OREMUN ONU, 1102 - RE-VOLVER WEBSIZE, cultural magazine - Una pubblicazione RE-VOLVER - Tutti i diritti riservati
Foglio illustrativo del farmaco “Re-volver” Principi attivi Re-volver opera per il conseguimento di scopi culturali, al di sopra di qualsivoglia connotazione politica e ideologica. Il sistema mass-mediatico deve porsi al servizio degli utenti finali e non del potentato economico. Re-volver conduce il lettore verso lo sviluppo autogeno di una coscienza, che si discosti dall’omologazione del senso comune. L’essere umano è l’opera d’arte più elevata: operiamo al fine di preservarla. Composizione “Re-volver”, inteso nella duplice accezione di “ritornare” e “rimescolare”, e legato al significato di “arma da fuoco”, è il marchio che contraddistingue la libera, piena e consapevole presa di posizione adottata da un gruppo di artisti, autori e valide maestranze che ha deciso di firmare le proprie opere con questa etichetta. E se Pasolini ritornò all’amata terzina dantesca rimescolandola con ingredienti contemporanei, allo stesso modo noi ci riapproprieremodellatradizioneperpoirivolgere,comenovellelancedonchisciottesche, le potenti armi di una cultura fieramente indipendente contro i moderni mulini a vento.
Terza idea innestata: nella composizione e diffusione di opere d’arte, la domanda giustifica l’offerta. Il malato rifiuta di comprendere da chi sia generata la domanda. L’arte è l’ingranaggio principe dei complessi meccanismi di potere. Se la disinformazione odierna deriva, oltre che dall’oscurantismo, anche dall’eccesso d’informazioni sbagliate in circolazione, allo stesso modo funziona l’arte: l’intero circuito che va dalla produzione alla diffusione (editoria, case discografiche e cinematografiche, gallerie d’arte, televisioni, giornali) permette la proliferazione di prodotti scadenti in modo che siano alla portata di tutti e che l’industria “artistica” ne giovi. Difficilmente vengono alla luce opere rilevanti, sia per inadeguatezza culturale del possibile acquirente, sia per i contenuti di denuncia verso la società che dovrebbe comperarle. In casi limite il malato, attraverso un percorso assimilabile a un’evoluzione schizofrenica della patologia, acquista la credenza autocertificata di essere un artista. Quarta idea innestata: L’Antisistema è contro il putiferio di menzogne di cui sopra.
Occorre quindi che “Re-volver” diventi un grido di protesta contro l’impoverimento del sapere e la perdita del ruolo sociale da parte dell’artista. Re-volver parte sempre dalla qualità dei contenuti e mai dalla tecnica fine a se stessa.
In casi rari il malato percepisce la possibilità di un’alternativa alle idee innestate. Ma ogni pentola a pressione ha la sua valvola di sfogo e quella della società è costituita dall’Antisistema. Quest’ultimo si esprime attraverso l’esistenza paradossale di opinion-leader che indirizzano il malcontento verso forme soft di ribellione: manifestazioni, petizioni senza futuro, forum di opposizione e tutto ciò che svuoti i malati del senso di colpa provocato dall’apatia.
Indicazioni terapeutiche e informazioni sulla patologia
Posologia – Dose, modo e tempo di somministrazione
Trattamento sintomatico di stati alterati della psiche sviluppati attraverso l’acquisizione d’idee sovrastrutturali. Generate dal Sistema per i potenziali servi del Sistema, suddette idee favoriscono il contagio più di qualsiasi altro virus: si diffondono tramite i media come una peste cibernetica ed entrano in ogni cervello rilassatosi nei meccanismi imitativi. Non c’è atteggiamento, gusto o pensiero che non sia influenzato da esse.
Leggere un articolo per volta, riflettere adeguatamente e criticare (ove necessario) ogni aspetto del contenuto e dello stile. Re-volver deve essere diluito nell’arco di tre mesi.
Sviluppo della patologia e sintomatologia - Quando deve essere usato Lo sviluppo della patologia si manifesta attraverso l’innesto psichico di visioni alterate della realtà.
L’utilizzo del farmaco Re-volver deve essere associato all’esercizio della propria coscienza. Non è voce fuori dal coro neanche questa rivista! La catarsi derivante dalla sua lettura potrebbe contribuire ad addolcirvi lo sguardo nei confronti delle sbarre invisibili che vi siete costruiti. Il messaggio è: non fatevi ingannare.
Prima idea innestata: la libertà equivale ad una confortevole prigione.
Controindicazioni - Quando non deve essere usato
Nel suo stato allucinatorio il malato tende all’idealizzazione di case perfette, ultra accessoriate, televisori che aspirano ad essere cinema, cucine-ristorante, bagni con idromassaggio, sauna, bagno turco e lampade abbronzanti. Si tratta del livello “Bara Famiglia”, per aspiranti cadaveri. Ma la solitudine non è sopportabile all’uomo, così si passa al secondo livello: la “Bara Popolo”, che porta a competere con chi possiede la macchina più veloce, la borsa più firmata, la laurea più costosa. Il simbolo fallico più fallico.
Qualora i pazienti non possedessero una coscienza critica, si raccomanda l’assunzione del medicinale solo dopo una rilettura dei Classici associata a un periodo d’isolamento.
Seconda idea innestata: la scelta dei prodotti con cui nutrirsi va relegata al carrello della spesa e alle pubblicità. Il malato tende a rimuovere il concetto basilare per cui la salute fisica dell’essere umano dipende da due principali fattori: ciò che respira e ciò con cui si sfama. Egli si accontenta di cibi che hanno subito, nel processo d’industrializzazione, un’epurazione dei valori nutritivi, un’aggiunta di quelli cancerogeni e un’accattivante vestizione profetica (“mangia %*ç°§: avrai un’energia da campione!”), esotica e - nei casi d’ipocrisia sfrenata - “casareccia”. Il malato si convince che l’abbondanza sia decisamente meglio della misura. Un’analisi sociologica del problema ha portato alla conclusione che, attraverso lo sviluppo epidemico di quest’idea, si è giunti ad un incremento della percentuale di diabetici, ipertesi, gastrolesi. Alle comuni industrie farmaceutiche fa comodo la disinformazione relativa all’alimentazione: malattia, medicinali e controllo sono tre elementi di un circolo vizioso dal quale è difficile uscire.
Effetti indesiderati
Sovradosaggio Un uso smodato del farmaco può indurre il malato a credersi intellettuale attivo, imprigionandolo in una forma mentis che, di fatto, lo rende passivo e ne intacca la lucidità. Sono stati riscontrati casi di diarrea, vomito, malattie psicosomatiche in genere. In casi isolati: morte immediata del precedente modello di pensiero e acquisizione di un modello alternativo che non si percepisce proprio e crea il rigetto del corpo ospitante. Scadenza e conservazione: Controllare la data di scadenza sul lato superiore della confezione. Tenere il medicinale alla portata dei bambini precoci.
Contents
CONTENTS Cinema - Intervista a Marco Baroni
Contatti sito: www.re-volver.it mail: redazione@re-volver.it cell.: 3381774824
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Racconto - Illusioni infrante in una mattina come un’altra 6 Poesia - Almeno 80 gocce di Valium
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Musica - Intervista a El Drama
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Poesia - Trattatello
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Racconto - Il Nostro
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Letteratura - Intervista a Cristiano Della Bella
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Racconto - Fuori inquadratura
17
Pittura e scultura - Intervista a Luca Ianni
20
Fotografia - Lasciate quest’opera in digitale
22
Fotografia - Intervista a Dusha Photographer
23
Racconto - Quieto Vivere
27
Fuori Controllo - Intervista a Stefano Tassoni
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READAZIONE DIRETTORE: Luca Torzolini DIRETTORE RESPONSABILE: Luca Zarroli VICE-DIRETTOTRE: Giorgia Tribuiani CAPOREDATTORE: Hanry Menphis UFFICIO STAMPA e MARKETING: Giorgia Tribuiani EDITOR: Luana Salomé TITOLISTA: Hanry Menphis GRAPHIC DESIGN: Luca Torzolini FOTOGRAFI: Luca Torzolini, Michele Di Giacomo, Jessica Di Benedetto, Denis Bachetti ILLUSTRATORI: Ulderico Fioretti, Alessandro Di Massimo, Alberto Dabrilli
www.re-volver.it
WEB MASTER: Luca Zenobi ADMIN WEB: Luca Torzolini RESPONSABILI SETTORE CINEMA: Mauro John Capece, Boris Kaspovitz RESPONSABILI SETTORE LETTERATURA: Stefano Tassoni, Luana Salomé RESPONSABILI SETTORE MUSICA: Cesare Del Ferro, Luigi Bros RESPONSABILE SETTORE ARTI VISIVE: Denis Bachetti RESPONSABILE SETTORE VIDEOLUDICO: Luca Di Berardino
COLLABORATORI: Domenico Pantone, Federica Lamona, Emidio De Berardinis, Chiara Di Biagio, Walter Matteo Micucci, Isabella Costerman, Marcello Arcesi, Federica Marinozzi, Edward Ray Davies, Chiara Macrone, Rico Ramòn Rosales de la Muerte, Julieta Eva Maria Vàrgas, Igor Salipchic Registrazione testata: n° 518 17/09/2008 Tribunale di Teramo Immagine di copertina: “Menphis in Fricassea” di Luca Torzolini
The Betty Poison Factory Intervista a Marco Baroni di Betty L’innocente
Chi sei e che cosa fai? Parlaci di te.
lecamera, io, insieme a dei miei amici, decidemmo di girare delle parodie, Sono nato nel 1981, nel 2002 mi sono tra le quali: E’ ora di pranzo sta iniziano diplomato come ragioniere e perito Bruttiful, La signora in Yellow, Wondere commerciale. Nel 2006 ho frequentato Woman e molti altri. Da quel momenun corso di produzione cinematografi- to in poi non mi sono più fermato, ca organizzato da Cinecittà Formazione e il gioco è diventato professione. e nel 2007 ho iniziato un corso di regia/ messa in scena. Dal 2008, terminato il Quali sono i tuoi punti di riferimencorso, ho collaborato con diverse so- to riguardo la settima arte? cietà di produzioni come la GL Audio Video, Music Box (Sky) e Tecnomovie. Quentin Tarantino, Sofia Coppola, Tim Burton, Stanley Kubrick, Steven SpielCome è nata la tua passione per il berg, Mel Brooks, Sam Raimi, Wes Cracinema? ven, George Lucas, Jean-Pierre Jeunet, George A. Romero, Woody Allen, DanE’ iniziato tutto per gioco nell’estate ny Boyle, James Cameron, Wachowdel 2005. Armato di una piccola te- ski brothers, Jaume Balaguer˜, Paul 4
W.S. Anderson, Peter Jackson, Daniel Myrick & Eduardo Sanchez, Federico Fellini, Pier Paolo Pasolini, Paolo Virzi, Carlo Verdone (di una volta) ...Bastano? Quali sono i lavori che hai realizzato? Che tipo di narrazione per immagini prediligi e perché? Dal 2005 ad oggi ho diretto cortometraggi, video musicali e documentari. Tra tutti questi uno dei più significativi è stato “Intervista con il mostro”, cortometraggio realizzato nel 2006 per il contest “Frankenstein Junior - Crea il tuo mostro”, organizzato da 20th Century Fox Home Entertainment Italia che è stato selezionato ed inserito
nei contenuti speciali del DVD “Frankenstein Junior Italian Fans Edition”. Inoltre nel 2008 è stato distribuito da R.I.F.F. (Roma Indipendent Film Festival). Comunque tra i tre tipi di narrazione per immagini con cui ho avuto modo di esprimermi quello che amo di più è sicuramente il video musicale. Come è nata l’idea del documentario sui Betty Poison?
