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La torre del vento di Bolzano
Polins dello Studio Marco Acerbis
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Michele De Lucchi sul Mar Nero
Una nuova idea di fabbrica
19 Marco Ferreri tra arte e design
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www.ioarch.it
Anno 5 - n°35 - ottobre 2010 - euro 3,20 - Pubblicità: Font srl via Siusi 20/a 20132 Milano - tel. 02 2847274 fax 02 45474060 - pubblicita@fontcom.it - Sped. in abb. postale 45% D.L. 353/2003 (conv. in L. 27.02.2004 n.46) art. 1, comma 1, DCB Milano
La forma
della tecnologia
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alcolo e automazione, due settori in continua crescita e la cui evoluzione sta avendo conseguenze concrete sulle tecnologie con cui si progettano e realizzano opere di architettura. La capacità di calcolo è il motore trainante di questa rivoluzione. Un computer di 30 anni fa, grande quanto una stanza, non era a in grado di svolgere operazioni banali ed oggi alla portata di un semplice cellulare-palmare. Il Finite Element Method (FEM), ad esempio, ora gestibile da convenzionali PC e programmi freeware, permette calcoli strutturali o fisico-tecnici e soluzioni in precedenza inimmaginabili. Raffinati concetti di biomimesi come la Soft Kill Option (SKO), principio secondo il quale in natura qualsiasi elemento ridondante viene eliminato, sono oggi applicabili grazie specifici software, a strutture o a prodotti di disegno industriale. Da soluzioni informatiche dipendono tecnologie di comunicazione, che a loro volta permettono flessibilità, tempi e logistiche nel lavoro terziario differenti rispetto al passato e pertanto, nuove esigenze, nuove tipologie e nuovi spazi. Macchine del tipo Computer Aided Machine (CAM) consentono infine di realizzare oggetti o perfino edifici, come nel caso dei grandi plotter 3D di tipo “Contour Crafting”, in breve tempo e in modo del tutto automatizzato. Molte traslazioni paradigmatiche in architettura, la più recente l’Architettura Moderna, sono state spinte da innovazioni in campo tecnologico. Nonostante il recente proliferare di forme gratuite ed arbitrarie, promosse forse più da logiche di mercato e di apparenza che non da una reale comprensione del contesto tecnologico e dei metodi di produzione, la tecnologia apre ancora una volta nuove frontiere progettuali. L’estensione di queste frontiere e la fondatezza di nuove soluzioni dipende principalmente dalla capacità dei progettisti. Carlo Ezechieli
carlo ezechieli intervista Matthias sauerbruch
Sbarco a venezia
Lo studio tedesco Sauerbruch&Hutton si è aggiudicato il primo premio al concorso per il progetto di M9, il Museo del ‘900 a Mestre. Matthias Sauerbruch ci racconta, insieme alla sua filosofia di lavoro, a pagina 3 >>> il motivo per il quale Mestre non poteva essere un luogo più adatto per questo progetto
nuovi architetti / carlo ezechieli
Pensiero verticale La torre come self-contained city: un lavoro di tesi che è valso a Filippo Martines il premio Nardi ’09
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e tesi di laurea sono spesso un’occasione di messa a punto delle teorie e degli interessi dei docenti. Altrettanto spesso sono motivo di noia o la proposizione di ipotesi fantasiose, neanche lontanamente affrontabili in altre sedi. E più raramente, pur con soluzioni ambiziose e di non facile realizzazione, sono proposte brillanti capaci di esprimere, con un eccellente lavoro di sintesi, le condizioni che caratterizzano la nostra epoca. Alla luce di queste considerazioni, la tesi di laurea di Filippo Martines, vincitore nel 2009
del Premio Nardi, è sicuramente un caso notevole in termini di innovazione e di riscoperta della tipologia della torre. Innanzitutto si parla di torre non tanto in termini di “bigness”, di semplice immagine e di puro mercato come sembra essere la tendenza oggi prevalente, ma in termini di sperimentazione tecnologica e di proposizione di nuovi modelli abitativi. La torre contemporanea diventa in questo lavoro di tesi una vera e propria self-contained city: un sistema abitato compatto, caratterizzato a pagina 2 >>>
in principio c’è la conchiglia Produrre cemento e materiali per l’edilizia sottraendo anidride carbonica all’ambiente. In natura “si costruisce” così
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a produzione di cemento è responsabile del 5% circa delle emissioni di anidride carbonica (CO2) dovute alle attività dell’uomo. Per produrre una tonnellata di cemento la quantità di CO2 emessa è stimata tra 0.8 e 1.1 tonnellate. Tali emissioni sono dovute per il 40% circa al combustibile fossile utilizzato per “cuocere” le materie prime nei forni e per il restante 60% al processo di calcinazione che trasforma il calcare in calce. Da molti anni si discute della necessità di ridurre le emissioni di questo gas ormai unanimemente riconosciuto come uno dei maggiori responsabili del surriscaldamento globale del pianeta. a pagina 5 >>>
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Pensiero verticale >>> dalla prima pagina
dallo stesso livello di complessità e di ricchezza spaziale e funzionale propria di una città tradizionale. Viene dedicata particolare attenzione al sistema dei percorsi interni, non solamente ascensori ma viali pedonali: un nastro continuo, formato da un sistema di piani inclinati, che connette luoghi residenziali, spazi di interesse comune (piazze, scuole), spazi verdi, terrazze e luoghi di produzione. La torre, pensata come una configurazione edilizia complessa, è anche un sistema compatto e pertanto estremamente efficiente, in grado di trasformare
materia ed energia. La ricchezza dell’articolazione architettonica interna è un altro aspetto importante, ma forse la caratteristica più affascinante ed innovativa di questa proposta progettuale è la possibilità di montaggio tramite sistemi meccanici ed automatizzati. Il dibattito, recentemente molto vivo, sulla prefabbricazione e sull’automazione in edilizia si affida ampiamente a capacità di calcolo sempre maggiori che permettono di controllare e creare macchine evolute al punto di intervenire direttamente nelle lavorazioni e nei processi di costruzione. In questo caso, la struttura composta da grandi moduli a traliccio conferisce
Il macro alup (aIr lIft up) system Nella sua tesi Filippo Martines ha messo a punto una nuova tecnologia costruttiva: una struttura costruita interamente a terra che si auto-posiziona nelle sue coordinate spaziali di progetto. Con la collaborazione dell’architetto Dante Bini (Binishells, Los Angeles), che dagli anni Settanta ha realizzato 1.600 cupole in tutto il mondo utilizzando membrane gonfiabili, dell’ingegner Gianfranco Tei della Sapienza di Roma, dell’architetto Riccardo Peroni e della sede di San Francisco di SOM (Skidmore, Owens & Merrill) ha messo a punto il prototipo funzionante in scala 1:400 pubblicato in prima pagina. A fianco, gli schemi che ne illustrano il funzionamento:
La tesi prende in esame Parigi, per la quale Filippo Martines immagina una conclusione in verticale (nel render a sinistra) dell’asse irrisolto che dagli Champs Elisées conduce alla Defense. La ricerca di una forma iconica coincide con la suddivisione del macrosistema urbano in microsistemi sviluppati in verticale. Non solo campus universitario ma, nell’attacco a terra, servizi per la città circostante. Sopra, uno degli schemi di massima della suddivisione delle funzioni nella torre con, in verde, le fattorie verticali impostate secondo i principi dello zero waste per la produzione di cibo a basso costo. Sotto, dalle tavole della tesi, le Grande Arche oggi, come potrebbe apparire nel 2015 e, nella visione di Martines, nel 2050.
