NUMERO 03/2015 - RE-VOLVER PHOTOS, cultural magazine - Una pubblicazione RE-VOLVER - Tutti i diritti riservati
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Ruggero Passeri
Foglio illustrativo del farmaco “Re-volver” Principi attivi Re-volver opera per il conseguimento di scopi culturali, al di sopra di qualsivoglia connotazione politica e ideologica. Il sistema mass-mediatico deve porsi al servizio degli utenti finali e non del potentato economico. Re-volver conduce il lettore verso lo sviluppo autogeno di una coscienza, che si discosti dall’omologazione del senso comune. L’essere umano è l’opera d’arte più elevata: operiamo al fine di preservarla. Composizione “Re-volver”, inteso nella duplice accezione di “ritornare” e “rimescolare”, e legato al significato di “arma da fuoco”, è il marchio che contraddistingue la libera, piena e consapevole presa di posizione adottata da un gruppo di artisti, autori e valide maestranze chehadecisodifirmareleproprieopereconquestaetichetta.EsePasoliniritornòall’amata terzina dantesca rimescolandola con ingredienti contemporanei, allo stesso modo noi ci riapproprieremo della tradizione per poi rivolgere, come novelle lance donchisciottesche, le potenti armi di una cultura fieramente indipendente contro i moderni mulini a vento.
Terza idea innestata: nella composizione e diffusione di opere d’arte, la domanda giustifica l’offerta. Il malato rifiuta di comprendere da chi sia generata la domanda. L’arte è l’ingranaggio principe dei complessi meccanismi di potere. Se la disinformazione odierna deriva, oltre che dall’oscurantismo, anche dall’eccesso d’informazioni sbagliate in circolazione, allo stesso modo funziona l’arte: l’intero circuito che va dalla produzione alla diffusione (editoria, case discografiche e cinematografiche, gallerie d’arte, televisioni, giornali) permette la proliferazione di prodotti scadenti in modo che siano alla portata di tutti e che l’industria “artistica” ne giovi. Difficilmente vengono alla luce opere rilevanti, sia per inadeguatezza culturale del possibile acquirente, sia per i contenuti di denuncia verso la società che dovrebbe comperarle. In casi limite il malato, attraverso un percorso assimilabile a un’evoluzione schizofrenica della patologia, acquista la credenza autocertificata di essere un artista. Quarta idea innestata: L’Antisistema è contro il putiferio di menzogne di cui sopra.
Occorre quindi che “Re-volver” diventi un grido di protesta contro l’impoverimento del sapere e la perdita del ruolo sociale da parte dell’artista. Re-volver parte sempre dalla qualità dei contenuti e mai dalla tecnica fine a se stessa.
In casi rari il malato percepisce la possibilità di un’alternativa alle idee innestate. Ma ogni pentola a pressione ha la sua valvola di sfogo e quella della società è costituita dall’Antisistema. Quest’ultimo si esprime attraverso l’esistenza paradossale di opinion-leader che indirizzano il malcontento verso forme soft di ribellione: manifestazioni, petizioni senza futuro, forum di opposizione e tutto ciò che svuoti i malati del senso di colpa provocato dall’apatia.
Indicazioni terapeutiche e informazioni sulla patologia
Posologia – Dose, modo e tempo di somministrazione
Trattamento sintomatico di stati alterati della psiche sviluppati attraverso l’acquisizione d’ideesovrastrutturali.GeneratedalSistemaperipotenzialiservidelSistema,suddetteidee favoriscono il contagio più di qualsiasi altro virus: si diffondono tramite i media come una peste cibernetica ed entrano in ogni cervello rilassatosi nei meccanismi imitativi. Non c’è atteggiamento, gusto o pensiero che non sia influenzato da esse.
Leggere un articolo per volta, riflettere adeguatamente e criticare (ove necessario) ogni aspetto del contenuto e dello stile. Re-volver deve essere diluito nell’arco di tre mesi.
Sviluppo della patologia e sintomatologia - Quando deve essere usato Lo sviluppo della patologia si manifesta attraverso l’innesto psichico di visioni alterate della realtà.
L’utilizzo del farmaco Re-volver deve essere associato all’esercizio della propria coscienza. Non è voce fuori dal coro neanche questa rivista! La catarsi derivante dalla sua lettura potrebbe contribuire ad addolcirvi lo sguardo nei confronti delle sbarre invisibili che vi siete costruiti. Il messaggio è: non fatevi ingannare.
