Quaderni di
FARMACO ECONOMIA Q U A D R I M E S T R A L E D I I N F O R M A Z I O N E FA R M A C O E C O N O M I C A
In questo numero VALUTAZIONE ECONOMICA
Modelli applicati nella farmacoeconomia: risultati prevedibili? POLITICA SANITARIA
Indagine sulla gestione regionale della prevenzione vaccinale
Quaderni di
FARMACO ECONOMIA QUADRIMESTRALE DI INFORMAZIONE FARMACOECONOMICA
Quaderni di
FARMACO ECONOMIA
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numero 12 giugno 2010
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2 Quaderni di Farmacoeconomia 12 - giugno 2010
Sommario
Editoriale
pag.
4
pag.
7
pag.
13
pag.
24
di Gianluigi Casadei
VALUTAZIONE ECONOMICA
L’applicazione dei modelli di Markov in farmacoeconomia Livio Garattini, Daniela Koleva, Gianluigi Casadei
POLITICA SANITARIA
Indagine sulla gestione regionale della prevenzione vaccinale Gritti Sara, Padula Anna, Casadei Gianluigi
LETTERE IN REDAZIONE
“Q
uaderni di Farmacoeconomia” risponde ai lettori Silvano Gallus, Giovanni Apolone Rispondono: Anna Padula, Gianluigi Casadei, Nicola Motterlini, Livio Garattini
3 Quaderni di Farmacoeconomia 12 - giugno 2010
Editoriale di Gianluigi Casadei
Spesa, federalismo e varie
I
l 2009 si è chiuso con un “buco” di € 1,297 miliardi o, se preferite, milleduecentonovantasette milioni di euro perché, ancora abituati ai miliardi di lire, un miliardo solo sembra poco… Confrontando i dati di spesa rispetto all’anno precedente, scopriamo che nel 2009 il deficit (1,26%) è lievemente peggiorato (2008: 1,20%). I dati regionali mostrano che, nonostante ci siano state regioni che hanno speso meno dell’atteso (ad esempio, Valle d’Aosta, Lombardia, Molise e province di Trento e Bolzano) e alcune regioni come Piemonte, EmiliaRomagna e Toscana siano scese sotto l’1% di disavanzo, il risultato globale è penalizzato dal decollo del deficit in Lazio (3,34%), Sicilia (2,84%) e Calabria (2,36%), tutte regioni già sottoposte a piani di rientro; queste tre regioni, insieme a Puglia (rimasta stabile al 3,7%), Campania e Sardegna, spiegano il 74% del disavanzo 2009 per la farmaceutica. Il dato aggregato per area geografica è di grande impatto per comprendere quanto sarà difficile sviluppare il federalismo sanitario: le regioni del nord hanno rispettato il tetto di spesa, mentre quelle centrali e meridionali hanno superato la soglia del 2% di disavanzo.
Tutti gli analisti e i commentatori paiono concordi nell’attribuire alla spesa ospedaliera la responsabilità dello sforamento. Prima di allinearci, riteniamo comunque opportuno soffermarci sui dati regionali della spesa territoriale che indicano in modo chiaro come nel 2009 le regioni settentrionali e centrali ( Abruzzo e Lazio escluse) siano state in grado di tenere sotto controllo la spesa di classe A, confermando il risultato del 2008. Al contrario, tutte le regioni meridionali, con l’eccezione della Basilicata, non sembrano avere ancora acquisito questa capacità gestionale e hanno superato il tetto di spesa in media dello 0,9%, con la Sicilia all’1,6% e la Puglia all’1,7%, sebbene la compartecipazione alla spesa (ticket) in queste regioni sia stata in linea con la media nazionale. È opportuno sottolineare come una gestione efficiente della spesa territoriale abbia rappresentato l’elemento vincente per ammortizzare il deficit farmaceutico ospedaliero, addirittura rispettando il tetto di spesa globale. In Lombardia la spesa farmaceutica ospedaliera ha sforato dello 0,94% nel 2009, ma la regione ha chiuso globalmente con un risparmio dello 0,9% grazie a una significativa riduzione (-1,86%) della spesa territoriale. All’esempio lombardo si ag4
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EDITORIALE giungono la Valle d’Aosta e la provincia di Bolzano (Trento ha risparmiato anche sull’ospedaliera), mentre Friuli Venezia Giulia, Veneto, Piemonte, Liguria ed Emilia Romagna hanno contenuto il deficit globale regionale al di sotto dello 0,7%. Perché la spesa farmaceutica ospedaliera ha superato anche quest’anno il tetto? La prima risposta è già stata data, ma è rimasta inascoltata: il budget di spesa, fissato (su basi storiche alquanto incerte) dalla finanziaria 2008 al 2,4% del FSN, è insufficiente a coprire i fabbisogni. Questa tesi è avvalorata da due considerazioni. Innanzitutto, i dati regionali indicano come quasi tutte le regioni abbiano registrato un deficit nel 2008 e nel 2009, e fra loro ci sono anche le più virtuose. In secondo luogo, mentre la spesa territoriale ha beneficiato della perdita della copertura brevettuale di molti principi attivi importanti (a cui nel 2009 si è aggiunto il taglio dei prezzi dei generici del 12%), al contrario la spesa ospedaliera ha dovuto assorbire molti farmaci ad alto costo come i biologici e i biotecnologici . Nel 2009 la spesa per gli anticorpi monoclonali è stata di €513 milioni, pari al 12% della spesa ospedaliera totale, con un incremento dell’8,2% rispetto all’anno precedente. Seguono gli inibitori TNF (€ 407 milioni; +6,5%), i farmaci antianemici, gli interferoni, gli inibitori delle protein-chinasi e gli antivirali. Tuttavia esiste almeno un terzo fattore da considerare: l’efficienza del monitoraggio della spesa. La legge n. 222/2007 ha limitato la responsabilità dell’AIFA al controllo della spesa farmaceutica territoriale, attribuendo la piena responsabilità della spesa ospedaliera alle regioni che, in caso di sforamento, devono aumentare l’addizionale IRPEF e il ticket. I prezzi di tutti i farmaci (ospedalieri inclusi) restano comunque di responsabilità centrale; in particolare per i farmaci oncologici ad alto prezzo da qualche anno l’AIFA stipula con i produttori dei contratti di esito, noti come payment-by-results, in cui i farmaci sono inizialmente fatturati a prezzo pieno al SSN che ha però il diritto di richiedere una nota di accredito per i pazienti che non abbiano ottenuto il risultato terapeutico atteso sulla base delle schede di follow-up
inserite nel registro dei farmaci oncologici (RFOM). Il meccanismo è elegante, ma il “rovescio della medaglia” è l’onere del controllo attribuito all’acquirente SSN: in mancanza di esito, ogni trattamento è retribuito come un successo (per il produttore). Non è noto quanto le regioni riescano a svolgere la propria funzione di controllo. Spesso, parlando con gli addetti ai lavori, questa domanda ottiene come risposta un “allargamento di braccia”. L’unico rapporto pubblico disponibile sul sito dell’AIFA risale al periodo aprile 2006-settembre 2007; quindi, non ci è dato sapere quanti fossero i pazienti registrati nel 2008 e nel 2009, quanti i follow-up completati, se i risultati fossero in linea o meno con le ipotesi negoziali di efficacia, ecc. ecc. In mancanza di informazioni, rimane aperta la domanda se le regioni recuperino in pratica risorse economiche dai casi di fallimento terapeutico, come stabilito contrattualmente. È chiaro che ogni mancata applicazione si traduce in un aggravio di spesa non previsto per farmaci ad alto costo. Archiviato il passato, la domanda attuale è ovviamente come gestire il 2010. Da osservatori ci piace iniziare con una buona notizia, in controtendenza rispetto alle usuali previsioni pessimistiche: numeri alla mano, la riduzione per il 2010 del tetto della spesa territoriale al 13,3% sembra fattibile, a patto che si mantenga e si estenda la capacità di gestire questa voce di spesa. Diverso il discorso per l’ospedaliera: la stima del disavanzo 2010 è di circa 2 miliardi di euro. I tecnici regionali hanno proposto di riunificare i tetti di spesa, una proposta a nostro avviso di buon senso, anche perché in questo modo chi negozia i prezzi torna ad essere pienamente responsabile del rispetto dei contratti stipulati. Questa modifica potrebbe portare a rivedere i contratti di esito, “bilanciando i rischi” dell’onere della verifica d’esito fra SSN e produttore. Ad esempio, il farmaco potrebbe essere inizialmente fatturato a metà prezzo, con successivo conguaglio su base semestrale, suddividendo fra SSN e industria il rischio finanziario dei casi di mancato follow-up in base ad accordi specifici.
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EDITORIALE Inoltre, in generale, un tetto unico amplia le possibilità di gestione della spesa, come già si è evidenziato nel 2009, senza ricorrere necessariamente a fondi integrativi centrali. Un’alternativa all’accorpamento dei tetti di spesa potrebbe essere la conduzione di gare d’acquisto regionali. In un articolo pubblicato all’inizio di quest’anno, partendo dal caso del vaccino anti-HPV, il cui prezzo si è più che dimezzato grazie alle gare regionali, avevamo proposto che le regioni, superando le comprensibili ritrosie di ordine legale-amministrativo, prendessero in considerazione la possibilità di sviluppare lo strumento delle gare in funzione del rispetto della spesa ospedaliera. La proposta dei tecnici regionali di bandire gare biennali per i farmaci fuori brevetto va sostanzialmente in questa direzione.
Ovviamente, tutti i ragionamenti fin qui fatti e le considerazioni proposte possono essere più o meno condivisibili. È invece più difficile rispondere alla seguente domanda finale, dopo quanto un qualificato revisore dei conti (www.ilrevisoreweb.it) ci ha recentemente mostrato: dal 2003 al 2008 lo Stato ha erogato fondi aggiuntivi (anzi “fondini”) pari a circa €6,5 miliardi per coprire sette anni di disavanzi della spesa sanitaria, al cui interno ricade anche quella farmaceutica. L’attuale crisi economica ci permetterà ancora di mantenere simili abitudini (volgarmente riassunte nella nota esclamazione “tanto paga Pantalone”) anche nei prossimi sette anni o dovremo cominciare a rinunciare a parte dei servizi di cui oggi, seppur criticamente, godiamo? Al federalismo fiscale l’ardua risposta …
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VALUTAZIONE ECONOMICA Livio Garattini 1, Daniela Koleva 1, Gianluigi Casadei 1
L’applicazione dei modelli di Markov in farmacoeconomia
Abstract
PA R O L E C H I AV E :
Obiettivo L’obiettivo primario di questo studio è stato verificare se la sponsorizzazione delle aziende farmaceutiche influenzi i risultati delle valutazioni economiche complete (VEC) basate sul modelling. In particolare, ci siamo focalizzati sulla crescente letteratura basata su modelli di Markov, la tecnica più usata per stimare costi e benefici tempo-vita.
