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REDAZIONE

Direttori: Valeria Bizzari, Timothy Tambassi. Vicedirettore: Anna Maria Ricucci. Redazione: Valeria Bizzari, Antonio Freddi, Giulia Lasagni, Sandra Manzi-Manzi, Giacomo Miranda, Teresa Paciariello, Lavinia Pesci, Corrado Piroddi, Anna Maria Ricucci, Timothy Tambassi. Collaboratori esterni: Marco Anzalone, Simona Bertolini, Mara Fornari, Donatella Gorreta, Federica Gregoratto, Francesco Mazzoli, Giovanna Maria Pileci, Marina Savi, Cristina Travanini. Direttore responsabile: Ferruccio Andolfi.


SOMMARIO

Pierre Bourdieu: habitus collettivo e riconoscimento sociale di Corrado Piroddi......................................................................................................p. 6

‘Reciprocamente riconoscentesi’. Un argomento identitario per il multiculturalismo di Marta Boniardi .................................................................p. 17

Uniti da un senso comune? Il sensus communis e la collettività di Silvia Ferrari e Verbena Giambastiani................................................p. 29

Quale collettività? Risposte dall’ontologia sociale di Giulia Lasagni....................................................................................................................p. 41

Realtà della persona collettiva. Una proposta concettuale di Elisa Cacopardi.....................................................................................................p. 52


A (naive) view of conspiracy as collective action di M.R.X. Dentith...................................................................................................................p. 61

Intelligenza di gruppo e sistemi multi-agente di Francesco Consiglio................................................................................................................p. 72

IntersoggettivitĂ e delirio: Husserl e Binswanger di Daniela Bandiera................................................................................................................p. 86

Shared emotions and collective affective intentionality di Gerhard Thornhauser..............................................................................................p. 100

Bodily memory and joint action in music practice and therapy di Valeria Bizzari e Carlo Guareschi.............................................................p. 114


FILOSOFIA E COLLETTIVITÀ: PROSPETTIVE A CONFRONTO Nel nostro linguaggio quotidiano il termine “collettività” è impiegato in riferimento a una ricca varietà di contesti accumunati dal fatto di coinvolgere due o più individui insieme. Parliamo, infatti, di collettività intese come comunità religiose e culturali, di gruppi organizzati e associazioni, di pluralità unite da valori o scopi condivisi, di società intere. Indipendentemente dalle caratteristiche specifiche proprie di ogni situazione concreta, l’idea di collettività viene generalmente associata, in modo intuitivo, a gruppi di persone legate insieme da una storia vissuta, da un linguaggio, da un valore etico, da un interesse, da un obiettivo contingente. Rispecchiando la medesima ricchezza semantica, anche nel lessico filosofico il termine “collettività” può essere impiegato per individuare un gruppo politico, una minoranza religiosa o un ‘noi’ fenomenologico. Ognuna di queste accezioni, pur differenziandosi dalle altre per definizione e traduzione pratica, è volta a indicare un contesto sociale, nel quale due o più esseri umani siano considerati in rapporto l’uno all’altro, come parti di un tutto dotato di caratteristiche proprie, se non anche di identità “collettiva”. Alla luce di ciò, questo numero speciale dei Quaderni della Ginestra ospita contributi ispirati a prospettive filosofiche distinte che, partendo da interessi eterogenei, consentono di approfondire e arricchire l’ampia questione della collettività, del vivere e dell’agire insieme, nella condivisione di valori, sentimenti e progetti comuni. L’obiettivo del volume è quello di offrire un’occasione di confronto e dialogo intorno al tema della collettività, valorizzandone tanto la ricchezza semantica quanto la trasversalità del concetto in filosofia. Tale progetto editoriale nasce da un workshop su “Filosofia e Collettività: Prospettive a Confronto”, tenutosi presso l’Università di Parma in data 15 novembre 2017 e organizzato da dott.ssa Valeria Bizzari, dott.ssa Giulia Lasagni e dott. Timothy Tambassi, curatori del presente numero speciale. In particolare, gli interventi selezionati per il workshop si sono impegnati a esplorare diversi dibattiti filosofici contemporanei, al fine di mettere a fuoco la nozione di collettività adottata nelle tradizioni e nelle riflessioni degli autori di volta in volta considerati. Questi interventi, insieme agli articoli di alcuni giovani ricercatori internazionali, sono raccolti in questo volume e offrono un’interessante


panoramica sul tema della collettività tra filosofia politico-sociale, teoria critica, ontologia sociale e fenomenologia. Tra i temi trattati: 1. Filosofia politico-sociale e teoria critica: questioni di appartenenza/esclusione, riflessioni su riconoscimento/integrazione delle minoranze, prospettive per un’etica/morale collettiva, il tema del pluralismo nelle società contemporanee multiculturali; 2. Ontologia ed epistemologia sociale: analisi di concetti quali quello di gruppo agente, intenzionalità, azioni e credenze collettive, responsabilità di gruppo, sistemi agente e mente estesa; 3. Fenomenologia e interdisciplinarietà: la prospettiva fenomenologica sull’intenzionalità collettiva, il rapporto individuo-collettività, l’analisi fenomenologica di quelle psicopatologie che implicano un distacco dal consorzio intersoggettivo, gli aspetti affettivi e corporei della dimensione sociale. Uno speciale ringraziamento va al dipartimento DUSIC dell’Università di Parma, all’associazione La Ginestra e alla rivista La Società degli Individui per aver patrocinato l’iniziativa. Si ringraziano anche i professori Beatrice Centi, Ferruccio Andolfi, Mara Meletti e Italo Testa per il supporto, studenti e dottorandi per la partecipazione al workshop. Un particolare grazie va infine a Corrado Piroddi per l’impaginazione.

I curatori Valeria Bizzari (Università di Heidelberg) Giulia Lasagni (Università di Parma) Timothy Tambassi (ICUB, Università di Bucarest)


Quaderni della Ginestra

PIERRE BOURDIEU: HABITUS COLLETTIVO E RICONOSCIMENTO SOCIALE

L

grammatica e la sintassi di base, ma anche il modo corretto di articolare parole e suoni usando la mia lingua e le labbra. Tali abilità vengono attuate in modo istintivo e permettono una conversazione profittevole

o scopo delle seguenti pagine è discutere e reinterpretare la

tra i miei partner e me. Utilizzando l'idioletto di Bourdieu, possiamo

nozione di habitus, introdotta dal sociologo francese Pierre

affermare che una conversazione ragionevole in italiano è possibile se e

Bourdieu per illustrare le condizioni preriflessive a monte delle azioni

solo se i miei interlocutori e io stesso siamo dotati dell'appropriato

sociali degli esseri umani. A questo proposito, il mio contributo mira a

habitus linguistico, vale a dire dell'insieme delle proprietà disposizionali

trattare alcune specifiche questioni filosofiche e teoriche: cosa è un

fisiche e mentali che rendono possibile una tale pratica sociale. Questa

habitus? Perché è importante considerarlo quando affrontiamo il

idea di habitus è interessante in quanto sottolinea la natura istintiva e

problema dell’origine delle azioni sociali collettive e delle condizioni di

spontanea delle nostre attività sociali e, come vedremo, della

esistenza degli agenti collettivi? È possibile superare i suoi limiti

coordinazione sociale fra membri di uno stesso gruppo o classe.

concettuali? In quale modo?

Partendo da questi presupposti, la tesi che cercherò di sostenere nelle

Per quanto riguarda la ricerca sociologica, la nozione di «habitus»

prossime pagine è che la teoria del riconoscimento di Axel Honneth

costituisce una preziosa risorsa metodologica. Infatti, essa può aiutare i

può essere integrata nella prospettiva di Bourdieu. Da un alto, unire

teorici e gli scienziati sociali a spiegare come sia possibile, per gli esseri

queste due diverse teorie dell’azione sociale potrebbe permetterci di

umani, essere coinvolti contemporaneamente in molteplici pratiche

preservare il valore euristico delle intuizioni di Bourdieu dalle critiche

sociali senza una continua attività riflessiva. Ad esempio, per parlare in

concernenti la vaghezza del concetto stesso di «habitus». D’altro canto,

italiano con altre persone, impiego principalmente le mie capacità

tale ibridazione potrebbe aiutare a comprendere meglio in che maniera

riflessive per formulare frasi significative e seguire le ragioni del mio

l'habitus, in quanto struttura individuale, possa funzionare nei termini di

interlocutore. Tuttavia, per avere una comunicazione sociale di successo,

un senso comune preriflessivo in grado di produrre coordinamento

devo sapere come parlare italiano. Devo conoscere non solo la

all’interno di un gruppo sociale.

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Filosofia e collettività

Nella prima parte chiarirò ciò che Bourdieu intende con il termine

un campo consiste in quelle norme, regole e leggi sociali oggettive ri-

«habitus» e come l'habitus funzioni in relazione alla dimensione della

spetto a cui gli individui tendono a conformare il loro comportamento

vita collettiva, illustrando due particolari criticità di cui soffre la

pratico. Con il termine «capitale», Bourdieu identifica una certa varietà

concezione originaria del sociologo francese. Nella seconda parte,

di risorse materiali: non solo merci e beni di consumo convertibili in

introdurrò la teoria sociale del riconoscimento di Axel Honneth,

denaro, ma anche titoli accademici, certificati di competenza tecnica,

spiegando entro che limiti sia coerente con il punto di vista di Bourdieu.

l’insieme delle relazioni sociali che definiscono lo status sociale degli in-

Nell'ultima parte, fornirò una ridefinizione del concetto di habitus in

dividui in un dato contesto. Le diverse forme di capitale determinano la

termini di habitus ricognitivo. Sotto questo rispetto, definirò l'habitus

posizione che un agente possiede in un campo specifico, che può essere

ricognitivo come un insieme di patterns percettivi e aspettative emotive la

economico, politico, religioso e via dicendo. In un passaggio canonico

cui funzione principale è attualizzare quei comportamenti sociali che

di Esquisse d'une théorie de la pratique, Pierre Bourdieu descrive l'habitus

consentano una qualche forma di reciproco riconoscimento tra gli

come

agenti sociali. In tal senso, il mio obiettivo è sostenere che un habitus ricognitivo garantisce la coesione di un certo gruppo o classe sociale

«un sistema di disposizioni durevoli e trasponibili che, integrando le espe-

attraverso la soddisfazione delle necessità di riconoscimento degli

rienze passate, funziona in ogni momento come una matrice di percezioni, ap-

individui che compongono quella particolare collettività.

prezzamenti e azioni e rende possibile il conseguimento di compiti infinitamente diversificati»1.

I. Operando nel contesto dello strutturalismo e di una tradizione sociologica di ascendenza marxiana, Pierre Bourdieu concepisce le azioni

Se la mia prospettiva su Bourdieu è corretta, possiamo affermare che,

sociali degli esseri umani non come risultato di scelte razionali indivi-

sul piano oggettivo, un campo sociale genera uno ‘spazio di possibilità’

duali, ma come il prodotto dell'interazione tra campi sociali, capitali e

di azione per gli agenti sociali; mentre il volume del capitale determina la

una struttura individuale denominata «habitus». In breve, per Bourdieu,

posizione (dominante o subordinata) che un agente occupa sul campo, e

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Quaderni della Ginestra

quindi la quantità di potere che possiede e esercita in quel campo. Dal

condividono lo stesso habitus. In altre parole, il loro comportamento

lato individuale, l'habitus come «necessità sociale divenuta natura, tra-

collettivo in termini di gusti culturali, scelte politiche e attitudini sociali è

sformata in schemi motori e in reazioni corporee automatiche»2 funzio-

generalmente omogeneo in quanto l’habitus fa sì che percepiscano e

na come un GPS individuale. In altre parole, l’habitus orienta le nostre

reagiscano alle possibilità obiettive determinate dal loro habitat sociale

azioni in modo non riflessivo ma in armonia con i limiti oggettivi de-

nello stesso modo. Studiando le tendenze degli studenti francesi di

terminati da un capitale e un campo sociale particolari.

estrazione operaia verso il sistema educativo pubblico negli anni ’70 del

Il punto che vorrei sottolineare in questa presentazione è che Bour-

secolo scorso, Bourdieu affermava che

dieu concepisce l'habitus anche come una struttura collettiva che, in un dato campo, garantisce un coordinamento spontaneo ed intuitivo tra individui appartenenti allo stesso gruppo o classe sociale:

«le predisposizioni negative verso la scuola che comportano l'autoeliminazione di gran parte dei bambini delle classi e fasce di una classe più sfavorite culturalmente [...] devono essere intese come un’anticipazione, basata

«L'habitus è proprio questa legge immanente, lex insita, stabilita in ogni

sulla stima inconscia delle probabilità oggettive di successo posseduta dall'inte-

agente dalla sua prima educazione, che è la precondizione non solo per il

ra categoria delle sanzioni che la scuola obiettivamente riserva a quelle classi o

coordinamento delle pratiche ma anche per le pratiche di coordinamento, in

sezioni di classe prive di capitale culturale.» 4

quanto le correzioni e gli aggiustamenti che gli agenti stessi compiono consapevolmente presuppongono la loro padronanza di un codice comune»3.

Secondo una simile analisi, la propensione dei membri della classe lavoratrice ad abbandonare il percorso scolastico era una conseguenza del

Per Bourdieu, il fatto che i membri dello stesso gruppo o classe so-

loro habitus di classe. Quest’ultimo, in altre parole, li avrebbe spinti a

ciale abbiano gli stessi gusti (bere birra invece di vino, seguire il calcio al

scartare un obiettivo difficilmente raggiungibile in assenza di un adegua-

posto del cricket) o tendano a votare lo stesso partito (il partito sociali-

to capitale culturale, anche se le condizioni oggettive del campo in cui

sta invece che formazioni liberali) dipende in buona parte dal fatto che

agivano, il carattere pubblico del sistema scolastico ed educativo france-

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Filosofia e collettività

se, avrebbe permesso loro, sulla carta, di perseguire un’istruzione supe-

determinata dalle aspettative di riconoscimento sociale che si erano svi-

riore. Siamo qui di fronte a quel fenomeno che Bourdieu definisce «iste-

luppate all’interno della classe lavoratrice stessa. Perseguire un'istruzione

resi dell’habitus»: si tratta della tendenza degli attori sociali di un dato

superiore non avrebbe permesso alcuna forma significativa di ricono-

gruppo o classe a conservare una certa forma di habitus, sviluppatosi in

scimento sociale tra i membri della classe operaia e, di conseguenza, un

un contesto sociale specifico, anche quando quello stesso habitus risulti

qualche beneficio in termini di benessere emotivo individuale. Ecco

inadatto ad operare in un nuovo scenario sociale, a seguito di un cam-

perché gli studenti provenienti dalle fila della classe operaia erano inclini

biamento che riguarda la conformazione di un campo o l’ammontare

a rinunciare ai loro studi superiori, anche se, in linea di principio, avreb-

del capitale che gli agenti possiedono5.

bero potuto trarre giovamento dai vantaggi oggettivi di un sistema edu-

Tuttavia, Bourdieu non approfondisce le dinamiche che producono il

cativo pubblico.

fenomeno dell’isteresi. Cosa fa sì che una struttura individuale ma so-

In secondo luogo, una tale reinterpretazione dell’habitus alla luce del

cialmente generata come l’habitus non subisca radicali trasformazioni al

paradigma del riconoscimento avrebbe un altro vantaggio, quello di far

mutare di quelle stesse condizioni che la hanno prodotta? La mia ipote-

luce sul funzionamento interno dell’habitus. Nella prospettiva di Bour-

si è che concettualizzare l'habitus in termini di un riconoscimento reci-

dieu, l’habitus è essenzialmente un concetto primitivo, un assunto me-

proco a livello intersoggettivo potrebbe aiutarci a superare tale debolez-

todologico che studiosi e scienziati sociali sono chiamati a rendere ope-

za. Tornando all'analisi di Bourdieu sull'atteggiamento degli allievi della

rativo nelle loro ricerche empiriche. Per questo motivo, l'habitus è stato

classe operaia: se assumiamo il punto di vista della teoria del riconosci-

spesso criticato alla stregua di una ‘black box notion’, un concetto insuffi-

mento, parrebbe possibile spiegare il fenomeno in questione in modo

ciente a far realmente luce sui meccanismi, operanti a livello individuale,

diverso. Infatti, si potrebbe sostenere che la tendenza degli studenti ap-

alla base delle nostre azioni sociali6. In altri termini, secondo chi avanza

partenenti alla classe lavoratrice a abbandonare l’educazione superiore

tale criticismo, Bourdieu non spiega come schemi percettivi, credenze e

(e, dunque, a non modificare il proprio habitus al netto del cambiamen-

aspettative incapsulate nell’habitus interagiscano fra loro riuscendo a

to delle condizioni oggettive di accesso all’educazione superiore) fosse

produrre forme di comportamento e condotte sociali collettivamente

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Quaderni della Ginestra

condivise. Integrare la proposta originaria di Bourdieu con un punto di

«in chi riconosce si verifica un decentramento, perché il soggetto attribuisce

vista attento alle dinamiche del riconoscimento reciproco fra attori so-

alla controparte un valore dal quale emana una pretesa legittima che esautora il

ciali potrebbe gettare luce su una tale questione, permettendo di supera-

suo amor proprio. […] il lasciarsi obbligare di cui stiamo parlando corrisponde

re questa critica e conservare il valore euristico della nozione di «habi-

anche a una sorta di libera automotivazione: riconoscere il mio interlocutore, e

tus». II. In questa seconda parte dello scritto, intendo introdurre, in maniera generale, le idee fondamentali di quelle teorie dell’azione sociale che vedono nel riconoscimento reciproco la dinamica costitutiva della vita associata degli esseri umani. A tal proposito, farò principalmente riferimento al punto di vista elaborato sul tema da Axel Honneth. Secondo Honneth, il riconoscimento è un modo di interazione intersoggettiva che costituisce la base delle pratiche sociali umane: riconoscere qualcuno significa essere in grado di assumere la prospettiva dei nostri partner di interazione e considerarsi nel ruolo di destinatari sociali delle loro richieste e necessità, permettendo una cooperazione collettiva virtuosa all’interno delle comunità umane7. Detto altrimenti, alla luce del paradigma del riconoscimento, la nostra esistenza sociale è possibile nella misura in cui siamo capaci di agire non solo secondo valutazioni egocentriche o strumentali, ma anche in funzione dei bisogni e delle necessità dei nostri partner di interazione:

quindi investirlo di un’autorità morale nei miei riguardi, è tutt’uno con la risoluzione a trattarlo in modo conforme al suo valore.»8

Ciò significa che, nella dimensione sociale, le azioni degli esseri umani vanno considerate come reazione agli stati emotivi e alle aspettative dei loro partner di interazione. Contemporaneamente, Honneth afferma che una tale role-taking capacity è di fondamentale importanza anche per il raggiungimento di una completa autonomia e del benessere psicologico individuale. Sotto questo rispetto, gli individui imparano e interiorizzano i compiti e le regole sociali della propria comunità di appartenenza nella misura in cui queste ultime permettono loro di raggiungere una vita emozionale positiva e una completa autorealizzazione individuale. In linea con questo punto di vista, Honneth afferma che il bisogno di riconoscimento è un'importante forza motivazionale alla base delle azioni e alle interazioni umane sociali: «la riproduzione della vita sociale avviene sotto l’imperativo di un reciproco riconoscimento, poiché i soggetti possono giungere a una relazione pratica con 10


Filosofia e collettività

sé solo se imparano a concepirsi nella prospettiva normativa dei loro partner

ché, per Honneth, sussista un nesso piuttosto forte fra bisogno di rico-

nell’interazione, come i loro interlocutori sociali. […] quell’imperativo ancora-

noscimento e costituzione dei gruppi sociali:

to nel processo della vita sociale agisce come un obbligo normativo che costringe gli individui alla progressiva estensione del contenuto del riconoscimento reciproco, poiché solo così essi sono in gradi di dare espressione sociale alle aspirazioni sempre crescenti della loro soggettività.»9

«Con la scolarizzazione e più tardi, a maggior ragione, nella vita lavorativa, il numero delle persone dalla cui stima dipende il proprio sentimento di valore personale cresce notevolmente, ragion per cui […] aumenta anche il desiderio di ricevere forme concrete di approvazione e conferma. Il bisogno di sentire le

In conclusione, nella prospettiva di Honneth, i processi socializza-

proprie capacità apprezzate in una forma direttamente esperibile all’interno di

zione e individualizzazione dell’essere umano vanno di pari passo.

una cerchia di individui uniti da gusti e mentalità affini è oggi uno dei motivi

Quando comprendiamo la qualità delle relazioni sociali che creano le

principali, se non addirittura il motivo per cui si formano dei gruppi.»10

condizioni del nostro benessere personale, ci rendiamo conto, allo stesso tempo, che la reciprocità, la capacità di sostenere i nostri simili per

In questa sede, vorrei soffermarmi su altre due caratteristiche fon-

raggiungere gli stessi vantaggi che noi andiamo cercando, è la chiave di

damentali del riconoscimento intersoggettivo illustrate da Honneth: il

volta del nostro benessere. Da un lato, il comportamento sociale indivi-

suo carattere reattivo e la sua relazione con l'azione. Alla luce della pri-

duale e collettivo è sostanzialmente dipendente dalla dinamica della di-

ma caratteristica, riconoscere vuol dire reagire correttamente a quelle

mensione affettiva degli esseri umani e dalla loro capacità di assumere la

qualità positive che percepiamo nei soggetti con cui interagiamo. Sotto

prospettiva dei loro partner d’azione. Dall’altro, sia la coesione che il

questo rispetto, la percezione in gioco nei processi di riconoscimento

funzionamento di una società particolare sono sottoposti alla sua capa-

non coincide con una mera dinamica di identificazione oggettuale, come

cità di soddisfare le esigenze emotive degli individui, e in particolare il

quella che sta alla base degli atti di natura conoscitiva. Il riconoscimento

bisogno umano di riconoscimento. Stando così le cose, si capisce per-

è piuttosto espressione di una percezione normativamente colorata,

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Quaderni della Ginestra

«una percezione valutativa nella quale il valore che inerisce alle persone

li; il fine primario della mia azione, tuttavia, resta quello di giocare insieme a

è dato in modo “diretto”.»11

scacchi.»13

Di conseguenza, se ci concentriamo sulla seconda caratteristica, una forma di riconoscimento riuscita implica sempre, per Honneth,

In base a quanto detto sinora, fino a che punto l'idea di riconosci-

l’attualizzazione di atteggiamenti e comportamenti che testimoniano

mento di supportata da Honneth è coerente con la definizione di habi-

l'autenticità del processo riconoscitivo in atto12. Perché un processo di

tus di Bourdieu? Nella misura in cui sottolinea la funzione svolta dagli

riconoscimento avvenga autenticamente è necessario che, al netto di

effetti emozionali del riconoscimento in relazione al processo di ripro-

una percezione valutativa effettiva, chi riconosce attualizzi condotte e

duzione di un comportamento sociale specifico, l'approccio di Honneth

comportamenti che attestino concretamente il riconoscimento tributato

sembra porsi in continuità con quello di Bourdieu, secondo cui le azioni

a chi viene riconosciuto. Per esempio, una società che dice di riconosce-

sociali degli individui sono fondate sulla natura preriflessiva degli umani.

re la parità di diritti dei disabili non è realmente tale finché non attrezza i

Tuttavia, Bourdieu accetterebbe una eventuale reinterpretazione

suoi arredi urbani di scivoli per la mobilità degli interessati, o non im-

dell’habitus in termini di teoria del riconoscimento? Probabilmente sì,

pone alle aziende private delle quote di assunzione per lavoratori disabi-

dal momento che Bourdieu afferma che tanto la trasmissione quanto la

li. Sul piano del riconoscimento intersoggettivo fra esseri umani in carne

diffusione di un particolare habitus operino attraverso una socializza-

ed ossa, tale definizione di atto riconoscitivo:

zione mimetica che coinvolge il livello interpersonale e la sfera emotiva:

«esclude, per esempio, che si possano considerare come forme di ricono-

«Ciò che viene “appreso dal corpo” non è qualcosa che si ha, come la co-

scimento certi atteggiamenti positivi che però si accompagnano inevitabilmen-

noscenza che può essere brandita, ma qualcosa che è. [...] Non è mai staccato

te al perseguimento di altri interessi relazionali: il fatto che io desideri arden-

dal corpo che lo porta e può essere ricostituito solo per mezzo di una specie di

temente giocare spesso a scacchi con una certa persona, per esempio, è molto

ginnastica progettata per evocarla, una mimesi che, come osserva Platone, im-

probabilmente espressione di una particolare stima delle sue facoltà intellettua-

plica investimenti totali e un'identificazione emotiva profonda»14.

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Filosofia e collettività

In secondo luogo, Bourdieu ammette che il disinteresse e le azioni

risco di concepire l'habitus ricognitivo come un insieme di patterns per-

disinteressate, non legate cioè a nessun imperativo di massimizzazione

cettivi e aspettative emotive la cui funzione principale è attualizzare

razionale e strategica dell’utile di un agente, sono possibili da un punto

comportamenti sociali che consentano il reciproco riconoscimento tra

di vista sociologico nella misura in cui si verifica «l’incontro fra un

gli agenti sociali. Se guardiamo all'habitus ricognitivo come capacità di

habitus predisposto al disinteresse e gli universi in cui il disinteresse è

riconoscere adeguatamente i propri partner di interazione, l'adozione di

ricompensato.»15 Questo aspetto è fondamentale dal momento che,

un comportamento sociale particolare da parte di un agente x può esse-

come si è visto, per Honneth un’autentica forma di riconoscimento

re visto come un modo di reagire ai comportamenti e agli atteggiamenti

implica sempre l’attuazione di forme di trattamento e condotta che sono

dei suoi compagni in maniera appropriata e disinteressata. A questo

consone al valore percepito in un determinato partner d’interazione,

proposito, possiamo dire che un agente x possiede la disposizione a ri-

indipendentemente da considerazioni di tipo strumentale o egoistico da

conoscere qualcuno se x percepisce alcune proprietà salienti nel suo

parte del soggetto riconoscente.

partner y e agisce coerentemente con quelle proprietà, senza aspettarsi un ritorno in termini di vantaggi materiali e strategici. Consideriamo una

III. In questa ultima parte, proverò a tracciare i lineamenti generali di

società in cui la stima sociale sia legata al contributo che una persona of-

un’ipotetica forma di un habitus ricognitivo. Come abbiamo visto, da un

fre alla comunità di appartenenza. In questo caso, riconoscere un agente

lato, Bourdieu considera l'habitus come un sistema di proprietà disposi-

significa agire in un modo che testimonia la nostra autentica stima, ossia

zionali, che induce gli attori sociali ad adottare pre-riflessivamente com-

in maniera tale da esprimere la nostra gratitudine, se percepiamo che

portamenti coerenti con il loro ambiente sociale. Dall’altro lato, secondo

quell'agente sta lavorando attivamente per contribuire al nostro benesse-

Honneth, le azioni sociali possono essere considerate come condotte

re materiale e spirituale, a prescindere dai risultati concreti che è in gra-

che attestano il fatto che un agente x percepisce certe qualità salienti nei

do di ottenere.

suoi partner d’interazione e mira a soddisfare intenzionalmente certe

Se consideriamo l’habitus ricognitivo come capacità di essere ricono-

aspettative e bisogni degli stessi. Alla luce questo quadro teorico, sugge-

sciuti, l'attuazione di forme specifiche di comportamento da parte di un

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Quaderni della Ginestra

agente x è funzionale al raggiungimento del riconoscimento sociale da

del vino durante il tempo libero, o votare un partito piuttosto che un al-

parte di altri agenti sociali. In questo caso, possiamo dire che la disposi-

tro, possono essere considerati segnali empiricamente rilevanti atti a fa-

zione di x a essere riconosciuto può essere attualizzata date le seguenti

vorire il reciproco riconoscimento tra gli agenti sociali che appartengo-

condizioni. In primo luogo, x deve avere alcune aspettative verso le rea-

no allo stesso gruppo. In questo senso, tali azioni potrebbero rafforzare

zioni dei suoi partner in relazione a un suo comportamento specifico. In

la coesione del gruppo e soddisfare contemporaneamente le esigenze

secondo luogo, x deve considerare rilevante per la propria auto-

individuali di integrazione sociale. Al contrario, attuare azioni che sono

relazione e il proprio benessere psicologico il riconoscimento di quegli

estranee a una specifica dimensione sociale potrebbe significare, per il

stessi partner. In altre parole, se x vuole essere riconosciuto, x dovrebbe

soggetto agente, mettersi in una condizione controproducente in vista

sapere come agire per attivare la disposizione riconoscitiva di altri agenti

del perseguimento di una positiva autorelazione: una situazione in cui il

che operano nel suo stesso campo. Seguendo l'esempio riportato nel pa-

riconoscimento può fallire. A questo proposito è dunque importante

ragrafo precedente, la disposizione a esser stimati è attualizzata da x se x

notare come le emozioni legate alle esperienze soggettive di riconosci-

contribuisce in modo effettivo al benessere sociale dei suoi partner di

mento e misconoscimento sociale siano fondamentali per spiegare

interazione, coerentemente con le loro aspettative. Così facendo, x crea

l’adozione e la ripetizione di una particolare condotta sociale. Nella mi-

le condizioni per essere stimato e apprezzato dai i suoi partner per i suoi

sura in cui l'habitus ricognitivo consente il reciproco riconoscimento, e

sforzi e risultati materiali.

produce azioni atte a soddisfare le esigenze emotive di singoli esseri

Questo resoconto dell’habitus in termini di riconoscimento non solo cerca di descrivere il funzionamento interno dell'habitus stesso, evitan-

umani, garantisce il coordinamento di gruppo o classe tra agenti che appartengono allo stesso ambiente sociale.

do la vaghezza della concezione originale di Bourdieu. Sembra anche in

Una forte obiezione a questo embrionale modello di habitus ricogni-

grado di chiarire in quale modo l'habitus come un senso comune collet-

tivo potrebbe essere la seguente: se l’habitus è una struttura corporea e

tivo possa garantire il coordinamento interno dei gruppi e delle classi

individuale che permette agli agenti sociali di agire conformemente al

sociali. Dal punto di vista che ho cercato di delineare, bere birra al posto

loro habitat sociale in maniera preriflessiva e pre-intenzionale, come

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Filosofia e collettività

può essere compatibile con una concezione di riconoscimento reciproco secondo cui l’attuazione di atti di riconoscimento autentici poggia sull’intenzionalità degli agenti che riconoscono?16 Una possibile risposta a tale domanda potrebbe questa: il vincolo di intenzionalità posto da Honneth per determinare le forme di riconoscimento autentico è eccessivamente ristretto. Infatti, certe forme di sincero riconoscimento interpersonale non paiono essere istanziate da atti intenzionali. Una persona innamorata che arrossisce a seguito di un gesto affettuoso del partner non agisce intenzionalmente, ma dimostra comunque in maniera evidente di riconoscere la persona amata come meritevole e degna del suo amore. In altre parole, l’agente che arrossisce ha una certa disposizione a riconoscere come una persona amata chi la fa sentire tale, e conferma l’autenticità di tale attitudine anche in maniera non intenzionale. Sotto questo rispetto, l’habitus ricognitivo aiuterebbe a rendere conto di forme di riconoscimento che, pur essendo autentiche, non dipendono integralmente dall’intenzionalità degli agenti coinvolti.17 CORRADO PIRODDI 

Ringrazio i colleghi del Dipartimento di Scienze Sociali e Filosofia dell’Università di Jyväskylä per i commenti e i consigli che ho ricevuto durante la stesura di questo lavoro. Lo scritto è stato realizzato in seno al progetto “Philosophy and Politics of

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Recognition”, finanziato dalla Finnish Cultural Foundation. 1 P. Bourdieu, Esquisse d'une théorie de la pratique précédé de Trois études d'ethnologie kabyle, Genève, Droz, 1972, p. 54. 2 P. Bourdieu, Le sens pratique, Minuit, Paris 1980, p. 127. 3 Ivi, p. 81. 4 P. Bourdieu, “Cultural Reproduction and Social Reproduction”, in Power and Ideology in Education, OUP, Oxford 1977, p. 495. 5 Cfr. P. Bourdieu, La distinction. Critique sociale du jugement, Minuit, Paris 1979, p. 146. 6 Per questo genere di critica vedi S. Akram, “Fully unconscious and prone to habit: The characteristics of agency in the structure and agency dialectic”, in Journal for the Theory of Social Behaviour, 2013, 43(1), pp. 57-59; M. Burawoy, “The Roots of Domination: Beyond Bourdieu and Gramsci”, in Sociology, 2012, 46(2), p. 204. 7 Per una più precisa disamina del modello antropologico all’origine della teoria del riconoscimento di Honneth e l’idea di role-taking capacity cfr. A. Honneth, H. Joas, Soziales Handeln und Menschliche Natur.Anthropologische Grundlagen der Sozialwissenschaft, Campus Verlag GmbH, Frankfurt/M. 1980, trad. ingl. a cura di R. Meyer, Social Action and Human Nature, Cambridge University Press, Cambridge 1988, pp. 48-70. 8 A. Honneth, “Invisibilità”, in La libertà negli altri. Saggi di filosofia sociale, a cura di B. Carnevali, Il Mulino, Bologna 2017, p.134. 9 A. Honneth, Der Kampf um Anerkennung. Zur moralischen Grammatik sozialer Konflikte, Suhrkamp, Frankfurt/M. 1992, trad. it. a cura di C. Sandrelli, Lotta per il riconoscimento. La grammatica morale dei conflitti sociali, Il Saggiatore, Milano 2002, pp. 114-115. Sullo stesso tema cfr. anche A. Honneth, “Love and Morality. On the Moral Content of Emotional Ties”, in Disrespect. The Normative Foundations of Critical Theory, Cambridge, Polity Press, 2007. 10 A. Honneth, “L’Io nel Noi”, in La libertà negli altri, op. cit., p. 170-171. 11 A. Honneth, “Invisibilità”, in La libertà negli altri, op. cit., p. 138. 12 Queste due caratteristiche del processo di riconoscimento sono presentate in A. Honneth, “Recognition as ideology”, in Recognition and power: Axel Honneth and the tradition of critical social theory, a cura di B. van de Brink, D. Owen, Cambridge University Press, Cambridge 2007, p. 329-330. 13 Ivi, p. 330. 14 P. Bourdieu, Le sens pratique, op. cit., p. 123. 15 P. Bourdieu, “Un acte désinteressé est-il possible?”, in Raisons pratiques, Seuil, Paris 1994, p. 164.


Quaderni della Ginestra

Ringrazio Italo Testa per aver avanzato questa osservazione. Tale limite del vincolo di intenzionalità posto da Honneth è stato evidenziato da Heikki Ikäheimo e Arto Laitinen in “Analyzing Recognition: Identification, Acknowledgement and Recognitive Attitudes Towards Persons”, in Recognition and Power, op. cit., p. 52. Sotto questo rispetto, si può affermare che il modello di habitus ricognitivo descritto in queste pagine è fortemente ispirato alla caratterizzazione che Ikäheimo e Laitinen hanno fornito dell’idea di «recognitive attitudes» nell’articolo ivi citato. 16 17

16


Filosofia e collettività

‘RECIPROCAMENTE RICONOSCENTESI’. UN ARGOMENTO IDENTITARIO PER IL MULTICULTURALISMO

O

per dinamiche di tipo identitario, a mal giustificate preoccupazioni di natura economica, a una generica e fin troppo umana paura di ciò che non si conosce. La conseguenza, però, è una sola: il rifiuto a priori degli

gni società del mondo contemporaneo è una società plurale:

stranieri da parte della comunità in cui vivono, e la loro condanna a

questo è ormai un dato di fatto non ignorabile né reversibile, e

un’esistenza reificata e invisibile.

il tentativo di metterlo in discussione, oltre che anacronistico, non può

Per sottrarvisi, è loro necessario un processo di legittimazione legale

che rivelarsi fallimentare. Più utile è invece analizzare come la condivi-

e sociale: se nel primo caso il percorso, per quanto impervio, è normato

sione di uno stesso scenario sociale e politico da parte di diversi gruppi

e garantito dallo Stato, nel secondo spesso comporta l’omologazione,

etnici e culturali prenda forma in un determinato contesto, in particolare

l’abbandono della propria differenza, la rinuncia alla propria identità, in

se da tale analisi può emergere una riflessione su come sia opportuno

un processo di ‘sbiancamento’ descritto già mezzo secolo fa da Franz

che la collettività cerchi di darle forma in futuro.

Fanon, secondo cui il ‘nero’ (ma il suo discorso si può ampliare oggi a

Come in gran parte dell’Occidente liberale, lo scenario migratorio eu-

chiunque non appartenga alla comunità originaria) «è apprezzato a se-

ropeo è caratterizzato dalla compresenza di due forze oppositive, che

conda del suo grado di assimilazione»2, e l’adozione di un comporta-

contribuiscono a delinearne l’aspetto ‘schizofrenico’: se da una parte i

mento occidentale è vista con benevola approvazione dal gruppo domi-

confini porosi del sistema di produzione capitalistico richiamano forza-

nante. Nonostante ciò, però, il processo di ‘sbiancamento’ è già per Fa-

lavoro a basso costo, al contempo questo stesso sistema ne ostacola la

non drammaticamente destinato a fallire, dal momento che lui stesso,

legittimazione sociale e legale, che nell’Occidente dei diritti ne preclude-

citando Burns, ammette che l’adozione di comportamenti assimilati non

rebbe lo sfruttamento intensivo1. All’opposizione strutturale della pro-

sarà mai sufficiente per rendere parte integrante della comunità, poiché

duzione nei confronti della legittimazione della forza lavoro migrante si

«il colore è [...] il segno esteriore meglio visibile della razza, il criterio in

affianca l’ostilità manifesta di alcune componenti sovrastrutturali della

base al quale si giudicano gli uomini», un criterio che rende per tutta la

società. Questa prende le forme più disparate: dal rinnovato interesse

vita portatori di differenza, e meritevoli di sospetto.

17


Quaderni della Ginestra

Date queste premesse, lo ‘shock culturale’, reciprocamente percepito dai due poli del supposto scontro, con le sue premesse di diffidenza e

scontro di civiltà, questo sarebbe frutto esclusivo di una profezia autoavverante, secondo dinamiche che saranno analizzate in seguito.

ostilità reciproca e aprioristica, sembra destinato a condurre a uno scon-

L’obiettivo di questo scritto è di proporre un argomento a sostegno

tro di civiltà. Si tratta in realtà di un caso esemplare di ‘panico morale’,

di un diverso modello di coabitazione, quello multiculturale5, che scon-

definito da Z. Baumann come il timore diffuso che un male minacci il

giuri il verificarsi di questa profezia infausta. Tale argomento non avrà

benessere della società3. In realtà, nel contesto attuale, l’idea di una colli-

carattere prettamente morale ma politico, e presupporrà il mantenimen-

sione ‘scioccante’ tra identità rigide e incommensurabili è l’eccezione, e

to del concetto di identità culturale6, troppo spesso abbandonato nella

non la regola, dell’incontro culturale: in un mondo di interazioni costan-

riflessione contemporanea in virtù dell’uso quantomeno ambiguo che se

ti e crescente globalizzazione, le possibilità di contatto si sono moltipli-

ne è fatto nel dibattito contemporaneo. Pur intendendo giungere a una

cate,

conclusione di respiro collettivo, il punto di partenza sarà l’analisi dell’incontro culturale in una focalizzazione individuale; per questo, gli

«dando origine a dinamiche simboliche peculiari e a fenomeni di appropria-

strumenti cui si farà riferimento, accanto a quelli offerti dalla tradizione

zione, di prestito o di penetrazione linguistica spesso imprevisti, tanto nelle

filosofica e antropologica, includeranno anche modelli autenticamente

nostre società quanto in quelle che occupano le cosiddette periferie del mon-

psicologici, in particolare tratti dalle riflessioni della scuola esistenziali-

do»4.

sta-fenomenologica e dagli studi sulla psicologia dell’acculturazione.