6. Serrati pattini e cerniere di B e A2 e rimossi i tiranti, la pressione pneumatica solleva l’elemento A1. In seguito verrà costruito il solaio del modulo B, su cui verranno posati gli argani che porteranno in quota i sottostanti solai assemblati a terra, assicurati alle travi reticolari per mezzo di tiranti e opportunamente controventati. Successivamente si eseguirà la gettata di calcestruzzo e l’installazione degli impianti. 5. Arrivato in posizione, il modulo A1 viene tirantato di nuovo e al suo sistema pneumatico applicata una depressione. Poiché le cernirre del modulo B sono serrate questo può traslare solo in verticale. Nel frattempo una pressione pneumatica spinge verso l’alto il modulo A2, che si apre mentre B trasla verso l’alto e A1 si chiude. Completata l’operazione, il nucleo centrale viene collegato alla struttura esterna mediante travature reticolari. 4. Serrati pattini e cerniere del modulo B e sganciati i tiranti del modulo A1, questo viene alzato mandando in pressione il suo sistema penumatico. 3. Il modulo A1 viene tirantato ai piloni centrali e tende a chiudersi verso l’alto, portando con se il modulo B, aiutato nel sollevamento dal sistema pneumatico. 2. Il modulo A1 viene sollevato mediante tecnologia pneumatica o idraulica: una volta in posizione, cerniere e pattini vengono serrati, rimanendo in piedi per forma. 1. Poggiati sul terreno i primi tre moduli si inizia lo sviluppo verticale con la cotruzione dei piloni del nucleo centrale.
un disegno e una misura alla facciata esterna. Ognuno di questi grandi tralicci è, nel progetto e nel modello in scala, una struttura automontante azionata da martinetti idraulici. La torre si apre a pantografo permettendo tempi rapidi di costruzione e un apporto limitato di manodopera. Operando un eccellente lavoro di sintesi tra arte del costruire, urbanistica e soluzioni tecnologiche particolarmente evolute, la tesi di Filippo Martines ripropone finalmente un approccio capace di considerazioni di tipo tecnologico-realizzativo, un’attitudine da cui l’architettura è rimasta ormai per troppo tempo slegata.
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Sbarco a venezia >>> dalla prima pagina
Da molti suoi progetti, da quello per Piazza Maciachini a Milano a quello, vincitore del concorso, per M9 a Venezia, la cosa che emerge in modo più immediato è il particolare trattamento dell’involucro e della facciata. Da cosa deriva? Credo sia una buona idea comparare il progetto del M9 con quello di Maciachini. M9 è un progetto che deve ancora iniziare e i colori saranno probabilmente differenti dal disegno iniziale, mentre Maciachini ha attraversato più o meno lo stesso processo fino ad arrivare alla sua configurazione attuale.
che economici. Credo infine che il coinvolgimento emotivo della gente sia fondamentale anche per quello che riguarda il futuro dell’edificio in termini di appropriazione e, pertanto, di cura dell’opera in futuro. Le città europee sono piuttosto sobrie in termini di colore: Milano è una di queste. Se il vostro obiettivo è la continuità con il contesto, perché l’utilizzo di superfici quasi “grafiche”, che possono essere interpretate come volontà di
Come si sviluppa il progetto del M9? Mi piace particolarmente Mestre, credo perché Venezia è ormai da tempo un cliché che è possibile trovare replicato quasi ovunque: da Las Vegas, al centro commerciale, al ristorante. Venezia stessa è finita per diventare una sorta di caricatura di sé stessa. Mestre è l’estremo opposto: è il luogo dove la gente vive, la città si trasforma, quello che è, in una parola è più genuina. Per di più è una situazione dove qualsiasi
Quali sono le caratteristiche del vostro progetto? L’area di progetto è caratterizzata da un certo disordine tipologico edifici di 5 piani, di 3, di 2 o di uno affastellati senza logica apparente. L’idea è stata pertanto quella di progettare qualcosa che fosse in grado di confrontarsi con tutto questo, ma che allo stesso tempo fosse riconoscibile, con una facciata a “pixel” e con molte reminiscenze futuriste. Abbiamo pensato al cemento, come un materiale
Perché il colore negli edifici? Perché no? C’è un repertorio immenso di architetture policrome dell’antichità, dai greci ai romani, come in molte notevoli architetture del XX secolo. Il colore è un elemento che si rivolge direttamente alle emozioni della gente, le persone reagiscono emotivamente, e questo significa che il suo è un impatto piuttosto forte. Utilizzo spesso il colore allo scopo di ricreare un’atmosfera. Maciachini, ad esempio, si inserisce in una realtà milanese articolata e multicolore - con vecchie zone industriali, frammenti di quartieri, tessuti molto differenziati - il colore corrisponde a queste condizioni multiple, è funzionale alla composizione e si orienta secondo scelte precise. Vogliamo fare un’architettura rivolta alla gente e che sappia risvegliare emozioni. Quali sono le caratteristiche fondamentali della sua architettura? Siamo molto interessati alla sostenibilità. Questo in modo non inteso solamente in senso tecnico/ tecnologico, ma in una visione che coinvolge il luogo e le preesistenze. La maggior parte dei nostri progetti si inserisce e riferisce alla cultura europea e il nostro obiettivo è quello di confrontarci con situazioni preesistenti nell’intento di migliorarle. Questo, pur continuando nella tradizione di quanto abbiamo incontrato. È un po’ come aggiungere alla città un nuovo livello, un nuovo strato culturale. Per quanto riguarda la questione sostenibilità in termini tecnici, progettiamo edifici ad alta efficienza: che richiedono poca energia, che si affidano alla luce solare e che, in sostanza, puntano a migliorare il rendimento dell’edificio sia in termini ecologici
In copertina e sopra il titolo, render del progetto vincitore del concorso per il Museo del Novecento di Mestre; qui sopra, un particolare del Mac Center progettato da Sauerbruch sull’area ex-Carlo Erba a Milano (foto Andrea Buttarello - http://flickr.com/ buttha).