CATENE DI MARKOV, TERAPIA FARMACOLOGICA, COSTI E ANALISI DEI COSTI
Metodi Abbiamo effettuato una ricerca della letteratura presente nel data-base internazionale Pub–Med, al fine di trovare tutti gli studi sui trattamenti farmacologici nei quali fossero stati applicati modelli di Markov, pubblicati in inglese, nel periodo 1 gennaio 2004–30 giugno 2009. Abbiamo selezionato le VEC che si erano focalizzate solo su singoli farmaci, specificamente Analisi Costo-Efficacia e Analisi Costo-Utilità. Sono stati considerati eleggibili 200 articoli, includenti VEC costruite applicando modelli di Markov. Per l’analisi, abbiamo classificato le VEC in due gruppi, in relazione a se avessero o meno ottenuto un supporto finanziario dall’industria farmaceutica. Quindi, abbiamo valutato le principali conclusioni che sono state classificate come: 1) favorevoli 2) incerte 3) non favorevoli. Risultati Dei 200 articoli selezionati, 138 (69%) sono stati sponsorizzati e 162 (81%) hanno espresso conclusioni favorevoli. Gli studi sponsorizzati hanno riportato conclusioni favorevoli in modo significativamente superiore a quelli non sponsorizzati (95% vs 50%, p<0,001), non giungendo mai a conclusioni sfavorevoli. Conclusioni La revisione ha riscontrato che una quota sostanziale di studi è stata sostenuta dall’industria farmaceutica, concludendo quasi sempre a favore del farmaco studiato e senza alcuna conclusione sfavorevole. Questi risultati confermano che, anche nell’ambito degli studi farmacoeconomici, il modo migliore di limitare “fattori confondenti” è distinguere chiaramente il soggetto chiamato a valutare una nuova tecnologia da chi la produce e/o la commercializza.
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1 CESAV, Centro di Economia Sanitaria “Angelo e Angela Valenti”
VALUTAZIONE ECONOMICA INTRODUZIONE L’attuale crisi economica sta costringendo tutti i Paesi OCSE a cercare di calmierare la spesa sanitaria, progressivamente aumentata nel corso dei decenni precedenti.1 D’altro canto, ogni contrazione generalizzata nella spesa sanitaria non è socialmente desiderabile e tutti i governi sono impegnati a ridurre gli sprechi di risorse, incoraggiando contemporaneamente l’introduzione di terapie costo-efficaci. È auspicabile che l’ HTA (la “Valutazione di una Tecnologia Sanitaria”) fornisca ai politici informazioni attendibili e documentate sull’efficacia e i costi delle terapie sanitarie.2 Ad esempio, il piano finanziario recentemente approvato dal Congresso Americano (780 milioni di euro per studi sull’efficacia comparativa nell’ambito di 100 aree primarie di ricerca)3 dovrebbe rinforzare il ruolo dell’HTA quale strumento cruciale per razionalizzare il processo decisionale nella gestione dell’assistenza sanitaria.4,5 Tuttavia, contestualmente, i conflitti di interesse dovuti all’influenza dell’industria farmaceutica stanno emergendo come problema critico in molti ambiti della ricerca, della formazione e della pratica medica. Numerose proposte sono state avanzate per aumentare la trasparenza, tutte mirate a proteggere l’integrità della ricerca e la salute dei pazienti.6
Questa problematica può influenzare anche le VEC:7 è probabile che l’industria aumenti i propri sforzi nel campo dell’HTA, al fine di influenzare le decisioni dei “terzi paganti”; ciò potrebbe divenire un problema importante nel prossimo futuro, a meno che i decisori pubblici non affinino le proprie capacità critiche nell’interpretare i risultati delle VEC. Ispirati da eventi verificatisi in passato nella ricerca farmacologica, dove la maggior parte degli articoli pubblicati erano studi clinici sponsorizzati dagli esiti positivi, abbiamo revisionato gli studi farmacoeconomici tratti dalla letteratura internazionale.8 L’obiettivo primario è stato quello di verificare se la sponsorizzazione da parte dell’industria farmaceutica possa influenzare i risultati di VEC basate su modelli. In particolare, ci siamo focalizzati sulla fiorente letteratura basata sui modelli di Markov, la tecnica più diffusamente utilizzata per stimare costi e benefici in tempo-vita.9
METODI Abbiamo effettuato una ricerca della letteratura internazionale nel data-base PubMed, al fine di reperire tutti gli studi farmacoeconomici basati sui modelli di Markov e pubblicati in inglese nel periodo gennaio 2004-giugno 2009. Sono sta-
TABELLA 1 Finanziamenti e conclusioni negli studi revisionati
Sponsorizzato (n = 138)
Non Sponsorizzato (n = 62)
valore
valore
%
%
Conclusioni favorevoli
p
<0,001 131
94,9
31
50,0
incerte
7
5,1
20
32,3
sfavorevoli
0
0,0
11
17,7
Almeno un co-autore affiliato <0,001
a una Società di Consulenza Si
82
59,4
6
9,7
No
56
40,6
56
90,3
N = numero
8 Quaderni di Farmacoeconomia 12 - giugno 2010
VALUTAZIONE ECONOMICA te selezionate solamente le VEC focalizzate su farmaci, in particolare ACE e ACU. Abbiamo condotto due ricerche, la prima con le parole chiave “catene di Markov“, “terapia farmacologica” e “costi/analisi dei costi”, la seconda sostituendo il termine “catene di Markov“ con “modelli economici”. La figura 1 riassume la strategia di ricerca e i suoi risultati: 200 articoli includenti VEC basate sui modelli di Markov sono state considerate eleggibili. Ai fini dell’analisi abbiamo classificato le VEC in due gruppi, in relazione al fatto
Figura 1.
che avessero ottenuto o meno un supporto finanziario dall’industria farmaceutica (figura 2); di conseguenza, sono state attentamente esaminate le affiliazioni degli Autori e i ringraziamenti. Studi co-firmati da almeno un Autore dipendente di azienda farmaceutica e/o studi che dichiarassero un qualunque tipo di finanziamento aziendale sono stati considerati sponsorizzati, mentre tutti gli altri studi sono stati classificati come non sponsorizzati. Gli articoli sono stati ulteriormente analizzati per capire se almeno un co-au-
Strategie di ricerca della letteratura da revisionare
* Analisi dei Costi, VEC diverse da ACE o ACU, VEC focalizzate su alternative non farmacologiche (ad esempio, screening, radioterapia, chirurgia). ** VEC condotte su interi gruppi terapeutici o regimi terapeutici. ACE = Analisi Costo-Efficacia; CUA = Analisi Costo-Utilità; VE = Valutazione Economica; VEC = Valutazione Economica Completa; MeSH = Termini Medici ( Medical subject heading )
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VALUTAZIONE ECONOMICA tore fosse affiliato a una società di consulenza. Infine, abbiamo valutato le conclusioni principali, classificandole come: 1) “favorevoli” se il farmaco studiato era chiaramente indicato come la scelta migliore (cioè citato come “costo-efficace” o con un “accettabile rapporto incrementale costo efficacia”); 2) “incerte” quando era espressa una certa incertezza nei commenti finali (ad esempio, “i risultati dovrebbero essere interpretati con prudenza”, “il farmaco potrebbe essere considerato costo-efficace in base a determinate assunzioni”); 3) “non favorevoli” quando i commenti finali erano più chiaramente negativi (ad esempio, “è improbabile che la strategia sia costo-efficace” o “sia economicamente conveniente”). Le variabili sono state espresse in frequenze assolute e relative, statisticamente analizzate con il test2 di Pearson al livello di significatività del 5% (p≤0,05). Dal momento che ogni valutazione critica è soggettiva per definizione, due revisori hanno valutato separatamente i 200 articoli al fine di minimizzare la discrezionalità. Infine, è stato organizzato un incontro per raggiungere un consenso e un terzo revisore ha preso la decisione finale per le dieci variabili (1,6% del totale) che erano state diversamente giudicate (test di concordanza, K = 0,9).
Figura 2.
RISULTATI La tecnica più frequentemente utilizzata è stata l’ACU (più del 70%), seguita dall’ACE (15%); nei rimanenti articoli l’ACE e l’ACU sono state condotte contestualmente. Dei 200 articoli, 138 (69%) sono risultati sponsorizzati, 162 (81%) sono pervenuti a conclusioni favorevoli, 88 (44%) sono stati condotti da società di consulenza. I sottogruppi sono risultati significativamente diversi, sia a livello di conclusioni che di collaborazione con società di consulenza (Tabella 1). E’ risultato decisamente più probabile che gli studi sponsorizzati riportassero conclusioni favorevoli rispetto a quelli non sponsorizzati (95% versus 50%, p<0,001), mai riportando conclusioni sfavorevoli. Le società di consulenza sono risultate prevalentemente coinvolte nella realizzazione degli studi sponsorizzati (59% vs. 10%, p<0,001).