Prima idea innestata: la libertà equivale ad una confortevole prigione.
Controindicazioni - Quando non deve essere usato
Nelsuostatoallucinatorioilmalatotendeall’idealizzazionedicaseperfette,ultraaccessoriate, televisori che aspirano ad essere cinema, cucine-ristorante, bagni con idromassaggio, sauna, bagno turco e lampade abbronzanti. Si tratta del livello “Bara Famiglia”, per aspiranti cadaveri. Ma la solitudine non è sopportabile all’uomo, così si passa al secondo livello: la “Bara Popolo”, che porta a competere con chi possiede la macchina più veloce, la borsa più firmata, la laurea più costosa. Il simbolo fallico più fallico.
Qualora i pazienti non possedessero una coscienza critica, si raccomanda l’assunzione del medicinale solo dopo una rilettura dei Classici associata a un periodo d’isolamento.
Secondaideainnestata:lasceltadeiprodotticoncuinutrirsivarelegataalcarrellodellaspesa e alle pubblicità. Il malato tende a rimuovere il concetto basilare per cui la salute fisica dell’essere umano dipende da due principali fattori: ciò che respira e ciò con cui si sfama. Egli si accontenta di cibi che hanno subito, nel processo d’industrializzazione, un’epurazione dei valori nutritivi, un’aggiunta di quelli cancerogeni e un’accattivante vestizione profetica (“mangia %*ç°§: avrai un’energia da campione!”), esotica e - nei casi d’ipocrisia sfrenata - “casareccia”. Il malato si convince che l’abbondanza sia decisamente meglio della misura. Un’analisi sociologica del problema ha portato alla conclusione che, attraverso lo sviluppo epidemico di quest’idea, si è giunti ad un incremento della percentuale di diabetici, ipertesi, gastrolesi. Alle comuni industrie farmaceutiche fa comodo la disinformazione relativa all’alimentazione: malattia, medicinali e controllo sono tre elementi di un circolo vizioso dal quale è difficile uscire.
Effetti indesiderati
Sovradosaggio Un uso smodato del farmaco può indurre il malato a credersi intellettuale attivo, imprigionandolo in una forma mentis che, di fatto, lo rende passivo e ne intacca la lucidità. Sono stati riscontrati casi di diarrea, vomito, malattie psicosomatiche in genere. In casi isolati: morte immediata del precedente modello di pensiero e acquisizione di un modello alternativo che non si percepisce proprio e crea il rigetto del corpo ospitante. Scadenza e conservazione: Controllare la data di scadenza sul lato superiore della confezione. Tenere il medicinale alla portata dei bambini precoci.
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Ruggero Passeri
Ruggero Passeri – Virtù della decadenza di Luca Torzolini
Errante tra esistenzialismo e possibilità dell’essere, Ruggero Passeri si ritrova di colpo immortalato in una suggestione, nel raffinato furto di decadenze sociali satirizzate grazie all’ingegnosa composizione o nella poesia dell’essere che contempla l’abbondanza o la mancanza dell’essere in altri esseri. Livido dal tumulto del superficiale, vivido nella compostezza d’un monito a tratti pungente e a tratti quasi paterno, il fotografo narra tramite la raccolta di scatti intitolata “Kaput Mundi” il declino del mondo intorno a lui, un mondo che vorrebbe diverso e consapevole e cui dona la possibilità di osservare le proprie mancanze arrestando lo scorrere del tempo. Roma è una città decadente, spettacolarizzata tramite icone ad uso turistico, pornografica nell’assenza totale della capacità erotica e nell’indifferenza verso il sublime. È una città stanca, come una vecchia bagascia che conosce a menadito i vizi d’ogni suo cliente: gli scatti del fotografo ci mostrano spesso l’assenza di Roma dentro l’animo dei cittadini che ogni giorno dicono d’amarla in dialetto e con proverbi popolari. Uscendo dalla capitale, la luce impressiona ciò che cuore e mente passano a setaccio, creando liasons refrattarie all’omologazione, riluttanti la subalternità di tecnica e moda del fotografare. E se in alcune immagini possiamo avvertire la punta d’un’amarezza che se ci trascinerà nei suoi burroni non lascerà scampo alcuno, sarà altresì possibile giocare d’anticipo quando l’eroismo degli occhi di un bimbo ci farà sentire nuovamente in fasce, capaci di commuoverci e imparare. Così, spogliandosi dell’austerità di chi prende tutto per gioco, Ruggero ci prende in giro, si prende in giro e ci gira intorno: non è il sussiego estetico perfezionista o la macchina fotografica utilizzata a creare lo scatto, ma la capacità di aumentare o azzerare le distanze fra l’osservante e l’osservato. Simili esortazioni in diversi linguaggi e su altre tematiche provengono da alcuni degli artisti e degli intellettuali che Passeri ha incontrato nel proprio cammino. Il fotografo ha deciso di ritrarne fisicità, mimica, gestualità e gestione dello spazio svestendoli di ogni artificio della posa, cogliendo ciò che di analogo c’è fra lui e tutte queste belle menti: l’unicità.