Qual’è l’allucinazione che ti affascina maggiormente?
Tu,i Pandora, i B,p. quale weltanschauung vi lega?
Io convivo quotidianamente con varie allucinazioni, da quando mi sveglio fino a prima di addormentarmi, ma se devo essere sincero la maggior parte sono tutto tranne che affascinanti.
Due cose ci legano sicuramente: l’amore per la musica e il disprezzo verso le istituzioni pedo-nazi-religiose.
Progetti futuri? Trovi che i B.P. siano dei visionari o trovi che le loro visioni siano arte dei suoni?
In pentola bollono molte cose, tra cui video musicali e il soggetto di un nuovo Il tutto è nato con un semplice scambio cortometraggio, ma per ora non posso di idee tra me e Lucia nel gennaio del dire altro... 2009. Inizialmente eravamo orientati Personalmente io non li definisco visioper un video live, ma in seguito abbia- nari, ma realisti. E’ come mi disse una mo deciso di realizzare un documenta- volta Alessandra Perna dei Luminal: “se rio: quando Lucia me lo ha proposto, dovessimo paragonare i Betty Poison ho accettato senza esitare un istante. ad un artista, quello sarebbe sicuramenDopo aver scritto il soggetto ho presen- te Pier Paolo Pasolini”. tato l’idea ad una mia collega, nonché grandissima amica, Luisa De Simone della GL AudioVideo, che entusiasta quanto me, ha accettato di coprodurlo. Parlami del mondo dei Betty Poison,un vero e proprio Dantesco”itinerarium mentis in deum”. E’ un mondo che adoro. Da quando li ho conosciuti ho capito il vero significato di parole che prima erano per me incompresnsibili: affetto, amicizia, onestà, rispetto, educazione, professionalità, intelligenza e molto altro ancora. L’aspetto ancora più affascinante è che intorno ai Betty ci sono altre persone fantastiche quanto loro, come Angela Fiore di Annozerolive Events, i Luminal, Stefania Imperatori, i Pandora, i Madkin e tantissimi altri. Una vera è propria factory in continua espansione. Cosa pensi degli ultimi.dei reietti,dei diseredati? Penso che con tanta onestà e determinazione, prima o poi gli ultimi saranno i primi, i reietti si integreranno e i diseredati saranno privilegiati. Purtroppo nel nostro paese l’italiano medio è la “creatura” del politico, quindi vige la legge del più furbo su qualsiasi campo. Non resta altro che stringere i denti, andare avanti, restando in guardia sempre a testa alta. 5
Illu sioni i nfra nt e i n u na mat t i na come u n’a lt ra Mr. Flurry quella mattina si svegliò molto presto, come sempre. Era ogni giorno il primo a recarsi al lavoro, lui teneva più di chiunque altro alla sua fabbrica. Considerato da tutti un grand’uomo, Mr. Flurry lavorava insieme agli altri operai, nonostante la sua attività gli garantisse un reddito da sceicco. Aveva un unico grande vizio: le prostitute. Ma questo passava in secondo piano per l’opinione pubblica, a maggior ragione dopo che in Italia le perversioni di politici e uomini di chiesa erano state sfruttate dalla televisione, per cercare di enfatizzare la ormai discendente parabola che vedeva il popolo italiano come uno dei più virili al mondo. Difatti, prima di raggiungere l’imponente struttura costruita da suo nonno con immani fatiche, si recò nel cosiddetto “quadrilatero delle puttane”. Scelse la più giovane, Nadine, una cecoslovacca di 19 anni. Lei salì sulla scintillante Bentley con entusiasmo, era la prima volta che vedeva un cliente così facoltoso, per lo meno all’apparenza. Lui era sempre molto cordiale con le ragazze che sceglieva, le offrì la colazione in un bar di lusso e poi la portò alla fabbrica. Quando entrarono nel suo ufficio e
di Hanry Menphis
fece per spogliarsi Mr. Flurry la bloc- guardava incantato. Poi le mani di suo cò. padre su di lei, come sempre. - Aspetta - le disse - devo accendere le macchine prima che arrivino gli altri operai. Tu fai come se fossi a casa tua. -
Distolse subito la mente da quell’orrido pensiero, ma in fondo, cos’era cambiato? Magari a volte era qualcuno di gentile e affascinante come Mr. Flurry a possedere il suo corpo. C’era Così dicendo uscì dalla stanza socdavvero tanta differenza? Eppure chiudendo la porta. Nadine si sedette Nadine era felice. Sapeva di non posulla comoda poltrona in pelle posta tersi aspettare di meglio se non avesdietro la scrivania, lasciandosi sfugse incontrato un giorno chi sarebbe gire un gridolino di gioia di fronte a stato in grado di portarla via da quel quella parvenza di lusso che per un mondo così squallido e televisivo. Ma attimo le sembrò appartenere. Poi era una vacua speranza, sapeva anche l’occhio le cadde su un mucchio di questo. volantini poggiati sopra un vecchio mobile, ad un angolo dell’ufficio. Nonostante questa malinconia non “MANGIMI PER MAIALI FLUR- smise di sorridere, abituata com’era RY - TENIAMO ALLA QUALI- a godere di ogni momento piacevoTA’ PIU’ DI QUALSIASI ALTRA le delle sue giornate. Ora, si trovava COSA”. Così diceva la brochure, con in uno sfarzoso ufficio di un uomo un suino sorridente che mangiava con bello ed elegante, e forse il sudaticcio il cucchiaino da una ciotola d’oro. La amplesso che l’aspettava non sarebbe ragazza lesse distrattamente quel vo- stato neanche così male. lantino pubblicitario, poi fu colta da improvvisa euforia quando vide al Mr. Flurry tardava a tornare. Lei notò muro la foto di Audrey Hepburn. Era una porta che non aveva ancora visto. da sempre stata la sua attrice preferi- La maniglia era completamente arrugta; ricordò quando era bambina, e sua ginita, totalmente in disaccordo con madre le fece vedere per la prima vol- il lusso del resto della stanza. Nonota “Colazione da Tiffany”. Ricordò stante ciò quel contrasto creava qualanche che quella notte sognò di es- cosa di velatamente misterioso. Non sere Holly, seduta sul davanzale della dovette pensarci molto prima di metfinestra a cantare Moon River, mentre tere le mani su quell’ammasso di rugun innamorato George Peppard la gine e tirare piano. Con sua sorpresa
la porta si aprì facilmente, ma quello che vide di certo non lo comprese. C’era un muro, un semplice muro non ancora intonacato. Iniziò a toccare i mattoni, forse presa dall’improbabile sentimento di chi tasta una parete certo di trovare un passaggio segreto, come in un racconto di Conan Doyle. Infine, dato che non successe nulla, chiuse la porta delusa. Se al posto del muro ci fosse stato uno specchio, Nadine si sarebbe accorta dell’ingresso di Mr. Flurry nella stanza: ormai il suo cliente era dietro di lei. Troppo tardi. Quando la ragazza si voltò, lui era già con l’accetta levata sopra la sua testa. Indossava un camice bianco, un paio di guanti di gomma e una mascherina da chirurgo. Lei non fece in tempo a notare tutto questo. Riuscì solo a spalancare la bocca per gridare, ma non un fiato uscì dalla sua gola. Quando la lama penetrò nel suo cranio, quando affondò nel suo cervello, quando anche il naso era perfettamente diviso a metà, quella fu l’espressione che le restò impressa sul volto: deformata dal terrore e da un’accetta di cinque chili che le aveva quasi separato in due parti la faccia.
di quel terribile omicidio plurimo fu data ai rom, come si usava fare in quel periodo. La ragazza fu trascinata per le gambe nella stanza di fianco all’ufficio e posta supina su un tavolo d’acciaio. Da un armadietto Mr. Flurry tirò fuori una sega circolare e, senza troppi indugi, iniziò a dividere in pezzi la giovane prostituta. Adorava il suono stridente che produceva la lama a contatto con le ossa. Gli ricordava il trenino giocattolo che aveva da bambino, quando un giorno si ruppe una piccola asticella che teneva unite le ruote da un lato e il suono che emetteva sui binari.
alzando il tono. - Ah! - l’uomo sorrise - non preoccuparti amico mio, questo era l’ultimo poi lo invitò a spostarsi da lì e insieme si diressero verso la macchinetta del caffè.
- Vedi Vito - continuò - mio padre mi diceva sempre che non possiamo contare sulle piccole gioie quotidiane e che dietro ognuna di essa si cela una grande e continua sofferenza - inserì un euro e digitò il codice del caffè macchiato senza zucchero, poi riprese a parlare - pensa ad esempio a una puttana; una giovinezza trascorsa tra problemi familiari e un mestiere deQuando ebbe finito, mise tutto in un gradante, nonché molto, molto perisacco di plastica e si diresse verso la coloso. Giorno dopo giorno questa macinatrice, al piano inferiore. Salì sul puttana deve cercare qualcosa di buoripiano più alto e svuotò il suo fagotto no anche dove non ci sarà mai, per in un grande imbuto metallico. Dopo- tentare di sopravvivere al suo mondo. diché accese la macchina e insieme ad Non è triste tutto questo? essa una sigaretta. Intanto iniziavano ad arrivare i primi operai. Uno di loro - Oh, sì signore, lo è. Davvero trinotò Mr. Flurry e si diresse verso di ste. - rispose Vito, mentre prendeva il bicchierino di caffè che Mr. Flurry gli lui. stava porgendo. Lo bevve tutto d’un - Buongiorno signore - gli disse indi- fiato e si diresse al suo posto di lavoro. cando le macchie di sangue sul camice - non sapevo che oggi avremmo ucci- Mr. Flurry invece tornò alla macinaMr. Flurry estrasse con fatica l’arma so di nuovo i maiali -. Il frastuono ge- trice, aprì il cassone di alluminio alla del suo ennesimo delitto e la gettò a nerato dalla macchina, sotto la quale base della macchina e ne versò il conterra. Non si curò del sangue che an- i due conversavano, non permetteva tenuto in un sacco di iuta con su scritcora schizzava, di tanto in tanto, dal- un facile ascolto. to “MANGIMI FLURRY”. la testa di Nadine. A quello avrebbe pensato Giovanna, la sadica donna - Cosa? - rispose Mr. Flurry ad alta Come diceva la pubblicità, quell’uomo teneva alla qualità più di qualsiasi delle pulizie che anni prima aveva voce - parla più forte altra cosa. massacrato suo marito e i suoi figli, Non sapevo che oggi avremmo uca cui Mr. Flurry pagò un esercito di legulei per farla scarcerare. La colpa ciso i maiali - ripeté Vito, l’operaio,
Alme no 8 0 gocci e di Va li u m di Hanry Menphis
La puzza del mio cervello in decomposizione impregna la carta da parati cellule cerebrali affogate in lacrime dense di rabbia pensieri ucronici riempiono le assurde giornate piegate su loro stesse. Guardo gli altri: scimmie in amore. Io iena in gabbia. Animale che provoca disgusto, nessuno si ferma a guardare si tira dritto cercando di non sentire l’odore della merda e con il passare del tempo e di persone riesco solo ad odiare me stesso per primo, che ogni occasione mando a puttane. Nessuno. E’ la figura che più mi si addice. Ventiquattr’ore di nulla che si ripetono senza sosta una ferita sulla quale non cresce neanche più la crosta non ho nemmeno più voglia di indossare la mia maschera color morte. Vittima. Della mia stessa inutilità, uno zero senza distinguere il falso dal vero semplicemente faccio finta aspettando che sia finita.