DISCUSSIONE Questa revisione della letteratura si è focalizzata sulla sponsorizzazione degli studi farmacoeconomici basati sull’applicazione di modelli di Markov. L’obiettivo principale è stato quello di valutare se e in quale misura le conclusioni siano state influenzate dalla sponsorizzazione dell’in-
Classificazione delle VEC in ragione del finanziamento
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VALUTAZIONE ECONOMICA dustria farmaceutica. Come in tutte le revisioni le cui referenze bibliografiche sono estratte da un singolo data-base internazionale, potremmo avere involontariamente escluso qualche studio, sebbene le tecniche sistematiche di ricerca bibliografica dovrebbero avere minimizzato questa eventualità, oltre al fatto che la numerosità del campione e la chiarezza dei risultati dovrebbero rendere ininfluente questo limite potenziale. La revisione ha riscontrato una quota notevole di studi supportati dall’industria farmaceutica, quasi tutti con esiti favorevoli al farmaco oggetto dello studio e, addirittura, nessuna conclusione sfavorevole. Gli studi sponsorizzati si sono spesso avvalsi di società di consulenza, plausibilmente in competizione tra loro per ottenere finanziamenti, la cui presenza solleva ulteriori dubbi sulla credibilità delle conclusioni. I modelli di Markov hanno dimostrato di essere strumenti particolarmente duttili per ottenere risultati attesi “a tavolino”, essendo molto flessibili e aperti a vari assunti. I valori soglia fissati da agenzie pubbliche come il NICE inglese potrebbero addirittura agevolare le aziende e le società di consulenza a orientare i propri modelli, essendo il risultato favorevole da raggiungere noto a priori.10,11 Questo aspetto incoraggia probabilmente le aziende a sviluppare modelli stocastici “pre-confezionati” adattabili a più di un Paese semplicemente modificando dati epidemiologici e di costo. La presenza della sponsorizzazione è altamente predittiva di una conclusione positiva, con un margine di errore inferiore all’1%. È obiettivamente difficile identificare una qualsiasi strategia efficace ai fini di limitare la manipolazione potenziale dei risultati di un modello, in contrasto con l’importanza cruciale nell’ambito dell’HTA, più ancora che in altre discipline, di salvaguardare competenza e trasparenza. Pienamente consci di questo limite insormontabile, almeno alcune precauzioni possono essere comunque suggerite alle riviste internazionali, per aiutare i lettori meno esperti a prendere coscienza della potenziale manipolazione dei risultati. Un primo ovvio suggerimento riguarda la piena dichiarazione del conflitto di inte-
resse degli Autori nei ringraziamenti degli articoli, un problema che è già stato ampiamente dibattuto in letteratura.7,10,12 Ciononostante, abbiamo trovato esempi in tal senso preoccupanti nella nostra revisione: tredici articoli non hanno riportato alcuna dichiarazione e due, co-firmati da dipendenti di aziende farmaceutiche, hanno addirittura negato esplicitamente qualsiasi conflitto di interesse.13,14 È auspicabile, inoltre, che le riviste internazionali rafforzino le proprie capacità di controllo sui conflitti di interesse riguardanti le valutazioni economiche basate sui modelli, atteso che questi esercizi di stima sono così aperti ad assunti discrezionali. Ciò implica un’accurata politica di revisione critica degli articoli, da rafforzare attraverso maggiori competenze di carattere economico nelle riviste mediche (solamente il 28% degli articoli revisionati è stato pubblicato in riviste non mediche). Un’ulteriore evidenza nettamente emersa è che ben due terzi degli articoli pubblicati sono sponsorizzati dalle aziende farmaceutiche, essendo il terzo rimanente apparentemente non sponsorizzato (66%) oppure finanziato da agenzie pubbliche come il NICE (34%). Sembrano quindi esserci tutte le condizioni per una maggiore produzione di studi indipendenti in questo campo e le autorità pubbliche delle varie nazioni dovrebbero incoraggiarli se realmente vogliono che l’HTA diventi uno strumento credibile di supporto del processo decisionale in sanità. L’attuale situazione ambigua dell’HTA nel nostro Paese può aiutare a comprendere gli inconvenienti indotti dall’assenza di una chiara e netta strategia. Sia le Autorità Centrali che Regionali hanno recentemente istituito Agenzie di HTA, partendo dal convincimento che si tratti dello strumento più appropriato per valutare le nuove tecnologie emergenti da inserire nel SSN. Il punto di debolezza principale in fase applicativa è però l’esiguità di risorse finanziarie pubbliche messe a disposizione, tale per cui molte agenzie stanno già rivolgendosi all’industria per ottenere ulteriori finanziamenti.15 Da parte nostra, continuiamo a rimanere convinti che la trasparenza possa essere raggiunta solamente se l’HTA verrà gestito e finanziato 11
Quaderni di Farmacoeconomia 12 - giugno 2010
VALUTAZIONE ECONOMICA da autorità pubbliche o da istituti senza fini di lucro e in loro rappresentanza. In conclusione, i risultati di questa revisione confermano che, anche nel campo della farmacoeconomia, il modo migliore di
limitare i cosiddetti “fattori confondenti” è quello di distinguere chiaramente il ruolo del soggetto chiamato a valutare una qualsiasi tecnologia da quelli di coloro che le producono e/o le commercializzano.
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POLITICA SANITARIA Gritti Sara,1 Padula Anna,1 Casadei Gianluigi 1
Indagine sulla gestione regionale della prevenzione vaccinale
Abstract Le vaccinazioni rappresentano uno strumento di fondamentale
PA R O L E C H I AV E :
importanza per garantire il diritto costituzionale alla salute, ivi compreso il diritto/dovere di “non ammalarsi” di una malattia per la quale esiste una prevenzione efficace e sicura. Il Ministero della Salute ha il compito di elaborare su base triennale il Piano Nazionale Vaccini (PNV), un documento tecnico che rientra nell’ambito dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) per la prevenzione. Alle Regioni è affidato il compito di organizzare e attuare l’offerta vaccinale sul territorio avendo come riferimento il PNV, così da garantire l’uniformità del diritto alla prevenzione vaccinale per i cittadini italiani. Lo scopo di questa indagine è stato quello di descrivere quali siano i criteri e le modalità organizzative adottati dalle Regioni per ottimizzare la loro offerta vaccinale, nonché il grado di adesione e applicazione delle linee guida nazionali. L’indagine, a cui hanno partecipato 13 regioni e una Provincia Autonoma, ha preso in considerazione quattro vaccinazioni incluse nei LEA, ritenute paradigmatiche per descrivere l’organizzazione e l’offerta preventiva nella popolazione infantile (antivaricella e trivalente MRP contro morbillo, rosolia e parotite) e in quella adulta (antinfluenzale e anti-pneumococcica 23). Inizialmente sono stati intervistati i responsabili dell’area prevenzione di ciascuna Regione, successivamente è stato inviato loro un questionario mirato a raccogliere informazioni omogenee e confrontabili sull’organizzazione dei servizi di prevenzione a livello regionale e sulle modalità di offerta territoriale delle quattro vaccinazioni individuate come indicatori. Questa indagine ha evidenziato un quadro regionale ampiamente eterogeneo sotto il profilo organizzativo, suggerendo auspicabilmente una maggiore attenzione al coordinamento intra ed interregionale, al fine di aumentare l’efficienza e l’appropriatezza dei servizi compatibilmente con la sempre crescente necessità di tenere sotto controllo la spesa.
VACCINI, REGIONI
13 Quaderni di Farmacoeconomia 12 - giugno 2010
1 CESAV, Centro di Economia Sanitaria “Angelo e Angela Valenti”
POLITICA SANITARIA INTRODUZIONE Le vaccinazioni rappresentano uno strumento di fondamentale importanza per garantire il diritto costituzionale alla salute, ivi compreso il diritto/dovere di “non ammalarsi” di una malattia per la quale esiste una prevenzione efficace e sicura. A livello individuale la vaccinazione protegge i singoli (cittadini), inducendo una risposta immunitaria simile a quella provocata dall’infezione naturale; a livello collettivo riduce il rischio di trasmissione della malattia (“effetto gregge”), limitando la diffusione dell’agente patogeno e il suo impatto sociale. Nel 1979 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha dichiarato ufficialmente l’eradicazione mondiale del vaiolo, in Europa la poliomelite è scomparsa dal 2002; in Italia le vaccinazioni di massa hanno drammaticamente ridotto l’incidenza di malattie come la difterite, il tetano, l’epatite B e alcune “malattie dei bambini” come pertosse, morbillo, rosolia e parotite. Il Ministero della Salute ha il compito di elaborare su base triennale il Piano Nazionale Vaccini (PNV), un documento tecnico che rientra nell’ambito dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) per la prevenzione. Alle Regioni è affidato il compito di organizzare e attuare l’offerta vaccinale sul territorio avendo come riferimento il PNV, così da garantire l’uniformità del diritto alla prevenzione vaccinale per i cittadini italiani. La recente disponibilità di un vaccino contro il papilloma virus (HPV) per la prevenzione del cancro della cervice e la sensibilizzazione sulla prevenzione delle infezioni da virus influenzali hanno ravvivato l’attenzione sulle problematiche connesse alla necessità di garantire un’efficiente copertura vaccinale, anche in situazioni di apparente emergenza come nel caso della pandemia da virus H1N1. In questo contesto, abbiamo ritenuto interessante documentare quali siano i criteri e le modalità organizzative adottati dalle Regioni per ottimizzare la loro offerta vaccinale, nonché il grado di adesione e applicazione delle linee guida nazionali.
