OREMUN ONU, 1102 - RE-VOLVER PHOTOS, cultural magazine - Una pubblicazione RE-VOLVER - Tutti i diritti riservati
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Michele Di Giacomo
Foglio illustrativo del farmaco “Re-volver” Principi attivi Re-volver opera per il conseguimento di scopi culturali, al di sopra di qualsivoglia connotazione politica e ideologica. Il sistema mass-mediatico deve porsi al servizio degli utenti finali e non del potentato economico. Re-volver conduce il lettore verso lo sviluppo autogeno di una coscienza, che si discosti dall’omologazione del senso comune. L’essere umano è l’opera d’arte più elevata: operiamo al fine di preservarla. Composizione “Re-volver”, inteso nella duplice accezione di “ritornare” e “rimescolare”, e legato al significato di “arma da fuoco”, è il marchio che contraddistingue la libera, piena e consapevole presa di posizione adottata da un gruppo di artisti, autori e valide maestranze che ha deciso di firmare le proprie opere con questa etichetta. E se Pasolini ritornò all’amata terzina dantesca rimescolandola con ingredienti contemporanei, allo stesso modo noi ci riapproprieremodellatradizioneperpoirivolgere,comenovellelancedonchisciottesche, le potenti armi di una cultura fieramente indipendente contro i moderni mulini a vento.
Terza idea innestata: nella composizione e diffusione di opere d’arte, la domanda giustifica l’offerta. Il malato rifiuta di comprendere da chi sia generata la domanda. L’arte è l’ingranaggio principe dei complessi meccanismi di potere. Se la disinformazione odierna deriva, oltre che dall’oscurantismo, anche dall’eccesso d’informazioni sbagliate in circolazione, allo stesso modo funziona l’arte: l’intero circuito che va dalla produzione alla diffusione (editoria, case discografiche e cinematografiche, gallerie d’arte, televisioni, giornali) permette la proliferazione di prodotti scadenti in modo che siano alla portata di tutti e che l’industria “artistica” ne giovi. Difficilmente vengono alla luce opere rilevanti, sia per inadeguatezza culturale del possibile acquirente, sia per i contenuti di denuncia verso la società che dovrebbe comperarle. In casi limite il malato, attraverso un percorso assimilabile a un’evoluzione schizofrenica della patologia, acquista la credenza autocertificata di essere un artista. Quarta idea innestata: L’Antisistema è contro il putiferio di menzogne di cui sopra.
Occorre quindi che “Re-volver” diventi un grido di protesta contro l’impoverimento del sapere e la perdita del ruolo sociale da parte dell’artista. Re-volver parte sempre dalla qualità dei contenuti e mai dalla tecnica fine a se stessa.
In casi rari il malato percepisce la possibilità di un’alternativa alle idee innestate. Ma ogni pentola a pressione ha la sua valvola di sfogo e quella della società è costituita dall’Antisistema. Quest’ultimo si esprime attraverso l’esistenza paradossale di opinion-leader che indirizzano il malcontento verso forme soft di ribellione: manifestazioni, petizioni senza futuro, forum di opposizione e tutto ciò che svuoti i malati del senso di colpa provocato dall’apatia.
Indicazioni terapeutiche e informazioni sulla patologia
Posologia – Dose, modo e tempo di somministrazione
Trattamento sintomatico di stati alterati della psiche sviluppati attraverso l’acquisizione d’idee sovrastrutturali. Generate dal Sistema per i potenziali servi del Sistema, suddette idee favoriscono il contagio più di qualsiasi altro virus: si diffondono tramite i media come una peste cibernetica ed entrano in ogni cervello rilassatosi nei meccanismi imitativi. Non c’è atteggiamento, gusto o pensiero che non sia influenzato da esse.
Leggere un articolo per volta, riflettere adeguatamente e criticare (ove necessario) ogni aspetto del contenuto e dello stile. Re-volver deve essere diluito nell’arco di tre mesi.
