory and joint action in music practice and therapy di Valeria Bizzari e Carlo Guareschi.............................................................p. 114
FILOSOFIA E COLLETTIVITÀ: PROSPETTIVE A CONFRONTO Nel nostro linguaggio quotidiano il termine “collettività” è impiegato in riferimento a una ricca varietà di contesti accumunati dal fatto di coinvolgere due o più individui insieme. Parliamo, infatti, di collettività intese come comunità religiose e culturali, di gruppi organizzati e associazioni, di pluralità unite da valori o scopi condivisi, di società intere. Indipendentemente dalle caratteristiche specifiche proprie di ogni situazione concreta, l’idea di collettività viene generalmente associata, in modo intuitivo, a gruppi di persone legate insieme da una storia vissuta, da un linguaggio, da un valore etico, da un interesse, da un obiettivo contingente. Rispecchiando la medesima ricchezza semantica, anche nel lessico filosofico il termine “collettività” può essere impiegato per individuare un gruppo politico, una minoranza religiosa o un ‘noi’ fenomenologico. Ognuna di queste accezioni, pur differenziandosi dalle altre per definizione e traduzione pratica, è volta a indicare un contesto sociale, nel quale due o più esseri umani siano considerati in rapporto l’uno all’altro, come parti di un tutto dotato di caratteristiche proprie, se non anche di identità “collettiva”. Alla luce di ciò, questo numero speciale dei Quaderni della Ginestra ospita contributi ispirati a prospettive filosofiche distinte che, partendo da interessi eterogenei, consentono di approfondire e arricchire l’ampia questione della collettività, del vivere e dell’agire insieme, nella condivisione di valori, sentimenti e progetti comuni. L’obiettivo del volume è quello di offrire un’occasione di confronto e dialogo intorno al tema della collettività, valorizzandone tanto la ricchezza semantica quanto la trasversalità del concetto in filosofia. Tale progetto editoriale nasce da un workshop su “Filosofia e Collettività: Prospettive a Confronto”, tenutosi presso l’Università di Parma in data 15 novembre 2017 e organizzato da dott.ssa Valeria Bizzari, dott.ssa Giulia Lasagni e dott. Timothy Tambassi, curatori del presente numero speciale. In particolare, gli interventi selezionati per il workshop si sono impegnati a esplorare diversi dibattiti filosofici contemporanei, al fine di mettere a fuoco la nozione di collettività adottata nelle tradizioni e nelle riflessioni degli autori di volta in volta considerati. Questi interventi, insieme agli articoli di alcuni giovani ricercatori internazionali, sono raccolti in questo volume e offrono un’interessante
panoramica sul tema della collettività tra filosofia politico-sociale, teoria critica, ontologia sociale e fenomenologia. Tra i temi trattati: 1. Filosofia politico-sociale e teoria critica: questioni di appartenenza/esclusione, riflessioni su riconoscimento/integrazione delle minoranze, prospettive per un’etica/morale collettiva, il tema del pluralismo nelle società contemporanee multiculturali; 2. Ontologia ed epistemologia sociale: analisi di concetti quali quello di gruppo agente, intenzionalità, azioni e credenze collettive, responsabilità di gruppo, sistemi agente e mente estesa; 3. Fenomenologia e interdisciplinarietà: la prospettiva fenomenologica sull’intenzionalità collettiva, il rapporto individuo-collettività, l’analisi fenomenologica di quelle psicopatologie che implicano un distacco dal consorzio intersoggettivo, gli aspetti affettivi e corporei della dimensione sociale. Uno speciale ringraziamento va al dipartimento DUSIC dell’Università di Parma, all’associazione La Ginestra e alla rivista La Società degli Individui per aver patrocinato l’iniziativa. Si ringraziano anche i professori Beatrice Centi, Ferruccio Andolfi, Mara Meletti e Italo Testa per il supporto, studenti e dottorandi per la partecipazione al workshop. Un particolare grazie va infine a Corrado Piroddi per l’impaginazione.
I curatori Valeria Bizzari (Università di Heidelberg) Giulia Lasagni (Università di Parma) Timothy Tambassi (ICUB, Università di Bucarest)
Quaderni della Ginestra
PIERRE BOURDIEU: HABITUS COLLETTIVO E RICONOSCIMENTO SOCIALE
L
grammatica e la sintassi di base, ma anche il modo corretto di articolare parole e suoni usando la mia lingua e le labbra. Tali abilità vengono attuate in modo istintivo e permettono una conversazione profittevole
o scopo delle seguenti pagine è discutere e reinterpretare la
tra i miei partner e me. Utilizzando l'idioletto di Bourdieu, possiamo
nozione di habitus, introdotta dal sociologo francese Pierre
affermare che una conversazione ragionevole in italiano è possibile se e
Bourdieu per illustrare le condizioni preriflessive a monte delle azioni
solo se i miei interlocutori e io stesso siamo dotati dell'appropriato
sociali degli esseri umani. A questo proposito, il mio contributo mira a
habitus linguistico, vale a dire dell'insieme delle proprietà disposizionali
trattare alcune specifiche questioni filosofiche e teoriche: cosa è un
fisiche e mentali che rendono possibile una tale pratica sociale. Questa
habitus? Perché è importante considerarlo quando affrontiamo il
idea di habitus è interessante in quanto sottolinea la natura istintiva e
problema dell’origine delle azioni sociali collettive e delle condizioni di
spontanea delle nostre attività sociali e, come vedremo, della
esistenza degli agenti collettivi? È possibile superare i suoi limiti
coordinazione sociale fra membri di uno stesso gruppo o classe.
concettuali? In quale modo?
Partendo da questi presupposti, la tesi che cercherò di sostenere nelle
Per quanto riguarda la ricerca sociologica, la nozione di «habitus»
prossime pagine è che la teoria del riconoscimento di Axel Honneth
costituisce una preziosa risorsa metodologica. Infatti, essa può aiutare i
può essere integrata nella prospettiva di Bourdieu. Da un alto, unire
teorici e gli scienziati sociali a spiegare come sia possibile, per gli esseri
queste due diverse teorie dell’azione sociale potrebbe permetterci di
umani, essere coinvolti contemporaneamente in molteplici pratiche
preservare il valore euristico delle intuizioni di Bourdieu dalle critiche
sociali senza una continua attività riflessiva. Ad esempio, per parlare in
concernenti la vaghezza del concetto stesso di «habitus». D’altro canto,
italiano con altre persone, impiego principalmente le mie capacità
tale ibridazione potrebbe aiutare a comprendere meglio in che maniera
riflessive per formulare frasi significative e seguire le ragioni del mio
l'habitus, in quanto struttura individuale, possa funzionare nei termini di
interlocutore. Tuttavia, per avere una comunicazione sociale di successo,
un senso comune preriflessivo in grado di produrre coordinamento
devo sapere come parlare italiano. Devo conoscere non solo la
all’interno di un gruppo sociale.
6
Filosofia e collettività
Nella prima parte chiarirò ciò che Bourdieu intende con il termine
un campo consiste in quelle norme, regole e leggi sociali oggettive ri-
«habitus» e come l'habitus funzioni in relazione alla dimensione della
spetto a cui gli individui tendono a conformare il loro comportamento
vita collettiva, illustrando due particolari criticità di cui soffre la
pratico. Con il termine «capitale», Bourdieu identifica una certa varietà
concezione originaria del sociologo francese. Nella seconda parte,
di risorse materiali: non solo merci e beni di consumo convertibili in
introdurrò la teoria sociale del riconoscimento di Axel Honneth,
denaro, ma anche titoli accademici, certificati di competenza tecnica,
spiegando entro che limiti sia coerente con il punto di vista di Bourdieu.
l’insieme delle relazioni sociali che definiscono lo status sociale degli in-
Nell'ultima parte, fornirò una ridefinizione del concetto di habitus in
dividui in un dato contesto. Le diverse forme di capitale determinano la
termini di habitus ricognitivo. Sotto questo rispetto, definirò l'habitus
posizione che un agente possiede in un campo specifico, che può essere
ricognitivo come un insieme di patterns percettivi e aspettative emotive la
economico, politico, religioso e via dicendo. In un passaggio canonico
cui funzione principale è attualizzare quei comportamenti sociali che
di Esquisse d'une théorie de la pratique, Pierre Bourdieu descrive l'habitus
consentano una qualche forma di reciproco riconoscimento tra gli
come
agenti sociali. In tal senso, il mio obiettivo è sostenere che un habitus ricognitivo garantisce la coesione di un certo gruppo o classe sociale
«un sistema di disposizioni durevoli e trasponibili che, integrando le espe-
attraverso la soddisfazione delle necessità di riconoscimento degli
rienze passate, funziona in ogni momento come una matrice di percezioni, ap-
individui che compongono quella particolare collettività.
prezzamenti e azioni e rende possibile il conseguimento di compiti infinitamente diversificati»1.
I. Operando nel contesto dello strutturalismo e di una tradizione sociologica di ascendenza marxiana, Pierre Bourdieu concepisce le azioni
Se la mia prospettiva su Bourdieu è corretta, possiamo affermare che,
sociali degli esseri umani non come risultato di scelte razionali indivi-
sul piano oggettivo, un campo sociale genera uno ‘spazio di possibilità’
duali, ma come il prodotto dell'interazione tra campi sociali, capitali e
di azione per gli agenti sociali; mentre il volume del capitale determina la
una struttura individuale denominata «habitus». In breve, per Bourdieu,
posizione (dominante o subordinata) che un agente occupa sul campo, e
7
Quaderni della Ginestra
quindi la quantità di potere che possiede e esercita in quel campo. Dal
condividono lo stesso habitus. In altre parole, il loro comportamento
lato individuale, l'habitus come «necessità sociale divenuta natura, tra-
collettivo in termini di gusti culturali, scelte politiche e attitudini sociali è
sformata in schemi motori e in reazioni corporee automatiche»2 funzio-
generalmente omogeneo in quanto l’habitus fa sì che percepiscano e
na come un GPS individuale. In altre parole, l’habitus orienta le nostre
reagiscano alle possibilità obiettive determinate dal loro habitat sociale
azioni in modo non riflessivo ma in armonia con i limiti oggettivi de-
nello stesso modo. Studiando le tendenze degli studenti francesi di
terminati da un capitale e un campo sociale particolari.
estrazione operaia verso il sistema educativo pubblico negli anni ’70 del
Il punto che vorrei sottolineare in questa presentazione è che Bour-
secolo scorso, Bourdieu affermava che
dieu concepisce l'habitus anche come una struttura collettiva che, in un dato campo, garantisce un coordinamento spontaneo ed intuitivo tra individui appartenenti allo stesso gruppo o classe sociale:
«le predisposizioni negative verso la scuola che comportano l'autoeliminazione di gran parte dei bambini delle classi e fasce di una classe più sfavorite culturalmente [...] devono essere intese come un’anticipazione, basata
«L'habitus è proprio questa legge immanente, lex insita, stabilita in ogni
sulla stima inconscia delle probabilità oggettive di successo posseduta dall'inte-
agente dalla sua prima educazione, che è la precondizione non solo per il
ra categoria delle sanzioni che la scuola obiettivamente riserva a quelle classi o
coordinamento delle pratiche ma anche per le pratiche di coordinamento, in
sezioni di classe prive di capitale culturale.» 4
quanto le correzioni e gli aggiustamenti che gli agenti stessi compiono consapevolmente presuppongono la loro padronanza di un codice comune»3.
Secondo una simile analisi, la propensione dei membri della classe lavoratrice ad abbandonare il percorso scolastico era una conseguenza del
Per Bourdieu, il fatto che i membri dello stesso gruppo o classe so-
loro habitus di classe. Quest’ultimo, in altre parole, li avrebbe spinti a
ciale abbiano gli stessi gusti (bere birra invece di vino, seguire il calcio al
scartare un obiettivo difficilmente raggiungibile in assenza di un adegua-
posto del cricket) o tendano a votare lo stesso partito (il partito sociali-
to capitale culturale, anche se le condizioni oggettive del campo in cui
sta invece che formazioni liberali) dipende in buona parte dal fatto che
agivano, il carattere pubblico del sistema scolastico ed educativo france-
8
Filosofia e collettività
se, avrebbe permesso loro, sulla carta, di perseguire un’istruzione supe-
determinata dalle aspettative di riconoscimento sociale che si erano svi-
riore. Siamo qui di fronte a quel fenomeno che Bourdieu definisce «iste-
luppate all’interno della classe lavoratrice stessa. Perseguire un'istruzione
resi dell’habitus»: si tratta della tendenza degli attori sociali di un dato
superiore non avrebbe permesso alcuna forma significativa di ricono-
gruppo o classe a conservare una certa forma di habitus, sviluppatosi in
scimento sociale tra i membri della classe operaia e, di conseguenza, un
un contesto sociale specifico, anche quando quello stesso habitus risulti
qualche beneficio in termini di benessere emotivo individuale. Ecco
inadatto ad operare in un nuovo scenario sociale, a seguito di un cam-
perché gli studenti provenienti dalle fila della classe operaia erano inclini
biamento che riguarda la conformazione di un campo o l’ammontare
a rinunciare ai loro studi superiori, anche se, in linea di principio, avreb-
del capitale che gli agenti possiedono5.
bero potuto trarre giovamento dai vantaggi oggettivi di un sistema edu-
Tuttavia, Bourdieu non approfondisce le dinamiche che producono il
cativo pubblico.
fenomeno dell’isteresi. Cosa fa sì che una struttura individuale ma so-
In secondo luogo, una tale reinterpretazione dell’habitus alla luce del
cialmente generata come l’habitus non subisca radicali trasformazioni al
paradigma del riconoscimento avrebbe un altro vantaggio, quello di far
mutare di quelle stesse condizioni che la hanno prodotta? La mia ipote-
luce sul funzionamento interno dell’habitus. Nella prospettiva di Bour-
si è che concettualizzare l'habitus in termini di un riconoscimento reci-
dieu, l’habitus è essenzialmente un concetto primitivo, un assunto me-
proco a livello intersoggettivo potrebbe aiutarci a superare tale debolez-
todologico che studiosi e scienziati sociali sono chiamati a rendere ope-
za. Tornando all'analisi di Bourdieu sull'atteggiamento degli allievi della
rativo nelle loro ricerche empiriche. Per questo motivo, l'habitus è stato
classe operaia: se assumiamo il punto di vista della teoria del riconosci-
spesso criticato alla stregua di una ‘black box notion’, un concetto insuffi-
mento, parrebbe possibile spiegare il fenomeno in questione in modo
ciente a far realmente luce sui meccanismi, operanti a livello individuale,
diverso. Infatti, si potrebbe sostenere che la tendenza degli studenti ap-
alla base delle nostre azioni sociali6. In altri termini, secondo chi avanza
partenenti alla classe lavoratrice a abbandonare l’educazione superiore
tale criticismo, Bourdieu non spiega come schemi percettivi, credenze e
(e, dunque, a non modificare il proprio habitus al netto del cambiamen-
aspettative incapsulate nell’habitus interagiscano fra loro riuscendo a
to delle condizioni oggettive di accesso all’educazione superiore) fosse
produrre forme di comportamento e condotte sociali collettivamente
9
Quaderni della Ginestra
condivise. Integrare la proposta originaria di Bourdieu con un punto di
«in chi riconosce si verifica un decentramento, perché il soggetto attribuisce
vista attento alle dinamiche del riconoscimento reciproco fra attori so-
alla controparte un valore dal quale emana una pretesa legittima che esautora il
ciali potrebbe gettare luce su una tale questione, permettendo di supera-
suo amor proprio. […] il lasciarsi obbligare di cui stiamo parlando corrisponde
re questa critica e conservare il valore euristico della nozione di «habi-
anche a una sorta di libera automotivazione: riconoscere il mio interlocutore, e
tus». II. In questa seconda parte dello scritto, intendo introdurre, in maniera generale, le idee fondamentali di quelle teorie dell’azione sociale che vedono nel riconoscimento reciproco la dinamica costitutiva della vita associata degli esseri umani. A tal proposito, farò principalmente riferimento al punto di vista elaborato sul tema da Axel Honneth. Secondo Honneth, il riconoscimento è un modo di interazione intersoggettiva che costituisce la base delle pratiche sociali umane: riconoscere qualcuno significa essere in grado di assumere la prospettiva dei nostri partner di interazione e considerarsi nel ruolo di destinatari sociali delle loro richieste e necessità, permettendo una cooperazione collettiva virtuosa all’interno delle comunità umane7. Detto altrimenti, alla luce del paradigma del riconoscimento, la nostra esistenza sociale è possibile nella misura in cui siamo capaci di agire non solo secondo valutazioni egocentriche o strumentali, ma anche in funzione dei bisogni e delle necessità dei nostri partner di interazione:
quindi investirlo di un’autorità morale nei miei riguardi, è tutt’uno con la risoluzione a trattarlo in modo conforme al suo valore.»8
Ciò significa che, nella dimensione sociale, le azioni degli esseri umani vanno considerate come reazione agli stati emotivi e alle aspettative dei loro partner di interazione. Contemporaneamente, Honneth afferma che una tale role-taking capacity è di fondamentale importanza anche per il raggiungimento di una completa autonomia e del benessere psicologico individuale. Sotto questo rispetto, gli individui imparano e interiorizzano i compiti e le regole sociali della propria comunità di appartenenza nella misura in cui queste ultime permettono loro di raggiungere una vita emozionale positiva e una completa autorealizzazione individuale. In linea con questo punto di vista, Honneth afferma che il bisogno di riconoscimento è un'importante forza motivazionale alla base delle azioni e alle interazioni umane sociali: «la riproduzione della vita sociale avviene sotto l’imperativo di un reciproco riconoscimento, poiché i soggetti possono giungere a una relazione pratica con 10
Filosofia e collettività
sé solo se imparano a concepirsi nella prospettiva normativa dei loro partner
ché, per Honneth, sussista un nesso piuttosto forte fra bisogno di rico-
nell’interazione, come i loro interlocutori sociali. […] quell’imperativo ancora-
noscimento e costituzione dei gruppi sociali:
to nel processo della vita sociale agisce come un obbligo normativo che costringe gli individui alla progressiva estensione del contenuto del riconoscimento reciproco, poiché solo così essi sono in gradi di dare espressione sociale alle aspirazioni sempre crescenti della loro soggettività.»9
«Con la scolarizzazione e più tardi, a maggior ragione, nella vita lavorativa, il numero delle persone dalla cui stima dipende il proprio sentimento di valore personale cresce notevolmente, ragion per cui […] aumenta anche il desiderio di ricevere forme concrete di approvazione e conferma. Il bisogno di sentire le
In conclusione, nella prospettiva di Honneth, i processi socializza-
proprie capacità apprezzate in una forma direttamente esperibile all’interno di
zione e individualizzazione dell’essere umano vanno di pari passo.
una cerchia di individui uniti da gusti e mentalità affini è oggi uno dei motivi
Quando comprendiamo la qualità delle relazioni sociali che creano le
principali, se non addirittura il motivo per cui si formano dei gruppi.»10
condizioni del nostro benessere personale, ci rendiamo conto, allo stesso tempo, che la reciprocità, la capacità di sostenere i nostri simili per
In questa sede, vorrei soffermarmi su altre due caratteristiche fon-
raggiungere gli stessi vantaggi che noi andiamo cercando, è la chiave di
damentali del riconoscimento intersoggettivo illustrate da Honneth: il
volta del nostro benessere. Da un lato, il comportamento sociale indivi-
suo carattere reattivo e la sua relazione con l'azione. Alla luce della pri-
duale e collettivo è sostanzialmente dipendente dalla dinamica della di-
ma caratteristica, riconoscere vuol dire reagire correttamente a quelle
mensione affettiva degli esseri umani e dalla loro capacità di assumere la
qualità positive che percepiamo nei soggetti con cui interagiamo. Sotto
prospettiva dei loro partner d’azione. Dall’altro, sia la coesione che il
questo rispetto, la percezione in gioco nei processi di riconoscimento
funzionamento di una società particolare sono sottoposti alla sua capa-
non coincide con una mera dinamica di identificazione oggettuale, come
cità di soddisfare le esigenze emotive degli individui, e in particolare il
quella che sta alla base degli atti di natura conoscitiva. Il riconoscimento
bisogno umano di riconoscimento. Stando così le cose, si capisce per-
è piuttosto espressione di una percezione normativamente colorata,
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Quaderni della Ginestra
«una percezione valutativa nella quale il valore che inerisce alle persone
li; il fine primario della mia azione, tuttavia, resta quello di giocare insieme a
è dato in modo “diretto”.»11
scacchi.»13
Di conseguenza, se ci concentriamo sulla seconda caratteristica, una forma di riconoscimento riuscita implica sempre, per Honneth,
In base a quanto detto sinora, fino a che punto l'idea di riconosci-
l’attualizzazione di atteggiamenti e comportamenti che testimoniano
mento di supportata da Honneth è coerente con la definizione di habi-
l'autenticità del processo riconoscitivo in atto12. Perché un processo di
tus di Bourdieu? Nella misura in cui sottolinea la funzione svolta dagli
riconoscimento avvenga autenticamente è necessario che, al netto di
effetti emozionali del riconoscimento in relazione al processo di ripro-
una percezione valutativa effettiva, chi riconosce attualizzi condotte e
duzione di un comportamento sociale specifico, l'approccio di Honneth
comportamenti che attestino concretamente il riconoscimento tributato
sembra porsi in continuità con quello di Bourdieu, secondo cui le azioni
a chi viene riconosciuto. Per esempio, una società che dice di riconosce-
sociali degli individui sono fondate sulla natura preriflessiva degli umani.
re la parità di diritti dei disabili non è realmente tale finché non attrezza i
Tuttavia, Bourdieu accetterebbe una eventuale reinterpretazione
suoi arredi urbani di scivoli per la mobilità degli interessati, o non im-
dell’habitus in termini di teoria del riconoscimento? Probabilmente sì,
pone alle aziende private delle quote di assunzione per lavoratori disabi-
dal momento che Bourdieu afferma che tanto la trasmissione quanto la
li. Sul piano del riconoscimento intersoggettivo fra esseri umani in carne
diffusione di un particolare habitus operino attraverso una socializza-
ed ossa, tale definizione di atto riconoscitivo:
zione mimetica che coinvolge il livello interpersonale e la sfera emotiva:
«esclude, per esempio, che si possano considerare come forme di ricono-
«Ciò che viene “appreso dal corpo” non è qualcosa che si ha, come la co-
scimento certi atteggiamenti positivi che però si accompagnano inevitabilmen-
noscenza che può essere brandita, ma qualcosa che è. [...] Non è mai staccato
te al perseguimento di altri interessi relazionali: il fatto che io desideri arden-
dal corpo che lo porta e può essere ricostituito solo per mezzo di una specie di
temente giocare spesso a scacchi con una certa persona, per esempio, è molto
ginnastica progettata per evocarla, una mimesi che, come osserva Platone, im-
probabilmente espressione di una particolare stima delle sue facoltà intellettua-
plica investimenti totali e un'identificazione emotiva profonda»14.
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Filosofia e collettività
In secondo luogo, Bourdieu ammette che il disinteresse e le azioni
risco di concepire l'habitus ricognitivo come un insieme di patterns per-
disinteressate, non legate cioè a nessun imperativo di massimizzazione
cettivi e aspettative emotive la cui funzione principale è attualizzare
razionale e strategica dell’utile di un agente, sono possibili da un punto
comportamenti sociali che consentano il reciproco riconoscimento tra
di vista sociologico nella misura in cui si verifica «l’incontro fra un
gli agenti sociali. Se guardiamo all'habitus ricognitivo come capacità di
habitus predisposto al disinteresse e gli universi in cui il disinteresse è
riconoscere adeguatamente i propri partner di interazione, l'adozione di
ricompensato.»15 Questo aspetto è fondamentale dal momento che,
un comportamento sociale particolare da parte di un agente x può esse-
come si è visto, per Honneth un’autentica forma di riconoscimento
re visto come un modo di reagire ai comportamenti e agli atteggiamenti
implica sempre l’attuazione di forme di trattamento e condotta che sono
dei suoi compagni in maniera appropriata e disinteressata. A questo
consone al valore percepito in un determinato partner d’interazione,
proposito, possiamo dire che un agente x possiede la disposizione a ri-
indipendentemente da considerazioni di tipo strumentale o egoistico da
conoscere qualcuno se x percepisce alcune proprietà salienti nel suo
parte del soggetto riconoscente.
partner y e agisce coerentemente con quelle proprietà, senza aspettarsi un ritorno in termini di vantaggi materiali e strategici. Consideriamo una
III. In questa ultima parte, proverò a tracciare i lineamenti generali di
società in cui la stima sociale sia legata al contributo che una persona of-
un’ipotetica forma di un habitus ricognitivo. Come abbiamo visto, da un
fre alla comunità di appartenenza. In questo caso, riconoscere un agente
lato, Bourdieu considera l'habitus come un sistema di proprietà disposi-
significa agire in un modo che testimonia la nostra autentica stima, ossia
zionali, che induce gli attori sociali ad adottare pre-riflessivamente com-
in maniera tale da esprimere la nostra gratitudine, se percepiamo che
portamenti coerenti con il loro ambiente sociale. Dall’altro lato, secondo
quell'agente sta lavorando attivamente per contribuire al nostro benesse-
Honneth, le azioni sociali possono essere considerate come condotte
re materiale e spirituale, a prescindere dai risultati concreti che è in gra-
che attestano il fatto che un agente x percepisce certe qualità salienti nei
do di ottenere.
suoi partner d’interazione e mira a soddisfare intenzionalmente certe
Se consideriamo l’habitus ricognitivo come capacità di essere ricono-
aspettative e bisogni degli stessi. Alla luce questo quadro teorico, sugge-
sciuti, l'attuazione di forme specifiche di comportamento da parte di un
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Quaderni della Ginestra
agente x è funzionale al raggiungimento del riconoscimento sociale da
del vino durante il tempo libero, o votare un partito piuttosto che un al-
parte di altri agenti sociali. In questo caso, possiamo dire che la disposi-
tro, possono essere considerati segnali empiricamente rilevanti atti a fa-
zione di x a essere riconosciuto può essere attualizzata date le seguenti
vorire il reciproco riconoscimento tra gli agenti sociali che appartengo-
condizioni. In primo luogo, x deve avere alcune aspettative verso le rea-
no allo stesso gruppo. In questo senso, tali azioni potrebbero rafforzare
zioni dei suoi partner in relazione a un suo comportamento specifico. In
la coesione del gruppo e soddisfare contemporaneamente le esigenze
secondo luogo, x deve considerare rilevante per la propria auto-
individuali di integrazione sociale. Al contrario, attuare azioni che sono
relazione e il proprio benessere psicologico il riconoscimento di quegli
estranee a una specifica dimensione sociale potrebbe significare, per il
stessi partner. In altre parole, se x vuole essere riconosciuto, x dovrebbe
soggetto agente, mettersi in una condizione controproducente in vista
sapere come agire per attivare la disposizione riconoscitiva di altri agenti
del perseguimento di una positiva autorelazione: una situazione in cui il
che operano nel suo stesso campo. Seguendo l'esempio riportato nel pa-
riconoscimento può fallire. A questo proposito è dunque importante
ragrafo precedente, la disposizione a esser stimati è attualizzata da x se x
notare come le emozioni legate alle esperienze soggettive di riconosci-
contribuisce in modo effettivo al benessere sociale dei suoi partner di
mento e misconoscimento sociale siano fondamentali per spiegare
interazione, coerentemente con le loro aspettative. Così facendo, x crea
l’adozione e la ripetizione di una particolare condotta sociale. Nella mi-
le condizioni per essere stimato e apprezzato dai i suoi partner per i suoi
sura in cui l'habitus ricognitivo consente il reciproco riconoscimento, e
sforzi e risultati materiali.
produce azioni atte a soddisfare le esigenze emotive di singoli esseri
Questo resoconto dell’habitus in termini di riconoscimento non solo cerca di descrivere il funzionamento interno dell'habitus stesso, evitan-
umani, garantisce il coordinamento di gruppo o classe tra agenti che appartengono allo stesso ambiente sociale.
do la vaghezza della concezione originale di Bourdieu. Sembra anche in
Una forte obiezione a questo embrionale modello di habitus ricogni-
grado di chiarire in quale modo l'habitus come un senso comune collet-
tivo potrebbe essere la seguente: se l’habitus è una struttura corporea e
tivo possa garantire il coordinamento interno dei gruppi e delle classi
individuale che permette agli agenti sociali di agire conformemente al
sociali. Dal punto di vista che ho cercato di delineare, bere birra al posto
loro habitat sociale in maniera preriflessiva e pre-intenzionale, come
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Filosofia e collettività
può essere compatibile con una concezione di riconoscimento reciproco secondo cui l’attuazione di atti di riconoscimento autentici poggia sull’intenzionalità degli agenti che riconoscono?16 Una possibile risposta a tale domanda potrebbe questa: il vincolo di intenzionalità posto da Honneth per determinare le forme di riconoscimento autentico è eccessivamente ristretto. Infatti, certe forme di sincero riconoscimento interpersonale non paiono essere istanziate da atti intenzionali. Una persona innamorata che arrossisce a seguito di un gesto affettuoso del partner non agisce intenzionalmente, ma dimostra comunque in maniera evidente di riconoscere la persona amata come meritevole e degna del suo amore. In altre parole, l’agente che arrossisce ha una certa disposizione a riconoscere come una persona amata chi la fa sentire tale, e conferma l’autenticità di tale attitudine anche in maniera non intenzionale. Sotto questo rispetto, l’habitus ricognitivo aiuterebbe a rendere conto di forme di riconoscimento che, pur essendo autentiche, non dipendono integralmente dall’intenzionalità degli agenti coinvolti.17 CORRADO PIRODDI
Ringrazio i colleghi del Dipartimento di Scienze Sociali e Filosofia dell’Università di Jyväskylä per i commenti e i consigli che ho ricevuto durante la stesura di questo lavoro. Lo scritto è stato realizzato in seno al progetto “Philosophy and Politics of
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Recognition”, finanziato dalla Finnish Cultural Foundation. 1 P. Bourdieu, Esquisse d'une théorie de la pratique précédé de Trois études d'ethnologie kabyle, Genève, Droz, 1972, p. 54. 2 P. Bourdieu, Le sens pratique, Minuit, Paris 1980, p. 127. 3 Ivi, p. 81. 4 P. Bourdieu, “Cultural Reproduction and Social Reproduction”, in Power and Ideology in Education, OUP, Oxford 1977, p. 495. 5 Cfr. P. Bourdieu, La distinction. Critique sociale du jugement, Minuit, Paris 1979, p. 146. 6 Per questo genere di critica vedi S. Akram, “Fully unconscious and prone to habit: The characteristics of agency in the structure and agency dialectic”, in Journal for the Theory of Social Behaviour, 2013, 43(1), pp. 57-59; M. Burawoy, “The Roots of Domination: Beyond Bourdieu and Gramsci”, in Sociology, 2012, 46(2), p. 204. 7 Per una più precisa disamina del modello antropologico all’origine della teoria del riconoscimento di Honneth e l’idea di role-taking capacity cfr. A. Honneth, H. Joas, Soziales Handeln und Menschliche Natur.Anthropologische Grundlagen der Sozialwissenschaft, Campus Verlag GmbH, Frankfurt/M. 1980, trad. ingl. a cura di R. Meyer, Social Action and Human Nature, Cambridge University Press, Cambridge 1988, pp. 48-70. 8 A. Honneth, “Invisibilità”, in La libertà negli altri. Saggi di filosofia sociale, a cura di B. Carnevali, Il Mulino, Bologna 2017, p.134. 9 A. Honneth, Der Kampf um Anerkennung. Zur moralischen Grammatik sozialer Konflikte, Suhrkamp, Frankfurt/M. 1992, trad. it. a cura di C. Sandrelli, Lotta per il riconoscimento. La grammatica morale dei conflitti sociali, Il Saggiatore, Milano 2002, pp. 114-115. Sullo stesso tema cfr. anche A. Honneth, “Love and Morality. On the Moral Content of Emotional Ties”, in Disrespect. The Normative Foundations of Critical Theory, Cambridge, Polity Press, 2007. 10 A. Honneth, “L’Io nel Noi”, in La libertà negli altri, op. cit., p. 170-171. 11 A. Honneth, “Invisibilità”, in La libertà negli altri, op. cit., p. 138. 12 Queste due caratteristiche del processo di riconoscimento sono presentate in A. Honneth, “Recognition as ideology”, in Recognition and power: Axel Honneth and the tradition of critical social theory, a cura di B. van de Brink, D. Owen, Cambridge University Press, Cambridge 2007, p. 329-330. 13 Ivi, p. 330. 14 P. Bourdieu, Le sens pratique, op. cit., p. 123. 15 P. Bourdieu, “Un acte désinteressé est-il possible?”, in Raisons pratiques, Seuil, Paris 1994, p. 164.
Quaderni della Ginestra
Ringrazio Italo Testa per aver avanzato questa osservazione. Tale limite del vincolo di intenzionalità posto da Honneth è stato evidenziato da Heikki Ikäheimo e Arto Laitinen in “Analyzing Recognition: Identification, Acknowledgement and Recognitive Attitudes Towards Persons”, in Recognition and Power, op. cit., p. 52. Sotto questo rispetto, si può affermare che il modello di habitus ricognitivo descritto in queste pagine è fortemente ispirato alla caratterizzazione che Ikäheimo e Laitinen hanno fornito dell’idea di «recognitive attitudes» nell’articolo ivi citato. 16 17
16
Filosofia e collettività
‘RECIPROCAMENTE RICONOSCENTESI’. UN ARGOMENTO IDENTITARIO PER IL MULTICULTURALISMO
O
per dinamiche di tipo identitario, a mal giustificate preoccupazioni di natura economica, a una generica e fin troppo umana paura di ciò che non si conosce. La conseguenza, però, è una sola: il rifiuto a priori degli
gni società del mondo contemporaneo è una società plurale:
stranieri da parte della comunità in cui vivono, e la loro condanna a
questo è ormai un dato di fatto non ignorabile né reversibile, e
un’esistenza reificata e invisibile.
il tentativo di metterlo in discussione, oltre che anacronistico, non può
Per sottrarvisi, è loro necessario un processo di legittimazione legale
che rivelarsi fallimentare. Più utile è invece analizzare come la condivi-
e sociale: se nel primo caso il percorso, per quanto impervio, è normato
sione di uno stesso scenario sociale e politico da parte di diversi gruppi
e garantito dallo Stato, nel secondo spesso comporta l’omologazione,
etnici e culturali prenda forma in un determinato contesto, in particolare
l’abbandono della propria differenza, la rinuncia alla propria identità, in
se da tale analisi può emergere una riflessione su come sia opportuno
un processo di ‘sbiancamento’ descritto già mezzo secolo fa da Franz
che la collettività cerchi di darle forma in futuro.
Fanon, secondo cui il ‘nero’ (ma il suo discorso si può ampliare oggi a
Come in gran parte dell’Occidente liberale, lo scenario migratorio eu-
chiunque non appartenga alla comunità originaria) «è apprezzato a se-
ropeo è caratterizzato dalla compresenza di due forze oppositive, che
conda del suo grado di assimilazione»2, e l’adozione di un comporta-
contribuiscono a delinearne l’aspetto ‘schizofrenico’: se da una parte i
mento occidentale è vista con benevola approvazione dal gruppo domi-
confini porosi del sistema di produzione capitalistico richiamano forza-
nante. Nonostante ciò, però, il processo di ‘sbiancamento’ è già per Fa-
lavoro a basso costo, al contempo questo stesso sistema ne ostacola la
non drammaticamente destinato a fallire, dal momento che lui stesso,
legittimazione sociale e legale, che nell’Occidente dei diritti ne preclude-
citando Burns, ammette che l’adozione di comportamenti assimilati non
rebbe lo sfruttamento intensivo1. All’opposizione strutturale della pro-
sarà mai sufficiente per rendere parte integrante della comunità, poiché
duzione nei confronti della legittimazione della forza lavoro migrante si
«il colore è [...] il segno esteriore meglio visibile della razza, il criterio in
affianca l’ostilità manifesta di alcune componenti sovrastrutturali della
base al quale si giudicano gli uomini», un criterio che rende per tutta la
società. Questa prende le forme più disparate: dal rinnovato interesse
vita portatori di differenza, e meritevoli di sospetto.
17
Quaderni della Ginestra
Date queste premesse, lo ‘shock culturale’, reciprocamente percepito dai due poli del supposto scontro, con le sue premesse di diffidenza e
scontro di civiltà, questo sarebbe frutto esclusivo di una profezia autoavverante, secondo dinamiche che saranno analizzate in seguito.
ostilità reciproca e aprioristica, sembra destinato a condurre a uno scon-
L’obiettivo di questo scritto è di proporre un argomento a sostegno
tro di civiltà. Si tratta in realtà di un caso esemplare di ‘panico morale’,
di un diverso modello di coabitazione, quello multiculturale5, che scon-
definito da Z. Baumann come il timore diffuso che un male minacci il
giuri il verificarsi di questa profezia infausta. Tale argomento non avrà
benessere della società3. In realtà, nel contesto attuale, l’idea di una colli-
carattere prettamente morale ma politico, e presupporrà il mantenimen-
sione ‘scioccante’ tra identità rigide e incommensurabili è l’eccezione, e
to del concetto di identità culturale6, troppo spesso abbandonato nella
non la regola, dell’incontro culturale: in un mondo di interazioni costan-
riflessione contemporanea in virtù dell’uso quantomeno ambiguo che se
ti e crescente globalizzazione, le possibilità di contatto si sono moltipli-
ne è fatto nel dibattito contemporaneo. Pur intendendo giungere a una
cate,
conclusione di respiro collettivo, il punto di partenza sarà l’analisi dell’incontro culturale in una focalizzazione individuale; per questo, gli
«dando origine a dinamiche simboliche peculiari e a fenomeni di appropria-
strumenti cui si farà riferimento, accanto a quelli offerti dalla tradizione
zione, di prestito o di penetrazione linguistica spesso imprevisti, tanto nelle
filosofica e antropologica, includeranno anche modelli autenticamente
nostre società quanto in quelle che occupano le cosiddette periferie del mon-
psicologici, in particolare tratti dalle riflessioni della scuola esistenziali-
do»4.
sta-fenomenologica e dagli studi sulla psicologia dell’acculturazione.
Per questo, nel contatto tra persone o gruppi apparentemente lontani, la distanza culturale, pur inevitabilmente esistente, potrebbe avere meno
1. Modelli di coabitazione
rilevanza di altre differenze, quali l’istruzione, la classe sociale,
La psicologia dell’acculturazione è la disciplina che per eccellenza si
l’esperienza biografica. Se in tale contesto, dunque, si verificasse uno
occupa di analizzare le modalità e le variabili in gioco in ogni incontro
18
Filosofia e collettività
culturale. Con “acculturazione” si fa riferimento ai fenomeni che si veri-
empiricamente verificate, cambiamenti in varia misura necessari, riguar-
ficano quando gruppi o
danti l’identità fisica, biologica, politica, economica e linguistica del sog-
individui di diverse culture vengono in contatto diretto e costante, de-
getto individuale o collettivo.
terminando cambiamenti nell’identità di entrambi, anche se spesso in
La modalità, l’entità e la direzione di questi cambiamenti sono in par-
modo asimmetrico. Una fondamentale precisazione: nessun giudizio di
te oggetto di un controllo da parte di entrambi i poli del contatto, se-
valore né normativo è sotteso al processo acculturativo, come suggeri-
condo la fortunata schematizzazione offerta da J. Berry, e qui presentata
sce la reciprocità del fenomeno, che ne nega il carattere di lineare evolu-
in tabella7.
zione teleologica; i suddetti cambiamenti non sono che reazioni 2222222 Identità culturale Interazione con aloriginaria
Deliberatamente
tri gruppi culturali
Accettato o ricercato
Modalità acculturati-
Modalità acculturati-
va adottata dal sog-
va incentivata dal
getto
gruppo dominante
Assimilazione
Melting pot
non mantenuta Mantenuta e valo-
Rifiutato
Separazione
Segregazione
Integrazione
Multiculturalismo
rizzata Mantenuta e valo- Accettato o ricercato rizzata
19
Quaderni della Ginestra
Nel dibattito contemporaneo, che – almeno a livello accademico – ri-
La prima ammette l’ipotesi che uno scenario multiculturale possa es-
fiuta a priori il modello segregazionista, la riflessione sulle modalità di
sere una minaccia per l’identità collettiva europea, per i suoi valori e le
società plurale che la collettività deve incentivare vede aperto un dibatti-
sue tradizioni, ma rinnega l’imposizione di questi ultimi, l’assimilazione
to tra le alternative del melting pot (assimilazione) e del multiculturalismo
forzata e l’ostilità in essa connaturata in quanto moralmente inaccettabili
(integrazione). Nel melting pot, la diversità etnica è quanto più possibile
e razionalmente non giustificabili. La seconda, più diffusa, rifiuta l’idea
armonizzata: il soggetto è libero di mantenere la propria differenza, cu-
stessa di identità collettiva come quella di identità culturale, facendo
stodendola però in ambito privato, e dismettendo tali vesti al di fuori di
propria la lezione schmittiana e denunciandone quindi la natura esclusi-
questa dimensione. In un contesto multiculturale, invece, l’individuo è
vamente reattiva, responsabile di aver posto la differenza e il pregiudizio
invitato, se e nelle modalità in cui lo desidera, a essere parte integrante
laddove avrebbe dovuto regnare il riconoscimento dialogico dell’eguale.
della collettività proprio in quanto membro di un gruppo etnoculturale.