MATERIALI E METODI L’indagine è stata condotta nel periodo Marzo 2008 - Novembre 2009. Inizialmente sono stati intervistati i responsabili dell’area prevenzione di 14 regioni (Valle d’Aosta, Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Lazio, Emilia Romagna, Toscana, Marche, Abruzzo, Puglia, Basilicata e Sicilia) e delle province autonome di Trento e Bolzano. Le interviste sono state mirate alla raccolta di informazioni sul coinvolgimento regionale nella gestione di quattro vaccinazioni incluse nei LEA, ritenute paradigmatiche per descrivere l’organizzazione e l’offerta preventiva nella popolazione infantile (antivaricella e trivalente MRP contro morbillo, rosolia e parotite) e in quella adulta (antinfluenzale e anti-pneumococcica 23). Successivamente è stato inviato un questionario agli stessi interlocutori, con domande aperte e chiuse, mirato a raccogliere informazioni omogenee e confrontabili sull’organizzazione dei servizi di prevenzione a livello regionale e sulle modalità di offerta territoriale delle quattro vaccinazioni individuate come indicatori. Le richieste quantitative sono state riferite al 2007, in modo da accedere a dati ragionevolmente consolidati in ogni regione. Più in dettaglio, la ricerca si è focalizzata sui seguenti aspetti. Tipologie di organizzazione dei servizi di prevenzione vaccinale e eventuale esistenza e applicazione di indicatori di qualità del servizio. La varietà e la specificità dei modelli organizzativi ha suggerito di adottare un approccio di tipo funzionale, verificando lo svolgimento delle funzioni di pianificazione, coordinamento, monitoraggio e sorveglianza delle attività, piuttosto che la descrizione di una precisa struttura organizzativa come originariamente previsto. Personale, considerando esclusivamente i dipendenti del Servizio Sanitario Regionale (SSR) ubicati nella sede regionale o in agenzie regionali, oppure appartenenti alle ASL e distaccati anche a tempo parziale in attività di prevenzione vaccinale a livello regionale; pertanto, è stato escluso il personale appartenente a enti convenzionati. Per il cal14
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POLITICA SANITARIA colo quantitativo del personale addetto, si è fatto riferimento al Tempo Pieno Equivalente (TPE) in base alla stima delle ore dedicate ai servizi vaccinali. Adozione di un’anagrafe vaccinale informatizzata (AVI) per la raccolta nelle strutture territoriali dei dati sulle vaccinazioni previste dai LEA. Esistenza o meno di un monitoraggio degli eventi avversi connessi alla prevenzione vaccinale. Organizzazione di piani di formazione per gli operatori sanitari. Programmi di collaborazione con la Medicina del territorio. Eventuali iniziative promosse direttamente dalla Regione per sensibilizzare i cittadini sulle vaccinazioni previste dai LEA del 2007. Procedure per la gestione del rifiuto alle vaccinazioni. Obiettivi di medio - lungo periodo sul miglioramento dell’offerta vaccinale. Sono state successivamente raccolte informazioni quali-quantitative specifiche per i quattro vaccini considerati: modalità di promozione delle vaccinazioni, quantità di dosi erogate, coperture e prezzi di aggiudicazione. I prezzi di aggiudicazione sono stati correlati con le dosi erogate considerando per ciascun vaccino solo le regioni che hanno fornito informazioni complete. Nei casi in cui la regione ha fornito un prezzo minimo e massimo di aggiudicazione, non conoscendo l’entità dei singoli lotti aggiudicati, è stato stimato un prezzo medio sulla base della semplice media aritmetica fra minimo e massimo. A completamento della ricerca, sono state vagliate le informazioni disponibili sui vaccini riportate dai siti web dedicati (nazionali e regionali) ad accesso libero. Al fine di chiarire possibili incomprensioni e colmare lacune informative, i dati preliminari sono stati discussi e verificati in una riunione tenuta a Ottobre 2009, a cui hanno partecipato i ricercatori del CESAV e la maggior parte dei responsabili regionali. Il rapporto finale, da cui è tratto questo manoscritto, è stato infine inviato per verifica e commento ai responsabili regionali il 18 Dicembre 2009. Al termine di questo lungo e articolato processo è stato necessario escludere la regione Lazio e la
provincia di Trento perché, purtroppo, non hanno fornito la maggior parte delle informazioni richieste. Pertanto, i risultati sono riferiti a 14 enti territoriali (13 regioni e una provincia autonoma) che nel 2007 costituivano circa il 72% della popolazione residente al 1/1/20071 e dei costi sostenuti dal SSN;2 il campione può comunque essere considerato rappresentativo del quadro nazionale, con una copertura pressoché completa al Nord (99% dei residenti) e intorno alla metà per le regioni centrali (50,4%) e meridionali e peninsulari (49,8%).
RISULTATI Regioni e servizi di prevenzione vaccinale
I principali compiti svolti a livello regionale sono risultati: la definizione di obiettivi strategici (100%) e la pianificazione (10/14), il coordinamento delle attività (12/14), l’attività di controllo della gestione delle risorse (13/14) e di sorveglianza (11/14), quest’ultima definita come raccolta dei dati necessari a monitorare e valutare i programmi di vaccinazione per garantire la corretta informazione della popolazione, dei politici e degli operatori sui progressi delle campagne di controllo o di eradicazione.3 Solo 5 regioni provvedono all’acquisto centralizzato di vaccini e svolgono attività di supporto amministrativo alle ASL. Il numero medio di operatori per regione è risultato di 3 al Nord, 4 al Centro e 2 al Sud, mentre il TPE medio 1,6 (intervallo 0,2-6,4). Gli operatori sono prevalentemente dipendenti delle regioni (10/14), sebbene in alcune di esse (6 su 14), soprattutto al Nord e al Centro, sia diffusa anche la pratica di distaccare in regione (per una parte dell’attività settimanale) operatori delle ASL. Dal confronto fra TPE e totale degli assistiti, è emerso che tendenzialmente il TPE cresce all’aumentare degli assistiti, eccezion fatta per Veneto e Lombardia, dove si registrano i valori di TPE, rispettivamente, più alto e più basso rispetto al numero di assistiti (Figura 1). Relativamente all’AVI, è emerso un quadro piuttosto disomogeneo, anche a livello di aree macro territoriali. Tre regioni 15
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POLITICA SANITARIA Confronto fra totale degli assistiti e numero di operatori dedicati al Servizio di prevenzione vaccinale a Tempo Pieno Equivalente (TPE) (2007) Figura 1.
hanno dichiarato che nessuna delle loro Asl utilizza anagrafi informatizzate. Le regioni in cui alcune Asl dispongono di sistemi informatizzati, ma utilizzano software differenti tra di loro, sono quattro, così come le aree territoriali in cui tutte le Asl sono informatizzate, ma utilizzano software incompatibili. Nelle rimanenti tre regioni le Asl sono informatizzate e utilizzano anche il medesimo software (Figura 2). Tutte le regioni raccolgono informazioni sulle vaccinazioni incluse nei LEA. Solo in 6 aree i dati vengono trasmessi direttamente alla Regione per via informatica (Lombardia, Valle d’Aosta, Puglia, Friuli Venezia Giulia, Bolzano e Emilia Romagna), mentre, delle restanti 8, soltanto 3 hanno dichiarato che la trasmissione dei dati avviene ancora tramite reports cartacei (Liguria, Sicilia e Basilicata). I dati emersi in merito alla programmazione della qualità dell’offerta di servizi di prevenzione vaccinale sembrano indicare come questo tema fosse ancora poco sviluppato nel 2007. Solamente due regioni (Lombardia e Marche) hanno dichiarato di attuare piani locali di razionalizzazione per una migliore distribuzione territoriale e funzionale delle sedi. Le stesse regioni, unitamente alla Liguria, avevano adottato indicatori di qualità, considerando necessario un processo di valutazione continua delle prestazioni offerte, in termini sia quantitativi (copertura raggiunta) che
qualitativi (qualità intrinseca del servizio). Da questo quadro va comunque enucleato l’aspetto sicurezza: con la sola eccezione dell’Abruzzo, in tutte le regioni le segnalazioni di eventi avversi da vaccini sono gestite tramite la procedura ordinaria di farmacovigilanza. Da segnalare inoltre come in Veneto sia attivo un programma, il cosiddetto “canale verde”, di consulenza prevaccinale e sorveglianza degli eventi avversi (incluse le valutazioni del nesso di causalità).4,5 Rimanendo in ambito medico-legale, nel 1999 lo Stato decretò la possibilità che i bambini frequentassero la scuola dell’obbligo anche senza aver eseguito le vaccinazioni;6 a fronte dell’aumento dei casi di rifiuto all’obbligo per le vaccinazioni pediatriche (difterite, tetano, poliomielite ed epatite B) da parte di genitori, 9 regioni hanno dichiarato di avere elaborato dei piani specifici per la gestione dei casi di inadempienza. La gestione dei casi di rifiuto della vaccinazione avviene generalmente per gradi: dapprima si ricorre a un colloquio con i genitori a scopo informativo, durante il quale vengono accertate le motivazioni del rifiuto e si verificano eventuali condizioni di trascuratezza del minore; in caso di persistenza del rifiuto, l’inadempienza alla vaccinazione viene segnalata ai Servizi Sociali e alle Autorità competenti (Sindaco del Comune di residenza, responsabile del servizio d’igiene e Tribunale per i Minorenni). 16
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POLITICA SANITARIA Figura 2.
Anagrafi Vaccinali nelle 14 aree considerate
Una risposta generalizzata per rafforzare la sensibilizzazione e l’adesione dei cittadini alla prevenzione vaccinale è costituita dalla formazione professionale degli operatori sanitari, volta a migliorare la capacità di informazione e comunicazione. Le categorie professionali più coinvolte sono i Medici di Medicina Generale (MMG), i Pediatri di Libera Scelta (PLS) e il Personale Medico e Paramedico Dipendente dei servizi di prevenzione; solo tre Regioni hanno organizzato corsi formativi anche per i ginecologi e, comunque, limitatamente alla vaccinazione contro l’HPV. La formazione degli operatori sanitari è stata indicata da 4 regioni come obiettivo primario a medio termine. Anche l’istituzione o il consolidamento dell’AVI viene giudicato un traguardo importante (4/14) a valenza generale, mentre l’obiettivo prioritario specifico più segnalato è stato quello dell’eradicazione del morbillo (5/14).
abbia raggiunto nel 2007 il livello soglia del 75% posto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) per i soggetti con età superiore a sessantacinque anni. Nonostante il massiccio impiego di campagne di sensibilizzazione sulla stampa locale e dei manifesti negli studi medici e/o nelle farmacie dichiarato dagli intervistati, soltanto 2 (Emilia Romagna e Basilicata) delle 8 regioni che hanno fornito i dati di copertura si sono distinte per essersi attestate intorno al 73%, mentre la media è risultata del 66,6%. Ad eccezione della Basilicata, i MMG contribuiscono in modo preponderante ai risultati di copertura raggiunti nella popolazione di età superiore a sessantacinque anni (Figura 3). Vaccinazione anti-pneumococco 23 Sebbene quasi tutte le regioni abbiano dichiarato di attuare un piano di comunicazione rivolto agli utenti (11 su 14) per questa vaccinazione, solo 4 regioni (Valle d’Aosta, Friuli Venezia Giulia, Toscana e Marche) hanno fornito informazioni sulla copertura degli anziani, risultata in media solo del 2,6%. Il Friuli Venezia Giulia è
Regioni e vaccinazioni
Vaccinazione antinfluenzale I dati di copertura emersi dall’indagine hanno evidenziato come nessuna regione 17
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POLITICA SANITARIA Coperture vaccino antinfluenzale soggetti ≥65 anni, complessive e parziali riferite agli MMG (2007) Figura 3.