Sviluppo della patologia e sintomatologia - Quando deve essere usato Lo sviluppo della patologia si manifesta attraverso l’innesto psichico di visioni alterate della realtà.
L’utilizzo del farmaco Re-volver deve essere associato all’esercizio della propria coscienza. Non è voce fuori dal coro neanche questa rivista! La catarsi derivante dalla sua lettura potrebbe contribuire ad addolcirvi lo sguardo nei confronti delle sbarre invisibili che vi siete costruiti. Il messaggio è: non fatevi ingannare.
Prima idea innestata: la libertà equivale ad una confortevole prigione.
Controindicazioni - Quando non deve essere usato
Nel suo stato allucinatorio il malato tende all’idealizzazione di case perfette, ultra accessoriate, televisori che aspirano ad essere cinema, cucine-ristorante, bagni con idromassaggio, sauna, bagno turco e lampade abbronzanti. Si tratta del livello “Bara Famiglia”, per aspiranti cadaveri. Ma la solitudine non è sopportabile all’uomo, così si passa al secondo livello: la “Bara Popolo”, che porta a competere con chi possiede la macchina più veloce, la borsa più firmata, la laurea più costosa. Il simbolo fallico più fallico.
Qualora i pazienti non possedessero una coscienza critica, si raccomanda l’assunzione del medicinale solo dopo una rilettura dei Classici associata a un periodo d’isolamento.
Seconda idea innestata: la scelta dei prodotti con cui nutrirsi va relegata al carrello della spesa e alle pubblicità. Il malato tende a rimuovere il concetto basilare per cui la salute fisica dell’essere umano dipende da due principali fattori: ciò che respira e ciò con cui si sfama. Egli si accontenta di cibi che hanno subito, nel processo d’industrializzazione, un’epurazione dei valori nutritivi, un’aggiunta di quelli cancerogeni e un’accattivante vestizione profetica (“mangia %*ç°§: avrai un’energia da campione!”), esotica e - nei casi d’ipocrisia sfrenata - “casareccia”. Il malato si convince che l’abbondanza sia decisamente meglio della misura. Un’analisi sociologica del problema ha portato alla conclusione che, attraverso lo sviluppo epidemico di quest’idea, si è giunti ad un incremento della percentuale di diabetici, ipertesi, gastrolesi. Alle comuni industrie farmaceutiche fa comodo la disinformazione relativa all’alimentazione: malattia, medicinali e controllo sono tre elementi di un circolo vizioso dal quale è difficile uscire.
Effetti indesiderati
Sovradosaggio Un uso smodato del farmaco può indurre il malato a credersi intellettuale attivo, imprigionandolo in una forma mentis che, di fatto, lo rende passivo e ne intacca la lucidità. Sono stati riscontrati casi di diarrea, vomito, malattie psicosomatiche in genere. In casi isolati: morte immediata del precedente modello di pensiero e acquisizione di un modello alternativo che non si percepisce proprio e crea il rigetto del corpo ospitante. Scadenza e conservazione: Controllare la data di scadenza sul lato superiore della confezione. Tenere il medicinale alla portata dei bambini precoci.