Sauerbruch hutton Matthias Sauerbruch (Costanza, 1955) si laurea all’Architectural Association di Londra. Dal 2008 è docente incaricato alla Graduate School of Design di Harvard. Fino al 1988 ha lavorato per Rem Koolhaas in OMA. Louisa Hutton (Norwich, 1957), nel 1985 si laurea all’Architectural Association di Londra, dove insegna fino al 2001. Dal 2008 è docente incaricata a Harvard. Fondato nel 1989, lo studio Sauerbruch Hutton di Berlino conta oggi circa 80 collaboratori. Tra i lavori più noti, la sede generale della GSW di Berlino (1999); l’istituto di ricerca farmacologica a Biberach (2002); la Federal Environmental Agency a Dessau (2005), il museo Brandhorst a Monaco (2008), il complesso per uffici e spazi commerciali Mac a Milano (2010).
Il museo del ‘900 Spazio espositivo, mediateca-archivio: 8.000 mq., volumetria 40.000 mc, sull’area dell’ex caserma Pascoli Accanto l’ex convento benedettino, poi caserma e distretto militare, sarà trasformato in un piccolo centro commerciale urbano di 4.500 mq. L’immobile Poerio-Brenta Vecchia ospiterà unità commerciali e direzionali su 4.400 mq Al concorso di progettazione, comprendente anche l’ex convento benedettino, sono stati invitati sei studi: oltre a Sauerbruch&Hutton: David Chipperfield, Eduardo Souto de Moura, Mansilla+Tuñón Arquitectos, Massimo Carmassi, Pierre-Louis Faloci.
astrazione dalla tradizione? La tradizione non è questione di imitazione o di ripetizione, ma di comprensione profonda. Il progetto contemporaneo di Milano deve chiaramente soddisfare esigenze molto diverse rispetto al passato in termini di funzionalità e rappresentazione. Da questo punto di vista condivido pienamente l’approccio di Aldo Rossi, caratterizzato da un’attenzione particolare alla tipologia e alla continuità con il preesistente intesa in senso fondamentalmente morfologico. In quale delle sue opere si identifica di più e perché? Ogni nostro progetto credo sia come un bambino, ognuno ha la sua storia e la sua personalità. Crescono, e noi cresciamo con loro. A tutti i progetti dedichiamo lo stesso identico impegno ed è davvero difficile fare differenze. E quali sono le sue influenze principali, sia in architettura che in altri campi? Siamo molto interessati alle arti visive, senz’altro di più, ad esempio, che alla letteratura o alla musica. Ci sono ovviamente diverse influenze classiche ed imprescindibili come Le Corbusier, Mies o Walter Gropius, ma non credo che ci sia una fonte univoca. Dobbiamo infine molto anche alla nostra formazione: Louisa (Hutton, socia di Sauerbruch, NdR) ha lavorato per diversi anni con Alison e Peter Smithson, io per cinque anni a OMA.
intervento di trasformazione non può far altro che migliorare la situazione esistente. Credo che l’idea di realizzare il Museo del XX Secolo proprio a Mestre sia particolarmente azzeccata, anche perché Mestre, nel bene o nel male è proprio un prodotto del XX secolo.
interessante da combinare con le piastrelle: un materiale grezzo con materiali più rifiniti. Il piano terreno è molto trasparente, aperto all’accesso pubblico, mentre i piani superiori sono dedicati all’esposizione.
Flash alessandrobelgiojoso PyongYang, Corea del Nord, 2010 Le strade vuote deserte sempre più, leggo il tuo nome ovunque intorno a me (“Città vuota” di Pino Cassia, cantata da Mina, 1963)
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brevi / camilla morlacchi
Legno contemporaneo
Sistema d’autore Metra
Sempre più numerosi gli architetti che progettano con il legno, come Matteo Thun (indimenticata la sua casa Heidis), Alberto Cecchetto, Piero Lissoni, Ezio Riva e Gerardo Sannella, che hanno presentato i loro progetti al convegno organizzato lo scorso 5 ottobre a Milano dal Gruppo Rubner, la holding sud-tirolese che dalla prima segheria di Chienes nel 1926 ha fatto del legno come materiale da costruzione una missione, dalle prime blockhaus alle grandi strutture in legno lamellare. Ultimo riconoscimento il Social Housing Award 2010 per i 220 moduli abitativi temporanei costruiti a L’Aquila da Rubner Objektbau. www.rubner.com
Premiazione ufficiale lo scorso 8 ottobre, sulle rive del lago d’Iseo, per i vincitori della XVIII edizione del Premio Internazionale Sistema d’Autore di Metra. 26 premi per 4 categorie di realizzazioni e una menzione speciale fuori concorso per il nuovo ingresso polifunzionale dello stabilimento Metra (arch. Cadeo, vincitore anche per il Centro Studi Paolo VI di Concesio, con Studio Pasotti). Tra gli altri progettisti premiati: lo studio Garretti per l’Edison Project di Sesto San Giovanni, Caputo Partnership per il Palazzo di Regione Lombardia a Milano, Massimiliano Fuksas per il centro residenziale/direzionale “28 Duca d’Aosta” di Brescia, Werner Tscholl per il recupero di Cascina Tregarezzo come ampliamento della sede Mondadori di Segrate (MI). Tra gli installatori due premi a Focchi (Regent’s Place a Londra e Edison Business Center) e un premio a Bluesteel per le facciate a doppia pelle della torre Le Ksar ad Algeri. www.metraarchitettura.it