MMG = Medici di Medicina Generale; OMS = Organizzazione Mondiale della Sanità
l’unica regione che si è distinta per essersi attestata a un livello sufficientemente elevato (51,5%). Nella maggior parte dei casi le regioni hanno stipulato accordi con la medicina territoriale, affidando di fatto la somministrazione di tale vaccino ai MMG; di conseguenza, è ipotizzabile che la somministrazione dell’antipneumococco 23 sia in prevalenza avvenuta contestualmente a quella dell’antinfluenzale.
1992. Due regioni hanno esteso l’offerta gratuita anche ad altre fasce rispetto a quelle indicate come a rischio nella circolare testé citata; ad esempio, la Liguria ha incluso nel programma di vaccinazione i soggetti undicenni senza ricordo anamnestico di malattia, mentre in Sicilia vengono vaccinati tutti i nuovi nati, oltre ai dodicenni con anamnesi negativa dalla stagione 2002-03. I dati di copertura sono di fatto inesistenti, anche a causa dell’oggettiva difficoltà di fissare un denominatore credibile per questa vaccinazione. Le modalità di comunicazione risultano assai contenute e effettuate prevalentemente mediante la distribuzione di libretti informativi.
Vaccinazione MPR Il tasso di copertura dei bambini entro i due anni di età è risultato lievemente inferiore in tutte le Regioni all’obiettivo del 95% raccomandato dal Piano nazionale per l’eliminazione del morbillo e della rosolia congenita, oscillando fra 86% e 94,2% (Figura 4). I metodi maggiormente utilizzati per la campagna di sensibilizzazione a favore di questo vaccino consistono in lettere d’invito e richiami o solleciti, indirizzati in particolare alle famiglie; sotto questo profilo, la Puglia è l’unica regione che continua ad attuare dei programmi di vaccinazione in ambito scolastico.
Acquisto dei vaccini I dati si riferiscono alle 5 regioni (Veneto, Emilia Romagna, Marche, Basilicata e Sicilia) che provvedono all’acquisto centralizzato dei vaccini e ad altre 5 che sono state in grado di recuperare i prezzi di acquisto delle Asl. Come evidenziato in Tabella 1, i prezzi dei vaccini variano ampiamente da regione a regione; le differenze fra prezzo massimo e minimo sono circa di 5 volte per l’antinfluenzale e 4 volte per il trivalente MPR, i vaccini a più alti volumi di acquisto. In particolare la regione Basilicata ha riconosciuto prezzi massimi ampiamente superiori rispetto alle altre regioni.
Vaccinazione anti varicella Tutte le regioni sono tenute a somministrare gratuitamente questo vaccino alle categorie di soggetti a rischio in base alla Circolare Ministeriale n° 8 del 10 marzo 18
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POLITICA SANITARIA Figura 4.
Copertura per Regione del vaccino trivalente MPR (2007)
PNV = Piano Nazionale Vaccini
Tuttavia anche escludendo questa regione, le variazioni rimangono importanti: da € 1,50 a € 5,77 per il vaccino antinfluenzale e da €5,01 a €12,00 per il trivalente.
L’analisi di regressione lineare sui prezzi medi stimati non sembra evidenziare un “effetto prezzo-volume” particolarmente elevato per nessun vaccino, anche nei casi
TABELLA 1 Prezzi di acquisto e dosi erogate dei vaccini nel 2007 Antinfluenzale
MRP
Prezzo
Piemonte
Lombardia
Prezzo
Min
Max
3,00
4,50
Valle d'Aosta
5,45 2,46
P.A. Bolzano
Dosi
Min
749.564
Max
7,00
19.145
5,68 4,50
Veneto
Pneumococco 23
1.398.715
5,01
nd
np
12,00
10,91 11,37
10,40
Varicella
Prezzo Dosi
Min
Max
Prezzo Dosi
Min nd*
Max
33,00 42,00
Dosi
80.793
nd*
1.800
16,36
1.230
nd
3.635 10
266.269
16,06
33.931
32,15 37,98
924
nd
15,80
nd
35,50
nd
847.235
9,80
105.427
14,90
np
35,75
17.374
Friuli V.G.
4,49
5,13
252.205
11,30
24.718
16,05
36.607
37,90
1.327
Emilia Romagna
4,63
5,24
993.476
9,84
106.526
15,50
18.985
nd
Toscana
3,45
4,94
807.133
12.142
29,09
6,09
8,49
61.492
14,09 15,71
nd 5.679
Marche
3,71
4,94
303.510
9,15
10,07
12.533
13,88 15,70
10.200
33,56 36,92
637
Puglia
1,50
5,77
855.639
7,45
9,40
91.477
12,95 15,74
43.346
30,00 36,80
35.705
Basilicata
4,00
8,00
120.000
9,97
20,00
4.315
16,60 33,20
10.032
33,00 66,00
1.301
Intervallo (min-max)
1,50
8,00
5,01
20,00
Prezzo medio ponderato
4,23
8,91
12,95 33,20 15,9
29,09 66,00 34,3
Per il calcolo del prezzo medio ponderato sono state considerate solo le regioni evidenziate con il fondino grigio che hanno fornito per ciascun vaccino sia il prezzo di acquisto che le dosi. np= dato non pervenuto; nd=dato non disponibile a livello regionale. Le Regioni Abruzzo, Liguria e Sicilia non sono menzionate in quanto non hanno fornito dati sui prezzi di acquisto dei vaccini. La vaccinazione antipneumococcica in Piemonte non è stata somministrata nell’anno 2007.
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POLITICA SANITARIA Figura 5. Prezzi e dosi erogate per Regione del vaccino antinfluenzale (a) e trivalente MPR (b) (2007). La regressione lineare è riferita ai prezzi unici dichiarati o medi stimati .
a)
b)
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POLITICA SANITARIA di acquisti di quantitativi significativi come avviene per i vaccini antinfluenzale (R 2=0,4209) e trivalente MPR (R2=0,3221). Per l’antinfluenzale il prezzo medio stimato tende solo lievemente a diminuire all’aumentare del volume di dosi acquistate in ambito regionale (Figura 5a), mentre per il trivalente MPR (Figura 5b) il prezzo medio in Lombardia (dove le Asl acquistano i vaccini in forma consortile per oltre 260.000 dosi) è risultato sovrapponibile a quello pagato dalla regione Toscana (che pur effettua acquisti per area vasta) per un quantitativo 5 volte inferiore (60.000 dosi).
pletata con l’impiego di software compatibili fra ASL e regione) ai fini dello scambio di dati aggiornati è stato riscontrato solo in tre piccole realtà settentrionali (Valle d’Aosta, Friuli Venezia Giulia e provincia di Bolzano), controbilanciate (per così dire) da tre regioni del centrosud dove le ASL non sono informatizzate; la maggior parte delle regioni è informatizzata o sta per diventarlo, ma senza dotare le proprie ASL di un software compatibile, dando così luogo a una sommatoria di iniziative individuali intra-regionali, presumibilmente focalizzate su esigenze locali, ma meno attente a garantire lo scambio delle informazioni che, nell’epoca di internet, è unanimemente riconosciuto come il vantaggio primario dell’informatizzazione. Questi risultati sono sostanzialmente sovrapponibili a quelli di un’indagine condotta su tutte le regioni dal Ministero della Salute nel giugno 2007, la quale indica come sia necessario migliorare il livello di informatizzazione dei dati sulle vaccinazioni (soprattutto nelle regioni meridionali) poiché la loro diffusione potrà avere una ricaduta positiva sulla collettività.8 A questa raccomandazione possiamo aggiungere la considerazione che le AVI permettono di raccogliere dati aggiornati e verificabili su parametri di efficienza (le coperture) e di sicurezza d’impiego, nonché di dettagliare l’attuazione di piani di profilassi urgenti quando richiesta da situazioni di emergenza come una pandemia. Lo “stato dell’arte” dell’AVI va giudicata non a se stante, ma come parte del problema più generale di ottenere dalle regioni dati comparabili su efficienza, qualità e appropriatezza dell’offerta sanitaria in Italia. È sperabile che la piena attuazione del progetto “Mattoni SSN”, approvato dalla Conferenza StatoRegioni nel dicembre 2003,9 di fondamentale importanza anche per l’individuazione dei costi standard alla base del federalismo fiscale,10 possa contribuire a fornire una soluzione definitiva all’implementazione di AVI in Italia. A questo proposito, un coordinamento regionale appare indispensabile, indipendentemente dalle scelte politiche e strategiche sull’autonomia gestionale delle ASL a li-
DISCUSSIONE Questa indagine è stata delineata alla fine del 2007, nel momento in cui il dibattito sul lancio del nuovo vaccino HPV aveva sollevato grande attenzione sulla questione vaccinale, interesse successivamente rilanciato e amplificato dalla pandemia H1N1. Una precedente indagine da noi condotta nelle ASL lombarde aveva evidenziato una considerevole eterogeneità in termini organizzativi, gestionali e di risultati dei servizi vaccinali locali nel medesimo ambito regionale.7 È stato quindi naturale domandarsi successivamente come si presentasse lo scenario interregionale, confrontando i criteri e le modalità organizzative dell’offerta vaccinale e il loro grado di adesione alle linee guida nazionali. Questa indagine ha indubbiamente confermato, come prevedibile, l’esistenza di un quadro regionale ampiamente eterogeneo sotto il profilo organizzativo, ma il dato più evidente è stato quello della difficoltà di ottenere informazioni apparentemente semplici e di facile reperibilità, quali i dati di copertura e i prezzi dei vaccini. Nonostante l’impegno profuso dai nostri referenti, l’indagine si è di fatto protratta oltre i termini prefissati, a causa della necessità di dare il tempo a molti di loro di acquisire informazioni dalle Asl e, in alcuni casi, si è dovuto constatare l’impossibilità di completare l’opera. Uno sviluppo incompleto delle AVI può essere una delle principali spiegazioni più credibili di una tale situazione. Infatti un quadro ottimale (informatizzazione com21
