QF numero 19 - ottobre 2012

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Quaderni di

FARMACO ECONOMIA Q U A D R I M E S T R A L E D I I N F O R M A Z I O N E FA R M A C O E C O N O M I C A

In questo numero POLITICA SANITARIA Compartecipazione alla spesa farmaceutica in una prospettiva europea OPINIONI A CONFRONTO Liberalizzazioni nella distribuzione dei farmaci



Quaderni di

FARMACO ECONOMIA QUADRIMESTRALE DI INFORMAZIONE FARMACOECONOMICA


Quaderni di

FARMACO ECONOMIA

Comitato editoriale

numero 19 - ottobre 2012

Iscrizione al Tribunale di Milano

Antonella Barale, Corrado Barbui,

n. 587 del 22/9/2006

Ettore Beghi, Maurizio Bonati,

Periodicità quadrimestrale

Gianluigi Casadei, Erica Daina, Roberto Dall'Aglio, Giovanni Fattore,

Direttore scientifico

Ida Fortino, Loredano Giorni,

Livio Garattini

Roberto Grilli, Luigi Mezzalira, Direttore Responsabile

Fulvio Moirano, Alessandro Nobili,

Alberto Salmona

Luigi Patregnani, Rosa Prato, Riccardo Roni, Giovanna Scroccaro, Progetto grafico e impaginazione Marzia Manasse, Laura Arcari

Francesca Tosolini, Gianvincenzo Zuccotti.

Abbonamento annuale € 60,00 (€ 100,00 per l’estero) Numero singolo: € 20,00

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Numero arretrato: €. 25,00

lo spirito del nostro progetto e reso possibile la realizzazione di questa Rivista: Redazione ed Amministrazione Gruppo Kappadue s.r.l. – Milano

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2 Quaderni di Farmacoeconomia 19 - ottobre 2012


Sommario

EDITORIALE

Decretone “Balduzzi�: basteranno i buoni propositi?

pag.

5

pag.

8

pag.

20

pag.

29

di Livio Garattini

VALUTAZIONE ECONOMICA

A

ssistenza domiciliare: revisione critica delle valutazioni economiche in Europa di R. Lo Muto, A. Curto, P. De Compadri, L. Garattini

POLITICA SANITARIA

Compartecipazione alla spesa farmaceutica in una prospettiva europea di A. Curto, K. van de Vooren, L. Garattini

OPINIONI A CONFRONTO

Liberalizzazioni nella distribuzione dei farmaci Intervista a: Luisa Crisigiovanni, Silvio Garattini, Carlo Lucchina

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Destina il tuo 5 per mille dell'IRPEF (sul mod. 730 o mod. UNICO PF o mod. CUD) con una firma indicando il nostro codice fiscale 03254210150 per aiutare a mantenere indipendente la ricerca scientifica dell'Istituto Mario Negri, una fondazione privata senza scopo di lucro che da oltre 40 anni opera nell'interesse degli ammalati.

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Editoriale di Livio Garattini

Decretone“Balduzzi”:

basteranno i buoni propositi?

A

l rientro dalle vacanze uno dei primi e più importanti provvedimenti emanati dall’attuale “Governo dei Professori” riguarda la sanità ed è già stato “ribattezzato”, in ossequio all’ispiratore nonché attuale Ministro della Salute, “Decretone Balduzzi”. Come oramai consuetudine nel nostro Paese, e non fanno eccezione questi tempi di crisi, fin dalle prime bozze il provvedimento ha suscitato un “vespaio” di critiche contrastanti a livello di partiti e sindacati (anche di categoria). “Nulla di nuovo sotto il sole”, mi verrebbe voglia di dire, ragione per cui ho atteso di leggere il testo definitivo per cercare di effettuare un tentativo di analisi critica a livello tecnico, a prescindere appunto dalle “reazioni di parte” del tutto scontate. Scorrendo il voluminoso documento, la mia prima constatazione è quella di “riassaporare amaramente” il nostro tipico modo di legiferare “italico” (o, più finemente, ispirato al “diritto romano”), in quanto ci si trova costretti a leggere misure riferite a materie tanto svariate quanto eterogenee, in un linguaggio “leguleio” assai ostico: dai provvedimenti urgenti su pesce e cefalopodi freschi (articolo 8, comma 4), a note specifiche su prescrizioni medicinali (articolo 12) (n.d.r. quelle sulle farmacie sono sparite nella versione finale), a disposizioni in materia di farmaci omeopatici (articolo 13, perché poi chiamarli farmaci?),

insieme a quelli attinenti le materie che sono apparse le più interessanti anche ai media e su cui ho quindi deciso di concentrare il mio commento: a) assistenza territoriale da garantire continuativamente nell’arco della giornata (Capo I, articolo 1); b) esercizio dell’attività libero-professionale intramuraria (Capo I, articolo 2); c) promozione di stili di vita corretti (Capo II, articolo 7). Passando all’analisi, la prima misura mi trova del tutto favorevole in linea di principio, essendo anche come cittadino pienamente consapevole di quanto manchi nella stragrande maggioranza delle regioni (quella in cui abito non fa eccezione) un “filtro” credibile agli spesso sovraffollati servizi ospedalieri di pronto soccorso. Fortunato assai chi di noi non ha mai sperimentato lunghe e inutili attese (col “codice bianco/verde”), spesso protratte per ore e ore da soggetti che hanno (giustamente) priorità per la gravità dell’intervento richiesto. Traendo ancora spunto dall’Inghilterra come termine di confronto, là è da decenni che il problema è stato sostanzialmente risolto incentivando la cosiddetta “medicina di gruppo”, cioè incoraggiando a lavorare insieme e negli stessi locali i General Practitioners (GPs), in tutto equiparabili ai nostri Medici Generalisti (MG), i quali, supportati anche finanziariamente dal National Health Service (NHS), si organizzano insieme, con 5

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EDITORIALE tanto di personale infermieristico e amministrativo, per creare dei veri e propri studi professionali in grado di rispondere ai bisogni ambulatoriali dei pazienti, vaccinazioni di massa incluse, senza dovere ricorrere necessariamente ai servizi ospedalieri. Da noi, invece, in ossequio alla nostra logica “atomistica”, i servizi territoriali sono tutti parcellizzati (servizio di igiene, guardia medica, specialisti ambulatoriali, consultori materno-infantili ecc.); in particolare, i MG sono a tutt’oggi nella maggioranza dei casi dei free lance che decidono autonomamente quando tener aperto il proprio gabinetto medico. Da un nostro studio effettuato dieci anni fa su un campione di 46 MG, finalizzato a stimare il costo medio di una visita, emerse dalle risposte dei partecipanti un tempo medio di lavoro quotidiano pari a 4,2 ore,1 dato “autocertificato” che temo non sia cambiato di molto negli anni più recenti. Peraltro, se alla decisione presa va tutto il mio entusiastico assenso, rimane il problema del “come” e qui, francamente, è “nebbia in Val Padana”. Mi dispiace dovere ricorrere ancora al sarcasmo, ma sfido chiunque legga l’articolo 1 e sia dotato di normale “capacità di intendere” (categoria a cui ho ancora la presunzione di appartenere) a comprenderne il significato. Trattasi di una vera e propria “insalata di parole”, da cui si possono trarre tutt’al più alcune “parole chiave”, ma non certamente un disegno di riforma organico da sottoporre al vaglio delle Regioni, già di per sé pronte in molti casi a contestare aprioristicamente qualsiasi decisione presa a livello centrale. A scanso di equivoci, non condivido nemmeno la critica più diffusa a livello sindacale che il Ministro voglia fare “le nozze coi fichi secchi”, essendo tuttora pienamente convinto che ci sia abbondanza di risorse umane sottoutilizzate all’interno del SSN, più o meno “infrattate” nei vari servizi territoriali, che potrebbero essere tranquillamente “riconvertite” (e magari pure “rimotivate”) nei nuovi servizi territoriali. Peraltro, tornando al punto, il problema fondamentale è che non si riesce proprio con tutta la buona volontà a individuare un disegno organico nella proposta, al di là degli intenti. Venendo alla seconda disposizione, meno

“rivoluzionaria” per il SSN solamente perché su una materia già affrontata anni fa dall’allora Ministro Bindi con alterne fortune politiche, anche per questo motivo la questione è già stata a mio avviso abbondantemente chiarita in passato, a dispetto delle prevedibili resistenze delle associazioni mediche ospedaliere. Infatti, pare evidente che dei dipendenti del SSN stipendiati per prestare il proprio servizio clinico ai pazienti in ospedali pubblici non dovrebbero avere al contempo la possibilità di visitare gli stessi soggetti a pagamento in privato. Ricorrendo a una “metafora aziendalistica”, sarebbe un po’ come se una grande azienda di servizi permettesse ai propri dirigenti di “trasformarsi” in consulenti dei propri clienti a fine orario di lavoro. Questo tipo di prestazione, a mio avviso comunque discutibile, va necessariamente regolamentato all’interno dell’azienda ospedaliera stessa, con una percentuale a favore del “datore di lavoro” (cioè il SSN) e, ovviamente, con regolare ricevuta (e non “in nero” come da consuetudine). Questioni così ovvie e banali che provo quasi un po’ di vergogna nello scriverle, ma a quanto pare ce n’è ancora bisogno, visto che è stato necessario riscriverle nel decreto, in modo anche in questo caso invero assai poco comprensibile (per non dire cervellotico). La terza misura, infine, mi stimola una riflessione più “filosofica” sulle possibili relazioni fra salute e tassazione. Pur continuando il sottoscritto a reputare la salute un bene indiscutibilmente primario, da tutelare a prescindere dal censo, è oramai certo che esistono evidenze scientifiche comprovate sul ruolo giocato da “stili di vita” sbagliati nel mettere a repentaglio la salute stessa, aumentando di conseguenza le spese in assistenza sanitaria. Ad esempio, l’epidemiologia ha oramai incontrovertibilmente dimostrato che il fumo è nocivo per la salute, rendendo i “fumatori” una categoria molto più a rischio dei “non fumatori” e, in prospettiva, molto più bisognosa di cure sanitarie; un ragionamento analogo pare oramai estendibile al fenomeno storicamente più recente (perché legato al benessere) dell’obesità e, anche in base al buon senso, a quello in 6

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EDITORIALE netta espansione (grazie alle tecnologie moderne) della ludopatia (in quest’ultimo caso si aggiungono ai danni alla salute pure quelli al reddito familiare). In termini economici, se ne può trarre la conseguenza che una “tassa sulla salute” riferita agli “stili di vita” può trovare una giustificazione etica (e non solamente finanziaria riconducibile alla crisi economica in atto),2 riscontrando un chiaro “rapporto sinallagmatico” (mi si perdoni la metafora giuridica) fra i due elementi; va da sé che multe “salate” agli esercenti/fornitori che “speculano su questi beni dannosi”, fra i quali non è possibile non citare con imbarazzo l’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato (AAMS), sono ancora più giustificate. Il legame fra sigarette e malattie legate al fumo è oramai indiscutibile, tanto quanto appare tautologico quello fra giochi d’azzardo e ludopatia, mentre i “fattori di rischio” dell’obesità dovrebbero essere decisamente più numerosi; quindi, non riesco in questo caso a resistere alla tentazione, da accanito “bevitore di bollicine” quale sono (con un indice di massa corporea ancora accettabile), di sottolineare come le bevande gassate (principali “indiziate” per la tassazione nella prima stesura del decreto) mi siano apparse fin da subito un “capro espiatorio”, sebbene siano poi scomparse nella versione finale. Volendo esprimere anche un commento generale meno “frizzante”, mi chiedo pure se su un argomento del genere non prevalga l’aspetto finanziario rispetto a quello sanitario, motivo per cui l’avrei reputato più un provvedimento di competenza del (o quantomeno da prendere di concerto con) il Ministero della Finanze, ma forse anche perché sono pur sempre un laureato in economia “ostaggio da una vita” della salute.