Entre los otros Intervista a El Drama
Libero, semplice e diretto come una freccia che punta il suo bersaglio. Così si presenta Valentino conosciuto negli ambienti hip-hop con lo pseudonimo El Drama. Dopo aver fatto le presentazioni rituali decidiamo di buttare giù l’intervista davanti una tazza di caffè e ci dirigiamo al primo bar nelle vicinanze. Schietto e sincero, ci comunica subito le sue origini italoamericane ostentate con fierezza come il suo tatuaggio, simbolo del proprio credo musicale. Facciamo due chiacchiere per capire la sua storia e il suo arrivo alla musica nelle vesti di mc e, cosa sorprendente per i suoi 20 anni, produttore. È un percorso iniziato dal 1998, nel Bronx (New York) negli anni in cui il free-style era vivo, fresco e non ancora corrotto dal sistema. Quando il celebre 8 mile (quartiere natio di Eminem e da lui celebrato nell’omonimo film) era vivo… Parlaci di come è nato il gruppo
De Los Organismo mc, e del vostro primo album.. Il gruppo nasce nel 1999-2001 formato da El Drama, Dj On6, Boss e El Pastol. All’inizio ci muovevamo sulla scena underground, quando ancora non era attiva. Abbiamo infatti il merito di aver lanciato il free-style in America Latina. In seguito siamo maturati molto: abbiamo avuto una collaborazione con i Los Violadores Del Verso (famoso gruppo hip-hop spagnolo) e diversi contest sempre in America Latina. Comunque, l’album parla della nostra storia: fatti reali, eventi accaduti, persone conosciute... e penso a Pirulo, Zona restringita...
di Cesare Del Ferro
conoscere al mondo. M’identifico molto con lui. E poi non dimentichiamo la sonora batosta che diede ai rapper dell’epoca insegnadogli che l’essere uomini di strada non è solo sangue e morte, ma anche sapersi adeguare a tutte le situazioni. Meglio l’hip hop italiano o quello dominicano?
Scegliere mi resta difficile: ogni scuola ha i suoi pregi e i suoi difetti. La scuola italiana vanta una maggiore anzianità con artisti del calibro di Kaos, Neffa, Dj Gruff, Dj Schokka, Sacre Scuole ma considero una marcia in più l’essere black Pensi che il tuo modo di cantare perché è un’ideologia che sento ricalchi un po’ lo stile di “Fresh profondamente, oltre l’affetto Prince” alias Will Smith? che provo per la mia nazione di Will Smith è sempre stato il origine. L’unica pecca dell’hipmio idolo: con i suoi inizi da hop italiano è che l’italiano è una giovanissimo negli ambienti rap, lingua poco diffusa nel mondo, molto prima di Willy, Il principe al contrario dello spagnolo e di Bel-air, il telefilm che lo fece dell’inglese. 9
Molte volte troviamo sia nelle parole sia nelle sonorità hip hop vari concetti politically incorrect legati al modo di vivere dei singoli artisti. Trovi che ciò possa rispecchiare le ideologie legate al mondo gangsta?
or die trying, in cui racconta di come uccise suo padre. Se penso all’epoca in cui vivevamo nello stesso quartiere… ancora mi mordo i gomiti!!!
L’hip-hop gangsta è nato intorno a quella vita, quindi per forza rispecchia le vite dei loro cantanti: come hanno vissuto, cosa hanno provato e come ne sono usciti. Famosa in questo senso è l’esperienza di 50cent e del suo album d’esordio Get rich
In futuro ci piacerebbe esportare il contest amerindo America libre (il maggiore del subcontinente) anche in Europa, non solo come evento musicale ma più come esempio culturale innovativo, un sound e una voice che vogliono unirsi a chi li ascolta. Vorremmo
Per quanto riguarda i vostri progetti futuri?
inoltre sbarcare musicalmente negli States: ci darebbe una mano in questo senso i vasti agganci per quanto riguarda la scena ispanica a New York. Vorremmo far conoscere le condizioni di quelli che dalle nostre parti sono chiamati “Ciudadano zero”: delinquenza, fame, abitazioni inabitabili e tanta voglia di cambiare la propria condizione sociale e umana.
Trattatello di Pietro Pancamo
PREFAZIONE: le parole seguenti sono un fango di cellule nervose, tenute insieme dal silenzio.
Il silenzio è un’isteria di solitudine che genera e accumula: prodotti temporali, energie cinetiche, reazioni di gesti a catena. I sogni, inseriti nella rassegnazione come in un programma di noia pianificata, sono gli arti di questo silenzio; o, se preferiamo, gli organuli ciechi del silenzio che lavorano a tastoni dentro il suo liquido citoplasmico. Il silenzio può anche essere la cellula monocorde di un sentimento spaventato, di un amore rappreso, di un guanto scucito: in tal caso trasforma la solitudine nella raggiera cerimoniosa d’una nausea che procede, maestosa, con moto uniformemente accelerato. (Si registra un’accelerazione a sbalzi solo quando un’effervescente disperazione s’intromette con scatti sismici a deviare il corso dell’accelerazione stessa). Per concludere, l’evoluzione della nausea può secernere un vuoto, avente più o meno le caratteristiche della morte; o germogliare per gemmazione quella strana forma di vita identificata col nome di indifferenza, la quale risulta essere (da approfondite supposizioni) il chiasmo di paura e odio.
POSTFAZIONE: le parole precedenti sono un fango di cellule nervose, tenute insieme dal silenzio. Ogni allusione a sentimenti e/o fatti reali è voluta silenziosamente.
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IL NOSTRO di Pietro Pancamo Prima Parte I Salve, lettore. Io sono un novelliere o giù di lì, e devo darti una notizia: il nostro è morto da tipo strano. In che modo e dinamica, mi domandi? … Tra poco ci arrivo… Per il momento, inizio a raccontare. II Dall’acqua che in città si essicca al sole arido, si ricavano sempre macchie irregolari d’asfalto umido, sulle quali procedere con attenzione… e suole, magari, di gomma. (Sicure, voglio dire: “contrarie”, cioè, ad ogni scivolone). Però il nostro, a rovescio estivo ed operante, era uscito in ferie indossando ai piedi mocassini leggeri, un poco sformati e di pelle bovina in tutto; per cui, ora, a gocce ferme – e dando il braccio al suo ombrello scolorito -, camminava non sul velluto… ma sul cuoio. Intanto, col passo ironico e lento del gran 12
signore annoiato, ritornava a zonzo verso casa (il suo villino periferico, quadrifamiliare), continuando a ricevere – via pupille – una serie di immagini squallide e pomeridiane, che gli giungevano insistenti (a stretto giro di malinconia) con l’obiettivo di mostrare, al suo animo, scorci edilizi di condomini al caldo, e d’alberelli esposti al cemento.
Mail allo scopo di spedire il frutto della sua penna a siti e riviste varie – adesso il nostro sapeva di sé ogni particolare. Minimo ed esistenziale!
«È roba da ecologisti, non da me… », pensava di rimando, fra indolenza e rabbia, com’è proprio degli ironici. Perché in realtà non un amante del verde minacciato – o stento -, ma un intellettuale, votato all’autoconoscenza: ecco, il nostro, che cos’era. Non a caso, a far data da una vita intera, ingannava il tempo (ed il lavoro in genere) scrivendo raccontini introspettivi, che redigeva d’impegno sulla facciata, posteriore e bianca, delle pratiche d’ufficio.
Ch’è successo, poi? Dopo l’acquisizione dell’“autodimestichezza”… totale? Beh, per conseguenza, un disturbo ininterrotto.
Oh, li componeva col sudore della mente, mosso dal tentativo (moral-psicologico) d’esplorare a pieno la propria identità. E dopo anni a strumentalizzare i computer aziendali – regolarmente usandone l’E-
III Che risultato! No, di più: che successo!
IV «Il mondo!» - proseguiva a riflettere il nostro, dirigendosi indietro, cioè a casa - «Il mondo al completo sì, che sarebbe per me… se il fare, dire o guardare non mi disgustasse, ormai, di noia. Che colpa ne ho, d’altronde… una volta imparata di tutto punto la mia personalità, son passato al mondo. Solo che – sfortunatamente – già ero così intriso di me stesso, che qualunque cosa finiva semplicemente per non parlarmi d’altro, che di me stesso, stesso.