Per questo, nel contatto tra persone o gruppi apparentemente lontani, la distanza culturale, pur inevitabilmente esistente, potrebbe avere meno

1. Modelli di coabitazione

rilevanza di altre differenze, quali l’istruzione, la classe sociale,

La psicologia dell’acculturazione è la disciplina che per eccellenza si

l’esperienza biografica. Se in tale contesto, dunque, si verificasse uno

occupa di analizzare le modalità e le variabili in gioco in ogni incontro

18


Filosofia e collettività

culturale. Con “acculturazione” si fa riferimento ai fenomeni che si veri-

empiricamente verificate, cambiamenti in varia misura necessari, riguar-

ficano quando gruppi o

danti l’identità fisica, biologica, politica, economica e linguistica del sog-

individui di diverse culture vengono in contatto diretto e costante, de-

getto individuale o collettivo.

terminando cambiamenti nell’identità di entrambi, anche se spesso in

La modalità, l’entità e la direzione di questi cambiamenti sono in par-

modo asimmetrico. Una fondamentale precisazione: nessun giudizio di

te oggetto di un controllo da parte di entrambi i poli del contatto, se-

valore né normativo è sotteso al processo acculturativo, come suggeri-

condo la fortunata schematizzazione offerta da J. Berry, e qui presentata

sce la reciprocità del fenomeno, che ne nega il carattere di lineare evolu-

in tabella7.

zione teleologica; i suddetti cambiamenti non sono che reazioni 2222222 Identità culturale Interazione con aloriginaria

Deliberatamente

tri gruppi culturali

Accettato o ricercato

Modalità acculturati-

Modalità acculturati-

va adottata dal sog-

va incentivata dal

getto

gruppo dominante

Assimilazione

Melting pot

non mantenuta Mantenuta e valo-

Rifiutato

Separazione

Segregazione

Integrazione

Multiculturalismo

rizzata Mantenuta e valo- Accettato o ricercato rizzata

19


Quaderni della Ginestra

Nel dibattito contemporaneo, che – almeno a livello accademico – ri-

La prima ammette l’ipotesi che uno scenario multiculturale possa es-

fiuta a priori il modello segregazionista, la riflessione sulle modalità di

sere una minaccia per l’identità collettiva europea, per i suoi valori e le

società plurale che la collettività deve incentivare vede aperto un dibatti-

sue tradizioni, ma rinnega l’imposizione di questi ultimi, l’assimilazione

to tra le alternative del melting pot (assimilazione) e del multiculturalismo

forzata e l’ostilità in essa connaturata in quanto moralmente inaccettabili

(integrazione). Nel melting pot, la diversità etnica è quanto più possibile

e razionalmente non giustificabili. La seconda, più diffusa, rifiuta l’idea

armonizzata: il soggetto è libero di mantenere la propria differenza, cu-

stessa di identità collettiva come quella di identità culturale, facendo

stodendola però in ambito privato, e dismettendo tali vesti al di fuori di

propria la lezione schmittiana e denunciandone quindi la natura esclusi-

questa dimensione. In un contesto multiculturale, invece, l’individuo è

vamente reattiva, responsabile di aver posto la differenza e il pregiudizio

invitato, se e nelle modalità in cui lo desidera, a essere parte integrante

laddove avrebbe dovuto regnare il riconoscimento dialogico dell’eguale.

della collettività proprio in quanto membro di un gruppo etnoculturale.

Ritengo che la tesi dell’identità culturale come flatus vocis, in Italia soste-

Nell’Occidente liberale, diverse voci si sono levate contro il modello

nuta in primis da F. Remotti9, pecchi di una concezione di identità collet-

assimilativo, in particolare laddove imposto, poiché accusato – per mo-

tiva appiattita sull’idea di ‘identitarietà’ e confusa con le sue implicazioni

tivi che in seguito saranno analizzati – di non fornire basi stabili alla so-

sociali e politiche, mentre, in sé, essa non è che uno tra gli elementi che

cietà plurale, minandone le possibilità di convivenza, tanto da essere de-

contribuiscono, nella sua declinazione individuale, a costituire l’identità

finito da Berry “a pressure cooker”8, una pentola a pressione pronta a

personale del soggetto. Tale funzione dell’identità culturale sarà appro-

esplodere. I suoi sostenitori sono accusati di predicare, nel nome della

fondita e giustificata nel corso dell’argomentazione: ciò che è qui fon-

difesa dell’Identità culturale collettiva, proprio lo ‘sbiancamento’ denun-

damentale stabilire è che essa è qui considerata uno strumento fonda-

ciato da Fanon, e l’annullamento aprioristico della differenza di cui il

mentale per l’interpretazione simbolica del mondo, cui dunque non è

soggetto è portatore. Il rifiuto del melting pot e il sostegno del modello

pensabile rinunciare.

multiculturale è solitamente riconducibile a una tra queste due argomentazioni.

Al contrario, l’obiettivo di questo scritto è di proporre una terza posizione, che offra ragioni non morali per il riconoscimento collettivo

20


Filosofia e collettività

della differenza culturale e per l’adozione di una strategia di coabitazio-

continuo lavorio atto a orientarsi nell’“alterità”, tutto ciò che è esterno

ne multiculturale. Tali ragioni non solo non rinunciano al concetto di

al sé del soggetto, a rielaborarla creando in essa un senso e un ordine

identità culturale collettiva, ma, in modo apparentemente paradossale,

che ne consentano la manipolazione simbolica e che favoriscano

hanno addirittura tra i propri obiettivi la sua preservazione.

un’interazione dialogica con essa. Quest’alterità può essere interna al soggetto – costituita quindi dall’insieme dei suoi bisogni, desideri, abitu-

2. La questione identitaria

dini irriflesse e pulsioni in continua interazione – o esterna, nella resi-

Secondo la psicologia dell’acculturazione, a causa di cambiamenti

stenza che il mondo oppone all’io, nella resistenzialità stimolante degli

nello stile di vita, nell’ambiente e nelle abitudini quotidiane, il soggetto

eventi e delle persone che costellano l’esistenza, che possono determi-

deve – per una necessità non morale né normativa, ma empirica – ride-

nare conflitti tra la coscienza privata del soggetto e i costumi sociali

finire la propria identità.

dell’ambiente in cui vive, tra desiderio e realtà, tra natura e cultura, tra i

È a questo punto doverosa una distinzione: con il termine identità

propri valori e quelli di un altro soggetto e così via. Una simile attività

non si fa qui riferimento al concetto politico – tipico, ad esempio,

ordinatrice viene svolta con strumenti che non sono culturalmente de-

dell’ambito delle identity politics –, ovvero gli elementi che accomunano

terminati, e sono fortemente influenzati anche da molti altri fattori, quali

un gruppo sociale che non si riconosce in quello dominante; né, d’altra

le relazioni personali, l’istruzione, la lingua parlata, la classe sociale, la

parte, si fa riferimento esclusivamente alla sua declinazione culturale.

religione, l’orientamento sessuale e, ovviamente, le scelte personali e il

Con identità, in questo caso, si intende l’identità personale, in senso

carattere del soggetto. Ammesso ciò, sarebbe ingenuo non riconoscere

ampio psicologica, dell’individuo, le condizioni trascendentali della sua

che anche la cultura ha un ruolo in questo processo: numerosi elementi

singolare esperienza, che certo ne comprendono anche l’identità cultura-

compresi nel concetto di alterità mutano a seconda del contesto in cui

le, ma in nessun modo sono riducibili a quest’ultima. Secondo un mo-

sono collocati, e forse anche per questo, come afferma Beneduce, «ogni

dello classico della psichiatria fenomenologico-esistenzialista, qui espo-

società offre ai propri membri particolari matrici di senso e di simboliz-

sto con i termini di G. Stanghellini10, la vita psichica consiste infatti nel

zazione»11, con cui essi si relazionino al proprio specifico contesto.

21


Quaderni della Ginestra

Da ciò deriva la necessità empirica di riformulare la propria identità:

identità e del proprio universo simbolico pur vivendo all’interno di un milieu

nel momento in cui cambia l’alterità con cui il soggetto si deve relazio-

linguistico culturale ed affettivo diverso, decisamente contraddittorio e spesso

nare, anche l’identità psichica di quest’ultimo deve cambiare per consen-

conflittuale con quello originario. [...] Il nucleo profondo dell’identità si può

tirgliene la manipolazione. Questo, naturalmente, non ne implica

allora disorganizzare diventare disarmonico»12.

l’abbandono, ma la riformulazione, l’adattamento e la traduzione. Il parallelismo con la traduzione è particolarmente fruttuoso: parlare una lin-

Lo stesso processo di adattamento, poi, può risultare destabilizzante,

gua differente non significa cambiare il contenuto fondante della comu-

dal momento che, nei termini di T. Nathan13, il soggetto deve ricostruire

nicazione, ma renderlo adatto a uno specifico contesto, in cui gli uditori

come singolo ciò che normalmente richiederebbe il lavoro di un’intera

non potrebbero comprendere la formulazione originaria. Non solo:

società, e di diverse generazioni.

esprimere lo stesso messaggio in una lingua differente offre la possibilità

Nel campo della psicologia dell’acculturazione, invece, il modello

di vederlo sotto una nuova luce, pensarlo in maniera nuova, soppesare il

teorico più diffuso per descrivere l’incontro interculturale è quello dello

valore di ogni termine scelto per esprimerlo – il che può condurre a

“stress and coping”, secondo cui a un primo shock culturale (causato da

modificarlo del tutto o in parte, ma anche ad aderirvi con maggiore co-

inevitabili difficoltà a orientarsi in un mondo di stimoli prima ignoti),

scienza.

segue un periodo di “stress acculturativo”, la cui durata e intensità varia

Il processo di ridefinizione identitaria è dapprima postulato e poi

in base a diversi fattori, come la condizione pre-migratoria, la distanza

analizzato nelle sue forme e modalità sia dall’antropologia che dalla psi-

culturale, le motivazioni dell’incontro, le prospettive future, gli ostacoli

cologia dell’acculturazione. Secondo le parole di Beneduce:

linguistici e il comportamento della collettività dominante14. Bisogna inoltre considerare che lo scenario descritto dalle due disci-

«L’emigrazione comporta sempre una frattura [...], che può disorganizzare

pline è spesso aggravato dalla presenza di un elemento traumatico: in

equilibri e compromessi realizzati spesso faticosamente nel corso degli anni.

particolare i rifugiati, ma anche alcuni migranti ‘economici’ giunti ille-

L’individuo cerca di conservare immodificato il nucleo profondo della propria

galmente in Europa, sono spesso stati vittime di tortura nell’ambiente

22


Filosofia e collettività

pre-migratorio o nel corso del viaggio: secondo l’Oxford Companion to In-

un’interazione reciproca, per i più dialogica, tra individui, grazie a cui

ternational Criminal Justice15 questa pratica, nel mondo contemporaneo, ha

entrambi si attribuiscono vicendevolmente lo statuto di "Persona". Di

prevalentemente la finalità di distruggere il credo e le convinzioni della

questa linea di pensiero, che annovera autori di contesto e area di inte-

vittima per privarla della struttura di identità che la definisce come per-

resse svariati, da G. H. Mead a C. Taylor a P. Ricoeur, si può individuare

sona. Anche qui, dunque, è teorizzata la necessità di una riformulazione

l’origine nella Fenomenologia dello spirito16 di G. W. F. Hegel. Sebbene la

identitaria, che non deriva però da inadeguatezza epistemologica, ma da

sua riflessione sul riconoscimento come prerequisito dell’autocoscienza

un programmatico annullamento che non di rado, purtroppo, mette a

si collocasse in ambito esclusivamente teoretico, a partire da essa i suoi

repentaglio le possibilità di una sua ricostruzione autonoma.

successori hanno identificato alcune caratteristiche paradigmatiche del processo di riconoscimento, ritenute tuttora un riferimento obbligato

3.

Il ruolo del riconoscimento

per chiunque ne tratti.

Come avviene, dunque, il processo di ricostruzione? Si adotta qui

Probabilmente per questo motivo, F. Fanon, autore cui di seguito si

l’ipotesi che in ambito identitario la ri-formulazione segua un andamen-

farà particolare riferimento (lo psichiatra e filosofo martinicano fu infat-

to analogo alla formazione, ovvero che genesi e ri-genesi del sé necessi-

ti il primo a declinare il modello hegeliano sulla tematica dell’incontro

tino di condizioni e processi simili e comparabili. Proprio per questo, la

etnico) apre le proprie considerazioni sul riconoscimento con una frase

prima costituirà il punto di partenza dell’indagine.

tratta dall’opera sopra citata: «L’autocoscienza è in sé e per sé solo

Le teorie che riguardano la genesi sociale dell’identità personale, ov-

quando e in quanto è in sé e per sé per un’altra autocoscienza, cioè solo

vero l’idea per cui il sé sia frutto di un’attività relazionale, hanno una

in quanto è qualcosa di riconosciuto»17. Il confronto con Hegel è conti-

tradizione lunga, la cui origine può essere collocata nel superamento del-

nuo e esplicito in Pelle nera, maschere bianche, uno dei lavori più famosi di

la centralità monologica del soggetto che aveva caratterizzato buona

Fanon, interamente dedicato al rapporto ‘tra le razze’. L’elemento che

parte del pensiero moderno. L’attività relazionale da cui l’identità prende

del modello hegeliano sta più a cuore all’autore è la necessaria reciproci-

forma è da molti identificata nel riconoscimento intersoggettivo:

tà del riconoscimento, tale per cui «un’attività unilaterale sarebbe inutile,

23


Quaderni della Ginestra

perché ciò che dovrebbe accadere può realizzarsi solo mediante il fare

poli dell’incontro sono forme di coscienza che non si sono ancora espo-

identico di entrambe, [...] [in cui] si riconoscono come reciprocamente

ste l’una all’altra nella forma del puro essere-per-sé. Per mostrarsi tali,

riconoscentisi»18. Se l’unico modo di evadere dall’oggettualità di

devono dimostrare di non essere attaccate ad alcuna specifica esistenza

un’esistenza reificata e di essere pienamente Soggetto è essere ricono-

determinata, ovvero di non essere legate alla vita, sfidandosi in una lotta

sciuto come tale – come autocoscienza –, allora colui che spezza il cir-

che minacci l’esistenza corporea di entrambi. Nella Fenomenologia dello spi-

cuito mantiene l’altro all’interno di sé, non solo impedendogli l’essere

rito, l’esito di questa lotta determina i ruoli del rapporto di servitù. Come

per un tu, ma persino l’essere per sé.

è risaputo, in seguito, anche il servo diverrà autocoscienza: questo però

Il contesto coloniale e la militanza politica di Fanon lo portano a fare del discorso hegeliano una vera e propria rivendicazione politica, storicizzata e vissuta in prima persona:

non avverrà tramite una seconda lotta, ma attraverso la relazione instaurata tra questi e le cose tramite il lavoro. Fanon consapevolmente fonde questi due diversi momenti, affermando che il riconoscimento del nero (il servo) da parte del bianco (il

«Incontrando l’opposizione dell’altro, la coscienza di sé fa l’esperienza del Desiderio; prima tappa sul cammino che conduce alla dignità dello spirito. [...]. Io chiedo che mi si consideri a partire dal mio Desiderio. Non sono solamente qui-ora, rinchiuso nella mia coseità. Sono per altrove e per altra cosa [...] in quanto perseguo altro rispetto alla vita, in quanto lotto per la nascita di un mondo umano, ovvero un mondo di riconoscimenti reciproci»19.

padrone) non potrà avvenire a meno di una violenta presa di posizione del primo, che dovrà di nuovo mettere a rischio la propria vita e strappare il riconoscimento del proprio essere soggetto combattendo il padrone. La ragione di questo allontanamento dalla lezione hegeliana è spiegata in una nota: «Per Hegel vi è reciprocità, qui il padrone se ne frega della coscienza del servo. Non reclama il riconoscimento di

La volontà di calare nella storia le parole di Hegel induce Fanon, sul-

quest’ultimo, ma il suo lavoro»20. L’uomo bianco, la razza bianca, la so-

la scia di Marx, a sottolineare gli elementi di violenta opposizionalità che

cietà bianca ridono del riconoscimento del nero, poiché essi sono già

le pervadono. Nella Dialettica servo-padrone, prima del riconoscimento, i

l’emblema dell’autocoscienza raggiunta, dell’essere-per-sé.

24


Filosofia e collettività

Ritengo che questa presa di posizione sia troppo connessa al contesto storico e politico dell’opera di Fanon: nelle società contemporanee,

terpretazione della nuova alterità. Le parole di Beneduce sono qui notevolmente chiarificatrici:

ciò di cui più la comunità necessita è proprio di essere riconosciuta dal soggetto che gli sta di fronte, dal proprio Altro-culturale. La dimostra-

«In situazioni nelle quali è già difficile attingere alle forze della coesione

zione di questa esigenza è fondata proprio sulla principale caratteristica

rappresentate dalla tradizione, le istituzioni finiscono col produrre interventi la

attribuita da Hegel al riconoscimento agli occhi di Fanon, la sua neces-

cui logica sembra essere rivolta proprio a cancellare le differenze culturali, ov-

saria reciprocità.

vero inaridire quelle matrici identitarie che soccorrono abitualmente nei mo-

Il riconoscimento, per essere tale, non può per definizione essere

menti di difficoltà o al cospetto di problemi psicologici particolari»21.

unilaterale. L’imposizione di un’acculturazione assimilativa non è però altro che la richiesta – o meglio, la pretesa – di un riconoscimento unila-

Il riconoscimento dell’Altro non come oggetto ma come autoco-

terale. Un atteggiamento collettivo che promuova la conformità cultura-

scienza è dunque una condizione necessaria (anche se, beninteso, non

le e valorizzi l’omologazione è colpevole di forzare un soggetto, la cui

sufficiente) perché questi effettui un’operazione analoga, e riconosca chi

identità è in fieri, a riformulare in modo non dialogico il proprio sé. I va-

l’ha riconosciuto, in questo caso la collettività, come legittima interlocu-

lori, le usanze e gli atteggiamenti della collettività ospite non potranno

trice nel proprio processo di ricostruzione identitaria. Se, nella riformu-

così diventare parti integranti e sane della nuova identità in formazione.

lazione del sé, la collettività con i suoi valori, i suoi usi e le sue tradizioni

Al contempo, mettere a repentaglio la conservazione di parte di ciò che

si pone come interlocutore legittimo, tale processo, oltre a essere di per

costituiva l’identità pre-migratoria implica privare il soggetto di alcuni

sé meno traumatico e conflittuale, non porterà come risultato – almeno,

strumenti fondamentali di manipolazione del mondo che, oltre a con-

questa è la scommessa – a un’identità del tutto aliena a quella della co-

sentirne la continuità esistenziale durante un processo di radicale muta-

munità. Al contrario, è più probabile che il soggetto si dimostri disponi-

mento contestuale, sono inizialmente l’unico mezzo disponibile di in-

bile ad accettarne alcuni o molti principi e valori, mediandone, come è

25


Quaderni della Ginestra

giusto che sia, alcuni aspetti con elementi del proprio bagaglio simbolico-culturale.

Questa contraddizione apparente è in realtà semplice da risolvere. È chiaro che tale preservazione non potrà essere statica: anche l’identità

Al contrario, l’imposizione di un riconoscimento unilaterale, e quindi

della comunità sarà sottoposta agli stessi processi di acculturazione,

l’assenza di un dialogo tra il soggetto e la collettività nel processo di ri-

scambio e integrazione. D’altra parte, bisogna considerare che la fun-

costruzione identitaria, può avere due conseguenze, entrambe patogene

zione dell’identità culturale collettiva è quella di predisporre parte degli

per questa. Nel primo scenario, privato del riconoscimento della collet-

strumenti di cui i singoli individui fanno uso nell’interpretazione

tività, il soggetto non trova altrove il proprio riconoscitore, e gli è quindi

dell’alterità: in un contesto di mutamenti rapidi e radicali come quello

impossibile una riformulazione adeguata della propria identità. Privo di

contemporaneo, questa è in costante divenire, è probabile che

strumenti per la manipolazione simbolica dell’alterità, egli rischia così di

un’identità collettiva statica non sia in grado di svolgere questo ruolo,

non riuscire a entrarvi in dialogo e, dunque, di soccombervi, sviluppan-

poiché le categorie simboliche che offre non sono universalmente vali-

do un rapporto clinicamente patologico con la realtà22. Nel secondo, il

de. Al contrario, se una cultura (intesa come identità collettiva) non si

Tu-riconoscitore sarà trovato all’interno della propria comunità di origi-

evolve, è destinata a essere abbandonata in quanto non più in grado di

ne, negando così la possibilità di un incontro.

guidare l’orientamento dell’individuo nel mondo. In tale scenario, il dialogo e il confronto, il riconoscimento e l’acculturazione possono funge-

4. Riconoscimento e Collettività

re da stimolo per la vitale evoluzione di un modus vivendi, di un insieme di

Rimane, però, una questione problematica da dirimere: si è ribadito

valori, o di prassi acquisite, che resteranno validi finché il costante dive-

più volte che l’avvicinamento è di necessità reciproco sia nel processo

nire della realtà li renderà nuovamente obsoleti. L’incontro con l’Altro

acculturativo, sia nel riconoscimento intersoggettivo. Ma come garantire

può – in questo senso – essere considerato la linfa vitale per l’identità

questa reciprocità e, insieme, preservare l’identità della comunità? E,

culturale di una collettività; al contrario, il rifiuto dell’incontro non può

quindi, come mantenere la promessa iniziale di dimostrare che il multi-

che condurre alla sua stasi atrofica, e alla sua scomparsa. Si potrebbe

culturalismo gioca a favore della preservazione dell’identità?

obiettare che questo processo distorca così radicalmente l’idea stessa di

26


Filosofia e collettività

identità culturale collettiva da determinarne – di fatto, se non di princi-

re – o quantomeno rendere meno probabile – un conflitto interno alla

pio – l’abbandono. In realtà, nell’incontro e nel riconoscimento, la con-

società.

taminazione consente la scoperta e l’emersione di una vicinanza che era

Questa posizione può indubbiamente suonare problematica: innanzi-

implicita e nascosta. Il dialogo e la traduzione fanno sì che il risultato sia

tutto, non è scontato che il gruppo ospitato sia favorevole a un atteg-

portatore dei valori di entrambi i poli, presente seppur mitigato e con-

giamento di multiculturalismo; e l’apertura di uno dei due poli al movi-

taminato.

mento del riconoscimento è condizione necessaria ma non certo suffi-

Le possibili alternative non sono del resto preferibili. In primo luogo,

ciente al suo verificarsi. La necessità di un movimento duplice e recipro-

l’assenza di un riconoscimento reciproco porterebbe – per bene che an-

co rende possibile una condizione di stallo, il cui superamento è però

dasse – a una coabitazione separata, problematica quantomeno dal pun-

necessario alla luce degli argomenti presentati finora; e poiché che la re-

to di vista politico: è difficile che tra due gruppi che non condividono

lazione di potere che intercorre tra i due gruppi è impari (il gruppo do-

alcunché si crei il substrato necessario alla democrazia, caratterizzato da

minante correrebbe un rischio molto minore rompendo lo stallo, pur

atteggiamenti di mediazione e compromesso; prima o poi, un gruppo

ottenendone vantaggi analoghi), è giusto che sia quest’ultimo a fare il

dovrebbe necessariamente arrendersi all’altro, anche solo per questioni

primo passo nel riconoscimento.

numeriche. Se, invece, la coabitazione fosse non indifferente e imper-

In secondo luogo, il modello teorico deve essere tradotto in pratiche

meabile, ma ostile, le conseguenze sarebbero negative a ogni livello: la

collettive, che possano orientare concretamente le scelte pubbliche ver-

comunità sarebbe lacerata da confronti violenti, gli individui potrebbero

so utilità e giustizia. La sfida principale è offrire una versione collettiva

soffrire per radicali conflitti identitari e, infine, la profezia autoavverante

del riconoscimento intersoggettivo che sia specificamente connessa al

di scontro di civiltà, da cui questa riflessione ha preso il via, diverrebbe

concetto di identità personale, e non alle teorie del riconoscimento poli-

reale. Ciò che qui preme affermare, dunque, è che l’incentivazione di

tico, già diffusamente indagate dalle identity politics.

una strategia multiculturale potrebbe rappresentare un mezzo per la pre-

Infine, anche dopo la traduzione della teoria in pratiche collettive, è

servazione dell’identità collettiva del gruppo ospite, e insieme scongiura-

comunque necessaria una maturità personale, collettiva e sociale per

27


Quaderni della Ginestra

mettere in discussione la propria cultura accettando che il risultato possa essere una mediazione che si discosta da essa. Anche ammesso di essere disponibili a farlo, le dinamiche collettive possono essere guidate? E se sì, come? Di certo, però, la legge non potrà essere sufficiente: per dirla con F. Jeanson (nell’introduzione alla prima edizione di Pelle nera, maschere bianche), grazie alla legge «il Negro (sic) è diventato un uomo: il Negro ideale è un essere umano. Ma il Negro reale, con la sua pelle nera, è stato abbandonato tra gli uomini bianchi. E i problemi risolti dalla scienza bianca non hanno smesso di vivere nella viva carne nera»23. MARTA BONIARDI S. Mezzadra, B. Neilson, Confini e frontiere, Il Mulino, Bologna 2014. F. Fanon, Peau noire, masques blancs, 1956, tr. it. Pelle nera, maschere bianche, ETS edizioni, Pisa 2015, p. 49. 3 Ad esempio in Z. Bauman, Strangers at our door, 2016, tr. it. Stranieri alle porte, Laterza, Bari 2016, p. 1. 4 R. Beneduce, Frontiere dell'identità e della memoria, Franco Angeli, Milano 2004, p. 83. 5 All’obiezione per cui non c’è nulla di nuovo nel proporre un modello di coabitazione multiculturale, già sperimentato e messo in pratica in diversi stati occidentali, rispondo che, per quanto riguarda la grandissima parte degli stati europei, dove anche vi fosse una politica ufficiale di tipo multiculturale, all’interno della società civile l’attitudine assimilativa (dove non segregazionista) è innegabilmente preponderante. Finché dunque l’impostazione multiculturale sarà confinata alle aule universitarie e agli organi legislativi, resterà necessario giustificarne i valori e promuoverne l’utilità. 6 Il concetto di identità culturale sarà utilizzato nel testo in senso soggettivo, come elemento costituente l’identità personale o psicologica di un individuo, all’interno di uno specifico 1 2

paradigma psicologico che sarà in seguito adeguatamente indagato. Con identità (culturale) collettiva si intende invece la particolare struttura simbolica di un gruppo umano, che ne comprende le tradizioni, i paradigmi valoriali, le credenze e le attitudini. L’identità culturale del soggetto si sviluppa solitamente a partire da un’identità collettiva, tramite derivazione più o meno diretta o discostamento anche radicale. 7 La tabella presenta una sintesi dei contenuti del paragrafo 3.3 di D. Sam, J. Berry, The Cambridge handbook of acculturation psychology, Cambridge University Press, Cambridge 2006. 8 Ivi, p. 36. 9 Cfr. F. Remotti, L'ossessione identitaria, Laterza, Roma 2014. 10 Cfr. G. Stanghellini, Lost in dialogue, Oxford University Press, Oxford 2016. 11 R. Beneduce, Frontiere dell’identità e della memoria, p. 116. 12 Ivi, p. 67. 13 T. Nathan, La migration des âmes, 1988, in R. Beneduce, Frontiere dell’identità e della memoria, p. 116. 14 Cfr. D. Sam, J. Berry, The Cambridge handbook of acculturation psychology. 15 A. Cassese, The Oxford companion to international criminal justice, Oxford University Press, Oxford 2013. 16 G. W. F. Hegel, Phänomenologie des Geistes, 1807, tr. it V. Cicero, a cura di, Fenomenologia dello spirito, Bompiani, Milano 2000. 17 G. W. F. Hegel, Fenomenologia dello spirito, § 178, cit. in F. Fanon, Pelle nera, maschere bianche, p. 194. 18 G. W. F. Hegel, Fenomenologia dello spirito, §§ 183-4, cit. in F. Fanon, Pelle nera, maschere bianche, p. 195. 19 F. Fanon, Pelle nera, maschere bianche, pp. 195-6. 20 Ivi, p. 197, nota 9. 21 R. Beneduce, Frontiere dell’identità e della memoria, p. 201. 22 Cfr. G. Stanghellini, Lost in dialogue, p. 1: «I will argue that to be human means to be in dialogue with alterity, that mental pathology is the outcome of a crisis of one’s dialogue with alterity, and that care is a method wherein dialogues take place whose aim is to re- enact interrupted dialogue with alterity within oneself and with the external world». 23 F. Jeanson, Prefazione all’edizione francese del 1952 di Pelle nera, maschere bianche. In Pelle nera, maschere bianche, op. cit., p. 8.

28


Filosofia e collettività

UNITI DA UN SENSO COMUNE?

IL SENSUS COMMUNIS E LA COLLETTIVITÀ

tradizione umanistica rivalutata da Vico. Nel suo pensiero il senso comune designa il “bon senso” comune ad ogni individuo di una particolare collettività. Il senso comune è il senso per il giusto e per il

1. Introduzione

N

bene comune che vive in tutti gli uomini e che si acquista nel vivere

ella filosofia politica contemporanea la riflessione di Hans-

comune. Può avere anche il significato di “senso della comunità” o

Georg Gadamer sul senso comune presenta molte assonanze e

“senso sociale”. Il miracolo della comprensione è la partecipazione ad

similitudini con quella di Hannah Arendt. 1

un senso comune, e il fine non è solo raggiungere un consenso ma

Come sottolineava Bernstein , Gadamer e Arendt – accumunati

l’intendersi sulla cosa, il comprendersi vicendevolmente. A Gadamer

anche dall’essere stati allievi di Heidegger – si occupano principalmente

preme un sapere per la vita, e più precisamente nella vita in comune

del tema del dialogo politico, della questione del giudizio e della

dell’uomo.

pluralità, ovvero gli unici antidoti in grado di contrastare la deriva

Hannah Arendt lotta, da parte sua, contro la perdita del mondo, la

contemporanea nel mondo della politica, ormai caratterizzato

perdita della realtà, la perdita di questo senso comune. Secondo Arendt,

esclusivamente dalla burocrazia e dalla tecnocrazia. Per comprendere

una teoria politica democratica deve fondarsi proprio su quest'ultimo,

cosa sia il senso comune e come questo ci leghi ad una comunità,

che si esprime nella facoltà di giudizio. Il giudizio, presupponendo il

ripercorreremo i passaggi principali della loro visione filosofica su

confronto con gli altri, non può prescindere da un accordo potenziale e

questo specifico tema.

questa sua caratteristica lega l’uomo al mondo. Per questo motivo, la

Per Hans-Georg Gadamer la valorizzazione del senso comune rientra

categoria del giudizio ha un chiaro senso politico. La vita politica è il

nel suo progetto di dare rilievo e valore alle forme di conoscenza extra-

solo mezzo con cui realizzare un autentico consenso, radicato in quel

metodiche. La filosofia pratica significa qualcosa di più di un mero

senso comune che ci svela la natura del mondo in quanto patrimonio

modello metodologico per le scienze ermeneutiche, essa è la base

comune a tutti noi. Per la Arendt dobbiamo far affidamento su altri

concreta. Il filosofo si ricollega quindi alla phronesis aristotelica e alla

perché nessuno di noi ha una conoscenza esaustiva del mondo che gli

29


Quaderni della Ginestra

permetta un vivere completamente autonomo2. Per questo, per Arendt il

suo significato sia avvenuta nell’illuminismo tedesco, nella filosofia di

tema del senso comune è strettamente collegato alla teoria dell’agire

Kant e di Goethe. Fino ad allora, fino alla prima metà del Settecento, il

sociale.

concetto di senso comune manteneva il suo significato primario formatosi in epoca ellenistica. Come dimostrano due importanti

2. Gadamer e la riscoperta del senso comune.

pensatori quali Vico e Shaftesbury, il sensus communis era quella «virtù di

Che cosa fonda una comunità? Che cosa fa sentire un gruppo di

buon comportamento sociale», che implicava al contempo «una base

individui una collettività? Una comunità non inizia dal nulla, non esiste

morale, anzi più profondamene metafisica»6 che poi sarà il fondamento

una comunità originaria, senza presupposti. Una comunità vive e si

della dottrina del moral sense sviluppata da Hume e Hutcheson.

sviluppa in un contesto che è già dato, che è già presente. Questa

Il ritorno al concetto latino del senso comune, così come lo

condizione presupposta che permea una collettività di persone è il

proponeva Vico, è un fatto di fondamentale importanza per Gadamer,

risultato di un senso comune. A questo proposito Gadamer, in Verità e

perché richiama un contesto storico in cui «le possibilità del dimostrare

metodo3, afferma che il sensus communis è «il senso che fonda la comunità»4

e dell’insegnare razionali non esaurivano completamente l’ambito della

non in quanto facoltà generale che tutti gli uomini possiedono, ma

conoscenza»7. Questa ininterrotta tradizione di cultura retorico-

perché questo senso indica la volontà dell’uomo, la sua direzione.

umanistica, tuttavia, si è andata via via indebolendo, fino ad arrivare al

Nella lettura di Gadamer la riscoperta del senso comune è essenziale

punto di voler applicare il moderno concetto di metodo alle scienze

per capire cosa voglia dire vivere in una comunità. Nel concetto di sensus

dello spirito. Pertanto, «le verità delle scienze dello spirito sono

communis, infatti, deve essere privilegiato «l’originario significato latino»5

sottoposte al criterio, per esse estraneo, dell’ideale metodico della

legato alla vita politica e sociale, e non quel concetto legato alla

scienza moderna»8. Per questo è fondamentale studiare la storia

speculazione teorica dei filosofi contro la scienza moderna.

dell’indebolimento del concetto di sensus communis – secondo Gadamer –

Ripercorrendo la storia del significato dell’espressione “senso comune”, Gadamer sottolinea che la grande cesura nella ricezione del

perché solo attraverso essa capiremo come riscoprirne e rivendicarne il significato retorico-umanistico.

30


Filosofia e collettività

Come accennato, è nell’Illuminismo tedesco che tale concetto

Se il giudizio deve essere esercitato caso per caso e mai in termini

subisce un sostanziale svuotamento e una «intellettualizzazione»9,

generali, diventa quasi impossibile insegnare o imparare come

venendo ripreso ma, al contempo, «spogliato completamente del suo

sussumere un particolare sotto un universale, di riconoscere qualcosa

aspetto politico, perdette anche il suo specifico significato critico»10. Il

come un caso particolare. Di conseguenza, il giudicare nella filosofia

senso comune venne pertanto subordinato a una partizione scolastica

illuministica non era incluso nelle facoltà superiori dello spirito, ma nella

delle facoltà fondamentali. Il concetto di senso comune indica una

facoltà inferiore del conoscere. Gadamer sottolinea più volte che è Kant

qualità generale del cittadino, ha un contenuto politico-sociale implicito

uno dei maggiori responsabili di questa deriva, infatti, nella dottrina

e dimenticato dai discepoli di Shaftesbury e di Hutcheson in Germania.

trascendentale del giudizio – la dottrina dello schematismo e dei principi

E infatti, Vico con senso comune intende non una capacità spirituale

– non troviamo traccia del sensus communis. Nella Critica della ragion pura

che si tratta di esercitare o meno, ma una tendenza che implica già da

sono trattati i concetti che devono riferirsi a priori ai loro oggetti, e non

sempre un insieme di giudizi e di criteri che lo qualificano sul piano del

di una sussunzione del particolare sotto il generale come accade nel caso

contenuto.

del giudizio. Il senso comune, infatti, non si basa sull’applicazione di un

Da Kant in poi, invece, il sensus communis è connesso in modo

universale, ma sull’intera unità e coerenza della cosa. Questa capacità di

strettissimo con il concetto di Giudizio, o con la facoltà di giudicare

giudizio si applica pertanto all’ambito etico-sociale: chi ha buon giudizio

(Urteilskraft) e, in ultima analisi, ricondotto all’ambito del giudizio

è colui che sa ciò che davvero importa, cioè vede le cose sotto punti di

estetico. Nel Settecento il “buon senso” è caratterizzato dalla capacità di

vista corretti, giusti, sani. Per di più, anche questo fondamentale

giudicare grazie alla quale è possibile applicare ciò che si è imparato. I

significato morale del concetto non trova più alcuna collocazione

moralisti inglesi «mettono in risalto che i giudizi morali ed estetici non

sistematica in Kant. Il concetto di sensus communis viene completamente

obbediscono alla reason, ma hanno piuttosto carattere di sentiment (o di

separato dalla filosofia morale.

11

taste)» , ed è per questo che Tetens vede nel sensus communis un judicium senza riflessione.

31

In Kant, di tutta la ricchezza della facoltà sensibile del giudicare, non resta altro «che il giudizio estetico di gusto»12. Solo in questa circostanza


Quaderni della Ginestra

Kant parla di un vero e proprio senso comune. Tuttavia è un giudizio

di verità extrametodica e attribuisca al senso comune una funzione

riflettente, e per questo non possiamo parlare, sempre secondo Kant, di

preminentemente ermeneutica. Il filosofo sostiene, inoltre, che è grazie

una vera e propria conoscenza. Il senso comune in quanto gusto si

al senso comune che discerniamo il giusto dallo sbagliato e che

restringe, viene limitato, non è più un concetto morale o un fenomeno

otteniamo quel bene comune che vive in tutti gli uomini. Il senso

sociale di primissimo piano.

comune ha quindi una valenza tanto teoretica quanto pratica.

Secondo Gadamer, quello a cui assistiamo, dall’Illuminismo tedesco

Non dobbiamo ricorrere all’universalità astratta della ragione, ma

in poi, è la progressiva perdita di significato e di importanza del sapere

all’«universalità concreta che costituisce l’unità comune di un gruppo, di

pratico-morale nei confronti di un sapere teorico-razionalista di cui le

un popolo, di una nazione o del genere umano14». Non può, pertanto,

moderne scienze naturali matematico-sperimentali sono compiuta

essere sufficiente un “metodo”, infatti, il concetto di metodo risulta

espressione. Per questa ragione il progetto di Gadamer è proprio quello

inadeguato per fondare le scienze dello spirito. Le scienze dello spirito e

di restituire significato e valore alla praxis e alla phronesis, rovesciando la

gli studi storico-filologici devono essere fondati su questo senso

tendenza moderna che subordina queste ultime alla poiesis e alla techne.

comune, «perché il loro oggetto è l’esistenza storica e morale dell’uomo,

Deve essere riabilitata la tradizione umanistica in tutta la sua

nelle sue azioni e nelle sue opere»15. Il ragionamento deduttivo non può

complessità, conoscitiva, morale, politica, educativa e formativa. Il sensus

bastare, ciò che importa sono le circostanze storiche. Pertanto, è il senso

communis va inteso come il senso delle situazioni concrete, come una

comune che ci vincola ad un mondo già dato, ma ci dispone anche ad

virtù civile. È un senso di responsabilità per l’intera società13.

entrare in una comunità e a costituirla di nuovo.