Concludendo questo editoriale dal “sapore autobiografico”, mi viene spontaneo sollevare un ultimo quesito di fondo dopo la lettura dei provvedimenti analizzati. Trattandosi di temi molto importanti, alcuni decisamente innovativi anche nella sostanza, è mai possibile che in Italia non si riescano a produrre dei documenti tecnici e sintetici che supportino singolarmente decisioni politiche importanti come queste? Visto che, anche storicamente, il nostro Servizio Sanitario Nazionale (SSN, bene ricordarlo visto che ancora oggi viene spesso citato da tanti “esperti” come Sistema per la prima S) trae le sue origini dal National Health Service (NHS) inglese, il riferimento concreto sarebbe quello degli white papers emanati a supporto di qualsiasi riforma importante, condivisibile o meno che sia, proposta dai nuovi Governi che si succedono in Gran Bretagna. Peraltro, la risposta, frutto di “frustrazione senile” oramai consolidata, temo di potermela dare da solo: qui da noi si passerebbe tutto il tempo a discutere delle nomine dei (minimo dieci) “supposti esperti” chiamati a scriverlo, senza mai arrivare all’”oggetto del contendere” o, nella migliore delle ipotesi, “partorendo” un rapporto tanto voluminoso quanto contraddittorio nei contenuti perché frutto di “mille compromessi”. Ma, siccome il mio “maestro di vita” (parente stretto) mi ha insegnato che anche i pezzi più critici vanno chiusi con un “messaggio di speranza”, non posso che terminare il pezzo auspicando che i regolamenti attuativi aiuteranno a fare chiarezza su tutte le misure discusse, a cui aggiungo un molto più sentito e personalissimo augurio, sempre dettato dall’età: largo ai giovani per una riforma radicale del modo di agire in questo Paese!

BIBLIOGRAFIA 1

2

Livio Garattini, Emanuela Castelnuovo, Davide Lanzeni, Cecilia Viscarra. Durata e costo delle visite in medicina generale: il progetto DYSCO. Farmeconomia e Percorsi terapeutici 2003; 4(2): 109-114.

Livio Garattini, Katelijne van de Vooren. Could copayments on drugs help to make EU health care systems less open to political influence? European Journal of Health Economics 2012; (in stampa).

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VALUTAZIONE ECONOMICA di R. Lo Muto,1 A. Curto,1 P. De Compadri,1 L. Garattini1

Assistenza domiciliare:

revisione critica delle valutazioni economiche in europa

PA R O L E C H I AV E :

Abstract La politica italiana, visto il sempre crescente aumento della spe-

ASSISTeNzA DoMICILIARe,

sa sanitaria, sta tentando di indirizzarsi verso forme di assistenza ritenute più vantaggiose, come l’assistenza domiciliare (AD). L’AD può essere una soluzione alternativa, o quantomeno complementare, alla degenza ospedaliera, in quanto giudicata meno costosa e più accettabile per il paziente. Il target di assistiti sarebbe vario, suddiviso in differenti profili di cura organizzati in relazione ai reali bisogni dei pazienti. Pertanto, abbiamo ritenuto opportuno effettuare una revisione critica delle VeC di più recente pubblicazione, in ambito europeo, per valutare la credibilità delle metodologie utilizzate e, quindi, comprendere in quali casi sia appropriato curare il paziente a domicilio, quanto diminuiscono i costi e come varia per i pazienti l'efficacia e la qualità della vita.

CoSTI, eFFICACIA

1

CESAV, centro di Economia Sanitaria “Angelo e Angela Valenti”

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VALUTAZIONE ECONOMICA INTRODUZIONE L’Italia è uno dei paesi più longevi, il secondo in europa (dopo la Spagna) se si considera l’aspettativa di vita degli uomini e il terzo (dopo Spagna e Francia) valutando quella delle donne;1 più del 20% della popolazione ha oramai superato i 65 anni.2 L’aumento continuo dell’aspettativa di vita è, come prevedibile, molto frequentemente accompagnato da un periodo vissuto in condizioni di salute difficili o di mancata autosufficienza. Questa finestra temporale sempre più ampia ha spinto il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) a fronteggiare i crescenti bisogni di cura, determinando così un consistente aumento della spesa sanitaria. In particolare, va sottolineato che l‘ospedalizzazione, oltre ad essere economicamente gravosa per il SSN, può essere anche fortemente traumatica per il paziente. Vista la situazione descritta, la politica sanitaria sta cercando di riorientarsi verso forme di assistenza ritenute più vantaggiose, assistenza domiciliare (AD) inclusa. L’AD è stata definita dall’organizzazione Mondiale della Sanità (oMS) come “la possibilità di fornire, presso il domicilio del paziente, quei servizi e quegli strumenti che contribuiscono al mantenimento del massimo livello di benessere, salute e funzione”.3 L’AD si caratterizza per l’integrazione delle prestazioni offerte rispetto ai bisogni dei pazienti. La continuità assistenziale fornita dagli operatori professionali coinvolti garantisce la condivisione degli obiettivi e delle responsabilità, programmando i mezzi e le risorse necessari per il raggiungimento dei risultati di salute. Nell’ambito del SSN, l’AD è erogata in tre diverse modalità (art. 39 D.P.R. 270/2000): · Assistenza Domiciliare Programmata (ADP), riservata a pazienti non deambulanti; · Assistenza Domiciliare Integrata (ADI), per soggetti non autosufficienti o affetti da patologie gravi; · Assistenza Domiciliare Residenziale (ADR), per pazienti ospiti in residenze assistenziali e/o protette. Nel 2006, la Commissione nazionale per la definizione e l’aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza4 (LeA) del Mini-

stero della Salute, ha cercato di fare chiarezza su cosa si intenda per “domiciliare”, suggerendo innanzitutto di non parlare più di “assistenza domiciliare” ma di “cure domiciliari”, per distinguere in modo netto le cure sanitarie e sociosanitarie integrate dalle forme di assistenza domiciliare di natura socio assistenziale e tutelare, delineando inoltre tre principali profili di cura in relazione ai bisogni degli assistiti (con particolare riguardo a intensità e durata dell’assistenza) e tenendo conto dei modelli gestionali-organizzativi fino ad allora attivati da diverse regioni: 1. “cure domiciliari prestazionali”, caratterizzate da prestazioni sanitarie occasionali o a ciclo programmato. Costituiscono una prestazione, professionalmente qualificata, a un bisogno puntuale di tipo medico, infermieristico e/o riabilitativo che, anche qualora si ripeta nel tempo, non presuppone la presa in carico dell’utente né una valutazione multidimensionale né l’individuazione di un Piano Assistenziale Individuale (PAI); 2. “cure domiciliari integrate di primo, secondo e terzo livello” (differenziate in relazione alla complessità e criticità dei casi), rivolte a utenti che hanno bisogno di continuità assistenziale e interventi programmati; quelle di primo e secondo livello sostituiscono quelle sinora definite come ADP e ADI,5 mentre quelle di terzo assorbono la pregressa definizione di ospedalizzazione Domiciliare (oD). Si prevede in tutti i casi una valutazione multidisciplinare e multiprofessionale e l’elaborazione di un PAI; 3. “cure domiciliari palliative a malati terminali”, eredi della c.d. ospedalizzazione Domiciliare Cure Palliative (oD-CP), costituirebbero invece una risposta intensiva a bisogni di elevata complessità, prevedendo al contempo un PAI, una valutazione multidimensionale e multiprofessionale e la presa in carico dell’utente. La collocazione elettiva delle cure domiciliari, anche laddove vengano offerti apporti ospedalieri, rimane in ogni caso nei LeA della macro-area dell’Assistenza Distrettuale. 9

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VALUTAZIONE ECONOMICA La AD può rappresentare in determinati casi un’alternativa alla degenza ospedaliera, generalmente (e ovviamente) giudicata più onerosa sotto il profilo economico e ipotizzata come meno soddisfacente in termini di qualità della vita. Per la terapia a domicilio il target di pazienti sarebbe composto non solo da anziani, ma anche da disabili, malati terminali e soggetti affetti da malattie croniche o non auto-sufficienti che necessitano di essere assistiti in maniera continuativa. La conduzione di una Valutazione economica Completa (VeC) può aiutare a comprendere in quali casi sia appropriato curare il paziente a domicilio, diminuendo i costi con un’efficacia almeno equivalente e una migliore qualità della vita. A tal fine, è stata effettuata una revisione critica delle VeC di più recente pubblicazione in ambito internazionale, con particolare riferimento al quadro europeo, per valutare la credibilità delle metodologie utilizzate.

ANALISI FONTI DI EFFICACIA Per la realizzazione delle VeC sono state utilizzate varie fonti di efficacia: tre lavori (Saka, Aguado, Kehusmaa,) si sono basati su differenti CT (Rudd, Beech, ollonqvist 2007, ollonqvist 2008, Hinkka 2006, Hinkka 2007, Morcillo), di cui uno pubblicato in lingua spagnola su una rivista locale (Morcillo). In tre studi (Mendoza, Adlbrecht, Klug) l’analisi economica è risultata condotta nell’ambito di uno studio clinico; pertanto gli Autori, nello stesso lavoro, hanno utilizzato i propri dati scientifici per valutare l’efficacia. Solo Koek e collaboratori hanno prima presentato prima i dati clinici in un CT e successivamente hanno sviluppato un’analisi economica presentata in una seconda pubblicazione. Due lavori (Kehusmaa, Pace) hanno utilizzato banche dati preesistenti per valutare l’efficacia e, infine, uno (Lloyd) non ha fornito informazioni in merito.

ANALISI VEC Sono stati selezionati 9 studi, per un totale di 11 VeC. In particolare, in quattro lavori6,7,8,9 la tecnica utilizzata è stata l’Analisi Costo efficacia (ACe); di questi, uno ha condotto contemporaneamente un’Analisi

MATERIALI E METODI È stata effettuata una ricerca su Pubmed utilizzando le seguenti parole chiave: Costs, Effectiveness, Home care, limitando l’analisi a studi condotti in Paesi europei e pubblicati in lingua inglese negli ultimi tre anni. Sono state inizialmente selezionate 92 pubblicazioni internazionali, 80 delle quali successivamente escluse per i motivi seguenti: a) 21 riguardavano studi clinici ed epidemiologici, b) 18 sono risultati editoriali e revisioni della letteratura, c) 20 riportavano Ve parziali (cioè, semplici analisi dei costi), d) 21 sono risultate non pertinenti in virtù delle alternative considerate. Delle 12 VeC restanti, tre sono state eliminate poichè non riferite a sistemi sanitari europei. La Figura 1 riassume il processo di selezione delle undici VeC incluse in questa revisione. Tali studi sono stati successivamente analizzati in relazione a una griglia di variabili giudicate rilevanti nella conduzione di una VeC (Figura 2). La Tabella 1 riassume le undici VeC incluse in questa revisione e i Clinical Trials (CT) fonte di evidenza clinica desunti dalle bibliografie delle stesse.

Figura 2.

Parametri di valutazione delle VEC

1.

Tipologia VEC

2.

Alternative terapeutiche

3.

Tipologia pazienti

4.

Orizzonte temporale

5.

Applicazione modelli

6.

Tipologia costi

7.

Punto di vista analisi

8.

Fonte consumo risorse

9.

Fonte costi unitari

10.

Analisi statistica costi

11.

Risultati efficacia

12.

Risultati costi

13.

Analisi sensibilità

14.

Conclusioni autori

15.

Sponsorizzazione studio

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VALUTAZIONE ECONOMICA Figura 1.