D I VA G A Z I O N I D I D E N I S B A C H E T T I
La dama in nero suona come una fustigazione. Non che ve ne sia bisogno impellente ma sono ormai di certo sulle 15 decadi che si attende la fine della civiltà occidentale. Che se ne auspica l’annientamento da parte degli artisti; che gli ambientalisti la predicono: eppure, mi dico, ne faccio parte anche io di quella civiltà. Io che se ho il raffreddore certo non mi lamento ma con i valori sballati inserisco la retro nel garage e corro dal medico senza esitazione. Io salterei in aria domani se fossi sicuro di portarmi dietro tutti voi. Lo farei senza esitazione. Davvero. Dobbiamo andarci tutti però di là. Solo in questo caso lo farei. Lo so che vi parrà di volervi stupire ma in realtà ciò che penso è che non se ne può più di nulla. Figuriamoci dove mi attacco il vostro o l’altrui stupore. Commentare le immagini senza capire cosa significhino (...) Nulla. Ecco cosa significano le immagini. Nulla, nessuna di esse. E le mostre che continuino a mostrarsi, a perdita d’occhio, che continuino i colori e i gabbiani e le finte nude coi loro cicli e le formidabili bassezze da tv. Le immagini non hanno alcun significato ma ora, e qui una altrettanto formidabile notizia, le immagini non impersonano, richiamano, simboleggiano, vaneggiano nulla FUORCHE’ quello che vogliate loro attribuire attraverso un piccolo scatto del vostro animo indolente. Lo so, afferrare quel telecomando li sul tavolino vicino ai vostri piedi foderati in pantofole di feltro è così faticoso. Proprio ora che lei poteva farlo per me ma si è allontanata. Oltretutto la mia schiena duole dopo il calcetto. Orbene immaginate allora di essere sul punto del cross risolutivo della partita in tv, della stoccata in zona cesarini e nel dunque immaginate che la tv vada in panne per colpa del gatto o dell’antenna: saltereste su quel tavolino e fareste da parafulmine se necessario pur di non interrompere la visione. Rimanendo seduti ed apatici di contro mortifichereste i vostri istinti mentre balzando su performereste una delle peculiarità insita nel vostro animo: saltereste come nessuno ha mai fatto e franereste sul tavolino ferendovi in un modo del tutto originale. Ecco; questo gesto seppur biasimevole vi apparterrebbe del tutto e vi accorgereste d’un fiato che avreste dovuto filmarlo il vostro gesto; cosi, per compiacere gli amici: perbacco che capitombolo! Guarda qua! e tutti giù a ridere. Se proprio non ve la sentite di cavar qualcosa dalle immagini ebbene nutritevi e morite non prima di procreare e duplicarvi; ma se al contrario vogliate per un vezzo appartenere alla sfera dei sensibili, a quelli che colorano il mondo con gli scarti ed i calcinacci osservate questo scatto qui di lato ed iniziate da quello. Entrate in questa immagine. Voi, in pelle ed ossa, chiedetevi cosa stia accadendo nella scena ritratta e dopo esservi disgiunti da questa splendida realtà immaginaria tornate in voi e saggiate il potere evocativo di questa fantasia tattile, la sontuosa spregiudicatezza della donna in nero, l’iperbolica tenerezza di quel cane e risuonerà in voi finalmente quel monito a lasciar fiorire una volta per tutte gli odiosi campi verdi che colorano puntualmente ogni domenica sera le mura del salotto l’argenteria e quel che vi rimane dentro.