La

formazione del senso comune ispirato al vero e al giusto non avviene

Come facciamo, tuttavia, a comprendere e a comunicare nel nostro

quindi per teoremi matematici, ma attraverso la relazionalità, la

mondo multiculturale, complesso, dove tutti i popoli e le culture sono

comunicazione, l’ascolto della parola altrui, e quindi anche attraverso un

più vicine gli uno agli altri? Per rispondere a questa domanda, è

buon uso della retorica.

importante sottolineare che per Gadamer il comprendere non deve

Gadamer intende il senso comune come una forma di conoscenza e

essere inteso come un’azione del soggetto, o in una comunione di

32


Filosofia e collettività

anime, ma piuttosto come la «partecipazione a un senso comune» che si

giocare non vuol essere considerato in generale come un’attività

dispiega come gioco e come evento16. Ma tutto ciò sembra difficile da

esercitata da qualcuno. Il gioco ci chiede di far parte di una comunità,

realizzare. Venendo meno l’universalità tipica delle scienze matematiche,

che esso crea ed esemplifica al tempo stesso.

che nella loro astrattezza possono accumunare tutti gli uomini, il

Gadamer introduce la differenza tra l’essere-insieme (Mitsamt) e

richiamo alla tradizione e al senso comune rischiano di fatto di creare

l’essere-l’uno-con-l’altro (Miteinander). Per Gadamer il gioco è

comunità chiuse, barricate.

strutturalmente affine al dialogo. Il gioco si gioca nell’essere-insieme

Non è però questo il caso di Gadamer, e possiamo verificare questa

nella collettività, e il gioco linguistico, pur sempre rituale, si gioca

affermazione prendendo in considerazione la nozione di gioco. Infatti,

nell’essere-l’uno-con-l’altro. L’essere-insieme vuol dire aderire alla

se recuperiamo il concetto di gioco presente in Verità e metodo, emerge

collettività; l’essere-l’uno-con-l’altro è una sollecitazione a prendere

con chiarezza che il gioco, come la comunità, è una costruzione umana

parola nella comunità reciproca del dialogo. In questo “gioco” c’è

condivisa, dotata di regole per comprendersi e per agire. Il senso

sempre compreso anche l’altro, poiché linguaggio vuol dire l’altro. Il

comune è un senso che presuppone l’appartenenza a una collettività o al

gioco in quanto comunità linguistica vuol dire anche pluriliguismo in

mondo comune, ma allo stesso tempo ci dispone a entrare in una

quanto linguaggio è contatto e rapporto con l’altro. Questo rapporto

comunità mettendoci al posto degli altri, che sono come noi membri di

con l’altro si evidenzia nelle relazioni tra lingue straniere e nelle

questo ambito o giocatori del gioco.

traduzioni. Ogni giocare è un essere-giocati. Lo stesso vale per il

Il gioco – e una collettività – è tale solo se il giocatore si immerge in

linguaggio: non si gioca con il linguaggio, perché è il linguaggio, il

esso con assoluta, sacrale17, serietà. Il soggetto del gioco non sono i

dialogo, a giocare. L’identità collettiva che così si viene a formare è

giocatori, ma il gioco stesso, che si produce attraverso i giocatori. Il

flessibile e disponibile al cambiamento, e potremmo anche aggiungere

senso originario del verbo giocare è quello mediale. Così diciamo per

interculturale.

esempio che qualcosa in una certa situazione o in un certo luogo

Diversamente, Arendt propende per una lettura di segno opposto a

«gioca», che qualcosa si svolge (sich abspielt), che qualcosa è in gioco. Il

quella proposta da Gadamer. Nelle sue Lectures on Kant’s Political

33


Quaderni della Ginestra

Philosophy tenute alla New School for Social Research di New York

si reggeva un discrimine: chiunque si trovasse al di fuori della polis,

nell’autunno 1970 e pubblicate postume nel 198218, Arendt afferma che

l'unica comunità possibile perché si realizzasse la politica e si fosse

è proprio grazie all’analisi kantiana dei concetti di gusto, immaginazione

riconosciuti come cittadini, era considerato "aneu logou", «privo,

e senso comune che possiamo trovare il terreno giusto per estendere il

naturalmente, non della facoltà di parlare, ma di un modo di vita nel

giudizio estetico di gusto all’ambito politico. Arendt quindi rivaluta la

quale solo il discorso aveva senso e nel quale l'attività fondamentale di

filosofia kantiana e non vede nell’Illuminismo tedesco il responsabile del

tutti i cittadini era di parlare fra loro»20. Quello pubblico era il solo

restringimento del significato del senso comune. A questo proposito

spazio garantito perché tutti avessero la possibilità di sperimentare

Simona Forti scrive:

condizioni di eguaglianza e libertà. La riflessione di Arendt sulla facoltà argomentativa non trova il suo

«se da una parte [cioè] entrambi gli allievi di Heidegger condividono

punto di partenza soltanto però nelle definizioni aristoteliche, quanto in

l’assunzione del giudizio riflettente come modalità di pensiero diversa da quella

una riflessione su che cosa significhi esprimere la democrazia in uno

cognitiva, l’operazione arendtiana si configura come diametralmente opposta a

spazio: nella polis si aveva la possibilità di assumere, sul piano politico, le

quella compiuta dall’autore di Verità e metodo. Molto schematicamente si può

tante posizioni presenti nel mondo da cui la stessa cosa può essere

dire che la Arendt riconosce una potenzialità politica – sebbene sui generis – a

osservata. Lo spazio pubblico, allora, definisce il modo di vivere

quello stesso sensus communis kantiano del quale Gadamer aveva constatato la

comune, significando essenzialmente «che esiste un mondo di cose tra

de-politicizzazione»19.

coloro che lo hanno in comune [...]; il mondo, come ogni in-fra (inbetween), mette in relazione e separa gli uomini nello stesso tempo»21. Il

3. Il senso comune come potenzialità politica

multi-prospettivismo è l'unica garanzia della realtà del mondo, perché

L'essere umano è zoon politikon e allo stesso tempo zoon logon ekhon

«solo dove le cose possono essere viste da molti in una varietà di aspetti

ovvero, nell'interpretazione arendtiana della definizione di Aristotele, un

senza che sia cambiata la loro identità, [...] la realtà del mondo può

animale sociale e un essere vivente capace di discorrere. Su quest'ultima

apparire certa e sicura»22. Parzialità e pluralità di prospettive: Arendt

34


Filosofia e collettività

condivide quest'approdo con Merleau-Ponty, il quale suggerisce che la

comprendere la realità della cosa nel suo complesso e nella sua

pluralità di prospettiva, assicurando la realtà e l'identità del mondo, «se è

particolarità. Allo stesso modo, il giudizio estetico-politico di Kant ci

il mezzo che gli oggetti hanno per dissimularsi, è anche il mezzo che essi

porta inevitabilmente verso l'alterità - Arendt parla di otherdirectedness,

hanno per svelarsi. [...] In altri termini: guardare un oggetto significa

l'eterodirezione fondamentale del giudizio: è attraverso il senso comune

venire ad abitarlo, e da qui cogliere tutte le cose secondo la faccia che gli

se gli uomini comunicano.

rivolgono»23. Questa facoltà che tutti hanno di osservare la medesima cosa ma da punti di vista differenti è causa che del fatto che:

«Il dibattito decanta e moltiplica questa soggettività che, invece di relativizzarsi, si conferma incessantemente nello scambio e acquista

«il cogito altrui destituisce di ogni valore il mio proprio cogito e mi fa

un'oggettività di nuovo genere, poiché il mondo che si offre nella discussione è

perdere la sicurezza, che avevo nella solitudine, di accedere all'unico essere per

interamente presente negli aspetti infinitamente diversi che presenta. [...]

me concepibile, all'essere così come viene intenzionato e costituito da me. [...]

Giudicare è scoprire un senso nel mondo, allo scopo di orientarsi in esso per

In realtà, l'altro non è chiuso nella mia prospettiva sul mondo perché questa

un'azione il cui ambiente naturale è la contingenza nella quale essa deve

prospettiva stessa non ha limiti definiti e scivola spontaneamente in quella

sempre aprirsi un cammino, imprevedibilmente»25.

altrui, poiché sono entrambe raccolte in un unico mondo al quale noi tutti partecipiamo come soggetti anonimi della percezione»24.

Il merito di Arendt, in questo senso, è di aver condotto una lettura originale della Critica del giudizio che raccogliesse i frutti sul tema della

Per questo motivo, il senso comune è definito il senso politico per

"comunità", rintracciabile soprattutto nelle Lectures on Kant's Political

eccellenza, che a sua volta assume a modello il giudizio estetico kantiano

Philosophy26. La comunità kantiana è il regno dei fini, come si ritrova nella

della terza Critica, il quale riguarda il giudizio riflettente che ha per

seconda sezione della Fondazione della Metafisica dei costumi, ovvero una

oggetto un particolare. Il senso comune diviene una qualità politica

comunità fondata da e su esseri razionali e dotati di ragione, realizzabile

perché è attraverso i nostri cinque sensi che è possibile all'uomo

concretamente

35

solo

a

condizione

che

ognuno

risponda


Quaderni della Ginestra

affermativamente alla legge universale. La comunità è, in breve, «il

La teoria del giudizio di Arendt rimane, allora, sospesa fra Aristotele

collegamento sistematico dei diversi esseri razionali mediante leggi

e Kant, cioè fra la morsa di un'eticizzazione della politica e la carica di

comuni»27, e questo tema di ricerca si innesta, in Kant, negli scritti

normatività che il senso del giudicare comporta in ogni situazione: in

morali e religiosi: è con Arendt, invece, che la lente di indagine si sposta,

Arendt, infatti, vi è una sorta di duplice teoria del giudizio. Come se vi

alla ricerca del paradigma comunitario, nella terza Critica – a partire dal

fosse un giudizio che guida le nostre azioni – è l'approccio aristotelico

concetto di sensus communis che nel paragrafo 40 Kant definisce «l'idea di

nel senso della phronesis – e un giudizio che è correlato al pensiero e alla

un senso che abbiamo in comune e cioè di una facoltà del giudicare che

volontà – è l'approccio kantiano nel senso della teoria del giudizio

nella sua riflessione tiene conto a priori del modo di rappresentarne di

riflettente.

tutti gli altri»28.

Per questo motivo, il soggetto, nel suo isolamento, non può mai

A onor del vero, è necessario sottolinearlo, l'idea di una

conoscere né esperire la libertà, perché quest'ultima trae sempre origine

politicizzazione dell'idea kantiana di comunità non è così inedita e, pur

dall' "infra" che si crea soltanto nella comunità. «L'infra è ciò che è

partendo da premesse differenti, anche Lyotard conduce un parallelo fra

autenticamente storico-politico [...]: non è l'uomo a essere uno zoon

l'estetica kantiana e il suo pensiero politico29. L'obiettivo teorico di

politikon, o a essere storico, ma gli uomini, nella misura in cui si

Arendt, però è quello di pensare all'azione umana come un agire in-

muovono nell'ambito che sta tra di loro»31.

comune fuori dell'ambito dell'universalità oggettiva.

L'allarme che Arendt sta lanciando è nell'aver individuato come

In questo senso, alla massima «il cielo stellato sopra di me, la legge

principale caratteristica della crisi dell'età moderna la perdita dello

morale dentro di me», Arendt sembra rispondere che nel mezzo ci sia

spazio pubblico, l'infra che sta fra gli uomini. Ancor più precisamente, è

proprio la comunità, che si esprime in quel luogo che è il mondo,

con l'espressione "perdita di mondo" – "loss of the world" o

quando

sul

"alienazione dal mondo" – "world alienation" che Arendt allude alla

comportamento umano sta l'io, al centro delle considerazioni politiche

perdita del mondo comune, dell'artificio che l'uomo ha creato perché si

sul comportamento umano sta il mondo»30.

separi dallo stato di natura per continuare a dedicarsi alle sue attività

scrive:

«al

centro

delle

considerazioni

morali

36


Filosofia e collettività

mondane. Da esso derivano sia il senso della realtà sia l'identità

Alla luce di queste considerazioni, è necessario trarre qualche

personale, senza dimenticare tutte quelle delibere politiche che nascono

conseguenza. La prima, di carattere storico-filosofico. È chiaro che il

proprio da quello spazio. Il mondo che abbiamo in comune assume il

valore dell'attività politica, per Arendt, risiede nella possibilità che si

significato di vivere insieme in un mondo che, a sua volta, «significa

offre a ciascun individuo di esercitare attivamente i suoi poteri e diritti di

essenzialmente che esiste un mondo di cose tra coloro che lo hanno in

cittadinanza, di sviluppare le capacità di giudizio politico, e di conseguire

comune, come un tavolo è situato fra quelli che siedono intorno; il

mediante l'azione collettiva un certo grado di efficacia e influenza

mondo, come ogni in-tra, mette in relazione e separa gli uomini nello

politica. Si iscrive, allora, in una tradizione di pensiero politico che è

stesso tempo»32. La sfera pubblica

quella dell'umanesimo civico in cui si trova un'autentica espressione ogni volta che i cittadini si riuniscono in uno spazio pubblico per

«raccoglie insieme e tutta via ci impedisce, per così dire, di caderci addosso

deliberare e decidere su questioni riguardanti l'intera collettività.

a vicenda. Ciò che rende la società di massa così difficile da sopportare non è

La seconda, di carattere più politico sull'artificialità della politica.

[...] il numero delle persone implicate, ma il fatto che il mondo che sta tra loro

Essa non è altro che un prodotto dell'attività umana e non qualcosa di

ha perduto il suo potere di riunirle insieme, di metterle in relazione e di

naturale o dato. La politica è, per Arendt, una conquista o

separarle. [...] Il mondo comune è ciò in cui noi entriamo quando nasciamo e ciò che lasciamo dietro di noi alla morte. Esso trascende il nostro arco di vita tanto nel passato che nel futuro; esso esisteva prima che noi vi giungessimo e continuerà dopo il nostro breve soggiorno in esso. È ciò che noi abbiamo in

un'acquisizione culturale, perché permette agli individui di trascendere le necessità naturali e di costruire un mondo in cui il discorso e l'interazione politica possano essere promosse liberamente34. L'origine

comune non solo con quelli che vivono con noi, ma anche con quelli che

artificiale della vita pubblica e della politica è un punto cruciale nella

c'erano prima e con quelli che verranno dopo di noi. Ma un tale mondo

teoria arendtiana e nasce dal rifiuto dell'idea di naturalità e dalla

comune può superare il ciclo delle generazioni solo nella misura in cui appare

necessità degli uomini di trascendere i loro bisogni naturali.

in pubblico».33

Indubbiamente, l'artificialità della politica comporta importanti conseguenze, la prima tra le quali l'idea espressa ne Le Origini del

37


Quaderni della Ginestra

Totalitarismo secondo cui l'uguaglianza fra i cittadini non è il risultato di

processo continuo, mai portato a compimento: per questo motivo, per

una condizione naturale precedente la formazione della sfera politica:

Arendt, è fondamentale la formazione democratica di identità collettiva

scrive Arendt, «la privazione dei diritti umani si manifesta soprattutto

attraverso determinate condizioni: una deliberazione attiva e il dialogo

nella mancanza di un posto nel mondo che dia alle opinioni un peso e

democratico e razionale.

35

alle azioni un effetto» . Il problema rimane che cosa significa essere una collettività, una

4. Conclusione

comunità, costituirsi come un "noi": la risposta alla domanda «che cosa

La lettura di Hannah Arendt e di Georg Gadamer ci invita a

dobbiamo fare?» il "noi" non è un dato acquisito già a priori, ma è

riscoprire e valorizzare cosa vuol dire essere far parte di una comunità di

oggetto di dibattito. Come scrive Pitkin:

persone. Tramite la relazione interpersonale e la relazione all’interno di una collettività impariamo a vivere con gli altri, a dialogare con la

«nell'affrontare il problema centrale di ogni discorso politico - che cosa dobbiamo fare? - il "noi" è sempre oggetto di contesa. Una parte della

diversità. La comunità è un approccio al mondo in cui non troviamo la verità delle scienze, ma il senso della storia, delle tradizioni.

questione diventa, se perseguiamo questo o quel possibile corso di azione, chi

Tutto questo non indica però una realtà statica e immutabile perché

potrebbe affermarlo, chi potrebbe vederlo come qualcosa fatto a suo nome?

tutti gli individui che entrano a far parte di una certa comunità, in ogni

Chi sarebbe ancora con "noi" se "noi" intraprendiamo questo corso di

suo diverso periodo storico, portano avanti una certa tradizione

azione?36»

trasformandola e vivificandola.

perché, continua «parte del sapere esplicitato nel discorso politico

risiede nell'ampiezza e validità della pretesa avanzata nel dire "noi": i.e, chi alla fine si rivela disponibile ad affermare e convalidare quella pretesa»37.

Accanto al ragionamento, alla logica, deve essere pertanto sviluppato il senso comune che essendo il senso del vivere insieme è una capacità relazionale. E questo perché, come Martin Buber38 ci ricorda, la risposta

La costruzione della nostra identità collettiva, la creazione di un

al superamento della solitudine odierna si trova proprio nella relazione

"noi" entro cui possiamo identificare noi stessi e le nostre azioni, è un

interpersonale e comunitaria. Nel saggio «Io e tu» del 1923, leggiamo: 38


Filosofia e collettività

«L’uomo diventa io a contatto con il tu». Nell’aprirsi all’altro troviamo quindi il senso vero del nostro vivere in una comunità. Pertanto, con l’espressione senso comune39 intendiamo un insieme relativamente organico di principi, di credenze o di certezze, ritenuto “comune” ad ogni essere umano in quanto vissuto e messo in atto. Esso indica un bagaglio di conoscenze immediato precedente ogni conoscenza teorica. Si può parlare di senso comune come di un sistema culturale perché si tratta di un insieme di pensieri, di rappresentazioni e di credenze, utilizzate a un livello implicito. È dunque un sapere incorporato in pratiche e regole sociali, presente allo stato latente. Il senso comune si rinnova e si sviluppa nel corso delle vicende storiche collettive così come nelle vicende personali. In base al senso comune gli uomini agiscono, pensano e giudicano. In breve, il senso comune è vissuto collettivamente e portato avanti singolarmente. SILVIA FERRARI & VERBENA GIAMBASTIANI Richard J. Bernstein, Beyond Objectivism and Relativism, University of Pennsylvania Press, Philadelphia, 1983. 2 P. Terenzi, Per una sociologia del senso comune: studio su Hannah Arendt, Rubbettino, Roma 2002. 3 H. -G. Gadamer, Verità e metodo, Studi Bompiani, Milano 2010. 4 H. -G. Gadamer, Verità e metodo, p. 44. 5 Ivi, p. 55. 1

39

Ivi, p. 48. Ivi, p. 47. 8 Ibidem. 9 Ivi, p. 54. 10 Ivi, p. 50. 11 Ivi, p. 54. 12 Ivi, p. 58. 13 Cfr., Il «sensus communis» contro la tecnocrazia. Colloquio con Hans-Georg Gadamer a Ziegelhausen, in C. Grossner (a cura di), I filosofi tedeschi contemporanei tra neomarxismo, ermeneutica e razionalismo critico, Città Nuova, Roma 1980, pp. 267–285. 14 H. -G. Gadamer, Verità e metodo, p. 43. 15 Ivi, p. 46. 16 Ivi, p. 341. 17 Ivi, p. 133. 18 Cfr. H. Arendt, Teoria del giudizio politico. Lezioni sulla filosofia politica di Kant, il Melangolo, Genova 2005. 19 S. Forti, Hannah Arendt tra filosofia e politica, Mondadori, Milano, 2006, p. 342. 20 H. Arendt, Vita activa. La condizione umana, Bompiani, Milano 2001, p. 21. 21 Ivi, p. 39. 22 Ivi, p. 43. 23 M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, Bompiani, Milano 2003, pp. 114– 115. 24 Ivi, p. 458. 25 A. Enegrén, Il pensiero politico di Hannah Arendt, Edizioni Lavoro, Roma 1987, pp. 136–137. 26 H. Arendt, Teoria del giudizio politico, Il Melangolo, Genova 1990. 27 I. Kant, Fondazione della metafisica dei costumi, Rusconi, Milano 1994, p. 155. 28 I. Kant, Critica del giudizio, Laterza, Roma-Bari, 1997, p. 263. 29 J.-F. Lyotard, L'entusiasmo. La critica kantiana della storia, Guerini, Milano 1989. 30 H. Arendt, Responsabilità collettiva, in Id., Responsabilità e giudizio, Einaudi, Torino 2010, p. 132. 31 Cfr. Diario filosofico. Frammenti (1950-1964), riportato in «Micromega. Almanacco di filosofia», n. 5/2003, novembre-dicembre, p. 32. 32 H. Arendt, La condizione umana, p. 59. 33 Ivi, pp. 59–62. 6 7


Quaderni della Ginestra

Arendt rifiuta esplicitamente il concetto di natura umana e il tentativo di fondare la politica sulle presunte caratteristiche dell'uomo. Cfr. H. Arendt, Vita activa, p. 16–18. 35 H. Arendt, Le origini del totalitarismo, Edizioni di Comunità , Milano 1989, p. 410–411. 36 H. Pitkin, Wittgenstein and Justice, University of California Press, 1972, p. 208. 37 Ibidem. 38 Martin Buber (1923), Io e tu, in Martin Buber, Il principio dialogico e altri saggi, San Paolo Edizioni, Cinisello Balsamo,1993, pp. 79, 72. 39 Cfr., E. Agazzi (a cura di), Valore e limiti del senso comune, Franco Angeli, Milano 2004. 34

40


Filosofia e collettività

QUALE COLLETTIVITÀ? RISPOSTE DALL’ONTOLOGIA SOCIALE

L

appoggiandosi alla proposta teorica del filosofo Brian Epstein, si interroga sul fondamento metafisico della collettività. Infatti, la questione

della

struttura

metafisica

rappresenta

un

problema

e prossime pagine indagano la nozione di collettività nell’ambito

imprescindibile nel caso in cui si intenda concepire la nozione come un

dell’Ontologia sociale contemporanea. In particolare, l’articolo

concetto dotato di realtà e riferito a gruppi che abitano il contesto

presenta due gruppi di teorie diffuse nel dibattito: le prime intendono la

sociale, costituendone parti oggettive. Infine, il quinto paragrafo

dimensione collettiva come un aspetto del mentale, mentre le seconde

sostiene che il fondamento metafisico posto dall’Ontologia sociale per

impiegano tale nozione in riferimento a fenomeni del mondo esterno.

la collettività coincida con la capacità degli individui di pensarsi come

L’obiettivo è mostrare come entrambe le prospettive riconducano il

parte di un gruppo e con la facoltà di avere intenzioni per l’azione che

significato di collettività a un tratto della psicologia individuale, a una

lo riguardino. Di conseguenza, la definizione di collettività, intesa come

rappresentazione mentale o a un modo di pensare l’essere e l’agire

ciò che è parte del mondo, sembrerebbe essere – metafisicamente –

insieme. In altre parole, la tesi qui sostenuta è che la concezione

fondata sulla definizione di collettività concepita come aspetto del

(soggettivistica) di collettività sia alla base di altre definizioni della

mentale. Tale affermazione ci porta a scardinare la pretesa di

nozione, inclini a collocare la dimensione collettiva fuori dalla mente

considerare la collettività come componente oggettiva del mondo

degli individui e come parte integrante (oggettiva) della realtà sociale.

sociale, vincolando invece la realtà del fenomeno al nostro modo di

Ciò considerato, l’articolo si divide in cinque paragrafi seguiti da una

pensare, vivere e agire con gli altri.

breve conclusione. Il primo è dedicato a introdurre il tema della collettività nel dibattito dell’Ontologia sociale. Il secondo e il terzo

1. L’Ontologia sociale e il tema della collettività

paragrafo presentano rispettivamente gli assunti teorici principali e

Per chiarire quali definizioni di collettività siano state formulate dai

generalmente condivisi da chi individua la dimensione collettiva dentro

principali teorici dell’Ontologia sociale è indispensabile, innanzitutto,

e/o fuori la mente dei singoli individui. Il quarto paragrafo,

precisare quali siano gli interessi propri del dibattito e quale il focus che

41


Quaderni della Ginestra

vorremmo qui adottare nell’impostare la riflessione. Brevemente,

relaziona con l’esterno. Detto altrimenti, la collettività è una nozione

potremmo definire l’Ontologia sociale contemporanea come quella

collocata all’intersezione delle tre categorie esplicative sopraelencate e

disciplina filosofica che studia la realtà sociale e le sue componenti.

ogni volta che la teoria ne indaga un tratto particolare, le altre due

Queste ultime possono essere suddivise in tre macro-categorie1:

dimensioni restano parte del concetto. Pertanto, senza dimenticare la ricchezza di sfumature che il termine può assumere negli studi di

(1) oggetti, intesi come fatti con un certo valore normativo e/o istituzionale; (2) agenti, ossia soggetti in grado di orientarsi nel mondo e modificarne l’assetto; (3) relazioni, o più precisamente rapporti agente-agente, agenteistituzione, istituzione-istituzione.

Ontologia sociale, l’attenzione sarà qui rivolta a quella parte del dibattito che si è concentrata sulla collettività intesa come agente e quindi sulla possibilità che ci siano agenti collettivi, gruppi capaci di progettare azioni e realizzare tali piani nella pratica. La questione è dunque quella di definire in che cosa consista la collettività qualora essa sia capace di agency. Ma cosa si intende per agency? In Ontologia sociale si parla di

Questa tripartizione non rappresenta tuttavia una rigida suddivisione,

agenzialità, agency, riferendosi alla capacità di compiere azioni

tanto che uno stesso concetto potrebbe facilmente rientrare in più di

intenzionali, ovvero azioni che siano pianificate razionalmente e che

una categoria a seconda degli aspetti ritenuti di volta in volta salienti. In

siano volte all’ottenimento di uno scopo2. Un’azione intenzionale è un

questo senso, la collettività potrebbe essere interpretata sia come un

comportamento manifestato da un soggetto e strutturato sulla base di

oggetto, cioè come un’istituzione dotata di poteri deontici volti a

un atto mentale, un’intenzione, che ha un contenuto, il quale

regolamentare il comportamento degli agenti nella società (ad esempio,

rappresenta nella mente del soggetto agente un obiettivo che si vuole –

corporazioni, federazioni, società, etc.), sia come un’agente capace di

intende – soddisfare attraverso l’azione. Asserire che la collettività possa

avere obiettivi propri e di realizzare tali scopi nel mondo, sia, infine

costituire un caso di agente significa, dunque, ritenere che essa sia

come rete relazionale membro-membro o come un gruppo che si

capace di pianificazione razionale dell’azione e di (potenziale) attuazione

42


Filosofia e collettività

di tali fini. Non solo, sostenere che una collettività possa essere

oggettivo3.

identificata come centro di azione intenzionale implica anche

Sebbene non tutti i teorici delle azioni collettive ritengano che i

riconoscere in essa una fonte di agency, diversa da (o non riducibile a) il

gruppi siano componenti reali del mondo, la tendenza ad accettare la

contributo che gli individui, membri di tale gruppo, apportano

specificità della dimensione collettiva dell’agire è un’attitudine diffusa tra

all’impresa collettiva. La questione che si presenta ai teorici delle azioni

gli esponenti dell’Ontologia sociale. In particolare, questa tendenza ha

collettive è quella di stabilire quale sia il tratto peculiare dei fenomeni di

dato luogo a due pattern interpretativi che collocano la dimensione

gruppo rispetto alla ‘semplice’ coordinazione di azioni individuali, tanto

collettiva dell’agency dentro la mente degli individui, come tratto della

da considerare il gruppo come un agente tout court piuttosto che un

psicologia individuale, o fuori di essa, considerandola un aspetto

mero aggregato di agenti individuali. Ciò considerato, la risposta alla

strutturale del mondo. Il primo caso, presentato nel prossimo paragrafo,

domanda «quale collettività?» dipende dal modo in cui si scelga di

include le teorie dell’intenzionalità collettiva mentre il secondo, oggetto

definire un comportamento intenzionale come un comportamento

del terzo paragrafo, parla di agenti o sistemi collettivi.

collettivo – ammesso che si accetti di introdurre una discriminante tra fenomeni di gruppo e fenomeni individuali. Infatti, molti sono gli

2. Primo modello: l’intenzionalità collettiva

approcci che rifiutano tale distinzione, negando che la collettività possa

Un primo modo di studiare la collettività come dimensione dell’agency

rappresentare un vero e proprio centro di agency. Secondo queste

è quello di riferire tale nozione al versante dell’intenzionalità. In questo

prospettive, dette individualiste o riduzioniste (minimal, per usare

senso un’azione collettiva può essere descritta come un comportamento

un’espressione comune in lingua inglese), il fatto che alcune azioni siano

che coinvolge due o più individui e che è strutturato sulla base di

attribuite a un gruppo di individui non significa che ci sia una collettività

intenzioni per l’azione riguardanti l’intero gruppo di soggetti agenti. Se

agente ma, al contrario, azioni collettive sarebbero il risultato degli sforzi

si considera un gruppo di individui impegnati a fare x, l’azione in

congiunti di una collettività di agenti, dove il termine collettività serva

questione può dirsi collettiva solo se nella mente dei partecipanti è

da concetto esplicativo, senza alcun riferimento ontologicamente

presente uno stato mentale progettuale, che intenda raggiungere

43


Quaderni della Ginestra

l’obbiettivo comune (x) a tutti gli individui coinvolti. Perché si abbia

origine a intenzioni che includono la nozione senza creare discontinuità

un’azione collettiva non è però sufficiente che ogni partecipante abbia

nella tipologia d’atto mentale interessato5, la seconda opzione introduce

l’intenzione di contribuire a x facendo la propria parte y. E nemmeno

una modalità intenzionale peculiare, specifica delle azioni di gruppo e

sarà sufficiente aggiungere a tale intenzione relativa al contributo

non descrivibile attraverso singole intenzioni individuali6. Infatti,

individuale la credenza che anche gli altri individui facciano la propria

l’intenzione collettiva che si presenta alla mente degli individui nella

parte. Infatti, in questo caso l’intenzione sarebbe: «Io intendo fare y per

forma “noi” è concepita dai suoi sostenitori come una modalità d’atto

ottenere x», in aggiunta a «Io credo che ci siano altri individui che con la

originariamente plurale, nella quale il soggetto pensa e vive il fenomeno

loro azione promuovano la realizzazione di x». Tale fenomeno non

di agency come se esso riguardasse il gruppo nel suo complesso, come un

potrebbe dirsi un vero e proprio caso di azione collettiva, perché

singolo agente. Nonostante ciò, sarebbe un errore inferire che

relegare il riferimento alla collettività al contenuto di una credenza

l’intenzionalità collettiva sia una capacità da attribuirsi al gruppo inteso

significherebbe escludere la dimensione di gruppo dall’atto intenzionale

come un macro-soggetto. Sebbene il “noi” sia effettivamente riferito alla

e negare, di conseguenza, la specificità di intenzioni che pianificano

collettività nella sua totalità, la modalità d’atto intenzionale resta un

azioni compiute da due o più individui insieme. Perché x sia un’azione

tratto della psicologia individuale, un modo di concepire un fenomeno

collettiva in senso intenzionalistico occorre che la collettività sia parte

di agency, un punto di vista adottato dall’individuo e che si manifesta

dell’intenzione stessa e ciò può darsi in due modi distinti 4. Da una parte

nella mente dello stesso. L’intenzionalità collettiva non è frutto di una

la collettività può figurare nel contenuto dell’intenzione originando atti

mente collettiva, essa è piuttosto una facoltà della mente individuale che

mentali del tipo «Io intendo che noi facciamo x», dall’altra parte la

permette a essa di pensarsi sia come agente individuale sia come

collettività può essere un tratto costitutivo dell’intenzione conferendo a

membro di un gruppo. Per i teorici dell’intenzionalità collettiva vi è

essa una forma, o meglio, una modalità plurale: «Noi abbiamo

quindi una discontinuità tra le intenzioni individuali e quelle collettive,

l’intenzione (collettiva) di fare x». Mentre la prima alternativa teorica

perché esse sono rispettivamente formulate da due capacità distinte e si

rappresenta la collettività nel contenuto dell’atto intenzionale, dando

collocano su due livelli psicologici separati, dove intenzioni e interessi

44


Filosofia e collettività

individuali potrebbero anche essere in contrasto con progetti sostenuti

partendo da input forniti dagli individui, elaborino i dati arrivando a

dall’intenzione collettiva7. Potrebbe infatti capitare di supportare il

prendere una posizione non riconducibile a quella dei membri. Chi

progetto collettivo di fare x attraverso il proprio contributo y pur in

sostiene questa interpretazione della nozione, generalmente, assume che

assenza di ragioni individuali che fuori da tale contesto di gruppo

una collettività agisca sulla base di intenzioni che sono frutto di

motiverebbero il personale perseguimento di y.

procedure decisionali, votazioni e funzioni aggregative che elaborino le informazioni disponibili al sistema al fine di ottenere un risultato che sia

3. Secondo modello: il gruppo agente

il prodotto di tali algoritmi e non la mera somma o maggioranza delle

In alternativa all’idea che la collettività sia una dimensione del

intenzioni individuali. In questo senso, all’interno di una collettività

mentale, si può pensare che tale nozione si riferisca a un gruppo, una

agente si assiste a un processo di spersonalizzazione dei membri, poiché

totalità di individui, che funzioni come un’agente di per sé. La

essi partecipano all’impresa collettiva apportando un contributo che sia

collettività può dunque costituire un agente vero e proprio, che abita il

primariamente funzionale allo scopo. Un individuo ricopre una certa

mondo sociale e che è capace di prendere decisioni e intervenire

carica in base alle competenze di cui egli dispone così da servire agli

sull’ambiente attraverso comportamenti intenzionali8. In altre parole la

scopi del gruppo e rimanendo una figura sostituibile all’interno dello

collettività può considerarsi come un sistema di agency. A questo

stesso qualora si presentasse un candidato equamente valido in termini

proposito è di fondamentale importanza insistere sul termine “sistema”

in competenze specifiche. Ogni posizione è dunque legata a una

e sul fatto che per agire intenzionalmente un gruppo deve poter

competenza e ogni carica ha un suo ruolo nell’impresa complessiva,

produrre intenzioni per l’azione che siano proprie della collettività stessa

ruolo che è tutelato da diritti e legato a doveri inerenti alla funzione. La

e che non siano riducibili alla somma degli stati mentali presenti nella

collettività si muove, dunque, come un agente perché come un agente

mente degli individui membri. I gruppi agenti non sono degli aggregati

individuale essa ha delle intenzioni proprie, prodotte dai meccanismi

ma delle organizzazioni, sistemi complessi in grado di formulare le

decisionali, e come un agente essa è dotata di un corpo, formato da

proprie intenzioni attraverso meccanismi decisionali complessi i quali,

individui e da componenti materiali o digitali.

45


Quaderni della Ginestra

Inoltre, affinché un gruppo costituisca un agente non vi è alcuna necessità che la psicologia degli individui partecipanti sia allineata al

ontologico, ovvero se sia parte oggettiva della realtà sociale o se coincida con la somma degli individui membri.

perseguimento di intenzioni collettive o orientate al bene della collettività. L’individuo è una figura sostituibile e perché il sistema di cui

4. Il problema ontologico e la proposta di Epstein

è parte possa funzionare, ciò che conta è che egli adempia alle funzioni

La questione ontologica riguardante l’oggettività della collettività in

assegnategli. Il fatto, però, che non sia necessario che i soggetti abbiano

quanto componente della realtà sociale si fa urgente soprattutto nel

intenzioni collettive non implica l’incompatibilità del fenomeno. Al

contesto della prospettiva del gruppo agente, che attribuisce alla

contrario, quando la prospettiva del gruppo agente dovesse incontrare

collettività vere e proprie capacità di agire intenzionalmente. Al

quella delle intenzioni collettive il risultato sarebbe una maggiore

contrario, il problema è facilmente risolvibile qualora si considerino le

stabilità della collettività pensata come agente che abita tanto il mondo

teorie dell’intenzionalità collettiva, per le quali la collettività, in quanto

quando la mente dei suoi partecipanti. In effetti, molte delle posizioni

dimensione del mentale, si riferisce a un aspetto del mondo (il gruppo di

sviluppate in Ontologia sociale integrano la dottrina dell’intenzionalità

individui) che esiste nella misura in cui ci sono degli individui che lo

collettiva con la possibilità che il gruppo, a cui essa si riferisce, sia o si

pensano come un tutto. Senza tali attitudini soggettive nessuna

trasformi in una collettività organizzata e capace di costituire un

collettività potrebbe propriamente dirsi parte del mondo sociale. Per

soggetto agente di per sé9. Ma sostenere che la collettività sia un tutto

questa ragione è possibile definire la collettività come un oggetto

organizzato, capace di prendere decisioni autonome e di avere effetti sul

dipendente dalla mente – descrizione che vale anche per altri oggetti

mondo sociale nel quale essa opera, potrebbe non essere sufficiente ad

sociali analogamente riconosciuti dall’intenzionalità dei singoli come, ad

asserire che, per questo secondo pattern interpretativo, la collettività

esempio, il denaro, i confini degli stati, il matrimonio. Dunque, se per

costituisca una componente reale della società10. La questione spinosa di

l’approccio intenzionalistico la nozione di collettività è un tratto della

questo dibattito è quella di stabilire se la collettività, quando funzioni

psicologia individuale che può significare parti della realtà sociale

come un agente, possa ritenersi un agente anche da un punto di vista

soggettivamente identificati dagli individui come estensione del termine

46


Filosofia e collettività

“collettività”, le teorie del gruppo agente sono invece inclini ad

applicabili a qualsiasi caso di studio. I quattro profili servono infatti a

ammettere l’oggettività della collettività come parte della realtà sociale,

identificare i gruppi sulla base di varie sfaccettature che contribuiscono

indipendente da quel che pensino gli individui. In questo senso, la

a determinare la struttura metafisica degli stessi, permettendo così alla

collettività è un aspetto reale, oggettivo, del mondo e in quanto tale

teoria di non concentrarsi su un solo criterio ma di tenere presenti più

dovrebbe poter essere individuato attraverso criteri metafisici rigorosi.

aspetti rilevanti che aprono a definizioni capaci di includere più

Dato

dell’oggetto

casistiche. Ciò consente di evitare un rischio comune in Ontologia

“collettività” resta un problema aperto per l’Ontologia sociale. In

sociale, che è quello di livellare la propria concezione, in questo caso la

particolare, il punto ancora al centro dell’indagine consiste nella

propria definizione di “collettività”, a un unico gruppo di fenomeni

possibilità di stabilire una definizione capace di adattarsi ai diversi casi

rispondenti all’unico criterio metafisico scelto, come ad esempio il fatto

concreti per i quali saremmo intuitivamente disposti ad affermare che

di essere un insieme di due o più individui che mostri un’organizzazione

un certo gruppo funzioni come un agente. La molteplicità di casi che

dei ruoli ricoperti dagli stessi12. Talvolta un gruppo agisce

l’esperienza ci sottopone rende infatti difficile soddisfare ogni

intenzionalmente pur in assenza di tale struttura funzionale.

questo

impegno

ontologico,

l’identificazione

eventualità, senza esclusi.

