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INCHIESTA
La ristorazione alla prova del rilancio
Il lungo lockdown imposto dalla situazione di emergenza sanitaria ha messo in ginocchio alcune realtà imprenditoriali legate al cibo: il comparto del fuori casa e che solo per semplificare riconduciamo alla ristorazione, comprende l’intero settore dell’Horeca.
In questi mesi alla paura per il blocco e le sue conseguenze economiche nell’immediato, si è aggiunta l’incertezza del futuro. Sì, perché nonostante il calo della curva dei contagi il 18 maggio le attività hanno riaperto i battenti, consapevoli che l’emergenza non è finita. Le attività produttive dovranno svolgersi nel rispetto dei principi contenuti in protocolli o linee guida idonei a ridurre il contagio, adottati dalle regioni o dalla Conferenza delle regioni e delle province autonome nel rispetto delle ordinanze nazionali.
Protocolli per la ristorazione di cui si è discusso molto perché nella prima fase creeranno un calo degli avventori, dovuto in buona sostanza al divieto di assembramento nel rispetto di rigide misure di distanziamento fisico. Distanziamento fisico e non sociale come ormai si continua a ripetere. Perché almeno in merito alla voglia di socialità qualche buona notizia si riesce a leggere. Da un’indagine di The Fork, piattaforma di prenotazione di ristoranti online infatti, emerge che il 36% degli italiani pensa di non abbandonare l’abitudine di frequentare i ristoranti e anzi, dice che probabilmente ci andrà più di prima dell’emergenza. Il 57% però è del parere opposto. E non è poco. A livello regionale poi le differenze sono marcate: ancora spaventati e diffidenti al sud e isole, mentre il centro e il nord si dimostrano più spavaldi e meno timorosi all’idea di frequentare i locali. Vedremo cosa accadrà col passare del tempo perché questi numeri saranno pesantemente influenzati non solo da come evolverà l’epidemia, ma anche da come i ristoranti riusciranno a gestire la riapertura e tutto il periodo – probabilmente lungo – in cui saremo costretti a forme più o meno rigide di contenimento.
Voglia di ripartire e incertezze sulla sicurezza
Secondo un’analisi di Fipe, la Federazione Italiana dei Pubblici Esercizi, pubblicata a ridosso della fine del lockdown, 7 locali su 10 erano pronti a ripartire subito la sciando a casa, però, 377mila dipendenti. E i più impazienti erano proprio i bar. Gli imprenditori intervistati da Fipe, come riporta la Federazione stessa, stimano un crollo del 55% dei loro fatturati a fine anno e questo si tradurrà in un minor impiego di personale, da subito. Ma la preoccupazione principale resta la sicurezza dei clienti e dei dipendenti. I protocolli previsti per la riapertura non
di Francesca De Vecchi Tecnologa alimentare OTALL e divulgatrice scientifica
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sono di facile gestione (soprattutto scoraggiano la frequentazione). Abbiamo parlato, nel numero precedente, degli aspetti relativi alla sanificazione per gli esercizi di somministrazione di pasti e bevande. Le indicazioni per le procedure di pulizia, disinfezione e sanificazione, di aerazione degli ambienti e di gestione dei rifiuti sono contenute in una serie di documenti emessi nei mesi precedenti (vedi box). Ma le Linee di indirizzo per la riapertura delle Attività Economiche e Produttive, emesse a ridosso della riapertura, introducono una serie di disposizioni per la limitazione del contagio: dalla misurazione della temperatura, al distanziamento dei tavoli (1 metro di separazione tra i clienti - ad eccezione dei gruppi famigliari); torna la consumazione al banco (ma dove sia consentito il metro di distanziamento) mentre ancora ferma rimane quella a buffet. Il personale dovrà indossare la mascherina, igienizzare le
E’ d’accordo sul’uso delle mascherine per il personale?
17,9%
82,1% Si No
Utilizerà le barriere divisione all’interno dell’esercizio?
