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AD OGNUNA IL SUO L’importanza del bicchiere adatto
Un locale specializzato non può sottovalutare l’importanza di utilizzare un “vetro” dalla geometria e dalla composizione adeguata a valorizzare al massimo l’aromaticità, la carbonazione e l’equilibrio gustativo della birra che vi viene servita. Complice invece il successo inarrestabile delle American IPA in tutte le loro declinazioni, sta accadendo che molti locali, anche ambiziosi e premiati dai beer geek, optino per la cosiddetta pinta americana, da 0,4 l o addirittura da 0,3 l, come bicchiere universale senza curarsi di quanto ciò porti detrimento a una Pils, che vede il suo delicato bouquet disperso dall’imboccatura troppo larga e la carbonazione mal gestita dalla ridotta altezza del contenitore o a una Tripel, che rischia al contrario di essere troppo
“rotta” e, soprattutto, non può usufruire di una svasatura che concentri gli aromi di malto e gli esteri fruttati. Il fastidioso corollario di questa scelta, che semplifica, è vero, il servizio e la pulizia, è che i clienti vengano spinti a privilegiare e ordinare solo gli stili valorizzati da quel genere di bicchiere, quindi ancora una volta le birre iper luppolate già di moda, portando a un impoverimento dell’offerta e un appiattimento del gusto che è ciò da cui il consumatore che non si accontenta della birra industriale solitamente fugge. Come docente del modulo su “Birra e cultura del bicchiere” nel corso italiano per Biersommelier Doemens, compio sempre degli esperimenti sensoriali ideati con il mio maestro e amico Stefan Grauvogl, responsabile per l’Italia dell’accademia tedesca e uno di essi è stato particolarmente significativo. Abbiamo infatti utilizzato due bicchieri diversi, un flûte da champagne e un calice da vino bianco, più ampio e bombato, e due Pils tedesche: Bitburger, più commerciale e mainstream, con un tenore d’amaro abbastanza ridotto, e Ayinger, decisamente più tradizionale e carica di luppolo. Senza ovviamente dare ai corsisti alcuna indicazione circa il contenuto dei bicchieri (non conoscevano nemmeno lo stile delle birre scelte), abbiamo dapprima servito entrambe le Pils nel flûte e chiesto ai partecipanti quale fosse la più amara delle due: tutti e quindici hanno indicato la stessa birra, naturalmente la Ayinger. Pochi minuti dopo, abbiamo offerto la Bitburger nel flûte e la Ayin- ger nel calice da vino bianco e ripetuto la stessa domanda: nove persone hanno indicato la Bitburger come più amara, apparentemente ribaltando la propria percezione ma in realtà veicolati dall’influsso del bicchiere, dal momento che il calice più ampio ha maggiormente valorizzato gli aromi del malto a discapito di quelli dei luppoli.
Passando in rassegna i “vetri” comunemente usati per i più classici stili, è lecito domandarsi: la tradizione vince sempre o a volte si può fare di meglio scompaginando un po’ le carte?
Le Pils vengono di solito servite in goblet cilindrici, calici a chiudere, flûte o colonne simili a quelle usate in Vestfalia per Kölsch e Altbier ma di maggiore altezza: un bicchiere abbastanza alto e snello permette di scaricare parzialmente la vivace carbonazione che caratterizza lo stile senza però “distruggerla” e creando il caratteristico alto cappello di schiuma che protegge dall’ossidazione, mentre l’imboccatura stretta consente di non disperdere troppo i delicati aromi erbacei di luppolo. Inoltre, il movimento che si effettua bevendo da questi bicchieri, che vengono afferrati tramite il piedino alla loro base, indirizza rapidamente il flusso del liquido verso la gola, con il triplice vantaggio di non essere indotti a lasciare per troppo tempo la birra nel bicchiere (dopo venti minuti a temperatura ambiente una Pils è “morta”), ridurre la superficie di contatto con l’ossigeno e valorizzare maggiormente le note amaricanti percepibili all’uscita dalla bocca.
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Germania
Altre lager leggere di stampo teutonico (Helles, Dunkel, Märzen, Schwarzbier) vengono invece offerte più frequentemente in tumbler e boccali comunque slanciati ma un po’ più larghi: il flusso del liquido in bocca è in questo modo meno rapido e permette di valorizzare maggiormente i sapori maltati che dominano questi stili; si deve però avere l’accortezza di scegliere un modello dall’imboccatura non troppo larga per non disperdere eccessivamente gli effluvi comunque delicati di queste tipologie.