Ciò considerato, Epstein propone di caratterizzare qualsiasi tipo di

La sfida è stata recentemente accolta e brillantemente affrontata dal

gruppo sociale guardando a quattro profili metafisici, che qui

filosofo Brian Epstein11, il quale ha proposto una soluzione orientata a

applicheremo al solo caso in cui un gruppo sociale funzioni come

definire i criteri metafisici per l’individuazione dei gruppi sociali, i quali

agente intenzionale – restrizione che porterà alcuni profili ad essere di

costituiscono un insieme di cui la collettività rappresenta solo una

secondaria importanza rispetto ad altri. Il primo profilo proposto

porzione. A prescindere da tale specificazione, è interessante notare

dall’autore identifica un gruppo sociale sulla base della sua

come a fronte della varietà di contesti a cui il termine gruppo sociale,

composizione, di come cioè esso sia costituito da membri, come

qui collettività, viene riferito l’autore proponga una prospettiva che

persista nel tempo e come resti identico a se stesso al variare delle

include quattro profili metafisici distinti ma (potenzialmente) tutti

circostanze. In breve, questo criterio riguarda il principio metafisico

47


Quaderni della Ginestra

dell’identità e dell’esistenza, analizzando il gruppo per stadi temporali e

attraverso i mondi, di avere determinate responsabilità e poteri.

cercando elementi costanti anche quando i membri non siano più gli

L’ancoraggio è la conditio sine qua non le proprietà essenziali possono

stessi nel corso del tempo e quando i contesti di azioni cambino rispetto

manifestarsi. Esempi di fondamenti metafisici di quest’ordine sono gli

alla situazione iniziale. Insieme al primo criterio, Epstein introduce un

accordi, attraverso i quali un gruppo viene fondato ufficialmente, o le

secondo profilo incentrato anch’esso sull’analisi delle proprietà

pratiche abituali, che per consuetudine fissano certe strutture del

essenziali. In questo secondo caso, però, a essere ritenute salienti

contesto sociale. Ogni proprietà che non sia basata sull’ancoraggio

sarebbero proprietà che non hanno a che fare con la costituzione

metafisico rientra nel quarto e ultimo profilo delineato dall’autore,

metafisica del gruppo, bensì con le sue abilità, poteri, responsabilità e

ovvero quello delle proprietà accidentali. Tra di esse si annoverano

norme. In altre parole, si potrebbe dire che se il primo profilo indica la

aspetti quali il numero dei partecipanti, la collocazione geografica,

costituzione metafisica del gruppo, il secondo serva a specificare la

l’epoca storica, etc.

struttura normativa dello stesso, definendo quali diritti e doveri siano essenzialmente associati al caso specifico preso in esame. Nonostante

5. L’intenzionalità come fondamento metafisico del gruppo agente

questa differenza, entrambi i criteri fanno riferimento ai tratti essenziali,

Proprietà essenziali, proprietà essenziali ulteriori, ancoraggio e aspetti

e quindi ai fondamenti metafisici, del gruppo sociale. Ma cosa stabilisce

accidentali costituiscono i concetti chiave dei quattro profili metafisici

che una certa proprietà sia una proprietà essenziale? Per evitare il rischio

complementari proposti da Epstein per l’identificazione dei gruppi

dell’arbitrarietà Epstein propone un terzo profilo che sancisca il

sociali. Prendendo le mosse da tale categorizzazione, la collettività,

fondamento metafisico delle proprietà essenziali in quanto fondamenti

come caso specifico di gruppo sociale che ricopra la funzione di agente,

metafisici dell’oggetto, così da rispondere alla domanda su quale sia il

potrebbe dunque essere identificata in base a:

fondamento dei fondamenti. Pertanto, il terzo profilo, detto

1. Proprietà essenziali: struttura organizzativa, distribuzione di ca-

dell’ancoraggio, fissa la ragione metafisica dell’essenzialità di certe

riche, funzioni specifiche delle cariche, procedura decisionale,

proprietà come quella di essere membro, di persistere nel tempo e

numero di membri tra cui n1 costanti e n2 variabili; 48


Filosofia e collettività

2. Proprietà essenziali ulteriori: responsabilità per le azioni compiu-

Pertanto, affermare che la collettività esista come parte del mondo in

te dal gruppo, potere di prendere decisioni stabilite in agenda,

senso oggettivo, dove per oggettivo o reale si intenda riferirsi a

diritto di esprimere e perseguire le proprie intenzioni entro i li-

un’esistenza che è tale indipendentemente dalle attitudini mentali dei

miti degli obiettivi prefissati, doveri verso i membri e verso terzi;

membri, sembrerebbe contraddittorio poiché il fondamento ultimo dei

3. Ancoraggio: accordi o pratiche che hanno inizialmente stabilito

fondamenti metafisici di tale collettività “oggettiva” sono identificabili

la conformazione, gli interessi e i limiti del gruppo agente; 4. Proprietà accidentali: quando e dove si colloca la collettività in questione 13.

in stati mentali soggettivi. Un accordo, una pratica, un patto sono infatti fenomeni che si istanziano sulla base di intenzioni che muovono gli individui alla costruzione di quella specifica realtà sociale, la quale, però, non è in ultima istanza una componente oggettiva del mondo. Il suo

Potremmo aprire una lunga parentesi su ognuno di questi profili ma,

statuto ontologico resta infatti soggettivo, per diventare oggettivo solo

ai fini del presente articolo, l’aspetto più significativo è quello messo in

entro il contesto in cui l’oggetto è stato riconosciuto come tale. Tolti gli

luce dal terzo punto: l’ancoraggio delle proprietà essenziali. Questo

individui, le menti e l’accettazione di cui sono capaci, nessuna collettività

profilo, infatti, afferma che i fondamenti metafisici dell’oggetto

potrebbe esistere, né come dimensione del mentale né come aspetto del

collettività non rappresentano l’ultimo grado di fondazione della realtà

reale. Questa considerazione mostra dunque che i due approcci, quello

di tale elemento, al contrario, il criterio stabilisce che le condizioni di

intenzionalistico e quello realista, più che rappresentare due modelli

possibilità per il sussistere delle proprietà essenziali fondanti l’oggetto

alternativi di interpretare il gruppo, costituiscono due profili

siano a loro volta basate su un fondamento ulteriore, di natura diversa.

complementari. Nessun profilo riesce ad attribuire alla collettività una

Questo aspetto, nel caso della collettività, può essere individuato in

realtà oggettiva, così come nessun profilo potrebbe, di conseguenza,

quegli accordi, pratiche sociali, decisioni e azioni individuali che hanno

permettersi di trattare la collettività come un agente responsabile

portato gli individui a creare un gruppo e a riconoscerlo come un tutto

moralmente o casualmente delle proprie azioni. Al contrario, parrebbe

dotato di una razionalità propria e di un potere d’azione autonomo.

che le intenzioni degli individui restino i veri fondamenti metafisici

49


Quaderni della Ginestra

dell’agency di gruppo, i quali vengono sgravati dal giogo delle sue

metafisici dei gruppi sociali. Se la possibilità di concepire gruppi agenti

conseguenze solo per un modo di parlare o per un’aspirazione

viene fondata su premesse concernenti la psicologia degli individui, la

collettivista e realista, che non riesce a scalfire in modo deciso la forza

risposta alla domanda “quale collettività?” non potrà che riferirsi alla

teorica dell’individualismo metodologico e ontologico14.

sola dimensione del mentale.

6. Conclusione

GIULIA LASAGNI

Queste pagine hanno introdotto il tema della collettività in Ontologia sociale, mostrando come questo ramo della filosofia contemporanea si rapporti alla nozione, fornendo utili chiarificazioni concettuali e strumenti d’indagine applicabili anche ad altre aree di ricerca. In particolare, sono stati presentati due modelli alternativi per interpretare la collettività: il primo (internalista) è legato alla psicologia degli individui, mentre il secondo (esternalista) studia la realtà sociale e le sue componenti. Senza negare l’importanza che questo dibattito può avere nello studio della collettività e nella valorizzazione delle sue diverse dimensioni, l’articolo ha assunto una posizione critica rispetto all’effettiva separazione dei due approcci, sostenendo, invece, che le proposte esternaliste dell’agency di gruppo siano fondate sullo studio della psicologia individuale e sulle attitudini mentali ascrivibili ai membri della collettività. Un argomento utile a mostrare la riducibilità dei due approcci è stato tratto da Epstein e dalla sua indagine sui fondamenti

La scelta delle categorie si ispira a quella proposta da A. Laitinen e H. Ikäheimo in Recognition and Social Ontology, in H. Ikäheimo, A. Laitinen, a cura di, Recognition and Social Ontology, Brill, Laiden 2011, pp.1-21. 2 T. Crane, Aspects of Psychologism, Harvard University Press, Cambridge (MA) 2014. 3 Le posizioni riduzioniste di tipo minimalista negano tanto l’esistenza (ontologica oggettiva) di gruppi capaci di agency quanto la presenza, nel caso di azioni collettive, di stati mentali particolari e genuinamente collettivi. Per saperne di più sulle teorie minimaliste dell’azione condivisa si veda C. Kutz, Acting Together, “Philosophy and Phenomenological Research”, 61, 1, 2000, pp. 1-31. 4 D.P. Tollefsen, Collective intentionality and the social sciences, “Philosophy and the Social Sciences”, 32, 1, 2002, pp. 25-50. 5 Il maggior esponente della tesi di continuità tra la forma delle intenzioni individuali e collettive è Michael Bratman. Tra i suoi tanti scritti sul tema, si suggerisce la monografia più recente: M. Bratman, Shared Agency: A Planning Theory of Acting Together, Oxford University Press, New York 2014. 6 Per approfondire il dibattito sull’intenzionalità collettiva si consiglia J.R. Searle, Collective intentions and actions, in P.R. Cohen, J. Morgan, M.E. Pollack, a cura di, Intentions in communication, MIT Press, Cambridge (MA) 1990, pp. 401-415, e R. Tuomela, The We-Mode and the I-Mode, in F.F. Schmitt, a cura di, Socializing Metaphysics. The Nature of Social Reality, Rowman & Littlefield, Larzham-Boulder-New York-Oxford 2003, pp. 93-127. 7 M. Gilbert, Shared intention and personal intentions, “Philos Stud”, 144, 2009, pp.167-187. 8 Una delle teorie maggiormente articolate in riferimento ai gruppi agenti si trova in C. List, P. Pettit, Group Agency: The Possibility, Design, and Status of Corporate Agents, Oxford University Press, Oxford 2011. Interessante a tal proposito è anche un recente articolo 1

50


Filosofia e collettività

di Bratman: M. Bratman, The Intentions of a Group, in E. Orts, C. Smith, a cura di, The Moral Responsibility of the Firm Revisited, Oxford University Press, Oxford 2017, pp. 3652. 9 R. Tuomela, Collective Intentionality and Group Reasons, in H.B. Schmid, K. SchulteOstermann, N. Psarros, a cura di, Concepts of Sharedness. Essays on Collective Intentionality, Ontos, Heusenstamm 2008, pp. 3-20. 10 Sull’ontologia dei gruppi si suggeriscono i seguenti saggi: K. Ritchie, What are groups?, “Philos Stud”, 166, 2013, pp. 257-272; A. Thomasson, Foundations for a Social Ontology, “Protosociology: an international journal of interdisciplinary researches”, 18-19, 2002, pp. 269-290; K. Ludwig, , The ontology of collective action, in S. Chant, F. Hindriks, G. Preyer, a cura di, From Individual to Collective Intentionality: New Essays, Oxford 2014, Oxford University Press, pp. 112-133. 11 B. Epstein, What are social groups? Their metaphysics and how to classify them, “Synthese”, 2017, pp. 1-49. 12 K. Ritchie, The Metaphysics of Social Groups, “Philosophy Compass”, 10, 5, 2015, pp. 310-321. 13 Per ognuno dei criteri si potrebbero elencare svariate caratteristiche ma ciò che è importante notare è che quando si sposa la teoria che concepisce la collettività come parte oggettiva del mondo esterno, questi quattro aspetti devono essere tutti tenuti in considerazione. 14 Il dibattito su individualismo/olismo metodologico e ontologico è presentato in modo chiaro in J. Zahle, F. Collin, a cura di, Rethinking the Individualism-Holism Debate. Essays in the Philosophy of Social Science, Springer, Cham 2014. Argomenti che mostrano la riducibilità ontological e metodologica delle teorie sulla group agency sono sostenuti in K. Ludwig, Foundations of Social Reality in Collective Intentional Behavior, in S.L. Tsohatzidis, a cura di, Intentional Acts and Institutional Facts, Dordrecht 2007, Springer, pp. 49-71.

51


Quaderni della Ginestra

REALTÀ DELLA PERSONA COLLETTIVA. UNA PROPOSTA CONCETTUALE

(i) prima tesi (negativa, che risponde alla domanda: Che cosa non è una persona collettiva?): una persona collettiva non è un’entità fittizia;

«Al limite delle parole accade il mondo»

(ii) seconda tesi (positiva, che risponde alla domanda: Che cos’è una

Carlo Sini (1933)1

persona collettiva?): una persona collettiva è un’essenza vivente [ein lebendes Wesen] ed è qualcosa di operante [ein wirkendes

Introduzione

I

Etwas].

l tema del presente contributo è lo statuto ontologico della persona collettiva, il quale ha acquisito grande rilevanza nel dibattito

La seconda parte prenderà le mosse dalla tesi positiva di Gierke, al

contemporaneo, in particolar modo nell’ambito dell’ontologia sociale

fine di avanzare un’ipotesi concettuale sull’ontologia della persona

analitica2. Tuttavia, un’analisi sistematica dello statuto ontologico delle

collettiva: una persona collettiva ha un particolare statuto che si predica

persone collettive trova la sua primissima espressione nello studio di un

in termini di effettualità [Wirklichkeit]. Questa ipotesi concettuale, che

giurista e storico del diritto, Otto Friedrich von Gierke (Stettino, 1841 –

non potrà prescindere da un’analisi di alcuni significati della parola

Berlino, 1921), pioniere di un’indagine storico-filosofica sulle “unioni

‘realtà’, mira a essere un primo e necessario livello d’indagine verso un

umane” [menschliche Verbände] (“persone collettive” [Gesamtpersonen],

esame più ampio dello statuto ontologico della persona collettiva.

“comunità organizzate” [organisierte Gemeinschaften]), argomento al quale egli dedica una breve ma brillante prolusione, intitolata La natura delle

1. Il contributo di Otto Friedrich von Gierke alla teoria della persona collettiva

unioni umane, presso la Königliche Friedrich-Wilhelms Universität di Berlino 3.

Otto Friedrich von Gierke è noto principalmente per aver

Il presente contributo sarà diviso in due parti. La prima parte

concettualizzato e classificato le unioni umane, prendendo le mosse

presenterà due tesi di Gierke sullo statuto ontologico della persona

dallo studio sull’evoluzione delle antiche comunità germaniche

collettiva:

[germanische Genossenschaften], fino a costruire una teoria delle persone

52


Filosofia e collettività

collettive [Gesamtpersonen] entro la sfera (non del diritto privato, bensì)

delle comunità organizzate, nella misura in cui le riconosce pienamente

del diritto pubblico4. La “teoria della persona collettiva reale”5 di Gierke

come tali, come entità unitarie a cui attribuisce personalità

si basa anzitutto sull’osservazione del fenomeno della collettività6.

[Persönlichkeit]».9 Attraverso l’analisi del fenomeno della personalità collettiva, Gierke

«[V]ediamo un reggimento marciare [wir sehen ein Regiment marschieren] a

giunge a due tesi fondamentali. Partendo da una critica alla teoria della

suon di musica, osserviamo gli elettori [wir erblicken Wähler] deporre la scheda

finzione [Fiktionstheorie], l’autore propone una prima tesi riguardante

nell’urna […] e ci accorgiamo subito [wir wissen sofort] che, in queste e in cento

cosa una persona collettiva non è. Una persona collettiva, secondo

altre percezioni sensoriali [Sinneseindrücken], si tratta di processi [Vorgänge] che

Gierke, non è un’entità fittizia. Un secondo aspetto del fenomeno della

attengono alla vita statale»7.

personalità collettiva evidenzia, invece, lo statuto ontologico proprio

All’osservazione del fenomeno della collettività che, secondo Gierke,

delle persone collettive. Pertanto, nella pars construens della sua

è un fenomeno non ancora giuridico, subentra il riconoscimento del

prolusione, Gierke afferma la seconda tesi: le persone collettive,

diritto positivo, il quale non fa altro che riconoscergli e dargli

«anziché ombre spettrali, […] sono essenze vive».10

espressione adeguata. In particolare, il diritto positivo riconosce e qualifica un’unità [Einheit] consistente di una pluralità [Vielheit] di esseri umani come persona collettiva, in quanto portatrice di diritti e doveri 8

1.1. Persona collettiva ed entità fittizie La prima tesi di Gierke ha origine da una critica nei confronti della

(essere delle persone in senso giuridico) . Il fenomeno, dunque, non è

teoria della finzione, che mette in luce uno statuto ontologico non reale

semplicemente quello della collettività, che non è ancora soggetto di

della persona collettiva. Tale critica si rivolge alla tesi secondo la quale

diritto, bensì – e piuttosto – è il fenomeno della personalità collettiva

una persona collettiva non è altro che un’entità fittizia o artificiale. Per

[Gesamtpersönlichkeit]. Esso è tipico di particolari entità, le entità collettive

‘entità artificiale’ s’intende un’entità anzitutto creata dal diritto e, in

personificate, i.e., le persone collettive, le “comunità organizzate”

secondo luogo, non concreta (i.e., non fisica, non soggetta a

[organisierte Gemeinschaften]. Gierke scrive che il diritto positivo «tratta

determinazione spazio-temporale). Scrive Gierke:

53


Quaderni della Ginestra

«[L]a teoria della finzione considera il nuovo soggetto di diritto come un

[Persönlichkeitsträger]»13, sia perché è un’entità spazio-temporalmente

individuo artificiale [künstliches Individuum], il quale, simile a un qualsiasi “terzo”

determinata, sia perché solamente l’uomo singolo ha libera capacità di

[beliebiges Drittes], si pone accanto, da una posizione di perfetto isolamento, agli

volere e di agire.

altri individui fra loro collegati; un soggetto che, però […] conduce un’esistenza da ombra [ein schattenhaftes Dasein] e […] solo grazie alla rappresentanza “tutoria” cui provvedono le persone fisiche ottiene in prestito una capacità d’azione. D’altra parte, la finzione […] deve soltanto significare che un qualcosa di non personificato viene considerato come se fosse una persona [als sei es Person]. Oppure solo che, nel diritto, una pluralità [Vielheit]

1.2. Persona collettiva ed entità reali Come messo in luce precedentemente, l’indagine di Gierke sulle unioni umane si basa sull’osservazione del fenomeno della personalità collettiva. Scrive Gierke:

può valere come unità [Einheit]».11 «È anzitutto l’esperienza esterna [äussere Erfahrung] che ci spinge verso la

I sostenitori della teoria della finizione concordano nell’affermare che «la personalità viene conferita alle unioni solo attraverso un artificio giuridico [juristisches Kunststück], in virtù del quale, per il diritto, esse

supposizione di unità operanti [wirkende Verbandseinheiten]. L’osservazione dei processi sociali […] ma soprattutto l’approfondimento della storia umana, ci mostra che i popoli e le altre comunità mettono in forma, attraverso l’agire, il mondo dei rapporti di forza e creano la cultura materiale e spirituale».14

ottengono una qualificazione che nella realtà [in Wirklichkeit] non possiedono»12. La teoria della finzione fonda la sua tesi sull’idea che la

L’osservazione del fenomeno sembra permettere a Gierke di

realtà sia ciò che è percepibile attraverso i sensi. Di conseguenza,

affermare non solo che una persona collettiva non è un’entità fittizia,

secondo tale criterio, essa non può far altro che negare la realtà delle

bensì anche che essa è un’entità reale. In altri termini, l’attenzione a ciò

persone collettive, giacché la realtà (i.e., ciò che è spazio-temporalmente

che si manifesta porta a confutare la tesi della teoria della finzione per

determinato o percepibile attraverso i sensi) mostra solo i singoli

avanzare una tesi diametralmente opposta, secondo la quale la persona

individui, ai quali è facilmente ascrivibile la personalità. L’idea è che

collettiva è un’essenza vivente [ein lebendes Wesen] ed è qualcosa di

solamente

operante [ein wirkendes Etwas]. A questa seconda tesi Gierke giunge

l’individuo

può

essere

«portatore

di

personalità

54


Filosofia e collettività

attraverso una riflessione implicita sul concetto di realtà, che egli

una maggiore chiarezza concettuale, si possono individuare tre diverse

contrappone al concetto di realtà impiegato dalla teoria della finzione, il

accezioni di realtà16:

cui esito può essere sintetizzato come segue: la realtà empirica non esaurisce la realtà.

(i) esistenza spazio-temporale, (ii) esistenza temporale,

2. Lo statuto ontologico della persona collettiva

(iii) effettualità.

Le due tesi di Gierke mettono in luce due prospettive contrastanti: da un lato, una prospettiva che nega la realtà di una persona collettiva,

La prima accezione di ‘realtà’ è esistenza spazio-temporale, che

dall’altro, una prospettiva che la afferma. A me pare che questa

coincide tipicamente con ciò che è sensorialmente percepibile e che

contrapposizione si fondi essenzialmente sullo statuto di realtà che si

appartiene principalmente al regno del senso comune. In questo senso,

voglia attribuire a una persona collettiva. Propongo dunque una lista di

sono reali quelle entità che hanno una dimensione spazio-

significati della parola ‘realtà’ che, lungi dall’essere una lista esauriente,

temporalmente determinata e che vengono chiamate indifferentemente

permetta almeno di introdurre il problema dello statuto ontologico della

‘concrete’, ‘materiali’, ‘fisiche’. Di esse noi predichiamo uno statuto di

persona collettiva. Proverò a esaminare brevemente tre accezioni di

realtà che dipende dall’esperienza quotidiana: a livello del linguaggio

‘realtà’ per cercare di individuare quale, tra queste, possa permetterci di

comune, noi diciamo che queste entità, semplicemente, esistono.

predicare la realtà dell’entità in questione.

Tuttavia, il concetto di esistenza spazio-temporale non esaurisce il concetto di realtà. Nella tradizione filosofica, soprattutto in ontologia e

2.1. Un problema concettuale: “La realtà si dice molteplicemente”15

in metafisica, viene indagato lo statuto ontologico di entità incorporali o

Non è possibile comprendere il significato dell’espressione “realtà

immateriali, come le entità ideali (ad esempio: i numeri e le relazioni tra i

della persona collettiva”, che emerge dalla prolusione di Gierke, senza

numeri), i personaggi della letteratura, gli oggetti falsi17, le entità sociali

prima chiarire il significato stesso della parola ‘realtà’. Al fine di ottenere

(ad esempio: le banconote, i confini18), le entità giuridiche (ad esempio:

55


Quaderni della Ginestra

la pretesa, l’obbligazione19). Delle entità giuridiche, in particolare, è

Weinberger attribuisce la realtà (temporale) alla norma giuridica [Norm],

celebre l’esemplificazione fornita da Gaio nelle sue Institutiones. Gaio

che è un’entità noetica. Scrive Weinberger:

costruisce l’efficace dicotomia tra res corporales e res incorporales: le prime sono le cose corporali, cioè le cose che possono essere toccate [res

«Dobbiamo distinguere l’essere materialmente-reale [materiellreales Sein] dalla

corporales, quae tangi possunt], le seconde sono le cose incorporali, che non

realtà idealmente-essente [ideell-seiende Realität]. Definiamo come “reale” [real]

possono essere toccate [res incorporales, quae tangi non possunt]20. In

tutto ciò che ha un’esistenza [Dasein] nel tempo […] Se si tratta di un essere

generale, diversi tipi di entità incorporali o immateriali condividono

materiale, la conoscenza poggerà in un’ultima analisi sull’esperienza dei sensi;

almeno una caratteristica: esse sono entità non concrete (non fisiche,

se si tratta di entità ideali, il loro essere reale apparirà fondato sul legame con la

non materiali), esse non esistono al modo degli oggetti fisici (che sono

sfera della realtà materiale, dall’altro lato condizionato dagli elementi che

reali nel senso di ‘spazio-temporalmente determinati’), in quanto entità

permettono di comprendere l’entità ideale come componente dell’accadere

di cui non è possibile individuare lo statuto di spazialità (proprietà

reale, come qualcosa che esiste nel tempo»23

necessaria, ma non sufficiente, delle entità concrete). Di queste entità possiamo predicare almeno un’esistenza temporale o un’effettualità.21 La seconda accezione di ‘realtà’ è esistenza temporale. Abbracciano

La terza accezione di ‘realtà’ è quella che rientra nel campo semantico del verbo latino efficere, ossia ‘provocare effetti’, ‘operare’. A

questo significato di realtà due filosofi del diritto (Adolf Reinach e Ota

questo

campo

semantico

appartengono

almeno

tre

sinonimi:

Weinberger), interessati allo studio dello statuto ontologico delle entità

effettualità, efficacia ed effettività24. In lingua tedesca, la parola più

giuridiche. In particolare, il fenomenologo Adolf Reinach attribuisce

aderente al significato del latino efficere è il verbo ‘wirken’ (‘operare’), da

uno statuto di realtà (temporale) alla pretesa [Anspruch], alla promessa

cui deriva il sostantivo Wirklichkeit (originariamente ‘Wercelicheit’),

[Versprechen] e all’obbligazione [Verbindlichkeit], che «nascono, sussistono

coniato da Johannes Eckhart (Tambach-Dietharz, 1260 – Avignone,

per un certo tempo e, infine, si estinguono» e che sembrano «essere

1328) a partire dalla parola latina ‘actualitas’, usata da Tommaso

oggetti temporali [zeitliche Gegenstände] di tipo molto particolare»22. Ota

d’Aquino25. Secondo alcuni autori, che citerò a breve, la Wirklichkeit

56


Filosofia e collettività

(realtà effettiva) è la realtà che si predica di entità eterogenee, ad

significato attribuito alla parola ‘realtà’ che si fondano le tesi circa lo

esempio delle entità logiche (di proposizioni)26, delle entità noetiche e

statuto ontologico della persona collettiva. L’ipotesi che propongo in

delle entità giuridiche, in particolare le entità giuridiche personificate.

questo breve contributo è quella di considerate la realtà della persona

Per ciò che concerne le seconde (entità noetiche), ad esempio, è celebre

collettiva come effettualità [Wirklichkeit].

il contributo di Gottlob Frege che, com’è noto, individua e concettualizza tre regni: (i) il regno degli oggetti materiali, (ii) il regno

2.2. Realtà della persona collettiva come effettualità

delle rappresentazioni [Vorstellungen], i.e., dei processi psicologici e (iii) il

Il breve esame delle tre accezioni di ‘realtà’ è funzionale a un’indagine

regno dei pensieri [Reich der Gedanken], il cosiddetto “terzo regno [drittes

più ampia dello statuto ontologico della persona collettiva. In

Reich]”:

particolare, una prospettiva che voglia affermare la realtà di una persona collettiva potrebbe intendere la realtà nel senso di effettualità. Una

«I pensieri non sono perciò non reali [unwirklich], ma la loro realtà

persona collettiva sarebbe dunque reale [wirklich] nel senso che essa è

[Wirklichkeit] è di tipo diverso rispetto a quella delle cose [Dinge]. I loro effetti

un’entità produttiva, un’entità che produce effetti attraverso l’agire.

[Wirken] sono provocati da un atto di chi pensa [Tun der Denkenden] senza il

L’idea che vi siano entità che producono effetti non è nuova nella

quale sarebbero inefficaci [wirkungslos]»27

letteratura filosofico-giuridica: si pensi ad Adolf Reinach quando parla dei wirksame Akte, atti sociali [soziale Akte] che provocano un

Per ciò che concerne le entità giuridiche personificate, Gierke usa il termine ‘Wirklichkeit’ per qualificare la realtà delle associazioni umane. In questo contesto, in cui il termine ‘realtà’ risulta essere polisemico, anche

sulla

realtà

della

persona

collettiva

persona collettiva è un’entità immateriale e al contempo reale, nel senso di produttiva, effettuale (i.e., che produce effetti).

diventa

La tesi della realtà di una persona collettiva come effettualità riconosce

estremamente problematica, nonché interessante. Il breve esame

che una persona collettiva è un’entità. Tuttavia, ciò che qui si asserisce

semantico di ‘realtà’ ha evidenziato, infatti, che è sulla base del

esistere è determinato non facendo riferimento alle variabili di

57

l’indagine

cambiamento nel mondo [in der Welt eine Veränderung bewirken]. Una


Quaderni della Ginestra

quantificazione della medesima teoria, se formalizzata (à la Quine),

non concreta, non materiale) non inerte, bensì operante, che «incide

bensì prendendo le mosse da presupposizioni metafisiche. Chiedersi, ad

autonomamente nel mondo esterno»28, in quanto le sue azioni, regolate

esempio, se una persona collettiva sia reale significa chiedersi se una

dal diritto, provocano degli effetti.

persona collettiva esista, i.e. se sia un’entità. Evidentemente, ponendo

Certamente, tale proposta filosofico-concettuale non è sufficiente a

questa domanda, si sta già presupponendo che non vi sia alcun errore

chiarire quale sia lo statuto ontologico della persona collettiva. Tra gli

categoriale laddove si enunci che una persona collettiva è un’entità ed è

aspetti che necessitano di essere ulteriormente studiati si potrebbe

(quindi) reale. Chiedersi, poi, se sia possibile riferire il predicato ‘reale’ a

elencare, ad esempio, il problema del tipo di effetti (fattuali, normativi?)

una persona collettiva significa mettere in luce l’esigenza di chiarire qual

di cui si parla, quando si parla degli effetti provocati da una persona

è il significato stesso del predicato ‘reale’ ad essa riferito. Evidentemente,

collettiva; o, ancora, il problema del substrato (ciò che, letteralmente,

in questo caso si sta già presupponendo che non vi sia un’unica

‘giace sotto a’) di un’entità come la persona collettiva: riprendendo le

accezione di ‘realtà’.

parole di Gierke, a tal proposito, il diritto riconosce “qualcosa” del

Affermare che una persona collettiva è un’entità non significa affermare che una persona collettiva è qualcosa di

mondo esterno a cui dà espressione adeguata. Quest’ultimo potrà forse

spazio-

esser messo in luce anche grazie allo stretto legame che esso ha con la

temporalmente determinato: spesso, infatti, si presuppone erroneamente

questione della realtà della persona collettiva e che trova interessanti

che le domande circa lo statuto ontologico (Che cos’è X?, È reale X?),

contributi filosofici sia nell’ambito della filosofia del diritto, che

implichino, per loro stessa formulazione, una definizione reale dei

nell’ambito dell’ontologia sociale 29.

termini, in questo caso del sintagma ‘persona collettiva’. Al contrario, la tesi della realtà della persona collettiva come effettualità non implica

ELISA CACOPARDI

alcun riconoscimento di un’entità concreta; non implica, insomma, nessun assunto teoretico che ammetta la reificazione di una persona collettiva. Piuttosto, una persona collettiva è un’entità immateriale (ossia

Ringrazio in modo particolare gli organizzatori della Giornata di studi su Filosofia e collettività. Prospettive a confronto, tenutasi il 15 novembre 2017 presso l’Università di Parma, Valeria Bizzari, Giulia Lasagni e Timothy Tambassi, e tutti i colleghi che vi

58


Filosofia e collettività

hanno partecipato, per aver contribuito, attraverso preziosi consigli e critiche, a migliorare questo lavoro. 1 C. Sini, L’al di là del linguaggio, “Nóema”, 2, 2011, pp. 1-5. 2 Per citare solo alcuni filosofi contemporanei: Margaret Gilbert, Raimo Tuomela, Brian Epstein, Christian List e Philip Pettit. 3 Il testo originale della prolusione di Gierke è intitolato Das Wesen der menschlichen Verbände. Rede bei Antritt des Rektorats gehalten in der Aula der Königlichen Friedrich-Wilhelms Universität am 15. Oktober 1902 ed edito da Buchdruckerei von Gustav Schade (Berlino). 4 Di Gierke si ricorda soprattutto la sua opera monumentale, in quattro volumi, intitolata Das deutsche Genossenschaftsrecht (1868-1913). 5 È così che il giurista Francesco Ferrara, nella sua opera intitolata Teoria delle persone giuridiche, chiama la teoria di Gierke. La teoria di Gierke è considerata il paradigma della cosiddetta teoria organica [organische Theorie]. Tuttavia, non v’è una sola teoria organica. Piuttosto, le teorie organiche delle entità collettive personificate prendono le mosse da assunti comuni, che però non ne esauriscono l’intero impianto teorico. Tali assunti comuni, oltre alla critica alla teoria della finizione, sono i seguenti: «1) Il concetto di persona non coincide con quello di uomo, ma con quello di soggetto di diritto, perciò non è escluso che vi siano dei soggetti di diritto che non siano uomini; 2) Bisogna allargare il concetto di soggetto alla sfera del diritto privato patrimoniale ai rapporti di diritto pubblico; 3) Tutte le persone giuridiche, pubbliche o private, sono delle realtà» (Cfr. F. Ferrara, Teoria delle persone giuridiche, UTET, Torino 1923, p. 181). Se, da un lato, tali assunti sembrano essere accettati da Gierke, dall’altro lato, l’autore sottolinea “gli eccessi” della teoria organica più esemplificativa. In particolare, uno di questi consiste nel porre un’identità tra organismo biologico e organismo sociale, il quale rappresenta un errore poiché la metafora [Bildlichkeit] tra organismo vivente e organismo sociale non dev’essere usata come mezzo per dedurre l’essenza dell’organismo sociale, né essa deve avere alcun carattere ornamentale nell’economia del discorso scientifico. La metafora, secondo Gierke, ha piuttosto un carattere conoscitivo: essa può alludere [verdeutlichen], ma non può spiegare [erklären]. Per un approfondimento sullo statuto della metafora in Gierke, si veda O. F. Gierke, La natura delle unioni umane, in G. Zagrebelsky, a cura di, Società, Stato, Costituzione: lezioni di dottrina dello Stato degli anni accademici 1986-1987 e 1987-1988. Con in appendice un testo di Otto v. Gierke, La natura delle unioni umane, Giappichelli, Torino 1988, pp. 164-165. 6 La parola ‘fenomeno’ è qui intesa nel suo significato etimologico: dal greco antico

59

‘φαινόμενον’, “ciò che appare, ciò che si manifesta”. 7 O. F. Gierke, La natura delle unioni umane, in G. Zagrebelsky, a cura di, Società, Stato, Costituzione: lezioni di dottrina dello Stato degli anni accademici 1986-1987 e 1987-1988. Con in appendice un testo di Otto v. Gierke, La natura delle unioni umane, Giappichelli, Torino 1988, p. 168 (corsivi aggiunti). 8 È importante sottolineare che la categoria delle persone collettive non esaurisce la categoria delle entità dotate di personalità in senso giuridico. Vi sono infatti entità personificate non collettive: oltre alla persona fisica, vi sono la società unipersonale (che consiste di un solo socio) e la fondazione, ossia una collezione (non di individui, bensì) di beni. La società unipersonale, la fondazione e la persona collettiva, alla luce della prospettiva di Gierke, rientrano tutte sotto il genus ‘persona’ e, in particolare, sotto la species ‘persona giuridica’. 9 O. F. Gierke, La natura delle unioni umane, cit., p. 158. 10 Ivi, p. 162. 11 Ivi, p. 159. 12 Ibidem. 13 Ivi, p. 158. 14 Ibidem, pp. 170-171. 15 Devo questa espressione alla notissima tesi di Aristotele (cfr. Met. Γ 1003a 33, p. 262; Met. Ε 1026a 34-35, p. 346): «L’essere si dice molteplicemente» [πολλαχῶς λέγεται τὸ ὄν]. 16 Queste tre accezioni di realtà si trovano in differenti contributi di diversi autorevoli filosofi. Ne risulta un’eterogeneità delle entità indagate (infatti, si parlerà indifferentemente di “entità giuridiche”, “entità noetiche”, ecc.) a cui si attribuisce uno statuto reale. Le accezioni di ‘realtà’ qui presentate sono solo esemplificative, ma al contempo possono essere illuminanti per giustificare la polisemia della parola ‘realtà’. 17 Cfr. A. G. Conte, Oggetti falsi. Per una ontologia del falso, in P. Di Lucia, a cura di, Ontologia sociale. Potere deontico e regole costitutive, Quodlibet, Macerata 2003, pp. 197-216. 18 Cfr. J. R. Searle, Creare il mondo sociale. La struttura della civiltà umana, Cortina, Milano 2010. 19 Cfr. A. Reinach, I fondamenti a priori del diritto civile, Giuffrè, Milano 1990. 20 Gaio, Instutiones, 2, 2. 21 Un’altra importante accezione è quella di sussistenza, che ha origine antica: essa è indagata per la prima volta dalla filosofia stoica, che ha costruito la dicotomia ‘esistenza [hyparchein] vs. sussistenza [hyphistasthai]’. Tale dicotomia è poi ripresa dal


Quaderni della Ginestra

filosofo Alexius Meinong, secondo cui l’essere consiste di due grandi regni: il regno dell’esistenza [Existenz] e il regno della sussistenza [Bestand]. Cfr. A. Meinong, Über Gegenstandstheorie. Selbstdarstellung, Meiner, Hamburg 1904. 22 A. Reinach, I fondamenti a priori del diritto civile, p. 12. 23 O. Weinberger, La norma come idea e come realtà, in D. N. MacCormick e O. Weinberger, a cura di, Il diritto come istituzione, Giuffrè, Milano 1970. È bene ricordare anche il contributo di Samuel von Pufendorf (Dorfchemnitz, 1632 – Berlino, 1694) che, nel primo libro dell’opera De iure naturae et gentium (1672), indaga le categorie dello spazio e del tempo in riferimento ai cosiddetti enti morali [entia moralia], attraverso un’analogia [per analogiam] con gli enti fisici [entia physica]. Particolarmente interessante è la sua indagine di un tipo di ente morale: la persona morale [persona moralis]. 24 Altri sinonimi di effettualità sono operanza, un neologismo di Paolo Di Lucia, o poíesis [ποίησις], di chiara matrice aristotelica, che evoca una capacità produttiva. Cfr. P. Di Lucia, Efficacia senza adempimento, “Sociologia del diritto”, 29, 2002, pp. 73-103; Id. Agire in-funzione-di-norme, in L. Passerini Glazel, a cura di, Ricerche di filosofia del diritto, Giappichelli, Torino 2007, pp. 164-178. 25 Per disambiguare i termini tedeschi ‘Wirklichkeit’ e ‘Realität’, cfr. R. Pettoello, N. Moro, Dizionarietto di tedesco per filosofi, La Scuola, Brescia 2014. Da notare un’altra coppia concettuale messa in luce dal fenomenologo Edmund Husserl: ‘real’ e ‘reell’. Nelle Logische Untersuchungen (1901), Husserl usa l’aggettivo ‘real’ per indicare la realtà empirica e usa l’aggettivo ‘reell’ per indicare, come scrive Giovanni Piana «ciò che è dato effettivamente nel vissuto, quindi sia i suoi elementi costitutivi, sia tutte le datità fenomenologiche in quanto risultato della neutralizzazione di ogni posizione esistenziale», ossia in quanto risultato del metodo fenomenologico di «andare alle cose stesse» [zu den Sachen selbst], della ricerca del puro dato (i.e., dell’essenza). Nelle Ricerche logiche, ‘real’ è opposto sia (i) ‘ideal’, che a (ii) ‘imaginär’. 26 Secondo il logico e filosofo Hermann Lotze, ad esempio, una «forma di realtà» [Wirklichkeit] è quella delle proposizioni [Sätze], reali nel senso che esse sono valide. Cfr. G. Gabriel, La “Logica” di Hermann Lotze e la nozione di validità, “Rivista di filosofia”, LXXXI, 3, 1990, pp. 457-468. 27 G. Frege, Der Gedanke. Eine logische Untersuchung. Beiträge zur Philosophie des deutschen Idealismus 2 (1918-1919), “Mind. A Quarterly Review of Psychology and Philosophy”, LXV, 259, 1956), pp. 289-311, p. 311. Un’interessante proposta di Rafael Ferber è quella di considerare la realtà di alcune entità come esistenza semantica, alla luce della concettualizzazione del terzo regno fregeano: Ferber sostiene che tutte le entità di cui

non è possibile predicare uno statuto ontologico spazio-temporale potrebbero essere entità semantiche, i.e., entità che esistono non nel mondo fisico, bensì «linguisticamente nel modo in cui esistono i significati delle parole». Cfr. R. Ferber, Concetti fondamentali della filosofia. Volume I. Einaudi, Torino 2009, pp. 98-135. 28 O. F. Gierke, La natura delle unioni umane, cit., p. 27. 29 Mi riferisco, ad esempio, a Francesco Ferrara e a Riccardo Orestano per i contributi della filosofia del diritto, che fanno riferimento al substrato delle persone collettive. In particolare, Ferrara spiega che l’esistenza di un substrato è una delle condizioni necessarie alla formazione degli enti dotati di personalità e che il substrato di tali enti può avere sia un’origine spontanea, sia un’origine artificiale. Per quanto riguarda l’ontologia sociale, mi riferisco al contributo di Barry Smith e John R. Searle: vi sono, secondo Smith, entità sociali prive di substrato materiale, ad esempio, una corporation (teoria dei freestanding Y terms). Cfr. B. Smith, J. R. Searle, The Construction of Social Reality: An Exchange, “The American Journal of Economics and Sociology”, 62, 1, 2003, pp. 285-309.

60


Filosofia e collettività

A (NAIVE) VIEW OF CONSPIRACY AS COLLECTIVE ACTION

we typically assess on their evidential merits, in common parlance it is said that conspiracy theories are the kind of thing right-thinking people

W

hether or not you think we live in some “Golden Age” of con-

should dismiss or pay no attention to3. Conspiracy theories are routinely

spiracy theory or conspiracy theorising, talk of conspiracy the-

dismissed as vapid or unwarranted, in part because conspiracy

ory and conspiracy theory theory (the academic study of these things

theorising is said to ignore the complexity of modern economics or

called “conspiracy theories”) seems timely. From talk of fake news and

politics. That is, one of the things which is said to be wrong about

the White House to misinformation being deliberately spread about the

conspiracy theories is that conspiracy theorists mistake the unintended

U.K.’s exit from the European Union, talk of conspiracy infuses a lot of

consequences of economic or political activity as evidence of some

contemporary political discourse.

sinister plot.

Conspiracy theories are a form of explanation, where the conspiracy

Yet we know conspiracies occur (from the death of Roman dictators

theorist seeks to explain the occurrence of some event with reference to

through Elizabethan intrigues to examples like Watergate) and that

some conspiracy. This is, at least, the general and widely-accepted

some—possibly many—conspiracy theories have turned out to be

definition found in the philosophical literature1. Part-and-parcel of

warranted (the Moscow Show Trials; the Gulf of Tonkin event;

some theory being conspiratorial is that the event we want to explain is

Watergate, once again). Maybe it is true that sometimes we see

the product (in some sense2) of a group of agents working together in

conspiracies in perfectly normal—albeit strange-looking—economic or

secret. That is, conspiracies are the result of agents working together

political activity, but sometimes we see conspiracies because we have

with some shared purpose; for a group of agents working in secret to

grounds to believe people are conspiring.

be considered part of a conspiracy we need to attribute to them some collective intention to achieve their chosen ends.