Siete saliti in carrozza orbene! Ci siete dunque, nevvero? Che bello avervi qui! Mi sento erudito finalmente, ignorante, sgrammaticato superficiale e pedante per quanto possa sempre ripetere che l’arte del sentire è una filosofia a cui conviene davvero abbandonarsi. Salite su dunque e mettetevi comodi. L’immagine del Parco della Valli ci riporta indietro, alla genealogia della fotografia, quando ancora prima di frapporre una sintassi si inquadra un luogo fitto di mistero e desolato come la terra perduta. Si tratta di un’immagine tanto più dichiarata quanto più inespugnabile nella sua risoluzione artistica. Inattaccabile come un bastione poderoso. È il luogo, l’odore della nebbia, la sublime assenza del carattere umano, l’impellente minacciosità dei vetusti condomini di periferia, quell’ultimo irriducibile barlume di poesia legato alla natura traviata a sospenderci in un “e ora che accade?” del tutto particolare. Notate la porosità atmosferica di questa visuale, quell’albero tuttofare che pare l’albero perfetto, l’esaustiva geometricità delle panche e delle linee d’ orizzonte che creano un frame sublime ed incantato. L’oggetto non si palesa, è tutto sottopelle. lo scatto perfetto lo definirei, il palcoscenico della commedia umana.
Ma si Passeri! Passeri! Quello del Kaputt che scatta la decadenza e ci sfancula a tutti. Quello della pantomima di una società un po’ così tra il mo t’ammazzo e me cojoni. Lo vedo in mezzo a piazzale Venezia a fare il vigile col fischietto parando quattro milioni di mezzi cha da via dei fori imperiali si precipitano verso di lui. Quattro milioni di motori, di frizioni e di puzza di sigarette. E cosa gli faccio adesso a questi? Niente gli fai, si fustigano tra loro inciampando e articolandosi come groviglio di cavalli in corsa che non correranno più. Niente gli fai Ruggero, muovi un passo indietro piuttosto. Fai questo al massimo, tanto non ne agevoli che l’autodistruzione, come la campagna di Russia, come quando uno si sloga un polso senza colpire, come gente amorfa in un emporio commerciale. Rimani fermo Ruggero che questi si inceneriscono da soli.
L’umanità ritratta nel corridoio infinito e omologante di questa istantanea ha un non so che di perentorio, di definitivo. I gesti ritratti sono gli stessi di migliaia di persone e forsanche le loro parole sono le stesse. Quelle pose accademiche che il bambino ha già catalogato il giorno del suo primo disegno; quel ruotare del criceto che ci rende duplici di noi stessi, mutuati in chissà quale nuova realtà o persi per sempre nei meandri escatologici del mistero. Questa è l’umanità imperante negli scatti di Ruggero. Gente che se li metti tutti insieme non formano una coscienza. Gente che crede di divertirsi, che ha bisogno di credere di divertirsi. Quest’umanità che puzza perché non pensa.
Giorni fa mi è capitato di pensare ad un libro la cui trama si articola attorno ad un nuovo concetto di libertà: quella ribaltata della gabbia dove se sei dentro sei libero perché non ti opprimono e se sei fuori sei paradossalmente in gabbia perché esposto al male del mondo. Degli uomini a pechino praticano arti marziali in un parco, si allenano al mattino saggiando le loro doti performanti, l’ articolazione dei movimenti , il respiro, l’autocontrollo, costoro sembrano autocompiacersi mentre un uccello in gabbia livido e sedimentato nella sua ignavia indotta non fa che respirare. Un ossimoro di disgustoso piacere se ne ricava, un’allegoria dei pazzi ove uccelli non toccano alberi ed umanoidi pensano di volare. La rivolta dei buoi ci sarà. Ci ridurranno in polvere.
Una Cina postmaoista rigenera come parietarie se stessa proponendo i suoi nuovi giovani cresciuti tra miasmi postideologici e nouvelle vague capitalistica. Leoni cavalcati al contrario pose sghembe e visi da tamagotchi in uno scenario suburbano di padiglioni a schiera e monumenti dirette reminescenze di antichi regimi. La semantica passeriana di arricchisce di nuove vesti di significato, all’ontologia umana sovente indagata alla metafisica dell’immagine uomo-natura o contro-natura si aggiunge qui il pastiche sociologico di una generazione senza senso ancora in cerca degli strumenti per una possibile lettura del mondo; una generazione quella ritratta che fotograferebbe anche l’interno fumoso di un cannone senza accorgersi del pericolo. Una fauna lontana ed inarrivabile sopra fiere che se si rinsavissero mostrerebbero maggiore compostezza e decoro.