Ritengo che la tesi dell’identità culturale come flatus vocis, in Italia soste-
Nell’Occidente liberale, diverse voci si sono levate contro il modello
nuta in primis da F. Remotti9, pecchi di una concezione di identità collet-
assimilativo, in particolare laddove imposto, poiché accusato – per mo-
tiva appiattita sull’idea di ‘identitarietà’ e confusa con le sue implicazioni
tivi che in seguito saranno analizzati – di non fornire basi stabili alla so-
sociali e politiche, mentre, in sé, essa non è che uno tra gli elementi che
cietà plurale, minandone le possibilità di convivenza, tanto da essere de-
contribuiscono, nella sua declinazione individuale, a costituire l’identità
finito da Berry “a pressure cooker”8, una pentola a pressione pronta a
personale del soggetto. Tale funzione dell’identità culturale sarà appro-
esplodere. I suoi sostenitori sono accusati di predicare, nel nome della
fondita e giustificata nel corso dell’argomentazione: ciò che è qui fon-
difesa dell’Identità culturale collettiva, proprio lo ‘sbiancamento’ denun-
damentale stabilire è che essa è qui considerata uno strumento fonda-
ciato da Fanon, e l’annullamento aprioristico della differenza di cui il
mentale per l’interpretazione simbolica del mondo, cui dunque non è
soggetto è portatore. Il rifiuto del melting pot e il sostegno del modello
pensabile rinunciare.
multiculturale è solitamente riconducibile a una tra queste due argomentazioni.
Al contrario, l’obiettivo di questo scritto è di proporre una terza posizione, che offra ragioni non morali per il riconoscimento collettivo
20
Filosofia e collettività
della differenza culturale e per l’adozione di una strategia di coabitazio-
continuo lavorio atto a orientarsi nell’“alterità”, tutto ciò che è esterno
ne multiculturale. Tali ragioni non solo non rinunciano al concetto di
al sé del soggetto, a rielaborarla creando in essa un senso e un ordine
identità culturale collettiva, ma, in modo apparentemente paradossale,
che ne consentano la manipolazione simbolica e che favoriscano
hanno addirittura tra i propri obiettivi la sua preservazione.
un’interazione dialogica con essa. Quest’alterità può essere interna al soggetto – costituita quindi dall’insieme dei suoi bisogni, desideri, abitu-
2. La questione identitaria
dini irriflesse e pulsioni in continua interazione – o esterna, nella resi-
Secondo la psicologia dell’acculturazione, a causa di cambiamenti
stenza che il mondo oppone all’io, nella resistenzialità stimolante degli
nello stile di vita, nell’ambiente e nelle abitudini quotidiane, il soggetto
eventi e delle persone che costellano l’esistenza, che possono determi-
deve – per una necessità non morale né normativa, ma empirica – ride-
nare conflitti tra la coscienza privata del soggetto e i costumi sociali
finire la propria identità.
dell’ambiente in cui vive, tra desiderio e realtà, tra natura e cultura, tra i
È a questo punto doverosa una distinzione: con il termine identità
propri valori e quelli di un altro soggetto e così via. Una simile attività
non si fa qui riferimento al concetto politico – tipico, ad esempio,
ordinatrice viene svolta con strumenti che non sono culturalmente de-
dell’ambito delle identity politics –, ovvero gli elementi che accomunano
terminati, e sono fortemente influenzati anche da molti altri fattori, quali
un gruppo sociale che non si riconosce in quello dominante; né, d’altra
le relazioni personali, l’istruzione, la lingua parlata, la classe sociale, la
parte, si fa riferimento esclusivamente alla sua declinazione culturale.
religione, l’orientamento sessuale e, ovviamente, le scelte personali e il
Con identità, in questo caso, si intende l’identità personale, in senso
carattere del soggetto. Ammesso ciò, sarebbe ingenuo non riconoscere
ampio psicologica, dell’individuo, le condizioni trascendentali della sua
che anche la cultura ha un ruolo in questo processo: numerosi elementi
singolare esperienza, che certo ne comprendono anche l’identità cultura-
compresi nel concetto di alterità mutano a seconda del contesto in cui
le, ma in nessun modo sono riducibili a quest’ultima. Secondo un mo-
sono collocati, e forse anche per questo, come afferma Beneduce, «ogni
dello classico della psichiatria fenomenologico-esistenzialista, qui espo-
società offre ai propri membri particolari matrici di senso e di simboliz-
sto con i termini di G. Stanghellini10, la vita psichica consiste infatti nel
zazione»11, con cui essi si relazionino al proprio specifico contesto.
21
Quaderni della Ginestra
Da ciò deriva la necessità empirica di riformulare la propria identità:
identità e del proprio universo simbolico pur vivendo all’interno di un milieu
nel momento in cui cambia l’alterità con cui il soggetto si deve relazio-
linguistico culturale ed affettivo diverso, decisamente contraddittorio e spesso
nare, anche l’identità psichica di quest’ultimo deve cambiare per consen-
conflittuale con quello originario. [...] Il nucleo profondo dell’identità si può
tirgliene la manipolazione. Questo, naturalmente, non ne implica
allora disorganizzare diventare disarmonico»12.
l’abbandono, ma la riformulazione, l’adattamento e la traduzione. Il parallelismo con la traduzione è particolarmente fruttuoso: parlare una lin-
Lo stesso processo di adattamento, poi, può risultare destabilizzante,
gua differente non significa cambiare il contenuto fondante della comu-
dal momento che, nei termini di T. Nathan13, il soggetto deve ricostruire
nicazione, ma renderlo adatto a uno specifico contesto, in cui gli uditori
come singolo ciò che normalmente richiederebbe il lavoro di un’intera
non potrebbero comprendere la formulazione originaria. Non solo:
società, e di diverse generazioni.
esprimere lo stesso messaggio in una lingua differente offre la possibilità
Nel campo della psicologia dell’acculturazione, invece, il modello
di vederlo sotto una nuova luce, pensarlo in maniera nuova, soppesare il
teorico più diffuso per descrivere l’incontro interculturale è quello dello
valore di ogni termine scelto per esprimerlo – il che può condurre a
“stress and coping”, secondo cui a un primo shock culturale (causato da
modificarlo del tutto o in parte, ma anche ad aderirvi con maggiore co-
inevitabili difficoltà a orientarsi in un mondo di stimoli prima ignoti),
scienza.
segue un periodo di “stress acculturativo”, la cui durata e intensità varia
Il processo di ridefinizione identitaria è dapprima postulato e poi
in base a diversi fattori, come la condizione pre-migratoria, la distanza
analizzato nelle sue forme e modalità sia dall’antropologia che dalla psi-
culturale, le motivazioni dell’incontro, le prospettive future, gli ostacoli
cologia dell’acculturazione. Secondo le parole di Beneduce:
linguistici e il comportamento della collettività dominante14. Bisogna inoltre considerare che lo scenario descritto dalle due disci-
«L’emigrazione comporta sempre una frattura [...], che può disorganizzare
pline è spesso aggravato dalla presenza di un elemento traumatico: in
equilibri e compromessi realizzati spesso faticosamente nel corso degli anni.
particolare i rifugiati, ma anche alcuni migranti ‘economici’ giunti ille-
L’individuo cerca di conservare immodificato il nucleo profondo della propria
galmente in Europa, sono spesso stati vittime di tortura nell’ambiente
22
Filosofia e collettività
pre-migratorio o nel corso del viaggio: secondo l’Oxford Companion to In-
un’interazione reciproca, per i più dialogica, tra individui, grazie a cui
ternational Criminal Justice15 questa pratica, nel mondo contemporaneo, ha
entrambi si attribuiscono vicendevolmente lo statuto di "Persona". Di
prevalentemente la finalità di distruggere il credo e le convinzioni della
questa linea di pensiero, che annovera autori di contesto e area di inte-
vittima per privarla della struttura di identità che la definisce come per-
resse svariati, da G. H. Mead a C. Taylor a P. Ricoeur, si può individuare
sona. Anche qui, dunque, è teorizzata la necessità di una riformulazione
l’origine nella Fenomenologia dello spirito16 di G. W. F. Hegel. Sebbene la
identitaria, che non deriva però da inadeguatezza epistemologica, ma da
sua riflessione sul riconoscimento come prerequisito dell’autocoscienza
un programmatico annullamento che non di rado, purtroppo, mette a
si collocasse in ambito esclusivamente teoretico, a partire da essa i suoi
repentaglio le possibilità di una sua ricostruzione autonoma.
successori hanno identificato alcune caratteristiche paradigmatiche del processo di riconoscimento, ritenute tuttora un riferimento obbligato
3.
Il ruolo del riconoscimento
per chiunque ne tratti.
Come avviene, dunque, il processo di ricostruzione? Si adotta qui
Probabilmente per questo motivo, F. Fanon, autore cui di seguito si
l’ipotesi che in ambito identitario la ri-formulazione segua un andamen-
farà particolare riferimento (lo psichiatra e filosofo martinicano fu infat-
to analogo alla formazione, ovvero che genesi e ri-genesi del sé necessi-
ti il primo a declinare il modello hegeliano sulla tematica dell’incontro
tino di condizioni e processi simili e comparabili. Proprio per questo, la
etnico) apre le proprie considerazioni sul riconoscimento con una frase
prima costituirà il punto di partenza dell’indagine.
tratta dall’opera sopra citata: «L’autocoscienza è in sé e per sé solo
Le teorie che riguardano la genesi sociale dell’identità personale, ov-
quando e in quanto è in sé e per sé per un’altra autocoscienza, cioè solo
vero l’idea per cui il sé sia frutto di un’attività relazionale, hanno una
in quanto è qualcosa di riconosciuto»17. Il confronto con Hegel è conti-
tradizione lunga, la cui origine può essere collocata nel superamento del-
nuo e esplicito in Pelle nera, maschere bianche, uno dei lavori più famosi di
la centralità monologica del soggetto che aveva caratterizzato buona
Fanon, interamente dedicato al rapporto ‘tra le razze’. L’elemento che
parte del pensiero moderno. L’attività relazionale da cui l’identità prende
del modello hegeliano sta più a cuore all’autore è la necessaria reciproci-
forma è da molti identificata nel riconoscimento intersoggettivo:
tà del riconoscimento, tale per cui «un’attività unilaterale sarebbe inutile,
23
Quaderni della Ginestra
perché ciò che dovrebbe accadere può realizzarsi solo mediante il fare
poli dell’incontro sono forme di coscienza che non si sono ancora espo-
identico di entrambe, [...] [in cui] si riconoscono come reciprocamente
ste l’una all’altra nella forma del puro essere-per-sé. Per mostrarsi tali,
riconoscentisi»18. Se l’unico modo di evadere dall’oggettualità di
devono dimostrare di non essere attaccate ad alcuna specifica esistenza
un’esistenza reificata e di essere pienamente Soggetto è essere ricono-
determinata, ovvero di non essere legate alla vita, sfidandosi in una lotta
sciuto come tale – come autocoscienza –, allora colui che spezza il cir-
che minacci l’esistenza corporea di entrambi. Nella Fenomenologia dello spi-
cuito mantiene l’altro all’interno di sé, non solo impedendogli l’essere
rito, l’esito di questa lotta determina i ruoli del rapporto di servitù. Come
per un tu, ma persino l’essere per sé.
è risaputo, in seguito, anche il servo diverrà autocoscienza: questo però
Il contesto coloniale e la militanza politica di Fanon lo portano a fare del discorso hegeliano una vera e propria rivendicazione politica, storicizzata e vissuta in prima persona:
non avverrà tramite una seconda lotta, ma attraverso la relazione instaurata tra questi e le cose tramite il lavoro. Fanon consapevolmente fonde questi due diversi momenti, affermando che il riconoscimento del nero (il servo) da parte del bianco (il
«Incontrando l’opposizione dell’altro, la coscienza di sé fa l’esperienza del Desiderio; prima tappa sul cammino che conduce alla dignità dello spirito. [...]. Io chiedo che mi si consideri a partire dal mio Desiderio. Non sono solamente qui-ora, rinchiuso nella mia coseità. Sono per altrove e per altra cosa [...] in quanto perseguo altro rispetto alla vita, in quanto lotto per la nascita di un mondo umano, ovvero un mondo di riconoscimenti reciproci»19.
padrone) non potrà avvenire a meno di una violenta presa di posizione del primo, che dovrà di nuovo mettere a rischio la propria vita e strappare il riconoscimento del proprio essere soggetto combattendo il padrone. La ragione di questo allontanamento dalla lezione hegeliana è spiegata in una nota: «Per Hegel vi è reciprocità, qui il padrone se ne frega della coscienza del servo. Non reclama il riconoscimento di
La volontà di calare nella storia le parole di Hegel induce Fanon, sul-
quest’ultimo, ma il suo lavoro»20. L’uomo bianco, la razza bianca, la so-
la scia di Marx, a sottolineare gli elementi di violenta opposizionalità che
cietà bianca ridono del riconoscimento del nero, poiché essi sono già
le pervadono. Nella Dialettica servo-padrone, prima del riconoscimento, i
l’emblema dell’autocoscienza raggiunta, dell’essere-per-sé.
24
Filosofia e collettività
Ritengo che questa presa di posizione sia troppo connessa al contesto storico e politico dell’opera di Fanon: nelle società contemporanee,
terpretazione della nuova alterità. Le parole di Beneduce sono qui notevolmente chiarificatrici:
ciò di cui più la comunità necessita è proprio di essere riconosciuta dal soggetto che gli sta di fronte, dal proprio Altro-culturale. La dimostra-
«In situazioni nelle quali è già difficile attingere alle forze della coesione
zione di questa esigenza è fondata proprio sulla principale caratteristica
rappresentate dalla tradizione, le istituzioni finiscono col produrre interventi la
attribuita da Hegel al riconoscimento agli occhi di Fanon, la sua neces-
cui logica sembra essere rivolta proprio a cancellare le differenze culturali, ov-
saria reciprocità.
vero inaridire quelle matrici identitarie che soccorrono abitualmente nei mo-
Il riconoscimento, per essere tale, non può per definizione essere
menti di difficoltà o al cospetto di problemi psicologici particolari»21.
unilaterale. L’imposizione di un’acculturazione assimilativa non è però altro che la richiesta – o meglio, la pretesa – di un riconoscimento unila-
Il riconoscimento dell’Altro non come oggetto ma come autoco-
terale. Un atteggiamento collettivo che promuova la conformità cultura-
scienza è dunque una condizione necessaria (anche se, beninteso, non
le e valorizzi l’omologazione è colpevole di forzare un soggetto, la cui
sufficiente) perché questi effettui un’operazione analoga, e riconosca chi
identità è in fieri, a riformulare in modo non dialogico il proprio sé. I va-
l’ha riconosciuto, in questo caso la collettività, come legittima interlocu-
lori, le usanze e gli atteggiamenti della collettività ospite non potranno
trice nel proprio processo di ricostruzione identitaria. Se, nella riformu-
così diventare parti integranti e sane della nuova identità in formazione.
lazione del sé, la collettività con i suoi valori, i suoi usi e le sue tradizioni
Al contempo, mettere a repentaglio la conservazione di parte di ciò che
si pone come interlocutore legittimo, tale processo, oltre a essere di per
costituiva l’identità pre-migratoria implica privare il soggetto di alcuni
sé meno traumatico e conflittuale, non porterà come risultato – almeno,
strumenti fondamentali di manipolazione del mondo che, oltre a con-
questa è la scommessa – a un’identità del tutto aliena a quella della co-
sentirne la continuità esistenziale durante un processo di radicale muta-
munità. Al contrario, è più probabile che il soggetto si dimostri disponi-
mento contestuale, sono inizialmente l’unico mezzo disponibile di in-
bile ad accettarne alcuni o molti principi e valori, mediandone, come è
25
Quaderni della Ginestra
giusto che sia, alcuni aspetti con elementi del proprio bagaglio simbolico-culturale.
Questa contraddizione apparente è in realtà semplice da risolvere. È chiaro che tale preservazione non potrà essere statica: anche l’identità
Al contrario, l’imposizione di un riconoscimento unilaterale, e quindi
della comunità sarà sottoposta agli stessi processi di acculturazione,
l’assenza di un dialogo tra il soggetto e la collettività nel processo di ri-
scambio e integrazione. D’altra parte, bisogna considerare che la fun-
costruzione identitaria, può avere due conseguenze, entrambe patogene
zione dell’identità culturale collettiva è quella di predisporre parte degli
per questa. Nel primo scenario, privato del riconoscimento della collet-
strumenti di cui i singoli individui fanno uso nell’interpretazione
tività, il soggetto non trova altrove il proprio riconoscitore, e gli è quindi
dell’alterità: in un contesto di mutamenti rapidi e radicali come quello
impossibile una riformulazione adeguata della propria identità. Privo di
contemporaneo, questa è in costante divenire, è probabile che
strumenti per la manipolazione simbolica dell’alterità, egli rischia così di
un’identità collettiva statica non sia in grado di svolgere questo ruolo,
non riuscire a entrarvi in dialogo e, dunque, di soccombervi, sviluppan-
poiché le categorie simboliche che offre non sono universalmente vali-
do un rapporto clinicamente patologico con la realtà22. Nel secondo, il
de. Al contrario, se una cultura (intesa come identità collettiva) non si
Tu-riconoscitore sarà trovato all’interno della propria comunità di origi-
evolve, è destinata a essere abbandonata in quanto non più in grado di
ne, negando così la possibilità di un incontro.
guidare l’orientamento dell’individuo nel mondo. In tale scenario, il dialogo e il confronto, il riconoscimento e l’acculturazione possono funge-
4. Riconoscimento e Collettività
re da stimolo per la vitale evoluzione di un modus vivendi, di un insieme di
Rimane, però, una questione problematica da dirimere: si è ribadito
valori, o di prassi acquisite, che resteranno validi finché il costante dive-
più volte che l’avvicinamento è di necessità reciproco sia nel processo
nire della realtà li renderà nuovamente obsoleti. L’incontro con l’Altro
acculturativo, sia nel riconoscimento intersoggettivo. Ma come garantire
può – in questo senso – essere considerato la linfa vitale per l’identità
questa reciprocità e, insieme, preservare l’identità della comunità? E,
culturale di una collettività; al contrario, il rifiuto dell’incontro non può
quindi, come mantenere la promessa iniziale di dimostrare che il multi-
che condurre alla sua stasi atrofica, e alla sua scomparsa. Si potrebbe
culturalismo gioca a favore della preservazione dell’identità?
obiettare che questo processo distorca così radicalmente l’idea stessa di
26
Filosofia e collettività
identità culturale collettiva da determinarne – di fatto, se non di princi-
re – o quantomeno rendere meno probabile – un conflitto interno alla
pio – l’abbandono. In realtà, nell’incontro e nel riconoscimento, la con-
società.
taminazione consente la scoperta e l’emersione di una vicinanza che era
Questa posizione può indubbiamente suonare problematica: innanzi-
implicita e nascosta. Il dialogo e la traduzione fanno sì che il risultato sia
tutto, non è scontato che il gruppo ospitato sia favorevole a un atteg-
portatore dei valori di entrambi i poli, presente seppur mitigato e con-
giamento di multiculturalismo; e l’apertura di uno dei due poli al movi-
taminato.
mento del riconoscimento è condizione necessaria ma non certo suffi-
Le possibili alternative non sono del resto preferibili. In primo luogo,
ciente al suo verificarsi. La necessità di un movimento duplice e recipro-
l’assenza di un riconoscimento reciproco porterebbe – per bene che an-
co rende possibile una condizione di stallo, il cui superamento è però
dasse – a una coabitazione separata, problematica quantomeno dal pun-
necessario alla luce degli argomenti presentati finora; e poiché che la re-
to di vista politico: è difficile che tra due gruppi che non condividono
lazione di potere che intercorre tra i due gruppi è impari (il gruppo do-
alcunché si crei il substrato necessario alla democrazia, caratterizzato da
minante correrebbe un rischio molto minore rompendo lo stallo, pur
atteggiamenti di mediazione e compromesso; prima o poi, un gruppo
ottenendone vantaggi analoghi), è giusto che sia quest’ultimo a fare il
dovrebbe necessariamente arrendersi all’altro, anche solo per questioni
primo passo nel riconoscimento.
numeriche. Se, invece, la coabitazione fosse non indifferente e imper-
In secondo luogo, il modello teorico deve essere tradotto in pratiche
meabile, ma ostile, le conseguenze sarebbero negative a ogni livello: la
collettive, che possano orientare concretamente le scelte pubbliche ver-
comunità sarebbe lacerata da confronti violenti, gli individui potrebbero
so utilità e giustizia. La sfida principale è offrire una versione collettiva
soffrire per radicali conflitti identitari e, infine, la profezia autoavverante
del riconoscimento intersoggettivo che sia specificamente connessa al
di scontro di civiltà, da cui questa riflessione ha preso il via, diverrebbe
concetto di identità personale, e non alle teorie del riconoscimento poli-
reale. Ciò che qui preme affermare, dunque, è che l’incentivazione di
tico, già diffusamente indagate dalle identity politics.
una strategia multiculturale potrebbe rappresentare un mezzo per la pre-
Infine, anche dopo la traduzione della teoria in pratiche collettive, è
servazione dell’identità collettiva del gruppo ospite, e insieme scongiura-
comunque necessaria una maturità personale, collettiva e sociale per
27
Quaderni della Ginestra
mettere in discussione la propria cultura accettando che il risultato possa essere una mediazione che si discosta da essa. Anche ammesso di essere disponibili a farlo, le dinamiche collettive possono essere guidate? E se sì, come? Di certo, però, la legge non potrà essere sufficiente: per dirla con F. Jeanson (nell’introduzione alla prima edizione di Pelle nera, maschere bianche), grazie alla legge «il Negro (sic) è diventato un uomo: il Negro ideale è un essere umano. Ma il Negro reale, con la sua pelle nera, è stato abbandonato tra gli uomini bianchi. E i problemi risolti dalla scienza bianca non hanno smesso di vivere nella viva carne nera»23. MARTA BONIARDI S. Mezzadra, B. Neilson, Confini e frontiere, Il Mulino, Bologna 2014. F. Fanon, Peau noire, masques blancs, 1956, tr. it. Pelle nera, maschere bianche, ETS edizioni, Pisa 2015, p. 49. 3 Ad esempio in Z. Bauman, Strangers at our door, 2016, tr. it. Stranieri alle porte, Laterza, Bari 2016, p. 1. 4 R. Beneduce, Frontiere dell'identità e della memoria, Franco Angeli, Milano 2004, p. 83. 5 All’obiezione per cui non c’è nulla di nuovo nel proporre un modello di coabitazione multiculturale, già sperimentato e messo in pratica in diversi stati occidentali, rispondo che, per quanto riguarda la grandissima parte degli stati europei, dove anche vi fosse una politica ufficiale di tipo multiculturale, all’interno della società civile l’attitudine assimilativa (dove non segregazionista) è innegabilmente preponderante. Finché dunque l’impostazione multiculturale sarà confinata alle aule universitarie e agli organi legislativi, resterà necessario giustificarne i valori e promuoverne l’utilità. 6 Il concetto di identità culturale sarà utilizzato nel testo in senso soggettivo, come elemento costituente l’identità personale o psicologica di un individuo, all’interno di uno specifico 1 2
paradigma psicologico che sarà in seguito adeguatamente indagato. Con identità (culturale) collettiva si intende invece la particolare struttura simbolica di un gruppo umano, che ne comprende le tradizioni, i paradigmi valoriali, le credenze e le attitudini. L’identità culturale del soggetto si sviluppa solitamente a partire da un’identità collettiva, tramite derivazione più o meno diretta o discostamento anche radicale. 7 La tabella presenta una sintesi dei contenuti del paragrafo 3.3 di D. Sam, J. Berry, The Cambridge handbook of acculturation psychology, Cambridge University Press, Cambridge 2006. 8 Ivi, p. 36. 9 Cfr. F. Remotti, L'ossessione identitaria, Laterza, Roma 2014. 10 Cfr. G. Stanghellini, Lost in dialogue, Oxford University Press, Oxford 2016. 11 R. Beneduce, Frontiere dell’identità e della memoria, p. 116. 12 Ivi, p. 67. 13 T. Nathan, La migration des âmes, 1988, in R. Beneduce, Frontiere dell’identità e della memoria, p. 116. 14 Cfr. D. Sam, J. Berry, The Cambridge handbook of acculturation psychology. 15 A. Cassese, The Oxford companion to international criminal justice, Oxford University Press, Oxford 2013. 16 G. W. F. Hegel, Phänomenologie des Geistes, 1807, tr. it V. Cicero, a cura di, Fenomenologia dello spirito, Bompiani, Milano 2000. 17 G. W. F. Hegel, Fenomenologia dello spirito, § 178, cit. in F. Fanon, Pelle nera, maschere bianche, p. 194. 18 G. W. F. Hegel, Fenomenologia dello spirito, §§ 183-4, cit. in F. Fanon, Pelle nera, maschere bianche, p. 195. 19 F. Fanon, Pelle nera, maschere bianche, pp. 195-6. 20 Ivi, p. 197, nota 9. 21 R. Beneduce, Frontiere dell’identità e della memoria, p. 201. 22 Cfr. G. Stanghellini, Lost in dialogue, p. 1: «I will argue that to be human means to be in dialogue with alterity, that mental pathology is the outcome of a crisis of one’s dialogue with alterity, and that care is a method wherein dialogues take place whose aim is to re- enact interrupted dialogue with alterity within oneself and with the external world». 23 F. Jeanson, Prefazione all’edizione francese del 1952 di Pelle nera, maschere bianche. In Pelle nera, maschere bianche, op. cit., p. 8.
28
Filosofia e collettività
UNITI DA UN SENSO COMUNE?
IL SENSUS COMMUNIS E LA COLLETTIVITÀ
tradizione umanistica rivalutata da Vico. Nel suo pensiero il senso comune designa il “bon senso” comune ad ogni individuo di una particolare collettività. Il senso comune è il senso per il giusto e per il
1. Introduzione
N
bene comune che vive in tutti gli uomini e che si acquista nel vivere
ella filosofia politica contemporanea la riflessione di Hans-
comune. Può avere anche il significato di “senso della comunità” o
Georg Gadamer sul senso comune presenta molte assonanze e
“senso sociale”. Il miracolo della comprensione è la partecipazione ad
similitudini con quella di Hannah Arendt. 1
un senso comune, e il fine non è solo raggiungere un consenso ma
Come sottolineava Bernstein , Gadamer e Arendt – accumunati
l’intendersi sulla cosa, il comprendersi vicendevolmente. A Gadamer
anche dall’essere stati allievi di Heidegger – si occupano principalmente
preme un sapere per la vita, e più precisamente nella vita in comune
del tema del dialogo politico, della questione del giudizio e della
dell’uomo.
pluralità, ovvero gli unici antidoti in grado di contrastare la deriva
Hannah Arendt lotta, da parte sua, contro la perdita del mondo, la
contemporanea nel mondo della politica, ormai caratterizzato
perdita della realtà, la perdita di questo senso comune. Secondo Arendt,
esclusivamente dalla burocrazia e dalla tecnocrazia. Per comprendere
una teoria politica democratica deve fondarsi proprio su quest'ultimo,
cosa sia il senso comune e come questo ci leghi ad una comunità,
che si esprime nella facoltà di giudizio. Il giudizio, presupponendo il
ripercorreremo i passaggi principali della loro visione filosofica su
confronto con gli altri, non può prescindere da un accordo potenziale e
questo specifico tema.
questa sua caratteristica lega l’uomo al mondo. Per questo motivo, la
Per Hans-Georg Gadamer la valorizzazione del senso comune rientra
categoria del giudizio ha un chiaro senso politico. La vita politica è il
nel suo progetto di dare rilievo e valore alle forme di conoscenza extra-
solo mezzo con cui realizzare un autentico consenso, radicato in quel
metodiche. La filosofia pratica significa qualcosa di più di un mero
senso comune che ci svela la natura del mondo in quanto patrimonio
modello metodologico per le scienze ermeneutiche, essa è la base
comune a tutti noi. Per la Arendt dobbiamo far affidamento su altri
concreta. Il filosofo si ricollega quindi alla phronesis aristotelica e alla
perché nessuno di noi ha una conoscenza esaustiva del mondo che gli
29
Quaderni della Ginestra
permetta un vivere completamente autonomo2. Per questo, per Arendt il
suo significato sia avvenuta nell’illuminismo tedesco, nella filosofia di
tema del senso comune è strettamente collegato alla teoria dell’agire
Kant e di Goethe. Fino ad allora, fino alla prima metà del Settecento, il
sociale.
concetto di senso comune manteneva il suo significato primario formatosi in epoca ellenistica. Come dimostrano due importanti
2. Gadamer e la riscoperta del senso comune.
pensatori quali Vico e Shaftesbury, il sensus communis era quella «virtù di
Che cosa fonda una comunità? Che cosa fa sentire un gruppo di
buon comportamento sociale», che implicava al contempo «una base
individui una collettività? Una comunità non inizia dal nulla, non esiste
morale, anzi più profondamene metafisica»6 che poi sarà il fondamento
una comunità originaria, senza presupposti. Una comunità vive e si
della dottrina del moral sense sviluppata da Hume e Hutcheson.
sviluppa in un contesto che è già dato, che è già presente. Questa
Il ritorno al concetto latino del senso comune, così come lo
condizione presupposta che permea una collettività di persone è il
proponeva Vico, è un fatto di fondamentale importanza per Gadamer,
risultato di un senso comune. A questo proposito Gadamer, in Verità e
perché richiama un contesto storico in cui «le possibilità del dimostrare
metodo3, afferma che il sensus communis è «il senso che fonda la comunità»4
e dell’insegnare razionali non esaurivano completamente l’ambito della
non in quanto facoltà generale che tutti gli uomini possiedono, ma
conoscenza»7. Questa ininterrotta tradizione di cultura retorico-
perché questo senso indica la volontà dell’uomo, la sua direzione.
umanistica, tuttavia, si è andata via via indebolendo, fino ad arrivare al
Nella lettura di Gadamer la riscoperta del senso comune è essenziale
punto di voler applicare il moderno concetto di metodo alle scienze
per capire cosa voglia dire vivere in una comunità. Nel concetto di sensus
dello spirito. Pertanto, «le verità delle scienze dello spirito sono
communis, infatti, deve essere privilegiato «l’originario significato latino»5
sottoposte al criterio, per esse estraneo, dell’ideale metodico della
legato alla vita politica e sociale, e non quel concetto legato alla
scienza moderna»8. Per questo è fondamentale studiare la storia
speculazione teorica dei filosofi contro la scienza moderna.
dell’indebolimento del concetto di sensus communis – secondo Gadamer –
Ripercorrendo la storia del significato dell’espressione “senso comune”, Gadamer sottolinea che la grande cesura nella ricezione del
perché solo attraverso essa capiremo come riscoprirne e rivendicarne il significato retorico-umanistico.
30
Filosofia e collettività
Come accennato, è nell’Illuminismo tedesco che tale concetto
Se il giudizio deve essere esercitato caso per caso e mai in termini
subisce un sostanziale svuotamento e una «intellettualizzazione»9,
generali, diventa quasi impossibile insegnare o imparare come
venendo ripreso ma, al contempo, «spogliato completamente del suo
sussumere un particolare sotto un universale, di riconoscere qualcosa
aspetto politico, perdette anche il suo specifico significato critico»10. Il
come un caso particolare. Di conseguenza, il giudicare nella filosofia
senso comune venne pertanto subordinato a una partizione scolastica
illuministica non era incluso nelle facoltà superiori dello spirito, ma nella
delle facoltà fondamentali. Il concetto di senso comune indica una
facoltà inferiore del conoscere. Gadamer sottolinea più volte che è Kant
qualità generale del cittadino, ha un contenuto politico-sociale implicito
uno dei maggiori responsabili di questa deriva, infatti, nella dottrina
e dimenticato dai discepoli di Shaftesbury e di Hutcheson in Germania.
trascendentale del giudizio – la dottrina dello schematismo e dei principi
E infatti, Vico con senso comune intende non una capacità spirituale
– non troviamo traccia del sensus communis. Nella Critica della ragion pura
che si tratta di esercitare o meno, ma una tendenza che implica già da
sono trattati i concetti che devono riferirsi a priori ai loro oggetti, e non
sempre un insieme di giudizi e di criteri che lo qualificano sul piano del
di una sussunzione del particolare sotto il generale come accade nel caso
contenuto.
del giudizio. Il senso comune, infatti, non si basa sull’applicazione di un
Da Kant in poi, invece, il sensus communis è connesso in modo
universale, ma sull’intera unità e coerenza della cosa. Questa capacità di
strettissimo con il concetto di Giudizio, o con la facoltà di giudicare
giudizio si applica pertanto all’ambito etico-sociale: chi ha buon giudizio
(Urteilskraft) e, in ultima analisi, ricondotto all’ambito del giudizio
è colui che sa ciò che davvero importa, cioè vede le cose sotto punti di
estetico. Nel Settecento il “buon senso” è caratterizzato dalla capacità di
vista corretti, giusti, sani. Per di più, anche questo fondamentale
giudicare grazie alla quale è possibile applicare ciò che si è imparato. I
significato morale del concetto non trova più alcuna collocazione
moralisti inglesi «mettono in risalto che i giudizi morali ed estetici non
sistematica in Kant. Il concetto di sensus communis viene completamente
obbediscono alla reason, ma hanno piuttosto carattere di sentiment (o di
separato dalla filosofia morale.
11
taste)» , ed è per questo che Tetens vede nel sensus communis un judicium senza riflessione.
31
In Kant, di tutta la ricchezza della facoltà sensibile del giudicare, non resta altro «che il giudizio estetico di gusto»12. Solo in questa circostanza
Quaderni della Ginestra
Kant parla di un vero e proprio senso comune. Tuttavia è un giudizio
di verità extrametodica e attribuisca al senso comune una funzione
riflettente, e per questo non possiamo parlare, sempre secondo Kant, di
preminentemente ermeneutica. Il filosofo sostiene, inoltre, che è grazie
una vera e propria conoscenza. Il senso comune in quanto gusto si
al senso comune che discerniamo il giusto dallo sbagliato e che
restringe, viene limitato, non è più un concetto morale o un fenomeno
otteniamo quel bene comune che vive in tutti gli uomini. Il senso
sociale di primissimo piano.
comune ha quindi una valenza tanto teoretica quanto pratica.
Secondo Gadamer, quello a cui assistiamo, dall’Illuminismo tedesco
Non dobbiamo ricorrere all’universalità astratta della ragione, ma
in poi, è la progressiva perdita di significato e di importanza del sapere
all’«universalità concreta che costituisce l’unità comune di un gruppo, di
pratico-morale nei confronti di un sapere teorico-razionalista di cui le
un popolo, di una nazione o del genere umano14». Non può, pertanto,
moderne scienze naturali matematico-sperimentali sono compiuta
essere sufficiente un “metodo”, infatti, il concetto di metodo risulta
espressione. Per questa ragione il progetto di Gadamer è proprio quello
inadeguato per fondare le scienze dello spirito. Le scienze dello spirito e
di restituire significato e valore alla praxis e alla phronesis, rovesciando la
gli studi storico-filologici devono essere fondati su questo senso
tendenza moderna che subordina queste ultime alla poiesis e alla techne.
comune, «perché il loro oggetto è l’esistenza storica e morale dell’uomo,
Deve essere riabilitata la tradizione umanistica in tutta la sua
nelle sue azioni e nelle sue opere»15. Il ragionamento deduttivo non può
complessità, conoscitiva, morale, politica, educativa e formativa. Il sensus
bastare, ciò che importa sono le circostanze storiche. Pertanto, è il senso
communis va inteso come il senso delle situazioni concrete, come una
comune che ci vincola ad un mondo già dato, ma ci dispone anche ad
virtù civile. È un senso di responsabilità per l’intera società13.
entrare in una comunità e a costituirla di nuovo.