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Michele Di Giacomo
Michele Di Giacomo e il fotogramma umano. Prefazione postcontemporanea (o, per meglio dire, la scrivo come mi pare)
di Luca Torzolini Lo vedo. È lì dietro il muretto che attende da chissà quanto tempo. Ha rubato la pazienza a Giobbe o forse, più semplicemente, l’arte è al primo posto per lui. Se riuscirete a vederlo, sarà già troppo tardi: veloce come un fulmine, avrà rubato un istante che vi ritrarrà per sempre come vuole lui. Poi sparirà, continuerà a cercare altrove un’appetibile mossa falsa. La mossa che vi mostrerà umani agli occhi di uno spettatore futuro che, guardando le sue foto, ci penserà due volte prima di mettersi le dita nel naso in luogo pubblico: potrebbe finire in una mostra di fotografia, con sotto una recensione critica; come didascalia, la spiegazione di quanto cazzo sia perfetto il livello di tensione muscolare dello sternocletomastoideo rispetto alla debole contrazione dei muscoli facciali, quasi annoiati nell’atto informale. Protesa a una scoperta abissale della natura umana, la fotografia di Michele Di Giacomo esplora quella superficie sociale che intesse, nello scorrere del tempo, fotogrammi di ordinaria follia. Istantanee in grado di mettere a nudo le radici di modelli comportamentali che si perpetuano nelle più svariate culture e si mescolano nel rapporto ego/alter, dando vita a “paesaggi umani”, perfetti solo se osservati nella loro più intima imperfezione. La tecnica fotografica è quindi elevata a regia teatrale, fissante sul palcoscenico della composizione gli attori che recitano lo spettacolo della vita. Sarete posti di fronte alla ricerca metodica e al contempo furibonda dell’attimo irripetibile, diretto a mostrare le più profonde pieghe del sodalizio fra uomo e realtà: dal maestoso monologo della solitudine di una vecchia canuta che si affaccia alla finestra, alle carezze predatrici di un morboso amante che si accinge ad esplorare la concubina in pubblico. Dal contrasto fra il filo teso di un aquilone che cerca la libertà quasi per gioco e il guinzaglio teso nel rapporto tra cane e padrone che sottende la tensione verso una libertà primordiale. Dall’effimero all’immortale: unica intermediaria, la luce. I personaggi delle foto esigono uscire dal loro contesto, animati da forza empatica, per essere reinterpretati dallo spettatore, il quale scoverà nello studium la deflagrazione del punctum a lui destinato. Analizzando gli scatti è certo possibile rintracciare suggestioni bressoniane e giacomelliane sul piano stilistico, analogie con Eisenstaedt e Doisneau. Ma laddove lo studio dello scatto si adorna dei grandi della fotografia, più chiaro e forte si manifesta una sorta di “voyage privé” che ridisegna i contorni del “vangelo secondo Michele”. Lo scatto non è pensato: è. Carico di tutte le nozioni apprese e poi dimenticate, perché acquisite e mescolate al proprio bagaglio spirituale. L’artista concepisce la vita in modo unico e irripetibile, diverso da ciò che è stato concepito e da quanto verrà sperimentato dopo di lui. E nessun critico potrà rinchiudere, nei limiti della parola, le sceneggiature della luce: rimarrà a bocca aperta, in silenzio, a contemplare l’amore per l’arte. Così ossessivo e gaudente, romantico fino al malato. Michele Di Giacomo: una vita immolata alla fotografia, dove l’uomo si lascia andare e l’arte si dispera per aver superato il ruolo d’intrattenitrice ed essersi arrogata il diritto di volerlo come amante, in una storia al limite dell’esasperazione, un Ultimo tango a Parigi.
RECENSIONE CRITICA DI DENIS BACHETTI
Michele imboccò il vialetto in salita. Le ciabatte da mare e la canotta blu. In mano la macchina per fotografare. Bussò ripetutamente alla porta insistendo con impazienza. Luca si sporse per vedere se fosse lui. Uno spicchio della fronte del ragazzo fece capolino dal davanzale della finestra, il collo ritratto e la pelle lucida nella luce del mattino. “Guarda che ti vedo”. Luca, raggrappato come un gatto al davanzale della finestra, alza le pupille al soffitto. “Sei impossibile”, mormora. Quello di sotto fissa la porzione di cranio scalpitando. Luca recalcitra; poi si sporge finalmente. “Allora?”, fa quello. “Cosa?”, risponde Luca. “La foto: che ne dici?” attimi di silenzio seguirono solenni. C’era l’aria fresca, quella mattina, e profumava il mandorlo nel giardino. “Non so”, fa Luca, “manca qualcosa...”