Indeed, conspiracy theories might even be one of the most interesting kinds of collective, intentional activity. After all, to conspire

Conspiracy theories have a bad reputation though, when we think of

requires keeping some information about what you intend to do secret

them as theories. Unlike scientific theories or historical theories, which

from certain eyes. Sometimes such secrets are hard to crack;

61


Quaderni della Ginestra

conspirators might keep what they are doing secret from everyone, or

and the Assembly rather than rule of dictate.

manage to ensure that whatever they are doing cannot be linked back to

Now, the intention of the conspirators is doing a lot of work here in

them. In some cases, however, working out what the conspirators

this story. Yet given that conspiratorial activity is a form of secretive

intended can be as easy as looking at the public record (if, for example,

activity we should ask how we might justify talk of knowing the

the conspirators come clean—as the assassins of Caesar did—or the

intentions of what are secretive agents, to wit the conspirators? Especially

conspirators are caught—as happens with the prosecution of criminal

given that if you are not part of the conspiracy, how could you claim to

conspiracies in the courts).

know something about what the conspirators intend?

Now, I do not pretend in this paper to present a particularly novel thesis

Sometimes we know what the conspirators intended just because

of either intentionality or collective action. Rather, I am interested in

they tell us. For example, when it comes to the death of Julius Caesar

teasing out some of the interesting aspects of conspiratorial activity in

we have evidence as to what the conspirators intended because they told

order to make scholars of intentionality and collective action interested

us. If we trust the letters and like of the conspirators to be accurate4, it

in the burgeoning field of the Philosophy of Conspiracy Theories.

is not hard to make claims about what they intended. After the

What follows is, as the title of this paper happily attests to, a naive

assassination of Caesar the conspirators very publicly revealed

account, one I hope can be built upon in future work.

themselves and explained why they intended to kill the dictator; they only kept their intentions secret up until the point of the murder itself.

1. Intentions and cospirators

As such, whilst secrecy was necessary to achieve their intended end, it

Let us start with an example. In 44BCE a plot was hatched by a

was not necessary to keep the secret afterwards, given that the person

number of Roman patricians to kill the dictator Gaius Iulius Caesar

who they had to make sure was unaware of their plan was, by that time,

(Julius Caesar). This conspiracy (given it was undertaken by multiple

dead by their hands.

actors working in secret towards some end) was ostensibly (as will be

However much of the worry about belief in conspiracy theories

dissected later) intended to return Rome to to rule of law by the Senate

stems from claims about ongoing, contemporary conspiracies, cases in

62


Filosofia e collettività

which the alleged conspirators are keeping their plot secret here-and-now.

infer the most likely people who would desire that end. That is, it might

For the sceptic of contemporary conspiracy theory the fact we might

be an example of circular reasoning where we assume something is a

have to infer what the conspirators are intending in order to explain

conspiracy in order to find evidence that it is a conspiracy. This is a

some event in the world is an issue. In part this is because the worry is

problem, but note that it is a problem common to many social science

that such inferences will be post facto.

explanations of complex phenomena; it is possible to assume some

One way to ascertain the intention of conspirators is to ask: “Who

answer to a question and then go and look for evidence that answer is

benefits?” (or use the familiar phrase of “Follow the money.”) Take, for

the best. This is a known problem in social psychology, sociology,

example, the various 9/11 Inside Job hypotheses, which claim that the

anthropology, and the like: sometimes our theoretical assumptions drive

events in New York and Washington, D.C. on September 11th, 2001

our research in such a way that we are looking for particular answers.

were orchestrated by elements within the U.S. Establishment. That is,

So, why think this is a particular problem for conspiracy theories? As

the events were part of a conspiracy by actors associated with the

long as there is some well-grounded inference at the bottom of this,

government who intended to create the appearance of a foreign-

claims about what conspirators intend (or intended) are not in-and-of

orchestrated terror plot in order to then justify a war they wanted

themselves prima facie suspicious.

overseas.

One way in which we can work out what mysterious or secretive

Asking “Who benefits?” here gives us an idea of the intentions of

conspirators want is by working out the “shape” of the secret. For

the alleged conspirators. If we assume that the event in question was

example, if people avoid telling you certain things, then you can often

not committed by members of Al-Qaeda, then we can ask who else

work out a pattern of what you are not being told. This means you can

would have wanted it.

know some secret is being kept from you (even if you do not know

This, of course, requires that we make claims about the “real”

what is being kept secret from you), which is to say you can know there

conspirators, which might be influenced by who we think would have

is a secret being kept from you even though you do not know the

intended such an event, or we might assume the intention and then

content of that secret.

63


Quaderni della Ginestra

Indeed, sometimes knowing that a secret is being kept from you is sufficient to infer something about the content of the secret. If family

a more unified explanation than trying to justify some claim someone intended for the event to happen6.

members regularly avoid talking about when a cousin was conceived,

Returning to the death of the Roman Julius Caesar, the situational

you might infer—given how soon they were born after their marriage—

explanation of Julius Caesar’s assassination would likely place his death

that your family are trying to keep secret the fact your cousin was

in the context of the series of popular uprisings and social disarray of

conceived out of wedlock. In the same respect, if public officials go out

the Late Roman Republic—a barely functioning government—which

of their way to avoid answering questions about their ties to foreign

resulted in the rise of demagogues who were popular with the plebian

powers, you might infer that they are trying to keep such information

populace but not-so-much with the patrician (aristocratic) class.

secret. Indeed, this is a common feature in the discussion of conspiracy

But this distinction between an explanation being either intentional

theories: the “shape of the lie” (or cover-up) is part-and-parcel of how

or situational is a false dichotomy; it is not clear conspiracy theories are

conspiracies come to be suspected5.

any more or less intentional than their situational rivals. As David Coady puts it, in response to Clarke:

2. Situationalism Of course, we could just try to avoid talk of intentions at all, given

«[I]t is not clear that there really is a tendency for conspiracy theories to be

that referring to the intentions of (sometimes) mysterious and secretive

more dispositional than rival theories. …The official explanation of John F.

conspirators might be a problem. Instead, might we be better off shift-

Kennedy’s murder, for example, seems just as dispositional as its conspiratori-

ing talk from intentions to the situations which give rise to conspiratorial

al rivals. All explanations agree that someone or some group of people intend-

(or conspiracy-like) activity? This, at least, was the argument of Steve Clarke. He argued we should prefer situational explanations over intentional ones, given that

ed the murder to occur and acted on their intentions. A disposition to murder the president seems to play an equally fundamental explanatory role in all accounts of that event, whether they are conspiratorial or not»7.

understanding the situation—the overall context—of an event results in

64


Filosofia e collettività

As with the assassination of JFK, we can explain the death of Julius

be of one mind? For example, the death of Caesar was the result of the

Caesar in a way that places the intentions of the conspirators as primary

collective activity of Decimus Junius Brutus, Gaius Cassius Longinus

to his death whilst also paying close attention to the historical situation

and Marcus Junius Brutus (along with several other participating patri-

which precipitated it. After all, the assassins intended to assassinate Cae-

cians). The official story of why they intended to kill Caesar was to lib-

sar because of the political situation in Rome. In the same respect, more

erate Rome from a tyrant who would be king. Yet, when in exile, Brutus

recently, perhaps the Russian Federation intended to sway the result of

expressed quite different sentiments in the letters he sent to his loyal

the presidential election the U.S.A. because of the political situation—the

supporters: he wondered why the Roman people had not, upon hearing

growing and heightened partisanship—in America?

of Caesar’s death, installed him as the new Dictator?

Clarke’s interest was not so much in exploiting issues to do with how

So, were the assassins of Caesar of one mind, or was Brutus using

we account for the intentions of the conspirators. Rather, if we were to

their Republican sympathies in order to advance his own goals? The

accept that most rivals to conspiracy theories are situational in character,

conspirators worked together to achieve one end (the death of Julius

this would be grounds for a general scepticism of conspiracy theories8.

Caesar) but given what we know of Brutus’ own intentions, were they

Yet any explanation of a given event might be an example of both an

really all of the same mind?

intentional explanation and a situational one9. As such, whilst it might

Take, for example, the various 9/11 Inside Job hypotheses which

seem easier to talk about situations than inferring the intentions of

claim that the Twin Towers were brought down by a controlled

secretive agents, this is not grounds to think that situational

demolition. For such a hypothesis to be a conspiracy theory we need

explanations exclude intentional aspects.

there to be conspirators but we do not need everyone involved in bringing the plot to fruition to be a willing accomplice to the crime.

3. Are conspirators of one mind?

Whilst some set of people had to formulate the plan and work out the

Of course, if we are going to talk about the collective intentions of

logistics of planting the explosives in WTC buildings 1 and 2, the

conspirators we should ask whether we should consider conspirators to

people who carried out the preliminary survey work of the towers

65


Quaderni della Ginestra

superstructure may well have been working for the conspirators (and

the corporation could control who would be blamed for it.

thus, in some sense, involved in the conspiracy) but were not knowingly involved in the conspiracy.

The Volkswagen Emissions Scandal of 2015 is an example of what Martin Orr and myself call a “monolithic” conspiracy10. A monolithic

Indeed, this is a feature easily exploited by the clever conspirator,

conspiracy is one where the conspirators are in a good position to

because what way is easier to keep your conspiracy secret than by

control the flow of information about their activities because of the

restricting who knows about what you are doing? That is, given the

nature of the conspiracy’s singular and shared governance. That is, the

hierarchical nature of much governance, and the doctrine of ’Need to

conspirators in a monolithic conspiracy conceivably can keep their

know’ it is likely that much conspiratorial activity is top down in nature;

activities secret because of the monolithic nature of their control over

the conspiracy is formulated at the top but actioned by the people

it.

working in middle and lower parts of the organisation. So who knows

Compare, then, a monolithic conspiracy with one involving actors in

what, how much, and who is in or out of the conspiracy will be the

multiple organisations, none of which have any shared governance.

result of decisions made by the conspirators at the top, reflecting the

That is, imagine a conspiracy in which the conspirators must not only

social and organisational setting in which their plot takes place.

manage their activity but must find some way to manage the members of other organisations as well. This is what we might call a “diverse”

4. Conspirators, dupes, and patsies

conspiracy. Some of the 9/11 Inside Job hypotheses fit this diverse

In 2015 it turned out that the Volkswagen corporation had systemi-

type, given the conspirators must find a way to manage the various

cally conspired to make their diesel cars pass environmental tests using

janitorial staff, guards, and building crews in order to cover up the fact

cheat devices, in order to get government subsidies.

that they planted the demolition charges to bring down the Twin

Volkswagen is a hierarchical institution. It was (relatively) easy for the

Towers.

executives in the corporation to control who knew about the cheating

In the case of a monolithic conspiracy, the conspirators will have an

devices, whilst also ensuring that once news about the cheating broke

easier (not to say necessarily easy) time controlling the flow of

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Filosofia e collettività

information about the existence of the conspiracy, because they are

polities in which we live if they turn out to exist. Yet many

dealing with a limited set of people who are already invested in what

commonplace conspiracies which happen in our daily lives are

they intend to do. However, in the case of a diverse conspiracy, the

undertaken by friends, family members, or acquaintances, and may

conspirators must also manage the other participants so that they either

typically involve only a few people.

do not work out what they are participating in, or—if they do work it out—control what they subsequently say.

Why is this important? Well, in an earlier work I argued that our knowledge of the past incidence of conspiratorial activity in society

Monolithic conspiracies imply that the participants in the conspiracy

informs our judgements about the likelihood of conspiracies here-and-

are—for the most part—of one mind. Diverse conspiracies, however,

now11. Yet the kinds of conspiracies which might inform out

are cases where at least some of the participants are not of one mind

judgements about how likely conspiracies are day-to-day are likely to be

because they are not aware of what the orchestrators of the conspiracy

of the monolithic type. That is, the commonplace conspiracies which

intend. That is, in a diverse conspiracy the result of the activity is the

we use to inform our judgements about the likelihood of conspiracies

product of a collection of agents of which only some share the same

generally will be monolithic, and that raises the question of whether

intentions. That is, it is easier to intend to control a monolithic

knowing about the incidence of monolithic conspiracies informs our

conspiracy than it is to control a diverse one.

judgements about the incidence of diverse conspiracies?

Most of the conspiracy theories we tend to be interested in are

After all, some members of the conspiracy will not be conspirators.

political in nature, and often imply that a smaller (relative to the overall

Rather, they will be lackeys, patsies, or useful idiots. The fact

number of operatives) set of conspirators controls some greater set of

conspiracies can be diverse is important because whilst in the

actors. That is, they are typically diverse.

monolithic case it is relatively easy to attribute a collective intention to

Yet these political conspiracy theories likely only spike our interest because they have a certain salience; we tend to be concerned about the possibility of political conspiracies because of the potential harm to the

67

the conspirators, in the diverse case we encounter some interesting boundary issues, if not outright problems. It would be easy, then, to say that commonplace conspiratorial


Quaderni della Ginestra

activity (like the organising of a surprise birthday party) does not

hold anyone morally responsible for the conspiracy, it will be the

inform our judgements about political conspiracies. Indeed, this is a

conspirators, and not the patsies or dupes who are being controlled or

standard response in the literature: proponents of this view will simply

manipulated. In that respect we want to talk about the conspirators’

reject the idea that commonplace activity that fits the definition of

intentions, rather than the intentions of the larger set of diverse actors

something be a conspiracy—multiple agents working in secret towards

who are participating in the conspiracy.

some end—counts as conspiratorial. This is because what counts as the

Yet this might speak to a problem with the idea of the distinction

subject of a conspiracy theory will have certain characteristics, like being

itself. A group of friends conspiring to organise a surprise birthday

political, sinister in nature, and the like. I have argued against that

(ostensibly a monolithic conspiracy-like, if not outright conspiracy) may

position in numerous places, arguing that such a position mistakes

very well hire out a room to hold that party (thus involving a third

saliency for conceptual analysis12). However, the way I have presented

party), or even employ caterers to supply the food. Does this not make

the problem in this paper is a more sophisticated version of that

the conspiracy diverse, given that any of these participants might

argument against conspiracy theories generally. This revised argument

inadvertently reveal the existence of the party to the target of the

rests upon recognising that the attribution of collective intentionality

conspiracy?

gets complex as soon as you have to not only manage yourselves but also those who are (perhaps unwittingly) working for you.

One reply to this objection is to say that diversity only counts if a) the members of the wider participants would—if they became aware

We might, then, be tempted to reject the distinction, and say that

they were involved in a conspiracy—be troubled by their participation

there is nothing to it. Yet when it comes to talk of collective

or b) the fact they are told “This is a secret” makes them complicit in

intentionality with respect to conspiracies, it seems that there is

the conspiracy after all.

something to the distinction between those which are monolithic and those that are diverse. In the case of a diverse conspiracy, it seems that if we are going to

Conspiracies are, after all, made of different parts and varying levels of complicity or knowledge; the notion of just how involved people are in the conspiracy differs from case-to-case. Where a conspiracy is

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Filosofia e collettività

monolithic in nature all the conspirators are, to some extent, aware of

simply a case of someone saying “I was just following orders.”

their role, whilst in the case of the diverse conspiracy some participants

After all, ignoring Brutus’ end goal may well have served the other

crucial to the attaining of the core set of conspirators intended end may

conspirators, but even if the assassins had not been run out of Rome

well be dupes, or patsies.

(ultimately because they misjudged the mood of the Roman people

Perhaps Servilius Casca and Cassius Longinus knew of Brutus’

towards Caesar), there is no guarantee Brutus would have achieved his

personal ambition, but justified ignoring it because they hoped either

intended end anyway. The existence of other intentions does not render

Brutus would see sense, or that he would be controlled by the other

what they did collectively any less conspiratorial14. This is, I think, an

conspirators. That is, they—as I have previously termed it—might have

interesting consequence to a certain type of conspiratorial activity,

engaged in ‘doublethinking’13.

because it shows that it has a special character when compared to other

Doublethinking is of real historical and political significance. For example, the political actors who doctored the dossier about the alleged

types of collective activity; not every participant in the conspiracy will necessarily know what the conspirators intend.

Weapons of Mass Destruction in Iraq back in 2003 may not have been

If there is utility to the distinction between a conspiracy being

consciously lying, even though some of them knew that what they were

monolithic or diverse, it is how it informs our judgements about belief

claiming was shaky, even possibly false. For the purposes of our

in the existence of conspiracies generally. Even if we admit that diverse

discussion here, doublethinking allows people who might realise they

conspiracies are harder to maintain, or explain with respect to the

are part of some grander plot to also think that they are not complicit

intentions of the conspirators, knowing about monolithic conspiracies

in it. That is, they might well be working for the conspiracy but do not

still tells us people conspire routinely (as I have argued elsewhere15).

feel that they are properly participating in it because they do not share the

Diverse conspiracies might be—in some sense—harder to explain with

same intentions as the conspirators. Yet even if we accept this kind of

respect to the intentions of the overall set of participants, but this is, as

reasoning, this does not provide any moral justification for not being

we have seen, not an insurmountable problem.

responsible for the resulting action. Otherwise what we have here is

69


Quaderni della Ginestra

Conclusion

theory theories.

As I warned at the beginning of this paper, I do not pretend to present a particularly novel thesis of either intentionality or collective ac-

M.R.X. DENTITH

tion. Instead, I am interested in exposing the interesting aspects of intentions and collective action in conspiratorial activity. Talk of intentions can be a tricky business, and talk of secret intentions of a collection of agents even more-so. Given conspiracy theories do not just refer to the intentions of individuals intending some end but a collection of agents intending some end, it is easy to understand why we might be cautious talking about such theories. My argument, though, is that the presumed problems with talk of conspiracy theories as explanations which make reference to the intentions of collections of conspirators are problems common to explanations of any kind of collective activity. Indeed, the benefit of framing some of this talk with reference to conspiracy

theories

(and

thus

putative

conspiracies)

See for example: L. Basham, Joining the Conspiracy, “Argumenta”, Early Access, pp. 121, https://doi.org/10.23811/55.arg2017.bas; D. Coady, What to Believe Now: Applying Epistemology to Contemporary Issues, Chichester (West Sussex), Wiley-Blackwell 2012; C.R. Pigden, Are Conspiracy Theorists Epistemically Vicious?, in D. Coady, K. Brownlee, K. Lipper-Rasmussen, eds., A Companion to Applied Philosophy, John Wiley & Sons, Ltd, Chichester 2016, pp. 120-132, https://doi.org/10.1002/9781118869109.ch9; M.R.X. Dentith, Brian L. Keeley, The Applied Epistemology of Conspiracy Theories in D. Coady, J. Chase, eds., The Routledge Handbook of Applied Epistemology, Routledge, in press; M.R.X. Dentith, Expertise and Conspiracy Theories, “Social Epistemology”, Early Access, pp. 113, https://doi.org/10.1080/02691728.2018.1440021. 2 In that conspirators might not necessarily achieve their desired end 3 Although this is increasingly disputed outside of Philosophy; see, for example: M.J. Wood, Some Dare Call It Conspiracy: Labeling Something a Conspiracy Theory Does Not Reduce Belief in It, “Political Psychology”, 37, 5, 2016, pp. 695-705, https://doi.org/10.1111/pops.12285; M. Orr, G. Husting, Dangerous Machinery: ‘Conspiracy Theorist’ as a Transpersonal Strategy of Exclusion, “Symbolic Interaction”, 30, 2, 2007, pp. 127-150, https://doi.org/10.1525/si.2007.30.2.127. 4 Which is to say, we trust that they are not post facto explanations written to justify their acts after the fact. 5 This is not the entire story, however. As I have argued elsewhere, conspiracy theorists use a range of different kinds of evidence to show it is reasonable to suspect the existence of a conspiracy (M.R.X. Dentith, Conspiracy Theories on the Basis of the Evidence, “Synthese”, Early Access, pp. 1-19, https://doi.org/10.1007/s11229-0171532-7) and this evidence can then be used—in a range of cases—to show that inferring to a conspiracy theory can turn out to be the best explanation (M.R.X. Dentith, When Inferring to a Conspiracy Might Be the Best Explanation, “Social Epistemology”, 30, 5-6, 2016, pp. 572-591, https://doi.org/10.1080/02691728.2016.1172362). 6 S. Clarke, Conspiracy Theories and Conspiracy Theorizing, “Philosophy of the Social Sciences”. 32, 2, 2002, pp. 131-150, https://doi.org/10.1177/004931032002001. 1

is

that

conspiratorial activity is a very special kind of collective action, with an interesting demarcation between what the conspirators intend and what the participants of the conspiratorial action know. It is my hope that some of what I have written will inspire future work on the topic looking into the wonderful world of conspiracy theories and conspiracy

70


Filosofia e collettività

D. Coady, An Introduction to the Philosophical Debate About Conspiracy Theories, in D. Coady, ed., Conspiracy Theories: The Philosophical Debate, Hampshire (England), Ashgate, 2006, p. 8. 8 D. Clarke, Conspiracy Theories and Conspiracy Theorizing. 9 In more recent work Clarke has somewhat conceded this point, arguing that our suspicion of conspiracy theories is to do with the psychology of what constitutes belief in them rather than a problem with conspiracy theories as a kind of explanations. I have critiqued his follow-up argument elsewhere; see, for example: M.R.X. Dentith, The Problem of Conspiracism, “Argumenta”, Early Access, pp. 1-17, https://doi.org/10.23811/58.arg2017.den. 10 M.R.X. Dentith, M. Orr, Secrecy and Conspiracy, “Episteme”, Early Access, pp. 1-18, https://doi.org/10.1017/epi.2017.9. 11 M.R.X. Dentith, When Inferring to a Conspiracy Might Be the Best Explanation. See also: L. Basham, Conspiracy Theory and Rationality, in C. Jensen, R. Harré, eds., Beyond Rationality, Cambridge Scholars Publishing, Newcastle on Tyne 2011, pp. 49-87. 12 M.R.X. Dentith, The Philosophy of Conspiracy Theories, Palgrave Macmillan, London 2014, https://doi.org/10.1057/9781137363169. 13 Ibid. 14 Indeed, it suggests the existence of a conspiracy within the conspiracy. 15 M.R.X. Dentith, When Inferring to a Conspiracy Might Be the Best Explanation. 7

71


Quaderni della Ginestra

INTELLIGENZA DI GRUPPO E SISTEMI MULTI-AGENTE*

rispondere ad alcune delle maggiori critiche mosse all’intelligenza artificiale classica, che puntavano soprattutto alla mancanza di

1.

L

Introduzione

‘incorporazione’ in un ambiente fisico, reale e interattivo dei programmi

’applicazione di una cornice teorica collettivistica all’ontologia

‘intelligenti’1. Fino agli anni ’70 del secolo scorso, il modello di macchina

sociale implica un cambiamento di paradigma nella teoria

intelligente rispecchia quelli che sono i parametri richiesti dal celebre

dell’azione: in un sistema multi-agente, ogni individuo porta a termine

Test di Turing: un programma, per essere ritenuto intelligente,

azioni delimitate e contestuali in relazione agli stimoli ambientali

dev’essere in grado di far credere a un osservatore umano, attraverso i

continuamente modificati dagli altri agenti del gruppo; le regole e le

suoi comportamenti (es. risposte accettabili a domande di tipo generico

strutture che compongono l’ontologia sociale ‘emergono’, dunque, da

su pratiche umane, del tipo: “Ti piace giocare a tennis?”)2, di essere

una continua ‘manipolazione semiotica’ dell’ ‘ambiente di lavoro’ in cui i

anch’esso un agente umano. L’attenzione si concentra, quindi, sulla

membri di una comunità agiscono. In questo senso, una comunità si

progettazione di una macchina che, individualmente, possa agire in

auto-struttura e agisce come una ‘mente’ collettiva.

maniera intelligente. A questo proposito si parla di ‘sistemi esperti’,

L’obiettivo del presente articolo è, quindi, quello di difendere

agenti artificiali (calcolatori) in grado di riprodurre individualmente

l’esistenza di una fondamentale continuità di meccanismi semiotici che

competenze tecniche specifiche. È negli anni ’80 che cambia il

regolano l’attività di un’intelligenza collettiva, strutturata come un

paradigma: si riconosce ora che l’intelligenza «non è una caratteristica

sistema multi-agente, sia essa di tipo biologico o artificiale: le regole

individuale, che possiamo separare dal contesto sociale nel quale si

emergenti permettono alla comunità degli individui di auto-organizzarsi

esprime»3. Un agente individuale sviluppa le sue capacità cognitive in

e guidano il comportamento dei singoli agenti.

relazione ai suoi simili, che lo circondano e con i quali interagisce; l’intelligenza non è un ‘programma innato’ con base genetica: «gli altri

1.1. Che cos’è un sistema multi-agente.

sono indispensabili al nostro sviluppo cognitivo e ciò che chiamiamo

Il concetto di ‘sistema multi-agente’ si sviluppa in informatica per

‘intelligenza’ è nella stessa misura dovuto alle basi genetiche che

72


Filosofia e collettività

definiscono la nostra struttura neuronale che alle ‘interazioni’ [virgolette

sistemico classico, è proprio l’accento messo sul fatto che l’emergenza

mie] che possiamo avere con il mondo che ci circonda e, in particolare,

dell’organizzazione e la sua struttura complessiva si devono ad ‘azioni e

con la società umana»4. Sono gli anni in cui si fa strada l’approccio

interazioni locali’ tra gli agenti del sistema. Di esso, il programmatore

ecologico proposto e difeso da James J. Gibson5: soggetto e oggetto

conosce solo le ‘condizioni di base’, le regole fondamentali delle

sono ‘localizzati’ in un ambiente, che non è più un contenitore neutro,

interazioni locali, ma ignora le sue future evoluzioni, che seguono le

ma influenza e dirige in maniera profonda le dinamiche cognitive del

dinamiche dei sistemi caotici e sono in gran parte impredicibili8.

soggetto agente. Così, il concetto di sistema multi-agente cerca di

Cos’è dunque un ‘agente’ in questo sistema? Bene, esso è un entità

introdurre in informatica il tema dell’intelligenza come frutto delle

«capace di agire in un ambiente, [… di] comunicare direttamente con

interazioni fra più agenti localizzati in un ambiente, creando

altri agenti»9, un’entità in parte autonoma «che non dispone che di una rappresentazione parziale [del suo] ambiente, che possiede competenze

«un insieme di entità in interazione, essendo ogni entità definita ‘in maniera

e offre servizî, che può eventualmente riprodursi, il cui comportamento

locale’ senza visione globale dettagliata di tutte le azioni del sistema. […]

‘tende a soddisfare i suoi obiettivi’ [virgolette mie]»10. L’agente non ha

passiamo dalla nozione di ‘programma’ a quella di ‘organizzazione’ [virgolette

dunque una visione sistemica, ma parziale, localizzata, limitata al

mie]»6.

raggiungimento dei suoi obiettivi personali. Esso si muove in uno ‘spazio di lavoro’, l’ambiente che condivide con i suoi simili e nel quale

Dobbiamo quindi pensare a un sistema dove la coordinazione delle

cerca di raggiungere i suoi obiettivi, trovando risposte opportune agli

parti emerge «da un’interazione tra entità relativamente autonome e

ostacoli che vi si frappongono. Il sistema multi-agente si compone,

indipendenti, chiamate agenti, che lavorano in seno a delle comunità,

dunque, di uno spazio di lavoro (che ne rappresenta, in un certo senso,

secondo dei modi talora complessi di cooperazione, di conflitto o

lo ‘scheletro’); degli agenti che in esso si muovono (e che ne

7

concorrenza, per sopravvivere e perpetuarsi» . Ciò che caratterizza e

rappresentano, nel complesso, la parte attiva) e di un insieme di ‘oggetti’,

differenzia, quindi, l’approccio dei sistemi multi-agente da un approccio

i quali «sono passivi, cioè possono essere percepiti, creati, distrutti e

73


Quaderni della Ginestra

modificati dagli agenti»11. Bisognerebbe pensare a questi manipulanda

contenuta nello stesso ‘spazio di lavoro’: nessun agente si rappresenta il

come a delle strutture di mattoncini Lego, componibili e manipolabili

sistema globale, nella totalità delle sue dinamiche. Ogni agente possiede

illimitatamente. O meglio, i ‘limiti’ di ciò che può o non può essere fatto

una visione parziale e limitata, ‘locale’. Da dove prende, quindi, le

li stabiliscono gli stessi agenti, costruendo e distruggendo strutture,

informazioni necessarie a coordinarsi con gli altri agenti del sistema? Le

modificando la conformazione dello spazio di lavoro: ogni nuova

riceve dallo stesso spazio di lavoro in cui agisce. Le informazioni sono

struttura offre nuove e diverse affordance12, nuovi significati pratici che

veri e proprî stimoli fisici, affordance, significati pratici (cosa posso o non

rappresentano, in quanto stimoli a delle risposte, delle vere e proprie

posso fare in un contesto specifico) generalmente ‘impliciti’ nella

‘condizioni’ per le azioni che di volta in volta intraprendono i singoli

struttura dell’ambiente in cui l’agente opera: se un agente A costruisce

agenti che compongono il sistema.

un muro nello spazio di lavoro, esso costituirà un ostacolo perché l’agente B si muova in una certa direzione. L’informazione “da qui non

1.2. Perché un sistema multi-agente.

puoi passare” è contenuta, per B, nella stessa struttura dello spazio in

Il concetto di sistema multi-agente nasce, come evidenziato in § 1.1,

cui si muove, senza alcuna necessità che essa sia negoziata con A.

in un contesto tecnico e in un periodo storico molto specifici:

In un sistema multi-agente l’informazione è, dunque, spaziale, situata

l’informatica dei sistemi complessi e bio-ispirati degli anni ’80 e ’90 del

e ‘contestuale’: ovviamente, l’informazione “da qui non puoi passare”

secolo scorso. Perché, allora, utilizzare oggi questo paradigma per

esiste solo per B e solo nel caso in cui B si stia dirigendo contro

comprendere l’intelligenza di gruppo? La risposta è che, per le sue

l’oggetto ‘muro’ costruito da A, mentre per A quello stesso oggetto

caratteristiche strutturali, si presenta come un paradigma esplicativo che

‘muro’ è un ‘mezzo’ (e non un ostacolo!) per raggiungere il suo obiettivo

permette di non ricorrere all’intenzionalità individuale nel disegno, nella

locale: le affordance del medesimo oggetto ‘muro’ sono differenti

progettazione dello sviluppo, di una comunità. Non implica una

(contengono un’ ‘informazione’ differente) per A e per B.

‘costruzione cosciente’, negoziata, delle regole da parte degli agenti. Innanzitutto, in un sistema multi-agente l’informazione cognitiva è

Ancora, il sistema multi-agente rappresenta un caso particolare di ‘memoria distribuita’ (scilicet, nello spazio di lavoro): nessun agente

74


Filosofia e collettività

ricorda o progetta lunghe sequenze di azioni pensandole in un contesto,

mattoncino da più di n-minuti, depositalo”. Gli agenti inizieranno a

piuttosto ognuno degli agenti del sistema ‘lascia traccia’ della sua azione

raccogliere mattoncini e raggrupparli in differenti punti dello spazio (X,

modificando l’ambiente in cui agisce.

Y, Z …) fino a che un cumulo più grande (X) non verrà riconosciuto

La memoria distribuita (nello spazio di lavoro) del sistema è allora

come il deposito adeguato e gli altri cumuli (Y e Z) come mattoncini

costituita dall’insieme di tali tracce che ogni agente, localmente, produce.

‘sparsi’ nello spazio di lavoro. La regola “raccogli i mattoncini nel punto

Non esiste un centro nevralgico, una CPU che raccoglie informazioni e

X” è emergente. Non solo: è la stessa conformazione dello spazio di

le gestisce in maniera centralizzata per progettare lo sviluppo del

lavoro a rendere X un ‘indice’ (semioticamente parlando) del deposito

sistema, piuttosto tutte le informazioni di cui dispone il sistema si

corretto e a retroagire sulle risposte di A, B, C e D, dirigendo il loro

trovano in uno spazio esterno, un ambiente fisicamente ‘accessibile a

comportamento.

tutti gli agenti’ che formano parte del sistema considerato. Ogni risposta allo stimolo, ogni traccia, costituisce una sorta di ‘exogramma’13, un

2.

registro esterno di memoria che si pone come nuova condizione per le

Ora, se è chiaro che l’ambiente non è neutro per un agente ma, al

azioni future.

Lo spazio di lavoro come spazio adattativo: l’esempio della nicchia ecologica.

contrario, retroagisce attivamente sul suo comportamento, neppure

In questo senso, le regole particolari di cooperazione/competizione

l’agente è neutro per lo spazio che lo circonda. Piuttosto, ogni agente

tra gli agenti del sistema sono ‘emergenti’: immaginiamo per esempio un

cerca di ‘adattare’ lo spazio in cui lavora per un migliore e più facile

sistema in cui gli agenti A, B, C e D hanno (ognuno per proprio conto)

raggiungimento dei suoi obiettivi. David Kirsh, in un suo celebre

l’obiettivo di ordinare dei mattoncini sparsi nello spazio di lavoro,

articolo, nota che «un essere vivente ha almeno tre strategie logicamente

radunandoli tutti in un unico punto. A ognuno di essi si forniscono le

distinte per migliorare la sua fitness [ossia, adeguatezza]. Può adattarsi

seguenti regole di base (il ‘programma genetico’): 1) “quando trovi un

all’ambiente, può migrare verso nuovi spazî, o adattare l’ambiente stesso»14.

mattoncino, raccoglilo”; 2) “se stai trasportando un mattoncino e ne

Gli agenti che abitano uno spazio specifico, non si limitano quindi a

trovi un altro, depositalo in quel punto”; 3) “se stai trasportando un

reagire in maniera automatica e passiva, semplicemente adattandosi agli

75


Quaderni della Ginestra

stimoli che questo offre, piuttosto essi sviluppano strategie di

«Nella riprogettazione dell’ambiente, l’animale rimane nella stessa regione

‘riprogettazione’ del proprio ambiente per renderlo così più congeniale

geografica ed è esso stesso responsabile per i cambiamenti nell’ambiente.

ai proprî scopi, perché è evidente che «gli esseri viventi con un qualche

L’ambiente globale non offre all’animale un ventaglio di habitat preesistenti,

controllo attivo sulla conformazione del proprio ambiente avranno un

differenti per aspetti salienti, tra i quali l’animale [ossia l’agente]

vantaggio adattativo su quelli che possono adattarsi solo passivamente alle strutture ambientali esistenti»15. Riprogettare l’ambiente non significa semplicemente cambiarne l’aspetto fisico: abbiamo già detto che la struttura fisica dell’ambiente contiene informazioni implicite su come servirsene; essa è caratterizzata da delle affordance differenti per ciascun agente che lo percorre. Così, una parete liscia è un ostacolo per un gatto che la vuole scalare, mentre costituisce una normale ‘superficie calpestabile’ per un ragno. Tenendo presente quanto detto, risulta evidente come modificare ‘fisicamente’ un ambiente significa cambiarne anche le affordance, cioè il suo grado di ‘utilizzabilità’ per un agente o un altro differente. Rendere più facile un obiettivo da raggiungere implicherà quindi, per l’agente, una ‘modificazione fisica’ dello spazio circostante: se A deve raggiungere l’oggetto X che si trova dall’altro lato di un fiume, costruire un ponte che lo attraversa non cambia solo l’aspetto fisico dell’ambiente, ma ‘la natura stessa del compito’ che A deve portare a termine. Riassumendo:

successivamente sceglie. Piuttosto, ‘l’animale stesso crea attivamente i cambiamenti a partire da un ambiente diverso preesistente’ [virgolette mie]»16.

Perciò un habitat non è semplicemente selettivo, ma adattativo: in esso gli ostacoli selettivi ‘non sono fissi’; al contrario, gli agenti che vi operano li modificano continuamente, producendo una nicchia ecologica che è loro congeniale. Ma i cambiamenti che ogni agente apporta all’habitat (allo ‘spazio di lavoro’) costruendo la sua nicchia ecologica, modificano gli ostacoli selettivi degli altri agenti che lo condividono: per esempio, la diga che un castoro costruisce modifica gli ostacoli selettivi per i pesci del corso d’acqua. Essa è una traccia lasciata da un agente che ‘indica’ cosa ‘si può fare’ ad altri agenti del sistema. In questo senso lo spazio di lavoro di un sistema multi-agente, dev’essere inteso come uno spazio adattativo in cui ogni agente lavora per costruire, con le sue azioni locali, la propria ‘nicchia ecologica’, modificandone

gli

indici

e

influenzando

‘indirettamente’

il

comportamento degli altri agenti del sistema.

76


Filosofia e collettività

3.

Agenti ecologici e regole emergenti: stigmergia e retro-azione.

globale di ciò che gli sta accadendo tutt’attorno, possano produrre

Parliamo quindi di agenti ‘situati’ in una nicchia ecologica: tra agente

risposte cognitivamente complesse? Trovò una soluzione osservando il

e nicchia si sviluppa una dinamica di mutua influenza. Parafrasando

comportamento di una colonia di termiti: ogni volta che un agente

Kirsh, essi si ‘riprogettano’ a vicenda. Ma quale meccanismo può

completava un compito, produceva cambiamenti nella ‘struttura dello

spiegare la riprogettazione dell’ambiente, l’emergenza di strutture di

spazio di lavoro’ condiviso con altri agenti; cioè, egli stava cambiando le

informazioni, la stessa coordinazione indiretta tra gli agenti, attraverso la

affordance dell’ambiente, i suoi significati pratici; lasciava degli ‘indici’

mediazione dello ‘spazio di lavoro’? Un concetto adeguato è già stato

disponibili nello ‘spazio di lavoro’.

coniato nello studio delle cosiddette ‘intelligenze di sciame’, cioè delle

In questo senso, lo spazio di lavoro condiviso da tutti gli agenti del

abilità cognitive caratteristiche di branchi, stormi, banchi di pesci, ma in

sistema multi-agente dev’essere inteso come la ‘nicchia’ in cui essi

maniera più evidente e profonda degli insetti sociali: si tratta della

vivono, lo spazio ecologico che essi costruiscono collettivamente

‘stigmergia’.

scaricandovi molte informazioni implicite. La stigmergia può, quindi,

La stigmergia è generalmente definita come «un meccanismo di coordinazione tra azioni, mediato e indiretto, in cui la traccia di

essere definita come la dinamica di base di ogni teoria della ‘costruzione della nicchia’, considerando che

un’azione lasciata in un mezzo stimola l’esecuzione di un’azione susseguente»17.

ergon

«La prospettiva della costruzione della nicchia […] si oppone alla

(lavoro/opera), si tratta di un termine tecnico originalmente sviluppato

prospettiva convenzionale [sull’evoluzione e selezione delle specie] mettendo

in uno specifico ramo della biologia, dall’entomologo Pierre-Paul

l’enfasi sulla capacità degli organismi di modificare gli stati ambientali. […]

Grassé18. Egli plasmò questo concetto come una risposta al cosiddetto

Facendo ciò, ‘gli organismi co-dirigono la propria evoluzione’ [virgolette mie],

Composto

di

stigma

(stimolo/segno)

ed

‘paradosso della coordinazione’ che caratterizza il comportamento cooperativo degli insetti sociali19, cioè: com’è possibile che individui la cui intelligenza è estremamente limitata, che non possiedono alcuna idea

77

spesso ma non esclusivamente in un modo che è adatto ai proprî genotipi, modificando nel processo quegli schemi di selezione che retroagiscono su essi stessi come anche sulle altre specie che abitano il loro ambiente»20.


Quaderni della Ginestra

Quindi, riassumendo, il principio fondamentale della stigmergia

condividendo quel mezzo, rendendo possibile in questo modo una

afferma che il lavoro prodotto da un ‘agente’ in un ‘mezzo’ lascia una

comunicazione indiretta tra di essi. Quindi, la traccia è una conseguenza

‘traccia’ che stimola un’attività susseguente da parte dello stesso agente

di un’azione e perciò contiene dell’informazione a proposito di essa, che

o di uno differente che condivide il medesimo mezzo. Ciò implica un

può essere resa esplicita attraverso un’ ‘abduzione’: la traccia è, nella

ciclo retroattivo tra lo ‘stimolo/segno’ ↔ ‘lavoro’; una condizione

prospettiva individuale dell’agente, un ostacolo, una ‘sfida cognitiva’ che

implica un’azione che modifica quella stessa condizione, producendo

deve superare per raggiungere il suo obiettivo locale.

una nuova azione (condizione → azione → condizione1 → azione1…).