Strategia di ricerca in letteratura (2009-2012)

Termini MeSH: • costs • effectiveness • home care (combinati con l’operatore booleano “AND”)

92 articoli

Esclusioni: 1. studi clinici ed epidemiologici: 21 2. editoriali, reviews: 18 3. valutazioni economiche parziali: 20 4. studi fuori argomento: 21 5. valutazioni economiche non realizzate in Europa: 3

9 articoli

11VEC

8 CT

CT= Clinical Trial; VEC= Valutazione Economica Completa.

Costo Utilità (ACU) e un’Analisi di Minimizzazione dei Costi (AMC). In un solo studio10 è stata realizzata esclusivamente un’ACU, mentre i restanti quattro11,12,13,14 si sono limitati a condurre Analisi Costo Conseguenze (ACC), non sintetizzando in un singolo indice i valori di costo ed efficacia. Una sola VeC ha fatto ricorso al modelling (Saka), adottando un modello di Markov per un periodo di osservazione di circa 10 anni e applicando un tasso di sconto pari al 3,5% sia per i costi che per l’efficacia. Gli altri otto sono stati condotti su brevi orizzonti temporali; di conseguenza, non hanno proceduto a forme di attualizzazione. Due studi (Saka, Koek) hanno eseguito l’analisi dal punto di vista della società, includendo i costi diretti (sanitari e non) e indiretti (perdita di attività lavorati-

va); i restanti hanno preso in considerazione esclusivamente i costi diretti sanitari (farmaci, esami clinici, ricoveri ospedalieri, visite mediche). Due studi (Pace, Klug) non hanno esplicitato la fonte dati per la rilevazione delle risorse consumate, mentre tutti gli altri lavori hanno utilizzato registri sanitari nazionali e quattro di questi (Saka, Aguado, Kehusmaa, Koek) si sono avvalsi anche di CT precedentemente pubblicati per ottenere tutte le informazioni aggiuntive necessarie a condurre una VeC. Solo tre lavori (Saka, Koek, Adlbrecht) hanno svolto un’analisi di sensibilità a più scenari, riguardanti sia i costi che la sopravvivenza. Dalle conclusioni degli autori, in generale emerge che l’AD, oltre a determinare una riduzione dei costi, risulta ben accettata da parte dei pazienti, comportando un mi11

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VALUTAZIONE ECONOMICA glioramento della qualità della vita, sebbene l’efficacia dei trattamenti non vari significativamente. In due studi (Lloyd, Aguado) è stata evidenziata anche una riduzione del numero di ospedalizzazioni; pertanto la terapia domiciliare è stata ritenuta costo efficace. Solo una VeC (Kehusmaa) giunge a risultati contrapposti a tutte le altre, definendo non economicamente conveniente la riabilitazione domiciliare. Infine, un solo studio (Adlbrecht) ha dichiarato di essere stato sponsorizzato da un gruppo di aziende farmaceutiche, tre sono stati finanziati da un ente pubblico (Saka, Koek, Pace) e i restanti non forniscono alcuna informazione in merito.

DAS. Sono stati valutati i costi diretti, basati sulle tariffe ospedaliere giornaliere, e quelli indiretti, derivati dalla perdita di produttività dovuta a mortalità e morbidità, quantificati in base ai dati dell’Office for National Statistics16 e dai guadagni medi dei lavoratori del Regno Unito relativamente al 2003.17 I costi unitari riguardanti i servizi territoriali e sociali sono stati estrapolati da numerosi rapporti nazionali17,18,19,20,21 e studi economici22 dettagliatamente presentati; va evidenziato, peraltro, che i test di laboratorio e i costi di degenza sono riferiti a dati non pubblicati. È da sottolineare che sono stati utilizzati gli stessi costi medi giornalieri per paziente a prescindere dalla differente gravità di patologia; inoltre, i servizi descritti nel CT sono stati forniti da una équipe specializzata e potrebbero essere difficilmente replicati in un altro contesto. I risultati mostrano un aumento dei costi e della qualità della vita per C e per C+DAS rispetto a MG (2,151 versus 2,230 QALY), determinando un ICUR rispettivamente pari a £10.661 e £11.615 per QALY guadagnato, inferiore al valore soglia adottato indicativamente dal National Institute for Health and Clinical Excellence (NICe). Analizzando comparativamente le due strategie, è possibile notare che, in caso di DAS, nonostante sia stato registrato un costo maggiore rispetto al trattamento di controllo, l’efficacia risulta essere talmente elevata da giustificare la spesa. È stata effettuata un’adeguata analisi di sensibilità probabilistica e univariata per testare la robustezza del modello impiegato, mentre manca un’analisi statistica dei costi. Nonostante le numerose assunzioni, gli Autori concludono che il costo della DAS risulta in tutti i casi sostenibile per il SSN inglese, rivelandosi una opzione di trattamento per i pazienti con ictus. Infine, va sottolineato che questo lavoro è stato finanziato con fondi pubblici.

DISCUSSIONE Di seguito vengono analiticamente riportate, in ordine cronologico di pubblicazione, le valutazioni critiche condotte per singolo studio delle metodologie applicate per la realizzazione delle VeC selezionate. Saka, 2008 (UK)

La prima VeC si è focalizzata sul confronto fra ricovero in reparto di cardiologia (C) e in medicina generale (MG), l’AD è stata stimata limitatamente alla dimissione anticipata supportata (DAS), valutandone la presenza o assenza. L’ACU in questione è stata incentrata su 844 pazienti con ictus ischemico; i dati sono stati raccolti in modo retrospettivo nel periodo 2001-2006, valutando i costi diretti dal punto di vista del sistema sanitario inglese. È stato ipotizzato un orizzonte temporale di dieci anni mediante l’utilizzo di un modello di transizione di Markov, applicando un tasso di sconto pari a 3,5% per attualizzare costi ed efficacia. Tale schema simula i possibili percorsi di cura successivi a un ictus, partendo dalla diagnosi in fase acuta e dal ricovero ospedaliero, assumendo poi di effettuare sia il percorso di dimissione convenzionale dopo il ricovero sia il DAS. I dati di efficacia valutati riguardano in pratica la qualità di vita, misurata con Barthel Index (BI) e successivamente convertita in QALY. Il consumo di risorse è basato sul London South Stroke Register e su uno studio randomizzato controllato,15 da cui sono stati tratti i parametri per lo schema

Mendoza, 2009, (Spagna)

In questo lavoro monocentrico è stata realizzata una ACC che confronta l’assistenza ospedaliera a Domicilio (AD) on l’Ao standard in 80 pazienti anziani (dei quali solo 71 hanno completato lo studio) con patologia cardiovascolare cronica, equamente distribuiti fra i due bracci e selezio12

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VALUTAZIONE ECONOMICA TABELLA 1 Quadro sinottico delle VEC inserite nella revisione e delle rispettive fonti di efficacia

STUDIO

ALTERNATIVE

TIPOLOGIA VEC

A Saka, Regno Unito, 2008

ACU

FONTI EFFICACIA

B C

Rudd, 1997

DAS + C

Beech, 1999

MG

Mendoza, Spagna, 2009

ACC§

AO

AD

Mendoza

Aguado, Spagna, 2010

ACC

AO

AD

Morcillo*, 2005 Banca dati, registri nazionali, Ollonqvist, 2007;

Kehusmaa, Finlandia, 2010

ACE

AO

AD

Ollonqvist, 2008; Hinkka, 2006; Hinkka, 2007

Koek, Olanda, 2010

ACE, ACU, AMC

AO

AD

Koek, 2009

Lloyd, Regno Unito, 2010

ACC

AO

AD

Non esplicitate

Adlbrecht, Austria, 2011

ACE

CS

CID

Adlbrecht

BNP Klug, Austria, 2012

ACC§

AO

AD

Klug

Pace, Italia, 2012

ACC§

AO

AD

Banca dati

*Pubblicazione in lingua spagnola §Studio dichiarato dagli autori come ACE, ma mancante di ICER, e quindi valutato come ACC. ACC= Analisi Costo Conseguenze; ACE= Analisi Costo Efficacia; ACU= Analisi Costo Utilità; AD= Assistenza Domiciliare; AO= Assistenza Ospedaliera; BNP= B-type natriuretic peptide; C= Cardiologia; CID= Cura Infermieristica Domiciliare; CS= Cura Standard; DAS= Dimissione Anticipata Supportata; MG= Medicina Generale.

nati in modo casuale. Si tratta di uno studio prospettico, la cui analisi è stata condotta lungo un arco temporale di 12 mesi dal punto di vista del terzo pagante. I parametri di efficacia utilizzati sono stati la mortalità, l’insorgere di un evento cardiovascolare e la necessità di ospedalizzare il paziente. Inoltre, è stata valutata la qualità della vita mediante specifico questionario (SF-36). I risultati clinici non hanno mostrato differenze significative fra i due gruppi di pazienti analizzati (ospedalizzazione: 40% vs 50%, mortalità: 2 casi vs 3); anche la qualità della vita ha registrato solo lievi variazioni, comunque non statisticamente significative. Per entrambi i gruppi sono stati utilizzati i tariffari come fonte dei costi unitari per quanto concerne visite, analisi e test; per i farmaci gli Autori hanno adottato i prezzi di acquisto della farmacia ospedaliera. Analizzando le voci di costo, è possibile notare che in due casi su cinque l’AD è ri-

sultata più costosa rispetto all’Ao, anche se in uno di questi ultimi il risultato non appare statisticamente significativo. Nello studio sono stati registrati costi per paziente inferiori per l’AD (€2.541) rispetto all’Ao (€4.502), con differenze statisticamente significative. I risultati del follow-up convalidano quelli dell’arruolamento, seppure non sia stata confermata la significatività statistica. Gli Autori hanno quindi concluso che l’AD è più conveniente rispetto all’Ao, ma non più efficace. Infine, risulta opportuno segnalare che in questo studio non è stato calcolato il rapporto incrementale (motivo per il quale l’abbiamo definita ACC). Aguado, 2010, (Spagna)

In questo studio monocentrico gli Autori hanno realizzato un’ACC confrontando l’AD con l’Ao. Fra il Luglio 2001 e l’ottobre 2003 sono stati reclutati in modo prospettico 106 pazienti (42 nel gruppo di 13