4,7% 2,4%
56,1% 37,8% Si, tra i tavoli
Si, sui i tavoli
Si, alla cassa No
Indagine Ufficio Studi Fipe, maggio 2020
mani con soluzioni idro-alcoliche prima di ogni servizio al tavolo. Alcune disposizioni riguardano il ricambio di aria, che dovrà essere favorito escludendo totalmente, per gli impianti di condizionamento, la funzione di ricircolo. Al termine di ogni servizio al tavolo andranno poi previste tutte le consuete misure di disinfezione delle superfici, evitando il più possibile utensili e contenitori riutilizzabili se non igienizzati (saliere, oliere, ecc). Per i menù bisognerà favorire la consultazione online sul proprio cellulare, o predisporre menù in stampa plastificata, e quindi disinfettabile dopo l’uso, oppure cartacei a perdere. Ovviamente si tratta delle disposizioni generali nazionali alle quali le Regioni potranno apportare modifiche. Disposizioni che dureranno per il tempo dell’emergenza (si spera), ma che sono un fardello non indifferente sulle attività. Il settore però ha bisogno di prospettive e
Le ha già acquistate?
4,8%
95,2% Si No
Se dovesse fare già un bilancio sull’anno quanto pensa le costerà la pandemia in termini di fatturato?
-55%
di queste se ne è parlato molto in questi mesi di fermo forzato. Che la ristorazione avesse bisogno di un “ripensamento” è opinione di diversi esperti. La gestione della pandemia obbliga ad azioni e decisioni immediate, ma in un certo senso riverbera i segnali di un cambiamento nelle abitudini della popolazione che il settore deve saper recepire. “La ristorazione italiana aveva bisogno di un processo di revisione per rispondere ai mutamenti sociali già in atto, anche prima della pandemia” dice Roberto Carcangiu, presidente di APCI (Associazione Professionale Cuochi Italiani). Dello stesso avviso è Vincenzo Butticé co-fondatore di Ri.Un, Ristoratori Uniti: “La domanda è verso beni pronti e consumabili a casa. La logica, per i ristoranti dovrà essere quella della rimodulazione del servizio. Per i ristoratori il delivery diventa una necessità, che sopperisce alla riduzione della clientela in casa. “Ma
attenzione che le grandi piattaforme di delivery (che tra l’altro fino ad oggi hanno operato non sempre rispettando le norme igieniche nel trasporto per esempio) non ci taglino fuori da questo circuito di consumo casalingo”. La chiave, secondo Butticé è quella di mantenere un controllo, reagendo uniti, associandosi, seguendo esempi già sperimentati in alcune aree del territorio (Romagna, Trentino), per dare le giuste risposte ai consumatori. E allora quali sono le linee guida per il delivery italiano? È ancora Carcangiu a riassumerle durante un incontro dedicato e organizzato dalla scuola Congusto. Innanzitutto lavorare sui costi, definendo il target price o la tipologia di cliente; creAbbiamo parlato del futuro della ristorazione italiana con Roberto Carcangiu, presidente di APCI (Associa zione Professionale Cuochi Italiani), direttore didattico della scuola di formazione Congusto di Milano e un’e sperienza decennale all’estero e in Italia anche come consulente nel settore per lo sviluppo di prodotti e tecno logie per HORECA. Ecco cosa ci ha detto. La ristorazione in Italia ha riaperto. È davvero una ripartenza o c’è qualcosa di nuovo? Non ci possiamo permettere di ricominciare da dove eravamo rimasti. Dovremo imparare a gestire la ristorazione in modo più manageriale. Il modo di fare italiano, e che tanto piace nel mondo, interpreta la cucina in modo creativo. È stata la nostra fortuna ed è nel nostro DNA. Non dobbiamo perdeare economie di scala, definendo la shelf life necessaria ai prodotti, studiando la ricetta in modo specifico per un consumo caldo o freddo o per la rigenerazione ove prevista e definendo un prezzo coerente con l’offerta (porzione e piacevolezza visiva). E poi il packaging: il contenitore/piatto in cui servire il cibo deve essere scelto in virtù del mantenimento delle temperature, dell’aspetto estetico e di criteri etici. Il box o lo strumento di trasporto deve mantenere le temperature scelte per il consumo del cibo fino al momento di presa e avere oltre al logo un aspetto estetico piacevole. Quindi le tecnologie, che devono essere funzionali al tipo di rotazione del prodotto e alla ca
RAGIONARE SULLA REALTÀ E ANDARE OLTRE
ratteristica degli ingredienti (non solo e re questa peculiarità ma senz’altro dovremo imparare a gestire l’attività considerando aspetti strutturali e “agganciare” la creatività agli aspetti finanziari dell’azienda ristorativa.