La
formazione del senso comune ispirato al vero e al giusto non avviene
Come facciamo, tuttavia, a comprendere e a comunicare nel nostro
quindi per teoremi matematici, ma attraverso la relazionalità, la
mondo multiculturale, complesso, dove tutti i popoli e le culture sono
comunicazione, l’ascolto della parola altrui, e quindi anche attraverso un
più vicine gli uno agli altri? Per rispondere a questa domanda, è
buon uso della retorica.
importante sottolineare che per Gadamer il comprendere non deve
Gadamer intende il senso comune come una forma di conoscenza e
essere inteso come un’azione del soggetto, o in una comunione di
32
Filosofia e collettività
anime, ma piuttosto come la «partecipazione a un senso comune» che si
giocare non vuol essere considerato in generale come un’attività
dispiega come gioco e come evento16. Ma tutto ciò sembra difficile da
esercitata da qualcuno. Il gioco ci chiede di far parte di una comunità,
realizzare. Venendo meno l’universalità tipica delle scienze matematiche,
che esso crea ed esemplifica al tempo stesso.
che nella loro astrattezza possono accumunare tutti gli uomini, il
Gadamer introduce la differenza tra l’essere-insieme (Mitsamt) e
richiamo alla tradizione e al senso comune rischiano di fatto di creare
l’essere-l’uno-con-l’altro (Miteinander). Per Gadamer il gioco è
comunità chiuse, barricate.
strutturalmente affine al dialogo. Il gioco si gioca nell’essere-insieme
Non è però questo il caso di Gadamer, e possiamo verificare questa
nella collettività, e il gioco linguistico, pur sempre rituale, si gioca
affermazione prendendo in considerazione la nozione di gioco. Infatti,
nell’essere-l’uno-con-l’altro. L’essere-insieme vuol dire aderire alla
se recuperiamo il concetto di gioco presente in Verità e metodo, emerge
collettività; l’essere-l’uno-con-l’altro è una sollecitazione a prendere
con chiarezza che il gioco, come la comunità, è una costruzione umana
parola nella comunità reciproca del dialogo. In questo “gioco” c’è
condivisa, dotata di regole per comprendersi e per agire. Il senso
sempre compreso anche l’altro, poiché linguaggio vuol dire l’altro. Il
comune è un senso che presuppone l’appartenenza a una collettività o al
gioco in quanto comunità linguistica vuol dire anche pluriliguismo in
mondo comune, ma allo stesso tempo ci dispone a entrare in una
quanto linguaggio è contatto e rapporto con l’altro. Questo rapporto
comunità mettendoci al posto degli altri, che sono come noi membri di
con l’altro si evidenzia nelle relazioni tra lingue straniere e nelle
questo ambito o giocatori del gioco.
traduzioni. Ogni giocare è un essere-giocati. Lo stesso vale per il
Il gioco – e una collettività – è tale solo se il giocatore si immerge in
linguaggio: non si gioca con il linguaggio, perché è il linguaggio, il
esso con assoluta, sacrale17, serietà. Il soggetto del gioco non sono i
dialogo, a giocare. L’identità collettiva che così si viene a formare è
giocatori, ma il gioco stesso, che si produce attraverso i giocatori. Il
flessibile e disponibile al cambiamento, e potremmo anche aggiungere
senso originario del verbo giocare è quello mediale. Così diciamo per
interculturale.
esempio che qualcosa in una certa situazione o in un certo luogo
Diversamente, Arendt propende per una lettura di segno opposto a
«gioca», che qualcosa si svolge (sich abspielt), che qualcosa è in gioco. Il
quella proposta da Gadamer. Nelle sue Lectures on Kant’s Political
33
Quaderni della Ginestra
Philosophy tenute alla New School for Social Research di New York
si reggeva un discrimine: chiunque si trovasse al di fuori della polis,
nell’autunno 1970 e pubblicate postume nel 198218, Arendt afferma che
l'unica comunità possibile perché si realizzasse la politica e si fosse
è proprio grazie all’analisi kantiana dei concetti di gusto, immaginazione
riconosciuti come cittadini, era considerato "aneu logou", «privo,
e senso comune che possiamo trovare il terreno giusto per estendere il
naturalmente, non della facoltà di parlare, ma di un modo di vita nel
giudizio estetico di gusto all’ambito politico. Arendt quindi rivaluta la
quale solo il discorso aveva senso e nel quale l'attività fondamentale di
filosofia kantiana e non vede nell’Illuminismo tedesco il responsabile del
tutti i cittadini era di parlare fra loro»20. Quello pubblico era il solo
restringimento del significato del senso comune. A questo proposito
spazio garantito perché tutti avessero la possibilità di sperimentare
Simona Forti scrive:
condizioni di eguaglianza e libertà. La riflessione di Arendt sulla facoltà argomentativa non trova il suo
«se da una parte [cioè] entrambi gli allievi di Heidegger condividono
punto di partenza soltanto però nelle definizioni aristoteliche, quanto in
l’assunzione del giudizio riflettente come modalità di pensiero diversa da quella
una riflessione su che cosa significhi esprimere la democrazia in uno
cognitiva, l’operazione arendtiana si configura come diametralmente opposta a
spazio: nella polis si aveva la possibilità di assumere, sul piano politico, le
quella compiuta dall’autore di Verità e metodo. Molto schematicamente si può
tante posizioni presenti nel mondo da cui la stessa cosa può essere
dire che la Arendt riconosce una potenzialità politica – sebbene sui generis – a
osservata. Lo spazio pubblico, allora, definisce il modo di vivere
quello stesso sensus communis kantiano del quale Gadamer aveva constatato la
comune, significando essenzialmente «che esiste un mondo di cose tra
de-politicizzazione»19.
coloro che lo hanno in comune [...]; il mondo, come ogni in-fra (inbetween), mette in relazione e separa gli uomini nello stesso tempo»21. Il
3. Il senso comune come potenzialità politica
multi-prospettivismo è l'unica garanzia della realtà del mondo, perché
L'essere umano è zoon politikon e allo stesso tempo zoon logon ekhon
«solo dove le cose possono essere viste da molti in una varietà di aspetti
ovvero, nell'interpretazione arendtiana della definizione di Aristotele, un
senza che sia cambiata la loro identità, [...] la realtà del mondo può
animale sociale e un essere vivente capace di discorrere. Su quest'ultima
apparire certa e sicura»22. Parzialità e pluralità di prospettive: Arendt
34
Filosofia e collettività
condivide quest'approdo con Merleau-Ponty, il quale suggerisce che la
comprendere la realità della cosa nel suo complesso e nella sua
pluralità di prospettiva, assicurando la realtà e l'identità del mondo, «se è
particolarità. Allo stesso modo, il giudizio estetico-politico di Kant ci
il mezzo che gli oggetti hanno per dissimularsi, è anche il mezzo che essi
porta inevitabilmente verso l'alterità - Arendt parla di otherdirectedness,
hanno per svelarsi. [...] In altri termini: guardare un oggetto significa
l'eterodirezione fondamentale del giudizio: è attraverso il senso comune
venire ad abitarlo, e da qui cogliere tutte le cose secondo la faccia che gli
se gli uomini comunicano.
rivolgono»23. Questa facoltà che tutti hanno di osservare la medesima cosa ma da punti di vista differenti è causa che del fatto che:
«Il dibattito decanta e moltiplica questa soggettività che, invece di relativizzarsi, si conferma incessantemente nello scambio e acquista
«il cogito altrui destituisce di ogni valore il mio proprio cogito e mi fa
un'oggettività di nuovo genere, poiché il mondo che si offre nella discussione è
perdere la sicurezza, che avevo nella solitudine, di accedere all'unico essere per
interamente presente negli aspetti infinitamente diversi che presenta. [...]
me concepibile, all'essere così come viene intenzionato e costituito da me. [...]
Giudicare è scoprire un senso nel mondo, allo scopo di orientarsi in esso per
In realtà, l'altro non è chiuso nella mia prospettiva sul mondo perché questa
un'azione il cui ambiente naturale è la contingenza nella quale essa deve
prospettiva stessa non ha limiti definiti e scivola spontaneamente in quella
sempre aprirsi un cammino, imprevedibilmente»25.
altrui, poiché sono entrambe raccolte in un unico mondo al quale noi tutti partecipiamo come soggetti anonimi della percezione»24.
Il merito di Arendt, in questo senso, è di aver condotto una lettura originale della Critica del giudizio che raccogliesse i frutti sul tema della
Per questo motivo, il senso comune è definito il senso politico per
"comunità", rintracciabile soprattutto nelle Lectures on Kant's Political
eccellenza, che a sua volta assume a modello il giudizio estetico kantiano
Philosophy26. La comunità kantiana è il regno dei fini, come si ritrova nella
della terza Critica, il quale riguarda il giudizio riflettente che ha per
seconda sezione della Fondazione della Metafisica dei costumi, ovvero una
oggetto un particolare. Il senso comune diviene una qualità politica
comunità fondata da e su esseri razionali e dotati di ragione, realizzabile
perché è attraverso i nostri cinque sensi che è possibile all'uomo
concretamente
35
solo
a
condizione
che
ognuno
risponda
Quaderni della Ginestra
affermativamente alla legge universale. La comunità è, in breve, «il
La teoria del giudizio di Arendt rimane, allora, sospesa fra Aristotele
collegamento sistematico dei diversi esseri razionali mediante leggi
e Kant, cioè fra la morsa di un'eticizzazione della politica e la carica di
comuni»27, e questo tema di ricerca si innesta, in Kant, negli scritti
normatività che il senso del giudicare comporta in ogni situazione: in
morali e religiosi: è con Arendt, invece, che la lente di indagine si sposta,
Arendt, infatti, vi è una sorta di duplice teoria del giudizio. Come se vi
alla ricerca del paradigma comunitario, nella terza Critica – a partire dal
fosse un giudizio che guida le nostre azioni – è l'approccio aristotelico
concetto di sensus communis che nel paragrafo 40 Kant definisce «l'idea di
nel senso della phronesis – e un giudizio che è correlato al pensiero e alla
un senso che abbiamo in comune e cioè di una facoltà del giudicare che
volontà – è l'approccio kantiano nel senso della teoria del giudizio
nella sua riflessione tiene conto a priori del modo di rappresentarne di
riflettente.
tutti gli altri»28.
Per questo motivo, il soggetto, nel suo isolamento, non può mai
A onor del vero, è necessario sottolinearlo, l'idea di una
conoscere né esperire la libertà, perché quest'ultima trae sempre origine
politicizzazione dell'idea kantiana di comunità non è così inedita e, pur
dall' "infra" che si crea soltanto nella comunità. «L'infra è ciò che è
partendo da premesse differenti, anche Lyotard conduce un parallelo fra
autenticamente storico-politico [...]: non è l'uomo a essere uno zoon
l'estetica kantiana e il suo pensiero politico29. L'obiettivo teorico di
politikon, o a essere storico, ma gli uomini, nella misura in cui si
Arendt, però è quello di pensare all'azione umana come un agire in-
muovono nell'ambito che sta tra di loro»31.
comune fuori dell'ambito dell'universalità oggettiva.
L'allarme che Arendt sta lanciando è nell'aver individuato come
In questo senso, alla massima «il cielo stellato sopra di me, la legge
principale caratteristica della crisi dell'età moderna la perdita dello
morale dentro di me», Arendt sembra rispondere che nel mezzo ci sia
spazio pubblico, l'infra che sta fra gli uomini. Ancor più precisamente, è
proprio la comunità, che si esprime in quel luogo che è il mondo,
con l'espressione "perdita di mondo" – "loss of the world" o
quando
sul
"alienazione dal mondo" – "world alienation" che Arendt allude alla
comportamento umano sta l'io, al centro delle considerazioni politiche
perdita del mondo comune, dell'artificio che l'uomo ha creato perché si
sul comportamento umano sta il mondo»30.
separi dallo stato di natura per continuare a dedicarsi alle sue attività
scrive:
«al
centro
delle
considerazioni
morali
36
Filosofia e collettività
mondane. Da esso derivano sia il senso della realtà sia l'identità
Alla luce di queste considerazioni, è necessario trarre qualche
personale, senza dimenticare tutte quelle delibere politiche che nascono
conseguenza. La prima, di carattere storico-filosofico. È chiaro che il
proprio da quello spazio. Il mondo che abbiamo in comune assume il
valore dell'attività politica, per Arendt, risiede nella possibilità che si
significato di vivere insieme in un mondo che, a sua volta, «significa
offre a ciascun individuo di esercitare attivamente i suoi poteri e diritti di
essenzialmente che esiste un mondo di cose tra coloro che lo hanno in
cittadinanza, di sviluppare le capacità di giudizio politico, e di conseguire
comune, come un tavolo è situato fra quelli che siedono intorno; il
mediante l'azione collettiva un certo grado di efficacia e influenza
mondo, come ogni in-tra, mette in relazione e separa gli uomini nello
politica. Si iscrive, allora, in una tradizione di pensiero politico che è
stesso tempo»32. La sfera pubblica
quella dell'umanesimo civico in cui si trova un'autentica espressione ogni volta che i cittadini si riuniscono in uno spazio pubblico per
«raccoglie insieme e tutta via ci impedisce, per così dire, di caderci addosso
deliberare e decidere su questioni riguardanti l'intera collettività.
a vicenda. Ciò che rende la società di massa così difficile da sopportare non è
La seconda, di carattere più politico sull'artificialità della politica.
[...] il numero delle persone implicate, ma il fatto che il mondo che sta tra loro
Essa non è altro che un prodotto dell'attività umana e non qualcosa di
ha perduto il suo potere di riunirle insieme, di metterle in relazione e di
naturale o dato. La politica è, per Arendt, una conquista o
separarle. [...] Il mondo comune è ciò in cui noi entriamo quando nasciamo e ciò che lasciamo dietro di noi alla morte. Esso trascende il nostro arco di vita tanto nel passato che nel futuro; esso esisteva prima che noi vi giungessimo e continuerà dopo il nostro breve soggiorno in esso. È ciò che noi abbiamo in
un'acquisizione culturale, perché permette agli individui di trascendere le necessità naturali e di costruire un mondo in cui il discorso e l'interazione politica possano essere promosse liberamente34. L'origine
comune non solo con quelli che vivono con noi, ma anche con quelli che
artificiale della vita pubblica e della politica è un punto cruciale nella
c'erano prima e con quelli che verranno dopo di noi. Ma un tale mondo
teoria arendtiana e nasce dal rifiuto dell'idea di naturalità e dalla
comune può superare il ciclo delle generazioni solo nella misura in cui appare
necessità degli uomini di trascendere i loro bisogni naturali.
in pubblico».33
Indubbiamente, l'artificialità della politica comporta importanti conseguenze, la prima tra le quali l'idea espressa ne Le Origini del
37
Quaderni della Ginestra
Totalitarismo secondo cui l'uguaglianza fra i cittadini non è il risultato di
processo continuo, mai portato a compimento: per questo motivo, per
una condizione naturale precedente la formazione della sfera politica:
Arendt, è fondamentale la formazione democratica di identità collettiva
scrive Arendt, «la privazione dei diritti umani si manifesta soprattutto
attraverso determinate condizioni: una deliberazione attiva e il dialogo
nella mancanza di un posto nel mondo che dia alle opinioni un peso e
democratico e razionale.
35
alle azioni un effetto» . Il problema rimane che cosa significa essere una collettività, una
4. Conclusione
comunità, costituirsi come un "noi": la risposta alla domanda «che cosa
La lettura di Hannah Arendt e di Georg Gadamer ci invita a
dobbiamo fare?» il "noi" non è un dato acquisito già a priori, ma è
riscoprire e valorizzare cosa vuol dire essere far parte di una comunità di
oggetto di dibattito. Come scrive Pitkin:
persone. Tramite la relazione interpersonale e la relazione all’interno di una collettività impariamo a vivere con gli altri, a dialogare con la
«nell'affrontare il problema centrale di ogni discorso politico - che cosa dobbiamo fare? - il "noi" è sempre oggetto di contesa. Una parte della
diversità. La comunità è un approccio al mondo in cui non troviamo la verità delle scienze, ma il senso della storia, delle tradizioni.
questione diventa, se perseguiamo questo o quel possibile corso di azione, chi
Tutto questo non indica però una realtà statica e immutabile perché
potrebbe affermarlo, chi potrebbe vederlo come qualcosa fatto a suo nome?
tutti gli individui che entrano a far parte di una certa comunità, in ogni
Chi sarebbe ancora con "noi" se "noi" intraprendiamo questo corso di
suo diverso periodo storico, portano avanti una certa tradizione
azione?36»
trasformandola e vivificandola.
perché, continua «parte del sapere esplicitato nel discorso politico
risiede nell'ampiezza e validità della pretesa avanzata nel dire "noi": i.e, chi alla fine si rivela disponibile ad affermare e convalidare quella pretesa»37.
Accanto al ragionamento, alla logica, deve essere pertanto sviluppato il senso comune che essendo il senso del vivere insieme è una capacità relazionale. E questo perché, come Martin Buber38 ci ricorda, la risposta
La costruzione della nostra identità collettiva, la creazione di un
al superamento della solitudine odierna si trova proprio nella relazione
"noi" entro cui possiamo identificare noi stessi e le nostre azioni, è un
interpersonale e comunitaria. Nel saggio «Io e tu» del 1923, leggiamo: 38
Filosofia e collettività
«L’uomo diventa io a contatto con il tu». Nell’aprirsi all’altro troviamo quindi il senso vero del nostro vivere in una comunità. Pertanto, con l’espressione senso comune39 intendiamo un insieme relativamente organico di principi, di credenze o di certezze, ritenuto “comune” ad ogni essere umano in quanto vissuto e messo in atto. Esso indica un bagaglio di conoscenze immediato precedente ogni conoscenza teorica. Si può parlare di senso comune come di un sistema culturale perché si tratta di un insieme di pensieri, di rappresentazioni e di credenze, utilizzate a un livello implicito. È dunque un sapere incorporato in pratiche e regole sociali, presente allo stato latente. Il senso comune si rinnova e si sviluppa nel corso delle vicende storiche collettive così come nelle vicende personali. In base al senso comune gli uomini agiscono, pensano e giudicano. In breve, il senso comune è vissuto collettivamente e portato avanti singolarmente. SILVIA FERRARI & VERBENA GIAMBASTIANI Richard J. Bernstein, Beyond Objectivism and Relativism, University of Pennsylvania Press, Philadelphia, 1983. 2 P. Terenzi, Per una sociologia del senso comune: studio su Hannah Arendt, Rubbettino, Roma 2002. 3 H. -G. Gadamer, Verità e metodo, Studi Bompiani, Milano 2010. 4 H. -G. Gadamer, Verità e metodo, p. 44. 5 Ivi, p. 55. 1
39
Ivi, p. 48. Ivi, p. 47. 8 Ibidem. 9 Ivi, p. 54. 10 Ivi, p. 50. 11 Ivi, p. 54. 12 Ivi, p. 58. 13 Cfr., Il «sensus communis» contro la tecnocrazia. Colloquio con Hans-Georg Gadamer a Ziegelhausen, in C. Grossner (a cura di), I filosofi tedeschi contemporanei tra neomarxismo, ermeneutica e razionalismo critico, Città Nuova, Roma 1980, pp. 267–285. 14 H. -G. Gadamer, Verità e metodo, p. 43. 15 Ivi, p. 46. 16 Ivi, p. 341. 17 Ivi, p. 133. 18 Cfr. H. Arendt, Teoria del giudizio politico. Lezioni sulla filosofia politica di Kant, il Melangolo, Genova 2005. 19 S. Forti, Hannah Arendt tra filosofia e politica, Mondadori, Milano, 2006, p. 342. 20 H. Arendt, Vita activa. La condizione umana, Bompiani, Milano 2001, p. 21. 21 Ivi, p. 39. 22 Ivi, p. 43. 23 M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, Bompiani, Milano 2003, pp. 114– 115. 24 Ivi, p. 458. 25 A. Enegrén, Il pensiero politico di Hannah Arendt, Edizioni Lavoro, Roma 1987, pp. 136–137. 26 H. Arendt, Teoria del giudizio politico, Il Melangolo, Genova 1990. 27 I. Kant, Fondazione della metafisica dei costumi, Rusconi, Milano 1994, p. 155. 28 I. Kant, Critica del giudizio, Laterza, Roma-Bari, 1997, p. 263. 29 J.-F. Lyotard, L'entusiasmo. La critica kantiana della storia, Guerini, Milano 1989. 30 H. Arendt, Responsabilità collettiva, in Id., Responsabilità e giudizio, Einaudi, Torino 2010, p. 132. 31 Cfr. Diario filosofico. Frammenti (1950-1964), riportato in «Micromega. Almanacco di filosofia», n. 5/2003, novembre-dicembre, p. 32. 32 H. Arendt, La condizione umana, p. 59. 33 Ivi, pp. 59–62. 6 7
Quaderni della Ginestra
Arendt rifiuta esplicitamente il concetto di natura umana e il tentativo di fondare la politica sulle presunte caratteristiche dell'uomo. Cfr. H. Arendt, Vita activa, p. 16–18. 35 H. Arendt, Le origini del totalitarismo, Edizioni di Comunità , Milano 1989, p. 410–411. 36 H. Pitkin, Wittgenstein and Justice, University of California Press, 1972, p. 208. 37 Ibidem. 38 Martin Buber (1923), Io e tu, in Martin Buber, Il principio dialogico e altri saggi, San Paolo Edizioni, Cinisello Balsamo,1993, pp. 79, 72. 39 Cfr., E. Agazzi (a cura di), Valore e limiti del senso comune, Franco Angeli, Milano 2004. 34
40
Filosofia e collettività
QUALE COLLETTIVITÀ? RISPOSTE DALL’ONTOLOGIA SOCIALE
L
appoggiandosi alla proposta teorica del filosofo Brian Epstein, si interroga sul fondamento metafisico della collettività. Infatti, la questione
della
struttura
metafisica
rappresenta
un
problema
e prossime pagine indagano la nozione di collettività nell’ambito
imprescindibile nel caso in cui si intenda concepire la nozione come un
dell’Ontologia sociale contemporanea. In particolare, l’articolo
concetto dotato di realtà e riferito a gruppi che abitano il contesto
presenta due gruppi di teorie diffuse nel dibattito: le prime intendono la
sociale, costituendone parti oggettive. Infine, il quinto paragrafo
dimensione collettiva come un aspetto del mentale, mentre le seconde
sostiene che il fondamento metafisico posto dall’Ontologia sociale per
impiegano tale nozione in riferimento a fenomeni del mondo esterno.
la collettività coincida con la capacità degli individui di pensarsi come
L’obiettivo è mostrare come entrambe le prospettive riconducano il
parte di un gruppo e con la facoltà di avere intenzioni per l’azione che
significato di collettività a un tratto della psicologia individuale, a una
lo riguardino. Di conseguenza, la definizione di collettività, intesa come
rappresentazione mentale o a un modo di pensare l’essere e l’agire
ciò che è parte del mondo, sembrerebbe essere – metafisicamente –
insieme. In altre parole, la tesi qui sostenuta è che la concezione
fondata sulla definizione di collettività concepita come aspetto del
(soggettivistica) di collettività sia alla base di altre definizioni della
mentale. Tale affermazione ci porta a scardinare la pretesa di
nozione, inclini a collocare la dimensione collettiva fuori dalla mente
considerare la collettività come componente oggettiva del mondo
degli individui e come parte integrante (oggettiva) della realtà sociale.
sociale, vincolando invece la realtà del fenomeno al nostro modo di
Ciò considerato, l’articolo si divide in cinque paragrafi seguiti da una
pensare, vivere e agire con gli altri.
breve conclusione. Il primo è dedicato a introdurre il tema della collettività nel dibattito dell’Ontologia sociale. Il secondo e il terzo
1. L’Ontologia sociale e il tema della collettività
paragrafo presentano rispettivamente gli assunti teorici principali e
Per chiarire quali definizioni di collettività siano state formulate dai
generalmente condivisi da chi individua la dimensione collettiva dentro
principali teorici dell’Ontologia sociale è indispensabile, innanzitutto,
e/o fuori la mente dei singoli individui. Il quarto paragrafo,
precisare quali siano gli interessi propri del dibattito e quale il focus che
41
Quaderni della Ginestra
vorremmo qui adottare nell’impostare la riflessione. Brevemente,
relaziona con l’esterno. Detto altrimenti, la collettività è una nozione
potremmo definire l’Ontologia sociale contemporanea come quella
collocata all’intersezione delle tre categorie esplicative sopraelencate e
disciplina filosofica che studia la realtà sociale e le sue componenti.
ogni volta che la teoria ne indaga un tratto particolare, le altre due
Queste ultime possono essere suddivise in tre macro-categorie1:
dimensioni restano parte del concetto. Pertanto, senza dimenticare la ricchezza di sfumature che il termine può assumere negli studi di
(1) oggetti, intesi come fatti con un certo valore normativo e/o istituzionale; (2) agenti, ossia soggetti in grado di orientarsi nel mondo e modificarne l’assetto; (3) relazioni, o più precisamente rapporti agente-agente, agenteistituzione, istituzione-istituzione.
Ontologia sociale, l’attenzione sarà qui rivolta a quella parte del dibattito che si è concentrata sulla collettività intesa come agente e quindi sulla possibilità che ci siano agenti collettivi, gruppi capaci di progettare azioni e realizzare tali piani nella pratica. La questione è dunque quella di definire in che cosa consista la collettività qualora essa sia capace di agency. Ma cosa si intende per agency? In Ontologia sociale si parla di
Questa tripartizione non rappresenta tuttavia una rigida suddivisione,
agenzialità, agency, riferendosi alla capacità di compiere azioni
tanto che uno stesso concetto potrebbe facilmente rientrare in più di
intenzionali, ovvero azioni che siano pianificate razionalmente e che
una categoria a seconda degli aspetti ritenuti di volta in volta salienti. In
siano volte all’ottenimento di uno scopo2. Un’azione intenzionale è un
questo senso, la collettività potrebbe essere interpretata sia come un
comportamento manifestato da un soggetto e strutturato sulla base di
oggetto, cioè come un’istituzione dotata di poteri deontici volti a
un atto mentale, un’intenzione, che ha un contenuto, il quale
regolamentare il comportamento degli agenti nella società (ad esempio,
rappresenta nella mente del soggetto agente un obiettivo che si vuole –
corporazioni, federazioni, società, etc.), sia come un’agente capace di
intende – soddisfare attraverso l’azione. Asserire che la collettività possa
avere obiettivi propri e di realizzare tali scopi nel mondo, sia, infine
costituire un caso di agente significa, dunque, ritenere che essa sia
come rete relazionale membro-membro o come un gruppo che si
capace di pianificazione razionale dell’azione e di (potenziale) attuazione
42
Filosofia e collettività
di tali fini. Non solo, sostenere che una collettività possa essere
oggettivo3.
identificata come centro di azione intenzionale implica anche
Sebbene non tutti i teorici delle azioni collettive ritengano che i
riconoscere in essa una fonte di agency, diversa da (o non riducibile a) il
gruppi siano componenti reali del mondo, la tendenza ad accettare la
contributo che gli individui, membri di tale gruppo, apportano
specificità della dimensione collettiva dell’agire è un’attitudine diffusa tra
all’impresa collettiva. La questione che si presenta ai teorici delle azioni
gli esponenti dell’Ontologia sociale. In particolare, questa tendenza ha
collettive è quella di stabilire quale sia il tratto peculiare dei fenomeni di
dato luogo a due pattern interpretativi che collocano la dimensione
gruppo rispetto alla ‘semplice’ coordinazione di azioni individuali, tanto
collettiva dell’agency dentro la mente degli individui, come tratto della
da considerare il gruppo come un agente tout court piuttosto che un
psicologia individuale, o fuori di essa, considerandola un aspetto
mero aggregato di agenti individuali. Ciò considerato, la risposta alla
strutturale del mondo. Il primo caso, presentato nel prossimo paragrafo,
domanda «quale collettività?» dipende dal modo in cui si scelga di
include le teorie dell’intenzionalità collettiva mentre il secondo, oggetto
definire un comportamento intenzionale come un comportamento
del terzo paragrafo, parla di agenti o sistemi collettivi.
collettivo – ammesso che si accetti di introdurre una discriminante tra fenomeni di gruppo e fenomeni individuali. Infatti, molti sono gli
2. Primo modello: l’intenzionalità collettiva
approcci che rifiutano tale distinzione, negando che la collettività possa
Un primo modo di studiare la collettività come dimensione dell’agency
rappresentare un vero e proprio centro di agency. Secondo queste
è quello di riferire tale nozione al versante dell’intenzionalità. In questo
prospettive, dette individualiste o riduzioniste (minimal, per usare
senso un’azione collettiva può essere descritta come un comportamento
un’espressione comune in lingua inglese), il fatto che alcune azioni siano
che coinvolge due o più individui e che è strutturato sulla base di
attribuite a un gruppo di individui non significa che ci sia una collettività
intenzioni per l’azione riguardanti l’intero gruppo di soggetti agenti. Se
agente ma, al contrario, azioni collettive sarebbero il risultato degli sforzi
si considera un gruppo di individui impegnati a fare x, l’azione in
congiunti di una collettività di agenti, dove il termine collettività serva
questione può dirsi collettiva solo se nella mente dei partecipanti è
da concetto esplicativo, senza alcun riferimento ontologicamente
presente uno stato mentale progettuale, che intenda raggiungere
43
Quaderni della Ginestra
l’obbiettivo comune (x) a tutti gli individui coinvolti. Perché si abbia
origine a intenzioni che includono la nozione senza creare discontinuità
un’azione collettiva non è però sufficiente che ogni partecipante abbia
nella tipologia d’atto mentale interessato5, la seconda opzione introduce
l’intenzione di contribuire a x facendo la propria parte y. E nemmeno
una modalità intenzionale peculiare, specifica delle azioni di gruppo e
sarà sufficiente aggiungere a tale intenzione relativa al contributo
non descrivibile attraverso singole intenzioni individuali6. Infatti,
individuale la credenza che anche gli altri individui facciano la propria
l’intenzione collettiva che si presenta alla mente degli individui nella
parte. Infatti, in questo caso l’intenzione sarebbe: «Io intendo fare y per
forma “noi” è concepita dai suoi sostenitori come una modalità d’atto
ottenere x», in aggiunta a «Io credo che ci siano altri individui che con la
originariamente plurale, nella quale il soggetto pensa e vive il fenomeno
loro azione promuovano la realizzazione di x». Tale fenomeno non
di agency come se esso riguardasse il gruppo nel suo complesso, come un
potrebbe dirsi un vero e proprio caso di azione collettiva, perché
singolo agente. Nonostante ciò, sarebbe un errore inferire che
relegare il riferimento alla collettività al contenuto di una credenza
l’intenzionalità collettiva sia una capacità da attribuirsi al gruppo inteso
significherebbe escludere la dimensione di gruppo dall’atto intenzionale
come un macro-soggetto. Sebbene il “noi” sia effettivamente riferito alla
e negare, di conseguenza, la specificità di intenzioni che pianificano
collettività nella sua totalità, la modalità d’atto intenzionale resta un
azioni compiute da due o più individui insieme. Perché x sia un’azione
tratto della psicologia individuale, un modo di concepire un fenomeno
collettiva in senso intenzionalistico occorre che la collettività sia parte
di agency, un punto di vista adottato dall’individuo e che si manifesta
dell’intenzione stessa e ciò può darsi in due modi distinti 4. Da una parte
nella mente dello stesso. L’intenzionalità collettiva non è frutto di una
la collettività può figurare nel contenuto dell’intenzione originando atti
mente collettiva, essa è piuttosto una facoltà della mente individuale che
mentali del tipo «Io intendo che noi facciamo x», dall’altra parte la
permette a essa di pensarsi sia come agente individuale sia come
collettività può essere un tratto costitutivo dell’intenzione conferendo a
membro di un gruppo. Per i teorici dell’intenzionalità collettiva vi è
essa una forma, o meglio, una modalità plurale: «Noi abbiamo
quindi una discontinuità tra le intenzioni individuali e quelle collettive,
l’intenzione (collettiva) di fare x». Mentre la prima alternativa teorica
perché esse sono rispettivamente formulate da due capacità distinte e si
rappresenta la collettività nel contenuto dell’atto intenzionale, dando
collocano su due livelli psicologici separati, dove intenzioni e interessi
44
Filosofia e collettività
individuali potrebbero anche essere in contrasto con progetti sostenuti
partendo da input forniti dagli individui, elaborino i dati arrivando a
dall’intenzione collettiva7. Potrebbe infatti capitare di supportare il
prendere una posizione non riconducibile a quella dei membri. Chi
progetto collettivo di fare x attraverso il proprio contributo y pur in
sostiene questa interpretazione della nozione, generalmente, assume che
assenza di ragioni individuali che fuori da tale contesto di gruppo
una collettività agisca sulla base di intenzioni che sono frutto di
motiverebbero il personale perseguimento di y.
procedure decisionali, votazioni e funzioni aggregative che elaborino le informazioni disponibili al sistema al fine di ottenere un risultato che sia
3. Secondo modello: il gruppo agente
il prodotto di tali algoritmi e non la mera somma o maggioranza delle
In alternativa all’idea che la collettività sia una dimensione del
intenzioni individuali. In questo senso, all’interno di una collettività
mentale, si può pensare che tale nozione si riferisca a un gruppo, una
agente si assiste a un processo di spersonalizzazione dei membri, poiché
totalità di individui, che funzioni come un’agente di per sé. La
essi partecipano all’impresa collettiva apportando un contributo che sia
collettività può dunque costituire un agente vero e proprio, che abita il
primariamente funzionale allo scopo. Un individuo ricopre una certa
mondo sociale e che è capace di prendere decisioni e intervenire
carica in base alle competenze di cui egli dispone così da servire agli
sull’ambiente attraverso comportamenti intenzionali8. In altre parole la
scopi del gruppo e rimanendo una figura sostituibile all’interno dello
collettività può considerarsi come un sistema di agency. A questo
stesso qualora si presentasse un candidato equamente valido in termini
proposito è di fondamentale importanza insistere sul termine “sistema”
in competenze specifiche. Ogni posizione è dunque legata a una
e sul fatto che per agire intenzionalmente un gruppo deve poter
competenza e ogni carica ha un suo ruolo nell’impresa complessiva,
produrre intenzioni per l’azione che siano proprie della collettività stessa
ruolo che è tutelato da diritti e legato a doveri inerenti alla funzione. La
e che non siano riducibili alla somma degli stati mentali presenti nella
collettività si muove, dunque, come un agente perché come un agente
mente degli individui membri. I gruppi agenti non sono degli aggregati
individuale essa ha delle intenzioni proprie, prodotte dai meccanismi
ma delle organizzazioni, sistemi complessi in grado di formulare le
decisionali, e come un agente essa è dotata di un corpo, formato da
proprie intenzioni attraverso meccanismi decisionali complessi i quali,
individui e da componenti materiali o digitali.
45
Quaderni della Ginestra
Inoltre, affinché un gruppo costituisca un agente non vi è alcuna necessità che la psicologia degli individui partecipanti sia allineata al
ontologico, ovvero se sia parte oggettiva della realtà sociale o se coincida con la somma degli individui membri.
perseguimento di intenzioni collettive o orientate al bene della collettività. L’individuo è una figura sostituibile e perché il sistema di cui
4. Il problema ontologico e la proposta di Epstein
è parte possa funzionare, ciò che conta è che egli adempia alle funzioni
La questione ontologica riguardante l’oggettività della collettività in
assegnategli. Il fatto, però, che non sia necessario che i soggetti abbiano
quanto componente della realtà sociale si fa urgente soprattutto nel
intenzioni collettive non implica l’incompatibilità del fenomeno. Al
contesto della prospettiva del gruppo agente, che attribuisce alla
contrario, quando la prospettiva del gruppo agente dovesse incontrare
collettività vere e proprie capacità di agire intenzionalmente. Al
quella delle intenzioni collettive il risultato sarebbe una maggiore
contrario, il problema è facilmente risolvibile qualora si considerino le
stabilità della collettività pensata come agente che abita tanto il mondo
teorie dell’intenzionalità collettiva, per le quali la collettività, in quanto
quando la mente dei suoi partecipanti. In effetti, molte delle posizioni
dimensione del mentale, si riferisce a un aspetto del mondo (il gruppo di
sviluppate in Ontologia sociale integrano la dottrina dell’intenzionalità
individui) che esiste nella misura in cui ci sono degli individui che lo
collettiva con la possibilità che il gruppo, a cui essa si riferisce, sia o si
pensano come un tutto. Senza tali attitudini soggettive nessuna
trasformi in una collettività organizzata e capace di costituire un
collettività potrebbe propriamente dirsi parte del mondo sociale. Per
soggetto agente di per sé9. Ma sostenere che la collettività sia un tutto
questa ragione è possibile definire la collettività come un oggetto
organizzato, capace di prendere decisioni autonome e di avere effetti sul
dipendente dalla mente – descrizione che vale anche per altri oggetti
mondo sociale nel quale essa opera, potrebbe non essere sufficiente ad
sociali analogamente riconosciuti dall’intenzionalità dei singoli come, ad
asserire che, per questo secondo pattern interpretativo, la collettività
esempio, il denaro, i confini degli stati, il matrimonio. Dunque, se per
costituisca una componente reale della società10. La questione spinosa di
l’approccio intenzionalistico la nozione di collettività è un tratto della
questo dibattito è quella di stabilire se la collettività, quando funzioni
psicologia individuale che può significare parti della realtà sociale
come un agente, possa ritenersi un agente anche da un punto di vista
soggettivamente identificati dagli individui come estensione del termine
46
Filosofia e collettività
“collettività”, le teorie del gruppo agente sono invece inclini ad
applicabili a qualsiasi caso di studio. I quattro profili servono infatti a
ammettere l’oggettività della collettività come parte della realtà sociale,
identificare i gruppi sulla base di varie sfaccettature che contribuiscono
indipendente da quel che pensino gli individui. In questo senso, la
a determinare la struttura metafisica degli stessi, permettendo così alla
collettività è un aspetto reale, oggettivo, del mondo e in quanto tale
teoria di non concentrarsi su un solo criterio ma di tenere presenti più
dovrebbe poter essere individuato attraverso criteri metafisici rigorosi.
aspetti rilevanti che aprono a definizioni capaci di includere più
Dato
dell’oggetto
casistiche. Ciò consente di evitare un rischio comune in Ontologia
“collettività” resta un problema aperto per l’Ontologia sociale. In
sociale, che è quello di livellare la propria concezione, in questo caso la
particolare, il punto ancora al centro dell’indagine consiste nella
propria definizione di “collettività”, a un unico gruppo di fenomeni
possibilità di stabilire una definizione capace di adattarsi ai diversi casi
rispondenti all’unico criterio metafisico scelto, come ad esempio il fatto
concreti per i quali saremmo intuitivamente disposti ad affermare che
di essere un insieme di due o più individui che mostri un’organizzazione
un certo gruppo funzioni come un agente. La molteplicità di casi che
dei ruoli ricoperti dagli stessi12. Talvolta un gruppo agisce
l’esperienza ci sottopone rende infatti difficile soddisfare ogni
intenzionalmente pur in assenza di tale struttura funzionale.
questo
impegno
ontologico,
l’identificazione
eventualità, senza esclusi.
Ciò considerato, Epstein propone di caratterizzare qualsiasi tipo di
La sfida è stata recentemente accolta e brillantemente affrontata dal
gruppo sociale guardando a quattro profili metafisici, che qui
filosofo Brian Epstein11, il quale ha proposto una soluzione orientata a
applicheremo al solo caso in cui un gruppo sociale funzioni come
definire i criteri metafisici per l’individuazione dei gruppi sociali, i quali
agente intenzionale – restrizione che porterà alcuni profili ad essere di
costituiscono un insieme di cui la collettività rappresenta solo una
secondaria importanza rispetto ad altri. Il primo profilo proposto
porzione. A prescindere da tale specificazione, è interessante notare
dall’autore identifica un gruppo sociale sulla base della sua
come a fronte della varietà di contesti a cui il termine gruppo sociale,
composizione, di come cioè esso sia costituito da membri, come
qui collettività, viene riferito l’autore proponga una prospettiva che
persista nel tempo e come resti identico a se stesso al variare delle
include quattro profili metafisici distinti ma (potenzialmente) tutti
circostanze. In breve, questo criterio riguarda il principio metafisico
47
Quaderni della Ginestra
dell’identità e dell’esistenza, analizzando il gruppo per stadi temporali e
attraverso i mondi, di avere determinate responsabilità e poteri.
cercando elementi costanti anche quando i membri non siano più gli
L’ancoraggio è la conditio sine qua non le proprietà essenziali possono
stessi nel corso del tempo e quando i contesti di azioni cambino rispetto
manifestarsi. Esempi di fondamenti metafisici di quest’ordine sono gli
alla situazione iniziale. Insieme al primo criterio, Epstein introduce un
accordi, attraverso i quali un gruppo viene fondato ufficialmente, o le
secondo profilo incentrato anch’esso sull’analisi delle proprietà
pratiche abituali, che per consuetudine fissano certe strutture del
essenziali. In questo secondo caso, però, a essere ritenute salienti
contesto sociale. Ogni proprietà che non sia basata sull’ancoraggio
sarebbero proprietà che non hanno a che fare con la costituzione
metafisico rientra nel quarto e ultimo profilo delineato dall’autore,
metafisica del gruppo, bensì con le sue abilità, poteri, responsabilità e
ovvero quello delle proprietà accidentali. Tra di esse si annoverano
norme. In altre parole, si potrebbe dire che se il primo profilo indica la
aspetti quali il numero dei partecipanti, la collocazione geografica,
costituzione metafisica del gruppo, il secondo serva a specificare la
l’epoca storica, etc.
struttura normativa dello stesso, definendo quali diritti e doveri siano essenzialmente associati al caso specifico preso in esame. Nonostante
5. L’intenzionalità come fondamento metafisico del gruppo agente
questa differenza, entrambi i criteri fanno riferimento ai tratti essenziali,
Proprietà essenziali, proprietà essenziali ulteriori, ancoraggio e aspetti
e quindi ai fondamenti metafisici, del gruppo sociale. Ma cosa stabilisce
accidentali costituiscono i concetti chiave dei quattro profili metafisici
che una certa proprietà sia una proprietà essenziale? Per evitare il rischio
complementari proposti da Epstein per l’identificazione dei gruppi
dell’arbitrarietà Epstein propone un terzo profilo che sancisca il
sociali. Prendendo le mosse da tale categorizzazione, la collettività,
fondamento metafisico delle proprietà essenziali in quanto fondamenti
come caso specifico di gruppo sociale che ricopra la funzione di agente,
metafisici dell’oggetto, così da rispondere alla domanda su quale sia il
potrebbe dunque essere identificata in base a:
fondamento dei fondamenti. Pertanto, il terzo profilo, detto
1. Proprietà essenziali: struttura organizzativa, distribuzione di ca-
dell’ancoraggio, fissa la ragione metafisica dell’essenzialità di certe
riche, funzioni specifiche delle cariche, procedura decisionale,
proprietà come quella di essere membro, di persistere nel tempo e
numero di membri tra cui n1 costanti e n2 variabili; 48
Filosofia e collettività
2. Proprietà essenziali ulteriori: responsabilità per le azioni compiu-
Pertanto, affermare che la collettività esista come parte del mondo in
te dal gruppo, potere di prendere decisioni stabilite in agenda,
senso oggettivo, dove per oggettivo o reale si intenda riferirsi a
diritto di esprimere e perseguire le proprie intenzioni entro i li-
un’esistenza che è tale indipendentemente dalle attitudini mentali dei
miti degli obiettivi prefissati, doveri verso i membri e verso terzi;
membri, sembrerebbe contraddittorio poiché il fondamento ultimo dei
3. Ancoraggio: accordi o pratiche che hanno inizialmente stabilito
fondamenti metafisici di tale collettività “oggettiva” sono identificabili
la conformazione, gli interessi e i limiti del gruppo agente; 4. Proprietà accidentali: quando e dove si colloca la collettività in questione 13.
in stati mentali soggettivi. Un accordo, una pratica, un patto sono infatti fenomeni che si istanziano sulla base di intenzioni che muovono gli individui alla costruzione di quella specifica realtà sociale, la quale, però, non è in ultima istanza una componente oggettiva del mondo. Il suo
Potremmo aprire una lunga parentesi su ognuno di questi profili ma,
statuto ontologico resta infatti soggettivo, per diventare oggettivo solo
ai fini del presente articolo, l’aspetto più significativo è quello messo in
entro il contesto in cui l’oggetto è stato riconosciuto come tale. Tolti gli
luce dal terzo punto: l’ancoraggio delle proprietà essenziali. Questo
individui, le menti e l’accettazione di cui sono capaci, nessuna collettività
profilo, infatti, afferma che i fondamenti metafisici dell’oggetto
potrebbe esistere, né come dimensione del mentale né come aspetto del
collettività non rappresentano l’ultimo grado di fondazione della realtà
reale. Questa considerazione mostra dunque che i due approcci, quello
di tale elemento, al contrario, il criterio stabilisce che le condizioni di
intenzionalistico e quello realista, più che rappresentare due modelli
possibilità per il sussistere delle proprietà essenziali fondanti l’oggetto
alternativi di interpretare il gruppo, costituiscono due profili
siano a loro volta basate su un fondamento ulteriore, di natura diversa.
complementari. Nessun profilo riesce ad attribuire alla collettività una
Questo aspetto, nel caso della collettività, può essere individuato in
realtà oggettiva, così come nessun profilo potrebbe, di conseguenza,
quegli accordi, pratiche sociali, decisioni e azioni individuali che hanno
permettersi di trattare la collettività come un agente responsabile
portato gli individui a creare un gruppo e a riconoscerlo come un tutto
moralmente o casualmente delle proprie azioni. Al contrario, parrebbe
dotato di una razionalità propria e di un potere d’azione autonomo.
che le intenzioni degli individui restino i veri fondamenti metafisici
49
Quaderni della Ginestra
dell’agency di gruppo, i quali vengono sgravati dal giogo delle sue
metafisici dei gruppi sociali. Se la possibilità di concepire gruppi agenti
conseguenze solo per un modo di parlare o per un’aspirazione
viene fondata su premesse concernenti la psicologia degli individui, la
collettivista e realista, che non riesce a scalfire in modo deciso la forza
risposta alla domanda “quale collettività?” non potrà che riferirsi alla
teorica dell’individualismo metodologico e ontologico14.
sola dimensione del mentale.