Moltissimi i rimandi ed ancestrali i riferimenti legati alla cosmogonia vecchio-giovane. Le due figure campeggiano in uno spazio ampio ed indefinito congiunte come ad affrontare assieme il creato tutto. Sullo sfondo, il mare li accomuna: un ambiente solitario e misterioso, amalgama di storie fantasiose e surreali per bambini e di duri ricordi di quotidianitĂ e sofferenza per gli anziani. Una folta letteratura racconta le loro movenze, i gesti, la dualitĂ sottesa ad ogni loro istinto di eterni predatori.
L’istinto e la ragione sono immortalati in un vezzo ludico e di incanto. L’umano e l’animale sanciscono il loro accordo protendendosi affinché la propria natura incontri quella dell’altro. L’estro e l’istinto animale soggiacciono, per un istante, all’arida razionalità dell’uomo. Questa, di risposta, esalta in un amplesso mimico la fulgida dinamicità dell’animale, che congela in un attimo i rigidi vettori geometrici (oggetto, nella sfera umana, di prolungati studi e macchinosi ragionamenti).
L’mmagine non ha linee di confine: è un’emulsione di luce in cui campeggiano due figure di bambino intente a giocare. Tutto è chiaro e surreale. Le due figure sono proiezioni della fantasia o del ricordo, immortalate nell’attimo in cui la mente evade i confini del creato per il creabile. L’antologia letteraria li colloca curiosamente nella sfera di cupi e sinistri presagi di morte. La tv insegna: quando un giovane fanciullo gioca, quando odi la cantilena preparati: qualcosa sta per accadere. La fotografia replica candidamente: perché?
Solitudine, alienazione, angoscia, pazzia. L’immagine è l’incontro di due coni le cui punte si toccano. Il primo è la donna ed il suo vissuto; il secondo è ciò che si dipana dai suoi occhi verso la strada: una lavagna su cui la donna proietta, sconsolata, flebili ricordi di giovinezza e sogni infranti, ma da cui, come sole riflesso sul ghiaccio, si irradiano il mistero e l’incanto della vita. Gli occhi fissano una bambina che inciampa nella strada, la mamma si volta. Déjà vu.
La sfera umana ed animale si ridimensionano drasticamente. Due cosmi si dichiarano guerra e le figure nello sfondo sono bieche nullità raziocinanti. Un’esile ed incerta cornice di ferro (a simboleggiare il frutto fallimentare del loro ingegno, teso ad arginare una natura rigogliosa e sconfinata) li immortala come nude secrezioni biologiche. “L’IMMENSO NON SI AFFRONTA” si ode in cielo, e non vi è chiave di lettura se non mirando.
Un anziano immortala la magia e l’incanto della fotografia. L’immagine è ambivalente ed autoreferenziale. Contiene quel composto chimico e misterioso che agisce fatalmente sul nostro apparato mentale sortendo un’inaspettata efficacia come medicina sul malato. L’occhio ingenuo scorge un uomo o poco più; in realtà un nerbo vivido di magia vi dimora dentro, scalpitando di autocompiacenza. Non vi sono che pochi, nudi elementi di grammatica: soggetto, verbo, complemento.
L’immagine va letta nell’ottica da primo stadio educativo al capitolo “possibilità di visuale”. Lo spiraglio attraverso cui la figura viene scorta racconta quell’onta di avventura e pericolosità da reporter di guerra. Racconta il tragitto e l’ingegno del fotografo, o semplicemente il suo slancio infantile verso il gioco e l’avventura. Il fotografo ha ricostruito un’immagine mentale infantile di pioniere. Poco conta la figura rappresentata: essa costituisce essenzialmente il bersaglio da inquadrare. Anche questa è fotografia.
L’immagine si pone d’approccio in termini di sperimentalità ed astrazione. La segnica della pavimentazione, con immagini semiprimitive, rimanda al campo delle arti estetiche extrafotografiche. I segni sono rudimentali e sapientemente combinati in ritagli e piani geometrici, la visuale trasversale mostra una strada inclinata in lontananza, dove corrono leggiadre due bambine. Un’immagine esemplare ed imponente in grado di combinare rigore e leggerezza.