In questo contesto, bisogna notare che ci sono due generi

Seguendo questo principio viene naturale descrivere la stigmergia come

fondamentali di stigmergia, che possiamo distinguere in termini del tipo

un tipo di cognizione situata e distribuita21: la comunicazione tra gli

di segno usato per comunicare: uno è chiamato ‘stigmergia

agenti è mediata dall’ambiente, ovvero il ‘mezzo’. In questo senso è

sematettonica’22, mentre l’altro è la ‘stigmergia basata su marcatori’23. Il

importante notare che la traccia ‘stimola’ l’azione, non la ‘determina’;

primo si riferisce alla trasmissione di significato attraverso le ‘strutture’

essa rende una risposta più probabile, ma non necessaria. Più forte ed

modellate nel ‘mezzo’: per esempio, aprire un sentiero di foraggiamento

evidente è la traccia, più è probabile che essa ottenga una risposta

indica una pista da seguire, mentre un cumulo indica un punto di

corrispondente. Per far sì che questo meccanismo produca una

deposito; dall’altro lato, la stigmergia basata su marcatori è caratterizzata

coordinazione effettiva, il mezzo dev’essere accessibile, e quindi

da un’informazione più puntuale e precisa che rivela una caratteristica

‘modificabile’, per ognuno degli agenti implicati.

‘simbolica’: due esempi concreti sono il rilascio di feromoni per

L’immagine che otteniamo è quella di un sistema per la cognizione

segnalare, per esempio, un’importante fonte di foraggiamento (più è

distribuita massicciamente ‘parallelo’: ogni agente porta a termine

forte la traccia di feromone più è probabile che un agente reagisca) o,

computazioni individuali che producono un effetto nel mezzo mentre

nel caso delle formiche, rilasciare acido formico segnala un pericolo, un

egli sta cercando di raggiungere il suo obiettivo locale, una ‘traccia’ che,

attacco. Quest’ultimo esempio è particolarmente interessante per

come effetto collaterale, è un ‘indizio’ per gli agenti che stanno

spiegare lo sviluppo di una funzione simbolica attraverso la selezione

78


Filosofia e collettività

naturale di un algoritmo efficiente come ‘nemico’ → ‘acido formico’:

Se la nicchia ecologica è uno spazio di affordance e indici (ossia, di

Edward Wilson e Bert Hölldobler24 hanno rimarcato come, da una

segni), di ‘strutture adeguate’ che un agente si costruisce nel suo

spontanea e ripetuta azione di difesa (il getto d’acido) di fronte al

ecosistema di modo che gli sia più congeniale, di modo che gli riesca in

pericolo, quella secrezione chimica ha ottenuto un valore simbolico

esso più facile raggiungere i suoi obiettivi locali, la nicchia sociale e la

fortemente legato all’informazione “c’è un nemico là fuori”. Perciò,

nicchia culturale, al pari della nicchia ecologica, saranno allora sistemi di

Francis Heylighen25 ha notato come, in termini peirciani, possiamo

segni (cioè, ‘sistemi semiotici’), in cui le strutture emergenti, cariche di

definire il primo caso sematettonico come un tipo di comunicazione

informazioni implicite, sono proprio le regole del comportamento

indiretta attraverso indici, mentre nel secondo caso, basato su marcatori,

collettivo (le leggi) e le pratiche della cultura (i riti).

possiamo parlare di comunicazione simbolica. Ciò perché nel primo

Nel caso degli esseri umani, nicchia ecologica, sociale e culturale

caso il segno consiste in un’indicazione consequenziale, implicita nello

sono contigue e interrelate: per esempio la città è un ‘ambiente fisico’,

stato fisico del mezzo, mentre nel secondo caso la connessione

uno spazio modificato e strutturato, però è anche il luogo della vita

semantica è basata sulla relazione tra un marcatore e uno stato di cose

associata e cooperativa: una piazza non è solo uno spazio aperto, ma

stabilito da un agente attraverso il continuo uso di esso.

anche ‘un luogo di incontro’; ancora, le strutture della città possono

Tenendo presente che la stigmergia è effettivamente un’ingegnosa

avere un significato secondo, ‘simbolico’, e in ciò rappresentano una

etichetta per definire ogni dinamica in cui un’azione è stimolata da un

nicchia culturale: una casa non è solo un ‘rifugio’, ma anche un

segno e ogni risposta è, più o meno, eterodiretta dall’informazione

‘focolare’.

esterna distribuita nell’ambiente, la principale caratteristica di un sistema

In effetti, «la costruzione della nicchia umana, attraverso la

stigmergico sembra essere proprio ‘il ruolo dei segni’ nella cognizione

modificazione dell’ambiente, crea ‘artefatti’ [virgolette mie] e altre

distribuita degli agenti.

risorse ecologicamente ereditate che non soltanto agiscono come fonti di selezione biologica sui geni umani […] ma facilitano anche

4.

79

Nicchia sociale e nicchia culturale: due sistemi semiotici.

l’apprendimento e mediano le tradizioni culturali»26. Dobbiamo


Quaderni della Ginestra

considerare tali artefatti come i ‘segni’ che mediano la comunicazione

direttamente uno stato di cose, una relazione (spesso causale), per

indiretta, la stigmergia, tra gli agenti di una stessa nicchia culturale (lo

esempio l’impronta di un piede sulla sabbia è indice dell’uomo che ci ha

‘spazio di lavoro’ che stiamo considerando) intesa, quindi, come un

camminato sopra alcuni minuti prima; il suo valore semiotico non è

sistema semiotico.

relativo ad alcun soggetto particolare, ma direttamente dipendente dallo 27

Come ha già osservato en passant Francis Heylighen , possiamo usare

stato di cose che rappresenta. Infine, un simbolo è un tipo di segno che

una terminologia peirciana per distinguere tra stigmergia sematettonica e

media una relazione semiotica tra il referente e l’interprete, in ragione di

quella basata su marcatori (cfr. supra, § 3), rispettivamente per mezzo di

una associazione stabile tra il simbolo e il referente, basata su di un abito

‘indici’ e ‘simboli’. Tuttavia, credo che questa piccola intuizione sul

acquisito dall’interprete.

carattere semiotico della stigmergia ci suggerisca un elemento

Una volta considerato questo contesto, è facile capire in che senso,

importante: la cornice semiotica può farci superare il divario tra la

nel caso della stigmergia di tipo ‘formica’, aprire un cammino di

stigmergia umana e quella non umana. Ciò che cambia non è il

foraggiamento ‘indica’ una pista da seguire, mentre un cumulo ‘indica’

‘meccanismo’ di comunicazione indiretta, ma il ‘tipo di segni’ impiegati

un punto di deposito; allo stesso tempo, nella nicchia sociale umana,

dagli agenti.

chiudere una strada con un cancello ‘indica’ che il passaggio è proibito.

Ora, nei suoi scritti semiotici Peirce descrive un segno come una

È esattamente ciò a cui si riferisce David Kirsh con le parole

rappresentazione che riferisce a un oggetto. Ci sono tre tipi

«riprogettare l’ambiente» (cfr. supra, § 2) e, infatti, la manipolazione di

fondamentali di segni: ‘icone’, ‘indici’ e ‘simboli’. Un’icona è un segno

segni gioca un ruolo chiave a molti livelli nella costruzione della nostra

che rappresenta il suo oggetto per via di una somiglianza con esso; è

nicchia sociale: nella borsa valori, per esempio, il prezzo di un bene è un

completamente indipendente da qualsiasi interprete perché il suo valore

marcatore che simbolizza la relazione domanda/offerta di quel bene.

semiotico è dovuto solamente alla sua somiglianza con il referente,

Esso media tra i differenti interessi degli agenti ‘egoisti’ e autonomi che

come l’immagine – l’informazione visuale – contenuta in un quadro

agiscono, localmente, in quel mezzo (scilicet il mercato) e l’ordine

(che è un’ipoicona). Un indice è, invece, un segno che rappresenta

economico che emerge da tutte queste azioni individuali (le regole

80


Filosofia e collettività

contestuali emergenti) è un macrofenomeno collettivo, impredicibile a

dunque il fatto che l’influenza dell’informazione che veicolano ha una

priori nella sua struttura e nello sviluppo delle sue regole28.

portata non solo sincronica, ma ‘diacronica’. Il simbolo manicheo del

Ancora, un artefatto iconico, un’ipoicona qual è per esempio un

Guerriero della Luce che si oppone, lotta e sconfigge le Tenebre del

quadro, è anche un exogramma29, un segno complesso che influenza la

Male30 contiene la stessa informazione iconica che ritroviamo in un altro

riprogettazione della nicchia culturale. Voglio far notare, a margine di

simbolo com’è il San Michele Arcangelo, che indossa l’armatura e

quanto detto, che anche il modo in cui un’informazione iconica è

sconfigge e schiaccia il Diavolo. Due simboli diversi con due referenti

gradualmente modificata dalla manipolazione collettiva che di essa

distinti (per l’abito associativo di differenti interpreti) veicolano, tuttavia,

portano avanti gli agenti di un sistema segue una dinamica stigmergica:

‘la stessa informazione iconica’ e lo fanno a livello diacronico, perché

una certa iconografia emerge attraverso continui e graduali contributi da

quell’informazione iconica è veicolata in ipoicone concrete (per esempio

parte di ciascun agente del sistema, non è pianificata ab ovo.

un quadro o un affresco) che sono alcuni degli ‘artefatti’ che

Il vantaggio del segno, dunque, è proprio il fatto che esso è per definizione

un

‘portatore

di

informazione’

che

resta

tale

‘indipendentemente’ dall’essere in connessione con un certo agente

manipoliamo per costruire la nostra nicchia culturale (lo ‘spazio di lavoro’ del nostro sistema multi-agente), sulla cui importanza mettono l’accento Laland e O’Brien31.

(interprete) oppure un altro. Se questo è chiaro per quanto riguarda l’icona e l’indice, è meno certo per quello che riguarda il simbolo.

5.

Abbiamo visto, infatti, che il valore semantico di quest’ultimo si deve a

A questo punto, sappiamo che la nicchia culturale di un gruppo

un abito associativo stabilito dall’interprete tra il segno e il referente.

umano è il suo ‘spazio di lavoro’ in quanto sistema multi-agente; che i

Però è certo pure che il simbolo non è un elemento semplice, atomico,

membri del gruppo sono gli ‘agenti’ del sistema; che gli artefatti sono gli

ma contiene sempre una componente iconica o indicale (deittica) che

‘oggetti’ che gli ‘agenti’ del sistema manipolano. Sappiamo anche che

invece sono indipendenti dall’interpretazione di un agente specifico.

questi artefatti sono ‘segni’ e, pertanto, sono dei ‘portatori di

Quello che è interessante di questo carattere autonomo dei segni è

informazioni’ autonomi rispetto a degli agenti particolari con influenza

81

Spazio strutturato: mente estesa o scaffolded?


Quaderni della Ginestra

non solo sincronica ma ‘diacronica’ sul sistema. Per usare la terminologia di Merlin Donald, sono degli exogrammi, dei registri di memoria esterni.

complementare33, dei suoi processi cognitivi. Se un soggetto A deposita l’informazione X in un exogramma K, secondo la Tesi della Mente Estesa l’exogramma K forma parte del

Come possiamo passare, però, da quest’insieme di elementi ad

processo mnemonico di A (tesi ‘forte’) o è perlomeno ‘complementare’

affermare che una comunità, un gruppo culturale, sviluppa una ‘mente

al processo mnemonico di A (tesi ‘debole’). Assumendo la tesi ‘debole’,

collettiva’?

cosa succede se l’exogramma K in cui l’agente A ha depositato

In un articolo da subito discusso e ormai celebre in filosofia della

l’informazione X si trova localizzato in un mezzo (uno ‘spazio di

mente, Andy Clark e David Chalmers presentano la Tesi della Mente

lavoro’) accessibile anche agli agenti B, C e D? Succede che K è

Estesa32: un soggetto con problemi di memoria (A) appunta delle

‘complementare’ al processo mnemonico anche di B, C e D: se Gianni

informazioni in un taccuino, mentre un soggetto normale (B) le

lascia la lista della spesa sul tavolo e Luca la prende e la usa per

immagazzina nel cervello tramite la sua memoria biologica; quando A

comprare ciò che manca in dispensa, la lista della spesa è un artefatto

legge le informazioni registrate sul taccuino non fa nulla di diverso da B,

complementare al processo mnemonico tanto di Gianni quanto di Luca.

che invece ‘legge’ le informazioni registrate nella sua memoria biologica;

Gli exogrammi però, come già sappiamo, non sono solo ‘liste della

la mente di A si estende al taccuino, in quanto esso forma parte del

spesa’: anche un quadro, un papiro, una stele di pietra ricoperta di glifi o

sistema cognitivo che ‘ricorda’ le informazioni. Le obiezioni più forti a

le pitture rupestri di Altamira sono exogrammi. Sono segni che mediano

questa tesi attaccano tutte il ‘principio di parità’ in essa difeso (scilicet,

la comunicazione indiretta tra gli agenti del sistema, sincronicamente e

l’equivalenza funzionale tra memoria biologica e ‘memoria-taccuino’).

diacronicamente. Sono strumenti che gli agenti utilizzano (o producono)

Qui non ci interessa entrare nel merito della legittimità o meno di

nel tentativo di adattare lo spazio selettivo, nel tentativo di costruire la

questo principio. Piuttosto, il contributo maggiore della Tesi della Mente

propria nicchia. Come nota Kim Sterelny34, infatti, la Tesi della Mente

Estesa sta, per quanto ci riguarda, nel sostenere che gli artefatti che un

Estesa non è che un caso particolare di costruzione della nicchia o di

soggetto

«uso intelligente dello spazio», per dirla con Kirsh35. In questo senso, la

manipola

formano

parte,

anche

se

in

maniera

82


Filosofia e collettività

costruzione della nicchia culturale, che è una forma di strutturare

necessario che il rituale sia modificato attraverso un’azione collettiva e

l’ambiente con ‘impalcature’ cognitive (i segni nello ‘spazio di lavoro’), si

cosciente di tutti i membri della comunità: basta che un agente del

rivela come un’estensione dei processi cognitivi degli agenti del sistema

sistema interpreti in maniera leggermente differente un elemento, che

in uno spazio fisico, quello della nicchia, in cui condividono gli artefatti,

un altro agente lo faccia con un altro e via dicendo perché su scala

gli exogrammi, i segni che riprogettano il loro comportamento e in cui

sistemica emerga una consistente modificazione della nicchia culturale.

le stesse dinamiche cognitive sono quindi collettive.

Ora, l’antropologo americano Roger Keesing già negli anni ’70 affermava che la cultura è un «sistema di conoscenza»36, un

6.

Conclusione: la struttura culturale come ‘mente’ collettiva.

«supercervello che permette a degli umani di risolvere problemi di

Che ne è, dunque, in questo contesto, dell’ontologia sociale? Le leggi,

sopravvivenza in un ampio ventaglio di ambienti [ma] impone dei costi

‘scritte’ o trasmesse in ‘formule orali’, le pratiche, conservate e codificate

proprî: il rituale, il mito, la cosmologia e il magico»37. Però la cultura non

nei ‘rituali’ di una comunità, sono strutture di informazioni esterne

è solamente un ‘dispositivo cognitivo’, uno ‘strumento’ che i membri di

veicolate da exogrammi specifici. Exogrammi costruiti gradualmente e

una comunità utilizzano per superare le sfide cognitive che l’ambiente in

collettivamente dagli agenti che abitano una certa nicchia culturale.

cui vivono pone loro innanzi: essa implementa delle ‘credenze’

In quanto ‘segni’ sempre disponibili nello ‘spazio di lavoro’, nella

collettive, degli ‘obiettivi’ collettivi. I processi cognitivi dei suoi membri

nicchia culturale di una collettività, anche queste ‘formule’ orali o scritte

dipendono dagli exogrammi che essi utilizzano, si estendono in essi e

e questi ‘rituali’ che codificano il mos della comunità si presentano come

dunque, quando i membri di una comunità condividono i medesimi

artefatti localizzati in un certo tempo e in un certo spazio, che

exogrammi, stanno in realtà condividendo i proprî processi cognitivi

influenzano sincronicamente e diacronicamente il comportamento degli

estesi. Così, «la cultura può essere paragonata a un tessuto»38 i cui nodi

agenti

modificare

sono gli exogrammi e, come le informazioni condivise nello spazio di

l’informazione che questo veicola: modificare una scena di un rituale

lavoro dagli agenti di un sistema multi-agente retroagiscono su di essi

implica cambiare la ‘prescrizione’ che esso contiene. Tuttavia, non è

riprogrammando il loro comportamento, anche quel sistema semiotico

83

del

sistema.

Modificare

l’artefatto

implica


Quaderni della Ginestra

che è la nicchia culturale retroagisce sugli agenti che la costruiscono, rimodulandone la condotta. È questo tessuto che possiamo definire come la ‘mente’ collettiva – emergente – di un gruppo umano. FRANCESCO CONSIGLIO Ringrazio il mio supervisore, Fernando Martínez, i professori Manuel de Pinedo e Neftalí Villanueva, e i colleghi del Dipartimento di Filosofia I dell’Università di Granada per i loro preziosi commenti alle idee contenute in questo scritto. Questo lavoro è stato parzialmente finanziato dal progetto “Habla interna, metacognición y la concepción narrativa de la identidad” (MINECO: FFI2015-65953-P) e dal Subprograma de Formación del Personal Investigador (FPI) (MINECO: BES-2016077237). 1 H. Dreyfus, What Computers can’t do: a Critique of Artificial Reason, Harper and Row, New York 1979; J. Searle, The Rediscovery of the Mind, MIT Press, Cambridge (Mass.) 1991; Cfr. anche J. Ferber, Les Systèmes Multi-Agents: vers une intelligence collective, InterÉditions, Parigi 1995, p. 5 e ss. 2 A. M. Turing (1950) Computing Machinery and Intelligence, “Mind”, 49, 1954, pp. 433460. 3 Ferber, p. 6. Traduzione mia, qui e dove non diversamente specificato. 4 Ibidem. 5 J. J. Gibson, The ecological approach to visual perception, Houghton Mifflin, Boston 1979. 6 Ferber, p. 7. 7 Ivi, p. 8. 8 Ivi, p. 9. 9 Ivi, p. 13. 10 Ibidem. 11 Ivi, p. 14. 12 Cfr. Gibson, The ecological approach to visual perception. 13 Cfr. M. Donald, The Exographic Revolution: Neuropsychological Sequelae, in L. Malafouris e C. Renfrew, a cura di, The cognitive life of things. Recasting the boundaries of the mind, Oxbow books, Oxford 2010, pp. 71-79: «Lashley (1950) definì un registro di memoria *

immagazzinato nel sistema nervoso un ‘engramma’. […] I registri di memoria immagazzinati al di fuori del sistema nervoso (per esempio, tavolette d’argilla, papiri, libri stampati, archivi del governo o dati bancarî elettronici) possono essere chiamati ‘exogrammi’». 14 D. Kirsh, Adapting the Environment Instead of Oneself, “Adaptative Behavior”, Vol. 4, No. 3/4, 1996, p. 415. 15 Ivi, p. 416. 16 Ivi, p. 428. 17 F. Heylighen, Stigmergy as a universal coordination mechanism I: Definition and components, “Cognitive Systems Research”, 38, 2016, p. 6. 18 Cfr. P. P. Grassé, La reconstruction du nid et les coordinations interindividuelles chez Bellicositermes natalensis et Cubitermes sp. la théorie de la stigmergie: Essai d'interprétation du comportement des termites constructeurs, “Insectes Sociaux”, 6/1, 1959, pp. 41-80. 19 Cfr. E. Bonabeau et alii, Self-organization in social insects, “Trends in Ecology & Evolution”, 12/5, 1997, pp. 188-193; Id., Swarm intelligence: from natural to artificial systems, Oxford University Press, Oxford 1999. 20 K. N. Laland, M. J. O’Brien, Cultural Niche Construction: An Introduction, “Biological Theory”, 6/3, 2012a, p. 191. La Teoria della Costruzione della Nicchia include studi sulla costruzione della nicchia animale [D, Kirsh, Adapting the Environment Instead of Oneself; K. Sterelny, Social intelligence, human intelligence and niche construction, “Philosophical Transactions of the Royal Society B”, 362, 2007, pp. 719-730], la costruzione della nicchia umana [K. Sterelny, Social intelligence, human intelligence and niche construction; J. Kendal, J. J. Tehrani, J. Odling-Smee, Human niche construction in interdisciplinary focus, “Philosophical Transactions of the Royal Society B”, 366, 2011, pp. 785-792; K. N. Laland, M. J. O’Brien, Genes, Culture, and Agriculture. An Example of Human Niche Construction, “Current Anthropology”, Vol. 53, N. 4, 2012, pp. 434-470], la costruzione della nicchia sociale [P. A. Ryan, S. T. Powers, R. A. Watson, Social niche construction and evolutionary transitions in individuality, “Biology & Philosophy”, 31/1, 2016, pp. 59-79] e la costruzione della nicchia culturale [K. N. Laland, M. J. O’Brien, Cultural Niche Construction: An Introduction], ognuno dei quali sostiene che «L’evoluzione implica reti di causazione e retroazione in cui gli organismi precedentemente selezionati guidano i cambiamenti ambientali, e gli ambienti modificati dagli organismi susseguentemente selezionano inducendo cambiamenti negli organismi stessi» (J. Kendal, J. J. Tehrani, J. Odling-Smee,, Human niche construction in interdisciplinary focus, p. 785]. 21 Cfr. J. Sutton, Distributed Cognition. Domain and dimensions, “Pragmatics & Cognition”,

84


Filosofia e collettività

14/2, 2006, pp. 234-247. 22 Cfr. E. O. Wilson, Sociobiology: The new synthesis, Harvard University Press, Cambridge (Mass.) 1975. 23 Cfr. H. V. D. Parunak A survey of environments and mechanisms for human–human stigmergy, in D. Weyns, H. V. D. Parunak, F. Michel, a cura di, Environments for multi-agent systems II, Springer, Heidelberg 2006, pp. 163–186. 24 Cfr. B. Hölldobler, E. O. Wilson, The Superorganism. The Beauty, Elegance, and Strangeness of Insect Societies, Norton & Company, New York 2009. 25 Heylighen, Stigmergy as a universal coordination mechanism I: Definition and components. 26 Laland & O’Brien, Cultural Niche Construction: An Introduction, p. 197. 27 Heylighen, Stigmergy as a universal coordination mechanism I: Definition and components. 28 Cfr. L. Marsh, C. Onof, Stigmergic epistemology, stigmergic cognition, “Cognitive Systems Research”, 9/1-2, 2008, pp. 136-149. 29 Cfr. nota 13. 30 Cfr. H. Jonas, Lo Gnosticismo, SEI, Torino 2002. 31 Cfr. nota 26. 32 A. Clark, D. Chalmers, The Extended Mind, “Analysis”, 58, 1998, pp. 10-23. 33 Cfr. J. Sutton, Exograms and Interdisciplinarity: History, the Extended Mind, and the Civilizing Process, in R. Menary, a cura di, The Extended Mind, MIT Press, Cambridge (Mass.) 2010, p. 204. 34 K. Sterelny, Minds: extended or scaffolded?, “Phenomenology and the Cognitive Sciences”, 9, 2010, pp. 465-481. 35 D. Kirsh, The intelligent use of space, “Artificial Intelligence”, 73, 1995, pp. 31-68. 36 R. M. Keesing, Theories of Culture, “Annual Review of Anthropology”, 3, 1974, p. 89. 37 Idem, p. 91. 38 F. Remotti, Cultura. Dalla complessità all’impoverimento, Laterza, Roma-Bari 2011, p. 290.

85


Quaderni della Ginestra

INTERSOGGETTIVITÀ E DELIRIO: HUSSERL E BINSWANGER

S

quasi banale, ma spesso dimenticata, che l’empatia presuppone la corporeità viva (Leiblichkeit). La centralità della corporeità viva nei rapporti d’empatia si esprime,

copo di queste pagine sarà indagare come la concezione

nelle riflessioni husserliane, attraverso un tema che ritroviamo nelle

husserliana dell’empatia abbia influenzato gli studi di Ludwig

Meditazioni Cartesiane, in Idee II, ma soprattutto nei manoscritti di

Binswanger sul delirio, così come vengono esposti dallo psichiatra in

Husserliana XIII-XV, e cioè quello dell’empatia come scambio di

Melanconia e mania e in Delirio. Antropoanalisi e fenomenologia; si partirà

posizioni; attraverso questo tema, molto più complesso e articolato di

quindi da una breve esposizione del problema dell’empatia e della follia

quanto potrebbe apparire a prima vista, Husserl cerca infatti di

in Husserl, per poi passare ad analizzare alcuni punti salienti dell’analisi

dimostrare come l’empatia debba fondarsi su concrete possibilità di

binswangeriana.

partecipazione al punto di vista dell’altro – spazio dell’altro da intendersi non solo in senso metaforico, ma primariamente come vero e proprio

1. Husserl: empatia e scambio di posizioni

spazio altrui – e, in definitiva, come possa trovare fondamento

Prima di tutto vorremmo brevemente chiarire cosa si debba

un‘obiettività spazio-temporale intersoggettiva. Lo scambio di posizioni

intendere per empatia husserliana. La critica si è infatti spesso

non permette infatti solo una generale possibilità di variare la mia

focalizzata sul versante culturale dell’intersoggettività husserliana,

prospettiva sulle cose del mondo circostante, ma anche di individuare la

trascurando il ruolo “fondativo” dell’empatia, l’analisi dei suoi momenti

prospettiva dell’altro in un là preciso, che posso trasformare nel mio qui:

più passivi, legati ai processi fisici e psico-fisici; se si vuole invece

prendere coscienza dell’altro come un “analogo dell’io nel modo del là”

davvero comprendere in che modo l’alter-ego venga a rappresentare un

significa caratterizzare la posizione dell’altro come accessibile e

reale Mitsubjekt con una funzione costituente nei confronti del mondo,

raggiungibile, poter partecipare allo spazio dell’altro ed empatizzare le

si deve ripartire dall’analisi delle dinamiche empatiche più basilari,

manifestazioni altrui sul mondo, permettendo così la condivisione delle

dall’origine corporea del nostro rapporto con gli altri, dall’evidenza

cose.

86


Filosofia e collettività

Ciò che bisogna ora chiarire è la natura di questa partecipazione allo spazio altrui, che, come anticipato, non è affatto per Husserl da

singole manifestazioni, ma dei sistemi di manifestazione, condizione di possibilità di qualsiasi intesa intersoggettiva sul mondo.

intendersi in senso semplicemente metaforico o come ipotesi; se è

L’ipotesi di De Folter si chiarisce mettendo in luce il senso più

infatti indubbio che l’essenza dell’empatia husserliana risiede in

essenziale e fondativo dell’empatia intesa come scambio di posizioni,

un’assoluta differenziazione delle coscienze, e che quindi gli atti di

che appare come una vera e propria meditazione sul ruolo che spazio e

empatia possono essere sempre e solo presentificazioni – reali

tempo vengono a svolgere nelle dinamiche empatiche; spazio e tempo

manifestazioni percettive basate su una percezione empaticamente

occupano infatti un ruolo duplice, rivestendo sia una funzione

mediata – e mai esperienze percettive dirette, tutto ciò non riduce

“analogizzante”, che “differenziante” tra le monadi. La funzione

affatto le manifestazione altrui colte empaticamente a mere

“differenziante” si comprende facilmente nel momento in cui si scorge

supposizioni, tanto che Husserl arriva a parlare dell’empatia come di una

come spazio e tempo rappresentino il vero e proprio principium

vera e propria modalità percettiva di accesso al mondo, la quale si va ad

individuationis delle monadi husserliane, le quali, dotate di corporeità viva,

aggiungere a quelle da me possedute direttamente. Il modo in cui

sono per essenza differenti sia riguardo alla temporalità interna, sia

Husserl possa contemporaneamente sostenere che, da una parte,

riguardo all’individuazione nel Körper, attraverso il quale un soggetto

nell’empatia avviene un raddoppiamento della corporeità e della

occupa sempre una determinata posizione nello spazio-tempo

percezione sul mondo, e, dall’altra, l’impossibilità della coincidenza tra

intersoggettivo, posizione che nessun altro potrà venire a occupare nello

soggetti differenti, si comprende rivolgendoci ad esempio all’ipotesi di

stesso momento. La funzione “analogizzante” consiste invece nel fatto

Rolf De Folter1: ciò che Husserl vuole evidenziare attraverso lo scambio

che spazio e tempo rappresentano anche una forma comune di

di posizioni non è affatto una totale coincidenza tra le manifestazioni –

“stabilità”, in base alla quale le mondi non hanno sistemi di

e men che meno i vissuti – di ego e alter ego, bensì come tutti i soggetti

manifestazioni “slegati” gli uni dagli altri, ma differenti sistemi di

partecipino di un medesimo sistema di apparizione delle cose nella Welt;

manifestazioni che possono però armonizzarsi in un unico, universale,

ciò significa che l’identità che Husserl presuppone non è quella delle

intersoggettivo sistema di manifestazioni, che non è la semplice somma

87


Quaderni della Ginestra

dei singoli sistemi intersoggettivi, ma formazione di un’unità, una

scontata di soggetti „anomali“ dalla costituzione intersoggettiva.

legalità che vale stabilmente e per ciascuno allo stesso modo. Proprio

D’altronde, come sottolinea Vincenzo Costa, una primaria e universale

questa “funzione analogizzante” di spazio e tempo, in unione alla

normalità è premessa di ogni possibile normale esperienza del mondo,

condivisione di una medesima corporeità viva, di una medesima

in quanto permette l’esistenza dell’accordo tra i soggetti attraverso

sensibilità, pone per Husserl le basi per la creazione di un unico mondo

sintesi intersoggettive costitutive, «nelle quali i singoli soggetti

intersoggettivo, di una comunità monadica che possa davvero essere

correggono reciprocamente le loro esperienze o prendono atto di una

definita come un “noi”.

discordanza e di un disaccordo”3, confrontando le proprie percezioni con quelle degli altri e dando vita ad una vera e propria “ortoesteticità

2. Husserl: la normalità come presupposto involontario del discorso intersoggettivo

intersoggettiva»4. Ma in che modo l’altro può essere definito “normale”? La risposta

Già Husserl, però, analizzando la formazione del “mondo comune”,

husserliana è che tale riconoscimento può svilupparsi solo sulla base di

si era reso conto della possibilità di incrinature, di casi patologici in cui

una somiglianza (Ähnlichkeit) tra ego e alter-ego, somiglianza nella quale

lo scambio di posizioni sembra interrompersi e il soggetto

io stesso sono a fondamento; l’altro può essere in definitiva riconosciuto

disconnettersi dalla comunità. Questa presa di coscienza dell’esistenza di

come normale nel momento in cui corrisponde alle strutture costitutive

casi in cui un soggetto può arrivare addirittura a essere estromesso

della soggettività che io ritrovo in primis partendo da me stesso, e cioè

dall’accordo intersoggettivo, dalla partecipazione alla definizione delle

quando, direbbe Husserl, attraverso empatia, avviene un riempimento

oggettualità della Welt, va di pari passo con il riconoscimento della

percettivo di uno “stile d’essenza generale” che deve poter valere sia a

“normalità” quale presupposto essenziale di tutto il discorso

livello corporeo che psichico. Come già anticipato, il primo livello di

sull’intersoggettività; tale presupposto rimane spesso, a detta stessa di

normalità che dev’essere però riconosciuto nell’altro è senz’altro quello

2

Husserl , involontario e implicito, ma implica in realtà un’operazione

legato alla sfera corporeo-percettiva, come Husserl spesso ricorda sia in

estremamente problematica, e cioè proprio l‘esclusione tutt’altro che

Husserliana XIV che XV5; ciò significa che il mio Leib normale, fonte di

88


Filosofia e collettività

una normale esperienza della realtà, funge da Ur-Leib, origine di una Ur-

ricorda che sotto “normalità” dobbiamo intendere una pura possibilità

Norm in base alla quale il corpo dell’altro può acquisire immediatamente

ideale, «secondo cui se due individui normali scambiano i loro luoghi, o

il significato stesso di Leib: solo su questa base il processo di convalida

immaginano di scambiarli, e se i loro corpi vivi si trovano in uno stato

dell’analogia-normalità può poi proseguire, mostrandoci l’altro come un

normale-ideale, allora ogni individuo troverà nella sua coscienza le stesse

analogo-normale anche da un punto di vista più strettamente psichico, o

manifestazioni che prima erano state realizzate nella coscienza

interrompersi, come quando ci ritroviamo ad esempio di fronte a un

dell’altro».11

fantoccio6, o, caso ben più complesso, a un malato di mente. La

Bisogna in realtà precisare che non esiste per Husserl una normalità

normalità deve quindi essere tematizzata in primis in ambito estetico7,

“slegata” dalla sfera dell’anormalità: i due versanti del binomio

quale problema inerente alla costituzione stessa dell’esperienza, come

normalità-anormalità procedono per Husserl sempre parallelamente,

una forma relativa alla costituzione delle datità spaziali, delle cose

l’anomalia è sempre una modificazione della normalità, poiché, essendo

esterne e di ciò che è relativo alla propria corporeità vivente, come

la normalità astrazione, con quest’ultima si presentano subito anche le

Husserl ricorda ad esempio in HUA XIV8, proprio perché solo a partire

diverse anomalie possibili. Questo non significa che normalità e

da tale presupposto, al di là di ogni variazione soggettiva fattuale, come

anormalità siano poste sullo stesso piano, ma, potremmo dire, il

sottolinea Zahavi, i singoli soggetti dell’intersoggettività trascendentale

discorso è funzionale per sottolineare come nell’esperienza non si diano

risultano forniti di sistemi costitutivi tra loro corrispondenti e

mai soggetti perfettamente rispondenti all’ideale di normalità, ma sempre

consonanti9; la normalità diviene allora ciò che permette la costituzione

soggetti unici, con caratteristiche psico-fisiche che possono anche

della natura materiale stessa10, ciò che permette di avere il mondo in

deviare da tale ideale. Capiamo allora come il discorso husserliano sulla

modo concordante con gli altri soggetti, giungendo alla costituzione di

normalità divenga centrale nel contesto di quello più generale

una comunità normale d’esperienza e alla definizione di tutte quelle

sull’empatia e l’intersoggettività, poiché essenziale nel mostrare come il

oggettualità valide intersoggettivamente. In Problemi fondamentali della

rapporto con l’altro non sia affatto qualcosa di semplice e “automatico”,

fenomenologia. Lezioni sul concetto naturale di mondo (1910-1911), Husserl

neppure nei suoi livelli più basilari, in quanto confronto tra soggetti che

89


Quaderni della Ginestra

possono portare a concretizzazione le strutture della soggettività in

Husserl, nel momento in cui identifico in esso una determinata tipicità

modo anche molto differente; d’altra parte proprio in queste stesse

strutturale, questo non significa che la sfera di ciò che io riesco a

dinamiche empatiche sembrano esservi anche le risorse d’integrazione

riconoscere come analogo non possa subire, sulla base dei dati

intersoggettiva che possono permettere una continua opera di

dell’esperienza stessa, forme di rimodulazione e ampliamento,

armonizzazione tra i diversi soggetti e la loro integrazione nella

mostrandomi possibilità di variazione inattese, inizialmente non

comunità intersoggettiva. Anzi, proprio in questi casi di anomalia,

considerate, ma che si rivelano invece possibili forme di analogia; può

Husserl sembra riconoscere addirittura un potenziale per l’ampliamento

così anche darsi il caso di soggetti che, in un primo momento “esclusi”

delle stesse strutture intersoggettive, una prospettiva differente sul

dalla sfera della normalità, possono poi invece esservi ricompresi. Non

mondo che può ad esempio rivelare alla comunità caratteristiche

ogni discordanza è infatti così radicale da non permettere un’intesa

inaspettate di un’oggettualità. L’empatia si viene infatti a declinare come

intersoggettiva sul mondo circostante, come dimostra l’esempio caro a

un incontro tra diverse normalità, come un confronto tendente

Husserl del daltonismo. Il concetto di anomalia è infatti considerato da

all’ottimo, a un’intersoggettività che non è mai pre-costituita, ma sempre

Husserl in modo così ampio, da ricomprendere gran parte delle possibili

in tensione e movimento, rivolta ad una costituzione del mondo sempre

deviazioni dalla normalità, da quelle davvero minime, come il

più disponibile a ricomprendere elementi a prima vista insoliti e

daltonismo, fino, addirittura, alla considerazione di specie diverse da

inaspettati12; come Husserl ricorda in HUA XV13, la costituzione del

quella umana. Lo scopo del padre della fenomenologia sembra proprio

mondo procede attraverso il passaggio da orizzonti conosciuti ad

essere, anche attraverso la considerazione dei casi border-line – animali,

orizzonti sconosciuti, da cui emerge come non ogni anomalia sia un

bambini, malati di mente, popolazioni primitive e, addirittura, piante –,

semplice disturbo della normalità e come le anomalie stesse possano

quello di utilizzare il concetto di anomalia così ampliato come “banco di

avere la funzione positiva di conferire al reale tratti nuovi e inattesi,

prova” per testare i confini estremi della costituzione intersoggettiva,

divenendo centri propulsori per l’avanzamento della costituzione stessa.

mostrando come le “possibilità di variazione” possano anche rivelarsi

Se il riconoscimento dell’alter avviene infatti fondamentalmente, per

ben più ampie rispetto a quelle che potevamo da principio immaginare e

90


Filosofia e collettività

come l’analogia possa attivarsi anche in casi inattesi, ampliando la sfera della normalità stessa.

mondo e agli altri16. Potremmo ad esempio confrontare il caso del daltonismo, anomalia che rientra nella normalità e rappresenta un impedimento limitato allo

3. Husserl: la follia

scambio di posizioni, e quello della follia grave, che rappresenta invece

Punto essenziale diviene allora comprendere come si possa

per Husserl il caso di maggior impedimento allo scambio di posizioni.

distinguere tra le anomalie che possiamo considerare parte integrante

Il daltonico è considerato17, nel complesso, una persona normale, la

della costituzione “normale” e quelle che invece non rientrano in questa

quale, nel confronto intersoggettivo, mostra però una visione distorta di

costituzione. Il criterio di distinzione sembra essere per Husserl proprio

alcuni colori; egli non ha anomalie direttamente legate al Leib e

quello dell’apertura o chiusura che le diverse anomalie consentono nei

immediatamente riconoscibili a livello intersoggettivo, ma, non appena

confronti della partecipazione al mondo intersoggettivo: se infatti la

si annulli l’astrazione alla primoridalità, appare subito evidente come

maggior parte delle anomalie consentono comunque al soggetto di

possegga manifestazioni anomale, coglibili dagli altri mediatamente

essere parte integrante di una comunità, vi sono invece anche casi di

attraverso l‘empatia18. La visione anomala dei colori da parte del

“variazione radicale”, potremmo dire, che sembrano davvero mettere a

daltonico è però un’anomalia che non mette a repentaglio lo scambio di

repentaglio questa partecipazione al mondo intersoggettivo, come

posizioni e l’empatia, perchè, come Husserl chiarisce in HUA XV19, il

Husserl ricorda ad esempio in HUA XV14; in particolare la “gravità”

daltonico percepisce sì alcuni colori in modo differente, ma percepisce

delle anomalie in riferimento all’intersoggettività sembra potersi

pur sempre i colori ed è possibile tra la sua e la mia visione dei colori un

misurare per Husserl proprio in base alla possibilità di effettuare o meno

processo di Farbengleichung: il daltonico costruisce20 il mondo proprio

lo scambio di posizioni15. Questo non significa, specifica Husserl, che io

come le persone normali e la sua distorsione circa la visione dei colori

non possa intendermi con coloro che presentano anomalie, ma è

può trovare dei “correttivi” attraverso il rapporto intersoggettivo,

necessario chiedersi fino a che punto si possa deviare dalla normale

cosicché egli può rendersi conto non del fatto che le sue manifestazioni

costituzione psico-fisica senza eliminare i presupposti per la relazione al

siano sbagliate, ma del fatto che esse rappresentino una deviazione

91


Quaderni della Ginestra

rispetto alla norma; presa coscienza di ciò che lo rende in accordo con

l’esperienza del daltonico e quella del normo-vedente, allo stesso modo

gli altri e di ciò che invece lo differenzia, non vi è alcun motivo per il

sembrano per Husserl darsi casi di follia in cui il vuoto di razionalità

quale il daltonico non possa inserirsi nella comunità monadica e nel

può essere integrato attraverso un confronto con le esperienze della

processo di costituzione intersoggettiva della realtà.