La Corea è vicina “Corea: un viaggio impossibile?” La risposta al titolo della mostra del nostro fotografo Alessandro Belgiojoso (una foto a pag. 3 di questo numero) è no se dopo Seoul gli scatti fotografici, realizzati in due anni di lavoro tra Sud e Nord, dal 20 settembre sono esposti a PyongYang, superando quel 38° parallelo che sembra ancora invalicabile; scatti attraverso i quali si leggono sia le differenze economiche e urbanistiche sia le vicinanze di usi e costumi lungo tutta la penisola. Con il patrocinio dal Ministero degli Esteri, l’anno prossimo l’esposizione arriverà in Italia. www.belgiojoso.com/alessandro
Design Matters a Lambrate Prosegue fino al 20 novembre la prima personale italiana di Makkink & Bey. Lo studio, fortunato incontro tra il designer Jurgen Bey, che ha fatto parte del collettivo Droog, e l’architetto Rianne Makkink, è nato a Rotterdam nel 1992 e ha ricevuto numerosi premi di rilievo. I suoi lavori, riconoscibili per le soluzioni formali che sottolineano la relatività del design, che esiste solo in quanto inscritto in una dimensione storica, culturale, di relazioni e interessi economici, sono stati esposti tra gli altri al Centre Pompidou di Parigi e al Victoria&Albert Museum di Londra. Da Plusdesign, in via Lambrate 6, a Milano, dove sono in mostra anche gli oggetti d’arredo prodotti in edizione limitata dalla galleria di Lilia Laghi e Mariano Pichler. www.plusdesigngallery.com
Concorso per un bicchiere Si rivolge esclusivamente a iscritti o diplomati di PoliMi, IUAV, facoltà di architettura di Firenze, ISIA, IED Milano e Firenze e Domus Academy il concorso di design indetto da Convivium, società di catering fiorentina che festeggia così i suoi primi 30 anni, con la collaborazione di IVV – Industria Vetraria Valdarnese e Ex3 Centro per l’arte contemporanea Si tratta di disegnare, seguendo i parametri tecnici del bando, un bicchiere che diventerà oggetto personalizzato Convivium per i banchetti organizzati dalla società e, nella versione neutra, entrerà nella collezione IVV. Iscrizione e consegna dei lavori entro il 15 novembre 2010, bando su www.ivvnet.it.
Il fotografo Peressutti Come gli altri soci dello studio BBPR, Peressutti non si limitò all’architettura e nella sua esplorazione delle forme espressive praticò anche la fotografia. In mostra fino al 15 ottobre a Venezia, a cura di Serena Maffioletti, docente IUAV, 88 degli oltre 300 scatti realizzati negli anni Cinquanta in Puglia da Peressutti che, fotografando l’architettura spontanea mediterranea, gli oggetti, gli spazi e le azioni dell’uomo ne documenta l’armonica unitarietà, insieme società e paesaggio. Ai tempi in cui insegnava a Princeton Peressutti presentò quelle immagini a un convegno dell’Industrial Designer’s Institute. Immagini che entusiasmarono anche Le Corbusier.
Arte e restauro a Firenze Dall’11 al 13 novembre alla Stazione Lepolda a Firenze la seconda edizione della manifestazione che riunisce cultura e ricerca scientifica, sapienza artigianale e formazione specialistica per la conservazione e la cura dell’immenso patrimonio artistico italiano. Informazioni su www.salonerestaurofirenze.org.
Lea Pelivan Toma Plejic, photo by Robert Les
Iniziativa congiunta della Commissione Europea e della Fundació Mies van der Rohe, il premio viene conferito ogni due anni a lavori realizzati in Paesi che rientrano nel programma europeo Culture 2000. Vincitore della V edizione (premio di 60mila euro) è risultato Snøhetta per il teatro dell’opera di Oslo. Menzione speciale di 20mila euro a Studio Up per il il Gymnasium 46º 09’ E di Koprivnica, Croazia (nella foto). La mostra itinerante è in Triennale a Milano fino al prossimo 31 ottobre (mar-dom 10,30/20,30). www.triennale.org
Arrivano le Eco-Pa(n)ck Design del riciclo quello di Matchbox, Nuvola, uRbik, Favelas, Floating Paper, Retrò, le sei panchine donate il 2 ottobre da CONAI - Consorzio Nazionale Imballaggi - a 21 città italiane. Progettate da Giulio Patrizi, le Pa(n)ck sono arredi urbani divertenti, colorati, funzionali ed eco-friendly, realizzate con materiali derivanti dalla raccolta differenziata e dal riciclo di acciaio, alluminio, carta, legno, plastica e vetro. Su ogni seduta sono incise, serigrafate o stampate le 10 parole chiave di ogni raccolta differenziata di qualità: separa, riduci, dividi, togli, differenzia, controlla, riconosci, conferisci, introduci, ricorda.