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VALUTAZIONE ECONOMICA intervento e 64 in quello di controllo, selezionati in modo casuale) con insufficienza cardiaca, analizzando i dati secondo l’ottica del terzo pagante. Tutti i pazienti hanno ricevuto gli stessi servizi, eccezion fatta per uno specifico corso educativo disegnato esclusivamente per i soggetti assegnati al gruppo dell’AD. L’orizzonte temporale è stato di ventiquattro mesi, ragione per cui non è stata applicata l’attualizzazione. I parametri valutati concernono qualità di vita e outcomes, quali ricoveri, visite al pronto soccorso e decessi. Tutti i pazienti sono stati valutati in due occasioni, a 6 e 24 mesi; inoltre, i medici coinvolti nella valutazione e follow-up non erano a conoscenza del gruppo assegnato, anche se è risultata incomprensibile la modalità grazie alla quale lo staff medico non abbia saputo se un paziente fosse ricoverato in ospedale o in terapia domiciliare. La QoL del paziente è stata valutata in entrambi i gruppi prima dell’intervento con un colloquio personale e alla fine del follow-up mediante due questionari, uno specifico e uno generale: il Minnesota Living with Heart Failure Questionnaire (MLWHFQ), specifico per patologie cardiache e lo Short Form-36 (SF-36). Come fonte delle risorse consumate, è stato utilizzato un unico CT23 pubblicato in spagnolo dallo stesso gruppo di lavoro della VeC. I costi unitari sono stati esclusivamente accennati, ma non analiticamente riportati. Sono stati calcolati solo i costi sanitari relativi alle cure domiciliari (includendo l’intervento educativo), il pronto soccorso, la degenza ospedaliera e i farmaci. Inoltre, gli autori hanno stimato un costo di trattamento domiciliare giornaliero pari a soli €70, senza specificare l’assunto metodologico alla base di questa assunzione. Alla fine del follow-up è stata registrata una riduzione statisticamente significativa del numero di accessi al pronto soccorso e dei ricoveri non programmati per il gruppo in AD rispetto a quello di controllo, mentre è stata riscontrata solo una lieve e non significativa diminuzione della mortalità. Come prevedibile, la QoL ha mostrato un miglioramento per i pazienti trattati in AD rispetto all’inizio dello studio. Peraltro, è da sottolineare che 28 pazienti (66,6%) nel gruppo di intervento e 41 (64%) nel gruppo di controllo sono stati

persi al follow-up, a causa dell’incapacità di rispondere ai questionari o per sopraggiunto decesso; inoltre, non è stata registrata alcuna differenza significativa fra i due gruppi. La bassissima compliance dei pazienti rende, di fatto, scarsamente credibile il risultato fornito. Il costo medio per paziente è risultato pari a €671,56 in AD e a €2.154,24 in Ao, comportando differenze statisticamente significative; trattandosi di ACC, non è stato calcolato il rapporto incrementale di costo-efficacia. Ulteriori limiti, tra l’altro dichiarati dagli autori stessi, riguardano lo scarso numero di soggetti selezionati e la possibilità da parte dei familiari di avere risposto ai questionari per conto del paziente. Nonostante tutto, gli Autori concludono affermando che una singola visita a domicilio una settimana dopo la dimissione ospedaliera riduce il numero delle visite di emergenza e riospedalizzazioni non pianificate, abbassando così i costi sanitari totali. Kehusmaa S, 2010, (Finlandia)

L’ACe in questione ha valutato un Programma di Riabilitazione (PR) in ambito domiciliare rispetto alla Cura Standard (CS) per pazienti anziani con ridotta capacità funzionale, finalizzato a migliorare per quanto possibile l’autosufficienza di questi soggetti. La numerosità del campione è risultata molto elevata, avendo gli Autori valutato 741 soggetti, peraltro selezionati a prescindere da eventuali patologie o comorbidità. Si tratta di uno studio multicentrico, prospettico e randomizzato, in cui l’analisi è stata condotta dal punto di vista del “terzo pagante” in un periodo temporale pari a dodici mesi. Il disegno e i contenuti dello studio sono stati descritti in ben quattro CT24,25,26,27 precedentemente pubblicati. È stata valutata l’efficacia in termini di capacità funzionale (Functional Independence Measure, FIM) e la QoL mediante apposito questionario generico (15D score). Il consumo di risorse per la definizione dei costi è stato derivato da una banca dati pre-esistente; i costi unitari, non riportati analiticamente, sono stati ottenuti da registri e tariffari nazionali. Il costo per paziente indotto dal PR è stato maggiore di €3.111 rispetto al controllo; inoltre, il FIM si è ridotto da 3,4 14

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VALUTAZIONE ECONOMICA a 4,3, facendo così registrare anche una riduzione di efficacia. Infine, è stata svolta un’analisi statistica dei costi. Gli Autori hanno stimato un rapporto incrementale elevato; pertanto, il trattamento di riabilitazione in ambito domiciliare è stato valutato come non costo-efficace.

leggermente maggiore in caso di AD sia dopo il trattamento (€801 vs €752) sia alla fine del periodo di follow-up (€1.272 vs €1.148). La QoL mostra che i pazienti hanno ottenuto benefici simili sia alla fine del trattamento (0,296 vs 0,291 QALY) sia dopo il follow-up (1.153 vs 1.126), ma in entrambi i casi manca l’analisi statistica. L’ICUR è risultato pari a €9.276 e €4.646, rispettivamente, per i due momenti. Infine, sono state realizzate analisi statistiche e di sensibilità sul rapporto incrementale, pervenendo alla conclusione che la strategia può risultare dominante o conveniente nei soggetti con moderata severità della patologia. Gli autori concludono ponendo l’accento unicamente sul dato emerso dall’analisi di scenario più favorevole all’AD, tralasciando tuttavia le meno vantaggiose evidenze emerse nel caso base.

Koek, 2010, (Olanda)

In questo studio, condotto nell’ambito di un CT28 prospettico, randomizzato, multicentrico e in singolo cieco, cioè con i soli pazienti non a conoscenza dell’assegnazione, sono state realizzate tre VeC (AMC, ACe, ACU), confrontando la fototerapia ultravioletta realizzata a domicilio con quella ambulatoriale in pazienti sofferenti di psoriasi. Sono state effettuate due rilevazioni: la prima alla fine del trattamento (media= 17,6 settimane), la seconda dopo un anno. È da sottolineare che, ai fini dell’analisi economica, solamente i primi 105 pazienti dei 196 arruolati nel CT hanno continuato il trial un anno dopo la fine della fototerapia e, pertanto, sono stati inclusi nel follow-up. L’analisi è stata effettuata secondo l’ottica della società; sono stati pertanto considerati sia i costi diretti sia quelli indiretti. L’efficacia è stata rilevata analizzando il numero dei giorni in cui il trattamento mostrava un effetto rilevante, la QoL con appositi questionari generali (eQ-5D e SF-6D). Le risorse consumate sono state desunte dai diari dei pazienti e dai calendari di visite dei medici; per i farmaci si è fatto ricorso ai registri delle farmacie ospedaliere. Inoltre, sono stati utilizzati dei questionari per calcolare distanze di viaggio, tempi di percorrenza e mezzi di spostamento. Come costi unitari sono state utilizzate tariffe ospedaliere e ambulatoriali; per l’AD le tariffe delle due organizzazioni operanti sul territorio; per i farmaci è stato adoperato il tariffario nazionale, a cui è stato aggiunto il margine alla distribuzione del farmacista (€6,3 per farmaco). Il costo della perdita di attività lavorativa è stato stimato in base al compenso medio rilevato tramite questionario, mentre per i costi unitari di viaggio gli Autori hanno utilizzato dati ricavati da un manuale pubblicato in lingua tedesca.29 L’efficacia e i QALY sono risultati equivalenti fra i due gruppi, mentre il costo medio è risultato

Lloyd, 2010, (UK)

Questa ACC, monocentrica e prospettica, ha confrontato la terapia corrente rispetto a un programma domiciliare di pazienti maggiorenni con frattura alla caviglia che necessitano di intervento chirurgico. Sono stati arruolati consecutivamente in un periodo di 3 mesi (Febbraio-Aprile 2008) 43 pazienti sottoposti a fissazione chirurgica classica, mentre ne sono stati selezionati, sulla base di criteri clinici e sociali (ad esempio, il possesso di un telefono e la residenza vicino all’ospedale), 59 per l’AD in un intervallo successivo di 11 mesi (Novembre 2008-ottobre 2009). I pazienti facenti parte del gruppo di controllo hanno rispettato la consueta prassi che prevedeva l’ospedalizzazione nello specifico reparto, in attesa che la parte anatomica lesionata si sgonfiasse, per poi procedere all’intervento chirurgico. Il gruppo in sperimentazione, invece, dopo opportuna manipolazione della lesione e formazione da parte dei fisioterapisti, è stato dimesso fino al giorno fissato per l’intervento. Non è stato esplicitato il punto di vista dell’analisi, che comunque è risultato in pratica quello del terzo pagante. I parametri di efficacia valutati sono stati la durata della degenza e la soddisfazione del paziente, anche se quest’ultimo non è stato chiaramente descritto. È stata riportata esclusivamente una tabella riguardante la soddisfazione del 15

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VALUTAZIONE ECONOMICA paziente, ottenuta attraverso la compilazione di un non meglio specificato questionario. Mancano opportuni riferimenti alle fonti, sia di efficacia che di costi unitari; per questi ultimi è solo possibile supporre che siano state adottate le tariffe ospedaliere. È da notare, inoltre, che il costo addizionale di assistenza domiciliare svolto dal fisioterapista non è stato incluso nella strategia di gestione del paziente. La durata media di permanenza in ospedale per il gruppo controllo è risultata di 8 giorni (range 1-18 giorni), di cui 4,5 giorni relativi alla fase pre-operatoria e 3,5 giorni post intervento; i pazienti hanno dimostrato insoddisfazione per l’intero processo. Il gruppo sottoposto a programma domiciliare ha registrato una media molto inferiore al controllo, pari a 2,4 giorni di ospedalizzazione, 1 giorno precedente all’intervento (range 0-4 giorni) e 1,4 giorni successivi (range 0-5 giorni). In questo caso tutti i pazienti hanno espresso maggiore soddisfazione. Nel corso dell’intera sperimentazione sono stati recuperati 354 giorni di degenza, equivalenti a un risparmio potenziale di £81.774. Non è stata realizzata alcuna analisi statistica; inoltre, nonostante l’annunciato intento di calcolare il rapporto costo-efficacia, manca la valutazione del rapporto incrementale, ragione per cui lo studio è risultato un’ACC. Nonostante le forti ed evidenti carenze metodologiche, gli Autori affermano che il programma di terapia domiciliare si è dimostrato efficace nel ridurre la durata della degenza pre- e post-operatoria, risultando costo-efficace e ben accettato dai pazienti.

quello di studio. La valutazione è stata condotta secondo la prospettiva del “terzo pagante” (ancorché non esplicitato) e con un orizzonte temporale di un anno. L’efficacia è stata calcolata in termini di “scala di depressione geriatrica”, “stato generale di salute” e QoL, con tre questionari somministrati rispettivamente a 0, 3 e 12 mesi, registrando sempre valori migliori e statisticamente significativi nel caso dei pazienti assistiti a domicilio. In riferimento ai costi, sono stati esplicitati solo parzialmente quelli unitari, mentre manca ogni dettaglio sulle risorse consumate. I costi medi totali per paziente sono risultati favorevoli alla AD: € 8.751 vs € 21.032. e’ stata condotta un’analisi statistica dei costi, applicando anche la tecnica del bootstrapping per valutare la significatività statistica dei risultati raggiunti. Gli autori, dopo attenta analisi della letteratura esistente, valutano la AD costo-efficace rispetto alla CS, nonostante non provvedano a calcolare alcun rapporto incrementale, indebolendo metodologicamente l’intero lavoro, peraltro già caratterizzato in partenza da un campione limitato. Adlbrecht C, 2011 (Austria)

Questo studio austriaco, realizzato su un campione di 190 pazienti reclutati in nove ospedali, si pone l’obiettivo di verificare il rapporto costo-efficacia dei programmi per la gestione a livello domiciliare del paziente dimesso da ospedale dopo infarto cardiaco. La prospettiva di analisi è quella del “terzo pagante”, l’orizzonte temporale considerato di 18 mesi. Le alternative considerate sono state la Cura Infermieristica Domiciliare (CID) e la CID con controllo del livello di BNP (Btype natriuretic peptide) rispetto alla Cura Standard (CS). I tre campioni, tuttavia, non sono numericamente ben bilanciati e presentano tassi di mortalità assai differenti che potrebbero inficiare i risultati complessivi. L’efficacia clinica, rielaborata attraverso analisi Kaplan Meier per proiettare i risultati clinici dei pazienti prematuramente scomparsi durante lo studio, calcolati sulla base dei dati medi del gruppo di appartenenza, è stata valutata (invero in modo poco trasparente) in termini di tasso di ri-ospedalizzazione e di

Klug G, 2010, (Austria)