comunità monadica di soggetti razionali. I problemi veri e propri

Nel caso invece della pazzia, Husserl sottolinea prima di tutto che

emergono purtroppo nel caso in cui la pazzia diviene così totalizzante

possono esistere casi meno gravi di pazzia, in cui le esperienze anomale

da non permettere più la normale costruzione del mondo, chiudendo il

sembrano poter essere “integrate” da quelle normali della comunità

soggetto in un vero e proprio stato di solipsismo: è il caso al quale

intersoggettiva21; proprio in questi casi si mostrerebbe per Husserl il

sembra

potere che l’empatia ha di aprire a nuove modalità di esperienza:

(Wahrnehmungsverrücktheit)23, condizione nella quale il soggetto sembra

attraverso l’empatia io non ho più infatti a disposizione solo le mie

non riuscire più a cogliere un mondo unitario attraverso la percezione e

esperienze, ma anche quelle dell’altro, anzi, dell’intera comunità

rimanere così ingabbiato in un‘esperienza radicalmente anomala del

intersoggettiva, accedendo (accesso indiretto, ma non per questo meno

mondo circostante, un’esperienza che sembra davvero mettere in scacco

reale) a una sfera di rappresentazioni indirette22 che possono essere

la possibilità dello scambio di posizioni e dell’empatia. Quando infatti la

centrali non solo per il riconoscimento, ma anche per una qualche

costruzione del mondo circostante perde le linee costitutive

forma di “superamento” delle anomalie stesse. L’empatia svela allora,

fondamentali dettate dalle sintesi passive, quando ciò che più dovrebbe

anche nel caso delle anomalie, il proprio potere costitutivo, fungendo da

essere immediato ed evidente diviene confuso, senza senso,

vero e proprio elemento di “integrazione” nei casi in cui le normali

radicalmente unheimlich, allora sembrano davvero vacillare per Husserl le

facoltà non permettono una normale partecipazione al processo di

possibilità di comprensione, perchè in questo caso il malato psichico

costituzione intersoggettiva: così come nel caso del daltonismo esisteva

sembra davvero intrappolato in un mondo che non rivela vie d’accesso

la possibilità, attraverso empatia, di confrontare e, per così dire,

alla realtà e agli altri. Con il daltonico, con molti malati psichici esistono

“uniformare” i colori, instaurando una connessione intersoggettiva tra

possibilità di comprensione e di confronto, esistono vie d’ingresso ai

rinviare

il

concetto

di

“pazzia

percettiva”

92


Filosofia e collettività

loro “mondi anomali”, ma, nel caso di colui che perde quelle linee di

anche la possibilità di partecipazione alla comunità intersoggettiva;

strutturazione del mondo che normalmente accomunano e metteno in

anche per Binswanger quindi, proprio come per Husserl, la possibilità di

relazione ogni monade, diviene difficile ritrovare una possibilità di

accesso alla realtà condivisa si fonderebbe proprio nella possibilità di

relazione. È per questi motivi che i casi più gravi di pazzia sono allora

prendere parte al punto di vista dell’altro, nel senso di una condivisione

avvicinati da Husserl a una vera e propria condizione di solipsismo, di

percettivamente fondata in un’eguaglianza di base delle strutture

isolamento, nella quale la fiducia nell’esperienza è rotta e il mondo

d’accesso al mondo. In questo senso è significativo che, in Melanconia e

appare senza costanti coordinate di riferimento. Può così esservi, come

Mania, Binswanger senta l’esigenza di partire proprio da quella che lui

ricorda Breyer, una sorta di analogia tra la morte e la follia, poichè

chiama la “presupposizione trascendentale di Husserl”, ripresa da Logica

entrambe ci pongono fuori dal mondo24, ci privano delle connessioni

formale e trascedentale: «il mondo reale esiste nella presunzione prescritta

spazio-temporali, delle coordinate passive essenziali per esperire il

che

mondo e l’altro.

costitutivo»25; ciò significa che il mondo reale deve essere coerente, che,

l’esperienza

continui

costantemente

nel

medesimo

stile

come sottolinea Besoli, deve avere una “struttura generale” che non sia 4. Binswanger: la perdita di esperienza naturale nel delirio

frutto di una mera contingenza, ma espressione della necessità inerente

Nei suoi studi sulla mania e la melanconia, Ludwig Binswanger, il

ad una “tipologia essenziale”, tanto che nel discorso binswangeriano si

quale, come risaputo, ha sempre trovato in Husserl una fonte di

va addirittura a innestare «una tematica ontologica volta a reperire le

“sistematizzazione” del proprio materiale psichiatrico, riprende questa

strutture invarianti che qualificano l’esperienza mondana, a partire dalla

concezione husserliana dell’empatia come base per la creazione di un

sostanziale stabilità che si evidenzia sul terreno percettivo»26. Di solito

mondo comune e mostra come, interpretando il delirio maniacale e

l’esperienza percettiva scorre indisturbata, appunto in una coerenza che

melanconico

trascendentali

lega il livello personale con quello intersoggettivo, ma può anche

attraverso le quali si può accedere al mondo – spazialità, temporalità,

accadere, come già sottolineato ampiamente da Husserl, che questa

corporeità – si interrompa non solo la continuità dell’esperienza, ma

coerenza si spezzi, che «subentrino esperienze percettive devianti,

93

come

modificazione

delle

strutture


Quaderni della Ginestra

ingannevoli o perfino deliranti, tali da negare così la consueta fiducia

alla relativa deformazione o distruzione parallela di io e mondo, poiché,

percettiva»27; la presupposizione trascendentale si infrange e il mondo si

lo ricordiamo, nella prospettiva di Husserl come di Binswanger, non si

trasforma in caos, tanto che, sottolinea Binswanger28, per gli

dà mai un io privo di mondo, un io slegato da una Umwelt di riferimento.

schizofrenici si arriva addirittura a parlare di un “sentimento della fine

I casi analizzati da Binswanger in Melanconia e Mania e in Delirio

del mondo”, in cui si ha una vera e propria “perdita di realtà”. In tal

sembrano infatti del tutto assimilabili ai casi di pazzi percettiva di cui

senso non possiamo che concordare con Besoli sul fatto che il discorso

parlava Husserl, casi in cui vengono a mancare le basi percettive sulle

sulla follia e sullo sgretolarsi della coerenza percettiva risulti essere di

quali fondare la fiducia nella coerenza strutturale dell’esperienza, tanto

fondamentale importanza per tutta la fenomenologia genetica

da far crollare ogni possibilità di costruire un mondo unitario, che possa

husserliana, poiché è grazie ad esso che si apre la necessità di impostare

essere condiviso con gli altri; la normale strutturazione di temporalità-

«à rebours un’indagine genetico-costitutiva che faccia emergere il senso

spazialità-corporeità subisce perturbazioni tali da non permettere più

della tipizzazione ideale cui siamo soliti conferire il titolo di normalità»29:

empatia, da non permettere più uno scambio di posizioni, costringendo

come già messo in luce, il discorso husserliano sull’intersoggettività non

il soggetto ad una vita di isolamento e confusione.

può prescindere da un’analisi della normalità come presupposto

Analizzando più in particolare i casi di destrutturazione delle

involontario, idealizzazione percettiva, che può emergere chiaramente

strutture essenziali di accesso al mondo, vorremmo partire dall’analisi

soprattutto in negativo, e cioè prendendo in considerazione i casi in cui

della temporalità delirante, poiché anche in Binswanger, così come in

la percezione si allontana dall’idealizzazione e prende vie caotiche e

Husserl, la dimensione della temporalità sembra possedere una decisiva

inattese. Proprio su questi percorsi caotici e inattesi si è soffermato

preminenza.

Binswanger, il quale in Delirio30 arriva addirittura a definire la

In Melanconia e Mania, Binswanger propone un’interpretazione di

fenomenologia husserliana come prima dottrina in grado di chiarire cosa

queste due patologie, appunto melanconia e mania, come due differenti

si debba intendere per pazzia: una deformazione o distruzione

forme di scioglimento dei legami costitutivi trascendentali e, in

dell’intero complesso della coscienza, della “costituzione”, che conduce

particolare, come problemi relativi in primis proprio a una deficitaria

94


Filosofia e collettività

strutturazione della temporalità interna, alla quale conseguono

connessione biografica, come idee puramente presenti, allora diviene

perturbazioni anche nella strutturazione della temporalità obiettiva e nel

impossibile sia la strutturazione della temporalità interna come flusso di

rapporto con gli altri31. In particolare Binswanger inizia dall’analisi della

vissuti con una sua logica interna33, sia, di conseguenza, la strutturazione

melanconia, descritta come un disturbo nei momenti intenzionali che

della temporalità oggettiva che su quella della temporalità interna si

strutturano l’oggettività temporale (protentio-retentio-presentatio), tale da

basa. Questo punto è sottolineato da Binswanger anche in Delirio34, in

condurre a una modificazione dello stile globale dell’esperienza e al

cui viene messo in luce come nel delirio la deformazione della

rischio di una vera e propria perdita di quella che Husserl avrebbe

percezione della realtà derivi direttamente da una deformazione delle

chiamato “continuità dell’esperienza naturale”. Anche la mania appare

regole della coscienza; infatti il tempo inteso come coscienza interna del

in definitiva come un disturbo relativo alla costituzione intenzionale

tempo non è più un flusso motivazionale, ma è fermo e, di

dell’oggettività temporale, ma si presenta soprattutto come un problema

conseguenza, la costituzione delle prestazioni della coscienza e

relativo

dell’alter-ego:

dell’esperienza non segue le stratificazioni suggerite dalla cosa stessa,

l’impossibilità di inserimento del soggetto nella temporalità oggettiva

non c’è prosecuzione delle prescrizioni naturali dei rimandi ed emerge

comune crea infatti un’impossibilità strutturale di partecipazione alla

un’impossibilità strutturale d’inserimento in un mondo oggettivo

comunità intersoggettiva; riprendendo infatti la famosa distinzione

comune.

all’appresentazione,

alla

costituzione

husserliana della Quinta Meditazione Cartesiana tra mondo primordiale del

Tutto ciò risulta molto evidente nel caso di mania di Elsa Strauss,

singolo e mondo intersoggettivo, Binswanger chiarisce che il mondo

esposto da Binswanger in Melanconia e Mania. Elsa è una colta madre

comune non si struttura solo tramite presentazioni dirette nel mio

tedesca, che dovette subire vari ricoveri a causa di periodi in cui

flusso vitale, ma anche tramite l’azione dell’appresentazione, che supera

presentava una forma maniacale a tratti anche violenta; Binswanger ci

il mio flusso vitale attraverso rinvii oggettivi e biografici32: nel momento

dice:

in cui questi rinvii non si appoggiano ad alcuna connessione temporale, ma si presentano come una “fuga di idee” al di fuori di ogni

95

«Abbiamo scelto questo caso, perché il comportamento presentato dalla


Quaderni della Ginestra

malata, che entra in chiesa durante la funzione e s’intrattiene con l’organista

appresenta solo come suonatore d’organo, ma anche come partecipante alla

mentre sta suonando, ci pare particolarmente significativo per la nostra

funzione religiosa: non vi è quindi mondo comune tra lui e la paziente e la

indagine sullo scacco dell’appresentazione e sull’impossibilità di costituzione di

comunità dei fedeli»36.

un mondo comune nella mania»35.

Husserl direbbe che Elsa non ha percezione del qui-ed-ora del Per spiegare il caso Strauss, Binswanger sceglie infatti di soffermarsi

suonatore o dei fedeli ed è quindi per lei strutturalmente impossibile

su un particolare episodio: Elsa entra in una chiesa dove si sta

effettuare con questi ultimi lo scambio di posizioni, vivere un contesto

svolgendo una funzione e dove un suonatore d’organo sta suonando per

comune; è come se Elsa vivesse di puri presenti isolati, che non le

i fedeli, e, incurante della situazione, si dirige direttamente verso il

consentono una continuità biografica: un’«assoluta deficienza di

suonatore per lodarlo e chiedergli lezioni, ovvero compiere delle azioni

un’autentica temporalizzazione»37, sostiene Binswnager, non permette

che, se in sé non avrebbero nulla di strano, risultano del tutto inadeguate

ad Elsa di uscire dal suo mondo primordiale, di inserirsi nella

al contesto. Il problema di Elsa sta d’altronde proprio nella mancata

temporalità oggettiva e di cogliere le appresentazioni. Non dobbiamo

percezione del contesto, di quel mondo comune che viene invece

infatti dimenticare che lo scacco relativo all’esperienza del mondo e

condiviso dal suonatore d’organo e dai fedeli:

dell’alter rinvia allo scacco dell’esperienza costitutiva dell’ego, infatti proprio Husserl, ricorda sempre Binswnager, ha dimostrato che

«l’organista è presente a se stesso insieme con l’appresentazione o presentificazione partecipativa, suonando l’organo, a una funzione religiosa in

«se non ho alcuna comprensione dell’altro, ho perduto anche la capacità

chiesa; la folla dei fedeli ha in comune con lui quest’appresentazione, che

d’attuare il mio proprio Io. La nostra malata non può comprendere l’organista

costitutisce il loro (dell’organista e della comunità) mondo oggettivo comune e

nel pieno senso appresentativo, poiché ella stessa non ha l’appresentazione del

la loro comune "oggettività" come "presente". La malata non "condivide"

proprio ego; e ciò, lo ripetiamo, per il disturbo menzionato nella costruzione

affatto quest’appresentazione, ella non vi «partecipa» affatto; ella si appresenta

intenzionale dell’oggettività temporale, per lo scacco in essa dei momenti

solo l’uomo che suona l’organo con tanta abilità. Quest’uomo però non si

retentivi e protentivi»38. 96


Filosofia e collettività

In Delirio troviamo invece un’esemplificazione di come nel delirio vi

fuori strada il fitto "intreccio" con gli altri, l’ininterrotta, tormentosa

sia una distorsione non solo della temporalità interna ed esterna, ma

dipendenza da loro. Al contrario il profondo difetto nella possibilità di

anche delle stesse strutture spaziali sia esterne, che interne, corporee, la

oltrepassare il proprio mondo vitale è proprio la condizione di possibilità di

cui integrità è la chiave d’accesso a un mondo condiviso.

questa dipendenza. Gli altri non sono più qui un alter ego, cioè uomini come

Nel caso di Aline troviamo ad esempio sia l’esperienza della deformazione della propria corporeità che dello spazio esterno. Aline vive infatti una corporeità che non sembra appartenerle più

me o compresenti con me [Mitmenschen], ma anonimi spiriti tormentatori, amplificatori e ripetitori dei miei pensieri, anonime potenze (diaboliche) o macchinazioni»40.

direttamente, del tutto sollevata alla “modalità plurale”, allo stesso tempo abbandonata all’altro e incapace di aprire al mondo: Aline

L’esperienza di questo doppio stato di Aline, in cui, come chiarisce

«addirittura appartiene "in parte" agli altri, sia fisicamente sia

Bianca Maria d’Ippolito41, l’oppressione o lo spaesamento (unheimlich)

mentalmente. Il suo corpo le appartiene solo fino alla linea degli occhi,

divengono le strutture fondamentali dell’essere-nel-mondo, è chiarito

la scatola cranica col cervello (in lei = l’anima) "appartiene a tutto il

anche attraverso la percezione dello spazio che, se da un lato diviene

mondo"»39. Aline si trova dunque in una sorta di contemporaneo stato

opprimente, stretto, limitante le possibilità dell’esserci, allo stesso tempo

di chiusura totale all’alter e al mondo intersoggettivo, da una parte, e,

si allarga, creando una commistione tra spazio proprio e spazio

dall’altra, all’abbandono di se stessa in una modalità del tutto plurale,

oggettivo; lo spazio proprio si disintegra, non può più fungere da base

alla mercè del mondo e degli altri, che non rappresentano più un reale

per

alter ego:

temporale, in cui la mancata strutturazione della temporalità interna non

quello oggettivo, proprio come avveniva per la dimensione

permetteva la formazione di quella oggettiva. «nell’esempio di Aline vediamo che nel delirio non si può più di fatto

La deformazione della corporeità è tema anche del caso August

superare il proprio mondo vitale e non è possibile un’intesa comunicativa con

Strindberg descritto da Binswanger sempre in Delirio; qui il mondo non

gli altri (sulla base dell’appresentazione). A questo riguardo non ci deve portare

comincia più dalla percezione reale, dall’esperienza naturale, ma

97


Quaderni della Ginestra

dall’Invisibile, da «appresentazioni "personali" e "sovrapersonali" senza

ancora da meditare sul confronto tra Husserl e Binswanger sui temi

presentazione alcuna, o meglio di puri e semplici alter ego che però non

dell’empatia e della follia come scioglimento dei legami trascedentali; in

traggono "senso e conferma" dal nostro proprio ego, semplicemente

secondo luogo vorremmo sottolineare un altro punto che sembra

perché essi mancano del senso della corporeità vissuta [Leiblichkeit]

avvicinare molto i due pensatori, e cioè che anche nei casi più gravi di

(nostra propria)»42. La modalità d’esperienza di Strindberg si comprende

follia sia comunque necessario e possibile impegnarsi per comprendere

infatti solo a partire dalla sua esperienza corporea gravemente

il mondo e il progetto nascosti dietro la confusione, bisogna provare a

perturbata da sensazioni fisiche elettriche, magnetiche, meccaniche, dai

rintracciare un ordine che possa dare un senso e offrire una possibilità

fenomeni di schiacciamento, risucchiamento, etc. che rendono uguali

alla relazione: questa è di sicuro una delle lezioni husserliane che la

persone vive e concrete a forze, demoni e spiriti. In sintesi la

psicopatologia fenomenologica di Biswanger ha cercato di recepire.

deformazione nella percezione della corporeità propria crea, da una

Nihil humani a me alienum puto: dove esiste soggettività esiste possibilità di

parte, una deformazione nella corporeità dell’alter, visto che, come

relazione, anche nei casi all’apparenza più disperati, dove lo psichico

direbbe Husserl, la corporeità vissuta propria è assente e non può quindi

sembra riuscire a influenzare a tal punto il fisico da privare il soggetto di

essere trasferita all’alter per analogia, dall’altra un’esperienza del mondo

spazio e tempo, ponendolo in una condizione nella quale egli viene in

in contrasto con l’esperienza naturale del mondo, la quale dovrebbe

definitiva privato della basilare possibilità di inserimento nel mondo.

basarsi sull’intenzionalità d’orizzonte43, che non prevede possibilità arbitrarie di riempimento, bensì possibilità prestabilite secondo il loro

DANIELA BANDIERA

tipo d’essenza, dove ogni esperienza rimanda ad altre esperienze secondo modalità e regole determinate e connesse a priori. Conclusione In conclusione vorremmo ricordare in primis che molto ci sarebbe

Vedi R. de Folter, Reziprozität der Perspektiven und Normalität bei Husserl und Schütz, in R. Grathoff, B. Waldenfels, a cura di, Sozialität und Intersubjektivität, Wilhelm Fink Verlag, München 1983, p. 162. 2 Vedi E. Husserl, Zur Phänomenologie der Intersubjektivität, Texte aus dem Nachlass, Dritter Teil: 1929-1935, HUA XV, I. Kern, a cura di, Martinus Nijhoff, Den Haag 1973, p. 135. 3 V. Costa, Husserl, Carocci, Roma 2009, p. 125. 1

98


Filosofia e collettività

Ibid. Vedi ad esempio p. 69 di HUA XV e p. 123 di HUA XIV, dove Husserl ricorda che gli uomini sono definiti “normali” prima di tutto in quanto essi posseggono una Leiblichkeit normale e normali organi di percezione, i quali, in unione ad una psichicità normale, permettono una normale esperienza del mondo circostante. 6 Husserl analizza il caso del fantoccio ad esempio al Testo 14 di HUA XIII. 7 Sull’argomento si veda ad esempio A. Steinbock, Home and beyond: generative phenomenology after Husserl, Northwester University Press, Evanston 1995. 8 E. Husserl, Zur Phänomenologie der Intersubjektivität, Texte aus dem Nachlass, Zweiter Teil: 1921-1928, HUA XIV, I. Kern, a cura di, Martinus Nijhoff, Den Haag 1973, p. 68. 9 Vedi D. Zahavi, Husserl und die transzendentale Intersubjektivität, Kluwer, Dordrecht 1996, p. 84. 10 Vedi ad esempio E. Husserl, Zur Phänomenologie der Intersubjektivität, Texte aus dem Nachlass, Erster Teil: 1905-1920, HUA XIII, I. Kern, a cura di, Martinus Nijhoff, Den Haag 1973, Testo 14. 11 E. Husserl, I problemi fondamentali della fenomenologia. Lezioni sul concetto naturale di mondo (1910-1911), trad. it. di V. Costa, Quodlibet, Macerata 2008, p. 10. 12 Vedi ad esempio HUA XIV, pp. 133-134. 13 Vedi Appendice XXVI, HUA XV. 14 Vedi ad esempio HUA XV, p. 162. 15 Vedi ad esempio l‘Appendice II di HUA XV. 16 Vedi ad esempio il Testo 16 di HUA XIV. 17 Vedi ad esempio il Testo 11 di HUA XV. 18 Vedi ad esempio il Testo 3 di HUA XIV. 19 Vedi l’Appendice II di HUA XV. 20 Ricordiamo infatti con Breyer che la costruzione della normale Welt non è per Husserl legata primariamente a dinamiche logico-categoriali, ma all’esperienza ante-predicativa e, in generale, a tutto ciò che la fenomenologia pone sotto il titolo di passività (vedi T. Breyer, Unsichtbare Grenzen. Zur Phänomenologie der Normalität, Liminalität und Anomalität, in P. Merz, A. Staiti, F. Steffen, a cura di, Geist, Person, Gemeinschaft. Freiburger Beiträge zur Aktualität Husserls, Ergon, Würzburg 2010, p. 112). 21 Vedi ad esempio il Testo 2 di HUA XV. 22 In particolare all’Appendice XIII di HUA XIV, Husserl mostra come il riconoscimento e il “superamento” delle anomalie possa essere “solipsistico” (esempio del cieco che riacquisisce la vista attraverso un’operazione), ma anche intersoggettivo, 4 5

99

attraverso le “rappresentazioni indirette” derivanti dall’empatia. 23 Vedi ad esempio l‘Appendice XIII di HUA XIV. 24 Vedi T. Breyer, Unsichtbare Grenzen, p. 118. 25 L. Binswanger, Melanconia e Mania, trad. it. di M. Marzotto, a cura di E. Borgna, Bollati Boringhieri, Torino 2015, p. 22. 26 S. Besoli, Vorwärts zu Husserl: il pendolo della ricerca binswangeriana e il suo oscillare verso il compimento della fenomenologia, in L. Binswanger, Esperienza della soggettività e trascedenza dell’altro, a cura di S. Besoli, Quodlibet, Macerata 2007, p. 395. 27 S. Besoli, Vorwärts zu Husserl, p. 395. 28 Vedi L. Binswanger, Melanconia e Mania, p. 22. 29 S. Besoli, Vorwärts zu Husserl, p. 395. 30 L. Binswanger, Delirio, trad. it. di G. Giacometti, a cura di E. Borgna, Marsilio, Venezia 1990, p. 121. 31 Vedi L. Binswanger, Melanconia e Mania, p. 24. 32 Ivi, p. 71. 33 Ricordiamo che per Husserl questa logica interna è quella della motivazione, differente per ogni soggetto. 34 Vedi L. Binswanger, Delirio, p. 23. 35 L. Binswanger, Melanconia e Mania, p. 74. 36 Ivi, p. 75. 37 Ivi, p. 77. 38 Ibid. 39 L. Binswanger, Delirio, p. 66. 40 Ivi, p. 69. 41 B. M. d’Ippolito, La cattedrale sommersa, Franco Angeli, Milano 2004, p. 80. 42 L. Binswanger, Delirio, p. 119. 43 Vedi L. Binswanger, Delirio, dove il riferimento esplicito è ad Idee per una fenomenologia pura e una filosofia fenomenologica I, di E. Husserl.


Quaderni della Ginestra

SHARED EMOTIONS AND COLLECTIVE AFFECTIVE INTENTIONALITY 

T

of shared emotions? I will not answer these questions one after the other, but rather proceed in three steps. First, I set the stage for the following discussion

he aim of this paper is to present an account of shared emotions

of shared emotions by providing an overview of the major theories in

and to embed it within a broader understanding of collective

philosophy of emotion, focusing on how the rather new debate on

affective intentionality. I use the phrase collective affective intentionality as an

shared emotions emerged. Second, I present my account of shared

umbrella term covering all possible forms of feeling together. The term

emotions based on a phenomenological approach to collective affective

shared emotion, in contrast, is used to refer to a particular type of episode

intentionality. Third, I contextualize this account within a broader

of feeling together – episodes that are defined by the sharing of emotions,

understanding of collective affective intentionality and draw attention to

in contrast to other forms of feeling together.

the social dynamics into which feeling together is embedded.

Over the course of this paper, I will address four questions concerning shared emotions: (1) What is a shared emotion? This question

1. Setting the stage: shared emotions within philosophy of emotions

addresses the specificity of the sharing of emotions in contrast to the

20th century philosophy of emotion has been dominated by two

sharing of other mental states like beliefs or intentions. (2) How is an

broad traditions: somatic feedback theories1 and cognitivist theories2.

emotion shared? This question concerns the collectivity constitutive of

Each of these approaches faces a key challenge: For somatic feedback

the sharing of an emotional episode. (3) What are the conditions of

theories, which understand emotions primarily as physiological processes,

possibility for the sharing of emotions? This issue addresses the social

the challenge is how what they describe as an emotion is intentional.

mechanisms that need to be in place to enable the sharing of emotions.

For cognitivist theories, which understand emotions primarily as evaluative

It will also concern the contextualization of shared emotions within the

judgments, the challenge is how what they describe as an emotion is

broader field of collective affective intentionality. Dealing with this third

affective. These two challenges are condensed into the formula of

issue will point towards a fourth question: (4) What are the social functions

affective intentionality3. Affective intentionality refers to affective states as 100


Filosofia e collettività

being intentional and affective. The leading intuition is that in the case of affective intentionality, «the intentional and the phenomenal aspect» are

For the remainder of this paper, I will follow and further develop this phenomenological approach to affective intentionality.

«intertwined in such an inextricable way as to make the intentionality of

After this preliminary definition of affective intentionality, I will

an emotion be a matter of its specific phenomenology»4. The focus on

continue with an overview of received accounts of collective affective

the intertwining of intentionality and phenomenology has led to what

intentionality8. To my knowledge, there are no accounts of collective

might be called a phenomenological turn in the philosophy of emotion5.

affective-intentional states from the point of view of somatic feedback

Let me introduce this thought via Bennett Helm’s understanding of

theories. There appears to be a good reason for this: If we understand

emotions as “felt evaluations”6. Helm’s aim is to account for the

the body as «the theatre of emotions» 9, it is reasonable to assume that

emotionality of emotions while maintaining their intentionality. He does

emotions are always felt within one’s own body. If this is the case, it

so by claiming that emotions are mental states sui generis, uniquely

appears doubtful whether something like a truly collective emotion can

characterized by an evaluative content that is eminently affective. Helm

exist. If the ability to experience emotions is necessarily linked to

develops his account in opposition to cognitivism, which reduces

having a body, conceiving of collectives having emotions appears

emotions to cognitive states (possibly in combination with conative

impossible. This thought is based on a very powerful intuition:

states). In contrast, Helm argues that

individualism about feelings. Hans Bernhard Schmid explicated this intuition in a 2008 paper, which has become seminal for the debate on shared

«emotions do not merely involve some pleasant or painful sensation among

emotion. He did so by differentiating three interrelated claims of

other components, as cognitivist theories require. Rather, they are pleasures

individualism about feelings: (1) ontological individualism, according to

and pains and can be re-described as such: to be afraid is to be pained by

which feelings as conscious states are always ontologically subjective, i.e.

danger (and not by one's stomach); such a pain is not a component of, but is

part of the experience of an individual; (2) epistemological individualism,

rather identical with, one's fear»7.

which holds that individuals have only access to their own feelings; and (3) physical individualism, which claims that individuals experience feelings

101


Quaderni della Ginestra

as localized in their own body10. If individualism about feelings is right,

understanding of collective emotions.

it appears doubtful whether theories that maintain a constitutive relation

Despite these advantages, cognitivist accounts like Gilbert’s

of emotions with feelings can conceptualize something like a genuinely

encounter a serious challenge. I take this challenge to be so serious that

shared emotion.

I will suggest that it is more promising to follow the sketched

In contrast, there is an easy path for cognitivist theories to extend

phenomenological approach to an understanding of collective affective

their approach to an account of collective emotions. Cognitivist theories

intentionality. Cognitivist theories face what Helm12 called the “problem

can simply treat collective affective intentionality as a special case of

of emotionality”. Put bluntly, the question is whether what Gilbert is

collective intentionality. This is the approach Gilbert11 took in her

conceptualizing is in fact a collective emotion. The worry that this is not

seminal paper on “Collective Guilt and Collective Guilt Feelings”.

the case can be made plausible via two questions: (a) What distinguishes

Gilbert suggests understanding a collective emotion as a joint

collective guilt from the judgment that one is guilty?13 (b) What

commitment to an evaluative judgment. What is collective in a collective

distinguishes collective guilt from the joint commitment to feel guilty?14

emotion is the evaluative judgment. Insofar as emotions are also

It appears intuitively plausible that we should be able to make these

constituted by an action tendency, a collective emotion might also

distinctions, but it appears doubtful whether Gilbert can provide us

involve a joint intention. In contrast, it is contingent whether the

with the conceptual tools for making them. It is obvious that she cannot

partaking individuals have corresponding feeling sensations. This

refer to feelings for this task, as she holds that it is contingent whether

solution has two advantages. First, it allows to think collective affective

feelings accompany an emotion. And she does not provide any other

intentionality equivalent to collective cognitive intentionality and collective conative

component that might serve this task. Thus, I agree with Salmela’s15

intentionality, which keeps the theory simple and on well-established

observation that the joint commitment Gilbert describes appears to

conceptual grounds. Second, this solution avoids the challenge of

establish a feeling rule rather than an actual emotion16.

individualism about feelings. Since feelings play no constitutive role for

Against this background, we can make sense of Schmid’s17

emotions, individualism about feelings is no obstacle for Gilbert’s

suggestion that we should take the phenomenological turn in

102


Filosofia e collettività

philosophy of emotions to the collective level. As we have seen, a

plausible account of what it means to feel together. Sánchez Guerrero

phenomenological approach to affective intentionality emphasizes that

states the task in the following way:

affective-intentional states need to be understood as at once affective and intentional, without reducing either aspect to the other. As a consequence,

a

phenomenological

approach

underscores

«It seems that a philosophical account of collective affective intentionality

the

grounded in the thought that affective intentionality is a matter of the world-

inextricable link between the intentionality of an affective state and its

directedness of our emotional feelings must be able to show that at least

experiential dimension. The intentionality of an emotion cannot be

certain feelings […] can be shared in a non-metaphorical sense of ‘sharing’»19.

separated from the felt experience; rather, it needs to be seen as the affective experience. This is expressed in Helm’s understanding of emotions as felt evaluations. Coming back to the issue of collective affective intentionality, it should be clear now that a phenomenological approach to affective

However, this raises a serious challenge. For this task appears to contradict the core intuition of individualism about feelings, which precisely holds that something like a genuinely shared feeling is strictly impossible.

intentionality is committed to the view that feelings are constitutive of

However, we should not be too quick in jumping to the conclusion

emotions. As a consequence, such an approach has to defend the claim

that we are facing an impossible task. Rather, I suggest that we take a

that shared emotions, at least to some extent, are a matter of the

closer look at individualism about feelings and separate those intuitions

sharing of feelings. Accordingly, Schmid18 made the suggestion that a

that hold under closer inspection from those that turn out to be

phenomenological approach to shared emotions requires us to account

misguided. More specifically, I suggest to identify two valid sets of

for the sharing of feelings in a straightforward sense. However, this

intuitions that motivate individualism about feelings20. The first

implies that such an approach to collective affective intentionality needs

concerns consciousness, with the leading intuition being that, while it

to face the challenge of individualism about feelings. In other words, a

might be meaningful to speak of groups having a mind, the idea of

phenomenological approach to shared emotions needs to offer a

groups having consciousness is unthinkable. The second concerns the

103


Quaderni della Ginestra

body. Here, the intuition is that it is implausible to speak of a group

together by a plurality of individuals. The question is not whether there

having a body in any other than a metaphorical sense. If we agree that

is a group body capable of having feelings. Rather, the significant issue

these intuitions hold under closer inspection, as I want to suggest here,

is how or embodiment opens us up to the possibility of experiencing

that entails that we need an understanding of feeling together that does not imply

feelings together with others.

a group body or group consciousness. Without being able to go into detail, let me briefly hint at possible

2. Towards an account of shared emotions

paths towards meeting these challenges. Concerning consciousness, we

In this section, I will present an account of shared emotions based

need an account of several individuals participating in an emotional

on a phenomenological approach to collective affective intentionality. I

episode without having to defend the claim that a certain group is the

will develop my proposal via a critical assessment of Salmela’s account21.

ontological bearer of the experiential state. Concerning the body, we

Salmela condensed his understanding of shared emotions into the

need an account of several bodies being properly connected with each

following definition: Two or more individuals share an emotion if they

other, so that they can experience an emotional episode together,

“experience an emotion of the same type with similar (1) evaluative

without requiring a group body as the bearer of feelings. As the issue of

content and (2) affective experience”, and are mutually aware of this22.

consciousness will be more prominent in the following section, let me

Salmela’s crucial point is that for an emotional episode to constitute a

briefly add a few remarks on the issue of embodiment: When it comes

case of a shared emotion, it is not enough that the evaluative content is

to the body, the discussion often takes the form of a wrong dichotomy,

shared, as cognitivists would like to have it. A shared emotion also

according to which we either need to accept the dubious notion of a

requires the sharing of the affective experience.

group body, or reject the notion of feelings beyond individual bodies

The motivation behind this claim appears to be that the sharing of

altogether. However, between the claim of feelings being locked inside

evaluative content alone is insufficient for distinguishing shared

individual bodies, and the claim of a group body, there is ample room

emotions from group-based emotions. We can speak of a group-based

for a nuanced understanding of how feelings can be experienced

emotion when an individual experiences an emotion based on her

104


Filosofia e collettività

membership in a group. In such a case, she evaluates a situation

come in various modalities and can be achieved through a variety of

according to the relevant concerns of the group (rather than her

mechanisms. Salmela’s focus, however, is more on the possible forms in

personal concerns) and feels the emotion as a member of that group. For

which evaluative content can be shared. Salmela defends a concern-

instance, consider a football fan who gets angry when reading about a

based

new regulation against pyrotechnics in the stadium, although she is not

psychologically underlie emotions. The gist is that someone experiences

personally affected as she has never used pyrotechnics herself and even

an emotion when she perceives something favorably or adversely

finds them annoying. We want to be able to distinguish the case of

happening to the focus of her concern, with the emotion targeting the

individuals – simultaneously but independently – having such an

perceived cause of the impact. For instance, because one is concerned

emotion based on their membership in the same group (e.g. the group

about the stadium atmosphere, one gets angry when one reads of

of football fans), from the case in which individuals – in some form of

regulation that one perceives as interfering with fan culture. Following

co-dependence – experience their anger together. To be able to

Tuomela27, Salmela28 differentiates sharedness of concern according to

conceptualize this distinction, it appears sensible to say that in the latter

various degrees of collectivity, from overlapping private concerns to

case, the individuals also share the affective experience, whereas in the former

collective concerns of a group.

case, they only share the evaluative content.

account

of

emotions

according

to

which

concerns

Whereas I think that Salmela put forward the most convincing

An intriguing element of Salmela’s account is that it allows to

account of shared emotions available, I find two aspects wanting. First,

distinguish degrees of sharedness regarding both the evaluative content

although I agree with Salmela and Nagatsu29 that the mechanisms of

and the affective experience. With respect to the affective experience,

affective synchronization are mostly an empirical question, more needs

Salmela and Nagatsu23 point to the various forms and degrees of

to be said about the sharing of affective experience. Second, I am

synchronization regarding the constituents of an emotion. Empirical

skeptical whether mutual awareness is enough to account for the

24

25

26

findings on emotional contagion , motor mimicry , facial mimicry ,

genuine sharing of

and related phenomena have shown that affective convergence can

phenomenologist Edith Stein30, I want to submit that for an emotion to

105

an emotion. Following an idea of

the


Quaderni della Ginestra

be genuinely shared, it is not sufficient that we, each individually,

experience. The integration requirement points out that in an episode of

experience an emotion as members of a community (and reciprocally

emotional sharing, the participants not only experience the emotional

know about each other’s emotions); we need to experience it together.

episode as separate individuals, they also experience it together. A sense of

The togetherness at stake here cannot be reduced to mutual awareness.

togetherness forms a constitutive part of the experience. Experiencing a

31

Rather, we need to trace it in the experience. Following Szanto and León

shared emotion comes with an awareness of ‘us’ as the plural emoter. I

et. al.32, I recently suggested to elaborate what it means to experience an

do not think that each participant needs not to be aware of each

emotional episode together in terms of two requirements33: the plurality

particular other participant, as the sense of togetherness can also take

requirement and the integration requirement.

the form of an open horizon. The live audience in a stadium, for

The trivial sense of the plurality requirement states that more than one

instance, is a typical setting for shared emotions, although the size of

individual needs to be part of the experience; in other words, one

the gathering makes it impossible for one participant to track all others.

cannot have a shared emotion on one’s own. In the non-trivial sense,

However, that does not speak against spectators sensing themselves as

the plurality requirement asserts that the involved individuals need to be

making the experience together35.

aware of the plurality of partaking individuals; there needs to be «an

How does my proposal relate to the issues of consciousness and the

experienced differentiation between them»34. When sharing an emotion,

body? Let me begin with the worry about group consciousness. My

it is part of the specific type of experience that one is aware of the

suggestion is that we are indeed capable of sometimes experiencing an

plurality of partaking individuals. Sharing an emotion cannot require

emotion as our emotion; in these instances, we are aware of a plurality of

individuals to confound themselves with each other or to dissolve their

individuals experiencing the emotion together. Defending this claim does

individuality into some sort of group mind. Rather, it is part of this

not require to postulate consciousness on the part of the group. It is

specific experience that the individuals are aware of each other as

rather crucial to my proposal to maintain that only individuals are aware

distinct individuals. The self-other-distinction does not only remain

of or can reflect on the shared experience. However, there is no reason

intact in a shared emotion, it is rather constitutive of this type of

to assume, as Salmela36 suggested, that the sense of togetherness vanishes

106


Filosofia e collettività

once a participant reflects on the experience. In cases of genuinely

of partaking individuals; and (4) the integration requirement, i.e. a sense of

shared emotions, the awareness of ‘us’ as the plural emoter can stand

togetherness characterizing the experience.

the test of reflection. Phenomenological analysis suggests that there can be a «non-misleading sense of plural selfhood»37. Moving to the issue of the

3. Embedding shared emotions within collective affective intentionality

body, I am suggesting that the sharing of affective experience is based

After presenting my account of shared emotion, the aim of this

on (bodily) synchronization leading to affective convergence38. Far from

third section is to contextualize this account within a broader

promoting the idea of a group body, my proposal is based on an

understanding of collective affective intentionality. Whereas the

understanding of embodiment that emphasizes that the body does not

previous section approached episodes of shared emotions in terms of a

close us off from each other; rather, my body connects me to others in

static analysis, this section adopts a dynamic perspective focusing on

such a way that I can immediately affect them, and they can immediately

their genesis. Such a dynamic perspective allows us to see that shared

affect me. Such an understanding of the body as the scene of

emotions are only one form of feeling together; there are other forms, e.g.

relatedness is not only supported by the already mentioned research on

forms of emotional convergence, that do not fulfill the criteria to count

affective synchronization, but also by findings in developmental

as shared emotions. Shared emotions are only possible under rather

psychology39 and phenomenological investigations into embodiment40.

demanding conditions of integration and synchronization between

To sum up this section, I have suggested the following characteristics

individuals, and play out as transient experiential episodes with rather

of shared emotions41: (1) the intentionality requirement, i.e. the shared

short duration. More specifically, I suggest two conditions of possibility

directedness towards the emotion’s target in light of the shared focus of

for shared emotions: (1) synchronic interaction, enabling affective

the underlying concern; (2) the affectivity requirement, according to which

synchronization; (2) diachronic integration into an community of

the sharedness cannot be reduced to the cognitive or evaluative

shared concern, enabling a unified evaluation of a situation42. Due to

dimension, but also involves the sharing of the concrete affective

limited space, I can only discuss the second condition here43. I have

experience; (3) the plurality requirement, i.e. an awareness of the plurality

already addressed this condition implicitly when discussing Salmela’s

107


Quaderni della Ginestra

concern-based account of shared emotions. In this section, I will draw

one another to refer to several individuals sharing a number of concrete

on Sánchez Guerrero’s44 understanding of caring with one another and

concerns, a specific sense of things mattering. Against the background

Helm’s45 notion of a unified evaluative perspective to further specify this

of caring with one another, individuals can come to feel concrete emotional

condition.

episodes together.