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Ambientelab Nata lo scorso settembre, Ambientelab si propone di promuovere l’etica, la qualità e la sostenibilità ambientale nel settore delle costruzioni. Ambientelab si presenta a progettisti e imprese di costruzioni come punto di riferimento tecnico nel settore delle prove, dei controlli, dell’ispezione, della ricerca e della certificazione dei materiali. Le società che ne fanno parte - ICMQ (certificazione dei materiali), CET Servizi (prove fisico-chimiche), Museo Civico di Rovereto (sostenibilità ambientale e geofisica) e SEA (analisi chimiche dei terreni, acque, polveri e rifiuti), possiedono inoltre le conoscenze e le tecnologie necessarie per sostenere progetti di ricerca e innovazione dei prodotti e dei processi produttivi. www.icmq.it
AutoCAD su Mac Ci sono voluti 18 anni ma finalmente è ritornato. AutoCAD nativo per Mac OSX è la grande novità che Autodesk presenta a SAIE. E siccome nel frattempo il mondo (e anche il Mac) è cambiato, sono già pronti anche SketchBook e AutoCAD WS, una app gratuita per visualizzare e modificare file DWG direttamente su iPhone e iPad (80.000 download nel solo giorno del rilascio). I device mobili non sono una semplice estensione della collaborazione in remoto ma una nuova opportunità per operare direttamente sul campo, acquisire rilievi, svolgere analisi, confrontare banche dati con situazioni reali. È la lunga strada del BIM (Building Information Modeling), che nasce per gli architetti ma si rivela di grande utilità per le imprese (la metà delle imprese di costruzioni negli USA utilizza strumenti BIM, una crescita del 75% in due anni) e per i proprietari e i gestori di immobili, che con il BIM potrebbero identificare, visualizzandole in forma grafica, le possibili criticità della suc-cessiva manutenzione insite nel progetto di un edificio. In altre parole, più che un software BIM è un processo, tanto più vantaggioso ed efficiente quanto più adottato fin dalle prime fasi di sviluppo in forma collaborativa da tutti gli attori della filiera: architetti, ingegneri strutturisti e impiantisti, contractor e committenti. www.autodesk.it
Premio Mies van der Rohe
La gara di arte muraria tra squadre di mastri e apprendisti muratori sta diventando una grande attrazione di SAIE: la finale nazionale tra i vincitori delle selezioni regionali, ripresa lo scorso anno da 20 televisioni, si svolgerà quest’anno nell’ambito della rassegna bolognese sabato 30 ottobre. Merita ricordare che non è solo spettacolo: le selezioni regionali si svolgono sempre a conclusione delle Giornate della Formazione in Edilizia previste dal CCNL di categoria e organizzate da Formedil, l’ente nazionale per l’addestramento professionale in edilizia. Di cui c’è tanto bisogno.
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Direttore Carlo Ezechieli Direttore responsabile Sonia Politi Comitato editoriale Myriam De Cesco, Antonio Morlacchi redazione Nadia Rossi, Marcela Velazquez, Alice Orecchio, Camilla Morlacchi Grafica e impaginazione Roberta Basaglia Collaboratori Daniela Baldo, Alessandro Belgiojoso, Atto Belloli Ardessi, Mara Corradi, Davide Crippa, Alessandro Ezechieli, Alice Gramigna, Nora Fumagalli, Marco Penati, Joe Zaatar, Mariella Zoppi © Diritti di riproduzione riservati. La responsabilità degli articoli firmati è degli autori. Materiali inviati alla redazione, salvo diversi accordi, non verranno restituiti.
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Render tridimensionale di una città esistente con l’inserimento del progetto di un nuovo grattacielo. Software 3ds Max (render courtesy di Spine3D).
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In principio c’è la conchiglia >>> dalla prima pagina
L’industria del cemento potrebbe dare un contributo importante, se le nuove tecnologie che hanno cominciato ad affacciarsi nel settore negli ultimi anni saranno impiegate su larga scala. C’è chi la considera una svolta epocale. La biomimesi (disciplina che studia le caratteristiche degli esseri viventi come modello per il miglioramento di attività e tecnologie) è stata il punto di partenza. In natura, nei mari e negli oceani piante e animali (per esempio coralli e conchiglie) costruiscono il loro scheletro fatto di carbonati usando i cationi Magnesio e Calcio presenti in abbondanza nelle acque marine sotto forma di sali disciolti e la CO2 anch’essa presente disciolta nelle acque. Sottraggono quindi anidride carbonica dall’ambiente intrappolandola in un composto solido e stabile.
Quello che avviene in natura è stato preso come spunto per la ricerca e lo sviluppo di processi innovativi per produrre cemento, aggregati e altri materiali per edilizia ad impatto zero o addirittura a bilancio negativo di CO2 . Il principio base su cui si fondano è l’impiego di nuove fonti da cui attingere le materie prime: - acqua del mare per avere calcio, magnesio; - emissioni gassose provenienti da centrali elettriche o legate al ciclo dell’acciaio e del carbone. Questi gas normalmente dispersi in atmosfera sono ricchi in CO2 e non solo. Le ceneri leggere derivanti dalla combustione del carbone contengono ad esempio silice, ossido di calcio,
minerali ferrosi, anidride solforica, metalli, etc. Proprio quei componenti che con fatica e costi elevati provengono dall’attività estrattiva: - la combinazione in maniera opportuna di questi elementi per produrre in prima istanza materiale calcareo ma anche aggregati e materiali di tipo pozzolanico con proprietà idrauliche, che mimano le caratteristiche del cemento per come lo si conosce oggi; - processi chimico-fisici integrati, efficienti dal punto di vista energetico e sostenibili economicamente per ottenere il risultato desiderato. Germano D’Arasmo* * Chemistry Senior Research Scientist
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Illustrazione courtesy of Spiegel Online: www.spiegel.de
solidi legami Trasformare l’anidride carbonica in cemento
1) Invece di disperdere i gas serra nell’atmosfera attraverso le ciminiere, uno stabilimento a Moss Landing, in California, li convoglia nell’acqua marina.
2) Legandosi con il calcio e il magnesio contenuti nel sale marino, l’anidride carbonica si trasforma in carbonati. Per ogni tonnellata di massa fangosa così prodotta, mezza tonnellata di CO2 viene sottratta all’atmosfera.
3) Un processo di essiccamento che utilizza il calore proveniente dagli scarichi della fabbrica trasforma il fango in blocchi che a loro volta vengono ridotti in polvere cementizia utilizzabile come materiale da costruzione.
Question time L’approccio è sicuramente affascinante, soprattutto perchè, essendo una tecnologia recente, sono ancora molti i margini di sviluppo e miglioramento. razionalmente, com’è giusto che sia per ogni novità, la materia solleva delle domande. ad alcune è già possibile rispondere; altre restano ancora aperte. Domanda. Quello che viene prodotto è cemento uguale a quello tradizionale con la stessa composizione e le stesse specifiche tecniche tali da poterlo impiegare nelle stesse applicazioni del Portland? risposta. Innanzitutto non tutte le società dichiarano di produrre cemento (termine usato spesso in modo improprio) ma più in generale materiale per edilizia. Anche quello che è cemento “in senso stretto”, dal punto di vista chimico, ha una composizione diversa da quella del Portland. Questo però non vuol dire che le caratteristiche tecniche debbano necessariamente essere inferiori. Gli aspetti strutturali sono, ovviamente, quelli che andranno valutati con maggiore attenzione e richiederanno un certo tempo. Escludendo le strutture portanti però già oggi molti di questi materiali possono e hanno già trovato spazio per applicazioni ed esistono diversi esempi di realizzazioni effettuate. È evidente che un prodotto ed una tecnologia appena nati si devono confrontare con qualcosa che esiste e viene usato dai primi dell’Ottocento e non sarà quindi facile anche da un punto di vista culturale conquistare quote di mercato. I produttori dell’eco-cemento ne sono consapevoli e loro stessi per il momento consigliano l’impiego dei loro prodotti in una vasta gamma di applicazioni tranne quelle strutturali, almeno sino a quando gli enti regolatori non si saranno pronunciati. Oppure puntano all’impiego in miscela con il Portland. Domanda. Questi processi sono economicamente sostenibili? risposta. Alcune aziende dichiarano che il loro eco-cemento è concorrenziale con il Portland. Sicuramente la possibilità di usare fonti rinnovabili per l’energia necessaria alla lavorazione e soprattutto il mercato dei crediti che si potrà aprire per le quote di CO2 potranno fare da volano dal punto di vista economico.