Il Krug di ceramica, oltre ad essere l’antenato dei moderni contenitori di vetro, è oggi spesso utilizzato per le Keller e altre specialità bavaresi e franconi non filtrate (Landesbier, Ungespundet, Zoigl) la cui velatura, che in alcuni casi può essere rilevante, potrebbe disturbare il consumatore medio abituato ormai a birre filtratissime. Uno dei suoi vantaggi è inoltre la maggiore tenuta termica rispetto al vetro e ciò lo rende particolarmente adatto al consumo estivo nei Biergarten, ove spesso si trova la simpatica variante dotata di cappello di peltro per evitare la caduta di infiorescenze o insetti nell’amato liquido durante la bevuta all’aria aperta: il cappello potrebbe anche servire a preservare dall’ossidazione ma chi conosce i ritmi di bevuta dei bavaresi e franconi sa che questo è l’ultimo problema a quelle latitudini, la birra rimane sempre pochissimi minuti nel bicchiere.
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Il Maß, leggendario boccale da un litro emblema dell’Oktoberfest, non ha sicuramente caratteristiche che lo rendano consigliabile per la degustazione di birre a bassa fermentazione e dagli aromi piuttosto leggeri, quali sono quelle servite annualmente sul Theresienwiese: ampia imboccatura che disperde gli aromi e causa un rilevante contatto con l’ossigeno, elevata quantità che implica una maggiore permanenza del liquido nel bicchiere, vetro spesso che falsa la percezione del colore (buona norma è servire birre chiare e delicate in bicchieri di cristallo o di vetro sottile). Il suo significato risiede nel clima di festa che la sua vista immediatamente crea e nella robustezza che gli permette di sopravvivere anche ai brindisi più vigorosi e ripetuti.
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Il classico Weizenbecher, alto, slanciato e con un’apertura leggermente più ampia rispetto ai bicchieri da Pils è invece funzionale al suo scopo: fornisce infatti molto spazio verticale per gestire al meglio l’elevata carbonazione caratteristica di questa famiglia di stili e formare la classica e abbondante corona di schiuma. Alcuni bicchieri da Weizen sono anche serigrafati interamente in rilievo al fine di creare sempre nuova schiuma ad ogni sorso, proteggendo maggiormente la birra e dando un’immagine di duratura fragranza. L’apertura di media larghezza e la leggera svasatura sul fondo ben supportano gli esteri e i fenoli fermentativi che contraddistinguono le birre di frumento bavaresi mentre il punto di presa, solitamente abbastanza alto, genera un flusso di liquido piuttosto lento e porta a trattenere la birra per qualche secondo nella parte anteriore della bocca, valorizzando i sapori dolci dati dal grist e dagli esteri e permettendo alla sottile e fitta carbonazione di avvolgere la lingua e scaricarsi d’intensità prima della deglutizione.
Regno Unito e USA
Il mondo anglosassone ci richiama inevitabilmente alla pinta, sia alla classica inglese, leggermente svasata in alto, che a quella americana oggi di gran moda. Bicchieri molto meno alti e più larghi rispetto a quelli tedeschi e che quindi ben si sposano a birre meno carbonate e con una ridotta testa di schiuma, l’imboccatura è piuttosto ampia e non penalizza birre con un’aromaticità decisamente intensa, in cui convivono sentori maltati, luppolati e le classiche note di mela cotta e prugna dei più tradizionali lieviti britannici, bouquet che, se si pensa alle IPA più spinte nel dry hopping e alle ormai immancabili New England/Juicy IPA possono essere addirittura aggressivi. Un altro punto di forza della pinta inglese classica è la prensione che favorisce il consumo in piedi, tipico dei pub britannici ove si beve magari mentre si gioca a freccette o si assiste a una partita di calcio o rugby proiettata in TV.
Bitter tradizionali o moderniste, American Pale Ale, Amber e Brown Ale, IPA di ogni genere nonché Irish Red Ale, Porter ordinarie e Dry Stout possono trovare nella full-pint un’ottima dimora, mentre per le versioni più alcoliche e robuste di questi ultimi due stili preferisco allontanarmi dal classico “vetro” anglo-americano e a breve ne spiegherò i motivi.
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Per IPA, APA e birre contraddistinte da aromi e sapori dei luppoli americani e pacifici esiste peraltro da qualche anno un apposito bicchiere, elaborato originariamente da Spiegelau e poi ripreso dagli altri principali produttori, con un gambo cilindrico sormontato da una parte superiore ampia e svasata che va poi a restingersi nuovamente nella sommità: paragonato alla classica pinta permette in effetti di cogliere maggiori sfumature olfattive grazie alla parte allargata che permette l’esplosione degli aromi e alla successiva chiusura che li proietta in direzione delle narici.