L’immagine dell’uomo col cane e l’imponente architettura moderna della Chiesa sullo sfondo sembra un fotogramma in movimento rubato ad una pellicola cinematografica. La plasticità calcolata dei corpi, la loro didascalica idoneità rimandano ad istanze esistenzialiste legate alla noia e alla vacuità dei gesti ordinari. Un’immagine decadente di sottile suggestione.
I mali indotti dal benessere, la noia cotonata e al calduccio dell’emisfero boreale impatta la granitica infinita fiducia nell’uomo negli occhi di questo ragazzo indiano. Mirabile sotto l’ aspetto compositivo, questa istantanea è pregna dell’ operosa quotidianità orientale, di aria impastata di similodori, della incredibile Joie de vivre de la pauvreté.
Ludica e sparuta come una pernacchia nella tempesta. Il gruppo di anziani intenti a giocare alle bocce in spiaggia soggiace ad un intento di sottesa drammaticitĂ . I ventri gonfi disposti a schiera, impietosi e virili come quelli di certe divinitĂ orientali veicolano in modo subliminale la caducitĂ delle nostre significazioni antropologiche compresse qui tra frivola cognitivitĂ e legge gravitazionale.
Rieccoci indolenti riflessivi assorti, esposti al ludibrio dei campi magnetici, dilaniati dall’etere, risucchiati dalla spirale del nulla. Uno spleen al sapor di tamarindo. Questo guardasala colto durante una pausa rappresenta la quintessenza dell’ermeneutica passeriana. Si scorge in esso l’ atteggiamento mentale di pacata riflessione dell’autore, la sua amara disillusione, l’irriducibile flebile speranza nell’improbabile. Un tonno da pescare con una canna minima. La grammatica della composizione è ineccepibile. Un uomo volta le spalle a due volti di donna che di contro cercano conforto nello spettatore. L’estetica è in culla tra sublimazione di un concetto ed esaustività visiva.
Eccoci quissù nel cru del vigneto vita dove i grappoli sono più rigogliosi per via della terra, dell’aria e della giusta esposizione. In questo punto la brezza incontra altra brezza e il vino giunge in bocca più sapido, minerale, sottilmente complesso. Sembra di trovarsi nel fulcro quassù, quasi al centro della vita, come incastonato tra i 20 e i 30 anni nel mezzo di un delirio estivo di danza e fuoco dove tutti attorno a te sorridono, quando danzano anche gli anziani e ti accorgi di essere il soggetto di una storia, di essere nell’obiettivo di un fotografo che non sai cosa va cercando, uno capace di contare persino i respiri.
Il volto d’artista, la sua patente fisiognomica potrebbe di rado eguagliare da sola l’arrembante suggestione di vitalità creativa di questa istantanea. Il muso/ volto di agnello la sua ingenua proposizione a ritratto avallata dalla caparbietà dello sguardo d’artista parla da sé. L’arte può uccidere vi si legge, ma non oggi, oggi canteremo.
Un uomo e la sua pietra. Stretta in una vertigine creativa, nell’attimo stesso del concepimento o della contemplazione dell’ opera creata, l’espressione mimica dell’ artista palesa la religiosa dedizione al mezzo scultura. La poderosa riservatezza che si instaura tra la materia e l’uomo, l’ inviolabile dimora dei suoi segreti. Un’immagine testimoniale, assoluta, di intima compostezza.
Un uomo in tutta la sua arrendevole spontaneità siede su un trono palesando nella posa e nello sguardo l’umiltà della sua condizione. E’ un ritratto d’artista di straordinaria energia empatica ove la deliberata rinuncia ad ogni compiacenza estetica - il soggetto decentrato su tutte - risulta funzionale alla cerebralità idealmente instauratasi con lo spettatore.
È uno splendido ritratto d’artista quello propostoci da un angolo visuale in cui la compattezza della veste coreografica pare appendice della figura erudita dell’intellettuale in primo piano, il suo prolungamento, il suo decorso intellettivo immortalato qui in scansione quasi cronologicamente catalogata. Non vi è posa ma incessante attività: pensiero parola movenze esatte.