I processi più interessanti La società californiana Calera (www.calera.com ) ha l’ambizioso obiettivo di riuscire a sostituire il Portland con il proprio cemento e i propri materiali. Ha sicuramente sviluppato il processo integrato più interessante che può essere modulato in funzione del sito produttivo e delle materie prime disponibili. I suoi punti di forza sono: - la riduzione di materie prime di origine estrattiva, tramite l’uso di scarti industriali; - l’impiego di fumi esausti o ceneri leggere (fly ashes) derivanti dalle centrali a carbone, che hanno un’elevata temperatura e sono ricchi di materiali come silice e calce; - l’uso di scambiatori di calore per recuperare energia dall’elevata temperatura dei fumi esausti da impiegare nel processo di produzione del cemento; - l’utilizzo dell’acqua di mare (una volta usati magnesio e calcio) per la desalinizzazione, fornendo acqua potabile a costi inferiori degli impianti tradizionali di desalinizzazione. Calera attualmente produce il materiale inorganico SMC (Supplementary Cementitious Material), che si comporta come ceneri sottili, fumi di silice, etc. , che reagiscono pozzolanicamente con l’idrossido di calcio dando proprietà cementizie. L’obiettivo è quello di sostituire il cemento Portland per la preparazione del calcestruzzo. I primi test
di resistenza hanno dato ottimi risultati in confronto al cemento tradizionale. I materiali aggregati prodotti da Calera somigliano a materiale calcareo che può essere usato in miscela con altri componenti. L’azienda, consapevole della necessità di acquisire maggiori dati in relazione alle performance strutturali dei propri materiali, in via cautelativa per ora ne consiglia l’uso per il rifacimento del manto stradale, pavimentazione, applicazioni non-strutturali, marciapiedi etc. Altri processi industriali innovativi coinvolgono diverse aziende nel mondo. La società Novacem (www.novacem.com), nata nel 2007, ha messo a punto un processo nel quale si usano silicati di magnesio e ossido di magnesio (MgO) come materie prime. Dal punto di vista chimico si ottiene un prodotto diverso dal tradizionale cemento Portland. Il cemento Novacem contiene circa il 50-80% di MgO e la restante parte è costituita da carbonati di magnesio idrati. Solitamente il contenuto di magnesio come MgO nel Portland è molto inferiore (< 4-5%). I vantaggi nell’impiego di composti a base di magnesio sono: - la temperatura di lavorazione di 650°C è di molto inferiore a quella richiesta dal Portland con un notevole risparmio
energetico; - la capacità di assorbire CO2 durante la fase di raffreddamento e messa in opera; - l’assorbimento di circa 7 q di CO2 per ogni tonnellata di materiale cementizio prodotto. L’azienda sta realizzando un impianto pilota con l’obiettivo di portare i suoi prodotti sul mercato entro 3-4 anni. Prodotto in fase di miglioramento, attualmente consigliato per applicazioni di muratura non-strutturale. La società gallese Cenin (www.cenin. co.uk), che collabora con l’Università di Cardiff, incardina il proprio innovativo processo integrato sui seguenti punti: - utilizzo di scarti industriali per ridurre il fabbisogno di materie prime. In particolare di materiale pozzolanico, ceneri leggere e gas esausti derivanti dalle operazioni estrattive in miniera, dalle acciaierie o dalle centrali termiche; - utilizzo di fonti rinnovabili per il fabbisogno energetico richiesto dalle lavorazioni: Oiettivo: ridurre l’emissione di CO2 del 75-95%. Attualmente i prodotti commercializzati sono due: Cenin semi-dry product (SDP), fondamentalmente materiale di tipo pozzolanico con proprietà idrauliche. Testato, è adatto per la produzione di calcestruzzo, pavimentazioni e
stabilizzazione del suolo; e Cenin wet cast product (WCP) ideale per miscelazione con calcestruzzi a presa rapida. Due giovani società australiane: Calix usa tecnologie con la calcinazione di ossidi; Tececo l’impiego di cloruro e solfato di magnesio con idrossidi di Mg (www.calix.com.au e www.tececo.com.au).
Sezione di esempio dell’Eco-Cemento “permeconcrete” della società australiana Tececo: nell’immagine è evidente la sua permeabilità.
La Carbon Science (Santa Barbara, CA), la Halifax (Nuova Scozia) e la C12 Energy (Cambridge, USA) sono altre più recenti società, che hanno incominciato ad operare nel settore.