6. Conclusione
GIULIA LASAGNI
Queste pagine hanno introdotto il tema della collettività in Ontologia sociale, mostrando come questo ramo della filosofia contemporanea si rapporti alla nozione, fornendo utili chiarificazioni concettuali e strumenti d’indagine applicabili anche ad altre aree di ricerca. In particolare, sono stati presentati due modelli alternativi per interpretare la collettività: il primo (internalista) è legato alla psicologia degli individui, mentre il secondo (esternalista) studia la realtà sociale e le sue componenti. Senza negare l’importanza che questo dibattito può avere nello studio della collettività e nella valorizzazione delle sue diverse dimensioni, l’articolo ha assunto una posizione critica rispetto all’effettiva separazione dei due approcci, sostenendo, invece, che le proposte esternaliste dell’agency di gruppo siano fondate sullo studio della psicologia individuale e sulle attitudini mentali ascrivibili ai membri della collettività. Un argomento utile a mostrare la riducibilità dei due approcci è stato tratto da Epstein e dalla sua indagine sui fondamenti
La scelta delle categorie si ispira a quella proposta da A. Laitinen e H. Ikäheimo in Recognition and Social Ontology, in H. Ikäheimo, A. Laitinen, a cura di, Recognition and Social Ontology, Brill, Laiden 2011, pp.1-21. 2 T. Crane, Aspects of Psychologism, Harvard University Press, Cambridge (MA) 2014. 3 Le posizioni riduzioniste di tipo minimalista negano tanto l’esistenza (ontologica oggettiva) di gruppi capaci di agency quanto la presenza, nel caso di azioni collettive, di stati mentali particolari e genuinamente collettivi. Per saperne di più sulle teorie minimaliste dell’azione condivisa si veda C. Kutz, Acting Together, “Philosophy and Phenomenological Research”, 61, 1, 2000, pp. 1-31. 4 D.P. Tollefsen, Collective intentionality and the social sciences, “Philosophy and the Social Sciences”, 32, 1, 2002, pp. 25-50. 5 Il maggior esponente della tesi di continuità tra la forma delle intenzioni individuali e collettive è Michael Bratman. Tra i suoi tanti scritti sul tema, si suggerisce la monografia più recente: M. Bratman, Shared Agency: A Planning Theory of Acting Together, Oxford University Press, New York 2014. 6 Per approfondire il dibattito sull’intenzionalità collettiva si consiglia J.R. Searle, Collective intentions and actions, in P.R. Cohen, J. Morgan, M.E. Pollack, a cura di, Intentions in communication, MIT Press, Cambridge (MA) 1990, pp. 401-415, e R. Tuomela, The We-Mode and the I-Mode, in F.F. Schmitt, a cura di, Socializing Metaphysics. The Nature of Social Reality, Rowman & Littlefield, Larzham-Boulder-New York-Oxford 2003, pp. 93-127. 7 M. Gilbert, Shared intention and personal intentions, “Philos Stud”, 144, 2009, pp.167-187. 8 Una delle teorie maggiormente articolate in riferimento ai gruppi agenti si trova in C. List, P. Pettit, Group Agency: The Possibility, Design, and Status of Corporate Agents, Oxford University Press, Oxford 2011. Interessante a tal proposito è anche un recente articolo 1
50
Filosofia e collettività
di Bratman: M. Bratman, The Intentions of a Group, in E. Orts, C. Smith, a cura di, The Moral Responsibility of the Firm Revisited, Oxford University Press, Oxford 2017, pp. 3652. 9 R. Tuomela, Collective Intentionality and Group Reasons, in H.B. Schmid, K. SchulteOstermann, N. Psarros, a cura di, Concepts of Sharedness. Essays on Collective Intentionality, Ontos, Heusenstamm 2008, pp. 3-20. 10 Sull’ontologia dei gruppi si suggeriscono i seguenti saggi: K. Ritchie, What are groups?, “Philos Stud”, 166, 2013, pp. 257-272; A. Thomasson, Foundations for a Social Ontology, “Protosociology: an international journal of interdisciplinary researches”, 18-19, 2002, pp. 269-290; K. Ludwig, , The ontology of collective action, in S. Chant, F. Hindriks, G. Preyer, a cura di, From Individual to Collective Intentionality: New Essays, Oxford 2014, Oxford University Press, pp. 112-133. 11 B. Epstein, What are social groups? Their metaphysics and how to classify them, “Synthese”, 2017, pp. 1-49. 12 K. Ritchie, The Metaphysics of Social Groups, “Philosophy Compass”, 10, 5, 2015, pp. 310-321. 13 Per ognuno dei criteri si potrebbero elencare svariate caratteristiche ma ciò che è importante notare è che quando si sposa la teoria che concepisce la collettività come parte oggettiva del mondo esterno, questi quattro aspetti devono essere tutti tenuti in considerazione. 14 Il dibattito su individualismo/olismo metodologico e ontologico è presentato in modo chiaro in J. Zahle, F. Collin, a cura di, Rethinking the Individualism-Holism Debate. Essays in the Philosophy of Social Science, Springer, Cham 2014. Argomenti che mostrano la riducibilità ontological e metodologica delle teorie sulla group agency sono sostenuti in K. Ludwig, Foundations of Social Reality in Collective Intentional Behavior, in S.L. Tsohatzidis, a cura di, Intentional Acts and Institutional Facts, Dordrecht 2007, Springer, pp. 49-71.
51
Quaderni della Ginestra
REALTÀ DELLA PERSONA COLLETTIVA. UNA PROPOSTA CONCETTUALE
(i) prima tesi (negativa, che risponde alla domanda: Che cosa non è una persona collettiva?): una persona collettiva non è un’entità fittizia;
«Al limite delle parole accade il mondo»
(ii) seconda tesi (positiva, che risponde alla domanda: Che cos’è una
Carlo Sini (1933)1
persona collettiva?): una persona collettiva è un’essenza vivente [ein lebendes Wesen] ed è qualcosa di operante [ein wirkendes
Introduzione
I
Etwas].
l tema del presente contributo è lo statuto ontologico della persona collettiva, il quale ha acquisito grande rilevanza nel dibattito
La seconda parte prenderà le mosse dalla tesi positiva di Gierke, al
contemporaneo, in particolar modo nell’ambito dell’ontologia sociale
fine di avanzare un’ipotesi concettuale sull’ontologia della persona
analitica2. Tuttavia, un’analisi sistematica dello statuto ontologico delle
collettiva: una persona collettiva ha un particolare statuto che si predica
persone collettive trova la sua primissima espressione nello studio di un
in termini di effettualità [Wirklichkeit]. Questa ipotesi concettuale, che
giurista e storico del diritto, Otto Friedrich von Gierke (Stettino, 1841 –
non potrà prescindere da un’analisi di alcuni significati della parola
Berlino, 1921), pioniere di un’indagine storico-filosofica sulle “unioni
‘realtà’, mira a essere un primo e necessario livello d’indagine verso un
umane” [menschliche Verbände] (“persone collettive” [Gesamtpersonen],
esame più ampio dello statuto ontologico della persona collettiva.
“comunità organizzate” [organisierte Gemeinschaften]), argomento al quale egli dedica una breve ma brillante prolusione, intitolata La natura delle
1. Il contributo di Otto Friedrich von Gierke alla teoria della persona collettiva
unioni umane, presso la Königliche Friedrich-Wilhelms Universität di Berlino 3.
Otto Friedrich von Gierke è noto principalmente per aver
Il presente contributo sarà diviso in due parti. La prima parte
concettualizzato e classificato le unioni umane, prendendo le mosse
presenterà due tesi di Gierke sullo statuto ontologico della persona
dallo studio sull’evoluzione delle antiche comunità germaniche
collettiva:
[germanische Genossenschaften], fino a costruire una teoria delle persone
52
Filosofia e collettività
collettive [Gesamtpersonen] entro la sfera (non del diritto privato, bensì)
delle comunità organizzate, nella misura in cui le riconosce pienamente
del diritto pubblico4. La “teoria della persona collettiva reale”5 di Gierke
come tali, come entità unitarie a cui attribuisce personalità
si basa anzitutto sull’osservazione del fenomeno della collettività6.
[Persönlichkeit]».9 Attraverso l’analisi del fenomeno della personalità collettiva, Gierke
«[V]ediamo un reggimento marciare [wir sehen ein Regiment marschieren] a
giunge a due tesi fondamentali. Partendo da una critica alla teoria della
suon di musica, osserviamo gli elettori [wir erblicken Wähler] deporre la scheda
finzione [Fiktionstheorie], l’autore propone una prima tesi riguardante
nell’urna […] e ci accorgiamo subito [wir wissen sofort] che, in queste e in cento
cosa una persona collettiva non è. Una persona collettiva, secondo
altre percezioni sensoriali [Sinneseindrücken], si tratta di processi [Vorgänge] che
Gierke, non è un’entità fittizia. Un secondo aspetto del fenomeno della
attengono alla vita statale»7.
personalità collettiva evidenzia, invece, lo statuto ontologico proprio
All’osservazione del fenomeno della collettività che, secondo Gierke,
delle persone collettive. Pertanto, nella pars construens della sua
è un fenomeno non ancora giuridico, subentra il riconoscimento del
prolusione, Gierke afferma la seconda tesi: le persone collettive,
diritto positivo, il quale non fa altro che riconoscergli e dargli
«anziché ombre spettrali, […] sono essenze vive».10
espressione adeguata. In particolare, il diritto positivo riconosce e qualifica un’unità [Einheit] consistente di una pluralità [Vielheit] di esseri umani come persona collettiva, in quanto portatrice di diritti e doveri 8
1.1. Persona collettiva ed entità fittizie La prima tesi di Gierke ha origine da una critica nei confronti della
(essere delle persone in senso giuridico) . Il fenomeno, dunque, non è
teoria della finzione, che mette in luce uno statuto ontologico non reale
semplicemente quello della collettività, che non è ancora soggetto di
della persona collettiva. Tale critica si rivolge alla tesi secondo la quale
diritto, bensì – e piuttosto – è il fenomeno della personalità collettiva
una persona collettiva non è altro che un’entità fittizia o artificiale. Per
[Gesamtpersönlichkeit]. Esso è tipico di particolari entità, le entità collettive
‘entità artificiale’ s’intende un’entità anzitutto creata dal diritto e, in
personificate, i.e., le persone collettive, le “comunità organizzate”
secondo luogo, non concreta (i.e., non fisica, non soggetta a
[organisierte Gemeinschaften]. Gierke scrive che il diritto positivo «tratta
determinazione spazio-temporale). Scrive Gierke:
53
Quaderni della Ginestra
«[L]a teoria della finzione considera il nuovo soggetto di diritto come un
[Persönlichkeitsträger]»13, sia perché è un’entità spazio-temporalmente
individuo artificiale [künstliches Individuum], il quale, simile a un qualsiasi “terzo”
determinata, sia perché solamente l’uomo singolo ha libera capacità di
[beliebiges Drittes], si pone accanto, da una posizione di perfetto isolamento, agli
volere e di agire.
altri individui fra loro collegati; un soggetto che, però […] conduce un’esistenza da ombra [ein schattenhaftes Dasein] e […] solo grazie alla rappresentanza “tutoria” cui provvedono le persone fisiche ottiene in prestito una capacità d’azione. D’altra parte, la finzione […] deve soltanto significare che un qualcosa di non personificato viene considerato come se fosse una persona [als sei es Person]. Oppure solo che, nel diritto, una pluralità [Vielheit]
1.2. Persona collettiva ed entità reali Come messo in luce precedentemente, l’indagine di Gierke sulle unioni umane si basa sull’osservazione del fenomeno della personalità collettiva. Scrive Gierke:
può valere come unità [Einheit]».11 «È anzitutto l’esperienza esterna [äussere Erfahrung] che ci spinge verso la
I sostenitori della teoria della finizione concordano nell’affermare che «la personalità viene conferita alle unioni solo attraverso un artificio giuridico [juristisches Kunststück], in virtù del quale, per il diritto, esse
supposizione di unità operanti [wirkende Verbandseinheiten]. L’osservazione dei processi sociali […] ma soprattutto l’approfondimento della storia umana, ci mostra che i popoli e le altre comunità mettono in forma, attraverso l’agire, il mondo dei rapporti di forza e creano la cultura materiale e spirituale».14
ottengono una qualificazione che nella realtà [in Wirklichkeit] non possiedono»12. La teoria della finzione fonda la sua tesi sull’idea che la
L’osservazione del fenomeno sembra permettere a Gierke di
realtà sia ciò che è percepibile attraverso i sensi. Di conseguenza,
affermare non solo che una persona collettiva non è un’entità fittizia,
secondo tale criterio, essa non può far altro che negare la realtà delle
bensì anche che essa è un’entità reale. In altri termini, l’attenzione a ciò
persone collettive, giacché la realtà (i.e., ciò che è spazio-temporalmente
che si manifesta porta a confutare la tesi della teoria della finzione per
determinato o percepibile attraverso i sensi) mostra solo i singoli
avanzare una tesi diametralmente opposta, secondo la quale la persona
individui, ai quali è facilmente ascrivibile la personalità. L’idea è che
collettiva è un’essenza vivente [ein lebendes Wesen] ed è qualcosa di
solamente
operante [ein wirkendes Etwas]. A questa seconda tesi Gierke giunge
l’individuo
può
essere
«portatore
di
personalità
54
Filosofia e collettività
attraverso una riflessione implicita sul concetto di realtà, che egli
una maggiore chiarezza concettuale, si possono individuare tre diverse
contrappone al concetto di realtà impiegato dalla teoria della finzione, il
accezioni di realtà16:
cui esito può essere sintetizzato come segue: la realtà empirica non esaurisce la realtà.
(i) esistenza spazio-temporale, (ii) esistenza temporale,
2. Lo statuto ontologico della persona collettiva
(iii) effettualità.
Le due tesi di Gierke mettono in luce due prospettive contrastanti: da un lato, una prospettiva che nega la realtà di una persona collettiva,
La prima accezione di ‘realtà’ è esistenza spazio-temporale, che
dall’altro, una prospettiva che la afferma. A me pare che questa
coincide tipicamente con ciò che è sensorialmente percepibile e che
contrapposizione si fondi essenzialmente sullo statuto di realtà che si
appartiene principalmente al regno del senso comune. In questo senso,
voglia attribuire a una persona collettiva. Propongo dunque una lista di
sono reali quelle entità che hanno una dimensione spazio-
significati della parola ‘realtà’ che, lungi dall’essere una lista esauriente,
temporalmente determinata e che vengono chiamate indifferentemente
permetta almeno di introdurre il problema dello statuto ontologico della
‘concrete’, ‘materiali’, ‘fisiche’. Di esse noi predichiamo uno statuto di
persona collettiva. Proverò a esaminare brevemente tre accezioni di
realtà che dipende dall’esperienza quotidiana: a livello del linguaggio
‘realtà’ per cercare di individuare quale, tra queste, possa permetterci di
comune, noi diciamo che queste entità, semplicemente, esistono.
predicare la realtà dell’entità in questione.
Tuttavia, il concetto di esistenza spazio-temporale non esaurisce il concetto di realtà. Nella tradizione filosofica, soprattutto in ontologia e
2.1. Un problema concettuale: “La realtà si dice molteplicemente”15
in metafisica, viene indagato lo statuto ontologico di entità incorporali o
Non è possibile comprendere il significato dell’espressione “realtà
immateriali, come le entità ideali (ad esempio: i numeri e le relazioni tra i
della persona collettiva”, che emerge dalla prolusione di Gierke, senza
numeri), i personaggi della letteratura, gli oggetti falsi17, le entità sociali
prima chiarire il significato stesso della parola ‘realtà’. Al fine di ottenere
(ad esempio: le banconote, i confini18), le entità giuridiche (ad esempio:
55
Quaderni della Ginestra
la pretesa, l’obbligazione19). Delle entità giuridiche, in particolare, è
Weinberger attribuisce la realtà (temporale) alla norma giuridica [Norm],
celebre l’esemplificazione fornita da Gaio nelle sue Institutiones. Gaio
che è un’entità noetica. Scrive Weinberger:
costruisce l’efficace dicotomia tra res corporales e res incorporales: le prime sono le cose corporali, cioè le cose che possono essere toccate [res
«Dobbiamo distinguere l’essere materialmente-reale [materiellreales Sein] dalla
corporales, quae tangi possunt], le seconde sono le cose incorporali, che non
realtà idealmente-essente [ideell-seiende Realität]. Definiamo come “reale” [real]
possono essere toccate [res incorporales, quae tangi non possunt]20. In
tutto ciò che ha un’esistenza [Dasein] nel tempo […] Se si tratta di un essere
generale, diversi tipi di entità incorporali o immateriali condividono
materiale, la conoscenza poggerà in un’ultima analisi sull’esperienza dei sensi;
almeno una caratteristica: esse sono entità non concrete (non fisiche,
se si tratta di entità ideali, il loro essere reale apparirà fondato sul legame con la
non materiali), esse non esistono al modo degli oggetti fisici (che sono
sfera della realtà materiale, dall’altro lato condizionato dagli elementi che
reali nel senso di ‘spazio-temporalmente determinati’), in quanto entità
permettono di comprendere l’entità ideale come componente dell’accadere
di cui non è possibile individuare lo statuto di spazialità (proprietà
reale, come qualcosa che esiste nel tempo»23
necessaria, ma non sufficiente, delle entità concrete). Di queste entità possiamo predicare almeno un’esistenza temporale o un’effettualità.21 La seconda accezione di ‘realtà’ è esistenza temporale. Abbracciano
La terza accezione di ‘realtà’ è quella che rientra nel campo semantico del verbo latino efficere, ossia ‘provocare effetti’, ‘operare’. A
questo significato di realtà due filosofi del diritto (Adolf Reinach e Ota
questo
campo
semantico
appartengono
almeno
tre
sinonimi:
Weinberger), interessati allo studio dello statuto ontologico delle entità
effettualità, efficacia ed effettività24. In lingua tedesca, la parola più
giuridiche. In particolare, il fenomenologo Adolf Reinach attribuisce
aderente al significato del latino efficere è il verbo ‘wirken’ (‘operare’), da
uno statuto di realtà (temporale) alla pretesa [Anspruch], alla promessa
cui deriva il sostantivo Wirklichkeit (originariamente ‘Wercelicheit’),
[Versprechen] e all’obbligazione [Verbindlichkeit], che «nascono, sussistono
coniato da Johannes Eckhart (Tambach-Dietharz, 1260 – Avignone,
per un certo tempo e, infine, si estinguono» e che sembrano «essere
1328) a partire dalla parola latina ‘actualitas’, usata da Tommaso
oggetti temporali [zeitliche Gegenstände] di tipo molto particolare»22. Ota
d’Aquino25. Secondo alcuni autori, che citerò a breve, la Wirklichkeit
56
Filosofia e collettività
(realtà effettiva) è la realtà che si predica di entità eterogenee, ad
significato attribuito alla parola ‘realtà’ che si fondano le tesi circa lo
esempio delle entità logiche (di proposizioni)26, delle entità noetiche e
statuto ontologico della persona collettiva. L’ipotesi che propongo in
delle entità giuridiche, in particolare le entità giuridiche personificate.
questo breve contributo è quella di considerate la realtà della persona
Per ciò che concerne le seconde (entità noetiche), ad esempio, è celebre
collettiva come effettualità [Wirklichkeit].
il contributo di Gottlob Frege che, com’è noto, individua e concettualizza tre regni: (i) il regno degli oggetti materiali, (ii) il regno
2.2. Realtà della persona collettiva come effettualità
delle rappresentazioni [Vorstellungen], i.e., dei processi psicologici e (iii) il
Il breve esame delle tre accezioni di ‘realtà’ è funzionale a un’indagine
regno dei pensieri [Reich der Gedanken], il cosiddetto “terzo regno [drittes
più ampia dello statuto ontologico della persona collettiva. In
Reich]”:
particolare, una prospettiva che voglia affermare la realtà di una persona collettiva potrebbe intendere la realtà nel senso di effettualità. Una
«I pensieri non sono perciò non reali [unwirklich], ma la loro realtà
persona collettiva sarebbe dunque reale [wirklich] nel senso che essa è
[Wirklichkeit] è di tipo diverso rispetto a quella delle cose [Dinge]. I loro effetti
un’entità produttiva, un’entità che produce effetti attraverso l’agire.
[Wirken] sono provocati da un atto di chi pensa [Tun der Denkenden] senza il
L’idea che vi siano entità che producono effetti non è nuova nella
quale sarebbero inefficaci [wirkungslos]»27
letteratura filosofico-giuridica: si pensi ad Adolf Reinach quando parla dei wirksame Akte, atti sociali [soziale Akte] che provocano un
Per ciò che concerne le entità giuridiche personificate, Gierke usa il termine ‘Wirklichkeit’ per qualificare la realtà delle associazioni umane. In questo contesto, in cui il termine ‘realtà’ risulta essere polisemico, anche
sulla
realtà
della
persona
collettiva
persona collettiva è un’entità immateriale e al contempo reale, nel senso di produttiva, effettuale (i.e., che produce effetti).
diventa
La tesi della realtà di una persona collettiva come effettualità riconosce
estremamente problematica, nonché interessante. Il breve esame
che una persona collettiva è un’entità. Tuttavia, ciò che qui si asserisce
semantico di ‘realtà’ ha evidenziato, infatti, che è sulla base del
esistere è determinato non facendo riferimento alle variabili di
57
l’indagine
cambiamento nel mondo [in der Welt eine Veränderung bewirken]. Una
Quaderni della Ginestra
quantificazione della medesima teoria, se formalizzata (à la Quine),
non concreta, non materiale) non inerte, bensì operante, che «incide
bensì prendendo le mosse da presupposizioni metafisiche. Chiedersi, ad
autonomamente nel mondo esterno»28, in quanto le sue azioni, regolate
esempio, se una persona collettiva sia reale significa chiedersi se una
dal diritto, provocano degli effetti.
persona collettiva esista, i.e. se sia un’entità. Evidentemente, ponendo
Certamente, tale proposta filosofico-concettuale non è sufficiente a
questa domanda, si sta già presupponendo che non vi sia alcun errore
chiarire quale sia lo statuto ontologico della persona collettiva. Tra gli
categoriale laddove si enunci che una persona collettiva è un’entità ed è
aspetti che necessitano di essere ulteriormente studiati si potrebbe
(quindi) reale. Chiedersi, poi, se sia possibile riferire il predicato ‘reale’ a
elencare, ad esempio, il problema del tipo di effetti (fattuali, normativi?)
una persona collettiva significa mettere in luce l’esigenza di chiarire qual
di cui si parla, quando si parla degli effetti provocati da una persona
è il significato stesso del predicato ‘reale’ ad essa riferito. Evidentemente,
collettiva; o, ancora, il problema del substrato (ciò che, letteralmente,
in questo caso si sta già presupponendo che non vi sia un’unica
‘giace sotto a’) di un’entità come la persona collettiva: riprendendo le
accezione di ‘realtà’.
parole di Gierke, a tal proposito, il diritto riconosce “qualcosa” del
Affermare che una persona collettiva è un’entità non significa affermare che una persona collettiva è qualcosa di
mondo esterno a cui dà espressione adeguata. Quest’ultimo potrà forse
spazio-
esser messo in luce anche grazie allo stretto legame che esso ha con la
temporalmente determinato: spesso, infatti, si presuppone erroneamente
questione della realtà della persona collettiva e che trova interessanti
che le domande circa lo statuto ontologico (Che cos’è X?, È reale X?),
contributi filosofici sia nell’ambito della filosofia del diritto, che
implichino, per loro stessa formulazione, una definizione reale dei
nell’ambito dell’ontologia sociale 29.
termini, in questo caso del sintagma ‘persona collettiva’. Al contrario, la tesi della realtà della persona collettiva come effettualità non implica
ELISA CACOPARDI
alcun riconoscimento di un’entità concreta; non implica, insomma, nessun assunto teoretico che ammetta la reificazione di una persona collettiva. Piuttosto, una persona collettiva è un’entità immateriale (ossia
Ringrazio in modo particolare gli organizzatori della Giornata di studi su Filosofia e collettività. Prospettive a confronto, tenutasi il 15 novembre 2017 presso l’Università di Parma, Valeria Bizzari, Giulia Lasagni e Timothy Tambassi, e tutti i colleghi che vi
58
Filosofia e collettività
hanno partecipato, per aver contribuito, attraverso preziosi consigli e critiche, a migliorare questo lavoro. 1 C. Sini, L’al di là del linguaggio, “Nóema”, 2, 2011, pp. 1-5. 2 Per citare solo alcuni filosofi contemporanei: Margaret Gilbert, Raimo Tuomela, Brian Epstein, Christian List e Philip Pettit. 3 Il testo originale della prolusione di Gierke è intitolato Das Wesen der menschlichen Verbände. Rede bei Antritt des Rektorats gehalten in der Aula der Königlichen Friedrich-Wilhelms Universität am 15. Oktober 1902 ed edito da Buchdruckerei von Gustav Schade (Berlino). 4 Di Gierke si ricorda soprattutto la sua opera monumentale, in quattro volumi, intitolata Das deutsche Genossenschaftsrecht (1868-1913). 5 È così che il giurista Francesco Ferrara, nella sua opera intitolata Teoria delle persone giuridiche, chiama la teoria di Gierke. La teoria di Gierke è considerata il paradigma della cosiddetta teoria organica [organische Theorie]. Tuttavia, non v’è una sola teoria organica. Piuttosto, le teorie organiche delle entità collettive personificate prendono le mosse da assunti comuni, che però non ne esauriscono l’intero impianto teorico. Tali assunti comuni, oltre alla critica alla teoria della finizione, sono i seguenti: «1) Il concetto di persona non coincide con quello di uomo, ma con quello di soggetto di diritto, perciò non è escluso che vi siano dei soggetti di diritto che non siano uomini; 2) Bisogna allargare il concetto di soggetto alla sfera del diritto privato patrimoniale ai rapporti di diritto pubblico; 3) Tutte le persone giuridiche, pubbliche o private, sono delle realtà» (Cfr. F. Ferrara, Teoria delle persone giuridiche, UTET, Torino 1923, p. 181). Se, da un lato, tali assunti sembrano essere accettati da Gierke, dall’altro lato, l’autore sottolinea “gli eccessi” della teoria organica più esemplificativa. In particolare, uno di questi consiste nel porre un’identità tra organismo biologico e organismo sociale, il quale rappresenta un errore poiché la metafora [Bildlichkeit] tra organismo vivente e organismo sociale non dev’essere usata come mezzo per dedurre l’essenza dell’organismo sociale, né essa deve avere alcun carattere ornamentale nell’economia del discorso scientifico. La metafora, secondo Gierke, ha piuttosto un carattere conoscitivo: essa può alludere [verdeutlichen], ma non può spiegare [erklären]. Per un approfondimento sullo statuto della metafora in Gierke, si veda O. F. Gierke, La natura delle unioni umane, in G. Zagrebelsky, a cura di, Società, Stato, Costituzione: lezioni di dottrina dello Stato degli anni accademici 1986-1987 e 1987-1988. Con in appendice un testo di Otto v. Gierke, La natura delle unioni umane, Giappichelli, Torino 1988, pp. 164-165. 6 La parola ‘fenomeno’ è qui intesa nel suo significato etimologico: dal greco antico
59
‘φαινόμενον’, “ciò che appare, ciò che si manifesta”. 7 O. F. Gierke, La natura delle unioni umane, in G. Zagrebelsky, a cura di, Società, Stato, Costituzione: lezioni di dottrina dello Stato degli anni accademici 1986-1987 e 1987-1988. Con in appendice un testo di Otto v. Gierke, La natura delle unioni umane, Giappichelli, Torino 1988, p. 168 (corsivi aggiunti). 8 È importante sottolineare che la categoria delle persone collettive non esaurisce la categoria delle entità dotate di personalità in senso giuridico. Vi sono infatti entità personificate non collettive: oltre alla persona fisica, vi sono la società unipersonale (che consiste di un solo socio) e la fondazione, ossia una collezione (non di individui, bensì) di beni. La società unipersonale, la fondazione e la persona collettiva, alla luce della prospettiva di Gierke, rientrano tutte sotto il genus ‘persona’ e, in particolare, sotto la species ‘persona giuridica’. 9 O. F. Gierke, La natura delle unioni umane, cit., p. 158. 10 Ivi, p. 162. 11 Ivi, p. 159. 12 Ibidem. 13 Ivi, p. 158. 14 Ibidem, pp. 170-171. 15 Devo questa espressione alla notissima tesi di Aristotele (cfr. Met. Γ 1003a 33, p. 262; Met. Ε 1026a 34-35, p. 346): «L’essere si dice molteplicemente» [πολλαχῶς λέγεται τὸ ὄν]. 16 Queste tre accezioni di realtà si trovano in differenti contributi di diversi autorevoli filosofi. Ne risulta un’eterogeneità delle entità indagate (infatti, si parlerà indifferentemente di “entità giuridiche”, “entità noetiche”, ecc.) a cui si attribuisce uno statuto reale. Le accezioni di ‘realtà’ qui presentate sono solo esemplificative, ma al contempo possono essere illuminanti per giustificare la polisemia della parola ‘realtà’. 17 Cfr. A. G. Conte, Oggetti falsi. Per una ontologia del falso, in P. Di Lucia, a cura di, Ontologia sociale. Potere deontico e regole costitutive, Quodlibet, Macerata 2003, pp. 197-216. 18 Cfr. J. R. Searle, Creare il mondo sociale. La struttura della civiltà umana, Cortina, Milano 2010. 19 Cfr. A. Reinach, I fondamenti a priori del diritto civile, Giuffrè, Milano 1990. 20 Gaio, Instutiones, 2, 2. 21 Un’altra importante accezione è quella di sussistenza, che ha origine antica: essa è indagata per la prima volta dalla filosofia stoica, che ha costruito la dicotomia ‘esistenza [hyparchein] vs. sussistenza [hyphistasthai]’. Tale dicotomia è poi ripresa dal
Quaderni della Ginestra
filosofo Alexius Meinong, secondo cui l’essere consiste di due grandi regni: il regno dell’esistenza [Existenz] e il regno della sussistenza [Bestand]. Cfr. A. Meinong, Über Gegenstandstheorie. Selbstdarstellung, Meiner, Hamburg 1904. 22 A. Reinach, I fondamenti a priori del diritto civile, p. 12. 23 O. Weinberger, La norma come idea e come realtà, in D. N. MacCormick e O. Weinberger, a cura di, Il diritto come istituzione, Giuffrè, Milano 1970. È bene ricordare anche il contributo di Samuel von Pufendorf (Dorfchemnitz, 1632 – Berlino, 1694) che, nel primo libro dell’opera De iure naturae et gentium (1672), indaga le categorie dello spazio e del tempo in riferimento ai cosiddetti enti morali [entia moralia], attraverso un’analogia [per analogiam] con gli enti fisici [entia physica]. Particolarmente interessante è la sua indagine di un tipo di ente morale: la persona morale [persona moralis]. 24 Altri sinonimi di effettualità sono operanza, un neologismo di Paolo Di Lucia, o poíesis [ποίησις], di chiara matrice aristotelica, che evoca una capacità produttiva. Cfr. P. Di Lucia, Efficacia senza adempimento, “Sociologia del diritto”, 29, 2002, pp. 73-103; Id. Agire in-funzione-di-norme, in L. Passerini Glazel, a cura di, Ricerche di filosofia del diritto, Giappichelli, Torino 2007, pp. 164-178. 25 Per disambiguare i termini tedeschi ‘Wirklichkeit’ e ‘Realität’, cfr. R. Pettoello, N. Moro, Dizionarietto di tedesco per filosofi, La Scuola, Brescia 2014. Da notare un’altra coppia concettuale messa in luce dal fenomenologo Edmund Husserl: ‘real’ e ‘reell’. Nelle Logische Untersuchungen (1901), Husserl usa l’aggettivo ‘real’ per indicare la realtà empirica e usa l’aggettivo ‘reell’ per indicare, come scrive Giovanni Piana «ciò che è dato effettivamente nel vissuto, quindi sia i suoi elementi costitutivi, sia tutte le datità fenomenologiche in quanto risultato della neutralizzazione di ogni posizione esistenziale», ossia in quanto risultato del metodo fenomenologico di «andare alle cose stesse» [zu den Sachen selbst], della ricerca del puro dato (i.e., dell’essenza). Nelle Ricerche logiche, ‘real’ è opposto sia (i) ‘ideal’, che a (ii) ‘imaginär’. 26 Secondo il logico e filosofo Hermann Lotze, ad esempio, una «forma di realtà» [Wirklichkeit] è quella delle proposizioni [Sätze], reali nel senso che esse sono valide. Cfr. G. Gabriel, La “Logica” di Hermann Lotze e la nozione di validità, “Rivista di filosofia”, LXXXI, 3, 1990, pp. 457-468. 27 G. Frege, Der Gedanke. Eine logische Untersuchung. Beiträge zur Philosophie des deutschen Idealismus 2 (1918-1919), “Mind. A Quarterly Review of Psychology and Philosophy”, LXV, 259, 1956), pp. 289-311, p. 311. Un’interessante proposta di Rafael Ferber è quella di considerare la realtà di alcune entità come esistenza semantica, alla luce della concettualizzazione del terzo regno fregeano: Ferber sostiene che tutte le entità di cui
non è possibile predicare uno statuto ontologico spazio-temporale potrebbero essere entità semantiche, i.e., entità che esistono non nel mondo fisico, bensì «linguisticamente nel modo in cui esistono i significati delle parole». Cfr. R. Ferber, Concetti fondamentali della filosofia. Volume I. Einaudi, Torino 2009, pp. 98-135. 28 O. F. Gierke, La natura delle unioni umane, cit., p. 27. 29 Mi riferisco, ad esempio, a Francesco Ferrara e a Riccardo Orestano per i contributi della filosofia del diritto, che fanno riferimento al substrato delle persone collettive. In particolare, Ferrara spiega che l’esistenza di un substrato è una delle condizioni necessarie alla formazione degli enti dotati di personalità e che il substrato di tali enti può avere sia un’origine spontanea, sia un’origine artificiale. Per quanto riguarda l’ontologia sociale, mi riferisco al contributo di Barry Smith e John R. Searle: vi sono, secondo Smith, entità sociali prive di substrato materiale, ad esempio, una corporation (teoria dei freestanding Y terms). Cfr. B. Smith, J. R. Searle, The Construction of Social Reality: An Exchange, “The American Journal of Economics and Sociology”, 62, 1, 2003, pp. 285-309.
60
Filosofia e collettività
A (NAIVE) VIEW OF CONSPIRACY AS COLLECTIVE ACTION
we typically assess on their evidential merits, in common parlance it is said that conspiracy theories are the kind of thing right-thinking people
W
hether or not you think we live in some “Golden Age” of con-
should dismiss or pay no attention to3. Conspiracy theories are routinely
spiracy theory or conspiracy theorising, talk of conspiracy the-
dismissed as vapid or unwarranted, in part because conspiracy
ory and conspiracy theory theory (the academic study of these things
theorising is said to ignore the complexity of modern economics or
called “conspiracy theories”) seems timely. From talk of fake news and
politics. That is, one of the things which is said to be wrong about
the White House to misinformation being deliberately spread about the
conspiracy theories is that conspiracy theorists mistake the unintended
U.K.’s exit from the European Union, talk of conspiracy infuses a lot of
consequences of economic or political activity as evidence of some
contemporary political discourse.
sinister plot.
Conspiracy theories are a form of explanation, where the conspiracy
Yet we know conspiracies occur (from the death of Roman dictators
theorist seeks to explain the occurrence of some event with reference to
through Elizabethan intrigues to examples like Watergate) and that
some conspiracy. This is, at least, the general and widely-accepted
some—possibly many—conspiracy theories have turned out to be
definition found in the philosophical literature1. Part-and-parcel of
warranted (the Moscow Show Trials; the Gulf of Tonkin event;
some theory being conspiratorial is that the event we want to explain is
Watergate, once again). Maybe it is true that sometimes we see
the product (in some sense2) of a group of agents working together in
conspiracies in perfectly normal—albeit strange-looking—economic or
secret. That is, conspiracies are the result of agents working together
political activity, but sometimes we see conspiracies because we have
with some shared purpose; for a group of agents working in secret to
grounds to believe people are conspiring.
be considered part of a conspiracy we need to attribute to them some collective intention to achieve their chosen ends.
Indeed, conspiracy theories might even be one of the most interesting kinds of collective, intentional activity. After all, to conspire
Conspiracy theories have a bad reputation though, when we think of
requires keeping some information about what you intend to do secret
them as theories. Unlike scientific theories or historical theories, which
from certain eyes. Sometimes such secrets are hard to crack;
61
Quaderni della Ginestra
conspirators might keep what they are doing secret from everyone, or
and the Assembly rather than rule of dictate.
manage to ensure that whatever they are doing cannot be linked back to
Now, the intention of the conspirators is doing a lot of work here in
them. In some cases, however, working out what the conspirators
this story. Yet given that conspiratorial activity is a form of secretive
intended can be as easy as looking at the public record (if, for example,
activity we should ask how we might justify talk of knowing the
the conspirators come clean—as the assassins of Caesar did—or the
intentions of what are secretive agents, to wit the conspirators? Especially
conspirators are caught—as happens with the prosecution of criminal
given that if you are not part of the conspiracy, how could you claim to
conspiracies in the courts).
know something about what the conspirators intend?