Una figura umana contornata di tenebra dorme, il capo inclinato, la bocca aperta con indosso le cuffie auricolari. La scena si svolge probabilmente durante una visita turistica. La fotografia assume un contenuto documentale, testimoniale: la macchina quasi si nasconde e tace, per non ridestare l’uomo che dorme paciosamente, le braccia assorte nel tentativo di mantenere una compostezza da interessato. Un’immagine concettuale, irriverente intrisa di logica decadentista.
L’immagine è curiosa ed inopinatamente ambigua. Lo sfondo è costituito da una fitta paviementazione a spina di pesce, uniforme nella sua ripetitività geometrica (come le trame di un tessuto) e contornata da una fitta cornice buia; al centro di questa campeggia l’immagine proiettata dall’alto di una donna con l’indice alzato: la sua ombra agile ed allungata ne accentua l’enigmatica carica simbolica. Un’opera ad effetto e di facile fruizione nella sua disimpegnata compostezza.
La suggestione della visione aerea propone delle figure umane da una prospettiva moderna ed inaspettata. I caratteri di ciascuno e le proprie attitudini sono ben distinguibili: ritraggono la senilitĂ nella sua piĂš spontanea e naturale espressione. Lo spazio indefinito ed uniforme del selciato spinge i caratteri umani di lato, predominando sulla scena come in un moderno quadro informale. Immagine versatile e polifunzionale. Uno spaccato di raffinata sintesi della commedia umana.
Una splendida maschera veneziana posa al buio immobile. Lo sguardo assorto e la posa nobile. Un raggio di luce la colpisce strappandola all’oscurità. Attraverso un curioso pertugio una donna orientale la scorge stupita. Un’immagine spiazzante, quasi indisponente. Un’insana caricatura parodica e ed ambigua dell’intera civiltà umana. La spiritualità della maschera, con la sua postura sontuosa, si riflette nello sbrigativo sussiego della donna. Un’immagine digressiva, narrativa: un atto teatrale sospeso sul più bello.
Un inno alla gioia e al mistero della natura umana. Le acerbe pulsioni voluttuose di un giovane vengono immortalate nell’atto dell’approccio amoroso. L’ardore del giovane, fresco e crepitante come la fascia di sole che investe i due innamorati nel grande prato, si scinde tra l’inderogabile voglia di contatto ed il dovere di compostezza e decoro. Due fasce scure attraversano la figura, come se lo sguardo della macchina attraversasse una fessura. Un’immagine testimoniale, compromettente, rubata, estorta o forse no: forse è solo gioia di vivere.
Una monumentale architettura arabeggiante predomina e s’impone con armonico rigore alla vista. La splendida prospettiva e l’immobilità delle sontuose linee di fuga sono sapientemente bilanciate dalla concitazione e della dinamicità dell’immagine dell’uomo impegnato nello sfondo in una corsa. È sospeso in aria, nell’atto del correre, ed indossa indumenti anch’essi arabeggianti. Un’immagine discordante ed insolita, maestosa ed intoccabile nella sua coerenza compositiva.
Equilibrio. Rigore. Compostezza. Sapienza. Serenità. Una giovane donna immortala l’arrivo e la sosta presso un elegante parco, ai lati di una grossa fontana e di una carrozza con cavalli. L’innocenza e l’ingenuità della giovane sono tangibili. Preponderante è, però, il senso di pace sospeso e senza tempo dell’immagine. L’anacronismo delle due scene contrapposte crea un senso di spaesamento ed origina sospensione metafisica e premonitrice. È un’immagine didattica, apparentemente innocua.
Immagine paradossale e canzonatoria. Fa leva sul paradosso delle affinità comportamentali uomo-scimmia, ritraendo l’animale intento a fumare col suo sguardo disinvolto e rivolto altrove. Vi si percepisce quella capacità testimoniale della fotografia, la sua abilità ad essere in un posto in un dato momento. Inoltre si rende volontariamente risibile, quindi si svela propulsiva nella sua capacità di scatenare e risvegliare gli umori.