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POLITICA SANITARIA vello intra-regionale. Del resto, la pianificazione, il coordinamento, il monitoraggio e la sorveglianza sono risultati i quattro obiettivi strategici sostanzialmente condivisi dalle 14 entità oggetto di questa indagine. Il questionario non ha posto volutamente l’accento su come le regioni intendano sviluppare e migliorare i propri intenti, vista la difficoltà di riassumere un quadro così complesso, articolato e ancora in divenire. Le interviste stesse non hanno pienamente chiarito questo aspetto, anche perché è difficile per un responsabile del servizio vaccinale fornire indicazioni così composite. Tuttavia, dal complesso delle informazioni raccolte emergono due spunti rilevanti di discussione: a) il personale dedicato alla gestione della prevenzione vaccinale è assai contenuto, con un valore medio TPE di 1,6 addetti per regione e, in quasi la metà dei casi, le regioni fanno affidamento su personale dell’ASL “comandato” a tempo parziale; b) si percepisce un’elevata frammentazione di responsabilità organizzativa, sia all’interno del servizio regionale sia fra regioni e ASL. Sorge quindi spontaneo domandarsi se e come sarà necessario modificare l’impiego attuale di risorse per adeguarlo agli obiettivi strategici del settore della prevenzione vaccinale e alla crescente sensibilità pubblica nei suoi confronti, nell’ambito di un’offerta sanitaria esclusivamente a carico dei SSR. Giudicando pienamente affidabili le informazioni disponibili, i dati di copertura delle singole vaccinazioni adottate come esempi paradigmatici suggeriscono che nel 2007 il raggiungimento degli obiettivi riconosciuti e dettati dal PNV e dalle linee guida internazionali costituiva ancora un problema in diverse regioni. In questo contesto generale emergono diversi fattori condizionanti l’efficienza dell’offerta. La gestione esclusivamente incentrata sui distretti sanitari delle ASL sembra avvalersi di un’esperienza consolidata negli anni che si traduce in dati di copertura abbastanza elevati, con differenze sostanzialmente contenute da una regione all’altra come nel caso della vaccinazione MPR. Diverso è il caso della
vaccinazione antinfluenzale per i soggetti anziani e a rischio, dove si osserva un dato medio di copertura relativamente prossimo alla soglia di efficienza del 75% (66,6%) grazie al diffuso coinvolgimento dei MMG. Lascia invece perplessi la quasi totale mancanza di copertura riscontrata nelle poche regioni che hanno risposto per le vaccinazioni contro il pneumococco 23 per i soggetti anziani (ad eccezione del Friuli Venezia Giulia) e contro la varicella per gli adolescenti con anamnesi negativa. Se tale mancanza di copertura fosse confermata, si potrebbe forse ravvedere l’utilità di portare la questione a livello centrale, al fine di valutare l’effettiva necessità di tali vaccinazioni e, solo in caso confermativo, identificare una strategia comune per raggiungere livelli adeguati di copertura. Un esempio finale di eterogeneità è il prezzo di acquisto dei vari vaccini. Nel 2007 la logica (e auspicabile) correlazione inversa fra volumi acquistati e prezzi di acquisto a livello regionale non sembra così evidente come potrebbe e dovrebbe essere, pur considerando che l’analisi dei dati va considerata puramente indicativa a causa delle approssimazioni inevitabilmente introdotte in mancanza di dati analitici. Il frazionamento degli acquisti in molte regioni è una possibile spiegazione di fondo. Pur riunendosi spesso in “gruppi di acquisto”, le ASL non risultano in grado di acquistare quantitativi sufficienti per spingere le aziende a ridurre significativamente i prezzi. Un acquisto regionale centralizzato per i vaccini ad alto volume annuale potrebbe essere una soluzione ragionevole per sfruttare al meglio il potere d’acquisto, anche a costo delle inevitabili complicazioni amministrative indotte dalle gare regionali. In tal senso, l’esperienza di acquisti regionali centralizzati del vaccino contro l’HPV, che ha permesso di dimezzare il prezzo negoziato dall’AIFA11 in meno di due anni, costituisce un buon esempio per comprendere l’utilità di gare regionali senza alterare l’autonomia delle singole ASL. In conclusione, questa indagine ha evidenziato come sia auspicabile una maggiore attenzione al coordinamento intra 22
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POLITICA SANITARIA ed interregionale anche nel campo della prevenzione vaccinale, al fine di aumentare l’efficienza e l’appropriatezza dei servizi compatibilmente con la sempre crescente necessità di tenere sotto controllo la spesa, così liberando risorse per nuovi strumenti diagnostici e preventivi già disponibili o attesi nel breve periodo.
delle Regioni e della Provincia Autonoma per la fattiva collaborazione dimostrata. In particolare, si esprime riconoscenza a: Tamara Agostini, Nicola Allegrini, Claudio Angelini, Emanuela Balocchini, Antonella Barale, Roberto Carloni, Michele Dagostin, Manuela Di Giacomo, Lorenza Ferrara, Linda Gallo, Gualtiero Grilli, Francesco Lo Curatolo, Giancarlo Malchiodi, Mario Palermo, Maria Grazia Pascucci, Clara Pinna, Rosa Prato, Francesca Russo, Salvatore Sammarco, Salvatore Scondotto, Luigi Sudano, Giuliano Tagliavento.
RINGRAZIAMENTI Ferma restando la loro esclusiva responsabilità per quanto riportato in questo articolo, gli autori ringraziano gli intervistati
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23 Quaderni di Farmacoeconomia 12 - giugno 2010
LETTERE IN REDAZIONE di Silvano Gallus,1 Giovanni Apolone 2 Rispondono: Anna Padula,3 Gianluigi Casadei,3 Nicola Motterlini,3 Livio Garattini 3
“Quaderni di Farmacoeconomia” risponde ai lettori
Introduzione In questo numero ospitiamo una lettera dei nostri colleghi Silvano Gallus e Giovanni Apolone, giunta in redazione a commento dell’articolo “VACCINAZIONE ANTINFLUENZALE IN AMBIENTE DI LAVORO: UNO STUDIO CASO-CONTROLLO“, pubblicato sull’ultimo numero di QF. Trattasi di un commento dettagliato e puntuale sui limiti della nostra indagine, a cui cerchiamo di replicare (nei limiti del possibile) in modo altrettanto esauriente, in qualità di Autori dell’articolo stesso. Speriamo che i nostri lettori possano apprezzare questo esempio di “dialettica interna”, non solamente nella sostanza, a dimostrazione che ogni studio ha comunque e sempre dei limiti da tenere in considerazione, ma anche nello spirito di “libertà di vedute e democrazia interna” che da sempre caratterizza il nostro Istituto, secondo i dettami del nostro fondatore e Direttore.
1 Unità di Epidemiologia per la Ricerca Clinica Dipartimento di Epidemiologia Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri, Milano 2 Laboratorio di Ricerca Translazionale e di Outcome in Oncologia Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri, Milano 3 CESAV, Centro di Economia Sanitaria “Angelo e Angela Valenti”
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LETTERE IN REDAZIONE LETTERA
fettuata in funzione delle patologia di interesse (malati/non malati, negli studi caso-controllo) o in funzione dell’esposizione (esposti/non esposti negli studi di coorte) [Valsecchi & La Vecchia, 1999]. E’ chiaro pertanto che il presente studio non può essere definito di tipo “caso-controllo”. Questi ultimi sono inoltre per definizione retrospettivi, poiché l’esposizione ai fattori di rischio non può essere successiva all’insorgenza della patologia di studio [Valsecchi & La Vecchia, 1999]. Diversamente, in uno studio di coorte due o più gruppi di soggetti vengono seguiti dall’esposizione all’outcome [Grimes & Shulz, 2002]. Nella sua forma più semplice, in uno studio di coorte viene comparata l’esperienza di un gruppo esposto ad un determinato fattore (nel nostro caso il gruppo dei vaccinati) con un altro gruppo non esposto allo stesso fattore [Grimes & Shulz, 2002]. Ne consegue che lo studio descritto da Padula et al. [2010] rappresenta un classico studio di coorte, con la peculiarità che i non esposti al vaccino antinfluenzale sono stati appaiati agli esposti per età e sesso. Può sembrare solo una questione di forma, e non di sostanza. Del resto descrivere i “vaccinati” come “casi” e i “non vaccinati” come “controlli” può aiutare, soprattutto i lettori meno esperti, a meglio comprendere i risultati dello studio. Ciononostante, è molto importante catalogare correttamente il disegno di studio, per considerare e discutere le limitazioni proprie del tipo di studio proposto. Probabilmente il più importante errore sistematico (bias) di cui bisogna tenere conto nel disegno di uno studio di coorte è il “bias di selezione”, definito in questo caso come l’errore dovuto a differenze sistematiche delle caratteristiche di coloro che partecipano tra gli esposti e coloro che partecipano tra i non esposti. Teoricamente il gruppo degli esposti e il gruppo dei non esposti dovrebbero essere simili in tutto eccetto che per l’esposizione di interesse, ma spesso in pratica non è così [Grimes & Shulz, 2002]. Nello studio di Padula et al. [2010], non essendo uno studio di intervento randomizzato, esiste il rischio che il gruppo dei vaccinati e quello dei non vaccinati, no-
Padula et al., 2010: “Vaccinazione antinfluenzale in ambiente di lavoro: uno studio caso-controllo”