Belgio
Lo sfaccettato universo birrario belga trova solitamente la sua celebrazione nei calici a tulipano o nelle coppe ampie di cui i bicchieri “griffati” di Westmalle, Westvleteren e Rochefort sono un ottimo esempio. Si tratta di bicchieri più sviluppati in larghezza che in altezza, in tal modo, se la spillatura, sia essa da fusto o bottiglia, è svolta accuratamente, la carbonazione non viene “rotta” e mantiene la sua vivacità e persistenza, che è un necessario contrappunto alla ricca aromaticità di questi nettari e, nel caso degli esemplari più alcolici, un fondamentale supporto alla bevibilità. Per le Saison, le Belgian Blond, le Wit/ Blanche, le Bruin e le rare Special Belge, note anche come Belgian Pale Ale, i cui aromi fenolici e speziati sono più delicati e, soprattutto, meno veicolati dall’alcol rispetto alle più inebrianti Dubbel, Tripel e Quadrupel, va privilegiato un calice a tulipano con imboccatura a chiudere, al fine di far aprire gli aromi nella parte panciuta del bicchiere e facilitarne poi la concentrazione nei pressi del nostro naso; la chiusura più stretta minimizza inoltre l’ossidazione ed è il motivo per cui personalmente prediligo questo tipo di calice rispetto alla coppa larga anche per le Oud Bruin e, soprattutto, le Flemish Sour Red Ale di cui si possono così esaltare i profumi di frutti rossi a bacca accanto alle note ossidative già presenti per via dell’invecchiamento in botte. La coppa larga o i ballon da vino rosso, infatti, offrono un’ampia superficie di contatto tra liquido e ossigeno e, di conseguenza, valorizzano particolarmente le birre che guadagnano dall’acquisizione di note di Xeres, Porto e Madera catalizzata da una lunga permanenza in questo tipo di bicchiere, che è magari susseguente ad un invecchiamento in bottiglia. Le cosiddette Quadrupel sono indubbiamente la tipologia che più si avvantaggia da queste circostanze, mentre le Tripel, a mio gusto, sono assai più danneggiate che esaltate dagli aromi ossidativi; quindi, per esse si può scegliere ancora una volta il calice a tulipano a chiudere o, se le si serve nella coppa, magari con il logo del birrificio, è consigliabile consumarle più rapidamente rispetto a una Quadrupel.
Contro la tradizione
Sembrerebbe quindi che non vada mai lasciata la via vecchia per la nuova... In- vece le eccezioni esistono eccome: per esempio nel mio lavoro da publican ho scelto di non servire Robust o Imperial Porter, Imperial Stout, Old Ale e Barley Wine (sia English che American) nella pinta perché trovo che la sua geometria, tanto nella versione britannica che in quella americana, penalizzi i sentori maltati, i secondari fermentativi e i terziari ossidativi che sono elementi importanti del bouquet di questi stili. A questi forti birre di tradizione anglosassone faccio infatti indossare una maschera belga e le servo nel calice a tulipano a chiudere (Robust e Imperial Porter nonché Imperial Stout) o nelle coppe (Old Ale, Barley Wine, edizioni vintage di Imperial Porter o Stout), per i Barley Wine e le Imperial Stout più invecchiate si può anche optare per un ballon o un ampio bicchiere da cognac.
Il calice a tulipano è consigliato anche per le Scotch Ale... non scozzesi, ovvero per le birre ambrate forti, maltate e spesso con uso di malto torbato che i birrifici craft di tutto il mondo ci hanno fatto conoscere con questo nome, le Scotch Ale tradizionali scozzesi, che sono dominate dai sentori maltati ma sono di grado alcolico molto basso e senza alcuna nota torbata possono essere benissimo servite nella classica pinta.
La stessa eccezione alla regola la applico anche per le birre ad alta gradazione di tradizione tedesca: se per le più delicate e fresche Heller Bock o Maibock si può usare il classico tumbler o il boccale usato per le lager ordinarie, Bock ambrate o scure, Doppelbock ed Eisbock guadagnano sicuramente in complessità e ricchezza olfattiva se ser- vite in un calice a tulipano o addirittura, in caso di birre invecchiate o di Eisbock particolarmente etiliche (la mia amata Aventinus Eisbock ad esempio...), nel ballon o nel bicchiere da cognac.
Le fermentazioni spontanee sono tradizionalmente servite in piccoli bicchieri cilindrici zigrinati e di vetro molto spesso, ma per Gueuze, Kriek e Framboise, che grazie alla loro acidità e frizzantezza sono un eccellente aperitivo, trovo particolarmente accattivante e gradevole un servizio in flûte da champagne che ne valorizza colore e carbonazione: visto il costo da capogiro che hanno raggiunto queste tipologie, un tempo bevande popolari, il flûte è diventato anche indicato per ragioni di prestigio sociale (sic!).
E ora un bel brindisi, ma con il bicchiere giusto! ★
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