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SANIFICAZIONE

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DIRITTO ALIMENTARE

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Nuova normativa europea sui prodotti disinfettanti Ambiguità nel testo e potenziali rischi

Acausa della pandemia da SARsCoV-2 è stata distribuita all’inizio di aprile una circolare del Ministero della Salute – in linea con una decisione della Comunità Europea (CE), una modifica temporanea del Regolamento relativo alle procedure di autorizzazione alla commercializzazione e alla produzione di prodotti disinfettanti in Italia che rientrano nella fascia tecnica PT1/PT2 (cioè disinfettanti per mani, superfici, ecc.). Tale modifica, che nelle intenzioni dovrebbe facilitare la produzione di prodotti attivi contro il SARS-CoV-2, sembra però contenere alcune ambiguità che potrebbero al contrario mettere a rischio la salute pubblica. In particolare, un documento meno restrittivo potrebbe rendere difficile, al Ministero della Sanità, verificare l’effettivo potere microbicida di nuovi prodotti. È questo il parere di uno dei più noti esperti nazionali del settore, il dott. Marco Ferrari, Responsabile Servizio Igiene Ospedaliera - ASST Lodi e Socio Fondatore ANIPIO (Società Scientifica Nazionale degli Infermieri Specialisti del Rischio Infettivo), al quale abbiamo chiesto spiegazioni al proposito.

Marco Ferrari, Responsabile Servizio Igiene Ospedaliera ASST Lodi

di Arturo Zenorini Giornalista

Dott. Ferrari, può ricordarci innanzitutto quando è stata annunciata questa modifica del Regolamento?

È stato un vero e proprio fulmine a ciel sereno. Tutto prende origine il 6 aprile scorso, quando sul sito del Ministero della Salute (http://www.salute.gov.it/portale/news/ p3_2_1_1_1.jsp?lingua=italiano&menu= notizie&p=dalministero&id=4407) si cita appunto questa modifica temporanea del Regolamento. In particolare, è presente un link a un documento ufficiale di tre pagine (in italiano e in inglese) dove balza agli occhi fatto che il testo è privo di data.

Perché si è deciso di apportare le modifiche all’attuale normativa italiana?

Ci sono, in effetti, una serie di fatti precedenti da ricapitolare per comprendere come si sia arrivati alla situazione attuale. Va ricordato, innanzitutto, che - a livello di Commissione Europea (CE) – era stata stabilita la data del 26 maggio di quest’anno come termine ultimo - per tutti i Paesi membri che ancora non l’avessero fatto (tra cui il nostro) - per uniformarsi alla nuova normativa che prevede la conversione del termine “disinfettanti” in “biocidi”. Ma all’approssimarsi del giorno in cui avrebbe dovuto scattare questo meccanismo - molti in Italia avevano già provveduto a fare domanda mentre altri stavano ancora aspettando, sperando forse in un’ulteriore proroga dei termini - è arrivata l’emergenza COVID-19 con tutto quello che ne è conseguito.

È dunque in questo momento che nasce la modifica del Regolamento Comunitario?

Esattamente. Per la precisione la CE, il 3 aprile scorso, formula un’ipotesi di proposta di modifica del Regolamento (UE) 2017/745 del Parlamento europeo e del Consiglio del 5 aprile 2017, relativo ai dispositivi medici, che ha per oggetto il rinvio di un anno della sua applicazione. Il Regolamento (UE) ha definito un nuovo quadro normativo inteso a garantire il corretto funzionamento del mercato interno dei dispositivi medici, tutelando allo stesso tempo la salute dei pazienti e degli utilizzatori e tenendo conto delle piccole e medie imprese attive nel settore. Inoltre, la CE ha ritenuto di avanzare una proposta di rinvio dell’applicazione del regolamento europeo facendo slittare la data del 26 maggio di un anno, in considerazione del fatto della crisi legata al virus che sta richiedendo a tutti gli Stati membri uno sforzo organizzativo tale da non poter garantire l’applicazione e l’attuazione di questa nuova normativa nella data indicata. “Per garantire la continua disponibilità dei dispositivi medici sul mercato dell’Unione, compresi i dispositivi medici che sono di vitale importanza nel contesto della pandemia di COVID-19 e della relativa crisi sanitaria - si apprende - è altresì necessario adeguare determinate disposizioni transitorie del Regolamento (UE) 2017/745 che altrimenti non sarebbero più applicabili a decorrere dalla data di applicazione di tali disposizioni”. Infine, a livello europeo - e non solo italiano - il 6 aprile viene appunto licenziata la circolare di cui sopra (come detto, senza data) che, in ogni caso, da allora rende vigente nel nostro Paese questa nuova normativa.