Abbiamo letto con interesse l’articolo di Padula et al. [2010], relativo alla valutazione economica sull’estensione del vaccino antinfluenzale agli adulti in età lavorativa. Nello studio sono stati arruolati, tra il personale dell’Istituto Mario Negri, 104 individui che si sono volontariamente sottoposti alla vaccinazione antinfluenzale (soggetti esposti) all’inizio della stagione influenzale del 2008-2009. Questi sono stati appaiati per età e sesso con 104 individui che avevano scelto di non vaccinarsi (soggetti non esposti). I due gruppi di soggetti sono stati seguiti da Novembre 2008 ad Aprile 2009, al fine di registrare gli episodi di “influenza like illness” (ILI; outcome di studio). Il risultato principale dello studio è dato da un maggior numero di soggetti che ha manifestato un episodio di ILI tra coloro che si erano vaccinati (31%) rispetto ai soggetti non esposti a vaccinazione (20%). I confronti tra soggetti vaccinati e non in termini di numero di episodi di ILI, durata e gravità non hanno portato a differenze sostanziali. In generale, la perdita di giornate lavorative a causa degli episodi di ILI è stata superiore nei soggetti non vaccinati. Ciò ha portato ad un costo medio della somma di prestazioni sanitarie e dei costi indiretti dovuti alle assenze lavorative inferiore nel gruppo dei soggetti vaccinati. Le conclusioni del lavoro suggerivano che l’estensione del vaccino antinfluenzale agli adulti in età lavorativa appariva dubbia. Riteniamo che alcune osservazioni riguardo al disegno di studio siano essenziali per l’interpretazione dei risultati e debbano pertanto essere considerate e discusse. Prima di tutto è doveroso catalogare il disegno del presente studio: si tratta di uno studio epidemiologico osservazionale (e quindi non di intervento) e prospettico. Gli studi osservazionali si suddividono fondamentalmente in “studi caso-controllo” e “studi di coorte”, a seconda che la selezione dei gruppi di confronto sia ef25
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LETTERE IN REDAZIONE nostante siano appaiati per sesso ed età, non siano confrontabili. E’ verosimile infatti che tra coloro che si sono volontariamente sottoposti alla vaccinazione all’inizio della stagione influenzale siano più frequenti soggetti maggiormente a rischio ILI rispetto ai soggetti che decidono di non vaccinarsi. E’ possibile pertanto che i vaccinati abbiano più frequentemente patologie croniche o disturbi concomitanti, che siano maggiormente avvezzi all’uso di farmaci, che abbiano fatto uso di vaccini antinfluenzali in precedenza [Davis et al., 2009], o, più semplicemente, che abbiano più frequentemente in famiglia figli piccoli o almeno una persona ad alto rischio di complicanze da influenza [Lu et al., 2008. Inoltre, altri fattori quali lo stato civile [Egede & Zheng, 2003], il nucleo familiare, o la regolare frequentazione di luoghi affollati (per esempio l’uso di treni o mezzi pubblici per gli spostamenti giornalieri) potrebbero essere differenti in chi decide di sottoporsi alla vaccinazione rispetto a chi preferisce non sottoporsi. Tutte queste caratteristiche devono essere considerate potenziali fattori confondenti (variabili contemporaneamente associate con l’outcome e l’esposizione in studio [Valsecchi & La Vecchia, 1999]). La mancanza di considerazione dei fattori confondenti nel disegno di studio o nell’analisi statistica può portare a conclusioni non valide (e in questo caso specifico, ad una sotto-stima dell’efficacia vaccinale). Grimes e Shulz [2002] sostengono che la prima sfida di un ricercatore che conduce uno studio di coorte e che vuole pubblicare i propri dati è quella di convincere il direttore della rivista (e poi i lettori) che i gruppi di esposti e non esposti siano simili in tutto, eccetto per l’esposizione. La prima cosa da fare nel nostro caso risulta pertanto quella di confrontare i due gruppi, vaccinati e non vaccinati, rispetto a selezionati fattori potenzialmente confondenti, tra i quali per esempio patologie croniche, uso di farmaci, visite mediche, numero di ILI negli ultimi 2 anni, uso di vaccino antinfluenzale negli anni precedenti, numero dei componenti (a rischio complicanze da influenza) del nucleo familiare e numero di minori all’interno del
nucleo familiare. Qualora la distribuzione degli esposti e non esposti in accordo con i succitati potenziali fattori confondenti dovesse essere simile, potremmo essere fiduciosi che i nostri dati non saranno viziati da bias di selezione maggiori. In caso contrario, sarebbe necessario affidarsi alla metodologia statistica per arginare errori di selezione in fase di analisi. Tramite analisi multivariata (usando per esempio modelli di regressione logistica multivariata) sarebbe infatti possibile ottenere stime di rischio relativo corrette (aggiustate) per i fattori confondenti. In ogni caso bisognerebbe comunque guardare ai risultati con una certa cautela, per l’eventuale effetto confondente di caratteristiche individuali non considerate nel disegno o nell’analisi dello studio. Pur non entrando nel merito della qualità dei dati di outcome, è giusto fare notare che, essendo gli episodi di ILI autoriportati, sono anch’essi soggetti a diverse forme di errore. Per esempio, un ricordo/riporto differenziale in vaccinati e non vaccinati potrebbe essere verosimile (recall bias). Per questo, gli outcome per studi di coorte dovrebbero essere il più possibile misurabili e oggettivi [Grimes & Shulz, 2003], e nel caso specifico di valutazione dell’efficacia del vaccino, definiti in una finestra temporale di osservazione adeguata. Inoltre, la ridotta dimensione del campione, e la corrispondente limitata potenza statistica dello studio presente fa sì che i risultati su cui si basa la successiva valutazione economica non siano sufficientemente robusti. Per tale valutazione economica, un’adeguata stima della dimensione campionaria è pertanto necessaria per non correre il rischio di non osservare un effetto solo a causa di una potenza insufficiente a identificare e quantificare una differenza in realtà esistente. E lecito quindi chiedersi se i risultati inattesi ottenuti siano attribuibili in parte o totalmente alle limitazioni del disegno di studio precedentemente descritte. Conseguentemente, per la valutazione negli adulti in età lavorativa del costo-efficacia della vaccinazione antinfluenzale, che ha importanti implicazioni economicosanitarie, sarebbe preferibile affidarsi ai ri26
Quaderni di Farmacoeconomia 12 - giugno 2010
LETTERE IN REDAZIONE sultati dei pochi trial clinici randomizzati [Beran et al., 2009a; 2009b; Bridges et al. 2000], dove i bias (di selezione) sono ridotti ai minimi termini [Valsecchi & La Vecchia, 1999]. Purtroppo, gli studi di buona qualità finora condotti sull’efficacia del vaccino antinfluenzale sono pochi [Jefferson et al., 2010; Newall et al., 2009]. Una recente revisione sistematica della letteratura, accuratamente condotta dalla Cochrane Library, considerava l’argomento negli anziani [Jefferson et al., 2010]. Tale revisione aveva identificato solo 5 trial clinici randomizzati, di cui soltanto uno aveva esaminato vaccini attualmente disponibili, adempiendo in modo soddisfacente ai criteri di qualità dei trial clinici [Govaert et al., 1994]. Nonostante siano stati identificati ben 51 studi prospettici e 12 studi caso-controllo sull’efficacia dei vaccini, data la verosimile presenza di bias che rendevano difficile l’interpretazione dei risultati e potenzialmente fuorviante ogni conclusione, Jefferson e colleghi non sono stati in grado di stabilire una chiara evidenza sull’efficacia dei vaccini antinfluenzali negli anziani [Jefferson et al., 2010]. Gli Autori concludevano che, per chiarire l’efficacia della vaccinazione, era necessaria la conduzione di un grande trial clinico randomizzato, controllato con placebo, duraturo e indipendente. Ciò però, almeno per gli anziani, si scontra con questioni etiche, viste la raccomandazioni in-
ternazionali sulla vaccinazione antinfluenzale [Jefferson et al., 2010]. Data la carenza di dati di buona qualità e di studi attendibili sull’argomento in letteratura, soprattutto negli adulti in età lavorativa, i dati dello studio presentato da Padula et al. [2010] risultano interessanti. Come sfruttare pertanto al meglio questi dati? Suggeriamo due possibilità: Utilizzare i dati relativi alle caratteristiche anagrafiche, socio-demografiche e cliniche (qualora già disponibili, o recuperando retrospettivamente le informazioni) dell’intera coorte di esposti e non esposti (non solo i dati analizzati in Padula et al. [2010]) per capire quali fattori determinano la decisione di sottoporsi alla vaccinazione. Tale studio sarebbe originale, vista la carenza di studi che si sono occupati di questo aspetto [Davis et al., 2009; Lu et al., 2008; Ompad et al., 2006; Payaprom et al., 2010]. I risultati di tale studio consentirebbero di aiutare a delineare il disegno di futuri studi prospettici, permettendo di definire per esempio i criteri di eleggibilità dei partecipanti. Analizzare lo studio utilizzando modelli di analisi multivariate, come precedentemente spiegato. Solo una parte dei reali fattori confondenti saranno considerati, pertanto i limiti dello studio dovranno essere discussi e i risultati dello studio dovranno comunque essere interpretati con cautela [von Elm et al., 2007].