Estivo e Faunesco il tuo nome, come disse Moravia. Ci troviamo legati alla tua corda per via di quella poesia del mare: Ci hai guidati tu in questo ottanio che talvolta si fa blu cobalto, ricordi? Tu caro Silvano che rifuggi vizi con appassionato rigore potresti mai descrivere te stesso? Potremmo noi mai istruiti dal tuo verbo disegnare l’esattezza del tuo volto? rendere il tuo sguardo indagatore, e infine narrare di te, della tua passione madida ed operosa?
Scevra da inneschi o rinforzi estetizzanti la ritrattistica passeriana è post-aneddotica, post-tecnicistica, pre-serale; tiepida come lo scrittore all’ora del crepuscolo: ben disposta e leale, ella veicola fedelmente gli incespichi mentali degli artisti attraverso i loro sguardi guizzanti, la fisiognomica tradita, il sussiego profanato e demolito, le dimore e il vestiario di gente silenziosamente laboriosa.
Roma Kaput Mundi
di Ruggero Passeri
Non più Caput, ma Kaput: quasi esausto, quasi rotto. La kapitale è stanca, sfinita, guasta. Duemilioniemezzo di veicoli, tremilioniemezzo di abitanti, quattrocento chiese cattoliche contro quaranta ospedali, poliziotti e carabinieri a bivaccare a mucchi intorno alle sedi del potere politico. Tutti gli altri a girare in tondo per andare a scuola, in coda per andare al lavoro, per mangiare al Mc Donald, per il giro di sabato al centro commerciale, per entrare allo stadio, per andare a puttane. E ancora e sempre turisti in bermuda, mandrie composte e compatte che entrano ed escono dai musei, da quelle famose quattrocento chiese, dagli alberghi di Expedia, dai ristoranti menù turistico col cameriere in agguato sul marciapiede che – tovagliolo sull’avambraccio –cantilena: “hallo plis – kamin – tek e tebl – verigud italian fud”. Gente che gira sempre, notte e giorno, gente che non si sa che fa, gente che non fa niente, gente che si fa anche troppo. Commercianti incazzati, ragionieri griffati, impiegati inutili di ministeri inutili, motoscooter e suv, tanti, troppi, grandi, lucidi, assurdi, ridicoli suv. E ancora: palazzi dello stato, ministeri, dicasteri, planisferi, il vaticano, borgo pio, ior, depropagandafide e tutti i vari santi, santalessio sangiovanni santandrea sanpietro sanclemente sangiacomo sanpaolofuorilemura santamariamaggiore sannoquelchefanno sanatorio sannita sunnita sanculotto cianculetto vaffanculo. Cocaina discount, tatuaggi, ciabatte infradito, signore mesciate che guidano col telefonino in mano masticando gomma americana alle otto e mezzo di mattina; angosciante plebe della domenica negli ipermercati, turisti in fila davanti al negozio di Gucci in via Condotti. Tutto questo un giorno sarà sepolto da una risata, la nostra stupidità sarà monito a future generazioni. Non succede più niente a Roma. Si muore di ordinaria noia, di volgarità. Perfino i monumenti cominciano a sembrare finti. Forse sono falsi, a scuola ci hanno raccontato cazzate. La Storia, del resto, non serve a niente: l’essenziale è non perdere i saldi di fine stagione. Roma è finita, è kaput. Kaputmundi. Non lo hanno mai ammesso, non si dice, ma deve essere che una notte Cinecittà è fuoriuscita, ha esondato lentamente nel resto della capitale, tutto è stato contaminato e ormai è un set ovunque. Passi davanti a giacchecravatte di grezzi autisti di autoblù parcheggiate sui marciapiedi del centro e non vedi alcuna differenza tra le loro facce senza sorriso e gli identikit dei camorristi in Tv. Cardinali di Santaromanachiesa con facce da palazzinari, palazzinari con facce da cardinali, forse sono solo cambi di costume sul set. Il reality della kapitale. Ma io sono uno snob, non voglio recitare. Cerco di registrare la faccia vera di questi tempi strani. Mi affascina guardare quello che accade, mi è ridicolo il solenne, mi è sacro il banale. C’è uno spettacolo in corso, reciti chi vuole. Io sono il fotografo di scena.
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