L’impatto del COVID19 imporrà però uno sforzo nell’immediato, in particolare per gli aspetti igienici. La sicurezza igienica è un prerequisito e dovrà continuare ad esserlo. Pulizia, disinfezione e sanificazione (e uso di proposito tutte e tre le definizioni) sono concetti normati. Dobbiamo semplicemente applicare quello che sappiamo, senza dimenticare l’Haccp, che esiste dagli anni 90 e di cui dovremmo essere ben edotti. La situazione impone invece un cambio di strategia perché alcuni aspetti della nostra vita cambieranno nell’immediato e probabilmente rimarranno. L’avvento sempre bassa temperatura, o sottovuoto ecc.). Infine, come anche sottolineato da Butticé l’importanza di rimanere in possesso dei dati dei clienti. Il miglior delivery/asporto è quello di prossimità e non andrebbe mai esternalizzato se non per numeri esigui. Un aspetto fondamentale per chiudere, è l’attenzione alle normative vigenti che vanno considerate prerequisiti su cui operare sempre. “Il cibo sicuro infatti è per tutti - ricorda Massimo Giubilesi, presidente dell’Ordi ne dei Tecnologi di Lombardia e Liguria, nell’ambito degli Horeca Digital Talks, ciclo di webinar organizzati per approfondire le opportunità di rilancio del settore - ma quello di qualità alza il livello del locale in relazione al potere di spesa”. E a proposito
del COVID19 ci ha imposto dei limiti e il limite è proprio il valore su cui dobbiamo costruire il cambiamento.
Ovvero? È un momento dominato dalla paura e dalla diffidenza. Il primo e più importante limite a mio giudizio è l’aumento di attenzione dei clienti che mostreranno un atteggiamento quasi maniacale verso tutta una serie di aspetti. La sanificazione in primis, ma a ben vedere la più facilmente risolvibile. Bisogna però che il cliente percepisca in modo immediato che si sono messe in atto le azioni a garanzia dell’igiene e della sua sicurezza. È quella che io chiamo l’estetica della sanificazione: cioè dare evidenza del lavoro fatto, magari dando visibilità a eventuali certificazioni, protocolli adottati e ad ogni altro aspetto che dia l’impressione della cura del locale, anche se si tratta di attenzioni che con il coronavirus hanno poco a che fare: tovagliati, stoviglie, per esempio. Il cliente vede quello che noi non vediamo: un bicchiere sebbene pu
del delivery Giubilesi ricorda che i nostri locali, prima del corona virus avevano già questa opportunità. “Meno del 10% dei ristoratori sapeva, come previsto da qua si 8 anni dalle direttive europee, di poter vendere ciò che produce. Oggi la possi bilità di vendere quanto preparato nelle cucine di un ristorante deve diventare non solo una mitigazione dell’emergenza, ma anche una risorsa permanente che ri chiederà sforzi da un punto di vista della comunicazione, organizzazione, riduzione sprechi e uso di tecnologie in cucina”. È una rivoluzione dell’approccio culturale, conclude Giubilesi. Forse l’unico aspetto positivo all’interno di una crisi sanitaria che ha sconvolto la vita sociale e produttiva del Paese. lito, ma con qualche striatura per esempio, restituirà una percezione generale negativa. Sarà importantissima la formazione costante del personale. Rispetto al servizio e al cibo? Credo assisteremo a un cambiamento radicale nei modelli di consumo del cibo, nelle tempistiche e nelle location. Dovremo fare attenzione a non creare assembramenti e alla riorganizzazione delle aree di consumo. La pausa pranzo diverrà più veloce e magari il cibo verrà consumato altrove (luogo di lavoro, panchine quando possibile, in macchina magari), quindi le ricettazioni e i piatti dovranno soddisfare queste esigenze. Sarà il cibo a muoversi e non il cliente. Si consolideranno il food delivery (ma le leggi per realizzarlo esistono già da 8 anni); poi il take away e il catering, che è stato il precursore degli altri 2 modelli di distribuzione. Sarà da recuperare quel 30-35% di clienti che non si fermerà più nel locale (e che in qualche modo avremo perso).