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RISPOSTA La lettera di Gallus e Apolone solleva numerosi interessanti quesiti che ci permettono di approfondire ulteriormente la discussione sul nostro articolo. Senza entrare oltre il dovuto nel merito dell’esistenza o meno in banche dati di studi caso-controllo prospettici (anche se a noi risulta vengano riconosciuti dall’OMS1 e siano rintracciabili ben 139 citazioni eseguendo in Pubmed una ricerca con “prospective case-control study[Title]”), riconosciamo di aver commesso un errore formale di definizione nel descrivere l’analisi come “caso-controllo”, avendo selezionato i due gruppi utilizzando un trattamento (l’esposizione al vacci-
no antinfluenzale) come fattore discriminante, al posto della comparsa dell’evento clinico oggetto di studio (Influenza LikeIllness, ILI). Trattasi quindi di uno “studio di coorte” prospettico, come correttamente indicato dai Colleghi, il che ci impone anche un cambiamento del titolo dell’articolo (vedi errata corrige). Conseguentemente, ci sembra doveroso riportare i risultati dell’analisi statistica inizialmente condotta sulla popolazione globale (237 soggetti) e non citata nell’articolo. Tale analisi stimava il rischio di avere un episodio ILI nei vaccinati 1,47 volte maggiore rispetto a quello dei non vaccinati (IC95%; 0,82-2,66; p=0,197); inoltre, la regressione logistica aggiustata
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LETTERE IN REDAZIONE per sesso ed età aveva confermato il maggior rischio di ILI nei soggetti vaccinati (1,44; IC95% 0,80-2,62; p=0,227), comunque risultato statisticamente non significativo. Opportuno quindi precisare che questa analisi, condotta di fatto sulla “coorte” di soggetti arruolati, aveva fornito risultati del tutto sovrapponibili a quelli pubblicati nell’articolo. Al fine di verificare l’eventuale variazione dei risultati, ci è sembrato comunque opportuno ricondurre un’ulteriore analisi riclassificando “casi” e “controlli” in base alla comparsa dell’evento clinico in studio (ILI), considerando quindi la vaccinazione come semplice fattore di esposizione. Sono stati definiti “casi” tutti i soggetti che hanno dichiarato almeno un episodio ILI durante la stagione influenzale, “controlli” tutti quelli per i quali non si è manifestato alcun episodio ILI. Sulla base di questa nuova classificazione, dei 237 soggetti inizialmente arruolati nello studio, 61 sono stati identificati come casi e 176 come controlli. Per rendere omogenee le caratteristiche dei due gruppi, abbiamo associato ad ogni caso due controlli dello stesso sesso e appartenenti alla stessa fascia d’età; sono stati così inclusi nella nuova analisi 180 soggetti (60 casi e 120 controlli), mentre i restanti 57 colleghi sono stati esclusi da questa “controanalisi” poiché non è stato possibile eseguire un “appaiamento” che rispondesse ai criteri fissati. L’OR (1,5; IC95% 0,73-2,58; p=0,205), sebbene sia risultato statisticamente non significativo, indica che la vaccinazione si comporterebbe addirittura come “fattore di rischio”, dal momento che i soggetti vaccinati manifestano più frequentemente ILI di quelli non vaccinati, confermando quanto emerso nell’elaborazione contenuta nella pubblicazione e anche nell’analisi completa di coorte (vedi punto precedente). Riguardo alla questione circa la presenza di un possibile bias di selezione, va ricordato che i soggetti partecipanti allo studio rappresentano di fatto una “popolazione”, e non un “campione” ottenuto da una procedura di selezione. Infatti, sono stati arruolati tutti i lavoratori dell’Istituto che hanno fornito il proprio consenso per la raccolta dei dati; inoltre, anche i successi-
vi “abbinamenti” per sesso e classi di età sono stati effettuati in modo casuale. Pienamente consci del limite costituito da un’analisi effettuata su un ambiente lavorativo così ristretto e peculiare, lo abbiamo puntualmente segnalato nel testo, sottolineando che un istituto di ricerca non può essere considerato una realtà occupazionale rappresentativa e, pertanto, i risultati ottenuti analizzando una popolazione così singolare non sono necessariamente estendibili a tutte le categorie di lavoratori. Anche i suggerimenti in merito alla necessità di considerare la presenza di fattori confondenti e di eseguire un’analisi multivariata per correggere l’effetto di tali fattori sui risultati finali sono sicuramente validi. Dobbiamo altresì precisare che non abbiamo volutamente raccolto variabili come le patologie croniche concomitanti, lo stato civile, la composizione del nucleo familiare e l’uso dei mezzi pubblici, in quanto giudicati non indispensabili per l’obiettivo principale dello studio, tenendo conto anche dei problemi di privacy che “dati sensibili” come questi (soprattutto quelli sullo stato di salute) avrebbero potuto sollevare. Il nostro scopo non era quello di valutare l’efficacia clinica del vaccino antinfluenzale, ma più semplicemente il consumo di risorse associato agli episodi ILI, al fine di confrontare i costi medi di un paziente vaccinato e non. In particolare, le giornate di lavoro perse a causa di episodi ILI rappresentavano l’outcome più importante; per questa ragione è stata scelta una popolazione di lavoratori, e non la popolazione generale. Il maggior numero di episodi ILI nel gruppo dei vaccinati (seppur statisticamente non significativo) va comunque considerato un risultato inatteso, mentre quello di un maggior numero di giorni di assenza lavorativa causati da ILI nel gruppo dei soggetti non vaccinati (ancorché non significativo anche in questo caso) è in linea con le attese dello studio. Incuriositi dal risultato e “spronati” dai commenti dei colleghi, abbiamo condotto un’analisi supplementare (non presente nell’articolo) per valutare il ruolo professionale dei partecipanti: è emerso che il 90% dei soggetti vaccinati erano ricercatori contro il 56% dei non vaccinati 29
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LETTERE IN REDAZIONE (p<0,01), riscontrando quindi che un ruolo di maggiore responsabilità e motivazione potrebbe aumentare la propensione al lavoro e così spiegando l’apparente contraddizione fra incidenze ILI e assenze dal luogo di lavoro registrata nei due gruppi. Concordiamo pienamente sulla documentata2,3,4 difficoltà di identificare un’infezione sostenuta dal virus dell’influenza in base ai soli sintomi clinici tipici della ILI: i casi di ILI sono solitamente di gran lunga superiori a quelli di influenza stagionale, essendo i sintomi della sindrome influenzale comuni a molte altre infezioni virali. Pur essendo l’ILI giudicata pressoché unanimemente un parametro grossolano per valutare l’efficacia del vaccino antinfluenzale, resta tuttavia ancora il più utilizzato, in quanto l’influenza testata in laboratorio risulta comunque di difficile rilevazione nell’assistenza territoriale e oltretutto assai costosa.5 L’ILI risulta quindi tuttora diffusamente impiegata come outcome di efficacia nei trial clinici6 e nelle valutazione economiche5,7-10, nonché nella sorveglianza epidemiologica stessa. 11 Tuttavia, è altrettanto doveroso ricordare come valutazioni altrettanto soggettive siano comuni a molti altri strumenti d’indagine in campo clinico-epidemiologico, dai questionari di valutazione della qualità della vita alle scale VAS per misurare il dolore, tanto per citare le prime che ci vengono alla mente. Alla luce della composizione quali-quantitativa del campione analizzato, è indubbio che le conclusioni esposte nel testo sembrerebbero azzardate, anche perché derivanti da risultati statisticamente non
significativi. Va però segnalato, a beneficio dei colleghi, che tali conclusioni si fondano anche sui risultati di due nostri lavori precedenti sull’estensione della vaccinazione antinfluenzale ai soggetti di età compresa tra 50 e 64 anni,12,13 sempre pubblicati su QF e quindi citati molto sinteticamente nel testo del terzo articolo, onde evitare diffuse ripetizioni ai lettori più attenti della nostra rivista. Concludendo, la nostra esperienza complessiva ci porta a pensare che l’estensione della copertura vaccinale ai lavoratori sani senza rischio di complicazioni sia una questione più di economia del lavoro che di sanità pubblica. Considerando il notevole investimento aggiuntivo che il SSN dovrebbe sostenere e il rilievo dei costi indiretti imputabili alle perdite di produttività dovute a ILI, non possiamo che confermare quanto incerta sia l’opportunità di estendere la copertura pubblica a questa categoria di individui, lasciando piuttosto la decisione in merito ai datori di lavoro. Proprio a completamento di tutto il ciclo di ricerca condotto su questa vaccinazione, ci sembra interessante segnalare che il CESAV sta approntando un manoscritto in inglese da sottoporre a pubblicazione, in cui riassumiamo tutto quanto fin qui effettuato al fine di trarre delle indicazioni di politica sanitaria potenzialmente interessanti a livello europeo. In questa prospettiva, i commenti dei colleghi ci sono sicuramente serviti da stimolo nel rivedere criticamente i contenuti, ferma restando la nostra piena responsabilità per quanto scritto nei nostri articoli… errori inclusi!
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ERRATA CORRIGE Si precisa che, a fronte di quanto emerso dal dibattito riportato, il titolo dell’articolo in questione pubblicato su QF N°11 “Vaccinazione antinfluenzale in ambiente di lavoro: uno studio caso-controllo” viene sostituito con il seguente: “Vaccinazione antinfluenzale in ambiente di lavoro: una valutazione economica”.
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Guidelines INVIO E PREPARAZIONE DEI MANOSCRITTI I manoscritti devono essere impostati come segue: a. Prima pagina con il titolo del manoscritto, nome degli autori e loro affiliazione, seguito da un abstract in lingua italiana (massimo 200 parole) e da tre parole chiave. b. Testo dell’articolo indicativamente suddiviso in: -Introduzione -Materiali e Metodi -Risultati -Discussione -Conclusioni -Eventuali ringraziamenti -Bibliografia c. Tabelle (ognuna numerata e compresa di didascalia stampata su una pagina distinta) d. Figure (ognuna numerata e stampata su una pagina distinta) Le pagine dei manoscritti devono essere numerate. Nel testo devono comparire i riferimenti a tutte le tabelle e figure con numerazione progressiva (in numeri arabi) secondo l’ordine di comparsa nel testo stesso. I termini in lingua straniera (eccettuati quelli di uso comune) devono essere scritti in corsivo. Non devono comparire note a pie’ di pagina.
BIBLIOGRAFIA Citazioni nel testo: identificare i riferimenti nel testo, nelle tabelle e nelle legende con un numero arabo progressivo in apice, scritto dopo l’eventuale punteggiatura. Le eventuali citazioni bibliografiche presenti soltanto in tabelle, grafici, ecc. devono seguire la numerazione progressiva secondo l’ordine di comparsa delle tabelle nel testo. Voci bibliografiche: devono essere elencate nell’ordine numerico di comparsa nel testo, possibilmente inserite in automatico come “note di chiusura”. Inoltre, se gli Autori sono tre o meno, devono essere indicati tutti; se sono più di tre, se ne devono indicare due, aggiungendo et al. dopo il secondo Autore. Le iniziali dei nomi non devono essere puntate. Alcuni esempi
Articoli da riviste: Garattini L, Tediosi F. L’ossigenoterapia domiciliare in cinque Paesi europei: un’analisi comparativa. Mecosan 2000; 35:137-148. Libri o monografie: Libro standard: Drummond MF, O’Brien B et al. Methods for the Economic Evaluation of Health Care Programme. Oxford: Oxford University Press, 1997. Capitoli di libri: Arcangeli L, France G. La logica del nuovo sistema di remunerazione dell’assistenza ospedaliera. In: Falcitelli N, Langiano T, editors. “Politiche innovative nel Ssn: i primi dieci anni dei Drg in Italia”. Bologna: il Mulino, 2004. 32 Quaderni di Farmacoeconomia 12 - giugno 2010