Che palle! Grosse come Giove…
Come?… Ah sì, hai ragione: la notte è di indole discreta e riservata. Ecco E persino questi palazzi, attorniati di pian- perché si mostra solo quando il giorno è ticelle rade, mi sembrerebbero all’istante tramontato, con la luce appresso. – se decidessi di guardarli ancora – tanti VI sosia del mio corpo, del mio cuore… e di ciascuna mia parte, insomma, fisica o Alle due del mattino presto, l’appartamento spirituale». del nostro è ovviamente sprangato e “ostruito” a chiave. Ma la porta, che Stomacato da una simile evidenza, ipo- così egregiamente sbarra l’ingresso tizzata ma concreta, il nostro s’arrestò di (vietandolo a ladri e delinquenti), non può getto. Poi, complice un impeto di nausea, certo resistere ai tutori dell’ordine. E la si coprì gli occhi con le palme aperte. serratura, per quanto si ostini, vien forzata «No, no!» - provvide a lamentarsi, con alla fine… forzata a cedere! la voce endovena del cervello - «Non L’ispettore Sam Moritz entra allora di ne posso più… nemmeno uscire, lena e, tappatosi il naso con un fazzoletto per addentrarsi apposta nel folto robusto, indica agli agenti: «Il morto che ci dell’acquazzone, è servito a scuotermi hanno segnalato, dev’essere di là». dalla noia, o a divertirmi come da I poliziotti scattano immediati e, bambino… Ne deriva, innegabilmente… obbedendo al dito fisso e intento del loro capo (o più che altro lasciandosi guidare che non ne posso… davvero più!». E dallo stato d’ironia conclamata (in cui dal tanfo “energumeno”, che invade tutta s’era trovato fino a poco prima), il nostro l’aria dell’alloggio), in un attimo scovano – benché ora, a sfogo silenzioso e sotto- il nostro, adagiato marcio in camera sua, traccia terminato, riprendesse a cammi- sulle lenzuola composte di un letto in nare con stabile senso dell’equilibrio e del pratica a lutto. moto – decadde, lungo tirato, ad una con- «Che strano» - parallelamente chiacchiera, dizione estrema di stanchezza marcata e ritta in piedi nel salotto, la dottoressa Killaire (cioè un medico legale assai soffocante. tornito, e dalla mente sempre attiva) «Che strano… Che strano», ripete, assorta Seconda Parte e concentrata. V «Cara, un indizio per caso!?» - s’interessa È notte, nel mio racconto. d’un baleno l’ispettore - «Hai notato una
traccia, magari, che ci spieghi la salma e gli ultimi istanti della sua esistenza?». «No» - risponde il medico, mentre spifferi acri le abbordano sgraziati le narici - «Mi stavo solo chiedendo perché i cadaveri puzzino orrendamente». La voce della donna si chiude, a questo punto, in un mugolio investigativo di riflessione carsica (ossia intima, interiore), all’improvviso amplificato in urletto esclamativo, da un’intuizione illuminante: «Ah!» - trilla, dunque e deduttiva, l’acuta dottoressa - «Forse perché, essendo morti, non possono lavarsi?». VII Dài: lo so che è una stupidaggine! Ma non c’è bisogno di scandalizzarsi… Perché, santo Dio, cosa pretendi da una tizia che, all’università, ha sempre affrontato gli esami con poco impegno e belle gambe. Si capisce poi che al lavoro (l’avevano assunta in un ospedale, dopo la laurea) ne uccidesse più che Bertoldo in Francia. E proprio da qui il soprannome: dottoressa… Killaire! … Dici sul serio? Credevi che si trattasse di un nome autentico?! Macché: è un gioco di parole con Kildaire, il primario quello famoso, quello del telefilm. A ogni modo però, trascuriamo, adesso, saldamente la cerusica ignorante, perché in 13
tutta sincerità non è per nulla l’argomento di cui desidero narrarti ora; e anzi, visto che me l’hai domandato fin dall’inizio, passiamo oltre e ritorniamo ad altro: la morte atipica del nostro. VIII Per togliersi da quel pomeriggio assolato di ex-pioggia, e “rimpatriarsi” stanco all’ovile quadrifamiliare, rincasò facendosi strada con le chiavi. Dopodiché, amareggiato dalla noia di mobili e pareti - che in compagnia di quadri, maniglie, lampade, poltrone (ma pure suppellettili d’ogni genere e numero) non smettevano in massa di ribadirgli se stesso, proprio come i palazzi e i tronchicini smunti di poco prima -, avvertì la malinconia avvicinarsi efficace, fino ad accelerare in lui gli spasmi di stanchezza. Una stanchezza sempre più simile alle specifiche del sonno; e che, negatagli la cena, lo spedì al lenzuolo con brutalità, schiacciandolo a contatto con l’ecletticità dei sogni. Ma, naturalmente, nulla è più abile di essi ad illustrarci scrupolosamente, e ripeterci a menadito, la nostra identità. Così, per quanto nel corso del buio e della testa si succedano (di norma) continuamente varie - le situazioni e fantasie oniriche – il nostro, presenziandovi o assistendovi in subconscio, mortalmente e vivamente s’annoiò. E mentre il numero dei sogni s’espandeva, la noia s’ingrandì con moto direttamente proporzionale, rendendo il sonno man mano uguale a un coma (in soldoni: d’ora in ora, più profondo. E poi, irreversibile). Effetto terminale: per diciannove giorni – comunicanti, adiacenti e progressivi – il nostro non si svegliò. Come unico segno di vita diede un lezzo di morte, “in base” al quale i suoi inquilini decisero alla fine di chiamare la questura.
mezzanotte si coricava, subito lo puntava sull’una dell’ora successiva, procurandosi – dopo sessanta minuti – uno scampanio micidiale. Sconvolto dalla soneria, il nostro ovviamente sobbalzava e, acchiappata la sveglia, la ricaricava sulle due, fra sospiri e cervello pesto. E alle due, sulle tre. Alle tre sulle quattro. Alle quattro, sulle cin… Scusa?… Un rito, già… una cerimonia precauzionale che gl’impediva di sognare troppo, sottraendolo quindi ai rischi di estinzione; e che si concludeva, di preciso, alle sette. La giornata, poi, un tormento di noia e fatica, aggravato pure dai raccontini all’ufficio, ormai anch’essi “tediofori” e pesanti. Forse… Forse è meglio… molto meglio – non pensi? – che quella volta, esasperato (suppongo) dalla vita penosa cui s’era ridotto, abbia omesso la sveglia sull’una le due le tre eccetera, preferendo diventare… morto e decomposto.
«Ma cara, è il tuo lavoro», si giustifica Moritz, intimidito. «E chi se ne frega» - s’indigna la Killaire «Fattelo da te!». «Tesoro… » - media l’ispettore con piglio diplomatico, cercando d’ignorare l’imbarazzo che gli creano gli agenti circostanti, e tutti alacremente all’erta «Tesoro, se ti prometto teatro e ristorante per una sera imminente delle prossime e future, tu adesso me lo esamini il cadaveruccio? E su! Ti sei perfino ricordata di portarti la borsa coi ferri del mestiere!». «Uff» - accondiscende la dottoressa, sbirciando con ribrezzo il nostro, che giace asfissiante a far brutta mostra di sé - «Però, se proprio devo cedere, tu almeno abbi l’amore, Sam, d’arieggiarmi il naso, aprendo la finestra di questa camera fetente». «Subito, cara: in un batter d’ali!», vola l’ispettore, avventurandosi leggero ai vetri da spalancare.
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XI
Col medico legale che gli cammina accanto, l’ispettore entra nella camera del nostro. È ingombra di poliziotti alle prese coi rilevamenti, ma il dato più lampante è l’odore rancido di carni allo sbando. «Bene ragazzi, fate largo alla dottoressa!», Moritz annuncia, agli agenti assiepati intorno al letto. Poi con un sorriso, e girando la testa verso la donna che lo scorta, «Cara, eccoci qui dinanzi al corpo» - commenta garbato - «Confesso che non è bello come il tuo; però ti prego: dagli comunque uno sguardo». «Che schifo», mormora tra sé, la Killaire abbacchiata. «Che schifo e che bastardo!» - aggiunge inviperita, fissando l’ispettore - «Io, che per starti più vicina ho lasciato il mio ospedale (nonché una brillante carriera di chirurgo), IX venendo difilato a prestar servizio nel tuo distretto, mi aspettavo (in cambio di tanto Come mai morì soltanto quella volta lì, amore) che tu mi portassi… non so… al e non prima? Perché di regola teneva sul museo per esempio, al cinema, o meglio comodino un orologio ad orologeria (una ancora alla boutique. Invece… solo sveglia intendo!). queste schifezze mi porti a vedere! Queste A che gli serviva? Ti spiego: quando a carogne, antigieniche e puzzone!». 14
E fuori c’era una pioggia tale, guarda, che le strade parevano selciate d’acqua. Inoltre… Che c’è, dove vai? Via? Ah, siccome la tua curiosità di partenza sul modo e la dinamica è stata ormai esaudita e risolta, pensi di andartene… D’accordo… allontanati pure… Vuol dire che questo mio raccontino in corso, è da considerarsi esaurito, allora. Infatti, senza un lettore, non c’è alcun motivo di… finire o continuare.
Un metalmeccanico a Gorkj Park Intervista a Cristiano Della Bella a cura di Luca Torzolini
Perché scrivi?
ché non muore in te o tu non muori. La scrittura è qualcosa di tuo, come un figlio. La scrittura rende materiale la propria capacità di sognare.
Iniziò come un esigenza. Scrivevo canzoni sul genere punk e già lì era tossicodipendenza. Ho provato a smettere più volte, ma come diceva Quali sono le patologie del noBukowski la scrittura continua fin- stro secolo? 15
Dipende. Di quale secolo parli? Dal 1900 in avanti la patologia più grave da cui il mondo è affetto è l’uomo: l’umanità non ha mai imparato a convivere con la natura e con se stessa.
Quanto contano le donne nella tua vita? E nella scrittura? In una donna ci vedo un opera d’arte. Un ritratto normalmente non è un bel quadro se non coglie qualcosa di particolare. La donna è un opera d’arte quando la sua bellezza viene amplificata da qualcosa che sta facendo: una camminata, un sorriso stupito, l’abnegazione nel proprio lavoro. Tutto questo si trasferisce nella mia arte; all’origine di tutte le volte che scrivo c’è sempre una donna, nel senso di musa ispiratrice. Mi piace pensare che sto raccontando storie alle donne come chi prende una chitarra vicino al falò estivo e canta Vasco Rossi. Qual’è il senso della vita? Ci hanno già provato i Monty Phyton e il risultato è stato un capolavoro cinematografico. Il senso della vita è viverla bene: essere sempre contenti di viverla. Anche la tristezza può essere vissuta bene a volte. Come quando la tipa ti molla e per quanto sei arrabbiato sai che le emozioni che ti ha lasciato quella particolare storia valgono anche solo per l’associazione fra un ricordo e il verso di una canzone. Che cos’è la morte? La morte è il tasto off. Si spegne tutto in tutti i sensi. Nel senso evolutivo l’uomo moderno ha vissuto migliaia di anni in un istante: sono arrivato qui e tutto il resto era stato già vissuto. Morirò e tutto continuerà. La stessa cosa avviene dal punto di vista sociale, quando si muore a livello interiore non ci si accorge più delle emozioni che ci passano vicino. La morte rende bella la vita perchè è in contraddizione. Senza la morte si potrebbe sprecare il tempo senza remore.