Il lavoro e la sapienza contadina, il senso del tempo e l’enorme incrollabile fiducia nella terra; poi le stagioni e le immani sofferenze. Uno spaccato di vita quotidiana con i gesti ed i rituali del verbo fare: produrre, arrangiare, amare, cogliere, godere. Una mappa cosmologica di civiltà perenni ed instancabili ritratte vividamente in una foto. L’immagine umana e quella del cane sovrastate dall’enorme massa verde all’orizzonte; tra loro, secoli sospesi in una sottile nebbiolina autunnale.
È indubbio e innegabile il rimando alla forte rappresentatività dei temi agricolo-pastorali. L’immagine, come la precedente, non ha moto: vaga in un’onta rassicurante di quotidianità e tradizione. È didascalica ed esemplificativa, quasi muta e disimpegnata; aggrappata alla suggestività bucolica, non ha ritmi o dinamiche. Non offre spunti intellettivi ed infonde al contrario arrendevolezza, ignavia e persino inquietudine.
L’immagine svela la grammatica applicata alla fotografia, la sua deontologia, la sua semantica. I campi di colore si combinano, pareggiandosi in un sublime moto geometrico e creando ambivalenze e rimandi cosmogonici. Chiaro-scuro, vuoto-pieno. All’equilibrio cromatico corrisponde una dualità dinamica (mobileimmobile), geometrica (dirittocurvo) e morfologica (durotenero). Immagine usuale? Questo non importa.
I tre frati sono colti in una postura di devozione nel loro incedere. Le tre schiene analogamente piegate ed i capi chini, rivolti alla divinità celestiale qui rappresentata dalla vastità e dalla luce del cielo sovrastante, veicolano un messagiio di fratellanza universale in forza delle tre razze alle quali i tre prelati appartengono. Essi procedono unificati e beati. Vi si scorge un divario tra l’incommensurabilità della loro meta spirituale e la tangibile caducità dei loro corpi, piccoli e sgraziati.
Tre prelati procedono di spalle l’uno accanto all’altro. Le vesti scure si stagliano sul bianco indefinito ed avvolgente dell’orizzonte. In primo piano, lateralmente, un uomo chino ai piedi di un muro è intento ad aprire o chiudere un serramento. Il divario tra la spiritualità e la materialità delle figure rappresentate fa da cornice all’atteggiamento irridente e canzonatorio dell’immagine, incentrato su una sottile e tagliente ambiguità.
Le movenze dei due uomini e la dimensionalità dell’ambiente in cui si trovano sembrano inquadrare le circostanze mutevoli della vita e le vicende umane, il percorso tortuoso e fuorviante dell’esistenza. L’immagine ha una carica didascalica intrisa di sarcasmo. Similmente alle immagini di Escher, ci si trova proiettati all’interno di architetture improbabili e mirabolanti ove i piani si susseguono creando dimensioni ambigue da rebus dell’esistere.
La mimica dei volti, la suggestione del forte contrasto cromatico, la veste coreografica, il motivo sotteso ad una si variata modellistica fisiognomica, poi la chiave narrativa sottesa alla dissidenza del volto ritratto in primo piano, la sua drammatica icasticità, infine la nitidezza della determinazione del fotografo nel passarci con tanta efficacia un messaggio così vigoroso ed inderogabilmente proteso verso la sensibilità del “lettore”, fanno di questo scatto un’immagine di indubbio valore estetico.
Similmente allo scatto già tradotto ed analizzato in precedenza, l’immagine è di importante spessore estetico e narrativo, evocando ragioni e chiavi di lettura molteplici. Qui la giovane prelata in primo piano, sorridente ed anteposta ai volti più austeri ed attempati nello sfondo, crea un senso di riscatto sotto una rassicurante onta d’ottimismo e libertà. I volti sembrano rappresentare la molteplice e variata interpretazione dei testi sacri da parte degli umani tutti.