Quali sono gli elementi di criticità che riscontra in questa nuova normativa?

Davvero molti. Inizialmente si ribadisce che tutti i prodotti che vantano azione di sinfettante, battericida o virucida o qualsiasi azione atta a combattere microrganismi devono essere preventivamente autorizzati dal Ministero della Salute (ma fin qui niente di nuovo: era la normativa Ue). Proseguendo nella lettura della cir

colare, però, e qui sta la vera novità, si apprende che l’Italia - in collaborazione con l‘ECHA (Ente Europeo delle Sostanze Chimiche) nell’ambito delle misure per la prevenzione e la gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 - proceden do come gli altri Paesi europei ha deciso di emettere un’autorizzazione provviso ria di 180 giorni. Questo che cosa significa, in pratica? Che la consueta normativa che prevedeva di fare una serie di passaggi complessi (vedi box) in questo momento viene a cadere, ma chiunque ritenga di avere una molecola che rien tri sostanzialmente nei parametri individuati dal Ministero e ritenuti validi a livello europeo potranno - presentando una documentazione abbastanza “snel la” (come si può desumere scorrendo il comma 2 della sezione “Autorizzazione prodotti”), ha 3 mesi di tempo per l’im missione in commercio di qualsiasi prodotto che riguarda la lotta al COVID-19. Da quanto si legge, peraltro, emergono ulteriori elementi di perplessità. Nella circolare non sono esplicitamente ri chiamati i principi attivi che il Ministero oggi ha individuato come le uniche tre sostanze efficaci: i derivati della can deggina o dell’ipoclorito o cloroattivi, gli alcoli etilici, metilici e isopropilici 68% e il perossido di idrogeno (o acqua ossige nata). Questa mancata specificazione rischia di creare grande confusione perché molte aziende commercializzano anche molecole ritenute di basso livello (come i quaternari d’ammonio, spesso in vendi ta in farmacia come blandi disinfettanti ma che in ospedale sono stati banditi da ormai 15 anni perché si contaminano facilmente, hanno uno spettro d’azione molto blando e in più danno reazioni ec zematose al personale). L’auspicio è che chi dovrà valutare queste richieste entro breve tempo faccia una valutazione at tenta e conceda l’autorizzazione solo ai principi attivi che oggi sono riconosciuti validi contro il COVID-19.

LA NORMATIVA ITALIANA, PRIMA E ORA IN SOSPESO

L’Italia è l’unico Paese con una normativa che prevede la registrazione dei disinfettanti come presidio medico chirurgico (PMC). In particolare bisogna pagare una tassa e registrare questi prodotti come PMC o disinfettanti i quali devono possedere un numero di registrazione in capo al Ministero della Salute e una serie di documentazioni di verifica sulla loro attività e di studi che validano la bontà dei prodotti; il Ministero italiano si era pronunciato sull’argomento evidenziandone elementi incongrui e oggi è previsto che, nel caso di sanitizzanti e sanificanti privi di un’autorizzazione al Ministero della Salute, si usi esclusivamente il termine di igienizzanti. Questa normativa, non presente in tutto il resto d’Europa, ha sempre obbligato anche i produttori esteri a sottostare alla nostra “burocrazia”. È stato fatto presente più volte da varie aziende italiane della volontà di uniformarsi alle regole della CE e proprio l’Italia aveva posto come deadline la data del 26 maggio per convertire - come prevede l’Europa - il termine disinfettante in quello di biocidi.

Riscontra altri elementi di scarsa precisione nel documento?