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Fuori inquadratura di Lisa Gyöngy
Scrivo, se non a te, a chi? Me lo chiedo spesso in questi ultimi giorni. In realtà le domande che mi pongo sulla nostra storia sono tante e sono poche le risposte. Passo giornate intere a guardare fuori dalla finestra con le dita appoggiate sulla macchina da scrivere, il più delle volte senza schiacciare nemmeno un tasto. Mi limito a sfiorarli… Sento la fisicità dei tasti sotto i polpastrelli… ne accarezzo con cautela i bordi leggermente smussati e percepisco le lettere non scritte fremere sotto di essi. Passo sulla loro superficie piatta e sento il sottile rigonfiamento dei caratteri stampati sulla plastica dura. Alcune lettere, le più usate, quasi non esistono più… La “A”, la “L”, la “O”, la “S”. Alos. Poi accarezzo delicatamente il resto del suo corpo meccanico e sento il materiale freddo e metallico che piano piano si riscalda sotto il mio tocco. La immagino come creatura viva che 17
si eccita e accende al contatto con le svuotato, con una grande capacità mie dita. non più sfruttabile e con un peso tutto concentrato in un punto solo Ma nonostante il nostro rapporto che tira verso il basso, verso la terra. intimo, quasi ossessivo, non arriviamo Ci mette qualche minuto a uscire al concepimento da molto tempo... dall’inquadratura della mia finestra e io la seguo con gli occhi. Tutto per colpa tua. Di te. Perché Prima ti avrei descritto ogni singolo tu mi hai chiesto, prima gentilmente particolare di quella donna, ti avrei e poi in modo spaventosamente raccontato la sua vita intera, ti avrei violento, di smettere di scriverti. detto che da sotto il foulard, sfuggita alla crocchia severa, s’intravvedeva Ho accettato. Non potevo fare altro. una ciocca di capelli bianchi e candidi; che le sue pupille, alte nella Ma non puoi impedirmi di smettere cornea, puntavano ostinatamente in di scrivere pensando a te. avanti, proiettate a una velocità che il corpo non riusciva più a seguire. Fuori dalla finestra sta passando Avrei scoperto insieme a te che una signora con la schiena torta dagli dentro al sacco c’era una conserva anni. Nella mano destra un bastone di pomodoro e un pacco di pasta. di legno scuro, nella sinistra una Avremmo passeggiato insieme a lei borsa della spesa che pare enorme fino alla sua vecchia casa di periferia perché contiene solo uno o due mentre ci raccontava di come prima oggetti. Mi scopro a fare un’analogia la conserva di pomodoro e la pasta tra quel sacco e la sua persona: un la facesse lei, fresca, nella sua cucina contenitore ormai troppo grande, che profumava di legno.
Di come ogni sabato mattina andava al mercato a comprare chili di pomodori contrattando sul prezzo e poi preparava il sugo per tutta la famiglia. Ora il mercato aveva chiuso, la famiglia era andata a vivere lontana, il marito era costretto a letto e l’artrosi le impediva di fare anche la più semplice delle cose, come arricciare tra le dita i capelli dorati della nipotina. Ti avrei raccontato tutto questo. Invece ora mi scopro a raccontarlo alla carta bianca che passa pigra nel rullo della macchina da scrivere.
muro bianco, spumoso e opaco, per una volta fisico, reale e non solo una parete virtuale frutto della mia mente confusa. Il cielo urla, piange, si disperabeato-lui e si sfoga in pochi minuti, lasciando la strada lucida, quieta e specchiante. Nelle pozze vedo l’altro mondo, quello capovolto. Quello che quando guardi dentro vedi i piedi grandi in alto e la testa piccola in basso. Chissà com’è vivere li dentro. Chissà se in quel mondo io e te passeggiamo ancora per il parco ridendo. Ridendo delle espressioni tristi e corrucciate delle altre persone che ancora non hanno capito che non è il mondo ad essere cattivo, ma che sono loro che lo leggono in modo sbagliato. Eravamo perfetti insieme, ci completavamo. Eravamo uno la continuazione dell’altro. Uno il cuore, l’altro il sangue; uno la mente, l’altro il pensiero; uno l’aria, l’altro il polmone. Che idea banale… che idea trita e ritrita… ma mai c’è stata idea così vera e precisa che potesse descrivere in una perfetta immagine la nostra condizione di dipendenza e simbiosi.
Ora che la vita della donna è uscita dal mio campo visivo davanti a me vedo il solito scorcio di palazzi bianchi e grigi, gli alberi scheletrici senza foglie, il bar all’angolo e la cabina telefonica all’altro angolo. Nella cabina qualcuno ha posato male la cornetta e ora è caduta e pende muta, ciondolando leggermente dalle vibrazioni quando passa l’autobus dei ogni-quindici-minuti. I piccioni sonnecchiano sul cornicione sopra al bar tutti spiumacciati e gonfi per tenersi caldi in questa giornata d’inverno. Inizia a piovere, qualche goccia, poi Il sole sta calando. I lampioni più forte, e sempre più forte finché si accendono. Un’altra notte sta mi sento rinchiusa dentro ad un arrivando, inesorabile e solitaria.
Ho sempre amato il buio, ma ora il buio mi spaventa. E’ la notte la parte più difficile della giornata per chi è solo. E’ la notte la parte più bella e piena di sorprese per chi è in compagnia. Ti ho promesso che non ti avrei più scritto. Te l’ho promesso e lo sto rispettando. Mi hai anche chiesto di dimenticarti. Ho mentito. Ti ho chiesto di sparire a poco a poco. Ti sei dissolto. Sono innamorata di un fantasma. Di un personaggio di un libro che non posso controllare con la mia fredda macchina creatrice di mondi. Più volte ho sognato di avere un cervello-macchina-da-scrivere. Ma questa volta non ho nessun potere sovrannaturale, non posso controllare il passato ne il futuro… Figuriamoci il presente. Mi sento come una voce fuori campo. Una voce incorporea che racconta e vive le vite degli altri. In questo avevi ragione. Non mi sopportavi quando mi perdevo nel mio mondo dove tu non mi potevi raggiungere e allo stesso tempo era proprio questo che amavi di me. Il tuo era un amore ibrido, scostante, 18
irrequieto. Ed era questo che io Rimani fermo, indeciso. Poi amavo di te. Il saperti non mio del t’allontani verso destra e sparisci tutto. Il dover combattere i miei dietro la cornice della mia finestra. dubbi giorno per giorno. La cornetta del telefono ora suona Sobbalzo al suono del campanello. istericamente ad intermittenza. La Non mi muovo. Suona un’altra volta. lascio cadere e con rumore sordo Tremo. colpisce la scrivania e le mie dita Ti vedo attraversare la strada. volano sui tasti. Guardare in alto, ma ho la luce Sono entità autonome. spenta, non mi puoi vedere. I miei occhi leggono sorpresi le Raggiungi la cabina telefonica parole che appaiono sulla carta e e prendi in mano la cornetta seguono le piccole lettere che con il abbandonata. loro cordone ombelicale metallico Stai li dentro per un tempo che mi reagiscono allo schiacciare dei tasti. pare infinito. Chiudo gli occhi e li Sono così fragili… riapro solo quando il telefono, come Riesco a vederne il movimento: da copione, prende a suonare. si staccano dalla fila di asticelle, Allungo una mano e stacco la vengono proiettate verso il centro cornetta. L’avvicino a me come in della carta pallida e sbattendo con sogno e sento il sapore e il calore del colpo secco lasciano traccia del loro tuo respiro sul lobo dell’orecchio. passaggio in una ferita d’inchiostro nero. Perché hai deciso di tornare proprio adesso, ora, questa sera? Le mie dita scrivono la nostra storia. Cosa ha di speciale rispetto alle altre Classica. Come tante altre. quarantadue? Ascoltiamo il nostro silenzio, i nostri Due persone s’incontrano, si pensieri. Sento il materiale della trovano interessanti, decidono di cornetta fondersi con la mia mano. rivedersi, si frequentano, scoprono Ora ho una mano-telefono. punti in comune, intriganti diversità, Non ho idea di quanto tempo si piacciono, s’innamorano, si sia passato, ma ti guardo così fanno promesse, viaggiano, vivono, intensamente che i tuoi lineamenti progettano, litigano, sperimentano, diventano confusi. Sei un’ombra dalla giocano, ridono, urlano, piangono, forma indefinita. Lo sapevo, sei un si accusano, si compiangono, si fantasma. rispettano, perdono la fiducia, Cade la linea. Sbatto gli occhi. perdono la speranza, sbagliano, si Ti vedo frugare in tasca. Immagino riamano, cedono e si perdono. in un eco il tintinnio delle monete Anni, mesi, settimane, giorni, ore che a una a una tornano a riempire il e secondi ora non sono altro che contatore. minuscoli segni codificati e senza Richiami e metti giù. Richiami e senso su un pezzo di albero tritato, metti giù. Non capisco cosa fai, sciolto e pressato. poi mi rendo conto che ho ancora la cornetta che mi strilla il segnale Assisto sempre più imponente e d’assenza di linea nei timpani. innervosita alla pioggia di proiettili Linea piatta. che uccide la nostra storia e mi rendo Tiri un pugno alle pareti di plastica, conto con orrore del mio meccanico un altro, ma non riparte. Non c’è e automatico nutrire la macchina di battito. fogli vergini. Esci dalla cabina e guardi in su, ma ho la luce spenta e non mi puoi Il mio respiro si fa affannato. Sempre vedere. più veloce. Sempre più forte. 19
Sempre più veloce, sempre più forte. Semprepiùvelocesemprepiùforte, finché le mie braccia riescono a stento a staccare le dita che paiono incollate ai tasti come pelle bruciata. Poi, con movimento fluido, la cingono in un abbraccio. La sento pulsare contro il mio corpo mentre la cullo e sento i suoi tasti tesi contro il mio ventre. Tento di controllare il mio respiro. Piano piano torna a un ritmo normale e solo quando la distacco da me mi accorgo che ho il viso rigato di lacrime. Tramite un velo compatto e liquido vedo la mia macchina da scrivere volare, proiettata contro la finestra, al rallentatore. Appena avviene il contatto il vetro assorbe un po’ il colpo piegandosi impercettibilmente, ma la forza è decisamente troppa e, prima in una crepa poi in un crepaccio dalle mille venature, esplode in una miriade di frammenti scintillanti e acuminati. L’aria invernale della notte mi carezza il viso. Chiudo gli occhi, respiro piano e me ne riempio i polmoni. I fogli con la nostra storia svolazzano dappertutto, come uccelli abbattuti. E non mi sono mai sentita viva e libera come in questo momento. Scrivo.
Scavando negli uomini con un pennello Intervista a Luca Ianni di Luca Torzolini foto di Luca Torzolini
Cosa ti spinge a dipingere?
un’espressione non canonica è un motivo di ricerca, un tentativo di scavare Non so cosa mi spinge a farlo esatta- tra le rughe di quel volto alla scoperta mente. È un impulso. Una ricerca che di un “io” nascosto. Oltre quell’io che parte dai volti a me familiari offerenti sembra, verso qualcosa che è. un’espressione interessante. Credo si tratti di curiosità. Quali regole segui? È semplice notare nelle tue opere un’ossessione per i primi piani del viso. Cosa ci trovi nel volto di così interessante? Partire dalle linee di un viso o da
Le mie, anzi, le regole della mano. Una mano curiosa di indagare nelle intimità sessuali della tela. Non mi precludo niente durante il processo cercando di arrivare a qualcosa, anche se non ho ben chiaro quello che sta
per arrivare. E quando mi accorgo di voler fare qualcosa io stesso, ecco che il disegno è già finito e in realtà non posso fare più nulla. La scelta dei colori su cosa si basa? Parto da un’immagine quando inizio a pitturare la tela, quindi la scelta è sicuramente condizionata dall’immagine di partenza. Differenti scelte cromatiche sono effettuate al solo fine di una ricerca estetica. 20
Spiegaci il processo attraverso il quale giungi alla conclusione del dipinto. Quello che cerco si limita a un equilibrio formale, però, alla fine, tutte le idee che vengono durante l’atto del dipingere sono comunque di natura diversa tra di loro e nel ritratto finale di solito collimano gran parte delle idee avute durante il processo. Bisogna valutare tutte le idee che sono arrivate, ma più spesso è necessario aspettare che l’idea, tramite un processo di simbiosi con l’immagine mentale, venga distillata per dare origine ad un volto vivo. A quel punto sarà lui a guardare me.