L’immagine rappresenta il più accorato appello alle nostre sensibilità, il più variopinto ed istrionico richiamo alla nostra vibrante emotività: la sua struggente semplicità e naturalezza fanno di questa nonnina una paladina dei valori umani di amicizia ed umiltà. Una mimica facciale esemplare e una postura timida e composta, capace di ritrarre un’intera generazione o ceto sociale, riflettono l’abilità del fotografo nella frugalità di uno scatto semplice quanto efficace.
Lo scatto immortala un vecchio uomo col bastone che, in posizione eretta, incontra un’ombra proiettata a terra di un giovane che cammina verso di lui. Lo scenario: una strada lastricata di tasselli di pietra quadrati, le vecchie strade dei centri cittadini. Una linea d’ombra taglia trasversalmente l’immagine, creando un ponte allegorico che rappresenta la discesa verso la conclusione dell’esistenza per il vecchio e l’ascesa verso la maturità per il giovane. Immagine efficace e di pronta lettura.
L’immagine ritrae il fronte di una casa e una strada, ove una donna di età avanzata indugia su un gruppo di altre donne intente, nel primo piano della casa, a conversare. Lo scatto contiene un’indubbia carica artistica. L’architettura scarna della costruzione ripresa frontalmente, il carattere di umana trasparenza dei personaggi, il desiderio di aggregazione che manifesta la donna sola, poi i particolari dei vasi da fiori dal precario equilibrio sul ballatoio, fanno di questo scatto un vivivo ritratto neorealista.
La scena ritrae tre uomini in spiaggia alle ultime luci del giorno intenti ciascuno ad espletare le proprie faccende personali: è un’immagine incantata, metafisica. Un uomo fissa la linea del mare con sconcerto, un altro fa ginnastica, mentre un terzo, in primo piano rispetto agli altri, crea, attraverso una gestualità scarna ed elementare, un corollario comportamentale da media borghesia villeggiante. Impotenza verso l’abitudinarietà. La condizione umana?
Lo scatto che immortala le due figure con il passante nello sfondo ha un’indubbia carica enigmatica. Modesta sotto il profilo estetico, l’immagine presenta però forti significanze simboliche e sociali. Le verticalità ripetute e cadenzate, in contrasto con le orizzontalità, compongono un quadro umano di antagonismo ed incomunicabilità al quale assiste e si sottrae, mesta ed inesorabile, la sfera naturale, habitat delle insignificanti vicende umane.
L’orizzonte desolato, l’ambiente scarno e disadorno svuotato di folle di bagnanti, rendono questo scatto - che tra pochi non inquadra direttamente l’uomo e le sue attitudini - un efficente veicolo allegorico dell’encomiabilità della natura e del mistero escatologico.
Samuel Beckett e Harold Pinter mediterebbero su tali scenari per le loro opere; un’omelia lontana che intona note di solitudine e desolazione. sullo sfondo T.S. Eliot e un titolo che balugina sopra di lui: The Waste Land
Strana l’alchimia dell’immagine, ingiustificabile la sua grammatica. L’ermeneutica che la sottende. Tra mille scatti indugierei su questo: un tugurio in cui, indaffarata, un’anziana donna di spalle è intenta a deragnare un muro tra cumuli di oggetti in disordine. Un’inquietudine mi attanaglia. Sarà per via della donna di spalle o della dinamica compositiva con le linee che la stringono a forbice? Un desiderio recondito secerne un’allucinazione: sul piano in legno ben visibile poserei una cornice con un ritratto di un cardinale ridente. Così questo scatto sarebbe mio.
Lo scatto è coreografico e di facile fruizione. Come un ragazzino che performa un canto lirico, non si produce fotografia per misurare un’abilità. Si può scattare per sbaglio o con la punta del piede, tanto incalcolabile sarà il risultato. L’immagine è anche questo: un ritratto etereo ed impersonale, un’immagine accidentale, fortuita, o niente. La foto è ciò che vedremo finchè ci saremo. Uno splendido porticato, nevvero?
W W W. M I C H E L E D I G I A C O M O . I T