Sánchez Guerrero offers a Heidegger-inspired approach to collective

Helm’s51 account allows us to take a closer look at the peculiar

affective intentionality according to which «human intentionality, in

relationship between caring with one another and feeling emotional episodes

general, may be understood in terms of an essentially shareable (but not

together52. More specifically, I suggest following Sánchez Guerrero’s 53

necessarily collective) openness to the world». Sánchez Guerrero main

reading of Helm according to which emotions serve a double-role: they

contribution is cashing out what such sharing amounts to. To begin

are disclosing and co-constituting the significance something has. Emotions

with, it involves a «sense of being in an essentially shareable world»46.

are not mere responses to significance, as they are also co-constituting

This implies that our sense of belongingness to this world, our

that very significance. Introducing Helm’s idea that emotions are always

familiarity with the world is also something «one shares (or at least

grounded in an evaluative perspective, i.e. a specific view of the world, allows

could share) with other human beings»47. Moreover, this requires a sense

us to be more specific about the claim that emotions are disclosing and

that «we human individuals share a mode of being that is defined by

co-constituting significance. On the one hand, a particular emotion

care»48. Combined, this constitutes our «belongingness to an essentially

usually discloses the significance something has. The specific pattern of

shareable world»49. The gist of Sánchez Guerrero’s account is that the

my emotions, on the other hand, contributes to the constitution of that

essential shareability of our belongingness to the world is the condition

very significance. The idea of something having significance only makes

of possibility for «sharing a number of concrete concerns that determine a specific

sense with reference to someone for whom it is significant. Significance

way of being-in-the-world».50 Thereby, he provides an existential-ontological

is always significance for someone.54 As a consequence, it is insufficient to

account of how diachronic integration into a community of shared

look at a single emotion in order to understand its significance. Rather,

concern can come about. Sánchez Guerrero uses the phrase caring with

we need to see an emotional episode as a constituent of a coherent

108


Filosofia e collettività

pattern of evaluative attitudes. A particular emotion can be explained and

unified evaluative perspective of the group and the emotions of its

justified by its integration into an evaluative perspective. The crucial idea is

members are all circular. However, Helm embraces these circularities,

that our emotions not only reveal the significance a specific entity has

defending the view that these circles are not of the vicious kind, but

for us, they also make manifest our evaluative perspective, the specific

rather making manifest the specific role that emotions play in our lives

cares and concerns that make up who we are.

as caring beings.

Later, Helm55 transferred this account to the collective level by

Despite these circularities, Helm’s account of an evaluative

claiming that the notion of an evaluative perspective is not restricted to

perspective appears rather static to me. I suggest adopting a more

individuals. Under certain circumstances, groups can be said to be

dynamic understanding of caring as the basic level of our engagement

integrated in such a way as to develop a unified evaluative perspective of

with the world and others. More specifically, I want to propose a

their own. Helm adopts the double role of emotions to the group level.

dynamic view of the relation between caring with one another and the

On the one hand, the group’s unified evaluative perspective is

sharing of emotional episodes. On the one hand, the sharing of an

constituted by the emotions of its members. On the other, the

emotional episode is, among other conditions, made possible by a

evaluative perspective of the group exerts pressure on the members to

number of individuals sharing a particular set of concerns. On the

have emotions that conform to the relevant evaluative pattern. Seen

other hand, the sharing of a set of concerns arguably comes about via

from this angle, members can come to discover what significance

individuals sharing a number of emotional episodes56. The interplay

something has for the group. Moreover, members are in a position to

between caring with one another and feeling together makes manifest a crucial

criticize each other from the perspective of the group if they fail to

social dynamic. The suggestion is that the sharing of emotional

display the appropriate emotions.

episodes and the integration into groups of shared concerns tend to

It should be noted that Helm’s accounts of the relation between

form self-energizing circles: sharing concerns makes it more likely that

emotions and the evaluative perspective in which they are grounded,

individuals experience concrete emotional episodes together, which in

between emotions and the significance of their target, and between the

turn strengthen the sharedness of concerns57. If this analysis is right, it

109


Quaderni della Ginestra

reveals the sharing of emotions as a powerful social force. It is likely

states that the sharedness cannot be reduced to the cognitive or

one of the main sources of cohesion within a group, establishing a set

evaluative dimension, but also involves the sharing of affective

of shared concerns. At this point, however, we should not forget the

experience; the plurality requirement, which emphasizes that in emotional

flipside of such cohesion, namely that the constitution of a particular

sharing, participants are aware of the plurality of partaking individuals;

group implies the demarcation from other groups. Thus, a

finally, the integration requirement states that a sense of togetherness is a

comprehensive analysis of how the sharing of emotions is embedded in

constitutive part of that experience. The third question addressed the

the dynamics of collective affective intentionality requires the careful

conditions of possibility for the sharing of emotions. I emphasized that

consideration of these inter-group dynamics.

shared emotions are only possible under rather demanding conditions of integration and synchronization between individuals: First, a unified

4. Conclusion

evaluation of a situation needs to be enabled by the sharing of relevant

In the introduction, I promised to address four questions. In

concerns; second, sufficient interaction between the involved

response to the first question – What is a shared emotion? – I introduced

individuals needs to enable affective synchronization among them in the

the label affective intentionality in order to overcome the dualism between

particular instance of emotional sharing. Responding to the forth

cognition and affect, rationality and emotionality. Furthermore, I build

question – What are the social functions of shared emotions? – I showed

on Helm’s understanding of emotions as felt evaluations for defending

that it would be wrong to assume a one-sided relation of constitution

the claim that an episodes of affective intentionality is at once (bodily)

between the sharing of concrete emotional episodes and the integration

felt and intentionally directed towards its target. I answered the second

into groups of shared concerns. An analysis of the genesis of collective

question – How is an emotion shared? – by introducing four

affective intentionality makes manifest the social dynamics in which the

requirements for a shared emotion: the intentionality requirement,

sharing of emotions and the sharing of concerns evolve through

according to which a shared emotion is characterized by shared

reciprocal stimulation. I suggest that a study of the social functions of

directedness towards an object or event; the affectivity requirement, which

shared emotions needs to focus on these self-energizing circles of

110


Filosofia e collettività

affective sharing and social integration. GERHARD THONHAUSER 

The work on this article was part of the project “Sports Fans: A Phenomenological Study of Affective Sharedness” funded by the Austrian Science Fund (FWF): J 4055-G24. The project is hosted by Jan Slaby at the Institute of Philosophy of Free University Berlin and associated with the CRC 1171 Affective Societies. Significant portions of this article were written during a short stay as Visit Research Fellow at University College Cork, enabled by the friendly invitation of Alessandro Salice. During my stay, I had the chance of presenting a draft of this paper at the departments Visiting Speaker Series. I thank all participants for their helpful comments, notably Adam Loughnane, Xiao Ouyang, Don Ross, Alessandro Salice and Joel Walmsley. Moreover, I thank Christian von Scheve and Thomas Szanto for reading an earlier version and providing valuable suggestions. Finally, I am indebted to Dan MacCarthy for his hospitality during my stay in Cork. 1 Cfr. W. James, What Is an Emotion?, “Mind”, 9, 34, 1884, pp. 188–205; C. Lange, Om Sindsbevægelser. Et Psyko-Fysiologisk Studie, Jacob Lund, Copenhagen 1885; C. Lange, Über Gemütsbewegungen. Ihr Wesen Und Ihr Einfluß Auf Körperliche, Besonders Auf Krankhafte Lebenserscheinungen. Ein Medizinisch-Psychologische Studie, Thomas, Leipzig 1887; A. Damásio, Descartes’ Error: Emotion, Reason, and the Human Brain, Putnam, New York 1994; J.Prinz, Gut Reactions: A Perceptual Theory of Emotion, Oxford University Press, Oxford 2004. 2 Cfr. A. Kenny, Action, Emotion and Will, Routledge, London 1963; R. Solomon, The Passions. Emotions and the Meaning of Life, 2nd ed. Hackett Publishing, Indianapolis 1993. 3 To my knowledge, the label “affective intentionality” was introduced into current debate via two independent sources. It was casually used in German by Hans Bernhard Schmid in a book first published in 2005 (cfr. H. B. Schmid, Wir-Intentionalität. Kritik Des Ontologischen Individualismus Und Rekonstruktion Der Gemeinschaft, Alber, Freiburg 2012, p. 50). A few years later, Schmid used the phrase “collective affective intentionality” in the title of his seminal paper “Shared Feelings: Towards a Phenomenology of Collective Affective Intentionality” (cfr. H. B. Schmid, Shared Feelings: Towards a Phenomenology of Collective Affective Intentionality, H. B. Schmid, N. Psarros, K. Schulte-Ostermann, eds, Concepts of Sharedness: Essays on Collective Intentionality, Ontos, Frankfurt am Main 2008) and reused it in chapter 4 of Schmid (H. B. Schmid, Plural Action, Springer, Berlin 2009). Simultaneously, the label “affective intentionality” was made popular by Jan Slaby and Achim Stephan (cfr. J. Slaby, A. Stephan, Affective Intentionality and Self-Consciousness, “Consciousness and Cognition”, 17, 2008, pp. 506–13; J. Slaby et al. Affektive Intentionalität – Hintergrundgefühle, Möglichkeitsräume,

111

Handlungsorientierung, Mentis, Paderborn 2011) in the context of the research project “animal emotionale”. 4 H. A. Sánchez Guerrero, Feeling Together and Caring with One Another. A Contribution to the Debate on Collective Affective Intentionality, Springer, Cham 2016, p. 58. 5 Cfr. P. Goldie, The Emotions. A Philosophical Exploration, Clarendon Press, Exford 2000; B. W. Helm, Emotional Reason: Deliberation, Motivation, and the Nature of Value, Cambridge University Press, Cambridge 2001; M. Ratcliffe, Feelings of Being, Oxford University Press, Oxford 2008; J. Slaby, S. Achim, Affective Intentionality and Self-Consciousness, “Consciousness and Cognition” 17, 2008, pp. 506–13; H. B. Schmid, Plural Action, Springer, Berlin 2009. 6 B. W. Helm, Felt Evaluations. A Theory of Pleasures and Pains, “American Philosophical Quarterly”, 39 2002, pp. 13–30. 7 Ivi, p. 16. 8 For an overview of the interdisciplinary debate on collective emotions (cfr. C. von Scheve, M. Salmela, eds., Collective Emotions, Oxford University Press, Oxford 2014. 9 A. Damasio, Descartes’ Error: Emotion, Reason, and the Human Brain, Putnam Publishing, New York 1994, p. 155. 10 H. B. Schmid, Plural Action, p. 70. 11 Cfr. G. Margaret, Collective Guilt and Collective Guilt Feelings, “Journal of Ethics”, 6, 2002, pp. 115–143. 12H. W. Bennett, Emotional Reason: Deliberation, Motivation, and the Nature of Value, Cambridge University Press, Cambridge 2001, p. 38. 13 A. Konzelmann Ziv, Collective Guilt Feeling Revisited, “Dialectica”, 61, 3, 2007, pp. 467– 493. 14 Cfr. M. Salmela, Shared Emotions, “Philosophical Explorations”, 15, 1, 2012, pp. 33–46. 15 Ivi, p. 36. 16 The notion of a joint commitment to a certain emotion can serve important functions – especially in the context of a normative account, as Gilbert develops it regarding collective guilt. However, it does not do the job when the task at hand is providing a plausible account of a number of individuals experiencing an emotional episode together. 17 Cfr. H. B. Schmid, Shared Feelings: Towards a Phenomenology of Collective Affective Intentionality, H. B. Schmid, N. Psarros, K. Schulte-Ostermann, eds., Concepts of Sharedness: Essays on Collective Intentionality, Ontos, Frankfurt am Main 2008; H. B. Schmid, Plural Action. 18 Cfr. H. B. Schmid, Shared Feelings: Towards a Phenomenology of Collective Affective Intentionality; H. B. Schmid, Plural Action. 19 H. A. Sánchez Guerrero, Feeling Together and Caring with One Another. A Contribution to the Debate on Collective Affective Intentionality, p. 108. 20 Cfr. H. B. Schmid, Collective Emotions - Phenomenology, Ontology, and Ideology. What Should We


Quaderni della Ginestra

Learn From Max Scheler’s War Propaganda, “Thaumazein”, 3, 2015, pp. 103–19. 21 To be sure, Salmela does not considers himself a phenomenologist. Neither does Helm, whose theory will continue to serve as a background for my approach. It is rather my specific way of presenting their works that makes them productive for a phenomenological approach. At the same time, I will move beyond the traditional scope of a phenomenological analysis of experience, especially when taking the social conditions of possibility of emotional sharing into account. Thus, my approach will be a combination of phenomenological analyses of certain types of experiences with mostly sociological and social psychological investigations into the social conditions of those experiences. 22M. Salmela, M. Nagatsu, Collective Emotions and Joint Action, “Journal of Social Ontology”, 2, 1, 2016, pp. 33–57. 23 Ivi, p. 39. 24 E. Hatfield, J. T. Cacioppo, R. L. Rapson, Emotional Contagion, Cambridge University Press, Cambridge 1994. 25Cfr. J. B. Bavelas, Motor Mimicry as Primitive Empathy, N. Eisenberg, J. Strayer, eds., Empathy and Its Development, Cambridge University Press, Cambridge 1987, pp. 317-338. 26 Cfr. B. Seibt, Facial Mimicry in Its Social Setting, “Frontiers in Psychology”, 6, 2015, Article 1122, https://doi.org/10.3389/fpsyg.2015.01122. 27 Cfr. R. Tuomela, The Philosophy of Sociality, Oxford University Press, Oxford 2007. 28 Cfr. M. Salmela, Shared Emotions, pp. 39-40. 29 M. Salmela, M. Nagatsu, Collective Emotions and Joint Action. 30 E. Stein, On the Problem of Empathy. The Collected Works of Edith Stein 3, ICS Publications. Washington, D.C. 1989, pp. 17-18. 31 T. Szanto, Husserl on Collective Intentionality, A. Salice, H. B. Schmid, eds, Social Reality: The Phenomenological Approach to Social Reality. History, Concepts, Problems, Springer, Berlin 2016, pp. 145–172. 32 F. León, T. Szanto, D. Zahavi, Emotional Sharing and the Extended Mind, “Synthese”, 1–2, 2017, pp. 1–21. 33 G. Thonhauser, Shared Emotions: A Steinian Proposal, “Phenomenology and the Cognitive Sciences”, https://doi.org/10.1007/s11097-018-9561-3 2018. 34 F. Leon, T. Szanto, D. Zahavi, Emotional Sharing and the Extended Mind, p. 14. 35 My remarks on the sense of togetherness are inspired by analyses of communal experience in early phenomenology. For example, Edith Stein observed that communal experiences are characterized by a double-intentionality: besides an intention toward the target they also contain an “intention toward the communal experience” (E. Stein, Philosophy of Psychology and the Humanities. The Collected Works of Edith Stein 7, ICS Publications, Washington, D.C 2000, p. 137). Gerda Walther appears to have traced the

same issue when elaborating on the “feeling of togetherness” or “feeling of unification” (Einigungsgefühl) constitutive of a communal experience (G. Walther, Zur Ontologie Der Sozialen Gemeinschaften, “Jahrbuch Für Philosophie Und Phänomenologische Forschung”, 6, 1923, pp. 1–158; cfr. D. Zahavi, A. Salice, Phenomenology of the We: Stein, Walther, Gurwitsch, J. Kiverstein, ed., The Routledge Handbook of Philosophy of the Social Mind, Routledge, London 2017, pp. 515–527). Early phenomenology has recently come into focus for the debates on social cognition, collective intentionality and social ontology (cfr. T. Szanto, D. Moran, Special Issue on Empathy and Collective Intentionality - The Social Philosophy of Edith Stein, Human Studies, 38, 4, 2015; T. Szanto, D. Moran, The Phenomenology of Sociality: Discovering the “We.”, Routledge, London 2016; A. Salice, H. B. Schmid, Social Reality: The Phenomenological Approach to Social Reality. History, Concepts, Problems, Springer, Berlin 2016). 36 M. Salmela, Shared Emotions, p. 38. 37 H. A. Sánchez Guerrero, Feeling Together and Caring with One Another. A Contribution to the Debate on Collective Affective Intentionality, Springer, Cham 2016, p. 112. My position is compatible with – indeed I take it to require – the fact that an individual can be mistaken about experiencing an emotional episode together with others. There are certainly cases in which the sharing turns out to be an illusion. In successful cases of shared emotion, however, the sharing receives further validation over time. 38 An important question is whether the sharing of affective experience always requires physical co-presence, as one might take my proposal to suggest. Such a requirement seems to be too restrictive, especially considering the advancements in technological possibilities for mediatized interaction. Thus, the idea of affective convergence through synchronization should include forms of mediatized co-presence. This raises a whole set of questions about the relation of embodiment, mediatized interaction and affective synchronization, which I cannot address in this paper. Here, my argument is simply that none of these considerations requires the postulation of a group body. 39Cfr. D. Stern, The Interpersonal World of the Infant: A View from Psychoanalysis and Developmental Psychology, Karnac Books, London 1998. 40 Cfr. M. Merleau- Ponty, Phenomenology of Perception, Routledge, London & New York 2012; J. Krueger, Merleau-Ponty on Shared Emotions and the Joint Ownership Thesis, “Continental Philosophy Review”, 46, 2013, pp. 509–531; T. Fuchs, S. Koch, Embodied Affectivity: On Moving and Being Moved, “Frontiers in Psychology. Psychology for Clinical Settings”, 5, Article 508, 2014, pp. 1–12; H. Landweer, Mass Emotion and Shared Feelings: A New Concept of Embodiment, H. Feger, Xie Dikun, Wang Ge, eds., Yearbook for Eastern and Western Philosophy, 2, pp.104–17, De Gruyter, Berlin & New York 2017. 41 T. Szanto, Stein and Walther on Shared Emotions: A Critical Comparison presented at the Early Phenomenology on Affective Sharing, Free University Berlin, February 17, 2018.

112


Filosofia e collettività

Cfr. J. Krueger, The Affective ‘We’: Self-Regulation and Shared Emotions, T. Szanto D. Moran, eds., The Phenomenology of Sociality: Discovering the “We”, Routledge, New York 2016, p. 270. 43 As I already stated in a previous note, a number of complicated issues are related to the question which types of interaction can lead to affective synchronization. 44 Cfr. H. A. Sánchez Guerrero, Feeling Together and Caring with One Another. A Contribution to the Debate on Collective Affective Intentionality, p. 133. 45 Cfr. B. W. Helm, Plural Agents, “Nous”, 42, 1, 2008, pp. 17–49. 46 H. A. Sánchez Guerrero, Feeling Together and Caring with One Another. A Contribution to the Debate on Collective Affective Intentionality, p. 146. 47 Ivi, p. 154. 48 Ivi, p. 155. 49 Ivi, p. 169. 50 Ivi, p. 175. 51 Cfr. B. W. Helm, Emotional Reason: Deliberation, Motivation, and the Nature of Value, Cambridge University Press, Cambridge 2001. 52 Helm’s theory and Sánchez Guerrero’s Heidegger-inspired account might seem far apart from each other. For sure, Helm is no Heidegger scholar and makes no reference to Heidegger. Moreover, he is miles apart from Heidegger in terms of terminology and philosophical style. However, some proximity between Helm’s theory and Heidegger’s basic ideas about human existence cannot be denied. Sánchez Guerrero picks up on these similarities to build his account that combines the main impulses from Heidegger and Helm. In a footnote, Sánchez Guerrero (H. A. Sánchez Guerrero, Feeling Together and Caring with One Another. A Contribution to the Debate on Collective Affective Intentionality, p. 142; FN 14) remarks that Helm’s PhD advisor was John Haugeland. This might explain Helm’s proximity to a Heidegger-inspired understanding of human existence, since Haugeland was not only a highly original philosopher, but also a brilliant interpreter of Heidegger. Most importantly for the present context, Haugeland vividly pointed to the specifically human mode of being as a being that cannot escape “giving a damn” (cfr. Z. Adams, J. Browning, Giving a Damn. Essays in Dialogue with John Haugeland, MIT Press, Cambridge 2016). We always encounter entities as mattering to us one way or the other; we always experience them with some kind of significance. 53H. A. Sánchez Guerrero, Feeling Together and Caring with One Another. A Contribution to the Debate on Collective Affective Intentionality, p. 133. 54 Note however, that neither Helm nor Sánchez Guerrero nor I support subjectivism about significance. Rather, significance can be said to be subjective and objective at the same time. While significance is always significance for someone, an individual can be right and wrong about the significance a specific object or event has. Although something having 42

113

significance only makes sense with reference to a subject, the significance something has is dependent upon its specific attributes. As a consequence, we can say that significance “is, on the one hand, perspectivally subjective, and on the other, objectively discoverable.” (H. A. Sánchez Guerrero, Feeling Together and Caring with One Another. A Contribution to the Debate on Collective Affective Intentionality, p. 136). 55 Cfr. B. W. Helm, Plural Agents, “Nous”, 42, 1, 2008, pp. 17–49; B. W. Helm, Emotional Communities of Respect, C. von Scheve, M. Salmela, eds., Collective Emotions, Oxford University Press, Oxford 2014, pp. 47–60; B. W. Helm, Communities of Respect: Grounding Responsibility, Authority, and Dignity, Oxford University Press, Oxford 2017. 56 This picture gets further complicated when taking into account Salmela’s (M. Salmela, M. Nagatsu, Collective Emotions and Joint Action, pp. 36–40) suggestion, which I discussed in section 2, that the sharedness of concerns and of affective experiences can both come in various degrees. 57C. Scheve, S. Ismer. Towards a Theory of Collective Emotions, “Emotion Review”, 5, 4, 2013, p. 5.


Quaderni della Ginestra

BODILY MEMORY AND JOINT ACTION IN MUSIC PRACTICE AND THERAPY

Keeping the two distinct forms of collective intentionality in mind, Salice and Herinsksen consider the form of disruption that we find in schizophrenia. According to them, patients who suffer from

Introduction

T

schizophrenia have difficulties with establishing we-identities required

his paper will analyze the role of intercorporeality and bodily

for the formation of a genuine we-intentionality. The authors cash out

memory in music therapy. Our starting intuition is that the

this point as follow:

disruption of this experiential bodily features play a key role in the development of mental disorders. Furthermore, we want to consider

ÂŤin contrast to joint intentionality, which, we suggest, remains largely

what kind of interaction occurs between collective intentionality,

unaffected by the disorder, patients with schizophrenia often seem to be

intercorporeality and bodily memory in such disorders. The paper is

confronted with notable difficulties when it comes to we-intentionality and

organized as follows: the first part explains the theoretical framework

thus the ability to participate in and be members of we-groups (e.g. romantic

of our research project; while the second part describes the

relationships or friendships in all the various forms in which they come). From

methodological aspects of our future empirical research.

the very outset it must be stressed that we are not suggesting that weintentionality is somehow lost in schizophrenia, but rather that it often is

1. Collective Intentionality in Music Practice: a Focus on Psychopathologies

fragileÂť3.

As Salice and Herinsksen1 underline, in the contemporary debate concerning joint actions two forms of collective intentionality are

The authors suggest that this fragility of we-intentionality is caused

considered: the first form is goal oriented, each member is interacting

by self-disorders_ that inhibit the processes required for the constitution

with others in such a way that the goal is shared (joint intentionality);

of we-groups.

the second form implies that individuals are experiencing themselves as member of the group (we intentionality)2.

In our project proposal, we would like to analyze the phenomenology of the first-person experience of patients who suffer

114


Filosofia e collettività

from mental disorders in sessions of music therapy, and we want to

intercorporeality, focusing specifically on Husserl and Merleau-Ponty.

claim that they are not only lacking a strong sense of we-intentionality

Husserl7 draws a clear distinction between Leib and Körper, intending

but also a sense of intercorporeity in general and bodily memory.

with the former term the organic living body that we experience in our

Concerning music theory and collective intentionality the debate is

sensing activities and with the latter the objective body as intended by

divided into two main perspectives. The first one is based on

anatomy for example. In his Phenomenology of Perception, Merleau-Ponty

enactivism4 and claims that in joint music experiences sense making is

starts from this assumption and develops a detailed analysis of Leib

participatory and not only based on mental processes but rather

considering the issue of bodily-schema in its genetic role for the

generates from bodily interaction. Claiming for an enactive and

constitution of both subjectivity and spatiality. In creating her own

embodied approach to musicianship Schiavio and De Jaegher5 underline

bodily-schema, the subject generates a form of spatiality that Merleau-

the pre-reflective dimension of such joint experience. The second

Ponty defines as “situational spatiality”8 differentiating this spatiality

perspective6

collective

proper of the Leib from the “positional spatiality”9 that pertains to

intentionality and tries to understand if both plural self-knowledge and

external objects. This peculiar form of spatiality proper of the Leib puts

non-observational knowledge about collective action are involved.

subjectivity in direct contact with the external world and consequently

However, the authors underline that both plural self-knowledge and

with other beings.

non-observational knowledge are not involved.

This corporeal connection between subject, world and beings links to

considers

musicianship

in

relation

to

Considering music therapy in terms of joint action, we want

the issue of intersubjectivity – and to the issue of transcendental inter10

understand the role of bodily memory and intercorporeity in

subjectivity in Husserl’s works

– and the constitution of the other in

psychopathologies.

terms of intercorporeity. In order to switch from corporeality to intercorporeity (intended in term of flesh), Merleau-Ponty introduces the

2. Intercorporeality

concept of reversibility. It is necessary to understand reversibility start-

In what follows, we briefly consider the issue of corporeality and

ing from the consideration of the specific nature of the body, its being

115


Quaderni della Ginestra

both a living body and an objective body (an object between objects).

Rather, all my senses are communicating in the same way in which our

Different from mere things, the living body has a proper carnal reflec-

own body is communicating with other bodies in an “intentional en-

tivity. This carnal reflection is central because, for Merleau-Ponty, the

croachment”.

body becomes subject insofar as it recognizes itself as a part of the

Intercorporeity implies the relevance of the Leib and expresses the

world. This double reversibility leads to the idea of flesh and intercor-

idea of an intimate interconnection between beings at bodily level.

poreity. The body is in connection with the world because body, bodies

Furthermore, intercorporeality maintains the feature of reversibility,

and things share what Merleau-Ponty calls “the flesh of the world”11.

meaning that we are constituting ourselves as subjects in a carnal and

The intuition behind this runs as follows: we have a body and this body

intersubjective dimension. If we focus on subject’s experience of

is made by flesh. This carnality is shared by other beings such as ani-

intercorporeity, then we should assume its relevance for the

mals. Consequently, it is in virtue of this fleshy intertwining that we can

development of both normal and pathological experiences.

understand Merleau-Ponty’s expression: “the flesh of the world”. This

Recently, different scholars has started developing a different

concept leads Merleau-Ponty to formulate the idea of intercorporeality, an

perspective on emotions using the concept of intercorporeality13.

idea that we can intend as a form of carnal intersubjectivity. What we all

Fuchs14,

share is a bodily dimension (living body for humans and animals, sur-

intercorporeality and interaffectivity, considering his analysis as a

faces for things) that puts us in an intimate connection. The conception

development of Merleau-Ponty’s concept of intercorporeality15. In this

of intercorporeity starts to become explicit in Merleau-Ponty’s lectures

paper we would like to consider the intercorporeal structure of

at the Collège du France on child psychology12, where the author con-

experience in pathological experiences, focusing on the bodily

nects the issue of body with the concept of structure in relation to child

dimension of intercorporeality and on the concept of intercorporeal

development. In this context, Merleau-Ponty underlines the emergence

memory, we consider how they develop for people with mental

of a system within the connection between bodies: it is not that I per-

disorders in a joint activity such as music therapy.

for

example,

focuses

on

the

relationship

between

ceive my own body and then I attribute all these functions to others.

116


Filosofia e collettività

3. A phenomenological tool for the study of collective actions

ty, such as embodiment and interpersonal attunement, features that in schizophrenia register huge disruptions. On the contrary, schizophrenia

3.1 Target population

seems to be very suitable to our phenomenological and qualitative in-

In contrast to DSM nosography, that involves primacy attributed to

vestigation, since it can indeed involve subjects provided with a normal

single symptoms and an empirical statistical approach, our test is a

cognitive, representational activity, while they are severely impaired in

qualitative tool whose main aim is to explore subjectivity and its pre-

domains like self-awareness and intersubjective understanding. The

reflective structures, in particular those linked to intersubjective skills. In

analysis of schizophrenia can thus be helpful in clarifying how these

fact, our interview is directed to people affected by those mental

domains work and to what extent pre-reflective structures and reflective

disorders which involve a detachment from sociality. We find it

abilities are important and intertwined with one another. Concerning

interesting to focus on people who actively attend music therapy labs,

our attention towards embodiment and the role of embodied memory,

since in this case we can also observe potential changes and

also in this case this pathology can be fruitful for shedding light on the

improvements in self/other awareness, and, in particular, in the link

importance of our being a living body. The thesis we would like to

between proprioception and intersubjective understanding. The main

show through our test is therefore that a disruption of our pre-

important pathology we would like to take into account is

reflective, embodied structures are responsible for the impairments of

schizophrenia, a disorder where the split between the self and the

intersubjective skills. In a very schematic manner, our inclusion criteria are:

collectivity is really dramatic. Schizophrenia is usually defined as followed: “«a mixture of characteristic (…) positive and negative [symptoms] that have been present for a significant portion of time 16

 Diagnosis: patients with psychosis (with a special attention to people affected by schizophrenia);

(…), associated with marked social and occupational dysfunction» .

 Patient or legal tutor’s consent;

This definition seems to us quite problematic, since it does not take into

 Minimum age: 18; maximum: 70;

account the qualitative, lived and pre-reflective structures of subjectivi-

117


Quaderni della Ginestra

 Sex: male/female;

items we identified, which are at the center of our analysis. After

 Patients participating in collective group of music therapy with

answering the questions, the subject is elicited to motivate her answers,

continuity (users must have attended a minimum of two seats).

in a direct, semi-structured dialogue. Privileging reciprocity, it may happen that the subject drives our questions, as well as our questions be

The exclusion criteria concerns brain injuries, mental retardation and

adapted to her statements. In order to make the test scientifically valid,

neurodegenerative disorders, which would prevent the cognitive abilities

we also interview “neurotypical subjects”. Starting from piecestaken

of the subjects: in other words, we exclude patients with severe mental

from songs used within the sessions, we present the user with 4

deficits (for parameters see DSM V17) since they would not be able to

different options that represent four main domains. The scores are

elaborate the answers in verbal communication.

given through a range from 1 to 4 according to the different options, where 1 means a very low presence of the item at the center of the

3.2 The test: Items and Scoring

analysis, and 4 means an elevated presence of the same item. The user

Our test is a semi-structured interview that, by stimulating the

can choose according to her own impressions and feelings, and then we

subject through music pieces and appropriate questions about the

can discuss her choice through a dialogue that will privilege the

relationship between individual and group, the temporality experienced

reciprocity between the user and the interviewer. The main items we

by the subjects, their thoughts, feelings or beliefs, tries to explore

take into account are:

subjectivity in a relatively direct manner. The interview is conducted by ourselves in the environment in which the subjects perform the music

1) The relationship between individual and collective experiences

therapy, in order to qualify for an environment where users feel at ease.

The link between subjectivity and intersubjectivity is widely

In order to have a general idea of the life world of the patient, and

debated18. In particular, we would like to shed light on the pre-reflective

facilitate a gestaltic analysis of her/his experiences, we start with an

attunement that allows the subject to feel herself being part of a group.

interview about her/his social history. Then, we focus on the specific

In the case of music practice, we aim to explain how self-awareness and 118


Filosofia e collettività

other-awareness are present in collective actions.

does happen in collective musical performances? This case seems to be even more interesting because it involves not only individual’s skills, but

2) Bodily experience

a complex collective

We already emphasized the importance that phenomenology gives to

procedural memory – which is the Merleau-pontian praktognosia, our

our being a living body. In fact, we can affirm that kinesthetic sensations

pre-reflective embodied understanding – works together with

make us aware of our sensations and movements immediately and

intercorporeal memory. The result is a holistic experience, where

intuitively, in a sort of a primary self-consciousness. Furthermore, the

individual stances and collective ones are not separable, but form a

pre-reflexive and pre-conceptual sensorial synthesis seems to be the

collective experience that could be studied just from a Gestaltic

ground

approach.

for

the

understanding

of

alterity.

In

other

words,

awareness. In other words, it seems that

intersubjectivity can be defined in the same way as intercorporeity, as a process based on the immediate transfer of corporeal schema. The

4) Collective intentionality

consequence is that, if the embodied being of a subject is

Salice and Henriksen pointed out two forms of collective

compromised, her self-consciousness and her capability of attunement

intentionality: joint-intentionality, which is distinctively goal-oriented,

with the other and the world will be lost or disrupted. For these reasons,

and usually relies on explicitly formulated codes of conduct; and we-

focusing on the bodily experiences of the subject is very important for

intentionality, which is at stake when the individual perceives herself as

our study, whose theoretical knot is the link between embodiment (in

being part of a group and considers her mental states as contributions

particular embodied memory) and sociality.

to that group, without a specific goal. This last kind of intentionality can be also described as “common sense”, and seems to be really

3) Embodied memory

problematic in people affected by schizophrenia (and other mental

Playing an instrument involves an integration of sensorimotor and

disorders, like depression).

affective cognition imprinted and sedimented in our body. But what

119

In music performances, both of these forms of intentionality are


Quaderni della Ginestra

required: our aim is to shed lights on collective intentionality and its

and external world. Despite the fact of the link with both EASE and

different nuances, which seem central in the execution of collective

EAWE, our semi-structured interview focuses differently on the

music actions and seem to involve different requirements (joint

anomalies of collective experience.

intentionality seems to be more representational and cognitive, while VALERIA BIZZARI & CARLO GUARESCHI

we-intentionality seems to be linked to our pre-reflective embodied structure).

See A. Salice, M. G. Herinsksen, The Disrupted 'We'. Schizophrenia and Collective Intentionality, “Journal of Consciousness Studies”, XXII, 7–8, 2015, pp. 145-71. 2 Concerning the debate broadly intended see also M. Bratman, Faces of Intention: Selected Essays on Intention and Agency, Cambridge University Press, Cambridge 1999; P. Pettit, D. P. Schweikard, Joint Actions and Group Agents, “Philosophy of the Social Science”, XXVI, 1, 2006, pp. 18-39; J. Searle, The Construction of Social Reality, The Free Press, New York, USA 1995; R. Tuomela, Social Ontology. Collective Intentionality and Group Agents, Oxford University Press, Oxford 2013. 3 A. Salice, M. G. Herinsksen, The Disrupted 'We'. Schizophrenia and Collective Intentionality, p.161. 4 A. Schiavio, S. Høffding, Playing together without communicating? A pre-reflective and enactive account of joint musical performance, “Music. Scientiae”, XIX, 4, 2015, pp. 1-23. 5A. Schiavio, H. De Jaegher, Participatory Sense-Making in Joint Musical Practice, M. Lesaffre, P. J. Maes, M. Leman, eds., The Routledge Companion to Embodied Music Interaction, Routledge, London 2017, pp. 31-39. 6 A. Salice, S. Høffding, S. Gallagher, Putting Plural Self-Awareness Into Practice: The Phenomenology of Expert Musicianship, “Topoi”, 2017, pp. 1-13. 7 See E. Husserl, Ideas Pertaining to a Pure Phenomenology and to a Phenomenological Philosophy: Second Book: Studies in the Phenomenology of Constitution, Kluwer Academic Publishers, Dordrecht 1989. 8 M. Merleau-Ponty, Phenomenology of Perception, Routledge, London 2012, p. 102. 9 Ibidem. 10 Husserl provides an account of transcendental intersubjectivity in his fifth Cartesian Meditation and then elaborate on that concept in numerous manuscripts. Zahavi (D. Zahavi, Husserl and Transcendental Intersubjectivity. A Response to the Linguistic-Pragmatic Critique, Ohio University Press, Athens 2001) provides an exhaustive account of 1

4. Conclusions: Expected Outcomes and Possible Research Directions Through our research, we expect to test and emphasize the relationship between corporeity and pre-reflectivity in music therapy practice. The philosophical aim is to investigate and show the fundamental role of embodiment in music practice. Specifically, we want detect the role of intercorporeality and embodied memory in collective actions, and to propose an integrated model where observational practices and cognitive processes presupposes prereflectivity. Regarding the methodological aim, we want to improve the qualitative research focusing on a new key feature of abnormal joint experiences. As a qualitative tool, our interview is in continuity with EASE19 and EAWE20 as well. Both the model of qualitative research focus in a different manner on pre-reflectivity: EASE on the prereflective self; EAWE on the pre-reflective relationship between self

120


Filosofia e collettività

Husserl’s transcendental intersubjectivity. 11 See M. Merleau-Ponty, The Visible and the Invisible, Northwestern University Press, Evanston 1968. 12 See Merleau-Ponty, Child Psychology and Pedagogy. The Sorbonne Lectures 1949-1952, Northwestern University Press, Evanston 2010. 13 See J. Krueger, Merleau-Ponty on shared Emotions and the Joint Ownership Thesis, “Continental Philosophy Review”, XLVI, 2013, pp. 509-531. 14 T. Fuchs, Intercorporeality and Interaffectivity, C. Meyer, J. Streek, Jürgen, J. Scott Jordan, eds., Intercorporeality. Emerging Socialities in Interaction, Cambridge University Press, Cambridge 2016. 15 Fuchs cashes out the idea of interaffectivity as follows: «The shared affect during a joyful playing situation between mother and infant may not be divided and distributed among them. It arises from the ‘between’, or from the situation in which both are immersed. Thus, affects are not enclosed in an inner mental sphere to be deciphered from outside, but emerge, change and circulate between self and other in the intercorporeal dialogue» (T. Fuchs, Intercorporeality and Interaffectivity, p. 12) 16 Cfr. American Psychiatric Association (APA), Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders: DSM 5, 5th ed. Arlington (VA), American Psychiatric Association 2013. 17 Ibidem. 18 Cfr. D. Zahavi, Self and Other: Exploring Subjectivity, Empathy, and Shame. Oxford University Press, Oxford, England 2014; T. Fuchs, The phenomenology and development of social perspectives, “Phenomenology and Cognitive Sciences”, 12, 4, 2012, pp. 655-683; A. Gurwitsch, Human Encounters in the Social World, Duquesne University Press, Pittsburg (PA) 1979. 19 J. Parnas, P. Møller, T. Kircher, J. Thalbizer, L. Jansson, P. Handest, D. Zahavi, EASE: Examination of Anomalous Self Experience, “Psychopathology”, 38, 2005, pp. 236-258. 20 L. Sass, E. Pienkos, B. Kodlar, G. Stanghellini, T. Fuchs, J. Parnas, N. Jones, EAWE: Examination of Anomalous World Experience, “Psychopathology”, 50, 1, 2017, pp. 10-54.  Both authors have contributed to this paper to an equal extent.

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