Diciamo che leggendo nella sua interezza la normativa, questa appare abbastanza semplicistica perché si afferma, per esempio, che non è necessario presentare studi di efficacia, dando per scontato che il principio attivo già abbia prove in questo senso. Inoltre, i prodotti con formulazione raccomandata dagli European Centers for Disease Control o dal WHO sono automaticamente riconosciuti così come i prodotti già autorizzati in altri Stati membri o, ancora, prodotti la cui efficacia sia desumibile dalla composizione (specificando “presentare giustificazione” [sic]). Un altro criterio che maggiormente fa correre il rischio di creare confusione si trova ancora nel già citato comma 2, dove si afferma che la produzione di disinfettanti come PMC deve avvenire in stabilimenti autorizzati ai sensi del DPR 392/98. Se però un’azienda che commercia un prodotto finito compra la materia prima a monte da un altro produttore, dovrebbe verificare se quest’ultimo ha già l’autorizzazione a produrre un PMC registrato altrimenti, è lecito pensare, il prodotto finito non sarebbe automaticamente a sua volta autorizzato.

Quali altri fattori di criticità vede nell’applicazione di tali norme?

Innanzitutto, viene da chiedersi se, applicando questa procedura nell’attuale stato di emergenza, chi e quando controllerà la veridicità del contenuto delle domande che, presumibilmente, giungeranno al Ministero in grande quantità? E ancora: che cosa succederà dei prodotti che verranno approvati in questo periodo e, soprattutto, al termine dei 180 giorni? Per esempio: se oggi è in vendita un prodotto che non è un PMC ma è definito igienizzante, domani lo si potrà presentare con lo stesso nome o con un nome di fantasia trovando la stessa molecola considerata da un lato igienizzante e dall’altro PMC? Insomma, all’interno del documento ci sono una serie di lacune che non vengono chiarite nei documenti allegati e che lasciano notevoli perplessità. Inoltre, si apre una nuova possibilità, ovvero che un domani questo metodo di sospensione temporanea di normative possa essere replicato in altri settori: e questo sarebbe un ulteriore motivo di preoccupazione, dato che l’Italia sotto questo profilo è uno dei Paesi più rigidi (basti pensare che, in questo ambito, per la Food and Drug Administration statunitense le reti della maglia sono molto più larghe di quelle europee).

A suo avviso, potrebbero esserci ripercussioni anche a livello industriale di settore?

Sicuramente con questo provvedimento rischiano di essere penalizzate varie aziende produttrici di disinfettanti, soprattutto italiane, che in questi anni hanno fatto investimenti importanti in un settore (abbandonato anni fa dalle grosse multinazionali a causa di marginalità di guadagno molto basse rispetto alla farmaceutica) reso ancora più complesso dalla ricerca di nuove molecole che rispondessero ai requisiti della normativa dei criteri ambientali minimi. In questo senso molte realtà industriali del settore di notevole serietà potrebbero risentirsi di una normativa che di fatto consente un’eccessiva libertà. Da segnalare, tra l’altro, che, con una nota del 6 aprile inviata a tutti gli associati, Federchimica Confindustria rende nota la decisione europea.

Qual è la sua preoccupazione principale in questa fase di ripartenza?

La fase 2 prevede molti controlli negli ambienti di lavoro e una serie di normative stringenti quali la disinfezione due volte al giorno, la disinfezione dei canali aeraulici, la sanificazione prima e durante la riapertura. Il rischio, allora, è che se non si adottano procedure e protocolli codificati e validati, gli esercenti possono pensare di attuare procedure valide ai fini del contenimento dei COVID-19 e di trovarsi invece a far fronte a possibili rebound infettivi. Per essere espliciti: il timore è che, in questo stato di cose, qualcuno ne possa abusare o che ci siano anche delle mancate verifiche a causa dell’emergenza. E c’è anche il sospetto che - con l’alibi del non essere nei tempi per applicare quello che era previsto nella normativa europea in data 26 maggio – si stia facendo una sorta di sanatoria, che creerà una situazione di caos se non verrà governata e controllata a dovere.

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