Questo studio prospettico e randomizzato ha indagato l’efficacia del trattamento a domicilio di persone anziane (età > 64 anni) con disturbi psichici (depressione maggiore) rispetto a quello standard. Il campione è stato costituito da 60 pazienti di una struttura clinica austriaca, ben equilibrato per i due bracci (30 persone ciascuno), nonostante i livelli di stato di salute iniziale siano comunque risultati significativamente diversi e al termine del follow-up il gruppo di controllo sia risultato numericamente inferiore rispetto a 16

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VALUTAZIONE ECONOMICA sopravvivenza post-dimissioni da infarto, presentando valori ampiamente favorevoli per CID e, soprattutto, per CID + BNP rispetto al gruppo di controllo. Sono stati considerati unicamente i costi diretti sanitari, esplicitando in modo chiaro le fonti e i valori dei costi unitari (tariffari e registri delle autorità sanitarie e delle casse mutue austriache), nonché le varie assunzioni effettuate in base alla letteratura scientifica esistente. I costi totali, calcolati in modo differenziato per tipologia di causa (ri-ospedalizzazione dovuta a peggioramento delle condizioni post infarto o altre cause) e corretti eventualmente per il rischio di mortalità, sono stati inoltre sottoposti a robusta analisi statistica che ha evidenziato risultati statisticamente significativi solo per CID + BNP rispetto alla CS. Infine i rapporti incrementali rispetto alla CS, differenziati per le due tipologie di cause precedentemente descritte, sono risultati dominanti per entrambe le soluzioni domiciliari (CID e CID + BNP), seppure senza aver condotto analisi di sensibilità. Tuttavia, i risultati finali risultano fortemente condizionati da un intervallo di variazione talmente ampio da rendere vano qualsiasi tentativo di interpretazione. In conclusione, gli autori ribadiscono che la CID + BNP è costo-efficace rispetto alla CS, mentre la sola CID é neutrale. Lo studio è stato effettuato con il supporto finanziario di numerose aziende del settore farmaceutico e diagnostico.

punto di vista dell’analisi è stato quello del “terzo pagante”, ancorché non esplicitato. Il parametro di efficacia clinica principale è il tasso di ri-ospedalizzazione ricavato dal database amministrativo dell’agenzia, risultato inferiore nel gruppo di pazienti assistiti prevalentemente a domicilio (16,7% vs 38%), mentre la sopravvivenza mediana (13,2 vs 11,2 mesi) non è risultata significativamente diversa. Non sono state esplicitate le fonti delle risorse consumate e dei costi unitari, ma si presume provengano dal database amministrativo dell’Agenzia Regionale del Lazio. I costi considerati sono stati esclusivamente quelli imputabili alla ri-ospedalizzazione. Di conseguenza, sulla base dei dati di efficacia precedentemente evidenziati, è risultato scontato che il primo gruppo presenti un costo medio paziente ampiamente vantaggioso (€ 517 vs € 24.076). Tuttavia, la considerevole differenza di costi tra i due gruppi fa sorgere più di un dubbio sulla completezza delle elaborazioni, al di là del fatto che manca un’analisi statistica dei costi. Infine, pur dichiarando di voler effettuare un’ACe, il gruppo di ricerca non ha proceduto a calcolare il rapporto incrementale, riducendo in realtà lo studio a un’ACC. Gli autori pervengono alla conclusione che i programmi di AD potrebbero rappresentare un’alternativa all’Ao per malati terminali di neoplasie cerebrali, migliorandone anche la QoL, seppur non avendo raccolto informazioni specifiche su tale variabile.

Pace A., 2012, (Italia)

L’ultima VeC si propone di valutare il rapporto costo-efficacia del modello di Assistenza Domiciliare (AD) rispetto a quello standard basato sull’Assistenza ospedaliera (Ao) in pazienti con neoplasia cerebrale metastatica (in particolare, glioblastoma), nell’ambito di uno specifico progetto pilota condotto a livello regionale. Il gruppo di ricerca non aveva individuato, alla data dello studio, evidenze comparabili in letteratura. Il campione considerato è costituito da un totale di 143 pazienti, di cui 72 appartenenti al gruppo che ha ricevuto prevalentemente AD e 71 al gruppo di controllo. I dati sono stati raccolti retrospettivamente e si riferiscono esclusivamente ai due mesi antecedenti il decesso. Il

CONSIDERAZIONI FINALI Numerose sono le patologie potenzialmente curabili a domicilio in modo efficace; tuttavia i correlati programmi medici devono essere sottoposti a una attenta valutazione sia a livello clinico che economico. L’intento di questo lavoro è stato quello di fornire al lettore una revisione critica delle VeC focalizzate sulla possibilità di accedere alle cure domiciliari in alternativa all’ospedalizzazione. In generale, la revisione condotta ha permesso di evidenziare come i principali limiti riguardino la varietà di patologie trattate, che rende arduo il confronto fra gli studi, e la metodologia, spesso carente, utilizzata per condurre le analisi economiche. La maggioranza dei lavori 17

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VALUTAZIONE ECONOMICA qui analizzati è risultata basata su un CT monocentrico e le poche VeC multicentriche, decisamente più strutturate metodologicamente, non mostrano risultati particolarmente favorevoli. A tale proposito, è da sottolineare che in un terzo dei lavori, nonostante venga dichiarato esplicitamente di valutare il rapporto costo-efficacia del trattamento, non viene di fatto calcolato un rapporto incrementale. Inoltre, in molti casi il numero di pazienti arruolati è risultato estremamente ristretto, nonchè la disomogeneità nella selezione di questi ultimi all’interno dei due bracci in analisi. In generale, l’adozione arbitraria di numerose stime e assunzioni necessarie a una VeC può portare a conclusioni fuorvianti, indotte dalle aspettative (a volte anche genuinamente interessate) degli autori stessi. Nonostante le differenze fra i sistemi sanitari dei Paesi in cui sono state svolte le analisi, il risultato quasi unanimemente condiviso è comunque che l’AD comporterebbe una riduzione dei costi, ma non sempre un aumento dell’efficacia clinica e della qualità della vita. Solo uno studio si discosta da quanto appena detto, registrando addirittura un costo maggiore in caso di riabilitazione domiciliare (Kehusmaa). Inoltre, la domiciliazione della cura implica spesso la presenza quotidiana e costante di un professionista sanitario specializzato per controllare l’andamento della terapia e le condizioni del malato stesso; tali ore di lavoro hanno sicuramente un costo che incide sul “pacchetto home care”, ma che spesso viene valutato ambiguamente negli studi. Appare anche utile sottolineare come la terapia domiciliare sia spesso più facilmente realizzabile se accanto al malato è presente un familiare che lo aiuta; sarebbe opportuno valutare, quindi, anche la QoL dei caregivers del paziente (spesso parenti), stimando eventualmente i costi indiretti da loro sostenuti. In generale, il confronto del costo di un trattamento ospedaliero rispetto a quello domiciliare può essere fuorviante, in quanto si paragonano realtà poste su piani assai differenti: il regime ospedaliero include, oltre al trattamento diagnostico/terapeutico (ipotizzato come identico in entrambi i casi), costi fissi che in AD

sono risultati, in tutti gli studi, a carico del paziente (spese generali, vitto, lavanderia e personale para-sanitario). È naturale, pertanto, che, al di là di come vengono calcolati i costi di trasferta, trasporto e cura, di primo acchitto l’AD può risultare economicamente conveniente; più sorprendente è che, dei 6 casi in cui è stata considerata la QoL, solo la metà mostrino un vantaggio evidente. In conclusione, sarebbe necessario, a nostro avviso, definire con maggiore precisione il concetto di AD come attività erogata sul territorio a favore di pazienti che hanno reale necessità di continuità assistenziale, e non focalizzata sulla semplice riduzione di giornate di degenza ospedaliere. Attualmente, molti pazienti affetti da patologie croniche (o comunque non autosufficienti) che necessitano di cure continue, ma, al contempo, non sono in fase acuta di patologia, vengono trattenuti in ospedale (occupando un posto letto destinato a soggetti in condizioni più critiche e determinando un aumento della spesa) oppure, in seguito a dimissione, ritornano entro le mura domestiche. Questa situazione viene favorita da una carenza di strutture per soggetti in fase sub-acuta (ad esclusione di pochissime eccezioni) che garantirebbero assistenza modulata in base alle reali esigenze del paziente e, potenzialmente, un notevole risparmio economico.

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POLITICA SANITARIA di A. Curto,1 K. van de Vooren,1 L. Garattini 1

Compartecipazione alla spesa farmaceutica in una prospettiva europea

PA R O L E C H I AV E :

Abstract La compartecipazione alla spesa sanitaria da parte del paziente

CoMPARTeCIPAzIoNe,

che usufruisce di un bene o una prestazione da parte del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), comunemente indicata in Italia con il termine “ticket”, ha riscontrato di recente un ampio consenso sulla scena politica nazionale quale leva di regolazione dei consumi e governo della spesa, nonostante le numerose controversie esistenti in letteratura economica riguardanti la sua efficacia ed equità. L’obiettivo principale dello studio è quello di offrire una panoramica sull’applicazione delle misure di compartecipazione alla spesa farmaceutica esistenti nei principali Paesi dell’europa occidentale (Francia, Germania, olanda, Regno Unito e Spagna). Indipendentemente dalla tipologia di sistema sanitario, è stato costatato in tutti i contesti analizzati il ricorso a forme di co-payment obbligatorio, oltre all’adozione di un sistema più o meno esteso di esenzioni a tutela di determinate categorie sociali, condizioni cliniche o di particolare disagio economico. I ticket opzionali sui farmaci, collegati ai sistemi di prezzo di riferimento, potenzialmente i più interessanti, sono stati riscontrati solo in quattro Paesi. In conclusione, un sistema sanitario, al fine della sua sostenibilità, non può prescindere dall’applicazione di meccanismi di compartecipazione alla spesa, al di là della sua effettiva efficacia in termini di maggiore appropriatezza.

eURoPA, FARMACI

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CESAV, centro di Economia Sanitaria “Angelo e Angela Valenti”

20 Quaderni di Farmacoeconomia 19 - ottobre 2012


POLITICA SANITARIA INTRODUZIONE Da più di un decennio in Italia, così come in gran parte d’europa, sono stati introdotti e sperimentati vari strumenti di regolamentazione, sia dal lato della domanda che dell’offerta, della spesa sanitaria e in particolare di quella farmaceutica,1 in un’ottica di maggiore sostenibilità nel lungo periodo per far fronte alle sempre più stringenti esigenze di bilancio che la recente crisi economica internazionale ha contribuito drammaticamente ad accentuare. Tra questi, la compartecipazione alla spesa da parte del paziente che usufruisce di un bene o una prestazione da parte del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), comunemente indicata in Italia con il termine “ticket”, pare ultimamente riscontrare un ampio consenso sulla scena politica nazionale (e non solo) quale leva di regolazione dei consumi e governo della spesa necessaria e indispensabile, nonostante le numerose controversie tuttora esistenti in letteratura economica riguardanti la sua efficacia ed equità.2 In questo lavoro, dopo alcuni cenni introduttivi al concetto di compartecipazione in sanità a livello teorico, si procederà innanzitutto, a un approfondito esame del modello italiano (a livello sia nazionale sia regionale), per poi passare in rassegna quelli esistenti nei principali Paesi dell’europa occidentale (Francia, Germania, olanda, Regno Unito e Spagna), con particolare riferimento alla spesa farmaceutica e alla degenza ospedaliera. La scelta di limitare l’analisi comparativa principalmente a questi due ambiti è dettata sia dalla necessità di non disperdere eccessivamente l’attenzione del lettore, sia dal fatto che la spesa farmaceutica, oltre ad essere il capitolo di bilancio meglio definibile per ciascun Paese, rappresenta anche una delle componenti più importanti della spesa sanitaria e per questo è soggetta in larga misura a ticket, come dimostra l’esperienza italiana degli ultimi anni.3 A margine di ciò, sarà comunque considerata anche la compartecipazione a livello di degenza ospedaliera, allo scopo di esaminarne i presupposti e gli assunti di fondo, in vista di una sua (forse oggi meno remota) applicazione anche nel nostro Paese.