Now, I do not pretend in this paper to present a particularly novel thesis
Sometimes we know what the conspirators intended just because
of either intentionality or collective action. Rather, I am interested in
they tell us. For example, when it comes to the death of Julius Caesar
teasing out some of the interesting aspects of conspiratorial activity in
we have evidence as to what the conspirators intended because they told
order to make scholars of intentionality and collective action interested
us. If we trust the letters and like of the conspirators to be accurate4, it
in the burgeoning field of the Philosophy of Conspiracy Theories.
is not hard to make claims about what they intended. After the
What follows is, as the title of this paper happily attests to, a naive
assassination of Caesar the conspirators very publicly revealed
account, one I hope can be built upon in future work.
themselves and explained why they intended to kill the dictator; they only kept their intentions secret up until the point of the murder itself.
1. Intentions and cospirators
As such, whilst secrecy was necessary to achieve their intended end, it
Let us start with an example. In 44BCE a plot was hatched by a
was not necessary to keep the secret afterwards, given that the person
number of Roman patricians to kill the dictator Gaius Iulius Caesar
who they had to make sure was unaware of their plan was, by that time,
(Julius Caesar). This conspiracy (given it was undertaken by multiple
dead by their hands.
actors working in secret towards some end) was ostensibly (as will be
However much of the worry about belief in conspiracy theories
dissected later) intended to return Rome to to rule of law by the Senate
stems from claims about ongoing, contemporary conspiracies, cases in
62
Filosofia e collettività
which the alleged conspirators are keeping their plot secret here-and-now.
infer the most likely people who would desire that end. That is, it might
For the sceptic of contemporary conspiracy theory the fact we might
be an example of circular reasoning where we assume something is a
have to infer what the conspirators are intending in order to explain
conspiracy in order to find evidence that it is a conspiracy. This is a
some event in the world is an issue. In part this is because the worry is
problem, but note that it is a problem common to many social science
that such inferences will be post facto.
explanations of complex phenomena; it is possible to assume some
One way to ascertain the intention of conspirators is to ask: “Who
answer to a question and then go and look for evidence that answer is
benefits?” (or use the familiar phrase of “Follow the money.”) Take, for
the best. This is a known problem in social psychology, sociology,
example, the various 9/11 Inside Job hypotheses, which claim that the
anthropology, and the like: sometimes our theoretical assumptions drive
events in New York and Washington, D.C. on September 11th, 2001
our research in such a way that we are looking for particular answers.
were orchestrated by elements within the U.S. Establishment. That is,
So, why think this is a particular problem for conspiracy theories? As
the events were part of a conspiracy by actors associated with the
long as there is some well-grounded inference at the bottom of this,
government who intended to create the appearance of a foreign-
claims about what conspirators intend (or intended) are not in-and-of
orchestrated terror plot in order to then justify a war they wanted
themselves prima facie suspicious.
overseas.
One way in which we can work out what mysterious or secretive
Asking “Who benefits?” here gives us an idea of the intentions of
conspirators want is by working out the “shape” of the secret. For
the alleged conspirators. If we assume that the event in question was
example, if people avoid telling you certain things, then you can often
not committed by members of Al-Qaeda, then we can ask who else
work out a pattern of what you are not being told. This means you can
would have wanted it.
know some secret is being kept from you (even if you do not know
This, of course, requires that we make claims about the “real”
what is being kept secret from you), which is to say you can know there
conspirators, which might be influenced by who we think would have
is a secret being kept from you even though you do not know the
intended such an event, or we might assume the intention and then
content of that secret.
63
Quaderni della Ginestra
Indeed, sometimes knowing that a secret is being kept from you is sufficient to infer something about the content of the secret. If family
a more unified explanation than trying to justify some claim someone intended for the event to happen6.
members regularly avoid talking about when a cousin was conceived,
Returning to the death of the Roman Julius Caesar, the situational
you might infer—given how soon they were born after their marriage—
explanation of Julius Caesar’s assassination would likely place his death
that your family are trying to keep secret the fact your cousin was
in the context of the series of popular uprisings and social disarray of
conceived out of wedlock. In the same respect, if public officials go out
the Late Roman Republic—a barely functioning government—which
of their way to avoid answering questions about their ties to foreign
resulted in the rise of demagogues who were popular with the plebian
powers, you might infer that they are trying to keep such information
populace but not-so-much with the patrician (aristocratic) class.
secret. Indeed, this is a common feature in the discussion of conspiracy
But this distinction between an explanation being either intentional
theories: the “shape of the lie” (or cover-up) is part-and-parcel of how
or situational is a false dichotomy; it is not clear conspiracy theories are
conspiracies come to be suspected5.
any more or less intentional than their situational rivals. As David Coady puts it, in response to Clarke:
2. Situationalism Of course, we could just try to avoid talk of intentions at all, given
«[I]t is not clear that there really is a tendency for conspiracy theories to be
that referring to the intentions of (sometimes) mysterious and secretive
more dispositional than rival theories. …The official explanation of John F.
conspirators might be a problem. Instead, might we be better off shift-
Kennedy’s murder, for example, seems just as dispositional as its conspiratori-
ing talk from intentions to the situations which give rise to conspiratorial
al rivals. All explanations agree that someone or some group of people intend-
(or conspiracy-like) activity? This, at least, was the argument of Steve Clarke. He argued we should prefer situational explanations over intentional ones, given that
ed the murder to occur and acted on their intentions. A disposition to murder the president seems to play an equally fundamental explanatory role in all accounts of that event, whether they are conspiratorial or not»7.
understanding the situation—the overall context—of an event results in
64
Filosofia e collettività
As with the assassination of JFK, we can explain the death of Julius
be of one mind? For example, the death of Caesar was the result of the
Caesar in a way that places the intentions of the conspirators as primary
collective activity of Decimus Junius Brutus, Gaius Cassius Longinus
to his death whilst also paying close attention to the historical situation
and Marcus Junius Brutus (along with several other participating patri-
which precipitated it. After all, the assassins intended to assassinate Cae-
cians). The official story of why they intended to kill Caesar was to lib-
sar because of the political situation in Rome. In the same respect, more
erate Rome from a tyrant who would be king. Yet, when in exile, Brutus
recently, perhaps the Russian Federation intended to sway the result of
expressed quite different sentiments in the letters he sent to his loyal
the presidential election the U.S.A. because of the political situation—the
supporters: he wondered why the Roman people had not, upon hearing
growing and heightened partisanship—in America?
of Caesar’s death, installed him as the new Dictator?
Clarke’s interest was not so much in exploiting issues to do with how
So, were the assassins of Caesar of one mind, or was Brutus using
we account for the intentions of the conspirators. Rather, if we were to
their Republican sympathies in order to advance his own goals? The
accept that most rivals to conspiracy theories are situational in character,
conspirators worked together to achieve one end (the death of Julius
this would be grounds for a general scepticism of conspiracy theories8.
Caesar) but given what we know of Brutus’ own intentions, were they
Yet any explanation of a given event might be an example of both an
really all of the same mind?
intentional explanation and a situational one9. As such, whilst it might
Take, for example, the various 9/11 Inside Job hypotheses which
seem easier to talk about situations than inferring the intentions of
claim that the Twin Towers were brought down by a controlled
secretive agents, this is not grounds to think that situational
demolition. For such a hypothesis to be a conspiracy theory we need
explanations exclude intentional aspects.
there to be conspirators but we do not need everyone involved in bringing the plot to fruition to be a willing accomplice to the crime.
3. Are conspirators of one mind?
Whilst some set of people had to formulate the plan and work out the
Of course, if we are going to talk about the collective intentions of
logistics of planting the explosives in WTC buildings 1 and 2, the
conspirators we should ask whether we should consider conspirators to
people who carried out the preliminary survey work of the towers
65
Quaderni della Ginestra
superstructure may well have been working for the conspirators (and
the corporation could control who would be blamed for it.
thus, in some sense, involved in the conspiracy) but were not knowingly involved in the conspiracy.
The Volkswagen Emissions Scandal of 2015 is an example of what Martin Orr and myself call a “monolithic” conspiracy10. A monolithic
Indeed, this is a feature easily exploited by the clever conspirator,
conspiracy is one where the conspirators are in a good position to
because what way is easier to keep your conspiracy secret than by
control the flow of information about their activities because of the
restricting who knows about what you are doing? That is, given the
nature of the conspiracy’s singular and shared governance. That is, the
hierarchical nature of much governance, and the doctrine of ’Need to
conspirators in a monolithic conspiracy conceivably can keep their
know’ it is likely that much conspiratorial activity is top down in nature;
activities secret because of the monolithic nature of their control over
the conspiracy is formulated at the top but actioned by the people
it.
working in middle and lower parts of the organisation. So who knows
Compare, then, a monolithic conspiracy with one involving actors in
what, how much, and who is in or out of the conspiracy will be the
multiple organisations, none of which have any shared governance.
result of decisions made by the conspirators at the top, reflecting the
That is, imagine a conspiracy in which the conspirators must not only
social and organisational setting in which their plot takes place.
manage their activity but must find some way to manage the members of other organisations as well. This is what we might call a “diverse”
4. Conspirators, dupes, and patsies
conspiracy. Some of the 9/11 Inside Job hypotheses fit this diverse
In 2015 it turned out that the Volkswagen corporation had systemi-
type, given the conspirators must find a way to manage the various
cally conspired to make their diesel cars pass environmental tests using
janitorial staff, guards, and building crews in order to cover up the fact
cheat devices, in order to get government subsidies.
that they planted the demolition charges to bring down the Twin
Volkswagen is a hierarchical institution. It was (relatively) easy for the
Towers.
executives in the corporation to control who knew about the cheating
In the case of a monolithic conspiracy, the conspirators will have an
devices, whilst also ensuring that once news about the cheating broke
easier (not to say necessarily easy) time controlling the flow of
66
Filosofia e collettività
information about the existence of the conspiracy, because they are
polities in which we live if they turn out to exist. Yet many
dealing with a limited set of people who are already invested in what
commonplace conspiracies which happen in our daily lives are
they intend to do. However, in the case of a diverse conspiracy, the
undertaken by friends, family members, or acquaintances, and may
conspirators must also manage the other participants so that they either
typically involve only a few people.
do not work out what they are participating in, or—if they do work it out—control what they subsequently say.
Why is this important? Well, in an earlier work I argued that our knowledge of the past incidence of conspiratorial activity in society
Monolithic conspiracies imply that the participants in the conspiracy
informs our judgements about the likelihood of conspiracies here-and-
are—for the most part—of one mind. Diverse conspiracies, however,
now11. Yet the kinds of conspiracies which might inform out
are cases where at least some of the participants are not of one mind
judgements about how likely conspiracies are day-to-day are likely to be
because they are not aware of what the orchestrators of the conspiracy
of the monolithic type. That is, the commonplace conspiracies which
intend. That is, in a diverse conspiracy the result of the activity is the
we use to inform our judgements about the likelihood of conspiracies
product of a collection of agents of which only some share the same
generally will be monolithic, and that raises the question of whether
intentions. That is, it is easier to intend to control a monolithic
knowing about the incidence of monolithic conspiracies informs our
conspiracy than it is to control a diverse one.
judgements about the incidence of diverse conspiracies?
Most of the conspiracy theories we tend to be interested in are
After all, some members of the conspiracy will not be conspirators.
political in nature, and often imply that a smaller (relative to the overall
Rather, they will be lackeys, patsies, or useful idiots. The fact
number of operatives) set of conspirators controls some greater set of
conspiracies can be diverse is important because whilst in the
actors. That is, they are typically diverse.
monolithic case it is relatively easy to attribute a collective intention to
Yet these political conspiracy theories likely only spike our interest because they have a certain salience; we tend to be concerned about the possibility of political conspiracies because of the potential harm to the
67
the conspirators, in the diverse case we encounter some interesting boundary issues, if not outright problems. It would be easy, then, to say that commonplace conspiratorial
Quaderni della Ginestra
activity (like the organising of a surprise birthday party) does not
hold anyone morally responsible for the conspiracy, it will be the
inform our judgements about political conspiracies. Indeed, this is a
conspirators, and not the patsies or dupes who are being controlled or
standard response in the literature: proponents of this view will simply
manipulated. In that respect we want to talk about the conspirators’
reject the idea that commonplace activity that fits the definition of
intentions, rather than the intentions of the larger set of diverse actors
something be a conspiracy—multiple agents working in secret towards
who are participating in the conspiracy.
some end—counts as conspiratorial. This is because what counts as the
Yet this might speak to a problem with the idea of the distinction
subject of a conspiracy theory will have certain characteristics, like being
itself. A group of friends conspiring to organise a surprise birthday
political, sinister in nature, and the like. I have argued against that
(ostensibly a monolithic conspiracy-like, if not outright conspiracy) may
position in numerous places, arguing that such a position mistakes
very well hire out a room to hold that party (thus involving a third
saliency for conceptual analysis12). However, the way I have presented
party), or even employ caterers to supply the food. Does this not make
the problem in this paper is a more sophisticated version of that
the conspiracy diverse, given that any of these participants might
argument against conspiracy theories generally. This revised argument
inadvertently reveal the existence of the party to the target of the
rests upon recognising that the attribution of collective intentionality
conspiracy?
gets complex as soon as you have to not only manage yourselves but also those who are (perhaps unwittingly) working for you.
One reply to this objection is to say that diversity only counts if a) the members of the wider participants would—if they became aware
We might, then, be tempted to reject the distinction, and say that
they were involved in a conspiracy—be troubled by their participation
there is nothing to it. Yet when it comes to talk of collective
or b) the fact they are told “This is a secret” makes them complicit in
intentionality with respect to conspiracies, it seems that there is
the conspiracy after all.
something to the distinction between those which are monolithic and those that are diverse. In the case of a diverse conspiracy, it seems that if we are going to
Conspiracies are, after all, made of different parts and varying levels of complicity or knowledge; the notion of just how involved people are in the conspiracy differs from case-to-case. Where a conspiracy is
68
Filosofia e collettività
monolithic in nature all the conspirators are, to some extent, aware of
simply a case of someone saying “I was just following orders.”
their role, whilst in the case of the diverse conspiracy some participants
After all, ignoring Brutus’ end goal may well have served the other
crucial to the attaining of the core set of conspirators intended end may
conspirators, but even if the assassins had not been run out of Rome
well be dupes, or patsies.
(ultimately because they misjudged the mood of the Roman people
Perhaps Servilius Casca and Cassius Longinus knew of Brutus’
towards Caesar), there is no guarantee Brutus would have achieved his
personal ambition, but justified ignoring it because they hoped either
intended end anyway. The existence of other intentions does not render
Brutus would see sense, or that he would be controlled by the other
what they did collectively any less conspiratorial14. This is, I think, an
conspirators. That is, they—as I have previously termed it—might have
interesting consequence to a certain type of conspiratorial activity,
engaged in ‘doublethinking’13.
because it shows that it has a special character when compared to other
Doublethinking is of real historical and political significance. For example, the political actors who doctored the dossier about the alleged
types of collective activity; not every participant in the conspiracy will necessarily know what the conspirators intend.
Weapons of Mass Destruction in Iraq back in 2003 may not have been
If there is utility to the distinction between a conspiracy being
consciously lying, even though some of them knew that what they were
monolithic or diverse, it is how it informs our judgements about belief
claiming was shaky, even possibly false. For the purposes of our
in the existence of conspiracies generally. Even if we admit that diverse
discussion here, doublethinking allows people who might realise they
conspiracies are harder to maintain, or explain with respect to the
are part of some grander plot to also think that they are not complicit
intentions of the conspirators, knowing about monolithic conspiracies
in it. That is, they might well be working for the conspiracy but do not
still tells us people conspire routinely (as I have argued elsewhere15).
feel that they are properly participating in it because they do not share the
Diverse conspiracies might be—in some sense—harder to explain with
same intentions as the conspirators. Yet even if we accept this kind of
respect to the intentions of the overall set of participants, but this is, as
reasoning, this does not provide any moral justification for not being
we have seen, not an insurmountable problem.
responsible for the resulting action. Otherwise what we have here is
69
Quaderni della Ginestra
Conclusion
theory theories.
As I warned at the beginning of this paper, I do not pretend to present a particularly novel thesis of either intentionality or collective ac-
M.R.X. DENTITH
tion. Instead, I am interested in exposing the interesting aspects of intentions and collective action in conspiratorial activity. Talk of intentions can be a tricky business, and talk of secret intentions of a collection of agents even more-so. Given conspiracy theories do not just refer to the intentions of individuals intending some end but a collection of agents intending some end, it is easy to understand why we might be cautious talking about such theories. My argument, though, is that the presumed problems with talk of conspiracy theories as explanations which make reference to the intentions of collections of conspirators are problems common to explanations of any kind of collective activity. Indeed, the benefit of framing some of this talk with reference to conspiracy
theories
(and
thus
putative
conspiracies)
See for example: L. Basham, Joining the Conspiracy, “Argumenta”, Early Access, pp. 121, https://doi.org/10.23811/55.arg2017.bas; D. Coady, What to Believe Now: Applying Epistemology to Contemporary Issues, Chichester (West Sussex), Wiley-Blackwell 2012; C.R. Pigden, Are Conspiracy Theorists Epistemically Vicious?, in D. Coady, K. Brownlee, K. Lipper-Rasmussen, eds., A Companion to Applied Philosophy, John Wiley & Sons, Ltd, Chichester 2016, pp. 120-132, https://doi.org/10.1002/9781118869109.ch9; M.R.X. Dentith, Brian L. Keeley, The Applied Epistemology of Conspiracy Theories in D. Coady, J. Chase, eds., The Routledge Handbook of Applied Epistemology, Routledge, in press; M.R.X. Dentith, Expertise and Conspiracy Theories, “Social Epistemology”, Early Access, pp. 113, https://doi.org/10.1080/02691728.2018.1440021. 2 In that conspirators might not necessarily achieve their desired end 3 Although this is increasingly disputed outside of Philosophy; see, for example: M.J. Wood, Some Dare Call It Conspiracy: Labeling Something a Conspiracy Theory Does Not Reduce Belief in It, “Political Psychology”, 37, 5, 2016, pp. 695-705, https://doi.org/10.1111/pops.12285; M. Orr, G. Husting, Dangerous Machinery: ‘Conspiracy Theorist’ as a Transpersonal Strategy of Exclusion, “Symbolic Interaction”, 30, 2, 2007, pp. 127-150, https://doi.org/10.1525/si.2007.30.2.127. 4 Which is to say, we trust that they are not post facto explanations written to justify their acts after the fact. 5 This is not the entire story, however. As I have argued elsewhere, conspiracy theorists use a range of different kinds of evidence to show it is reasonable to suspect the existence of a conspiracy (M.R.X. Dentith, Conspiracy Theories on the Basis of the Evidence, “Synthese”, Early Access, pp. 1-19, https://doi.org/10.1007/s11229-0171532-7) and this evidence can then be used—in a range of cases—to show that inferring to a conspiracy theory can turn out to be the best explanation (M.R.X. Dentith, When Inferring to a Conspiracy Might Be the Best Explanation, “Social Epistemology”, 30, 5-6, 2016, pp. 572-591, https://doi.org/10.1080/02691728.2016.1172362). 6 S. Clarke, Conspiracy Theories and Conspiracy Theorizing, “Philosophy of the Social Sciences”. 32, 2, 2002, pp. 131-150, https://doi.org/10.1177/004931032002001. 1
is
that
conspiratorial activity is a very special kind of collective action, with an interesting demarcation between what the conspirators intend and what the participants of the conspiratorial action know. It is my hope that some of what I have written will inspire future work on the topic looking into the wonderful world of conspiracy theories and conspiracy
70
Filosofia e collettività
D. Coady, An Introduction to the Philosophical Debate About Conspiracy Theories, in D. Coady, ed., Conspiracy Theories: The Philosophical Debate, Hampshire (England), Ashgate, 2006, p. 8. 8 D. Clarke, Conspiracy Theories and Conspiracy Theorizing. 9 In more recent work Clarke has somewhat conceded this point, arguing that our suspicion of conspiracy theories is to do with the psychology of what constitutes belief in them rather than a problem with conspiracy theories as a kind of explanations. I have critiqued his follow-up argument elsewhere; see, for example: M.R.X. Dentith, The Problem of Conspiracism, “Argumenta”, Early Access, pp. 1-17, https://doi.org/10.23811/58.arg2017.den. 10 M.R.X. Dentith, M. Orr, Secrecy and Conspiracy, “Episteme”, Early Access, pp. 1-18, https://doi.org/10.1017/epi.2017.9. 11 M.R.X. Dentith, When Inferring to a Conspiracy Might Be the Best Explanation. See also: L. Basham, Conspiracy Theory and Rationality, in C. Jensen, R. Harré, eds., Beyond Rationality, Cambridge Scholars Publishing, Newcastle on Tyne 2011, pp. 49-87. 12 M.R.X. Dentith, The Philosophy of Conspiracy Theories, Palgrave Macmillan, London 2014, https://doi.org/10.1057/9781137363169. 13 Ibid. 14 Indeed, it suggests the existence of a conspiracy within the conspiracy. 15 M.R.X. Dentith, When Inferring to a Conspiracy Might Be the Best Explanation. 7
71
Quaderni della Ginestra
INTELLIGENZA DI GRUPPO E SISTEMI MULTI-AGENTE*
rispondere ad alcune delle maggiori critiche mosse all’intelligenza artificiale classica, che puntavano soprattutto alla mancanza di
1.
L
Introduzione
‘incorporazione’ in un ambiente fisico, reale e interattivo dei programmi
’applicazione di una cornice teorica collettivistica all’ontologia
‘intelligenti’1. Fino agli anni ’70 del secolo scorso, il modello di macchina
sociale implica un cambiamento di paradigma nella teoria
intelligente rispecchia quelli che sono i parametri richiesti dal celebre
dell’azione: in un sistema multi-agente, ogni individuo porta a termine
Test di Turing: un programma, per essere ritenuto intelligente,
azioni delimitate e contestuali in relazione agli stimoli ambientali
dev’essere in grado di far credere a un osservatore umano, attraverso i
continuamente modificati dagli altri agenti del gruppo; le regole e le
suoi comportamenti (es. risposte accettabili a domande di tipo generico
strutture che compongono l’ontologia sociale ‘emergono’, dunque, da
su pratiche umane, del tipo: “Ti piace giocare a tennis?”)2, di essere
una continua ‘manipolazione semiotica’ dell’ ‘ambiente di lavoro’ in cui i
anch’esso un agente umano. L’attenzione si concentra, quindi, sulla
membri di una comunità agiscono. In questo senso, una comunità si
progettazione di una macchina che, individualmente, possa agire in
auto-struttura e agisce come una ‘mente’ collettiva.
maniera intelligente. A questo proposito si parla di ‘sistemi esperti’,
L’obiettivo del presente articolo è, quindi, quello di difendere
agenti artificiali (calcolatori) in grado di riprodurre individualmente
l’esistenza di una fondamentale continuità di meccanismi semiotici che
competenze tecniche specifiche. È negli anni ’80 che cambia il
regolano l’attività di un’intelligenza collettiva, strutturata come un
paradigma: si riconosce ora che l’intelligenza «non è una caratteristica
sistema multi-agente, sia essa di tipo biologico o artificiale: le regole
individuale, che possiamo separare dal contesto sociale nel quale si
emergenti permettono alla comunità degli individui di auto-organizzarsi
esprime»3. Un agente individuale sviluppa le sue capacità cognitive in
e guidano il comportamento dei singoli agenti.
relazione ai suoi simili, che lo circondano e con i quali interagisce; l’intelligenza non è un ‘programma innato’ con base genetica: «gli altri
1.1. Che cos’è un sistema multi-agente.
sono indispensabili al nostro sviluppo cognitivo e ciò che chiamiamo
Il concetto di ‘sistema multi-agente’ si sviluppa in informatica per
‘intelligenza’ è nella stessa misura dovuto alle basi genetiche che
72
Filosofia e collettività
definiscono la nostra struttura neuronale che alle ‘interazioni’ [virgolette
sistemico classico, è proprio l’accento messo sul fatto che l’emergenza
mie] che possiamo avere con il mondo che ci circonda e, in particolare,
dell’organizzazione e la sua struttura complessiva si devono ad ‘azioni e
con la società umana»4. Sono gli anni in cui si fa strada l’approccio
interazioni locali’ tra gli agenti del sistema. Di esso, il programmatore
ecologico proposto e difeso da James J. Gibson5: soggetto e oggetto
conosce solo le ‘condizioni di base’, le regole fondamentali delle
sono ‘localizzati’ in un ambiente, che non è più un contenitore neutro,
interazioni locali, ma ignora le sue future evoluzioni, che seguono le
ma influenza e dirige in maniera profonda le dinamiche cognitive del
dinamiche dei sistemi caotici e sono in gran parte impredicibili8.
soggetto agente. Così, il concetto di sistema multi-agente cerca di
Cos’è dunque un ‘agente’ in questo sistema? Bene, esso è un entità
introdurre in informatica il tema dell’intelligenza come frutto delle
«capace di agire in un ambiente, [… di] comunicare direttamente con
interazioni fra più agenti localizzati in un ambiente, creando
altri agenti»9, un’entità in parte autonoma «che non dispone che di una rappresentazione parziale [del suo] ambiente, che possiede competenze
«un insieme di entità in interazione, essendo ogni entità definita ‘in maniera
e offre servizî, che può eventualmente riprodursi, il cui comportamento
locale’ senza visione globale dettagliata di tutte le azioni del sistema. […]
‘tende a soddisfare i suoi obiettivi’ [virgolette mie]»10. L’agente non ha
passiamo dalla nozione di ‘programma’ a quella di ‘organizzazione’ [virgolette
dunque una visione sistemica, ma parziale, localizzata, limitata al
mie]»6.
raggiungimento dei suoi obiettivi personali. Esso si muove in uno ‘spazio di lavoro’, l’ambiente che condivide con i suoi simili e nel quale
Dobbiamo quindi pensare a un sistema dove la coordinazione delle
cerca di raggiungere i suoi obiettivi, trovando risposte opportune agli
parti emerge «da un’interazione tra entità relativamente autonome e
ostacoli che vi si frappongono. Il sistema multi-agente si compone,
indipendenti, chiamate agenti, che lavorano in seno a delle comunità,
dunque, di uno spazio di lavoro (che ne rappresenta, in un certo senso,
secondo dei modi talora complessi di cooperazione, di conflitto o
lo ‘scheletro’); degli agenti che in esso si muovono (e che ne
7
concorrenza, per sopravvivere e perpetuarsi» . Ciò che caratterizza e
rappresentano, nel complesso, la parte attiva) e di un insieme di ‘oggetti’,
differenzia, quindi, l’approccio dei sistemi multi-agente da un approccio
i quali «sono passivi, cioè possono essere percepiti, creati, distrutti e
73
Quaderni della Ginestra
modificati dagli agenti»11. Bisognerebbe pensare a questi manipulanda
contenuta nello stesso ‘spazio di lavoro’: nessun agente si rappresenta il
come a delle strutture di mattoncini Lego, componibili e manipolabili
sistema globale, nella totalità delle sue dinamiche. Ogni agente possiede
illimitatamente. O meglio, i ‘limiti’ di ciò che può o non può essere fatto
una visione parziale e limitata, ‘locale’. Da dove prende, quindi, le
li stabiliscono gli stessi agenti, costruendo e distruggendo strutture,
informazioni necessarie a coordinarsi con gli altri agenti del sistema? Le
modificando la conformazione dello spazio di lavoro: ogni nuova
riceve dallo stesso spazio di lavoro in cui agisce. Le informazioni sono
struttura offre nuove e diverse affordance12, nuovi significati pratici che
veri e proprî stimoli fisici, affordance, significati pratici (cosa posso o non
rappresentano, in quanto stimoli a delle risposte, delle vere e proprie
posso fare in un contesto specifico) generalmente ‘impliciti’ nella
‘condizioni’ per le azioni che di volta in volta intraprendono i singoli
struttura dell’ambiente in cui l’agente opera: se un agente A costruisce
agenti che compongono il sistema.
un muro nello spazio di lavoro, esso costituirà un ostacolo perché l’agente B si muova in una certa direzione. L’informazione “da qui non
1.2. Perché un sistema multi-agente.
puoi passare” è contenuta, per B, nella stessa struttura dello spazio in
Il concetto di sistema multi-agente nasce, come evidenziato in § 1.1,
cui si muove, senza alcuna necessità che essa sia negoziata con A.
in un contesto tecnico e in un periodo storico molto specifici:
In un sistema multi-agente l’informazione è, dunque, spaziale, situata
l’informatica dei sistemi complessi e bio-ispirati degli anni ’80 e ’90 del
e ‘contestuale’: ovviamente, l’informazione “da qui non puoi passare”
secolo scorso. Perché, allora, utilizzare oggi questo paradigma per
esiste solo per B e solo nel caso in cui B si stia dirigendo contro
comprendere l’intelligenza di gruppo? La risposta è che, per le sue
l’oggetto ‘muro’ costruito da A, mentre per A quello stesso oggetto
caratteristiche strutturali, si presenta come un paradigma esplicativo che
‘muro’ è un ‘mezzo’ (e non un ostacolo!) per raggiungere il suo obiettivo
permette di non ricorrere all’intenzionalità individuale nel disegno, nella
locale: le affordance del medesimo oggetto ‘muro’ sono differenti
progettazione dello sviluppo, di una comunità. Non implica una
(contengono un’ ‘informazione’ differente) per A e per B.
‘costruzione cosciente’, negoziata, delle regole da parte degli agenti. Innanzitutto, in un sistema multi-agente l’informazione cognitiva è
Ancora, il sistema multi-agente rappresenta un caso particolare di ‘memoria distribuita’ (scilicet, nello spazio di lavoro): nessun agente
74
Filosofia e collettività
ricorda o progetta lunghe sequenze di azioni pensandole in un contesto,
mattoncino da più di n-minuti, depositalo”. Gli agenti inizieranno a
piuttosto ognuno degli agenti del sistema ‘lascia traccia’ della sua azione
raccogliere mattoncini e raggrupparli in differenti punti dello spazio (X,
modificando l’ambiente in cui agisce.
Y, Z …) fino a che un cumulo più grande (X) non verrà riconosciuto
La memoria distribuita (nello spazio di lavoro) del sistema è allora
come il deposito adeguato e gli altri cumuli (Y e Z) come mattoncini
costituita dall’insieme di tali tracce che ogni agente, localmente, produce.
‘sparsi’ nello spazio di lavoro. La regola “raccogli i mattoncini nel punto
Non esiste un centro nevralgico, una CPU che raccoglie informazioni e
X” è emergente. Non solo: è la stessa conformazione dello spazio di
le gestisce in maniera centralizzata per progettare lo sviluppo del
lavoro a rendere X un ‘indice’ (semioticamente parlando) del deposito
sistema, piuttosto tutte le informazioni di cui dispone il sistema si
corretto e a retroagire sulle risposte di A, B, C e D, dirigendo il loro
trovano in uno spazio esterno, un ambiente fisicamente ‘accessibile a
comportamento.
tutti gli agenti’ che formano parte del sistema considerato. Ogni risposta allo stimolo, ogni traccia, costituisce una sorta di ‘exogramma’13, un
2.
registro esterno di memoria che si pone come nuova condizione per le
Ora, se è chiaro che l’ambiente non è neutro per un agente ma, al
azioni future.
Lo spazio di lavoro come spazio adattativo: l’esempio della nicchia ecologica.
contrario, retroagisce attivamente sul suo comportamento, neppure
In questo senso, le regole particolari di cooperazione/competizione
l’agente è neutro per lo spazio che lo circonda. Piuttosto, ogni agente
tra gli agenti del sistema sono ‘emergenti’: immaginiamo per esempio un
cerca di ‘adattare’ lo spazio in cui lavora per un migliore e più facile
sistema in cui gli agenti A, B, C e D hanno (ognuno per proprio conto)
raggiungimento dei suoi obiettivi. David Kirsh, in un suo celebre
l’obiettivo di ordinare dei mattoncini sparsi nello spazio di lavoro,
articolo, nota che «un essere vivente ha almeno tre strategie logicamente
radunandoli tutti in un unico punto. A ognuno di essi si forniscono le
distinte per migliorare la sua fitness [ossia, adeguatezza]. Può adattarsi
seguenti regole di base (il ‘programma genetico’): 1) “quando trovi un
all’ambiente, può migrare verso nuovi spazî, o adattare l’ambiente stesso»14.
mattoncino, raccoglilo”; 2) “se stai trasportando un mattoncino e ne
Gli agenti che abitano uno spazio specifico, non si limitano quindi a
trovi un altro, depositalo in quel punto”; 3) “se stai trasportando un
reagire in maniera automatica e passiva, semplicemente adattandosi agli
75
Quaderni della Ginestra
stimoli che questo offre, piuttosto essi sviluppano strategie di
«Nella riprogettazione dell’ambiente, l’animale rimane nella stessa regione
‘riprogettazione’ del proprio ambiente per renderlo così più congeniale
geografica ed è esso stesso responsabile per i cambiamenti nell’ambiente.
ai proprî scopi, perché è evidente che «gli esseri viventi con un qualche
L’ambiente globale non offre all’animale un ventaglio di habitat preesistenti,
controllo attivo sulla conformazione del proprio ambiente avranno un
differenti per aspetti salienti, tra i quali l’animale [ossia l’agente]
vantaggio adattativo su quelli che possono adattarsi solo passivamente alle strutture ambientali esistenti»15. Riprogettare l’ambiente non significa semplicemente cambiarne l’aspetto fisico: abbiamo già detto che la struttura fisica dell’ambiente contiene informazioni implicite su come servirsene; essa è caratterizzata da delle affordance differenti per ciascun agente che lo percorre. Così, una parete liscia è un ostacolo per un gatto che la vuole scalare, mentre costituisce una normale ‘superficie calpestabile’ per un ragno. Tenendo presente quanto detto, risulta evidente come modificare ‘fisicamente’ un ambiente significa cambiarne anche le affordance, cioè il suo grado di ‘utilizzabilità’ per un agente o un altro differente. Rendere più facile un obiettivo da raggiungere implicherà quindi, per l’agente, una ‘modificazione fisica’ dello spazio circostante: se A deve raggiungere l’oggetto X che si trova dall’altro lato di un fiume, costruire un ponte che lo attraversa non cambia solo l’aspetto fisico dell’ambiente, ma ‘la natura stessa del compito’ che A deve portare a termine. Riassumendo:
successivamente sceglie. Piuttosto, ‘l’animale stesso crea attivamente i cambiamenti a partire da un ambiente diverso preesistente’ [virgolette mie]»16.
Perciò un habitat non è semplicemente selettivo, ma adattativo: in esso gli ostacoli selettivi ‘non sono fissi’; al contrario, gli agenti che vi operano li modificano continuamente, producendo una nicchia ecologica che è loro congeniale. Ma i cambiamenti che ogni agente apporta all’habitat (allo ‘spazio di lavoro’) costruendo la sua nicchia ecologica, modificano gli ostacoli selettivi degli altri agenti che lo condividono: per esempio, la diga che un castoro costruisce modifica gli ostacoli selettivi per i pesci del corso d’acqua. Essa è una traccia lasciata da un agente che ‘indica’ cosa ‘si può fare’ ad altri agenti del sistema. In questo senso lo spazio di lavoro di un sistema multi-agente, dev’essere inteso come uno spazio adattativo in cui ogni agente lavora per costruire, con le sue azioni locali, la propria ‘nicchia ecologica’, modificandone
gli
indici
e
influenzando
‘indirettamente’
il
comportamento degli altri agenti del sistema.
76
Filosofia e collettività
3.
Agenti ecologici e regole emergenti: stigmergia e retro-azione.
globale di ciò che gli sta accadendo tutt’attorno, possano produrre
Parliamo quindi di agenti ‘situati’ in una nicchia ecologica: tra agente
risposte cognitivamente complesse? Trovò una soluzione osservando il
e nicchia si sviluppa una dinamica di mutua influenza. Parafrasando
comportamento di una colonia di termiti: ogni volta che un agente
Kirsh, essi si ‘riprogettano’ a vicenda. Ma quale meccanismo può
completava un compito, produceva cambiamenti nella ‘struttura dello
spiegare la riprogettazione dell’ambiente, l’emergenza di strutture di
spazio di lavoro’ condiviso con altri agenti; cioè, egli stava cambiando le
informazioni, la stessa coordinazione indiretta tra gli agenti, attraverso la
affordance dell’ambiente, i suoi significati pratici; lasciava degli ‘indici’
mediazione dello ‘spazio di lavoro’? Un concetto adeguato è già stato
disponibili nello ‘spazio di lavoro’.
coniato nello studio delle cosiddette ‘intelligenze di sciame’, cioè delle
In questo senso, lo spazio di lavoro condiviso da tutti gli agenti del
abilità cognitive caratteristiche di branchi, stormi, banchi di pesci, ma in
sistema multi-agente dev’essere inteso come la ‘nicchia’ in cui essi
maniera più evidente e profonda degli insetti sociali: si tratta della
vivono, lo spazio ecologico che essi costruiscono collettivamente
‘stigmergia’.
scaricandovi molte informazioni implicite. La stigmergia può, quindi,
La stigmergia è generalmente definita come «un meccanismo di coordinazione tra azioni, mediato e indiretto, in cui la traccia di
essere definita come la dinamica di base di ogni teoria della ‘costruzione della nicchia’, considerando che
un’azione lasciata in un mezzo stimola l’esecuzione di un’azione susseguente»17.
ergon
«La prospettiva della costruzione della nicchia […] si oppone alla
(lavoro/opera), si tratta di un termine tecnico originalmente sviluppato
prospettiva convenzionale [sull’evoluzione e selezione delle specie] mettendo
in uno specifico ramo della biologia, dall’entomologo Pierre-Paul
l’enfasi sulla capacità degli organismi di modificare gli stati ambientali. […]
Grassé18. Egli plasmò questo concetto come una risposta al cosiddetto
Facendo ciò, ‘gli organismi co-dirigono la propria evoluzione’ [virgolette mie],
Composto
di
stigma
(stimolo/segno)
ed
‘paradosso della coordinazione’ che caratterizza il comportamento cooperativo degli insetti sociali19, cioè: com’è possibile che individui la cui intelligenza è estremamente limitata, che non possiedono alcuna idea
77
spesso ma non esclusivamente in un modo che è adatto ai proprî genotipi, modificando nel processo quegli schemi di selezione che retroagiscono su essi stessi come anche sulle altre specie che abitano il loro ambiente»20.
Quaderni della Ginestra
Quindi, riassumendo, il principio fondamentale della stigmergia
condividendo quel mezzo, rendendo possibile in questo modo una
afferma che il lavoro prodotto da un ‘agente’ in un ‘mezzo’ lascia una
comunicazione indiretta tra di essi. Quindi, la traccia è una conseguenza
‘traccia’ che stimola un’attività susseguente da parte dello stesso agente
di un’azione e perciò contiene dell’informazione a proposito di essa, che
o di uno differente che condivide il medesimo mezzo. Ciò implica un
può essere resa esplicita attraverso un’ ‘abduzione’: la traccia è, nella
ciclo retroattivo tra lo ‘stimolo/segno’ ↔ ‘lavoro’; una condizione
prospettiva individuale dell’agente, un ostacolo, una ‘sfida cognitiva’ che
implica un’azione che modifica quella stessa condizione, producendo
deve superare per raggiungere il suo obiettivo locale.
una nuova azione (condizione → azione → condizione1 → azione1…).