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archicantieri / sonia politi
Eco-landmark a bolzano La Torre Hafner, che ridisegnerà lo skyline della città, avrà una sua precisa funzione rappresentativa
L
e hanno già dato un nome, Torre del Vento, per l’innovativa concezione di sfruttamento di vento, sole e biomassa come fonti di energia. Sarà presto l’edificio più alto di Bolzano, un grattacielo di 15 piani la cui forma ricorda quella di un prisma con volumi irregolari e altezze variabili. Progettata dallo studio di architettura Area 17 di Fabio Rossa, la nuova sede di Hafner, uno dei più importanti costruttori di sistemi per il riciclaggio dei rifiuti e delle biomasse con recupero energetico integrato, avrà una funzione fortemente rappresentativa. E non solo dal punto di vista estetico: l’edificio è a impatto zero, anzi addirittura positivo cedendo alla rete pubblica la produzione energetica in eccesso. Per lo studio Area 17, che da anni si sta confrontando con le politiche legate alla sostenibilità, passando per l’esperienza di Casaclima, la sperimentazione progettuale di questo edificio rappresenta una strada verso il futuro, un esempio unico nell’impiego di tutti i tipi di energia rinnovabile disponibili in natura (acqua, sole, fuoco, vento e terra). Realizzare edifici che producono energia, per l’architetto Rossa significa usare un linguaggio architettonico in grado di presentare in modo chiaro e trasparente la presenza delle tecnologie di produzione di energia e che queste diventino parte integrante dell’edificio stesso, fino a determinarne la forma. Una costruzione, quindi, in cui il cemento armato sia a vista, l’acciaio rimanga acciaio, gli impianti elettrici e di climatizzazione, così come gli elementi di produzione energetica siano ben riconoscibili, senza subire il “mascheramento” che l’architettura tradizionale spesso impone. Il progetto prevede un edificio di 50 metri a pianta triangolare, il cui volume pulito in vetro si incastra e buca la grande vela di pannelli fotovoltaici esposta a sud. L’energia, oltre che dai pannelli fotovoltaici, viene prodotta sfruttando il moto convettivo della corrente d’aria che si viene a creare nell’intercapedine vetrata con una serie di turbine a elica poste all’estremità superiore della torre.
Il recupero dell’acqua piovana e l’uso della geotermia per garantire la climatizzazione fanno della Torre del Vento Hafner un’opera complessa e composita, al pari del cantiere attualmente in corso illustrata in queste pagine.
siamo tutti archimanager in cerca di un equilibrio tra interessi pubblici e privati Il ruolo dell’architetto ha subito una trasformazione radicale negli ultimi anni, trasformazione che viene esasperata dalla attuale congiuntura economica. Il lato prettamente artistico della professione, che per anni ha fatto la differenza tra i vari studi professionali, ora lascia spazio al lato manageriale della professione, aspetto che diventa sempre di più determinante anche e soprattutto in funzione del bombardamento di norme e leggi che imperversano nelle maglie dell’attività urbanistica. I sistemi di rappresentazione informatici hanno creato un’uniformità delle rappresentazioni grafiche legate alla presentazione di un progetto, gli elementi che fanno la differenza nella progettazione sono le capacità di interpretare le norme in maniera certa, di pensare un’opera che riesca a coniugare con molto equilibrio gli interessi pubblici con quelli privati e predisporre un businnes-plan reale. Il linguaggio architettonico, rappresenta per uno studio, un elemento di coerenza rispetto al dibattito interno allo studio stesso. Il rischio di tale aspetto è che molto spesso l’esasperazione del perseguimento di una coerenza di linguaggio porta a non prestare la dovuta attenzione al “luogo”. Il “luogo” è e deve essere sempre il punto di partenza di ogni approccio progettuale non solo da un punto di vista del funzionamento ma anche e soprattutto nella scelta del linguaggio architettonico di riferimento. Nei prossimi anni dovremo confrontarci con altre realtà imparando a dialogare con un linguaggio anche su grande scala, tenendo in considerazione la nuova sensibilità rispetto al risparmio energetico ed all’impatto ambientale. La sfida dei prossimi anni ci troverà interpreti di un grande rinnovamento sociale, le vecchie aree industriali dismesse dovranno essere riconvertite, offrendo una migliore qualità di vita e immaginando nuovi spazi per la collettività. Fabio Rossa
Accanto al titolo, un render della Torre del Vento di Bolzano. Al lato sud del grattacielo è affiancata una vela di acciaio che accoglierà l’impianto fotovoltaico. L’edificio sarà dotato inoltre di un rotore eolico e di un sistema di recupero delle acque piovane. A sinistra e nella pagina accanto alcune immagini del cantiere. Ampio impiego di calcestruzzo faccia a vista, sia per le pareti sia per i solai. Per garantire la resa delle superfici, richiesta “simile al marmo”, sono state impiegate casseforme per pareti DokaTop50, che rientrano nella categoria 4 delle casseforme per faccia a vista in abbinamento con il sistema di mensole rampanti MF 240, dotato di passerelle di servizio funzionali per una rapida e sicura esecuzione dei lavori in quota. Con Top 50 è stato realizzato anche il volume distaccato della torre, di forma triangolare, che raggiungerà quota 50 m. I solai dei primi piani hanno altezze che variano fra 8, 12 e 15 m, in funzione del fatto che alcune zone aperte, che partono dagli interrati, verranno dedicate ad esposizione. In queste zone, caratterizzate da aggetti anche fino a 4-5 m, sono stati impiegati due sistemi di casseratura per solai: Doka Xtra con puntelli tradizionali per zone con altezze fino a 3,50 m e torri di puntellazioni Staxo 100 per i solai più alti. A destra, pianta del piano terra (in basso) e di un piano-tipo dell’edificio. Coperture verdi per buona parte dei corpi bassi, pianta triangolare della torre e del corpo scale staccato.
torre del Vento, Bolzano Committente Hafner Architetto Fabio Rossa (studio Area 17) www.area17.it Impresa esecutrice L.E.A. Costruzioni srl - www.leacostruzioni.it Altezza 50 m Principali fornitori Casseforme Doka - www.doka.it Facciata doppia pelle Bluesteel srl - www.bluesteelsrl.it Impianto termoidraulico Holländer Idrotermica - www.hollander.it Ascensori Kone - www.kone.com
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Ascensori ecoefficienti
Gli ascensori consumano tra il 2 e il 10% dell’intero fabbisogno energetico di un edificio. Anche per questo motivo, per gli impianti elevatori della Torre del Vento la scelta è caduta sul modello MonoSpace® di KONE, che richiede meno potenza installata e consuma fino al 70% in meno rispetto a un ascensore idraulico e fino al 40% in meno di un normale ascensore a fune, oltre ad essere il primo ascensore al mondo (introdotto nel 1996) senza locale macchine, frutto di 2.300 brevetti. MonoSpace® è stato reso possibile da KONE EcoDisc®, un innovativo sistema di trazione che si basa su un motore sincrono assiale a magneti permanenti e su una tecnologia gearless (senza riduttore) che non è soggetta a perdite di efficienza, assicura all’impianto una vita più lunga, una maggiore affidabilità e silenziosità. Oltre a ridurre sensibilmente il consumo energetico, KONE EcoDisc® non utilizza olio, eliminando di conseguenza il rischio di inquinamento del suolo e delle falde sotterranee e i rischi di incendio. Tre gli impianti di elevazione installati a Bolzano, tutti con velocità di 1,6 m/sec, di cui quello con portata fino a 1.000 Kg/13 persone della serie Special sarà installato nella versione panoramica.