Uno dei tuoi quadri si chiama “Shoes”. Perché raffigurare un paio di scarpe? 21
Avevo due scarpe lanciate in camera, in disuso. La tela mi guardava, appoggiata sul cavalletto. Mi piaceva in quel momento raffigurare quelle scarpe. In realtà, non ci ho nemmeno pensato troppo.
Perché non ti mobiliti per fare mostre o partecipare a eventi? Qual è il vero motivo della tua apatia nei confronti del mondo artistico moderno?
Per il momento non avrei neanche fatto quest’intervista. Non m’interessa fare niente, faccio ciò che faccio di solito. Il discorso di partecipare a mostre o far parte di un gruppo militante di artisti è un Sicuramente c’è qualcosa che ho discorso ultimo, qualcosa di seconassorbito dai grandi maestri dell’ar- dario. Prediligo la ricerca, per ora. te, magari anche inconsapevolmente. Ma non me frega un cazzo. A volte la pennellata è uno sfogo e comunque la pennellata grande, o un’esecuzione di questo tipo, è più che altro una caratteristica personale. È una pennellata più veloce, istantanea, non troppo controllata dal pensare, in grado di esprimere un’emotività diretta. Si evince l’abbozzo di uno stile dalle grandi pennellate che utilizza richiami sensoriali evidenti. A quali grandi maestri del passato t’ispiri?
Nel consumismo imperante del terzo millennio i mezzi per fare arte sono diventati accessibili a tutta la popolazione. Così chiunque si sente artista, in diritto di scattare fotografie e stamparle su forex, su tela e su qualsiasi altro tipo di materiale. Qualsiasi scrittore, prima ancora di essere valutato per una pubblicazione da una casa editrice stampa il proprio operato tramite la stampante di casa o presso tipografie online. L’incoscienza della popolazione nella valutazione dell’effettiva necessità di rendere materico il
proprio operato produce un inquinamento di proporzioni inimmaginabili. “Lasciate quest’opera in digitale” non produrrà inquinamento, non esisterà mai una riproduzione tangibile di questa fotografia su tutta la terra, non per mio volere almeno. Rinunciando per sempre al passaggio da potenza ad atto dell’oggetto artistico spero di dare per primo un esempio di coscienza preventiva. Nel caso l’opera partecipi ad un concorso on-line e sia scelta come vincente non vi sarà modo di esporla in un’eventuale
mostra e così facendo invito ad una seconda presa di coscienza: l’arte non è solo protagonismo, a volte è rinuncia. Rinunciare alla visione moderna di artista milionario e trasgressivo e tornare alla realtà, una realtà in cui l’artista oltre a produrre bellezza tramite il proprio artigianato riesca a vedere al di fuori delle sue piccole mura e dia prova di un’oggettiva e necessaria canalizzazione meritocratica dell’arte.
Espressione della mia identita’ Intervista a Dusha Photographer di Luca Torzolini foto di Dusha
In che modo e per quale motivo ti sei avvicinata all’arte della fotografia?
ma man mano che diventavo cosciente di ciò che facevo, di come lo facevo, ho traslato la mia attenzione verso soggetti del tutto differenti. Prima la scena dei Ho iniziato tutto per gioco, inconsape- miei lavori era dominata da figure umavole di ciò che stessi realmente facendo. ne; ora sono presa quasi esclusivamenEra un’azione spontanea. Mi creava un te dalle trasformazioni della natura, particolare tipo di sensazioni il “click” con particolare attenzione ai paesaggi, della macchina fotografica; catturare la e dalla vita quotidiana: oggetti, attimi mia visione delle cose e osservarla. Ini- di vite altrui, inconsapevoli di essere zialmente fotografavo per il puro gusto inquadrati dalla mia macchina. Non di racchiudere gli attimi sulla pellicola; amo creare l’immagine, non voglio set 23
o pose, tutto deve seguire il proprio corso vitale senza mie interferenze. Una caratteristica che mi rappresenta e che da, forse, l’idea di ciò che faccio è il totale rifiuto di “studiare fotografia”. Niente scuole, corsi o lezioni private. Alcun manuale su come fotografare. Con tutto il rispetto per i grandi artisti del passato comunque presi in considerazione. Nessuno può insegnarmi a esprimere le emozioni. Agisco in modo personale e quasi istintivo.
Assistiamo oggi come oggi a un utilizzo puramente estetico dell’immagine. I fotografi moderni tendono sempre più a stupire il pubblico senza che vi sia un vero messaggio dietro ogni foto, o addirittura, come possiamo vedere dagli scatti dei grandi maestri della fotografia tipo Diane Arbus o Robert Frank, una vera e propria ricerca. Qual è il messaggio che ti proponi di dare al pubblico con le tue foto? Limiti per ora la ricerca a un’evoluzione tecnica o hai già in mente la strada che intendi percorrere? Un messaggio unico per quanto mi riguarda non esiste. Tutte le mie fotografie arrivano a ogni singolo soggetto del pubblico che le interpreta in maniera personale. Non voglio che le persone debbano restare inchiodate di fronte alle immagini per comprendere il mio pensiero; vorrei piuttosto che tutti facessero considerazioni proprie, mettendo in funzione la mente e viaggiando “nella” foto mediante la propria vita personale, non la mia! Non chiedo agli altri di capirmi o cogliere un’emozione determinata. Ognuno può trovare all’interno delle mie immagini ciò che desidera vedere: questo è il compito di chi osserva! E’ una strada senza una destinazione predefinita. Non è fissata, per mia scelta. Non voglio creare un percorso da seguire, piuttosto opto per il dare vita alla strada stessa che percorro passo per passo assieme alla mia crescita. Lo stesso vale per l’evoluzione tecnica: prosegue parallelamente alla mia quotidiana trasformazione. Essendo io una persona istintiva non programmo nulla, sono consapevole di poter capovolgere tutto in pochi secondi; inutile quindi perder tempo a progettare il domani. 25
Che differenza c’è secondo te tra pittura e fotografia?
Nelle tue opere si nota un grande amore per le simmetrie e la tendenza a ricercare una Vedo la pittura come un modo più forma geometrica particolare. singolare, e in un certo senso “cal- Quanto credi sia importante do”, di rappresentare ciò che si vede rispettare “le linee” e “le foro si immagina. E’ un lavoro pura- me” al fine di ottenere una fomente manuale. Si realizza l’opera tografia valida? con le proprie mani ed è secondo me un ponte più vicino all’interio- Ricercare e rispettare. Io non serità dell’individuo. La fotografia in- guo nessuno schema, nessuna lovece nasce grazie alle macchine, al gica, o almeno non lo faccio con progresso. Questo raffredda l’ope- lucidità. Ciò che creo è dettato ra a priori. La “macchina” in sé di- dalla mia mente e dai miei occhi; strugge lo stretto legame tra men- è un’evoluzione personale. Non te e corpo. Per di più nel quadro mi pongo il dovere di obbedire a è possibile concepire l’infinito, la un qualunque schema. Amo tuttapropria immaginazione, le proprie via le forme e le linee che quindi idee anche del tutto astratte. Men- cerco spontaneamente. Non vuol tre una fotografia cattura comun- dire però che una fotografia sia que qualcosa di concreto. scadente senza questi parametri.
Sperimentazione o regole accademiche? Sperimentazione sempre e comunque. Come ho già detto in precedenza non studio la fotografia, creo uno stile personale dettato esclusivamente dalla mia natura. Qualsiasi opera deve essere lo specchio dell’artista, senza interventi esterni. Che rilevanza dai all’illuminazione? La luce è fondamentale in una foto, credo sia l’elemento che le da vita. Bisogna però saperla sfruttare al meglio per i propri intenti. Prediligo i forti contrasti tra luce e ombra, le quali delineano e sopratutto risaltano i soggetti che vado a fotografare. Quanto è inf luente l’uso di Photoshop o di altri program-
mi che modificano i valori Quali sono i tuoi progetti fudell’immagine per un fotogra- turi? fo del ventunesimo secolo? Da quando mi sono trasferita a Diciamoci la verità, oramai la Londra le opportunità si sono maggior parte dei fotografi mo- allargate a vista d’occhio. Il pasdifica i propri lavori con metodi saggio da una piccola cittadina digitali; il che, in fondo, non sa- come quella di Alba Adriatica a rebbe un male se si limitassero una metropoli ha giovato conesclusivamente a “ritoccarla” e siderevolmente alla mia vita, non ad alterarla del tutto. Que- dandomi una marcia in più nel sto è però un discorso comples- mondo della fotografia. Il mio so dato che dipende da ciò che progetto attuale riguarda appunsi vuole ottenere. Per esempio to Londra, sto raccogliendo imrappresentando una persona, un magini della città soffermandomi volto, penso sia sbagliato mani- su determinati luoghi e persone. polarne l’immagine, con ritocchi Prossimamente ho in programma per di più, a mio parere, insen- delle esposizioni dei miei lavori sati. Preferisco l’autenticità del- nelle strade di Soho. Nel futuro la foto; faccio uso di programmi chi lo sa? Sono imprevedibile in per mutare i miei lavori, ma per ogni caso! lo più modifico i colori ed i contrasti senza manomettere il contenuto. 26
Quieto vivere
di Eclipse.154
“… e per di più, se non dovesse ba- Sade. La domestica stamane è andata stare il motivo che ti ho appena espo- via prima del solito, ma ha tuttavia sto, ti dirò un’altra cosa. trovato il tempo per pulire a dovere l’intera casa, riordinare il mio guardaQuella sera mi trovavo da Mario a roba, stirare e inamidare le mie camicena. Sai benissimo che il lunedì sera ce e prepararmi un pranzo macrobioceno lì. Avevo un tavolo prenotato tico, che giace inerme in un angolo per le 20.” del tavolo, e che non mangerò.
Dove mi porti?”
“E allora, sentiamo, con chi eri?” – incalza Luisa.
Il tanfo di merda è diventato così intenso da sovrastare di netto la mia concentrazione, al punto da ignorare chi ci sia all’altro capo del telefono.