In sintesi, l’obiettivo principale dello studio è quello di offrire una panoramica europea sull’applicazione delle misure di compartecipazione alla spesa farmaceutica, al fine di verificare eventuali indicazioni utili in una visione ad ampio raggio del fenomeno, contribuendo in modo fattivo al dibattito attualmente in corso in Italia riguardo a una possibile rimodulazione e trasformazione dell’intero sistema di compartecipazione.

QUADRO TEORICO La compartecipazione alla spesa da parte del paziente che usufruisce di un bene o servizio sanitario è nota in letteratura economica con il termine anglosassone “copayment”. Al di là del sistema sanitario in essere, due sono i principali motivi alla base della sua introduzione in sanità: 1) limitare i consumi superflui, disincentivando possibili comportamenti opportunistici (c.d. azzardo morale); 2) finanziare la spesa sanitaria incrementando le entrate a favore del “terzo pagante”, in un’ottica di maggiore sostenibilità nel lungo periodo.4 In pratica, è possibile distinguere tre tipologie fondamentali di copayment: 1. ticket in somma fissa per singolo prodotto/servizio sanitario; 2. ticket in percentuale per singolo prodotto/servizio sanitario; 3. franchigia, ossia una quota minima di spesa in prodotti e/o servizi sanitari interamente a carico del paziente, calcolata su un determinato periodo di tempo (ad esempio un anno), oltre la quale scattano forme di rimborsabilità. Al fine di comprendere compiutamente gli effetti diretti e indiretti della compartecipazione, dal momento che in sanità la domanda di beni e servizi è in gran parte determinata dal medico (il c.d. fenomeno di “induzione della domanda da parte dell’offerta”), è opportuno inquadrarla nell’ottica del concetto economico di elasticità della domanda al prezzo. esistono beni e servizi sanitari (farmaci “salva-vita”, terapie per malati cronici, prestazioni urgenti, trattamenti senza alternative terapeutiche, ecc.) caratterizzati da bassissima elasticità, nei confronti dei quali i pazienti sono sostanzialmente in21

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POLITICA SANITARIA sensibili alle eventuali variazioni di prezzo sul mercato: in tali casi il copayment è più efficace come fonte di finanziamento, piuttosto che quale strumento dissuasivo e di governo del consumo, dal momento che tali pazienti richiederebbero i beni e servizi in questione “costi quel che costi”, garantendo di fatto un gettito sicuro e stabile per il “terzo pagante”, al di là dei prevedibili risvolti critici sull’equità d’accesso nei confronti di persone a più elevato rischio sanitario o comunque bisognose di assistenza.5 D’altra parte, superando l’assioma della non sostituibilità dei trattamenti per un dato stato di salute, esistono anche beni e prestazioni sanitarie caratterizzate da domanda molto elastica; quindi, il fatto che il medico orienti la richiesta del paziente può attenuare, ma non cancellare completamente la funzione dissuasiva del ticket quale strumento di governo della domanda, contribuendo non solo a rendere il paziente cosciente del costo dei beni e servizi di cui usufruisce evitando comportamenti opportunistici, ma anche, a volte, a contrastare casi di collusione implicita tra medico e paziente a danno del “terzo pagante”. Peraltro, se da un lato è evidente che l’applicazione di un ticket può ridurre il ricorso eccessivo a cure non strettamente necessarie, d’altro canto i pazienti (in particolare quelli che versano in condizioni economiche disagiate) potrebbero decidere, in presenza di una richiesta di compartecipazione eccessiva, di ridurre il proprio livello ottimale di consumo sanitario anche nel caso in cui non fosse opportuno farlo, a danno non solo della propria salute, ma anche del benessere generale della collettività, dal momento che tale comportamento potrebbe avere conseguenze negative nel medio-lungo periodo (in termini ad esempio di maggiori ospedalizzazioni), ripercuotendosi a sua volta sulla spesa sanitaria complessiva.6 Al fine di compensare i potenziali effetti avversi fin qui enunciati, sono in genere previsti meccanismi di tutela pubblici e privati: nel primo caso sotto forma di esenzioni (parziali o totali) per stato di salute e/o condizioni socio-economiche e limiti massimi di compartecipazione per

un dato periodo di tempo prefissato; nel secondo, in forme assai variabili di assicurazioni volontarie e complementari a quella pubblica.7 Da un punto di vista teorico, inoltre, si dovrebbe considerare il fatto che un’eventuale applicazione parziale di un ticket potrebbe determinare, in caso di elevata sostituibilità tra diverse forme d’assistenza sanitaria, effetti indesiderati anche consistenti sul piano dell’appropriatezza, ad esempio il ricorso improprio a prestazioni completamente gratuite al posto di quelle gravate da ticket, a ulteriore detrimento dei conti pubblici.8 In letteratura economica esistono numerosi studi che, oltre a indagare tali aspetti, hanno cercato di analizzare gli effetti globali della compartecipazione. Tuttavia, l’effetto netto che essa produce è tutt’altro che chiaro e univoco: alcuni hanno verificato che il ticket riduce la domanda senza particolari conseguenze sulla salute;9 altri, invece, partendo dalla critica agli assunti del filone di ricerca precedente,10 sono convinti che ticket elevati, pur riducendo la spesa nel breve periodo, finiscono per aumentarla nel medio-lungo termine, dal momento che i pazienti manifestano la tendenza a posporre esami e consumi rispetto a quanto sarebbe opportuno.6

MATERIALI E METODI essendo l’obiettivo principale dell’indagine quello di offrire uno strumento di analisi critica dell’attuale sistema di compartecipazione alla spesa farmaceutica esistente in Italia, in una logica comparativa rispetto a quelli esistenti nei principali Paesi dell’europa occidentale (Francia, Germania, olanda, Regno Unito e Spagna), al quadro nazionale che verrà di seguito esposto, seguirà un’analisi europea a più ampio respiro, condotta sulla base di cinque variabili di riferimento, preventivamente selezionate, al fine di circoscrivere l’esteso campo d’indagine a pochi punti essenziali (Tabella 1). Per il reperimento delle informazioni sono stati consultati e analizzati i dati e le evidenze disponibili fino a Maggio 2012 sui principali siti internet nazionali e internazionali di enti pubblici e privati, as22

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POLITICA SANITARIA sociazioni di categoria e società di consulenza, oltre alle principali pubblicazioni esistenti in letteratura sull’argomento.

ce autonome incluse) continuano a non applicare alcun ticket, ma il quadro appare comunque assai variegato e disomogeneo.12 Complessivamente, è fatta comunque salva la possibilità da parte delle regioni di sostituire in autonomia i ticket nazionali con misure alternative equivalenti, ai fini di salvaguardare in ogni caso il mantenimento dell’equilibrio economico-finanziario. Non è invece mai stato applicato alcun ticket sulla degenza ospedaliera, anche se in passato un decreto legge, mai convertito successivamente, aveva previsto l’introduzione di una quota giornaliera per le c.d. “spese alberghiere” (D.L. 111/1989). Il sistema di esenzioni dal pagamento del ticket a livello nazionale prevede essenzialmente due tipologie minime di esonero, parziale o totale a seconda dei singoli casi: 1) stato di salute (malattie croniche e rare appositamente certificate e attività di prevenzione e diagnosi precoce di tumori); 2) condizioni socio-economiche (reddito familiare, invalidi, donne in gravidanza). A livello regionale, per quanto concerne la compartecipazione farmaceutica, le categorie di soggetti esenti, anche se ispirate a quelle precedentemente citate, non sempre coincidono pienamente. A partire dal 2001 (L. 388/2000 e L. 405/2011) è stato introdotto il sistema del prezzo di riferimento come strumento di regolazione dal lato della rimborsabilità. esso si applica esclusivamente ai farmaci di fascia A (ossia quelli essenziali e per malattie croniche interamente rimborsabili) non coperti da brevetto, sia branded (ossia le specialità a brevetto scaduto) sia unbranded (ossia i generici/equivalenti), sul-

QUADRO NAZIONALE Le prestazioni sanitarie comprese nei Livelli essenziali di Assistenza (LeA) sono garantite dal SSN a titolo gratuito o con partecipazione (D. Lgs. 502/1992 e successive modificazioni), grazie a un sistema di finanziamento basato sulla tassazione generale. La riforma del Titolo V della Costituzione (L. Cost. 3/2001), inerente i rapporti tra Stato e autonomie locali, ha attribuito competenze esclusive in materia di organizzazione sanitaria alle regioni, finendo per produrre una sovrapposizione di norme a livelli diversi e l’assenza di una logica centralista anche in materia di copayment.11 Secondo le più recenti stime dell’Agenzia Nazionale per i Servizi sanitari regionali (AgeNaS), l’ammontare complessivo attuale dei ticket riscossi in un anno, si aggirerebbe intorno ai quattro miliardi di euro, corrispondente a circa il 3,5% della spesa sanitaria nazionale.12 Limitatamente all’assistenza farmaceutica, l’ammontare complessivo (derivante sia dalla quota di compartecipazione pagata dal cittadino sui farmaci equivalenti sia dal ticket fisso per ricetta) è stato pari a circa un miliardo di euro nel 2010 (+ 15,7% rispetto all’anno precedente), corrispondente a circa il 7,7% della spesa farmaceutica lorda italiana.13 Le prestazioni soggette a compartecipazione a livello nazionale sono quelle specialistiche (sulle quali dal 2010 è previsto un ticket aggiuntivo di €10 oltre a quello già in vigore), di diagnostica e laboratorio (ticket variabile, con un tetto massimo di €36,15 per ricetta), prestazioni di pronto soccorso in “codice bianco” (ticket di €25) e cure termali (ticket di €50). Per quanto riguarda la farmaceutica, dal Gennaio 2001 la competenza è delle Regioni, le quali, tenuto conto dell’andamento della spesa farmaceutica rispetto al tetto di spesa programmato, hanno la possibilità di introdurli, prevedendo in generale una quota fissa per confezione o per prescrizione (variabile tra €0,50 e 6,00). Attualmente solo cinque regioni su 21 (provin-

TABELLA 1 Variabili di riferimento per l’analisi comparativa

1) Tipologia di sistema sanitario 2) Compartecipazione farmaceutica 3) Compartecipazione ospedaliera 4) Sistema di esenzioni ai co-pagamenti 5) Sistema di prezzi di riferimento dei farmaci