In questo contesto, bisogna notare che ci sono due generi
Seguendo questo principio viene naturale descrivere la stigmergia come
fondamentali di stigmergia, che possiamo distinguere in termini del tipo
un tipo di cognizione situata e distribuita21: la comunicazione tra gli
di segno usato per comunicare: uno è chiamato ‘stigmergia
agenti è mediata dall’ambiente, ovvero il ‘mezzo’. In questo senso è
sematettonica’22, mentre l’altro è la ‘stigmergia basata su marcatori’23. Il
importante notare che la traccia ‘stimola’ l’azione, non la ‘determina’;
primo si riferisce alla trasmissione di significato attraverso le ‘strutture’
essa rende una risposta più probabile, ma non necessaria. Più forte ed
modellate nel ‘mezzo’: per esempio, aprire un sentiero di foraggiamento
evidente è la traccia, più è probabile che essa ottenga una risposta
indica una pista da seguire, mentre un cumulo indica un punto di
corrispondente. Per far sì che questo meccanismo produca una
deposito; dall’altro lato, la stigmergia basata su marcatori è caratterizzata
coordinazione effettiva, il mezzo dev’essere accessibile, e quindi
da un’informazione più puntuale e precisa che rivela una caratteristica
‘modificabile’, per ognuno degli agenti implicati.
‘simbolica’: due esempi concreti sono il rilascio di feromoni per
L’immagine che otteniamo è quella di un sistema per la cognizione
segnalare, per esempio, un’importante fonte di foraggiamento (più è
distribuita massicciamente ‘parallelo’: ogni agente porta a termine
forte la traccia di feromone più è probabile che un agente reagisca) o,
computazioni individuali che producono un effetto nel mezzo mentre
nel caso delle formiche, rilasciare acido formico segnala un pericolo, un
egli sta cercando di raggiungere il suo obiettivo locale, una ‘traccia’ che,
attacco. Quest’ultimo esempio è particolarmente interessante per
come effetto collaterale, è un ‘indizio’ per gli agenti che stanno
spiegare lo sviluppo di una funzione simbolica attraverso la selezione
78
Filosofia e collettività
naturale di un algoritmo efficiente come ‘nemico’ → ‘acido formico’:
Se la nicchia ecologica è uno spazio di affordance e indici (ossia, di
Edward Wilson e Bert Hölldobler24 hanno rimarcato come, da una
segni), di ‘strutture adeguate’ che un agente si costruisce nel suo
spontanea e ripetuta azione di difesa (il getto d’acido) di fronte al
ecosistema di modo che gli sia più congeniale, di modo che gli riesca in
pericolo, quella secrezione chimica ha ottenuto un valore simbolico
esso più facile raggiungere i suoi obiettivi locali, la nicchia sociale e la
fortemente legato all’informazione “c’è un nemico là fuori”. Perciò,
nicchia culturale, al pari della nicchia ecologica, saranno allora sistemi di
Francis Heylighen25 ha notato come, in termini peirciani, possiamo
segni (cioè, ‘sistemi semiotici’), in cui le strutture emergenti, cariche di
definire il primo caso sematettonico come un tipo di comunicazione
informazioni implicite, sono proprio le regole del comportamento
indiretta attraverso indici, mentre nel secondo caso, basato su marcatori,
collettivo (le leggi) e le pratiche della cultura (i riti).
possiamo parlare di comunicazione simbolica. Ciò perché nel primo
Nel caso degli esseri umani, nicchia ecologica, sociale e culturale
caso il segno consiste in un’indicazione consequenziale, implicita nello
sono contigue e interrelate: per esempio la città è un ‘ambiente fisico’,
stato fisico del mezzo, mentre nel secondo caso la connessione
uno spazio modificato e strutturato, però è anche il luogo della vita
semantica è basata sulla relazione tra un marcatore e uno stato di cose
associata e cooperativa: una piazza non è solo uno spazio aperto, ma
stabilito da un agente attraverso il continuo uso di esso.
anche ‘un luogo di incontro’; ancora, le strutture della città possono
Tenendo presente che la stigmergia è effettivamente un’ingegnosa
avere un significato secondo, ‘simbolico’, e in ciò rappresentano una
etichetta per definire ogni dinamica in cui un’azione è stimolata da un
nicchia culturale: una casa non è solo un ‘rifugio’, ma anche un
segno e ogni risposta è, più o meno, eterodiretta dall’informazione
‘focolare’.
esterna distribuita nell’ambiente, la principale caratteristica di un sistema
In effetti, «la costruzione della nicchia umana, attraverso la
stigmergico sembra essere proprio ‘il ruolo dei segni’ nella cognizione
modificazione dell’ambiente, crea ‘artefatti’ [virgolette mie] e altre
distribuita degli agenti.
risorse ecologicamente ereditate che non soltanto agiscono come fonti di selezione biologica sui geni umani […] ma facilitano anche
4.
79
Nicchia sociale e nicchia culturale: due sistemi semiotici.
l’apprendimento e mediano le tradizioni culturali»26. Dobbiamo
Quaderni della Ginestra
considerare tali artefatti come i ‘segni’ che mediano la comunicazione
direttamente uno stato di cose, una relazione (spesso causale), per
indiretta, la stigmergia, tra gli agenti di una stessa nicchia culturale (lo
esempio l’impronta di un piede sulla sabbia è indice dell’uomo che ci ha
‘spazio di lavoro’ che stiamo considerando) intesa, quindi, come un
camminato sopra alcuni minuti prima; il suo valore semiotico non è
sistema semiotico.
relativo ad alcun soggetto particolare, ma direttamente dipendente dallo 27
Come ha già osservato en passant Francis Heylighen , possiamo usare
stato di cose che rappresenta. Infine, un simbolo è un tipo di segno che
una terminologia peirciana per distinguere tra stigmergia sematettonica e
media una relazione semiotica tra il referente e l’interprete, in ragione di
quella basata su marcatori (cfr. supra, § 3), rispettivamente per mezzo di
una associazione stabile tra il simbolo e il referente, basata su di un abito
‘indici’ e ‘simboli’. Tuttavia, credo che questa piccola intuizione sul
acquisito dall’interprete.
carattere semiotico della stigmergia ci suggerisca un elemento
Una volta considerato questo contesto, è facile capire in che senso,
importante: la cornice semiotica può farci superare il divario tra la
nel caso della stigmergia di tipo ‘formica’, aprire un cammino di
stigmergia umana e quella non umana. Ciò che cambia non è il
foraggiamento ‘indica’ una pista da seguire, mentre un cumulo ‘indica’
‘meccanismo’ di comunicazione indiretta, ma il ‘tipo di segni’ impiegati
un punto di deposito; allo stesso tempo, nella nicchia sociale umana,
dagli agenti.
chiudere una strada con un cancello ‘indica’ che il passaggio è proibito.
Ora, nei suoi scritti semiotici Peirce descrive un segno come una
È esattamente ciò a cui si riferisce David Kirsh con le parole
rappresentazione che riferisce a un oggetto. Ci sono tre tipi
«riprogettare l’ambiente» (cfr. supra, § 2) e, infatti, la manipolazione di
fondamentali di segni: ‘icone’, ‘indici’ e ‘simboli’. Un’icona è un segno
segni gioca un ruolo chiave a molti livelli nella costruzione della nostra
che rappresenta il suo oggetto per via di una somiglianza con esso; è
nicchia sociale: nella borsa valori, per esempio, il prezzo di un bene è un
completamente indipendente da qualsiasi interprete perché il suo valore
marcatore che simbolizza la relazione domanda/offerta di quel bene.
semiotico è dovuto solamente alla sua somiglianza con il referente,
Esso media tra i differenti interessi degli agenti ‘egoisti’ e autonomi che
come l’immagine – l’informazione visuale – contenuta in un quadro
agiscono, localmente, in quel mezzo (scilicet il mercato) e l’ordine
(che è un’ipoicona). Un indice è, invece, un segno che rappresenta
economico che emerge da tutte queste azioni individuali (le regole
80
Filosofia e collettività
contestuali emergenti) è un macrofenomeno collettivo, impredicibile a
dunque il fatto che l’influenza dell’informazione che veicolano ha una
priori nella sua struttura e nello sviluppo delle sue regole28.
portata non solo sincronica, ma ‘diacronica’. Il simbolo manicheo del
Ancora, un artefatto iconico, un’ipoicona qual è per esempio un
Guerriero della Luce che si oppone, lotta e sconfigge le Tenebre del
quadro, è anche un exogramma29, un segno complesso che influenza la
Male30 contiene la stessa informazione iconica che ritroviamo in un altro
riprogettazione della nicchia culturale. Voglio far notare, a margine di
simbolo com’è il San Michele Arcangelo, che indossa l’armatura e
quanto detto, che anche il modo in cui un’informazione iconica è
sconfigge e schiaccia il Diavolo. Due simboli diversi con due referenti
gradualmente modificata dalla manipolazione collettiva che di essa
distinti (per l’abito associativo di differenti interpreti) veicolano, tuttavia,
portano avanti gli agenti di un sistema segue una dinamica stigmergica:
‘la stessa informazione iconica’ e lo fanno a livello diacronico, perché
una certa iconografia emerge attraverso continui e graduali contributi da
quell’informazione iconica è veicolata in ipoicone concrete (per esempio
parte di ciascun agente del sistema, non è pianificata ab ovo.
un quadro o un affresco) che sono alcuni degli ‘artefatti’ che
Il vantaggio del segno, dunque, è proprio il fatto che esso è per definizione
un
‘portatore
di
informazione’
che
resta
tale
‘indipendentemente’ dall’essere in connessione con un certo agente
manipoliamo per costruire la nostra nicchia culturale (lo ‘spazio di lavoro’ del nostro sistema multi-agente), sulla cui importanza mettono l’accento Laland e O’Brien31.
(interprete) oppure un altro. Se questo è chiaro per quanto riguarda l’icona e l’indice, è meno certo per quello che riguarda il simbolo.
5.
Abbiamo visto, infatti, che il valore semantico di quest’ultimo si deve a
A questo punto, sappiamo che la nicchia culturale di un gruppo
un abito associativo stabilito dall’interprete tra il segno e il referente.
umano è il suo ‘spazio di lavoro’ in quanto sistema multi-agente; che i
Però è certo pure che il simbolo non è un elemento semplice, atomico,
membri del gruppo sono gli ‘agenti’ del sistema; che gli artefatti sono gli
ma contiene sempre una componente iconica o indicale (deittica) che
‘oggetti’ che gli ‘agenti’ del sistema manipolano. Sappiamo anche che
invece sono indipendenti dall’interpretazione di un agente specifico.
questi artefatti sono ‘segni’ e, pertanto, sono dei ‘portatori di
Quello che è interessante di questo carattere autonomo dei segni è
informazioni’ autonomi rispetto a degli agenti particolari con influenza
81
Spazio strutturato: mente estesa o scaffolded?
Quaderni della Ginestra
non solo sincronica ma ‘diacronica’ sul sistema. Per usare la terminologia di Merlin Donald, sono degli exogrammi, dei registri di memoria esterni.
complementare33, dei suoi processi cognitivi. Se un soggetto A deposita l’informazione X in un exogramma K, secondo la Tesi della Mente Estesa l’exogramma K forma parte del
Come possiamo passare, però, da quest’insieme di elementi ad
processo mnemonico di A (tesi ‘forte’) o è perlomeno ‘complementare’
affermare che una comunità, un gruppo culturale, sviluppa una ‘mente
al processo mnemonico di A (tesi ‘debole’). Assumendo la tesi ‘debole’,
collettiva’?
cosa succede se l’exogramma K in cui l’agente A ha depositato
In un articolo da subito discusso e ormai celebre in filosofia della
l’informazione X si trova localizzato in un mezzo (uno ‘spazio di
mente, Andy Clark e David Chalmers presentano la Tesi della Mente
lavoro’) accessibile anche agli agenti B, C e D? Succede che K è
Estesa32: un soggetto con problemi di memoria (A) appunta delle
‘complementare’ al processo mnemonico anche di B, C e D: se Gianni
informazioni in un taccuino, mentre un soggetto normale (B) le
lascia la lista della spesa sul tavolo e Luca la prende e la usa per
immagazzina nel cervello tramite la sua memoria biologica; quando A
comprare ciò che manca in dispensa, la lista della spesa è un artefatto
legge le informazioni registrate sul taccuino non fa nulla di diverso da B,
complementare al processo mnemonico tanto di Gianni quanto di Luca.
che invece ‘legge’ le informazioni registrate nella sua memoria biologica;
Gli exogrammi però, come già sappiamo, non sono solo ‘liste della
la mente di A si estende al taccuino, in quanto esso forma parte del
spesa’: anche un quadro, un papiro, una stele di pietra ricoperta di glifi o
sistema cognitivo che ‘ricorda’ le informazioni. Le obiezioni più forti a
le pitture rupestri di Altamira sono exogrammi. Sono segni che mediano
questa tesi attaccano tutte il ‘principio di parità’ in essa difeso (scilicet,
la comunicazione indiretta tra gli agenti del sistema, sincronicamente e
l’equivalenza funzionale tra memoria biologica e ‘memoria-taccuino’).
diacronicamente. Sono strumenti che gli agenti utilizzano (o producono)
Qui non ci interessa entrare nel merito della legittimità o meno di
nel tentativo di adattare lo spazio selettivo, nel tentativo di costruire la
questo principio. Piuttosto, il contributo maggiore della Tesi della Mente
propria nicchia. Come nota Kim Sterelny34, infatti, la Tesi della Mente
Estesa sta, per quanto ci riguarda, nel sostenere che gli artefatti che un
Estesa non è che un caso particolare di costruzione della nicchia o di
soggetto
«uso intelligente dello spazio», per dirla con Kirsh35. In questo senso, la
manipola
formano
parte,
anche
se
in
maniera
82
Filosofia e collettività
costruzione della nicchia culturale, che è una forma di strutturare
necessario che il rituale sia modificato attraverso un’azione collettiva e
l’ambiente con ‘impalcature’ cognitive (i segni nello ‘spazio di lavoro’), si
cosciente di tutti i membri della comunità: basta che un agente del
rivela come un’estensione dei processi cognitivi degli agenti del sistema
sistema interpreti in maniera leggermente differente un elemento, che
in uno spazio fisico, quello della nicchia, in cui condividono gli artefatti,
un altro agente lo faccia con un altro e via dicendo perché su scala
gli exogrammi, i segni che riprogettano il loro comportamento e in cui
sistemica emerga una consistente modificazione della nicchia culturale.
le stesse dinamiche cognitive sono quindi collettive.
Ora, l’antropologo americano Roger Keesing già negli anni ’70 affermava che la cultura è un «sistema di conoscenza»36, un
6.
Conclusione: la struttura culturale come ‘mente’ collettiva.
«supercervello che permette a degli umani di risolvere problemi di
Che ne è, dunque, in questo contesto, dell’ontologia sociale? Le leggi,
sopravvivenza in un ampio ventaglio di ambienti [ma] impone dei costi
‘scritte’ o trasmesse in ‘formule orali’, le pratiche, conservate e codificate
proprî: il rituale, il mito, la cosmologia e il magico»37. Però la cultura non
nei ‘rituali’ di una comunità, sono strutture di informazioni esterne
è solamente un ‘dispositivo cognitivo’, uno ‘strumento’ che i membri di
veicolate da exogrammi specifici. Exogrammi costruiti gradualmente e
una comunità utilizzano per superare le sfide cognitive che l’ambiente in
collettivamente dagli agenti che abitano una certa nicchia culturale.
cui vivono pone loro innanzi: essa implementa delle ‘credenze’
In quanto ‘segni’ sempre disponibili nello ‘spazio di lavoro’, nella
collettive, degli ‘obiettivi’ collettivi. I processi cognitivi dei suoi membri
nicchia culturale di una collettività, anche queste ‘formule’ orali o scritte
dipendono dagli exogrammi che essi utilizzano, si estendono in essi e
e questi ‘rituali’ che codificano il mos della comunità si presentano come
dunque, quando i membri di una comunità condividono i medesimi
artefatti localizzati in un certo tempo e in un certo spazio, che
exogrammi, stanno in realtà condividendo i proprî processi cognitivi
influenzano sincronicamente e diacronicamente il comportamento degli
estesi. Così, «la cultura può essere paragonata a un tessuto»38 i cui nodi
agenti
modificare
sono gli exogrammi e, come le informazioni condivise nello spazio di
l’informazione che questo veicola: modificare una scena di un rituale
lavoro dagli agenti di un sistema multi-agente retroagiscono su di essi
implica cambiare la ‘prescrizione’ che esso contiene. Tuttavia, non è
riprogrammando il loro comportamento, anche quel sistema semiotico
83
del
sistema.
Modificare
l’artefatto
implica
Quaderni della Ginestra
che è la nicchia culturale retroagisce sugli agenti che la costruiscono, rimodulandone la condotta. È questo tessuto che possiamo definire come la ‘mente’ collettiva – emergente – di un gruppo umano. FRANCESCO CONSIGLIO Ringrazio il mio supervisore, Fernando Martínez, i professori Manuel de Pinedo e Neftalí Villanueva, e i colleghi del Dipartimento di Filosofia I dell’Università di Granada per i loro preziosi commenti alle idee contenute in questo scritto. Questo lavoro è stato parzialmente finanziato dal progetto “Habla interna, metacognición y la concepción narrativa de la identidad” (MINECO: FFI2015-65953-P) e dal Subprograma de Formación del Personal Investigador (FPI) (MINECO: BES-2016077237). 1 H. Dreyfus, What Computers can’t do: a Critique of Artificial Reason, Harper and Row, New York 1979; J. Searle, The Rediscovery of the Mind, MIT Press, Cambridge (Mass.) 1991; Cfr. anche J. Ferber, Les Systèmes Multi-Agents: vers une intelligence collective, InterÉditions, Parigi 1995, p. 5 e ss. 2 A. M. Turing (1950) Computing Machinery and Intelligence, “Mind”, 49, 1954, pp. 433460. 3 Ferber, p. 6. Traduzione mia, qui e dove non diversamente specificato. 4 Ibidem. 5 J. J. Gibson, The ecological approach to visual perception, Houghton Mifflin, Boston 1979. 6 Ferber, p. 7. 7 Ivi, p. 8. 8 Ivi, p. 9. 9 Ivi, p. 13. 10 Ibidem. 11 Ivi, p. 14. 12 Cfr. Gibson, The ecological approach to visual perception. 13 Cfr. M. Donald, The Exographic Revolution: Neuropsychological Sequelae, in L. Malafouris e C. Renfrew, a cura di, The cognitive life of things. Recasting the boundaries of the mind, Oxbow books, Oxford 2010, pp. 71-79: «Lashley (1950) definì un registro di memoria *
immagazzinato nel sistema nervoso un ‘engramma’. […] I registri di memoria immagazzinati al di fuori del sistema nervoso (per esempio, tavolette d’argilla, papiri, libri stampati, archivi del governo o dati bancarî elettronici) possono essere chiamati ‘exogrammi’». 14 D. Kirsh, Adapting the Environment Instead of Oneself, “Adaptative Behavior”, Vol. 4, No. 3/4, 1996, p. 415. 15 Ivi, p. 416. 16 Ivi, p. 428. 17 F. Heylighen, Stigmergy as a universal coordination mechanism I: Definition and components, “Cognitive Systems Research”, 38, 2016, p. 6. 18 Cfr. P. P. Grassé, La reconstruction du nid et les coordinations interindividuelles chez Bellicositermes natalensis et Cubitermes sp. la théorie de la stigmergie: Essai d'interprétation du comportement des termites constructeurs, “Insectes Sociaux”, 6/1, 1959, pp. 41-80. 19 Cfr. E. Bonabeau et alii, Self-organization in social insects, “Trends in Ecology & Evolution”, 12/5, 1997, pp. 188-193; Id., Swarm intelligence: from natural to artificial systems, Oxford University Press, Oxford 1999. 20 K. N. Laland, M. J. O’Brien, Cultural Niche Construction: An Introduction, “Biological Theory”, 6/3, 2012a, p. 191. La Teoria della Costruzione della Nicchia include studi sulla costruzione della nicchia animale [D, Kirsh, Adapting the Environment Instead of Oneself; K. Sterelny, Social intelligence, human intelligence and niche construction, “Philosophical Transactions of the Royal Society B”, 362, 2007, pp. 719-730], la costruzione della nicchia umana [K. Sterelny, Social intelligence, human intelligence and niche construction; J. Kendal, J. J. Tehrani, J. Odling-Smee, Human niche construction in interdisciplinary focus, “Philosophical Transactions of the Royal Society B”, 366, 2011, pp. 785-792; K. N. Laland, M. J. O’Brien, Genes, Culture, and Agriculture. An Example of Human Niche Construction, “Current Anthropology”, Vol. 53, N. 4, 2012, pp. 434-470], la costruzione della nicchia sociale [P. A. Ryan, S. T. Powers, R. A. Watson, Social niche construction and evolutionary transitions in individuality, “Biology & Philosophy”, 31/1, 2016, pp. 59-79] e la costruzione della nicchia culturale [K. N. Laland, M. J. O’Brien, Cultural Niche Construction: An Introduction], ognuno dei quali sostiene che «L’evoluzione implica reti di causazione e retroazione in cui gli organismi precedentemente selezionati guidano i cambiamenti ambientali, e gli ambienti modificati dagli organismi susseguentemente selezionano inducendo cambiamenti negli organismi stessi» (J. Kendal, J. J. Tehrani, J. Odling-Smee,, Human niche construction in interdisciplinary focus, p. 785]. 21 Cfr. J. Sutton, Distributed Cognition. Domain and dimensions, “Pragmatics & Cognition”,
84
Filosofia e collettività
14/2, 2006, pp. 234-247. 22 Cfr. E. O. Wilson, Sociobiology: The new synthesis, Harvard University Press, Cambridge (Mass.) 1975. 23 Cfr. H. V. D. Parunak A survey of environments and mechanisms for human–human stigmergy, in D. Weyns, H. V. D. Parunak, F. Michel, a cura di, Environments for multi-agent systems II, Springer, Heidelberg 2006, pp. 163–186. 24 Cfr. B. Hölldobler, E. O. Wilson, The Superorganism. The Beauty, Elegance, and Strangeness of Insect Societies, Norton & Company, New York 2009. 25 Heylighen, Stigmergy as a universal coordination mechanism I: Definition and components. 26 Laland & O’Brien, Cultural Niche Construction: An Introduction, p. 197. 27 Heylighen, Stigmergy as a universal coordination mechanism I: Definition and components. 28 Cfr. L. Marsh, C. Onof, Stigmergic epistemology, stigmergic cognition, “Cognitive Systems Research”, 9/1-2, 2008, pp. 136-149. 29 Cfr. nota 13. 30 Cfr. H. Jonas, Lo Gnosticismo, SEI, Torino 2002. 31 Cfr. nota 26. 32 A. Clark, D. Chalmers, The Extended Mind, “Analysis”, 58, 1998, pp. 10-23. 33 Cfr. J. Sutton, Exograms and Interdisciplinarity: History, the Extended Mind, and the Civilizing Process, in R. Menary, a cura di, The Extended Mind, MIT Press, Cambridge (Mass.) 2010, p. 204. 34 K. Sterelny, Minds: extended or scaffolded?, “Phenomenology and the Cognitive Sciences”, 9, 2010, pp. 465-481. 35 D. Kirsh, The intelligent use of space, “Artificial Intelligence”, 73, 1995, pp. 31-68. 36 R. M. Keesing, Theories of Culture, “Annual Review of Anthropology”, 3, 1974, p. 89. 37 Idem, p. 91. 38 F. Remotti, Cultura. Dalla complessità all’impoverimento, Laterza, Roma-Bari 2011, p. 290.
85
Quaderni della Ginestra
INTERSOGGETTIVITÀ E DELIRIO: HUSSERL E BINSWANGER
S
quasi banale, ma spesso dimenticata, che l’empatia presuppone la corporeità viva (Leiblichkeit). La centralità della corporeità viva nei rapporti d’empatia si esprime,
copo di queste pagine sarà indagare come la concezione
nelle riflessioni husserliane, attraverso un tema che ritroviamo nelle
husserliana dell’empatia abbia influenzato gli studi di Ludwig
Meditazioni Cartesiane, in Idee II, ma soprattutto nei manoscritti di
Binswanger sul delirio, così come vengono esposti dallo psichiatra in
Husserliana XIII-XV, e cioè quello dell’empatia come scambio di
Melanconia e mania e in Delirio. Antropoanalisi e fenomenologia; si partirà
posizioni; attraverso questo tema, molto più complesso e articolato di
quindi da una breve esposizione del problema dell’empatia e della follia
quanto potrebbe apparire a prima vista, Husserl cerca infatti di
in Husserl, per poi passare ad analizzare alcuni punti salienti dell’analisi
dimostrare come l’empatia debba fondarsi su concrete possibilità di
binswangeriana.
partecipazione al punto di vista dell’altro – spazio dell’altro da intendersi non solo in senso metaforico, ma primariamente come vero e proprio
1. Husserl: empatia e scambio di posizioni
spazio altrui – e, in definitiva, come possa trovare fondamento
Prima di tutto vorremmo brevemente chiarire cosa si debba
un‘obiettività spazio-temporale intersoggettiva. Lo scambio di posizioni
intendere per empatia husserliana. La critica si è infatti spesso
non permette infatti solo una generale possibilità di variare la mia
focalizzata sul versante culturale dell’intersoggettività husserliana,
prospettiva sulle cose del mondo circostante, ma anche di individuare la
trascurando il ruolo “fondativo” dell’empatia, l’analisi dei suoi momenti
prospettiva dell’altro in un là preciso, che posso trasformare nel mio qui:
più passivi, legati ai processi fisici e psico-fisici; se si vuole invece
prendere coscienza dell’altro come un “analogo dell’io nel modo del là”
davvero comprendere in che modo l’alter-ego venga a rappresentare un
significa caratterizzare la posizione dell’altro come accessibile e
reale Mitsubjekt con una funzione costituente nei confronti del mondo,
raggiungibile, poter partecipare allo spazio dell’altro ed empatizzare le
si deve ripartire dall’analisi delle dinamiche empatiche più basilari,
manifestazioni altrui sul mondo, permettendo così la condivisione delle
dall’origine corporea del nostro rapporto con gli altri, dall’evidenza
cose.
86
Filosofia e collettività
Ciò che bisogna ora chiarire è la natura di questa partecipazione allo spazio altrui, che, come anticipato, non è affatto per Husserl da
singole manifestazioni, ma dei sistemi di manifestazione, condizione di possibilità di qualsiasi intesa intersoggettiva sul mondo.
intendersi in senso semplicemente metaforico o come ipotesi; se è
L’ipotesi di De Folter si chiarisce mettendo in luce il senso più
infatti indubbio che l’essenza dell’empatia husserliana risiede in
essenziale e fondativo dell’empatia intesa come scambio di posizioni,
un’assoluta differenziazione delle coscienze, e che quindi gli atti di
che appare come una vera e propria meditazione sul ruolo che spazio e
empatia possono essere sempre e solo presentificazioni – reali
tempo vengono a svolgere nelle dinamiche empatiche; spazio e tempo
manifestazioni percettive basate su una percezione empaticamente
occupano infatti un ruolo duplice, rivestendo sia una funzione
mediata – e mai esperienze percettive dirette, tutto ciò non riduce
“analogizzante”, che “differenziante” tra le monadi. La funzione
affatto le manifestazione altrui colte empaticamente a mere
“differenziante” si comprende facilmente nel momento in cui si scorge
supposizioni, tanto che Husserl arriva a parlare dell’empatia come di una
come spazio e tempo rappresentino il vero e proprio principium
vera e propria modalità percettiva di accesso al mondo, la quale si va ad
individuationis delle monadi husserliane, le quali, dotate di corporeità viva,
aggiungere a quelle da me possedute direttamente. Il modo in cui
sono per essenza differenti sia riguardo alla temporalità interna, sia
Husserl possa contemporaneamente sostenere che, da una parte,
riguardo all’individuazione nel Körper, attraverso il quale un soggetto
nell’empatia avviene un raddoppiamento della corporeità e della
occupa sempre una determinata posizione nello spazio-tempo
percezione sul mondo, e, dall’altra, l’impossibilità della coincidenza tra
intersoggettivo, posizione che nessun altro potrà venire a occupare nello
soggetti differenti, si comprende rivolgendoci ad esempio all’ipotesi di
stesso momento. La funzione “analogizzante” consiste invece nel fatto
Rolf De Folter1: ciò che Husserl vuole evidenziare attraverso lo scambio
che spazio e tempo rappresentano anche una forma comune di
di posizioni non è affatto una totale coincidenza tra le manifestazioni –
“stabilità”, in base alla quale le mondi non hanno sistemi di
e men che meno i vissuti – di ego e alter ego, bensì come tutti i soggetti
manifestazioni “slegati” gli uni dagli altri, ma differenti sistemi di
partecipino di un medesimo sistema di apparizione delle cose nella Welt;
manifestazioni che possono però armonizzarsi in un unico, universale,
ciò significa che l’identità che Husserl presuppone non è quella delle
intersoggettivo sistema di manifestazioni, che non è la semplice somma
87
Quaderni della Ginestra
dei singoli sistemi intersoggettivi, ma formazione di un’unità, una
scontata di soggetti „anomali“ dalla costituzione intersoggettiva.
legalità che vale stabilmente e per ciascuno allo stesso modo. Proprio
D’altronde, come sottolinea Vincenzo Costa, una primaria e universale
questa “funzione analogizzante” di spazio e tempo, in unione alla
normalità è premessa di ogni possibile normale esperienza del mondo,
condivisione di una medesima corporeità viva, di una medesima
in quanto permette l’esistenza dell’accordo tra i soggetti attraverso
sensibilità, pone per Husserl le basi per la creazione di un unico mondo
sintesi intersoggettive costitutive, «nelle quali i singoli soggetti
intersoggettivo, di una comunità monadica che possa davvero essere
correggono reciprocamente le loro esperienze o prendono atto di una
definita come un “noi”.
discordanza e di un disaccordo”3, confrontando le proprie percezioni con quelle degli altri e dando vita ad una vera e propria “ortoesteticità
2. Husserl: la normalità come presupposto involontario del discorso intersoggettivo
intersoggettiva»4. Ma in che modo l’altro può essere definito “normale”? La risposta
Già Husserl, però, analizzando la formazione del “mondo comune”,
husserliana è che tale riconoscimento può svilupparsi solo sulla base di
si era reso conto della possibilità di incrinature, di casi patologici in cui
una somiglianza (Ähnlichkeit) tra ego e alter-ego, somiglianza nella quale
lo scambio di posizioni sembra interrompersi e il soggetto
io stesso sono a fondamento; l’altro può essere in definitiva riconosciuto
disconnettersi dalla comunità. Questa presa di coscienza dell’esistenza di
come normale nel momento in cui corrisponde alle strutture costitutive
casi in cui un soggetto può arrivare addirittura a essere estromesso
della soggettività che io ritrovo in primis partendo da me stesso, e cioè
dall’accordo intersoggettivo, dalla partecipazione alla definizione delle
quando, direbbe Husserl, attraverso empatia, avviene un riempimento
oggettualità della Welt, va di pari passo con il riconoscimento della
percettivo di uno “stile d’essenza generale” che deve poter valere sia a
“normalità” quale presupposto essenziale di tutto il discorso
livello corporeo che psichico. Come già anticipato, il primo livello di
sull’intersoggettività; tale presupposto rimane spesso, a detta stessa di
normalità che dev’essere però riconosciuto nell’altro è senz’altro quello
2
Husserl , involontario e implicito, ma implica in realtà un’operazione
legato alla sfera corporeo-percettiva, come Husserl spesso ricorda sia in
estremamente problematica, e cioè proprio l‘esclusione tutt’altro che
Husserliana XIV che XV5; ciò significa che il mio Leib normale, fonte di
88
Filosofia e collettività
una normale esperienza della realtà, funge da Ur-Leib, origine di una Ur-
ricorda che sotto “normalità” dobbiamo intendere una pura possibilità
Norm in base alla quale il corpo dell’altro può acquisire immediatamente
ideale, «secondo cui se due individui normali scambiano i loro luoghi, o
il significato stesso di Leib: solo su questa base il processo di convalida
immaginano di scambiarli, e se i loro corpi vivi si trovano in uno stato
dell’analogia-normalità può poi proseguire, mostrandoci l’altro come un
normale-ideale, allora ogni individuo troverà nella sua coscienza le stesse
analogo-normale anche da un punto di vista più strettamente psichico, o
manifestazioni che prima erano state realizzate nella coscienza
interrompersi, come quando ci ritroviamo ad esempio di fronte a un
dell’altro».11
fantoccio6, o, caso ben più complesso, a un malato di mente. La
Bisogna in realtà precisare che non esiste per Husserl una normalità
normalità deve quindi essere tematizzata in primis in ambito estetico7,
“slegata” dalla sfera dell’anormalità: i due versanti del binomio
quale problema inerente alla costituzione stessa dell’esperienza, come
normalità-anormalità procedono per Husserl sempre parallelamente,
una forma relativa alla costituzione delle datità spaziali, delle cose
l’anomalia è sempre una modificazione della normalità, poiché, essendo
esterne e di ciò che è relativo alla propria corporeità vivente, come
la normalità astrazione, con quest’ultima si presentano subito anche le
Husserl ricorda ad esempio in HUA XIV8, proprio perché solo a partire
diverse anomalie possibili. Questo non significa che normalità e
da tale presupposto, al di là di ogni variazione soggettiva fattuale, come
anormalità siano poste sullo stesso piano, ma, potremmo dire, il
sottolinea Zahavi, i singoli soggetti dell’intersoggettività trascendentale
discorso è funzionale per sottolineare come nell’esperienza non si diano
risultano forniti di sistemi costitutivi tra loro corrispondenti e
mai soggetti perfettamente rispondenti all’ideale di normalità, ma sempre
consonanti9; la normalità diviene allora ciò che permette la costituzione
soggetti unici, con caratteristiche psico-fisiche che possono anche
della natura materiale stessa10, ciò che permette di avere il mondo in
deviare da tale ideale. Capiamo allora come il discorso husserliano sulla
modo concordante con gli altri soggetti, giungendo alla costituzione di
normalità divenga centrale nel contesto di quello più generale
una comunità normale d’esperienza e alla definizione di tutte quelle
sull’empatia e l’intersoggettività, poiché essenziale nel mostrare come il
oggettualità valide intersoggettivamente. In Problemi fondamentali della
rapporto con l’altro non sia affatto qualcosa di semplice e “automatico”,
fenomenologia. Lezioni sul concetto naturale di mondo (1910-1911), Husserl
neppure nei suoi livelli più basilari, in quanto confronto tra soggetti che
89
Quaderni della Ginestra
possono portare a concretizzazione le strutture della soggettività in
Husserl, nel momento in cui identifico in esso una determinata tipicità
modo anche molto differente; d’altra parte proprio in queste stesse
strutturale, questo non significa che la sfera di ciò che io riesco a
dinamiche empatiche sembrano esservi anche le risorse d’integrazione
riconoscere come analogo non possa subire, sulla base dei dati
intersoggettiva che possono permettere una continua opera di
dell’esperienza stessa, forme di rimodulazione e ampliamento,
armonizzazione tra i diversi soggetti e la loro integrazione nella
mostrandomi possibilità di variazione inattese, inizialmente non
comunità intersoggettiva. Anzi, proprio in questi casi di anomalia,
considerate, ma che si rivelano invece possibili forme di analogia; può
Husserl sembra riconoscere addirittura un potenziale per l’ampliamento
così anche darsi il caso di soggetti che, in un primo momento “esclusi”
delle stesse strutture intersoggettive, una prospettiva differente sul
dalla sfera della normalità, possono poi invece esservi ricompresi. Non
mondo che può ad esempio rivelare alla comunità caratteristiche
ogni discordanza è infatti così radicale da non permettere un’intesa
inaspettate di un’oggettualità. L’empatia si viene infatti a declinare come
intersoggettiva sul mondo circostante, come dimostra l’esempio caro a
un incontro tra diverse normalità, come un confronto tendente
Husserl del daltonismo. Il concetto di anomalia è infatti considerato da
all’ottimo, a un’intersoggettività che non è mai pre-costituita, ma sempre
Husserl in modo così ampio, da ricomprendere gran parte delle possibili
in tensione e movimento, rivolta ad una costituzione del mondo sempre
deviazioni dalla normalità, da quelle davvero minime, come il
più disponibile a ricomprendere elementi a prima vista insoliti e
daltonismo, fino, addirittura, alla considerazione di specie diverse da
inaspettati12; come Husserl ricorda in HUA XV13, la costituzione del
quella umana. Lo scopo del padre della fenomenologia sembra proprio
mondo procede attraverso il passaggio da orizzonti conosciuti ad
essere, anche attraverso la considerazione dei casi border-line – animali,
orizzonti sconosciuti, da cui emerge come non ogni anomalia sia un
bambini, malati di mente, popolazioni primitive e, addirittura, piante –,
semplice disturbo della normalità e come le anomalie stesse possano
quello di utilizzare il concetto di anomalia così ampliato come “banco di
avere la funzione positiva di conferire al reale tratti nuovi e inattesi,
prova” per testare i confini estremi della costituzione intersoggettiva,
divenendo centri propulsori per l’avanzamento della costituzione stessa.
mostrando come le “possibilità di variazione” possano anche rivelarsi
Se il riconoscimento dell’alter avviene infatti fondamentalmente, per
ben più ampie rispetto a quelle che potevamo da principio immaginare e
90
Filosofia e collettività
come l’analogia possa attivarsi anche in casi inattesi, ampliando la sfera della normalità stessa.
mondo e agli altri16. Potremmo ad esempio confrontare il caso del daltonismo, anomalia che rientra nella normalità e rappresenta un impedimento limitato allo
3. Husserl: la follia
scambio di posizioni, e quello della follia grave, che rappresenta invece
Punto essenziale diviene allora comprendere come si possa
per Husserl il caso di maggior impedimento allo scambio di posizioni.
distinguere tra le anomalie che possiamo considerare parte integrante
Il daltonico è considerato17, nel complesso, una persona normale, la
della costituzione “normale” e quelle che invece non rientrano in questa
quale, nel confronto intersoggettivo, mostra però una visione distorta di
costituzione. Il criterio di distinzione sembra essere per Husserl proprio
alcuni colori; egli non ha anomalie direttamente legate al Leib e
quello dell’apertura o chiusura che le diverse anomalie consentono nei
immediatamente riconoscibili a livello intersoggettivo, ma, non appena
confronti della partecipazione al mondo intersoggettivo: se infatti la
si annulli l’astrazione alla primoridalità, appare subito evidente come
maggior parte delle anomalie consentono comunque al soggetto di
possegga manifestazioni anomale, coglibili dagli altri mediatamente
essere parte integrante di una comunità, vi sono invece anche casi di
attraverso l‘empatia18. La visione anomala dei colori da parte del
“variazione radicale”, potremmo dire, che sembrano davvero mettere a
daltonico è però un’anomalia che non mette a repentaglio lo scambio di
repentaglio questa partecipazione al mondo intersoggettivo, come
posizioni e l’empatia, perchè, come Husserl chiarisce in HUA XV19, il
Husserl ricorda ad esempio in HUA XV14; in particolare la “gravità”
daltonico percepisce sì alcuni colori in modo differente, ma percepisce
delle anomalie in riferimento all’intersoggettività sembra potersi
pur sempre i colori ed è possibile tra la sua e la mia visione dei colori un
misurare per Husserl proprio in base alla possibilità di effettuare o meno
processo di Farbengleichung: il daltonico costruisce20 il mondo proprio
lo scambio di posizioni15. Questo non significa, specifica Husserl, che io
come le persone normali e la sua distorsione circa la visione dei colori
non possa intendermi con coloro che presentano anomalie, ma è
può trovare dei “correttivi” attraverso il rapporto intersoggettivo,
necessario chiedersi fino a che punto si possa deviare dalla normale
cosicché egli può rendersi conto non del fatto che le sue manifestazioni
costituzione psico-fisica senza eliminare i presupposti per la relazione al
siano sbagliate, ma del fatto che esse rappresentino una deviazione
91
Quaderni della Ginestra
rispetto alla norma; presa coscienza di ciò che lo rende in accordo con
l’esperienza del daltonico e quella del normo-vedente, allo stesso modo
gli altri e di ciò che invece lo differenzia, non vi è alcun motivo per il
sembrano per Husserl darsi casi di follia in cui il vuoto di razionalità
quale il daltonico non possa inserirsi nella comunità monadica e nel
può essere integrato attraverso un confronto con le esperienze della
processo di costituzione intersoggettiva della realtà.