“Con mia… uhm… madre?” Riaggancio, praticamente certo della mia poca credibilità. Luisa è una ragazza fantastica, è colta quanto basta, non più di me. E’ inoltre quella che si definirebbe di solito una ‘gran strafica’. Tuttavia mi sono stancato di lei, vuoi per le sue ossessioni, per la sua totale e ascendente dipendenza dal mio successo, vuoi per… insomma, è da poco più di una settimana che la vedo e già vorrebbe costringermi a renderle conto. Tra l’altro non vado mai da Mario, si mangia di merda. Figurarsi prenotare un tavolo di lunedì! Sono a casa, sono le 14:15 circa e fa caldo, un caldo del cazzo. Sto cercando da più di due ore la copia di un giornale di cui non ricordo il titolo. A Frank servono informazioni su una specie di macaco che vive in Giappone o in Armenia. E’ per una ricerca, dice. Sono talmente sudato che la mia polo sembra una muta da sub. Finora non ho trovato nulla. Mi faccio una spremuta di pompelmi e metto sul Technics un vecchio disco di 27
C’è una tremenda puzza di merda in soggiorno, ma sono quasi certo di poter affermare che Concetta (credo si chiami così) ha pulito e deodorato ogni angolo della casa. Credo anche che, domani, la prima cosa della quale dovrò occuparmi sarà il suo licenziamento.
“Ho prenotato un tavolo da Mario. E’ per le 20.” “Splendido! E’ da molto che non vado da Mario. Hanno delle capesante praticamente pazzesche!”
“Senti, dammi un altro po’ di tempo. Non lo trovo, quel fottuto giornale del cazzo!”
“Ehi, ma ti senti bene? Di quale giorCerco di rammentare quand’è sta- nale parli??” ta l’ultima volta che ho richiamato Agnese, e devo concentrarmi non “Uh… nulla… parlavo di… uhm… poco per realizzare che era un giove- con… la domestica, sì.” dì, senza dubbio non quello passato, “Non dovresti rivolgerti ad una sie neanche quello prima. Alzo la corgnora in questo modo; è maleducanetta e compongo il numero. zione, sai?” “Pronto?” “Perfetto” - dico, non proprio sicuro di aver afferrato il senso delle sue pa“Ehi, sono io.” role, - “Ci vediamo alle 19!” “Uhm… davvero? Io chi?” Mentre mi avvio verso la camera da “Ehi, che cosa vorresti dire con ‘io letto inciampo in qualcosa di appunchi’??? Io. Vittorio.” tito; mi chino per vedere di cosa si tratti. Non c’è nulla sul pavimento. “Ah, Mi chiedevo proprio oggi se mi avresti richiamata! Non è cortese far Ho un buffet al quale devo presenziaaspettare una ragazza, sai?” – dice, re, pertanto mi accingo a cambiarmi complice e provocante. per la festa. Non ricordo a che ora devo arrivare e naturalmente decido “Perdonami piccola, ero… uhm… di prendermela comoda. occupato. Ho pensato di portarti a cena stasera. Che ne dici?” Un uomo dovrebbe sempre arrivare in ritardo agli appuntamenti importanti, “Uh! Fantastico! Direi che va bene.
se vuole conferire eleganza alla sua presenza. La gente poco perspicace crede che la puntualità sia prerogativa di serietà e sinonimo di sicurezza; la serietà non ha nulla a che vedere con l’eleganza, e sinceramente non ho idea del perché mi sia imbarcato in questo discorso. Sono già convinto di questo concetto, non ha senso ribadirlo. Metto nel Technics un disco dei Culture Club e apro l’acqua della doccia. Mentre mi spoglio mi accendo una sigaretta, ma sa di merda e la spengo. Ho il cazzo duro. L’erba che mi ha dato Stefania è eccellente e ho praticamente sempre voglia di scopare quando la degusto. Strano, non credo di averne fumata oggi.
nemente verrebbe definita ‘una gran strafica’, ma non capisce un cazzo. L’unica cosa intelligente che ha fatto negli ultimi anni è stata quella di lasciarmi. La naturale evoluzione dei personaggi, infatti, l’ha resa una sfigata, al contrario di me, naturalmente, che sono bello (lo ero anche prima), colto (lo ero anche prima), carismatico (lo ero anche prima), eccentrico (ora forse lo sono di più) e assolutamente evanescente, qualità quest’ultima che mi colloga nella Top3 nell’indice di gradimento del gentil sesso. Silvia, dicevo, è sfigata; la sfiga, tuttavia, le ha donato un localino niente male, giù in centro, che purtroppo, data la peculiare sfortuna della titolare, verrà dato alle fiamme da un gregge di ubriachi in breve tempo a partire da oggi, o ancora peggio, raso al suolo dai creditori, i pusher.
Prima di entrare nel box doccia decido di cambiare disco; opto per Nina Dopo cinque minuti ho già inforcaHagen. to i miei Oliver People da 400 euro Mi masturbo sotto l’acqua pensan- e cammino disinvolto per la strada. do alla ragazza della tabaccheria qui L’aria è unta, il caldo muta l’asfalto in vicino che spompina un membro di una speciale pellicola tremendamente legno non levigato e murato alla pa- ustionante; dense nubi di vapore si lerete, mentre Hilary Swank le ficca un vano verso l’alto dissolvendosi dopo mestolo da polenta nel culo e io le pochi secondi. Il sole le ammazza, slappo la fica. Il tutto in un enorme come ammazza me. Le cicale starnazzano (cicalano avrebbe prodotto vasca piena di mirtilli. una ridondanza nociva all’estetica del Vengo in modo brutale, sconnesso e discorso.), le strade sono deserte, pusoffocante, singhiozzando come un lite, e c’è puzza di benzina e merda. frocio adolescente. Temo di esplodere insieme al pianeta. Tempo novanta minuti e sono già quasi vestito. Il Technics ora suona un qualcosa che io ho provveduto a metter su, chiamato N11 o N9. Credo sia Brian Eno.
Arrivato a destinazione noto che il bancone è preso d’assalto da una mandria di… uhm… procacciatori credo. In un primo momento ho voglia di fuggire, sembrano agenti della Psico-polizia, anche se in realtà non E’ sufficientemente presto per recarli ho mai visti. Io sono cresciuto con mi da Silvia. Silvia è quella che comu-
altra gente che millantava potere e saggezza, non con il Grande Fratello e il bipensiero di merda! La mandria è tutta vestita allo stesso modo; mi sfilo gli Oliver People e scruto il mio volto allo specchio, nel tentativo di rassicurarmi. La mia pelle è liscia come granito lavorato, ed abbronzata come un uomo perennemente felice. Sogghignando compiaciuto, esamino i tizi con maggior cura. Sono davvero uguali. Completo nero gessato, cravatta nera Armani, suppongo, e scarpe E. Zegna palesemente pacchiane. Mi sforzo di non ridere, ma mentre il mio impegno è all’apice uno di loro si rivolge a me: “Mi perdoni signore, cos’ha da ridere?” “Uh, niente amico, niente. Non riesco proprio a togliermi dalla testa uno spot televisivo, in cui un tizio parla con un pacco di spaghetti. Complimenti per le scarpe, sono… uhm… elegantissime.” Il tizio abbozza una risposta, io perdo la mia concentrazione e mi ritrovo seduto ad un tavolo contornato da sedie di alluminio anodizzato, intento ad ammirarmi attraverso un quadro a specchio che pubblicizza una finta bionda, che a sua volta pubblicizza un bicchiere con dentro un liquore di cui ignoro l’esistenza ed il sapore. Il tizio numero 5 sta parlando con il tizio numero 2. Nella mia mente ho pensato di numerarli, in modo tale da distinguerli, ma mi rendo immediatamente conto di quanto questo sistema sia fallimentare. Probabilmente, infatti, colui che parla con il numero 2 è il tizio numero 1, ma dato 28
che inizialmente avevo identificato il numero 1 con il tizio più alto, vado in confusione. Il tizio in questione, infatti, è decisamente basso. Presumo si occupi della vendita di pompe ad immersione, dagli argomenti che espone a suo favore. Mi chiedo immediatamente come possa un tipo tanto basso sentirsi tanto grande, e ancor più come possa una persona addetta alla vendita di utensili succhia-merda manifestare tanta vanagloria. Silvia è dietro il bancone, intenta ad annuire ai clienti e a preparare decaffeinati. Non mi ha notato ancora, seppur io sia di gran lunga l’unica persona a dar lustro al suo locale, elevando di netto lo standard. Inspiegabilmente decido di levare le tende, e con aria disinvolta esco sculettando. Arrivo al buffet, qualcuno mi osanna e mi fa notare di essere in ritardo imbarazzante, e con il volto proteso in un sorriso accattivante abbozzo una serie di complimenti rivolti ai commensali (la scelta di questi ultimi è del tutto casuale).
si ferma a metà strada, interrompendo la sua ascesa intrappolato nei CK. Tento una manovra per correggerne la traiettoria, badando bene di tenere la mano in tasca, e mi accorgo che il mio uccello scalcia come un feto.
A questa constatazione se ne aggiunge un’altra, quella di un’ennesima, terribile erezione. Mi accendo una sigaretta e, contemporaneamente, mi succhio l’alluce.
Finalmente mi guarda. “Ehi, ma il tatuaggio che hai sul collo cos’è? Un Agnese non indossa il reggiseno; mentre le guardo le tette la immagino ape? Fantastico!” nuda cavalcare una tigre albina, con “No, è un… uhm… dio a sette teste” in mano un AK-47 mentre inneggia – sbotto, evidentemente contrariato. frasi senza senso, seminando terrore e morte fra villaggi male abitati da “Uh, anch’io vorrei tanto farmi uomini E. Zegna in giacca e cravatta. un’ape. Quanti anni hai?” Poco dopo siamo a casa, la conduco “Ventisei, e tu?” in soggiorno, le preparo un Mai Tai, “Ventitre a giugno!” – risponde non metto nel Technics un disco di Wagner e accendo il deodorante a diffutroppo convinta. sione elettrica. “Fantastico! Ehi, non mi hai ancora “Strano l’odore del muschio bianco.. detto come ti chiami.” sembra… uhm… merda.” – mi ritrovo a dire senza volerlo. “Uh, perdonami. Io sono Agnese.”
“Senti Agnese, perché non ce la filiamo? E’ tutto così noioso qui. Potremmo cenare insieme da Mario; hanno delle capesante semplicemente fantastiche.” – propongo in maniera immediata, almeno quanto la mia Ed eccola. Bellissima. Sono convinto erezione. di non averla mai vista prima d’ora, “Non dovrei accettare inviti dagli e mi chiedo il motivo di questo resconosciuti, ma… uhm… ci sto. Mi ato. Bionda, culo da sballo, tette pasembri un ragazzo a posto!” – rilesemente rifatte, dunque perfette, sponde in un atteggiamento che non culo da sballo, viso angelico ma non riesco a distinguere. troppo e culo da sballo. Mi avvicino prontamente. Non posso fare a meno di ridere. “Ehi, non ci conosciamo” – dico, Non ho la macchina, cosa che indimentre una fitta anonima mi squarcia spettisce non poco Agnese, che però il petto all’improvviso. ha la sua, una Saab cabrio nuova fiammante, con una lieve puzza di “A quanto pare…” – risponde lei, merda nell’abitacolo. tralasciando di guardarmi. Abbasso cinque centimetri il finestri“Sono Vittorio. Ehi bella, vuoi da no, sperando che noti i miei capelli bere?” lucenti e sani scompigliati dal vento. “No grazie, ho già un bicchiere pieno Optiamo per una tappa a casa mia, vuole vedere il Giacomelli da 12000 in mano.” euro che ho in soggiorno, sebbene Il suo modo di apparire vitrea e im- non sappia chi è Giacomelli. Durante perscrutabile mi genera un’erezione il tragitto percepisco la sua irrefrenadegna di un best-seller, ma il cazzo bile voglia di chiavare, voglia che la 29
proietta sempre di più verso di me.