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POLITICA SANITARIA la base di una dettagliata definizione di equivalenza chimico-terapeutico-biologica tra farmaci.14 Dal 2002 AIFA pubblica mensilmente la Lista di Trasparenza (LT) dei medicinali inseriti nell‘elenco dei farmaci equivalenti e i relativi Prezzi di Riferimento (PR) aggiornati e comprensivi delle eventuali riduzioni decise a livello politico amministrativo (determinazione AIFA 3 Luglio 2006 e del 27 Settembre 2006, L. 31/2008 e L. 122/2010), che rappresentano quindi i valori massimi di rimborso da parte del SSN per un medicinale contenente un determinato principio attivo, a cui le regioni possono eventualmente derogare in parte attraverso l’utilizzo di risorse proprie. Si contano attualmente 4.829 farmaci in LT, di cui circa il 43% ha un prezzo superiore rispetto a quello di riferimento (anche fino a + €50).10 Inoltre, a partire dall’Aprile 2011 (in seguito alla Delibera AIFA del 30 Marzo 2011), molte confezioni di riferimento inserite nella LT non presentavano (almeno) un’alternativa a costo zero, cioè allineata al prezzo di riferimento, a tutto discapito del paziente che si è trovato nel 34% dei casi a dover pagare la compartecipazione, indipendentemente dalla scelta effettuata.16

l’anno) e nel Regno Unito (£7,40 per ricetta, con la possibilità da parte del singolo paziente di acquistare un certificato prepagato per un numero illimitato di prescrizioni con validità temporale ridotta, ad esempio una settimana).10 In Spagna, una sola comunità autonoma (Catalunya), fra l’altro tra le più ricche del Paese, ha di recente introdotto un ticket fisso (€1,00 per confezione).20 L’olanda è l’unico Paese tra quelli considerati che ha optato per l’applicazione di una franchigia omnicomprensiva (€220,00 nell’anno 2012), riferita sia alla spesa farmaceutica sia agli altri servizi sanitari.20 Per quanto riguarda la compartecipazione in caso di ricovero, è previsto un ticket giornaliero a copertura delle c.d. “spese alberghiere” solo in Francia e Germania (rispettivamente di €10 e €18). Al fine di contenere gli “effetti avversi” della compartecipazione, tutti i Paesi considerati hanno adottato un sistema più o meno esteso di esenzioni e limiti a tutela di determinate categorie sociali, condizioni cliniche o di particolare disagio economico. In Francia sono esonerati dalla compartecipazione bambini, donne in gravidanza, disabili, pensionati e malati cronici la cui patologia rientri in un’apposita lista di 30 malattie.17 In Germania i minori sono dispensati dal ticket, mentre per i pazienti con malattie croniche gravi è previsto un limite massimo di compartecipazione in funzione del loro reddito (1% del reddito lordo annuo).18 In Spagna, sono esenti i pensionati e i loro beneficiari, i malati cronici e i disoccupati; nel Regno Unito malati cronici, bambini, donne in gravidanza, disabili e anziani.19 In olanda i pazienti con gravi patologie, gli affetti da malattie croniche e i portatori di handicap possono richiedere una franchigia ridotta.23 Le esenzioni in base al reddito risultano applicate solamente in Spagna e Regno Unito.19,20 Tuttavia va tenuto presente che in Francia, in base alla legge sulla copertura sanitaria universale (Couverture Maladie Universelle, CMU), è disponibile un’assicurazione volontaria complementare (a copertura delle spese sanitarie) gratuita per le persone a basso reddito, peraltro molto diffusa anche a pagamento nella popolazione francese,

QUADRO EUROPEO Indipendentemente dalla tipologia di sistema sanitario, in tutti i Paesi europei considerati nella nostra indagine è stato constatato un ricorso, più o meno ampio, a forme di copayment obbligatorio quale strumento di regolazione della spesa farmaceutica. Con riferimento alla tipologia di ticket applicata, quelli proporzionali sono i più diffusi e presenti in Francia (in quote variabili del 35% / 70% / 85%, a seconda del beneficio clinico del farmaco e della gravità della patologia),17 in Germania (10%, da un minimo di 5 a un massimo di 10 euro, tranne quando il prezzo del farmaco è inferiore al PR del 30%)18 e in Spagna (40% su tutti i farmaci, recentemente aumentato fino al 50% per i lavoratori a reddito medio e al 60% per i redditi più elevati).19 I ticket fissi sono applicati in Francia (€0,50 per confezione, fino a un massimo di €50,00 al24

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POLITICA SANITARIA con il risultato di avere un effetto simile all’esenzione sulla base del reddito.24 I ticket opzionali sui farmaci, collegati ai sistemi di PR, sono presenti in quattro dei sei Paesi considerati. Tuttavia, in Francia17 e Italia14 il sistema di PR si riferisce ai singoli principi attivi ed è limitato ai soli farmaci a brevetto scaduto; in Germania25 e olanda26 comprende invece gruppi di prodotti più ampi giudicati simili in base al principio di equivalenza terapeutica, inclusi anche farmaci sotto brevetto con caratteristiche di scarsa innovatività. La Tabella 2 riassume i vari ticket, le relative esenzioni e i sistemi di prezzi di riferimento esistenti nei sei Paesi europei inclusi nella nostra indagine.

pratica di annullare il potenziale effetto “dissuasivo” della compartecipazione sui consumi superflui, trasformandosi di fatto in una “tassa” con un semplice effetto traslativo dei costi dal pubblico al paziente. Allo stesso tempo, è evidente che tutti i Paesi, allo scopo di limitare situazioni di particolare disagio e potenziali effetti negativi e di iniquità del copayment, hanno introdotto una vasta gamma di esenzioni. Tuttavia, permangono in ogni caso evidenti meccanismi distorti alla base: si pensi ai connotati discriminatori verso quei pazienti che, essendo appena oltre la soglia di esenzione, possono avere difficoltà a pagare il ticket, o quelli la cui malattia è esclusa dall’elenco delle patologie esenti. Di conseguenza, una “tassa sulla salute” riscossa su tutta la popolazione, differenziata per reddito, sembrerebbe ancora il modo più “equo” per raccogliere fondi qualora necessario. Inoltre, fermo restando che la solidarietà debba essere comunque il “driver” principale di un sistema di assistenza sanitaria pubblica e universale, potrebbe valere la pena di esplorare la possibilità di applicazione di “oneri aggiuntivi” nei confronti di pazienti che adottino uno stile di vita palesemente dannoso per la salute (ad esempio, fumatori e soggetti obesi). Nonostante ciò, i politici si guardano bene dall’introdurre tali misure, probabilmente perché assai più impopolari di piccoli ticket obbligatori, che finiscono però per avere un effetto regressivo il più delle volte e colpire il singolo cittadino nel momento del maggiore bisogno. Da questo punto di vista, se la compartecipazione non può essere evitata, forme di compartecipazione fisse (incluse anche le franchigie e i ticket per le “spese alberghiere” per giornata di degenza) sembrerebbero preferibili a quelli proporzionali, in quanto più facili da prevedere nell’importo, e senza che quest’ultimo sia influenzato dal prezzo negoziato dalle autorità sanitarie con i produttori o eventualmente dalle mutevoli decisioni tariffarie amministrative. In generale, l’effetto finanziario complessivo di un sistema di compartecipazione è incerto e varia a seconda delle gestioni locali (si pensi, ad esempio, all’incidenza dei costi amministrativi per la raccolta dei ticket), dell’impatto sui modelli di consu-

DISCUSSIONE L’indagine qui presentata, pur soffrendo di alcuni limiti evidenti, ci ha permesso di avere una visione ad ampio raggio sulla compartecipazione farmaceutica a livello europeo, utile punto di partenza per l’interpretazione e la comprensione ragionata del fenomeno. Va tenuto presente che, nel corso della raccolta delle informazioni (prevalentemente in lingua inglese), possono essere stati omessi alcuni documenti di dettaglio in lingua originale. Inoltre, data la ormai perdurante crisi economica, molti dei Paesi considerati hanno manifestato in maniera più o meno esplicita la volontà di modificare il proprio sistema di compartecipazione, che potrebbe quindi di qui a poco cambiare nei contenuti, come del resto è di recente accaduto in Spagna.19 Dall’analisi del quadro a nostra disposizione è emerso che tutti i Paesi considerati adottano in modo più o meno ampio forme di compartecipazione, senza peraltro aver riscontrato alcuna relazione tra tipologia di sistema sanitario (sia esso basato sulla tassazione generale in stile “Beveridgiano” o fondato su forme assicurative obbligatorie sul modello “Bismarckiano”) e le modalità e la misura in cui i ticket sono applicati e utilizzati. La Francia parrebbe la nazione in cui la compartecipazione è più diffusa; non appare quindi casuale che la stragrande maggioranza della popolazione sottoscriva un’assicurazione volontaria complementare, la quale rischia però in 25

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POLITICA SANITARIA mo e della capacità di contrastare le possibili frodi. L’applicazione di copayment opzionali, potenzialmente molto interessante ai fini del contenimento dei costi in quanto meno soggetta a influenze politiche di breve termine, rimane un campo ancora relativamente poco esplorato se si escludono le robuste esperienze di Germania e olanda. Dirigere le scelte dei pazienti verso un maggiore utilizzo di farmaci più costo-efficaci e terapeuticamente equivalenti, senza che vi siano necessariamente ricadute sullo stato di salute dei pazienti o si sollevino intricate questioni di equità, potrebbe essere un nuovo “sentiero di policy” per quei Paesi, come Francia e Italia, che hanno adottato un sistema di PR assai ristretto, limitato a un singolo principio attivo e includente i soli farmaci off-patent, ma anche per Paesi (come il Regno Unito) che non hanno ancora adottato un vero e proprio sistema di PR. estremamente significative su opposti versanti sono, a questo proposito, l’esperienza negativa italiana nel settore degli equivalenti27 e quella positiva in olanda e Germania degli ampi gruppi di riferimen-

to fondati sul principio dell’equivalenza terapeutica e comprendenti i farmaci fuori e sotto brevetto, dimostratisi in grado di contenere in modo più efficace i prezzi dei farmaci “me too” e allo stesso tempo di consentire lo sviluppo di un solido mercato degli equivalenti.25,26 In questi due Paesi, infatti, i ticket opzionali basati sul PR hanno giocato un ruolo cruciale nella spinta al ribasso dei prezzi nei confronti dell’industria farmaceutica, grazie alla riluttanza dei pazienti a coprirne la differenza col PR, spingendo in definitiva le stesse aziende farmaceutiche a modificare il proprio atteggiamento per non perdere quote di mercato, come ha dimostrato il recente caso, balzato agli onori delle cronache specializzate, dell’atorvastatina in Germania, quando il produttore, rifiutandosi di ribassarne il prezzo, ha perduto quasi tutta la propria quota di mercato, nonostante l’aggressiva e massiccia campagna a mezzo stampa che paventava conseguenze nefaste sulla salute dei pazienti nel caso di ricorso ad altri farmaci ipocolesterolemizzanti giudicati terapeuticamente equivalenti.28

TABELLA 2 Quadro riepilogativo di ticket ed esenzioni nei sei principali Paesi UE occidentali.

Francia

Germania

Italia

Fisso

Percentuale

Olanda

Regno Unito

Spagna

✓1

✓2

Ticket obbligatori

✓ ✓

Franchigia Esenzioni e limiti Condizione sociale

Stato di salute

Condizione economica ✓

Tetto massimo Assicurazione volontaria complementare

Ticket opzionali Prezzi di riferimento

Principio attivo Gruppo terapeutico

✓ ✓

1

La Scozia ha abolito i ticket sui farmaci. Catalogna. 3 In Spagna i farmaci off-patent al di sopra del prezzo di riferimento non sono comunque rimborsabili. 2

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✓3


POLITICA SANITARIA CONCLUSIONI In nome della sostenibilità, pare che al giorno d’oggi un sistema sanitario non possa prescindere dall’applicazione più o meno ampia di meccanismi di compartecipazione alla spesa, al di là della sua effettiva efficacia in termini di maggiore appropriatezza. A conti fatti però, il ticket sanitario si sta trasformando da strumento di responsabilizzazione dei cittadini, cioè mirato soprattutto a disincentivare il consumo eccessivo e inefficiente di farmaci e prestazioni mediche, a voce sempre più significativa di finanziamento della sanità, di cui ogni amministrazione, a prescindere dai periodi di forte crisi congiunturale come quello attuale, difficilmente può e potrà fare a meno in futuro, trattandosi comunque di scelte dalla non agevole reversibilità. È evidente infatti che un’amministrazione, una volta introdotto un ticket, difficilmente torna sui suoi passi, cancellandolo. La recente sentenza della Corte Costituzionale che, per motivi di competenza normativa, ha momentaneamente bloccato l’applicazione a decorrere dal 2014 delle nuove mi-

sure di compartecipazione alla spesa sanitaria fissate dalla L.111/2011 recante “disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria”, non altera nei fatti la tendenza in aumento già in atto da circa un decennio.29 In attesa dell’evoluzione prossima del dispositivo in questione e tenendo conto dell’autorevole parere della stessa Corte dei Conti, che non ha esitato a denunciare l’insostenibilità di un aumento all’infinito del ricorso al copayment quale meccanismo di razionalizzazione della spesa, è quanto mai opportuna una riflessione politica in grado di rendere più efficiente e più virtuoso tale strumento. Incoraggiando ad esempio un più ampio utilizzo dei copayment opzionali rispetto a quelli obbligatori, attraverso il meccanismo dei PR basati sull’equivalenza terapeutica, visto che, in prospettiva di un potenziale scenario peggiore di quello attuale, molti individui non potranno nemmeno permettersi il livello di ticket esistente, al punto tale che sarebbe più adeguato reinterpretare la situazione in termini di “bisogni”, più che di “consumo” e “sovra-consumo”.9