comunità monadica di soggetti razionali. I problemi veri e propri
Nel caso invece della pazzia, Husserl sottolinea prima di tutto che
emergono purtroppo nel caso in cui la pazzia diviene così totalizzante
possono esistere casi meno gravi di pazzia, in cui le esperienze anomale
da non permettere più la normale costruzione del mondo, chiudendo il
sembrano poter essere “integrate” da quelle normali della comunità
soggetto in un vero e proprio stato di solipsismo: è il caso al quale
intersoggettiva21; proprio in questi casi si mostrerebbe per Husserl il
sembra
potere che l’empatia ha di aprire a nuove modalità di esperienza:
(Wahrnehmungsverrücktheit)23, condizione nella quale il soggetto sembra
attraverso l’empatia io non ho più infatti a disposizione solo le mie
non riuscire più a cogliere un mondo unitario attraverso la percezione e
esperienze, ma anche quelle dell’altro, anzi, dell’intera comunità
rimanere così ingabbiato in un‘esperienza radicalmente anomala del
intersoggettiva, accedendo (accesso indiretto, ma non per questo meno
mondo circostante, un’esperienza che sembra davvero mettere in scacco
reale) a una sfera di rappresentazioni indirette22 che possono essere
la possibilità dello scambio di posizioni e dell’empatia. Quando infatti la
centrali non solo per il riconoscimento, ma anche per una qualche
costruzione del mondo circostante perde le linee costitutive
forma di “superamento” delle anomalie stesse. L’empatia svela allora,
fondamentali dettate dalle sintesi passive, quando ciò che più dovrebbe
anche nel caso delle anomalie, il proprio potere costitutivo, fungendo da
essere immediato ed evidente diviene confuso, senza senso,
vero e proprio elemento di “integrazione” nei casi in cui le normali
radicalmente unheimlich, allora sembrano davvero vacillare per Husserl le
facoltà non permettono una normale partecipazione al processo di
possibilità di comprensione, perchè in questo caso il malato psichico
costituzione intersoggettiva: così come nel caso del daltonismo esisteva
sembra davvero intrappolato in un mondo che non rivela vie d’accesso
la possibilità, attraverso empatia, di confrontare e, per così dire,
alla realtà e agli altri. Con il daltonico, con molti malati psichici esistono
“uniformare” i colori, instaurando una connessione intersoggettiva tra
possibilità di comprensione e di confronto, esistono vie d’ingresso ai
rinviare
il
concetto
di
“pazzia
percettiva”
92
Filosofia e collettività
loro “mondi anomali”, ma, nel caso di colui che perde quelle linee di
anche la possibilità di partecipazione alla comunità intersoggettiva;
strutturazione del mondo che normalmente accomunano e metteno in
anche per Binswanger quindi, proprio come per Husserl, la possibilità di
relazione ogni monade, diviene difficile ritrovare una possibilità di
accesso alla realtà condivisa si fonderebbe proprio nella possibilità di
relazione. È per questi motivi che i casi più gravi di pazzia sono allora
prendere parte al punto di vista dell’altro, nel senso di una condivisione
avvicinati da Husserl a una vera e propria condizione di solipsismo, di
percettivamente fondata in un’eguaglianza di base delle strutture
isolamento, nella quale la fiducia nell’esperienza è rotta e il mondo
d’accesso al mondo. In questo senso è significativo che, in Melanconia e
appare senza costanti coordinate di riferimento. Può così esservi, come
Mania, Binswanger senta l’esigenza di partire proprio da quella che lui
ricorda Breyer, una sorta di analogia tra la morte e la follia, poichè
chiama la “presupposizione trascendentale di Husserl”, ripresa da Logica
entrambe ci pongono fuori dal mondo24, ci privano delle connessioni
formale e trascedentale: «il mondo reale esiste nella presunzione prescritta
spazio-temporali, delle coordinate passive essenziali per esperire il
che
mondo e l’altro.
costitutivo»25; ciò significa che il mondo reale deve essere coerente, che,
l’esperienza
continui
costantemente
nel
medesimo
stile
come sottolinea Besoli, deve avere una “struttura generale” che non sia 4. Binswanger: la perdita di esperienza naturale nel delirio
frutto di una mera contingenza, ma espressione della necessità inerente
Nei suoi studi sulla mania e la melanconia, Ludwig Binswanger, il
ad una “tipologia essenziale”, tanto che nel discorso binswangeriano si
quale, come risaputo, ha sempre trovato in Husserl una fonte di
va addirittura a innestare «una tematica ontologica volta a reperire le
“sistematizzazione” del proprio materiale psichiatrico, riprende questa
strutture invarianti che qualificano l’esperienza mondana, a partire dalla
concezione husserliana dell’empatia come base per la creazione di un
sostanziale stabilità che si evidenzia sul terreno percettivo»26. Di solito
mondo comune e mostra come, interpretando il delirio maniacale e
l’esperienza percettiva scorre indisturbata, appunto in una coerenza che
melanconico
trascendentali
lega il livello personale con quello intersoggettivo, ma può anche
attraverso le quali si può accedere al mondo – spazialità, temporalità,
accadere, come già sottolineato ampiamente da Husserl, che questa
corporeità – si interrompa non solo la continuità dell’esperienza, ma
coerenza si spezzi, che «subentrino esperienze percettive devianti,
93
come
modificazione
delle
strutture
Quaderni della Ginestra
ingannevoli o perfino deliranti, tali da negare così la consueta fiducia
alla relativa deformazione o distruzione parallela di io e mondo, poiché,
percettiva»27; la presupposizione trascendentale si infrange e il mondo si
lo ricordiamo, nella prospettiva di Husserl come di Binswanger, non si
trasforma in caos, tanto che, sottolinea Binswanger28, per gli
dà mai un io privo di mondo, un io slegato da una Umwelt di riferimento.
schizofrenici si arriva addirittura a parlare di un “sentimento della fine
I casi analizzati da Binswanger in Melanconia e Mania e in Delirio
del mondo”, in cui si ha una vera e propria “perdita di realtà”. In tal
sembrano infatti del tutto assimilabili ai casi di pazzi percettiva di cui
senso non possiamo che concordare con Besoli sul fatto che il discorso
parlava Husserl, casi in cui vengono a mancare le basi percettive sulle
sulla follia e sullo sgretolarsi della coerenza percettiva risulti essere di
quali fondare la fiducia nella coerenza strutturale dell’esperienza, tanto
fondamentale importanza per tutta la fenomenologia genetica
da far crollare ogni possibilità di costruire un mondo unitario, che possa
husserliana, poiché è grazie ad esso che si apre la necessità di impostare
essere condiviso con gli altri; la normale strutturazione di temporalità-
«à rebours un’indagine genetico-costitutiva che faccia emergere il senso
spazialità-corporeità subisce perturbazioni tali da non permettere più
della tipizzazione ideale cui siamo soliti conferire il titolo di normalità»29:
empatia, da non permettere più uno scambio di posizioni, costringendo
come già messo in luce, il discorso husserliano sull’intersoggettività non
il soggetto ad una vita di isolamento e confusione.
può prescindere da un’analisi della normalità come presupposto
Analizzando più in particolare i casi di destrutturazione delle
involontario, idealizzazione percettiva, che può emergere chiaramente
strutture essenziali di accesso al mondo, vorremmo partire dall’analisi
soprattutto in negativo, e cioè prendendo in considerazione i casi in cui
della temporalità delirante, poiché anche in Binswanger, così come in
la percezione si allontana dall’idealizzazione e prende vie caotiche e
Husserl, la dimensione della temporalità sembra possedere una decisiva
inattese. Proprio su questi percorsi caotici e inattesi si è soffermato
preminenza.
Binswanger, il quale in Delirio30 arriva addirittura a definire la
In Melanconia e Mania, Binswanger propone un’interpretazione di
fenomenologia husserliana come prima dottrina in grado di chiarire cosa
queste due patologie, appunto melanconia e mania, come due differenti
si debba intendere per pazzia: una deformazione o distruzione
forme di scioglimento dei legami costitutivi trascendentali e, in
dell’intero complesso della coscienza, della “costituzione”, che conduce
particolare, come problemi relativi in primis proprio a una deficitaria
94
Filosofia e collettività
strutturazione della temporalità interna, alla quale conseguono
connessione biografica, come idee puramente presenti, allora diviene
perturbazioni anche nella strutturazione della temporalità obiettiva e nel
impossibile sia la strutturazione della temporalità interna come flusso di
rapporto con gli altri31. In particolare Binswanger inizia dall’analisi della
vissuti con una sua logica interna33, sia, di conseguenza, la strutturazione
melanconia, descritta come un disturbo nei momenti intenzionali che
della temporalità oggettiva che su quella della temporalità interna si
strutturano l’oggettività temporale (protentio-retentio-presentatio), tale da
basa. Questo punto è sottolineato da Binswanger anche in Delirio34, in
condurre a una modificazione dello stile globale dell’esperienza e al
cui viene messo in luce come nel delirio la deformazione della
rischio di una vera e propria perdita di quella che Husserl avrebbe
percezione della realtà derivi direttamente da una deformazione delle
chiamato “continuità dell’esperienza naturale”. Anche la mania appare
regole della coscienza; infatti il tempo inteso come coscienza interna del
in definitiva come un disturbo relativo alla costituzione intenzionale
tempo non è più un flusso motivazionale, ma è fermo e, di
dell’oggettività temporale, ma si presenta soprattutto come un problema
conseguenza, la costituzione delle prestazioni della coscienza e
relativo
dell’alter-ego:
dell’esperienza non segue le stratificazioni suggerite dalla cosa stessa,
l’impossibilità di inserimento del soggetto nella temporalità oggettiva
non c’è prosecuzione delle prescrizioni naturali dei rimandi ed emerge
comune crea infatti un’impossibilità strutturale di partecipazione alla
un’impossibilità strutturale d’inserimento in un mondo oggettivo
comunità intersoggettiva; riprendendo infatti la famosa distinzione
comune.
all’appresentazione,
alla
costituzione
husserliana della Quinta Meditazione Cartesiana tra mondo primordiale del
Tutto ciò risulta molto evidente nel caso di mania di Elsa Strauss,
singolo e mondo intersoggettivo, Binswanger chiarisce che il mondo
esposto da Binswanger in Melanconia e Mania. Elsa è una colta madre
comune non si struttura solo tramite presentazioni dirette nel mio
tedesca, che dovette subire vari ricoveri a causa di periodi in cui
flusso vitale, ma anche tramite l’azione dell’appresentazione, che supera
presentava una forma maniacale a tratti anche violenta; Binswanger ci
il mio flusso vitale attraverso rinvii oggettivi e biografici32: nel momento
dice:
in cui questi rinvii non si appoggiano ad alcuna connessione temporale, ma si presentano come una “fuga di idee” al di fuori di ogni
95
«Abbiamo scelto questo caso, perché il comportamento presentato dalla
Quaderni della Ginestra
malata, che entra in chiesa durante la funzione e s’intrattiene con l’organista
appresenta solo come suonatore d’organo, ma anche come partecipante alla
mentre sta suonando, ci pare particolarmente significativo per la nostra
funzione religiosa: non vi è quindi mondo comune tra lui e la paziente e la
indagine sullo scacco dell’appresentazione e sull’impossibilità di costituzione di
comunità dei fedeli»36.
un mondo comune nella mania»35.
Husserl direbbe che Elsa non ha percezione del qui-ed-ora del Per spiegare il caso Strauss, Binswanger sceglie infatti di soffermarsi
suonatore o dei fedeli ed è quindi per lei strutturalmente impossibile
su un particolare episodio: Elsa entra in una chiesa dove si sta
effettuare con questi ultimi lo scambio di posizioni, vivere un contesto
svolgendo una funzione e dove un suonatore d’organo sta suonando per
comune; è come se Elsa vivesse di puri presenti isolati, che non le
i fedeli, e, incurante della situazione, si dirige direttamente verso il
consentono una continuità biografica: un’«assoluta deficienza di
suonatore per lodarlo e chiedergli lezioni, ovvero compiere delle azioni
un’autentica temporalizzazione»37, sostiene Binswnager, non permette
che, se in sé non avrebbero nulla di strano, risultano del tutto inadeguate
ad Elsa di uscire dal suo mondo primordiale, di inserirsi nella
al contesto. Il problema di Elsa sta d’altronde proprio nella mancata
temporalità oggettiva e di cogliere le appresentazioni. Non dobbiamo
percezione del contesto, di quel mondo comune che viene invece
infatti dimenticare che lo scacco relativo all’esperienza del mondo e
condiviso dal suonatore d’organo e dai fedeli:
dell’alter rinvia allo scacco dell’esperienza costitutiva dell’ego, infatti proprio Husserl, ricorda sempre Binswnager, ha dimostrato che
«l’organista è presente a se stesso insieme con l’appresentazione o presentificazione partecipativa, suonando l’organo, a una funzione religiosa in
«se non ho alcuna comprensione dell’altro, ho perduto anche la capacità
chiesa; la folla dei fedeli ha in comune con lui quest’appresentazione, che
d’attuare il mio proprio Io. La nostra malata non può comprendere l’organista
costitutisce il loro (dell’organista e della comunità) mondo oggettivo comune e
nel pieno senso appresentativo, poiché ella stessa non ha l’appresentazione del
la loro comune "oggettività" come "presente". La malata non "condivide"
proprio ego; e ciò, lo ripetiamo, per il disturbo menzionato nella costruzione
affatto quest’appresentazione, ella non vi «partecipa» affatto; ella si appresenta
intenzionale dell’oggettività temporale, per lo scacco in essa dei momenti
solo l’uomo che suona l’organo con tanta abilità. Quest’uomo però non si
retentivi e protentivi»38. 96
Filosofia e collettività
In Delirio troviamo invece un’esemplificazione di come nel delirio vi
fuori strada il fitto "intreccio" con gli altri, l’ininterrotta, tormentosa
sia una distorsione non solo della temporalità interna ed esterna, ma
dipendenza da loro. Al contrario il profondo difetto nella possibilità di
anche delle stesse strutture spaziali sia esterne, che interne, corporee, la
oltrepassare il proprio mondo vitale è proprio la condizione di possibilità di
cui integrità è la chiave d’accesso a un mondo condiviso.
questa dipendenza. Gli altri non sono più qui un alter ego, cioè uomini come
Nel caso di Aline troviamo ad esempio sia l’esperienza della deformazione della propria corporeità che dello spazio esterno. Aline vive infatti una corporeità che non sembra appartenerle più
me o compresenti con me [Mitmenschen], ma anonimi spiriti tormentatori, amplificatori e ripetitori dei miei pensieri, anonime potenze (diaboliche) o macchinazioni»40.
direttamente, del tutto sollevata alla “modalità plurale”, allo stesso tempo abbandonata all’altro e incapace di aprire al mondo: Aline
L’esperienza di questo doppio stato di Aline, in cui, come chiarisce
«addirittura appartiene "in parte" agli altri, sia fisicamente sia
Bianca Maria d’Ippolito41, l’oppressione o lo spaesamento (unheimlich)
mentalmente. Il suo corpo le appartiene solo fino alla linea degli occhi,
divengono le strutture fondamentali dell’essere-nel-mondo, è chiarito
la scatola cranica col cervello (in lei = l’anima) "appartiene a tutto il
anche attraverso la percezione dello spazio che, se da un lato diviene
mondo"»39. Aline si trova dunque in una sorta di contemporaneo stato
opprimente, stretto, limitante le possibilità dell’esserci, allo stesso tempo
di chiusura totale all’alter e al mondo intersoggettivo, da una parte, e,
si allarga, creando una commistione tra spazio proprio e spazio
dall’altra, all’abbandono di se stessa in una modalità del tutto plurale,
oggettivo; lo spazio proprio si disintegra, non può più fungere da base
alla mercè del mondo e degli altri, che non rappresentano più un reale
per
alter ego:
temporale, in cui la mancata strutturazione della temporalità interna non
quello oggettivo, proprio come avveniva per la dimensione
permetteva la formazione di quella oggettiva. «nell’esempio di Aline vediamo che nel delirio non si può più di fatto
La deformazione della corporeità è tema anche del caso August
superare il proprio mondo vitale e non è possibile un’intesa comunicativa con
Strindberg descritto da Binswanger sempre in Delirio; qui il mondo non
gli altri (sulla base dell’appresentazione). A questo riguardo non ci deve portare
comincia più dalla percezione reale, dall’esperienza naturale, ma
97
Quaderni della Ginestra
dall’Invisibile, da «appresentazioni "personali" e "sovrapersonali" senza
ancora da meditare sul confronto tra Husserl e Binswanger sui temi
presentazione alcuna, o meglio di puri e semplici alter ego che però non
dell’empatia e della follia come scioglimento dei legami trascedentali; in
traggono "senso e conferma" dal nostro proprio ego, semplicemente
secondo luogo vorremmo sottolineare un altro punto che sembra
perché essi mancano del senso della corporeità vissuta [Leiblichkeit]
avvicinare molto i due pensatori, e cioè che anche nei casi più gravi di
(nostra propria)»42. La modalità d’esperienza di Strindberg si comprende
follia sia comunque necessario e possibile impegnarsi per comprendere
infatti solo a partire dalla sua esperienza corporea gravemente
il mondo e il progetto nascosti dietro la confusione, bisogna provare a
perturbata da sensazioni fisiche elettriche, magnetiche, meccaniche, dai
rintracciare un ordine che possa dare un senso e offrire una possibilità
fenomeni di schiacciamento, risucchiamento, etc. che rendono uguali
alla relazione: questa è di sicuro una delle lezioni husserliane che la
persone vive e concrete a forze, demoni e spiriti. In sintesi la
psicopatologia fenomenologica di Biswanger ha cercato di recepire.
deformazione nella percezione della corporeità propria crea, da una
Nihil humani a me alienum puto: dove esiste soggettività esiste possibilità di
parte, una deformazione nella corporeità dell’alter, visto che, come
relazione, anche nei casi all’apparenza più disperati, dove lo psichico
direbbe Husserl, la corporeità vissuta propria è assente e non può quindi
sembra riuscire a influenzare a tal punto il fisico da privare il soggetto di
essere trasferita all’alter per analogia, dall’altra un’esperienza del mondo
spazio e tempo, ponendolo in una condizione nella quale egli viene in
in contrasto con l’esperienza naturale del mondo, la quale dovrebbe
definitiva privato della basilare possibilità di inserimento nel mondo.
basarsi sull’intenzionalità d’orizzonte43, che non prevede possibilità arbitrarie di riempimento, bensì possibilità prestabilite secondo il loro
DANIELA BANDIERA
tipo d’essenza, dove ogni esperienza rimanda ad altre esperienze secondo modalità e regole determinate e connesse a priori. Conclusione In conclusione vorremmo ricordare in primis che molto ci sarebbe
Vedi R. de Folter, Reziprozität der Perspektiven und Normalität bei Husserl und Schütz, in R. Grathoff, B. Waldenfels, a cura di, Sozialität und Intersubjektivität, Wilhelm Fink Verlag, München 1983, p. 162. 2 Vedi E. Husserl, Zur Phänomenologie der Intersubjektivität, Texte aus dem Nachlass, Dritter Teil: 1929-1935, HUA XV, I. Kern, a cura di, Martinus Nijhoff, Den Haag 1973, p. 135. 3 V. Costa, Husserl, Carocci, Roma 2009, p. 125. 1
98
Filosofia e collettività
Ibid. Vedi ad esempio p. 69 di HUA XV e p. 123 di HUA XIV, dove Husserl ricorda che gli uomini sono definiti “normali” prima di tutto in quanto essi posseggono una Leiblichkeit normale e normali organi di percezione, i quali, in unione ad una psichicità normale, permettono una normale esperienza del mondo circostante. 6 Husserl analizza il caso del fantoccio ad esempio al Testo 14 di HUA XIII. 7 Sull’argomento si veda ad esempio A. Steinbock, Home and beyond: generative phenomenology after Husserl, Northwester University Press, Evanston 1995. 8 E. Husserl, Zur Phänomenologie der Intersubjektivität, Texte aus dem Nachlass, Zweiter Teil: 1921-1928, HUA XIV, I. Kern, a cura di, Martinus Nijhoff, Den Haag 1973, p. 68. 9 Vedi D. Zahavi, Husserl und die transzendentale Intersubjektivität, Kluwer, Dordrecht 1996, p. 84. 10 Vedi ad esempio E. Husserl, Zur Phänomenologie der Intersubjektivität, Texte aus dem Nachlass, Erster Teil: 1905-1920, HUA XIII, I. Kern, a cura di, Martinus Nijhoff, Den Haag 1973, Testo 14. 11 E. Husserl, I problemi fondamentali della fenomenologia. Lezioni sul concetto naturale di mondo (1910-1911), trad. it. di V. Costa, Quodlibet, Macerata 2008, p. 10. 12 Vedi ad esempio HUA XIV, pp. 133-134. 13 Vedi Appendice XXVI, HUA XV. 14 Vedi ad esempio HUA XV, p. 162. 15 Vedi ad esempio l‘Appendice II di HUA XV. 16 Vedi ad esempio il Testo 16 di HUA XIV. 17 Vedi ad esempio il Testo 11 di HUA XV. 18 Vedi ad esempio il Testo 3 di HUA XIV. 19 Vedi l’Appendice II di HUA XV. 20 Ricordiamo infatti con Breyer che la costruzione della normale Welt non è per Husserl legata primariamente a dinamiche logico-categoriali, ma all’esperienza ante-predicativa e, in generale, a tutto ciò che la fenomenologia pone sotto il titolo di passività (vedi T. Breyer, Unsichtbare Grenzen. Zur Phänomenologie der Normalität, Liminalität und Anomalität, in P. Merz, A. Staiti, F. Steffen, a cura di, Geist, Person, Gemeinschaft. Freiburger Beiträge zur Aktualität Husserls, Ergon, Würzburg 2010, p. 112). 21 Vedi ad esempio il Testo 2 di HUA XV. 22 In particolare all’Appendice XIII di HUA XIV, Husserl mostra come il riconoscimento e il “superamento” delle anomalie possa essere “solipsistico” (esempio del cieco che riacquisisce la vista attraverso un’operazione), ma anche intersoggettivo, 4 5
99
attraverso le “rappresentazioni indirette” derivanti dall’empatia. 23 Vedi ad esempio l‘Appendice XIII di HUA XIV. 24 Vedi T. Breyer, Unsichtbare Grenzen, p. 118. 25 L. Binswanger, Melanconia e Mania, trad. it. di M. Marzotto, a cura di E. Borgna, Bollati Boringhieri, Torino 2015, p. 22. 26 S. Besoli, Vorwärts zu Husserl: il pendolo della ricerca binswangeriana e il suo oscillare verso il compimento della fenomenologia, in L. Binswanger, Esperienza della soggettività e trascedenza dell’altro, a cura di S. Besoli, Quodlibet, Macerata 2007, p. 395. 27 S. Besoli, Vorwärts zu Husserl, p. 395. 28 Vedi L. Binswanger, Melanconia e Mania, p. 22. 29 S. Besoli, Vorwärts zu Husserl, p. 395. 30 L. Binswanger, Delirio, trad. it. di G. Giacometti, a cura di E. Borgna, Marsilio, Venezia 1990, p. 121. 31 Vedi L. Binswanger, Melanconia e Mania, p. 24. 32 Ivi, p. 71. 33 Ricordiamo che per Husserl questa logica interna è quella della motivazione, differente per ogni soggetto. 34 Vedi L. Binswanger, Delirio, p. 23. 35 L. Binswanger, Melanconia e Mania, p. 74. 36 Ivi, p. 75. 37 Ivi, p. 77. 38 Ibid. 39 L. Binswanger, Delirio, p. 66. 40 Ivi, p. 69. 41 B. M. d’Ippolito, La cattedrale sommersa, Franco Angeli, Milano 2004, p. 80. 42 L. Binswanger, Delirio, p. 119. 43 Vedi L. Binswanger, Delirio, dove il riferimento esplicito è ad Idee per una fenomenologia pura e una filosofia fenomenologica I, di E. Husserl.
Quaderni della Ginestra
SHARED EMOTIONS AND COLLECTIVE AFFECTIVE INTENTIONALITY 
T
of shared emotions? I will not answer these questions one after the other, but rather proceed in three steps. First, I set the stage for the following discussion
he aim of this paper is to present an account of shared emotions
of shared emotions by providing an overview of the major theories in
and to embed it within a broader understanding of collective
philosophy of emotion, focusing on how the rather new debate on
affective intentionality. I use the phrase collective affective intentionality as an
shared emotions emerged. Second, I present my account of shared
umbrella term covering all possible forms of feeling together. The term
emotions based on a phenomenological approach to collective affective
shared emotion, in contrast, is used to refer to a particular type of episode
intentionality. Third, I contextualize this account within a broader
of feeling together – episodes that are defined by the sharing of emotions,
understanding of collective affective intentionality and draw attention to
in contrast to other forms of feeling together.
the social dynamics into which feeling together is embedded.
Over the course of this paper, I will address four questions concerning shared emotions: (1) What is a shared emotion? This question
1. Setting the stage: shared emotions within philosophy of emotions
addresses the specificity of the sharing of emotions in contrast to the
20th century philosophy of emotion has been dominated by two
sharing of other mental states like beliefs or intentions. (2) How is an
broad traditions: somatic feedback theories1 and cognitivist theories2.
emotion shared? This question concerns the collectivity constitutive of
Each of these approaches faces a key challenge: For somatic feedback
the sharing of an emotional episode. (3) What are the conditions of
theories, which understand emotions primarily as physiological processes,
possibility for the sharing of emotions? This issue addresses the social
the challenge is how what they describe as an emotion is intentional.
mechanisms that need to be in place to enable the sharing of emotions.
For cognitivist theories, which understand emotions primarily as evaluative
It will also concern the contextualization of shared emotions within the
judgments, the challenge is how what they describe as an emotion is
broader field of collective affective intentionality. Dealing with this third
affective. These two challenges are condensed into the formula of
issue will point towards a fourth question: (4) What are the social functions
affective intentionality3. Affective intentionality refers to affective states as 100
Filosofia e collettività
being intentional and affective. The leading intuition is that in the case of affective intentionality, «the intentional and the phenomenal aspect» are
For the remainder of this paper, I will follow and further develop this phenomenological approach to affective intentionality.
«intertwined in such an inextricable way as to make the intentionality of
After this preliminary definition of affective intentionality, I will
an emotion be a matter of its specific phenomenology»4. The focus on
continue with an overview of received accounts of collective affective
the intertwining of intentionality and phenomenology has led to what
intentionality8. To my knowledge, there are no accounts of collective
might be called a phenomenological turn in the philosophy of emotion5.
affective-intentional states from the point of view of somatic feedback
Let me introduce this thought via Bennett Helm’s understanding of
theories. There appears to be a good reason for this: If we understand
emotions as “felt evaluations”6. Helm’s aim is to account for the
the body as «the theatre of emotions» 9, it is reasonable to assume that
emotionality of emotions while maintaining their intentionality. He does
emotions are always felt within one’s own body. If this is the case, it
so by claiming that emotions are mental states sui generis, uniquely
appears doubtful whether something like a truly collective emotion can
characterized by an evaluative content that is eminently affective. Helm
exist. If the ability to experience emotions is necessarily linked to
develops his account in opposition to cognitivism, which reduces
having a body, conceiving of collectives having emotions appears
emotions to cognitive states (possibly in combination with conative
impossible. This thought is based on a very powerful intuition:
states). In contrast, Helm argues that
individualism about feelings. Hans Bernhard Schmid explicated this intuition in a 2008 paper, which has become seminal for the debate on shared
«emotions do not merely involve some pleasant or painful sensation among
emotion. He did so by differentiating three interrelated claims of
other components, as cognitivist theories require. Rather, they are pleasures
individualism about feelings: (1) ontological individualism, according to
and pains and can be re-described as such: to be afraid is to be pained by
which feelings as conscious states are always ontologically subjective, i.e.
danger (and not by one's stomach); such a pain is not a component of, but is
part of the experience of an individual; (2) epistemological individualism,
rather identical with, one's fear»7.
which holds that individuals have only access to their own feelings; and (3) physical individualism, which claims that individuals experience feelings
101
Quaderni della Ginestra
as localized in their own body10. If individualism about feelings is right,
understanding of collective emotions.
it appears doubtful whether theories that maintain a constitutive relation
Despite these advantages, cognitivist accounts like Gilbert’s
of emotions with feelings can conceptualize something like a genuinely
encounter a serious challenge. I take this challenge to be so serious that
shared emotion.
I will suggest that it is more promising to follow the sketched
In contrast, there is an easy path for cognitivist theories to extend
phenomenological approach to an understanding of collective affective
their approach to an account of collective emotions. Cognitivist theories
intentionality. Cognitivist theories face what Helm12 called the “problem
can simply treat collective affective intentionality as a special case of
of emotionality”. Put bluntly, the question is whether what Gilbert is
collective intentionality. This is the approach Gilbert11 took in her
conceptualizing is in fact a collective emotion. The worry that this is not
seminal paper on “Collective Guilt and Collective Guilt Feelings”.
the case can be made plausible via two questions: (a) What distinguishes
Gilbert suggests understanding a collective emotion as a joint
collective guilt from the judgment that one is guilty?13 (b) What
commitment to an evaluative judgment. What is collective in a collective
distinguishes collective guilt from the joint commitment to feel guilty?14
emotion is the evaluative judgment. Insofar as emotions are also
It appears intuitively plausible that we should be able to make these
constituted by an action tendency, a collective emotion might also
distinctions, but it appears doubtful whether Gilbert can provide us
involve a joint intention. In contrast, it is contingent whether the
with the conceptual tools for making them. It is obvious that she cannot
partaking individuals have corresponding feeling sensations. This
refer to feelings for this task, as she holds that it is contingent whether
solution has two advantages. First, it allows to think collective affective
feelings accompany an emotion. And she does not provide any other
intentionality equivalent to collective cognitive intentionality and collective conative
component that might serve this task. Thus, I agree with Salmela’s15
intentionality, which keeps the theory simple and on well-established
observation that the joint commitment Gilbert describes appears to
conceptual grounds. Second, this solution avoids the challenge of
establish a feeling rule rather than an actual emotion16.
individualism about feelings. Since feelings play no constitutive role for
Against this background, we can make sense of Schmid’s17
emotions, individualism about feelings is no obstacle for Gilbert’s
suggestion that we should take the phenomenological turn in
102
Filosofia e collettività
philosophy of emotions to the collective level. As we have seen, a
plausible account of what it means to feel together. Sánchez Guerrero
phenomenological approach to affective intentionality emphasizes that
states the task in the following way:
affective-intentional states need to be understood as at once affective and intentional, without reducing either aspect to the other. As a consequence,
a
phenomenological
approach
underscores
«It seems that a philosophical account of collective affective intentionality
the
grounded in the thought that affective intentionality is a matter of the world-
inextricable link between the intentionality of an affective state and its
directedness of our emotional feelings must be able to show that at least
experiential dimension. The intentionality of an emotion cannot be
certain feelings […] can be shared in a non-metaphorical sense of ‘sharing’»19.
separated from the felt experience; rather, it needs to be seen as the affective experience. This is expressed in Helm’s understanding of emotions as felt evaluations. Coming back to the issue of collective affective intentionality, it should be clear now that a phenomenological approach to affective
However, this raises a serious challenge. For this task appears to contradict the core intuition of individualism about feelings, which precisely holds that something like a genuinely shared feeling is strictly impossible.
intentionality is committed to the view that feelings are constitutive of
However, we should not be too quick in jumping to the conclusion
emotions. As a consequence, such an approach has to defend the claim
that we are facing an impossible task. Rather, I suggest that we take a
that shared emotions, at least to some extent, are a matter of the
closer look at individualism about feelings and separate those intuitions
sharing of feelings. Accordingly, Schmid18 made the suggestion that a
that hold under closer inspection from those that turn out to be
phenomenological approach to shared emotions requires us to account
misguided. More specifically, I suggest to identify two valid sets of
for the sharing of feelings in a straightforward sense. However, this
intuitions that motivate individualism about feelings20. The first
implies that such an approach to collective affective intentionality needs
concerns consciousness, with the leading intuition being that, while it
to face the challenge of individualism about feelings. In other words, a
might be meaningful to speak of groups having a mind, the idea of
phenomenological approach to shared emotions needs to offer a
groups having consciousness is unthinkable. The second concerns the
103
Quaderni della Ginestra
body. Here, the intuition is that it is implausible to speak of a group
together by a plurality of individuals. The question is not whether there
having a body in any other than a metaphorical sense. If we agree that
is a group body capable of having feelings. Rather, the significant issue
these intuitions hold under closer inspection, as I want to suggest here,
is how or embodiment opens us up to the possibility of experiencing
that entails that we need an understanding of feeling together that does not imply
feelings together with others.
a group body or group consciousness. Without being able to go into detail, let me briefly hint at possible
2. Towards an account of shared emotions
paths towards meeting these challenges. Concerning consciousness, we
In this section, I will present an account of shared emotions based
need an account of several individuals participating in an emotional
on a phenomenological approach to collective affective intentionality. I
episode without having to defend the claim that a certain group is the
will develop my proposal via a critical assessment of Salmela’s account21.
ontological bearer of the experiential state. Concerning the body, we
Salmela condensed his understanding of shared emotions into the
need an account of several bodies being properly connected with each
following definition: Two or more individuals share an emotion if they
other, so that they can experience an emotional episode together,
“experience an emotion of the same type with similar (1) evaluative
without requiring a group body as the bearer of feelings. As the issue of
content and (2) affective experience”, and are mutually aware of this22.
consciousness will be more prominent in the following section, let me
Salmela’s crucial point is that for an emotional episode to constitute a
briefly add a few remarks on the issue of embodiment: When it comes
case of a shared emotion, it is not enough that the evaluative content is
to the body, the discussion often takes the form of a wrong dichotomy,
shared, as cognitivists would like to have it. A shared emotion also
according to which we either need to accept the dubious notion of a
requires the sharing of the affective experience.
group body, or reject the notion of feelings beyond individual bodies
The motivation behind this claim appears to be that the sharing of
altogether. However, between the claim of feelings being locked inside
evaluative content alone is insufficient for distinguishing shared
individual bodies, and the claim of a group body, there is ample room
emotions from group-based emotions. We can speak of a group-based
for a nuanced understanding of how feelings can be experienced
emotion when an individual experiences an emotion based on her
104
Filosofia e collettività
membership in a group. In such a case, she evaluates a situation
come in various modalities and can be achieved through a variety of
according to the relevant concerns of the group (rather than her
mechanisms. Salmela’s focus, however, is more on the possible forms in
personal concerns) and feels the emotion as a member of that group. For
which evaluative content can be shared. Salmela defends a concern-
instance, consider a football fan who gets angry when reading about a
based
new regulation against pyrotechnics in the stadium, although she is not
psychologically underlie emotions. The gist is that someone experiences
personally affected as she has never used pyrotechnics herself and even
an emotion when she perceives something favorably or adversely
finds them annoying. We want to be able to distinguish the case of
happening to the focus of her concern, with the emotion targeting the
individuals – simultaneously but independently – having such an
perceived cause of the impact. For instance, because one is concerned
emotion based on their membership in the same group (e.g. the group
about the stadium atmosphere, one gets angry when one reads of
of football fans), from the case in which individuals – in some form of
regulation that one perceives as interfering with fan culture. Following
co-dependence – experience their anger together. To be able to
Tuomela27, Salmela28 differentiates sharedness of concern according to
conceptualize this distinction, it appears sensible to say that in the latter
various degrees of collectivity, from overlapping private concerns to
case, the individuals also share the affective experience, whereas in the former
collective concerns of a group.
case, they only share the evaluative content.
account
of
emotions
according
to
which
concerns
Whereas I think that Salmela put forward the most convincing
An intriguing element of Salmela’s account is that it allows to
account of shared emotions available, I find two aspects wanting. First,
distinguish degrees of sharedness regarding both the evaluative content
although I agree with Salmela and Nagatsu29 that the mechanisms of
and the affective experience. With respect to the affective experience,
affective synchronization are mostly an empirical question, more needs
Salmela and Nagatsu23 point to the various forms and degrees of
to be said about the sharing of affective experience. Second, I am
synchronization regarding the constituents of an emotion. Empirical
skeptical whether mutual awareness is enough to account for the
24
25
26
findings on emotional contagion , motor mimicry , facial mimicry ,
genuine sharing of
and related phenomena have shown that affective convergence can
phenomenologist Edith Stein30, I want to submit that for an emotion to
105
an emotion. Following an idea of
the
Quaderni della Ginestra
be genuinely shared, it is not sufficient that we, each individually,
experience. The integration requirement points out that in an episode of
experience an emotion as members of a community (and reciprocally
emotional sharing, the participants not only experience the emotional
know about each other’s emotions); we need to experience it together.
episode as separate individuals, they also experience it together. A sense of
The togetherness at stake here cannot be reduced to mutual awareness.
togetherness forms a constitutive part of the experience. Experiencing a
31
Rather, we need to trace it in the experience. Following Szanto and León
shared emotion comes with an awareness of ‘us’ as the plural emoter. I
et. al.32, I recently suggested to elaborate what it means to experience an
do not think that each participant needs not to be aware of each
emotional episode together in terms of two requirements33: the plurality
particular other participant, as the sense of togetherness can also take
requirement and the integration requirement.
the form of an open horizon. The live audience in a stadium, for
The trivial sense of the plurality requirement states that more than one
instance, is a typical setting for shared emotions, although the size of
individual needs to be part of the experience; in other words, one
the gathering makes it impossible for one participant to track all others.
cannot have a shared emotion on one’s own. In the non-trivial sense,
However, that does not speak against spectators sensing themselves as
the plurality requirement asserts that the involved individuals need to be
making the experience together35.
aware of the plurality of partaking individuals; there needs to be «an
How does my proposal relate to the issues of consciousness and the
experienced differentiation between them»34. When sharing an emotion,
body? Let me begin with the worry about group consciousness. My
it is part of the specific type of experience that one is aware of the
suggestion is that we are indeed capable of sometimes experiencing an
plurality of partaking individuals. Sharing an emotion cannot require
emotion as our emotion; in these instances, we are aware of a plurality of
individuals to confound themselves with each other or to dissolve their
individuals experiencing the emotion together. Defending this claim does
individuality into some sort of group mind. Rather, it is part of this
not require to postulate consciousness on the part of the group. It is
specific experience that the individuals are aware of each other as
rather crucial to my proposal to maintain that only individuals are aware
distinct individuals. The self-other-distinction does not only remain
of or can reflect on the shared experience. However, there is no reason
intact in a shared emotion, it is rather constitutive of this type of
to assume, as Salmela36 suggested, that the sense of togetherness vanishes
106
Filosofia e collettività
once a participant reflects on the experience. In cases of genuinely
of partaking individuals; and (4) the integration requirement, i.e. a sense of
shared emotions, the awareness of ‘us’ as the plural emoter can stand
togetherness characterizing the experience.
the test of reflection. Phenomenological analysis suggests that there can be a «non-misleading sense of plural selfhood»37. Moving to the issue of the
3. Embedding shared emotions within collective affective intentionality
body, I am suggesting that the sharing of affective experience is based
After presenting my account of shared emotion, the aim of this
on (bodily) synchronization leading to affective convergence38. Far from
third section is to contextualize this account within a broader
promoting the idea of a group body, my proposal is based on an
understanding of collective affective intentionality. Whereas the
understanding of embodiment that emphasizes that the body does not
previous section approached episodes of shared emotions in terms of a
close us off from each other; rather, my body connects me to others in
static analysis, this section adopts a dynamic perspective focusing on
such a way that I can immediately affect them, and they can immediately
their genesis. Such a dynamic perspective allows us to see that shared
affect me. Such an understanding of the body as the scene of
emotions are only one form of feeling together; there are other forms, e.g.
relatedness is not only supported by the already mentioned research on
forms of emotional convergence, that do not fulfill the criteria to count
affective synchronization, but also by findings in developmental
as shared emotions. Shared emotions are only possible under rather
psychology39 and phenomenological investigations into embodiment40.
demanding conditions of integration and synchronization between
To sum up this section, I have suggested the following characteristics
individuals, and play out as transient experiential episodes with rather
of shared emotions41: (1) the intentionality requirement, i.e. the shared
short duration. More specifically, I suggest two conditions of possibility
directedness towards the emotion’s target in light of the shared focus of
for shared emotions: (1) synchronic interaction, enabling affective
the underlying concern; (2) the affectivity requirement, according to which
synchronization; (2) diachronic integration into an community of
the sharedness cannot be reduced to the cognitive or evaluative
shared concern, enabling a unified evaluation of a situation42. Due to
dimension, but also involves the sharing of the concrete affective
limited space, I can only discuss the second condition here43. I have
experience; (3) the plurality requirement, i.e. an awareness of the plurality
already addressed this condition implicitly when discussing Salmela’s
107
Quaderni della Ginestra
concern-based account of shared emotions. In this section, I will draw
one another to refer to several individuals sharing a number of concrete
on Sánchez Guerrero’s44 understanding of caring with one another and
concerns, a specific sense of things mattering. Against the background
Helm’s45 notion of a unified evaluative perspective to further specify this
of caring with one another, individuals can come to feel concrete emotional
condition.
episodes together.