Agnese non risponde, finisce tutto d’un fiato il suo Mai Tai e viene verso di me. Sto bevendo un rum talmente invecchiato che l’etichetta della bottiglia è completamente consumata, e ne ignoro dunque la marca. “Allora, ti va di scopare?” – propone, sfilandosi le mutandine con la mano sinistra, e contemporaneamente sfilandosi le scarpe. Il clima è torrido in casa, sebbene abbia provveduto ad oscurare l’ambiente socchiudendo le finestre. La afferro per i capelli, e mentre lei esplode in una risata isterica, facilmente confondibile in un orgasmo acuto e disumano, la spingo verso il divano. Le afferro le cosce, sospingendole verso l’alto, e inizio a leccarle la fica, scrivendo con la lingua i primi 8 versi dell’Eneide, che naturalmente conosco a memoria. Geme ed ansima, eseguendo ritmici movimenti di bacino. Inizio a morderle delicatamente il clitoride, che è gonfio e violaceo come un frutto tropicale, ed ha tanta voglia di esplodermi in faccia. Continuando a godere selvaggiamente mi afferra la testa fra le gambe stringendola a sé con forza.
Riesco a rialzarmi, lei si catapulta su di me e afferra il mio cazzo come fosse un ricco premio. E’ duro, durissimo, e sento che sta implodendo. Ci sputa sopra varie volte prima di infilarselo in gola come se fosse la cosa più prelibata al mondo. Mi giro in senso contrario, e mentre mi succhia avidamente l’uccello io infilo la testa nuovamente fra le sue cosce e con quattro dita le apro il buco del culo, iniziando a succhiarglielo. Gode così tanto che a tratti esplode in lacrime per poi spezzare il tutto con risatine folli e incontrollabili. Qualcosa si sta muovendo in me, mi alzo e la prendo da dietro. Con il culo abbondantemente slappato è facile per me entrarle dentro, ma le allargo comunque l’ano, tanto per vedere quanto ce l’ha largo. Non ci sono problemi e la penetro con facilità e violenza. La violenza è tanta che Agnese inizia a mordere le lenzuola gridandomi di continuare. Continuo così per un po’, poi mi stufo e torno a succhiarle la fica masturbandomi come un animale con dentro un demonio assetato di sangue. Mi prega ripetutamente di scoparla nella vagina, e io le do ascolto. Le afferro i piedi e li tiro indietro all’altezza della testa. Ora anche un autotreno potrebbe trapassarla. Le metto un cuscino dietro la schiena e inizio a pomparla. Il suo clitoride ora ha un aspetto inquietante, sento la sua fica bollire attorno al mio uccello e inizio a morderle il seno, mentre la scopo sempre più violentemente. Le mordo un capezzolo fino a ferirla, e inebriato dall’odore di sudore misto a sangue e silicone glielo strappo con decisione, ingoiandolo. Terrorizzata, cerca di divincolarsi e inizia a gridare come una strega alla gogna. La tramortisco con una testata in piena faccia rompendole il setto nasale e mi spalmo il suo sangue addosso. Le sfilo dalla borsa che ha lasciato sul divano le chiavi della Saab. Ho in bocca il sapore metallico ed eccitante del silicone, e ho la faccia quasi completamente piena di sangue. Le ficco la chiave nella vagina, aprendogliela
di netto. Priva di conoscenza si caga addosso; la puzza di merda è insopportabile. Ora con lo squarcio nero che le ho provocato posso facilmente infilarle dentro il braccio. Faccio piazza pulita delle interiora, ridendo e recitando slogan politici come un esaltato. Ingoio avidamente parte delle sue budella, mentre il resto glielo metto attorno al collo come fosse una sciarpa di seta. Ricomincio a scoparla nella fica, continuando a bere lo strano liquido che le fuoriesce dalle tette. Respira ancora la troia; mentre la fotto in quella che una volta era la sua vagina, e che ora non è altro che una nera e profonda voragine sanguinante, le stacco la lingua a morsi. Finalmente muore; le cavo gli occhi con la chiave. Uno lo ingoio e uno lo lascio temporaneamente nella sua borsa, perché ora non ho più fantasia e non so che farci. Le dico che l’amo, mi sollevo e masturbandomi, ricoperto dal suo sangue dalla testa ai piedi, le vengo in faccia. Wagner rende la mia performance sessuale un trionfo, io mi commuovo e piango di gioia. La afferro per i piedi e la trascino in cucina. Le sego i piedi con un coltello a seghetto e la lascio a terra un paio d’ore, aspettando che si dissangui. Metto su ‘L.A. Woman’ dei Doors trovo un beauty case nella sua borsetta di Fendi e inizio amorevolmente a passare lo smalto sulle unghie di quelli che una volta erano i suoi piedi e che ora troneggiano sul mio tavolo di cristallo, nel soggiorno.
“Ah, Mi chiedevo proprio oggi se mi avresti richiamata! Non è cortese far aspettare una ragazza, sai?” – dice, complice e provocante. “Perdonami piccola, ero… uhm… occupato. Ho pensato di portarti a cena stasera. Che ne dici?” “Uh! Fantastico! Direi che va bene. Dove mi porti?” “Ho prenotato un tavolo da Mario. E’ per le 20.” “Splendido! E’ da molto che non vado da Mario. Hanno delle capesante praticamente pazzesche!” Il tanfo di merda è diventato così intenso da sovrastare di netto la mia concentrazione, al punto da ignorare chi ci sia all’altro capo del telefono. “Senti, dammi un altro po’ di tempo. Non lo trovo, quel fottuto giornale del cazzo!” “Ehi, ma ti senti bene? Di quale giornale parli??” “Uh… nulla… parlavo di… uhm… con… la domestica, sì.” “Non dovresti rivolgerti ad una signora in questo modo; è maleducazione, sai?” “Perfetto” - dico, non proprio sicuro di aver afferrato il senso delle sue parole, - “Ci vediamo alle 19!”
Mentre mi avvio verso la camera da Cerco di rammentare quand’è sta- letto inciampo in qualcosa di appunta l’ultima volta che ho richiamato tito; mi chino per vedere di cosa si Agnese, e devo concentrarmi non tratti. E’ la chiave di una Saab. poco per realizzare che era un giovedì, senza dubbio non quello passato, e neanche quello prima. Alzo la cornetta e compongo il numero. “Pronto?” “Ehi, sono io.” “Uhm… davvero? Io chi?” “Ehi, che cosa vorresti dire con ‘io chi’??? Io. Vittorio.” 30
L’uomo più saccente del mondo Intervista a Stefano Tassoni di Luca Torzolini
Chi ti credi di essere? Innanzitutto io non mi credo, nel senso che non credo a me stesso, ma so per esperienza di essere un buon affabulatore, quindi la domanda non è “chi ti credi di essere” ma “chi gli altri credano io sia”. Vedi Lu’, quando ormai si è etichettati non se ne può più uscire, per questo qualunque cosa faccia, trasuderà sempre cultura ad occhi altrui. Forse sono la plurisecolare e imperitura anima di Socrate, secondo la ben nota teoria della metempsicosi. Come è possibile riconoscere l’uomo più saccente al mondo? 31
Lo sapevi che nell’antica Roma i riti matrimoniali si celebravano con la formula “Ubi tu gaius, ego te gaia”? Perché utilizzi spesso termini linguistici quasi proibiti alla maggior parte della popolazione? Per diffondere il loro utilizzo tra l’enorme massa degli ignoranti, dalla quale strisciando carponi sono assurto come un verme, il Verme Conquistatore di Poe. Che valore ha per te l’estetica? È semplicemente il plus valore nell’operato di un artista.
È vero che l’Hypnerotomachia poliphilii è stata scritta da Francesco Colonna e che con quest’opera ha lanciato il genere che sarà poi definito dalla critica polifilesco? Tu l’hai detto, come disse Gesù Cristo a Kaifa durante il proprio processo. Cos’è che ti manca? La proprietà ignifuga, metaforicamente parlando e, in virtù di tale registro, ricorda che previa argomentazione posso darle il significato che voglio. Cosa ti porteresti in un’isola deserta? Te.
Perché? Per il piacere di aver tabula rasa su cui scrivere qualunque cosa, magari una brutta copia di una lista della spesa che ovviamente, essendo su di un’isola deserta, non potrà mai evolvere a bella copia, mancando il supermercato. Una ricetta per migliorare il paese? In padella a fuoco lento.
Chi sono i tuoi maestri? Non ho maestri e in questo modo posso alludere al fatto che tutti potrebbero essere miei maestri. In filosofia il Tutto e il Nulla si equivalgono e analogamente il discorso può essere trasposto al Tutti e Nessuno. Perché hai tanti problemi di dizione se sei così saccente? Perché per quante cose so, so che le cose non dette posso essere intese. O meglio, mi si accavalla la lingua.
in cui una parola latina evolve, sono possibili due soluzioni: una dotta per cui “sapio” da “sapienza”, l’altra popolare per cui “sapio” evolve in “saccio”. È semplicemente l’evoluzione del nesso consonantico P+J che se non può modificarsi rimane invariato. Da qui inutile spiegarvi cosa voglia fare nella vita, no?
Perché sei misantropo? Perché, come scritto nell’ Heautontimorumenos “Homo sum nihil umanum a me alienum puto”, e conoscendolo Ci fa una domanda? Cosa c’è di sbagliato nei modi di in parte già so che conoscerò qualcoDa dove comiciare? sa che mi farà sempre più schifo. dire? “Il sole sorge”. Sono 2000 anni che Che consigli daresti ad un giovane che volesse diventare saccen- dicono così mentre si sa benissimo Se il genio della lampada volesche il sole è fermo. Colpa dei modi se esaudire un tuo desiderio, che te? vorresti? di dire. Classici, classici, classici. Vorrei sapere perché voglia esaudirlo. Quale oscuro motivo potrebbe mai Cosa vuoi fare nella vita? Qual è il classico dei classici? In realtà potrei rispondervi, pren- Mi piacerebbe saperlo. E infatti lo so. indurre un’essenza ectoplasmatica a dendovi per culo tutti, un qualunque Evolvendo nel volgare il verbo latino occuparsi dei miei desideri? C’è sicu“sapio” (= io so), come in tutti i casi ramente qualcosa sotto… iperonimo letterario.
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