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OPINIONI A CONFRONTO Intervista a Luisa Crisigiovanni,1 Silvio Garattini,2 Carlo Lucchina 3

Liberalizzazioni

nella distribuzione dei farmaci

Abstract La distribuzione dei farmaci è molto regolamentata a causa della

PA R O L E C H I AV E :

rilevanza del bene “farmaco” per la salute umana. A distanza di sei anni dall’approvazione del c.d. “decreto Bersani”, il governo si è impegnato di nuovo sul fronte della liberalizzazione del settore attraverso il decreto “Cresci Italia”. Per approfondire questo argomento abbiamo intervistato esponenti del mondo della ricerca, dell’associazionismo a tutela dei consumatori e della sanità regionale. oltre ad alcune critiche sull’entità della liberalizzazione e sulle sue implicazioni di lungo periodo per il SSN, emergono anche proposte di miglioramento.

DISTRIBUzIoNe FARMACI,

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LIBeRALIzzAzIoNe, DeCReTo “CReSCI ITALIA”

1

Dott.ssa Luisa Crisigiovanni Responsabile Dipartimento Relazioni Esterne Direttore Associazione Altroconsumo

2

Prof. Silvio Garattini CESAV, Istituto Mario Negri, Milano

3

Dott. C. Lucchina Direttore Sanità Regione Lombardia, Milano


OPINIONI A CONFRONTO concordo che da qui a dire che è in atto una liberalizzazione nella vendita dei farmaci c’è una bella differenza. Tra l’altro, secondo me, sussiste anche un problema procedurale di effettiva apertura di queste farmacie legato ai concorsi, il che non mi fa intravedere una scansione di tempo relativamente breve per dare attuazione a questo dispositivo. Un problema che persiste da anni in Italia è quello di capire se il modello di distribuzione tradizionale dei farmaci del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) debba essere sempre legato alle farmacie. Riaffrontando in termini innovativi le convenzioni che regolano tutti gli obblighi e i diritti dei farmacisti, qualche cosa in più si potrebbe pure ottenere.

ALLA LUCE DEL TESTO FINALE EMANATO DAL GOVERNO, SI PUO’ PARLARE SECONDO VOI DI LIBERALIZZAZIONE DEL MERCATO FARMACIA?

Luisa Crisigiovanni Se pensiamo alla strada aperta in questo campo con il decreto Bersani, a mio avviso la manovra del governo è stata molto timida e parziale, a causa dell’impossibilità di vendere farmaci in fascia C con obbligo di prescrizione in presenza di un farmacista, ma al di fuori delle farmacie. In realtà, l’ultima riforma ha incrementato sulla carta il numero di farmacie e questo rappresenta un piccolo passo forse nella direzione di maggiore occupazione e più accessibilità per i cittadini nei piccoli centri. Ritengo che potesse essere colta l’opportunità di ottenere le indicazioni in ricetta del principio attivo direttamente da parte del medico. Questo avrebbe certamente dato un altro respiro alla manovra; evidentemente le lobby sono state particolarmente forti.

QUALI POTREBBERO ESSERE SECONDO VOI LE IMPLICAZIONI DI LUNGO PERIODO DI QUESTO PROVVEDIMENTO PER IL SSN (AD ESEMPIO, SUL MARGINE DI LEGGE E SUI PREZZI DEI FARMACI DI FASCIA A ACQUISTATI PRIVATAMENTE)?

Silvio Garattini Penso che sia prima di tutto necessario dire che qui non ha senso parlare di liberalizzazione. Possiamo parlare solo di minori privilegi, perché la possibilità di aprire una farmacia non è stata concessa a tutti coloro che ne hanno i requisiti. Ritengo si sia persa un’occasione perché il provvedimento avrebbe potuto includere la possibilità di vendere i prodotti di fascia C anche al di fuori delle farmacie, consentendo di ottenere più risparmi. Infine, vorrei chiarire un grande equivoco che riguarda la definizione di farmacia. La farmacia è il luogo dove opera il farmacista, che è la figura fondamentale in possesso delle competenze che garantiscono la possibilità di vendere i farmaci. Invece, si è data l’impressione che esistano due tipi di farmacisti, quelli di serie A e quelli di serie B. I primi sono quelli che operano nelle farmacie, i secondi sono quelli che operano nelle parafarmacie.

Luisa Crisigiovanni Sarei molto prudente a questo riguardo. Proporrei la liberalizzazione nella fascia C da una parte, consentendo la multi-canalità, e dall’altra un migliore utilizzo del farmaco generico, cercando di agire sul grado di consapevolezza da parte dei consumatori che spesso non sono sufficientemente informati. C’è scarsa consapevolezza nel cittadino della scelta e della possibilità di risparmio legato al prodotto farmaco. Quindi si tratta proprio di ripensare il rapporto col medico e ricordare che anche lo stesso farmacista ha un ruolo fondamentale. Sia medico che farmacista devono in altre parole informare sulla presenza di un farmaco equivalente ma più economico. Silvio Garattini È chiaro che modificare radicalmente il margine di legge determinerebbe un viraggio molto forte dalla funzione commerciale a una funzione più da professio-

Carlo Lucchina Il testo finale di legge ha aumentato il numero delle farmacie sul territorio, ma 30

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OPINIONI A CONFRONTO nista. Infatti, anche volendo ammettere la buona fede da parte di tutti, quando si parla di percentuali c’è la tentazione di vendere i prodotti che costano molto di più, perché la percentuale dà luogo, anche se è sempre uguale, a ritorni più consistenti in valori assoluti sui farmaci più costosi. Quindi opterei per un pagamento per ogni atto (come in Inghilterra). Per quanto riguarda l’acquisto dei farmaci di fascia A privatamente e la possibilità di fare sconti, penso che questo sia molto più discutibile perché non vorrei che aprisse in prospettiva la strada all’acquisto on-line senza adeguate forme di controllo, anche se starei attento a vigilare affinché i farmaci di fascia A restino al SSN.

dere. In sanità non si vende soltanto, ma si presuppone esista un professionista che, con serietà, dopo avere fatto gli approfondimenti diagnostici necessari, ritiene che per una determinata patologia sia opportuno un determinato percorso di cura. QUALI STRATEGIE ALTERNATIVE AVRESTE PERCORSO ESSENDO IPOTETICAMENTE AL POSTO DEL GOVERNO?

Luisa Crisigiovanni Sostengo un delisting completo dei farmaci della fascia C, anche quelli con prescrizione, perché vorrei sottolineare che non è il luogo a fare la farmacia, ma è chiaramente il farmacista a fare il ruolo. Per quanto riguarda la posizione del paziente, spesso bersagliato da tantissime informazioni, ritengo che ognuno di noi si debba assumere la sua responsabilità individuale nel fare le scelte quotidiane senza essere sottomesso alla cultura assistenzialista in cui viviamo, che ci porta ad essere più passivi del dovuto. In questo senso, è necessario che il farmacista assuma il ruolo di educatore e conduca il paziente ad assumere un ruolo attivo nella scelta del farmaco, perché ci sono differenze consistenti nei prezzi anche all’interno dello stesso canale di vendita. D’altra parte, anche i medici hanno una loro responsabilità e quindi spingerei certamente affinché i medici possano indicare in ricetta il principio attivo, come mi pare avvenga già da tempo in Inghilterra.

Carlo Lucchina Storicamente, fatto 100 il prezzo di un farmaco, mediamente il 66% va all’industria che lo produce e il 33% alla distribuzione fra i grossisti e farmacisti. oggi i farmacisti si lamentano perché, con l’entrata in vigore di parecchi generici dopo la perdita dei relativi brevetti, il prezzo del farmaco e la percentuale evidentemente diminuiscono. e’ probabilmente arrivato il momento improrogabile di rivedere completamente l’architettura della convenzione che regola il servizio farmaceutico, rispettando le esigenze delle categorie e i problemi distributivi, ma garantendo la qualità del servizio e l’informazione al cittadino. Data la rilevanza dimensionale della spesa per farmaci all’interno del fondo sanitario nazionale, ne ritengo necessaria una valutazione attenta, a cui devono contribuire non solo gli addetti alla sanità, attraverso l’appropriatezza e la verifica del costo di distribuzione, ma anche il consumatore che, attraverso l’informazione a disposizione, deve essere meno diffidente verso il farmaco generico e avere un consumo più attento. Penso che la possibilità di fare scontistiche sui farmaci di fascia A acquistati privatamente vada valutata per considerare la preparazione del cittadino, affinché non ricorra a una fornitura esagerata, non proporzionata al consumo. Sono anche preoccupato dell’acquisto di certi farmaci attraverso internet, la cui attestazione di qualità suscita molte perplessità, essendo lo scopo principale quello di ven-

Silvio Garattini Innanzitutto, non vorrei che la continua penalizzazione a cui è sottoposto il consumatore attraverso i ticket (non solo nel campo del farmaco, ma anche dell’attività ospedaliera e di pronto soccorso) fosse un’anticipazione della necessità di sottoscrivere un sistema assicurativo che integri il SSN; dovremmo impegnarci per impedire questa eventualità perché il SSN è un bene talmente importante che dovremmo fare di tutto per non perderlo. Detto questo, propenderei per una liberalizzazione graduale delle farmacie, con un sistema di retribuzione per ogni atto distributivo. 31

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OPINIONI A CONFRONTO Un’altra cosa che mi starebbe a cuore è quella di evitare il più possibile le vendite on-line, perché sono pericolose; infine, ma non ultimo in ordine di importanza, mi pare stiamo un po’ esagerando nell’enfatizzare il ruolo educativo del farmacista. La presenza all’interno della farmacia di prodotti che non hanno benefici scientifici provati rischia di trasformare il farmacista in un “imbonitore”. Credo quindi che l’ordine dei farmacisti debba decidere se sia possibile continuare ad avere questa commistione fra prodotti che rappresentano un’utilità per la salute e prodotti che invece fanno parte di un business che non ha nulla a che fare con un’attività educativa in campo sanitario.

regolamentata in via esclusiva come competenza dello Stato. In generale, il farmacista non ha solo il ruolo di mero distributore di farmaci, di verifica, di appropriatezza e di rendicontazione al SSN dei costi dei farmaci, ma è un punto di riferimento con il quale spesso si instaura un rapporto di fidelizzazione. Fermo restando che il farmacista debba essere l’unica figura all’interno della farmacia con responsabilità riconosciute per legge, proporrei di considerare tale figura nell’interesse più ampio del SSN. e’ evidente che, dal punto di vista di un sistema sanitario nazionale o regionale, il presidio territoriale dell’attività sanitaria è fondamentale. Di conseguenza, un altro degli aspetti fondamentali su cui vorrei si concentrasse l’attenzione è la copertura territoriale di questi servizi.

Carlo Lucchina Sicuramente ci vuole un provvedimento di legge nazionale perché la disciplina è

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