PROCEDURE DI SANIFICAZIONE PER PUBBLICI ESERCIZI: LINEE GUIDA
Rapporto ISS COVID-19 n. 19/2020 “Raccomandazioni ad interim sui disinfettanti nell’attuale emergenza COVID-19: presidi medico chirurgici e biocidi”, Rapporto ISS COVID-19 n. 5/2020 “Indicazioni ad interim per la prevenzione e gestione degli ambienti indoor in relazione alla trasmissione dell’infezione da virus SARS-CoV-2”, Rapporto ISS COVID-19 n. 3/2020 “Indicazione ad interim per la gestione dei rifiuti urbani in relazione alla trasmissione dell’infezione da virus SARS-CoV-2”, Rapporto ISS COVID-19 n. 21/2020 “Guida per la prevenzione della contaminazione da Legionella negli impianti idrici di strutture turisticoricettive e altri edifici ad uso civile e industriale non utilizzato durante la
pandemia COVID-19”. Tutto avrà un impatto sui costi di produzione? Avremo meno clienti in casa per cui in base alla struttura che già si possiede bisognerà andare a intercettare altre fette di merca to: gli uffici, le abitazioni private, le piccole strutture che magari elimineranno la cu cina e avranno bisogno di un supporto di prossimità. C’è proprio bisogno di una co scienza diversa che si tradurrà in valore del cibo percepito per cliente. Aumenteranno i costi in un primo periodo. Quindi bisognerà riparametrare tutto in funzione del tipo di servizio. Ma non si pensi che la soluzione sia quella di eliminare il personale di sala. È bene eseguire un controllo dei costi di pro duzione da monitorare in continuo: energia elettrica, gas e acqua; il food cost, cioè il costo delle derrate e di ciò che contribui sce a realizzare il piatto; il labour cost che è il monte ore lavoro per numero di piatti; il service cost cioè quello per packaging, mezzi, fattorini, ecc – questa è una voce nuova che fino ad ora non avevamo. Da qui deriveranno le scelte strategiche che ogni locale dovrà fare, senza stravolgere la pro pria essenza ma partendo da quello che si ha e sfruttando tutte le opportunità che dà.
Insomma qual è il volto nuovo della ristorazione? La ristorazione italiana aveva bisogno di un processo di revisione per rispondere ai mutamenti sociali già in atto, anche prima della pandemia. Non si perderà la funzio ne del locale – bar o ristorante che sia – né dell’andare a mangiare fuori. Il pericolo sa nitario prima o poi passerà. Rimarrà il valore della convivialità, ma come succede in natura tutto si trasforma. Oggi dobbiamo imparare ad analizzare la realtà, guardare i dati e scegliere quale sia la cosa giusta da fare. I ristoratori/chef saranno ancora più un valore, a patto che rispettino la par te finanziaria organizzativa del business e che l’operato abbia la sicurezza e la qualità come prerequisito. Saranno il fil rouge con la tradizione e la storia dei territori. Il fine sarà essere riconoscibili. Che un cliente vada in ristorante o consumi a casa propria la differenza sarà sempre il ristoratore con i suoi servizi e i suoi piatti.