Sánchez Guerrero offers a Heidegger-inspired approach to collective
Helm’s51 account allows us to take a closer look at the peculiar
affective intentionality according to which «human intentionality, in
relationship between caring with one another and feeling emotional episodes
general, may be understood in terms of an essentially shareable (but not
together52. More specifically, I suggest following Sánchez Guerrero’s 53
necessarily collective) openness to the world». Sánchez Guerrero main
reading of Helm according to which emotions serve a double-role: they
contribution is cashing out what such sharing amounts to. To begin
are disclosing and co-constituting the significance something has. Emotions
with, it involves a «sense of being in an essentially shareable world»46.
are not mere responses to significance, as they are also co-constituting
This implies that our sense of belongingness to this world, our
that very significance. Introducing Helm’s idea that emotions are always
familiarity with the world is also something «one shares (or at least
grounded in an evaluative perspective, i.e. a specific view of the world, allows
could share) with other human beings»47. Moreover, this requires a sense
us to be more specific about the claim that emotions are disclosing and
that «we human individuals share a mode of being that is defined by
co-constituting significance. On the one hand, a particular emotion
care»48. Combined, this constitutes our «belongingness to an essentially
usually discloses the significance something has. The specific pattern of
shareable world»49. The gist of Sánchez Guerrero’s account is that the
my emotions, on the other hand, contributes to the constitution of that
essential shareability of our belongingness to the world is the condition
very significance. The idea of something having significance only makes
of possibility for «sharing a number of concrete concerns that determine a specific
sense with reference to someone for whom it is significant. Significance
way of being-in-the-world».50 Thereby, he provides an existential-ontological
is always significance for someone.54 As a consequence, it is insufficient to
account of how diachronic integration into a community of shared
look at a single emotion in order to understand its significance. Rather,
concern can come about. Sánchez Guerrero uses the phrase caring with
we need to see an emotional episode as a constituent of a coherent
108
Filosofia e collettività
pattern of evaluative attitudes. A particular emotion can be explained and
unified evaluative perspective of the group and the emotions of its
justified by its integration into an evaluative perspective. The crucial idea is
members are all circular. However, Helm embraces these circularities,
that our emotions not only reveal the significance a specific entity has
defending the view that these circles are not of the vicious kind, but
for us, they also make manifest our evaluative perspective, the specific
rather making manifest the specific role that emotions play in our lives
cares and concerns that make up who we are.
as caring beings.
Later, Helm55 transferred this account to the collective level by
Despite these circularities, Helm’s account of an evaluative
claiming that the notion of an evaluative perspective is not restricted to
perspective appears rather static to me. I suggest adopting a more
individuals. Under certain circumstances, groups can be said to be
dynamic understanding of caring as the basic level of our engagement
integrated in such a way as to develop a unified evaluative perspective of
with the world and others. More specifically, I want to propose a
their own. Helm adopts the double role of emotions to the group level.
dynamic view of the relation between caring with one another and the
On the one hand, the group’s unified evaluative perspective is
sharing of emotional episodes. On the one hand, the sharing of an
constituted by the emotions of its members. On the other, the
emotional episode is, among other conditions, made possible by a
evaluative perspective of the group exerts pressure on the members to
number of individuals sharing a particular set of concerns. On the
have emotions that conform to the relevant evaluative pattern. Seen
other hand, the sharing of a set of concerns arguably comes about via
from this angle, members can come to discover what significance
individuals sharing a number of emotional episodes56. The interplay
something has for the group. Moreover, members are in a position to
between caring with one another and feeling together makes manifest a crucial
criticize each other from the perspective of the group if they fail to
social dynamic. The suggestion is that the sharing of emotional
display the appropriate emotions.
episodes and the integration into groups of shared concerns tend to
It should be noted that Helm’s accounts of the relation between
form self-energizing circles: sharing concerns makes it more likely that
emotions and the evaluative perspective in which they are grounded,
individuals experience concrete emotional episodes together, which in
between emotions and the significance of their target, and between the
turn strengthen the sharedness of concerns57. If this analysis is right, it
109
Quaderni della Ginestra
reveals the sharing of emotions as a powerful social force. It is likely
states that the sharedness cannot be reduced to the cognitive or
one of the main sources of cohesion within a group, establishing a set
evaluative dimension, but also involves the sharing of affective
of shared concerns. At this point, however, we should not forget the
experience; the plurality requirement, which emphasizes that in emotional
flipside of such cohesion, namely that the constitution of a particular
sharing, participants are aware of the plurality of partaking individuals;
group implies the demarcation from other groups. Thus, a
finally, the integration requirement states that a sense of togetherness is a
comprehensive analysis of how the sharing of emotions is embedded in
constitutive part of that experience. The third question addressed the
the dynamics of collective affective intentionality requires the careful
conditions of possibility for the sharing of emotions. I emphasized that
consideration of these inter-group dynamics.
shared emotions are only possible under rather demanding conditions of integration and synchronization between individuals: First, a unified
4. Conclusion
evaluation of a situation needs to be enabled by the sharing of relevant
In the introduction, I promised to address four questions. In
concerns; second, sufficient interaction between the involved
response to the first question – What is a shared emotion? – I introduced
individuals needs to enable affective synchronization among them in the
the label affective intentionality in order to overcome the dualism between
particular instance of emotional sharing. Responding to the forth
cognition and affect, rationality and emotionality. Furthermore, I build
question – What are the social functions of shared emotions? – I showed
on Helm’s understanding of emotions as felt evaluations for defending
that it would be wrong to assume a one-sided relation of constitution
the claim that an episodes of affective intentionality is at once (bodily)
between the sharing of concrete emotional episodes and the integration
felt and intentionally directed towards its target. I answered the second
into groups of shared concerns. An analysis of the genesis of collective
question – How is an emotion shared? – by introducing four
affective intentionality makes manifest the social dynamics in which the
requirements for a shared emotion: the intentionality requirement,
sharing of emotions and the sharing of concerns evolve through
according to which a shared emotion is characterized by shared
reciprocal stimulation. I suggest that a study of the social functions of
directedness towards an object or event; the affectivity requirement, which
shared emotions needs to focus on these self-energizing circles of
110
Filosofia e collettività
affective sharing and social integration. GERHARD THONHAUSER
The work on this article was part of the project “Sports Fans: A Phenomenological Study of Affective Sharedness” funded by the Austrian Science Fund (FWF): J 4055-G24. The project is hosted by Jan Slaby at the Institute of Philosophy of Free University Berlin and associated with the CRC 1171 Affective Societies. Significant portions of this article were written during a short stay as Visit Research Fellow at University College Cork, enabled by the friendly invitation of Alessandro Salice. During my stay, I had the chance of presenting a draft of this paper at the departments Visiting Speaker Series. I thank all participants for their helpful comments, notably Adam Loughnane, Xiao Ouyang, Don Ross, Alessandro Salice and Joel Walmsley. Moreover, I thank Christian von Scheve and Thomas Szanto for reading an earlier version and providing valuable suggestions. Finally, I am indebted to Dan MacCarthy for his hospitality during my stay in Cork. 1 Cfr. W. James, What Is an Emotion?, “Mind”, 9, 34, 1884, pp. 188–205; C. Lange, Om Sindsbevægelser. Et Psyko-Fysiologisk Studie, Jacob Lund, Copenhagen 1885; C. Lange, Über Gemütsbewegungen. Ihr Wesen Und Ihr Einfluß Auf Körperliche, Besonders Auf Krankhafte Lebenserscheinungen. Ein Medizinisch-Psychologische Studie, Thomas, Leipzig 1887; A. Damásio, Descartes’ Error: Emotion, Reason, and the Human Brain, Putnam, New York 1994; J.Prinz, Gut Reactions: A Perceptual Theory of Emotion, Oxford University Press, Oxford 2004. 2 Cfr. A. Kenny, Action, Emotion and Will, Routledge, London 1963; R. Solomon, The Passions. Emotions and the Meaning of Life, 2nd ed. Hackett Publishing, Indianapolis 1993. 3 To my knowledge, the label “affective intentionality” was introduced into current debate via two independent sources. It was casually used in German by Hans Bernhard Schmid in a book first published in 2005 (cfr. H. B. Schmid, Wir-Intentionalität. Kritik Des Ontologischen Individualismus Und Rekonstruktion Der Gemeinschaft, Alber, Freiburg 2012, p. 50). A few years later, Schmid used the phrase “collective affective intentionality” in the title of his seminal paper “Shared Feelings: Towards a Phenomenology of Collective Affective Intentionality” (cfr. H. B. Schmid, Shared Feelings: Towards a Phenomenology of Collective Affective Intentionality, H. B. Schmid, N. Psarros, K. Schulte-Ostermann, eds, Concepts of Sharedness: Essays on Collective Intentionality, Ontos, Frankfurt am Main 2008) and reused it in chapter 4 of Schmid (H. B. Schmid, Plural Action, Springer, Berlin 2009). Simultaneously, the label “affective intentionality” was made popular by Jan Slaby and Achim Stephan (cfr. J. Slaby, A. Stephan, Affective Intentionality and Self-Consciousness, “Consciousness and Cognition”, 17, 2008, pp. 506–13; J. Slaby et al. Affektive Intentionalität – Hintergrundgefühle, Möglichkeitsräume,
111
Handlungsorientierung, Mentis, Paderborn 2011) in the context of the research project “animal emotionale”. 4 H. A. Sánchez Guerrero, Feeling Together and Caring with One Another. A Contribution to the Debate on Collective Affective Intentionality, Springer, Cham 2016, p. 58. 5 Cfr. P. Goldie, The Emotions. A Philosophical Exploration, Clarendon Press, Exford 2000; B. W. Helm, Emotional Reason: Deliberation, Motivation, and the Nature of Value, Cambridge University Press, Cambridge 2001; M. Ratcliffe, Feelings of Being, Oxford University Press, Oxford 2008; J. Slaby, S. Achim, Affective Intentionality and Self-Consciousness, “Consciousness and Cognition” 17, 2008, pp. 506–13; H. B. Schmid, Plural Action, Springer, Berlin 2009. 6 B. W. Helm, Felt Evaluations. A Theory of Pleasures and Pains, “American Philosophical Quarterly”, 39 2002, pp. 13–30. 7 Ivi, p. 16. 8 For an overview of the interdisciplinary debate on collective emotions (cfr. C. von Scheve, M. Salmela, eds., Collective Emotions, Oxford University Press, Oxford 2014. 9 A. Damasio, Descartes’ Error: Emotion, Reason, and the Human Brain, Putnam Publishing, New York 1994, p. 155. 10 H. B. Schmid, Plural Action, p. 70. 11 Cfr. G. Margaret, Collective Guilt and Collective Guilt Feelings, “Journal of Ethics”, 6, 2002, pp. 115–143. 12H. W. Bennett, Emotional Reason: Deliberation, Motivation, and the Nature of Value, Cambridge University Press, Cambridge 2001, p. 38. 13 A. Konzelmann Ziv, Collective Guilt Feeling Revisited, “Dialectica”, 61, 3, 2007, pp. 467– 493. 14 Cfr. M. Salmela, Shared Emotions, “Philosophical Explorations”, 15, 1, 2012, pp. 33–46. 15 Ivi, p. 36. 16 The notion of a joint commitment to a certain emotion can serve important functions – especially in the context of a normative account, as Gilbert develops it regarding collective guilt. However, it does not do the job when the task at hand is providing a plausible account of a number of individuals experiencing an emotional episode together. 17 Cfr. H. B. Schmid, Shared Feelings: Towards a Phenomenology of Collective Affective Intentionality, H. B. Schmid, N. Psarros, K. Schulte-Ostermann, eds., Concepts of Sharedness: Essays on Collective Intentionality, Ontos, Frankfurt am Main 2008; H. B. Schmid, Plural Action. 18 Cfr. H. B. Schmid, Shared Feelings: Towards a Phenomenology of Collective Affective Intentionality; H. B. Schmid, Plural Action. 19 H. A. Sánchez Guerrero, Feeling Together and Caring with One Another. A Contribution to the Debate on Collective Affective Intentionality, p. 108. 20 Cfr. H. B. Schmid, Collective Emotions - Phenomenology, Ontology, and Ideology. What Should We
Quaderni della Ginestra
Learn From Max Scheler’s War Propaganda, “Thaumazein”, 3, 2015, pp. 103–19. 21 To be sure, Salmela does not considers himself a phenomenologist. Neither does Helm, whose theory will continue to serve as a background for my approach. It is rather my specific way of presenting their works that makes them productive for a phenomenological approach. At the same time, I will move beyond the traditional scope of a phenomenological analysis of experience, especially when taking the social conditions of possibility of emotional sharing into account. Thus, my approach will be a combination of phenomenological analyses of certain types of experiences with mostly sociological and social psychological investigations into the social conditions of those experiences. 22M. Salmela, M. Nagatsu, Collective Emotions and Joint Action, “Journal of Social Ontology”, 2, 1, 2016, pp. 33–57. 23 Ivi, p. 39. 24 E. Hatfield, J. T. Cacioppo, R. L. Rapson, Emotional Contagion, Cambridge University Press, Cambridge 1994. 25Cfr. J. B. Bavelas, Motor Mimicry as Primitive Empathy, N. Eisenberg, J. Strayer, eds., Empathy and Its Development, Cambridge University Press, Cambridge 1987, pp. 317-338. 26 Cfr. B. Seibt, Facial Mimicry in Its Social Setting, “Frontiers in Psychology”, 6, 2015, Article 1122, https://doi.org/10.3389/fpsyg.2015.01122. 27 Cfr. R. Tuomela, The Philosophy of Sociality, Oxford University Press, Oxford 2007. 28 Cfr. M. Salmela, Shared Emotions, pp. 39-40. 29 M. Salmela, M. Nagatsu, Collective Emotions and Joint Action. 30 E. Stein, On the Problem of Empathy. The Collected Works of Edith Stein 3, ICS Publications. Washington, D.C. 1989, pp. 17-18. 31 T. Szanto, Husserl on Collective Intentionality, A. Salice, H. B. Schmid, eds, Social Reality: The Phenomenological Approach to Social Reality. History, Concepts, Problems, Springer, Berlin 2016, pp. 145–172. 32 F. León, T. Szanto, D. Zahavi, Emotional Sharing and the Extended Mind, “Synthese”, 1–2, 2017, pp. 1–21. 33 G. Thonhauser, Shared Emotions: A Steinian Proposal, “Phenomenology and the Cognitive Sciences”, https://doi.org/10.1007/s11097-018-9561-3 2018. 34 F. Leon, T. Szanto, D. Zahavi, Emotional Sharing and the Extended Mind, p. 14. 35 My remarks on the sense of togetherness are inspired by analyses of communal experience in early phenomenology. For example, Edith Stein observed that communal experiences are characterized by a double-intentionality: besides an intention toward the target they also contain an “intention toward the communal experience” (E. Stein, Philosophy of Psychology and the Humanities. The Collected Works of Edith Stein 7, ICS Publications, Washington, D.C 2000, p. 137). Gerda Walther appears to have traced the
same issue when elaborating on the “feeling of togetherness” or “feeling of unification” (Einigungsgefühl) constitutive of a communal experience (G. Walther, Zur Ontologie Der Sozialen Gemeinschaften, “Jahrbuch Für Philosophie Und Phänomenologische Forschung”, 6, 1923, pp. 1–158; cfr. D. Zahavi, A. Salice, Phenomenology of the We: Stein, Walther, Gurwitsch, J. Kiverstein, ed., The Routledge Handbook of Philosophy of the Social Mind, Routledge, London 2017, pp. 515–527). Early phenomenology has recently come into focus for the debates on social cognition, collective intentionality and social ontology (cfr. T. Szanto, D. Moran, Special Issue on Empathy and Collective Intentionality - The Social Philosophy of Edith Stein, Human Studies, 38, 4, 2015; T. Szanto, D. Moran, The Phenomenology of Sociality: Discovering the “We.”, Routledge, London 2016; A. Salice, H. B. Schmid, Social Reality: The Phenomenological Approach to Social Reality. History, Concepts, Problems, Springer, Berlin 2016). 36 M. Salmela, Shared Emotions, p. 38. 37 H. A. Sánchez Guerrero, Feeling Together and Caring with One Another. A Contribution to the Debate on Collective Affective Intentionality, Springer, Cham 2016, p. 112. My position is compatible with – indeed I take it to require – the fact that an individual can be mistaken about experiencing an emotional episode together with others. There are certainly cases in which the sharing turns out to be an illusion. In successful cases of shared emotion, however, the sharing receives further validation over time. 38 An important question is whether the sharing of affective experience always requires physical co-presence, as one might take my proposal to suggest. Such a requirement seems to be too restrictive, especially considering the advancements in technological possibilities for mediatized interaction. Thus, the idea of affective convergence through synchronization should include forms of mediatized co-presence. This raises a whole set of questions about the relation of embodiment, mediatized interaction and affective synchronization, which I cannot address in this paper. Here, my argument is simply that none of these considerations requires the postulation of a group body. 39Cfr. D. Stern, The Interpersonal World of the Infant: A View from Psychoanalysis and Developmental Psychology, Karnac Books, London 1998. 40 Cfr. M. Merleau- Ponty, Phenomenology of Perception, Routledge, London & New York 2012; J. Krueger, Merleau-Ponty on Shared Emotions and the Joint Ownership Thesis, “Continental Philosophy Review”, 46, 2013, pp. 509–531; T. Fuchs, S. Koch, Embodied Affectivity: On Moving and Being Moved, “Frontiers in Psychology. Psychology for Clinical Settings”, 5, Article 508, 2014, pp. 1–12; H. Landweer, Mass Emotion and Shared Feelings: A New Concept of Embodiment, H. Feger, Xie Dikun, Wang Ge, eds., Yearbook for Eastern and Western Philosophy, 2, pp.104–17, De Gruyter, Berlin & New York 2017. 41 T. Szanto, Stein and Walther on Shared Emotions: A Critical Comparison presented at the Early Phenomenology on Affective Sharing, Free University Berlin, February 17, 2018.
112
Filosofia e collettività
Cfr. J. Krueger, The Affective ‘We’: Self-Regulation and Shared Emotions, T. Szanto D. Moran, eds., The Phenomenology of Sociality: Discovering the “We”, Routledge, New York 2016, p. 270. 43 As I already stated in a previous note, a number of complicated issues are related to the question which types of interaction can lead to affective synchronization. 44 Cfr. H. A. Sánchez Guerrero, Feeling Together and Caring with One Another. A Contribution to the Debate on Collective Affective Intentionality, p. 133. 45 Cfr. B. W. Helm, Plural Agents, “Nous”, 42, 1, 2008, pp. 17–49. 46 H. A. Sánchez Guerrero, Feeling Together and Caring with One Another. A Contribution to the Debate on Collective Affective Intentionality, p. 146. 47 Ivi, p. 154. 48 Ivi, p. 155. 49 Ivi, p. 169. 50 Ivi, p. 175. 51 Cfr. B. W. Helm, Emotional Reason: Deliberation, Motivation, and the Nature of Value, Cambridge University Press, Cambridge 2001. 52 Helm’s theory and Sánchez Guerrero’s Heidegger-inspired account might seem far apart from each other. For sure, Helm is no Heidegger scholar and makes no reference to Heidegger. Moreover, he is miles apart from Heidegger in terms of terminology and philosophical style. However, some proximity between Helm’s theory and Heidegger’s basic ideas about human existence cannot be denied. Sánchez Guerrero picks up on these similarities to build his account that combines the main impulses from Heidegger and Helm. In a footnote, Sánchez Guerrero (H. A. Sánchez Guerrero, Feeling Together and Caring with One Another. A Contribution to the Debate on Collective Affective Intentionality, p. 142; FN 14) remarks that Helm’s PhD advisor was John Haugeland. This might explain Helm’s proximity to a Heidegger-inspired understanding of human existence, since Haugeland was not only a highly original philosopher, but also a brilliant interpreter of Heidegger. Most importantly for the present context, Haugeland vividly pointed to the specifically human mode of being as a being that cannot escape “giving a damn” (cfr. Z. Adams, J. Browning, Giving a Damn. Essays in Dialogue with John Haugeland, MIT Press, Cambridge 2016). We always encounter entities as mattering to us one way or the other; we always experience them with some kind of significance. 53H. A. Sánchez Guerrero, Feeling Together and Caring with One Another. A Contribution to the Debate on Collective Affective Intentionality, p. 133. 54 Note however, that neither Helm nor Sánchez Guerrero nor I support subjectivism about significance. Rather, significance can be said to be subjective and objective at the same time. While significance is always significance for someone, an individual can be right and wrong about the significance a specific object or event has. Although something having 42
113
significance only makes sense with reference to a subject, the significance something has is dependent upon its specific attributes. As a consequence, we can say that significance “is, on the one hand, perspectivally subjective, and on the other, objectively discoverable.” (H. A. Sánchez Guerrero, Feeling Together and Caring with One Another. A Contribution to the Debate on Collective Affective Intentionality, p. 136). 55 Cfr. B. W. Helm, Plural Agents, “Nous”, 42, 1, 2008, pp. 17–49; B. W. Helm, Emotional Communities of Respect, C. von Scheve, M. Salmela, eds., Collective Emotions, Oxford University Press, Oxford 2014, pp. 47–60; B. W. Helm, Communities of Respect: Grounding Responsibility, Authority, and Dignity, Oxford University Press, Oxford 2017. 56 This picture gets further complicated when taking into account Salmela’s (M. Salmela, M. Nagatsu, Collective Emotions and Joint Action, pp. 36–40) suggestion, which I discussed in section 2, that the sharedness of concerns and of affective experiences can both come in various degrees. 57C. Scheve, S. Ismer. Towards a Theory of Collective Emotions, “Emotion Review”, 5, 4, 2013, p. 5.
Quaderni della Ginestra
BODILY MEMORY AND JOINT ACTION IN MUSIC PRACTICE AND THERAPY
Keeping the two distinct forms of collective intentionality in mind, Salice and Herinsksen consider the form of disruption that we find in schizophrenia. According to them, patients who suffer from
Introduction
T
schizophrenia have difficulties with establishing we-identities required
his paper will analyze the role of intercorporeality and bodily
for the formation of a genuine we-intentionality. The authors cash out
memory in music therapy. Our starting intuition is that the
this point as follow:
disruption of this experiential bodily features play a key role in the development of mental disorders. Furthermore, we want to consider
ÂŤin contrast to joint intentionality, which, we suggest, remains largely
what kind of interaction occurs between collective intentionality,
unaffected by the disorder, patients with schizophrenia often seem to be
intercorporeality and bodily memory in such disorders. The paper is
confronted with notable difficulties when it comes to we-intentionality and
organized as follows: the first part explains the theoretical framework
thus the ability to participate in and be members of we-groups (e.g. romantic
of our research project; while the second part describes the
relationships or friendships in all the various forms in which they come). From
methodological aspects of our future empirical research.
the very outset it must be stressed that we are not suggesting that weintentionality is somehow lost in schizophrenia, but rather that it often is
1. Collective Intentionality in Music Practice: a Focus on Psychopathologies
fragileÂť3.
As Salice and Herinsksen1 underline, in the contemporary debate concerning joint actions two forms of collective intentionality are
The authors suggest that this fragility of we-intentionality is caused
considered: the first form is goal oriented, each member is interacting
by self-disorders_ that inhibit the processes required for the constitution
with others in such a way that the goal is shared (joint intentionality);
of we-groups.
the second form implies that individuals are experiencing themselves as member of the group (we intentionality)2.
In our project proposal, we would like to analyze the phenomenology of the first-person experience of patients who suffer
114
Filosofia e collettività
from mental disorders in sessions of music therapy, and we want to
intercorporeality, focusing specifically on Husserl and Merleau-Ponty.
claim that they are not only lacking a strong sense of we-intentionality
Husserl7 draws a clear distinction between Leib and Körper, intending
but also a sense of intercorporeity in general and bodily memory.
with the former term the organic living body that we experience in our
Concerning music theory and collective intentionality the debate is
sensing activities and with the latter the objective body as intended by
divided into two main perspectives. The first one is based on
anatomy for example. In his Phenomenology of Perception, Merleau-Ponty
enactivism4 and claims that in joint music experiences sense making is
starts from this assumption and develops a detailed analysis of Leib
participatory and not only based on mental processes but rather
considering the issue of bodily-schema in its genetic role for the
generates from bodily interaction. Claiming for an enactive and
constitution of both subjectivity and spatiality. In creating her own
embodied approach to musicianship Schiavio and De Jaegher5 underline
bodily-schema, the subject generates a form of spatiality that Merleau-
the pre-reflective dimension of such joint experience. The second
Ponty defines as “situational spatiality”8 differentiating this spatiality
perspective6
collective
proper of the Leib from the “positional spatiality”9 that pertains to
intentionality and tries to understand if both plural self-knowledge and
external objects. This peculiar form of spatiality proper of the Leib puts
non-observational knowledge about collective action are involved.
subjectivity in direct contact with the external world and consequently
However, the authors underline that both plural self-knowledge and
with other beings.
non-observational knowledge are not involved.
This corporeal connection between subject, world and beings links to
considers
musicianship
in
relation
to
Considering music therapy in terms of joint action, we want
the issue of intersubjectivity – and to the issue of transcendental inter10
understand the role of bodily memory and intercorporeity in
subjectivity in Husserl’s works
– and the constitution of the other in
psychopathologies.
terms of intercorporeity. In order to switch from corporeality to intercorporeity (intended in term of flesh), Merleau-Ponty introduces the
2. Intercorporeality
concept of reversibility. It is necessary to understand reversibility start-
In what follows, we briefly consider the issue of corporeality and
ing from the consideration of the specific nature of the body, its being
115
Quaderni della Ginestra
both a living body and an objective body (an object between objects).
Rather, all my senses are communicating in the same way in which our
Different from mere things, the living body has a proper carnal reflec-
own body is communicating with other bodies in an “intentional en-
tivity. This carnal reflection is central because, for Merleau-Ponty, the
croachment”.
body becomes subject insofar as it recognizes itself as a part of the
Intercorporeity implies the relevance of the Leib and expresses the
world. This double reversibility leads to the idea of flesh and intercor-
idea of an intimate interconnection between beings at bodily level.
poreity. The body is in connection with the world because body, bodies
Furthermore, intercorporeality maintains the feature of reversibility,
and things share what Merleau-Ponty calls “the flesh of the world”11.
meaning that we are constituting ourselves as subjects in a carnal and
The intuition behind this runs as follows: we have a body and this body
intersubjective dimension. If we focus on subject’s experience of
is made by flesh. This carnality is shared by other beings such as ani-
intercorporeity, then we should assume its relevance for the
mals. Consequently, it is in virtue of this fleshy intertwining that we can
development of both normal and pathological experiences.
understand Merleau-Ponty’s expression: “the flesh of the world”. This
Recently, different scholars has started developing a different
concept leads Merleau-Ponty to formulate the idea of intercorporeality, an
perspective on emotions using the concept of intercorporeality13.
idea that we can intend as a form of carnal intersubjectivity. What we all
Fuchs14,
share is a bodily dimension (living body for humans and animals, sur-
intercorporeality and interaffectivity, considering his analysis as a
faces for things) that puts us in an intimate connection. The conception
development of Merleau-Ponty’s concept of intercorporeality15. In this
of intercorporeity starts to become explicit in Merleau-Ponty’s lectures
paper we would like to consider the intercorporeal structure of
at the Collège du France on child psychology12, where the author con-
experience in pathological experiences, focusing on the bodily
nects the issue of body with the concept of structure in relation to child
dimension of intercorporeality and on the concept of intercorporeal
development. In this context, Merleau-Ponty underlines the emergence
memory, we consider how they develop for people with mental
of a system within the connection between bodies: it is not that I per-
disorders in a joint activity such as music therapy.
for
example,
focuses
on
the
relationship
between
ceive my own body and then I attribute all these functions to others.
116
Filosofia e collettività
3. A phenomenological tool for the study of collective actions
ty, such as embodiment and interpersonal attunement, features that in schizophrenia register huge disruptions. On the contrary, schizophrenia
3.1 Target population
seems to be very suitable to our phenomenological and qualitative in-
In contrast to DSM nosography, that involves primacy attributed to
vestigation, since it can indeed involve subjects provided with a normal
single symptoms and an empirical statistical approach, our test is a
cognitive, representational activity, while they are severely impaired in
qualitative tool whose main aim is to explore subjectivity and its pre-
domains like self-awareness and intersubjective understanding. The
reflective structures, in particular those linked to intersubjective skills. In
analysis of schizophrenia can thus be helpful in clarifying how these
fact, our interview is directed to people affected by those mental
domains work and to what extent pre-reflective structures and reflective
disorders which involve a detachment from sociality. We find it
abilities are important and intertwined with one another. Concerning
interesting to focus on people who actively attend music therapy labs,
our attention towards embodiment and the role of embodied memory,
since in this case we can also observe potential changes and
also in this case this pathology can be fruitful for shedding light on the
improvements in self/other awareness, and, in particular, in the link
importance of our being a living body. The thesis we would like to
between proprioception and intersubjective understanding. The main
show through our test is therefore that a disruption of our pre-
important pathology we would like to take into account is
reflective, embodied structures are responsible for the impairments of
schizophrenia, a disorder where the split between the self and the
intersubjective skills. In a very schematic manner, our inclusion criteria are:
collectivity is really dramatic. Schizophrenia is usually defined as followed: “«a mixture of characteristic (…) positive and negative [symptoms] that have been present for a significant portion of time 16
Diagnosis: patients with psychosis (with a special attention to people affected by schizophrenia);
(…), associated with marked social and occupational dysfunction» .
Patient or legal tutor’s consent;
This definition seems to us quite problematic, since it does not take into
Minimum age: 18; maximum: 70;
account the qualitative, lived and pre-reflective structures of subjectivi-
117
Quaderni della Ginestra
Sex: male/female;
items we identified, which are at the center of our analysis. After
Patients participating in collective group of music therapy with
answering the questions, the subject is elicited to motivate her answers,
continuity (users must have attended a minimum of two seats).
in a direct, semi-structured dialogue. Privileging reciprocity, it may happen that the subject drives our questions, as well as our questions be
The exclusion criteria concerns brain injuries, mental retardation and
adapted to her statements. In order to make the test scientifically valid,
neurodegenerative disorders, which would prevent the cognitive abilities
we also interview “neurotypical subjects”. Starting from piecestaken
of the subjects: in other words, we exclude patients with severe mental
from songs used within the sessions, we present the user with 4
deficits (for parameters see DSM V17) since they would not be able to
different options that represent four main domains. The scores are
elaborate the answers in verbal communication.
given through a range from 1 to 4 according to the different options, where 1 means a very low presence of the item at the center of the
3.2 The test: Items and Scoring
analysis, and 4 means an elevated presence of the same item. The user
Our test is a semi-structured interview that, by stimulating the
can choose according to her own impressions and feelings, and then we
subject through music pieces and appropriate questions about the
can discuss her choice through a dialogue that will privilege the
relationship between individual and group, the temporality experienced
reciprocity between the user and the interviewer. The main items we
by the subjects, their thoughts, feelings or beliefs, tries to explore
take into account are:
subjectivity in a relatively direct manner. The interview is conducted by ourselves in the environment in which the subjects perform the music
1) The relationship between individual and collective experiences
therapy, in order to qualify for an environment where users feel at ease.
The link between subjectivity and intersubjectivity is widely
In order to have a general idea of the life world of the patient, and
debated18. In particular, we would like to shed light on the pre-reflective
facilitate a gestaltic analysis of her/his experiences, we start with an
attunement that allows the subject to feel herself being part of a group.
interview about her/his social history. Then, we focus on the specific
In the case of music practice, we aim to explain how self-awareness and 118
Filosofia e collettività
other-awareness are present in collective actions.
does happen in collective musical performances? This case seems to be even more interesting because it involves not only individual’s skills, but
2) Bodily experience
a complex collective
We already emphasized the importance that phenomenology gives to
procedural memory – which is the Merleau-pontian praktognosia, our
our being a living body. In fact, we can affirm that kinesthetic sensations
pre-reflective embodied understanding – works together with
make us aware of our sensations and movements immediately and
intercorporeal memory. The result is a holistic experience, where
intuitively, in a sort of a primary self-consciousness. Furthermore, the
individual stances and collective ones are not separable, but form a
pre-reflexive and pre-conceptual sensorial synthesis seems to be the
collective experience that could be studied just from a Gestaltic
ground
approach.
for
the
understanding
of
alterity.
In
other
words,
awareness. In other words, it seems that
intersubjectivity can be defined in the same way as intercorporeity, as a process based on the immediate transfer of corporeal schema. The
4) Collective intentionality
consequence is that, if the embodied being of a subject is
Salice and Henriksen pointed out two forms of collective
compromised, her self-consciousness and her capability of attunement
intentionality: joint-intentionality, which is distinctively goal-oriented,
with the other and the world will be lost or disrupted. For these reasons,
and usually relies on explicitly formulated codes of conduct; and we-
focusing on the bodily experiences of the subject is very important for
intentionality, which is at stake when the individual perceives herself as
our study, whose theoretical knot is the link between embodiment (in
being part of a group and considers her mental states as contributions
particular embodied memory) and sociality.
to that group, without a specific goal. This last kind of intentionality can be also described as “common sense”, and seems to be really
3) Embodied memory
problematic in people affected by schizophrenia (and other mental
Playing an instrument involves an integration of sensorimotor and
disorders, like depression).
affective cognition imprinted and sedimented in our body. But what
119
In music performances, both of these forms of intentionality are
Quaderni della Ginestra
required: our aim is to shed lights on collective intentionality and its
and external world. Despite the fact of the link with both EASE and
different nuances, which seem central in the execution of collective
EAWE, our semi-structured interview focuses differently on the
music actions and seem to involve different requirements (joint
anomalies of collective experience.
intentionality seems to be more representational and cognitive, while VALERIA BIZZARI & CARLO GUARESCHI
we-intentionality seems to be linked to our pre-reflective embodied structure).
See A. Salice, M. G. Herinsksen, The Disrupted 'We'. Schizophrenia and Collective Intentionality, “Journal of Consciousness Studies”, XXII, 7–8, 2015, pp. 145-71. 2 Concerning the debate broadly intended see also M. Bratman, Faces of Intention: Selected Essays on Intention and Agency, Cambridge University Press, Cambridge 1999; P. Pettit, D. P. Schweikard, Joint Actions and Group Agents, “Philosophy of the Social Science”, XXVI, 1, 2006, pp. 18-39; J. Searle, The Construction of Social Reality, The Free Press, New York, USA 1995; R. Tuomela, Social Ontology. Collective Intentionality and Group Agents, Oxford University Press, Oxford 2013. 3 A. Salice, M. G. Herinsksen, The Disrupted 'We'. Schizophrenia and Collective Intentionality, p.161. 4 A. Schiavio, S. Høffding, Playing together without communicating? A pre-reflective and enactive account of joint musical performance, “Music. Scientiae”, XIX, 4, 2015, pp. 1-23. 5A. Schiavio, H. De Jaegher, Participatory Sense-Making in Joint Musical Practice, M. Lesaffre, P. J. Maes, M. Leman, eds., The Routledge Companion to Embodied Music Interaction, Routledge, London 2017, pp. 31-39. 6 A. Salice, S. Høffding, S. Gallagher, Putting Plural Self-Awareness Into Practice: The Phenomenology of Expert Musicianship, “Topoi”, 2017, pp. 1-13. 7 See E. Husserl, Ideas Pertaining to a Pure Phenomenology and to a Phenomenological Philosophy: Second Book: Studies in the Phenomenology of Constitution, Kluwer Academic Publishers, Dordrecht 1989. 8 M. Merleau-Ponty, Phenomenology of Perception, Routledge, London 2012, p. 102. 9 Ibidem. 10 Husserl provides an account of transcendental intersubjectivity in his fifth Cartesian Meditation and then elaborate on that concept in numerous manuscripts. Zahavi (D. Zahavi, Husserl and Transcendental Intersubjectivity. A Response to the Linguistic-Pragmatic Critique, Ohio University Press, Athens 2001) provides an exhaustive account of 1
4. Conclusions: Expected Outcomes and Possible Research Directions Through our research, we expect to test and emphasize the relationship between corporeity and pre-reflectivity in music therapy practice. The philosophical aim is to investigate and show the fundamental role of embodiment in music practice. Specifically, we want detect the role of intercorporeality and embodied memory in collective actions, and to propose an integrated model where observational practices and cognitive processes presupposes prereflectivity. Regarding the methodological aim, we want to improve the qualitative research focusing on a new key feature of abnormal joint experiences. As a qualitative tool, our interview is in continuity with EASE19 and EAWE20 as well. Both the model of qualitative research focus in a different manner on pre-reflectivity: EASE on the prereflective self; EAWE on the pre-reflective relationship between self
120
Filosofia e collettività
Husserl’s transcendental intersubjectivity. 11 See M. Merleau-Ponty, The Visible and the Invisible, Northwestern University Press, Evanston 1968. 12 See Merleau-Ponty, Child Psychology and Pedagogy. The Sorbonne Lectures 1949-1952, Northwestern University Press, Evanston 2010. 13 See J. Krueger, Merleau-Ponty on shared Emotions and the Joint Ownership Thesis, “Continental Philosophy Review”, XLVI, 2013, pp. 509-531. 14 T. Fuchs, Intercorporeality and Interaffectivity, C. Meyer, J. Streek, Jürgen, J. Scott Jordan, eds., Intercorporeality. Emerging Socialities in Interaction, Cambridge University Press, Cambridge 2016. 15 Fuchs cashes out the idea of interaffectivity as follows: «The shared affect during a joyful playing situation between mother and infant may not be divided and distributed among them. It arises from the ‘between’, or from the situation in which both are immersed. Thus, affects are not enclosed in an inner mental sphere to be deciphered from outside, but emerge, change and circulate between self and other in the intercorporeal dialogue» (T. Fuchs, Intercorporeality and Interaffectivity, p. 12) 16 Cfr. American Psychiatric Association (APA), Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders: DSM 5, 5th ed. Arlington (VA), American Psychiatric Association 2013. 17 Ibidem. 18 Cfr. D. Zahavi, Self and Other: Exploring Subjectivity, Empathy, and Shame. Oxford University Press, Oxford, England 2014; T. Fuchs, The phenomenology and development of social perspectives, “Phenomenology and Cognitive Sciences”, 12, 4, 2012, pp. 655-683; A. Gurwitsch, Human Encounters in the Social World, Duquesne University Press, Pittsburg (PA) 1979. 19 J. Parnas, P. Møller, T. Kircher, J. Thalbizer, L. Jansson, P. Handest, D. Zahavi, EASE: Examination of Anomalous Self Experience, “Psychopathology”, 38, 2005, pp. 236-258. 20 L. Sass, E. Pienkos, B. Kodlar, G. Stanghellini, T. Fuchs, J. Parnas, N. Jones, EAWE: Examination of Anomalous World Experience, “Psychopathology”, 50, 1, 2017, pp. 10-54. Both authors have contributed to this paper to an equal extent.
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