Sopra, schema dell’ascensore KONE MonoSpace® e particolare del sistema di trazione KONE EcoDisc®.
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studio del mese / alice gramigna
lavorando oltre i margini Luogo: Frosinone. Sito: i “Piloni” dell’800, al limite tra il borgo antico e la città moderna. Su quest’area da riqualificare si cimentano le due giovani professioniste dello studio Factory Mariella anneSe (Conversano, 1976). Dopo la laurea in Architettura presso l’Università degli Studi Roma Tre ha proseguito la formazione affrontando il delicato tema del rapporto tra progetto e contesti storici nella città contemporanea. Ha ottenuto numerosi premi e riconoscimenti in concorsi di idee e progettazione. Dopo aver conseguito il titolo di “Responsabile di processi di alto livello” nel Master organizzato dal MiBAC “MAQUARCH - Obiettivo qualità”, svolge attività di consulenza alle Pubbliche Amministrazioni nella programmazione e organizzazione di concorsi. Sta concludendo il Dottorato in Sviluppo Urbano Sostenibile con una tesi sullo spazio pubblico nella città contemporanea.
f
actory architettura: è lo studio professionale di Mariella Annese e Milena Farina. Un nome che evoca la mitica factory americana di Andy Warhol e che per loro è sinonimo di laboratorio di ricerca ed esperienze traversali tra architettura, arte e nuove forme del sapere. Nel 2007 Factory architettura nasce a Roma dall’entusiasmo di queste due giovani architetti, che, dopo le esperienze universitarie comuni, hanno messo alla prova i loro talenti, scoprendo così quell’affinità progettuale necessaria per una pratica condivisa. Oggi, a tre anni di distanza, il lavoro di Mariella e Milena ha ottenuto riconoscimenti e premi nei concorsi di progettazione, da cui sono scaturiti alcuni incarichi oggi in corso di svolgimento. Nel 2010 sono state segnalate da Newitalianblood tra i 10 studi emergenti italiani under 40. Chiave del loro successo è l’attenzione al tema dello spazio pubblico e della riqualificazione urbana, intesa come strumento principe per dare nuovo senso a contesti delicati e problematici della città contemporanea. In quest’ottica viene ricercata ogni volta una strategia in grado di risolvere, a diversi livelli e scale di intervento, questioni di tipo urbanistico, ma anche sociale e organizzativo. L’analisi delle diverse variabili in gioco è fondamentale per la risoluzione dei problemi, in quanto, secondo Mariella Annese e Milena Farina, è solo dalla somma degli elementi significativi del sito che nasce il progetto. Il progetto “Piloni”, realizzato con l’architetto Cristiana Garofalo, vincitore del concorso nel 2008 che ha portato il nome di Factory Architettura alla ribalta, è emblematico dell’approccio delle due progettiste. Punto di partenza il sito: un’area centrale di Frosinone, che versa attualmente in condizioni di degrado ma costituisce al tempo stesso un’icona della città. Le maestose arcate, realizzate nell’800 per permettere un ampliamento della sezione stradale del borgo antico, sono infatti divenute una delle immagini più note della cittadina laziale, ma che purtroppo oggi si trovano in stato di abbandono. Proprio questo ha spinto l’amministrazione comunale a sviluppare un intervento in project financing prevedendo la collocazione di nuove funzioni e la definizione della nuova immagine del luogo. In questa particolare
Milena Farina
area di intervento, il progetto di Factory Architettura ha saputo cogliere la semplice bellezza della struttura ingegneristica nel gestire l’inserimento delle nuove funzione previste per la riqualificazione. I Piloni, che segnavano un margine invalicabile tra il borgo antico e la moderna edificazione, vengono “svuotati” e si individua un nuovo percorso trasversale che connette la quota più bassa della strada con la piazza sovrastante. Particolare attenzione è stata riservata al rapporto tra i diversi livelli, con l’obiettivo di inserire gli spazi del nuovo complesso nella rete dei percorsi pubblici pedonali già esistenti. Le esigenze funzionali delle nuove attività, che avrebbero suggerito una chiusura totale della superficie disponibile, sono risolte con l’introduzione di un rivestimento leggero e semitrasparente che arretra in corrispondenza di diverse campate animando la facciata. La lamiera stirata che caratterizza il nuovo prospetto dei piloni verso la valle consente di avere un fronte uniforme, riducendo l’impatto caotico di vetrine e insegne di negozi e individuando al tempo stesso le singole unità commerciali grazie al suo movimento di arretramento o avanzamento rispetto ai pilastri. L’articolazione volumetrica della facciata evidenzia i punti notevoli dell’intervento: la lamiera si interrompe in corrispondenza dei percorsi urbani di attraversamento
e di ingresso agli spazi commerciali, del ballatoio di distribuzione ai negozi del piano superiore e dei passaggi carrabili del garage a piano terra. La piazza sulla sommità è caratterizzata da un taglio centrale che segnala la presenza delle nuove attività ai livelli sottostanti e collega visivamente i due piani. La
pavimentazione in marmo coreno e cemento lavato decora lo spazio urbano e individua una griglia rispetto alla quale si inseriscono gli elementi di illuminazione, gli alberi e le panchine.Il progetto è attualmente in fase di ottenimento delle autorizzazioni e si prevede la sua realizzazione entro la fine del 2011.
(Roma, 1977) dopo la laurea nel 2002 presso la Facoltà di Architettura dell’Università di Roma Tre, ha iniziato a collaborare con diversi studi romani intrecciando da subito l’attività professionale con la ricerca su temi direttamente connessi con il progetto, indagando l’evoluzione del rapporto tra ambito privato e spazi collettivi nella città moderna e contemporanea. Su questo tema ha pubblicato articoli su libri e riviste specializzate e nel 2007 ha conseguito il titolo di Dottore di Ricerca con la tesi “Case urbane. Temi di progetto dall’Olanda”. Dal 2004 collabora con Il Giornale dell’Architettura.
perforated sheet metal vertical post
anchorage plate
+ 253.50 m
stiffening traverse
shop interior + 250.15 m
shop exterior
Sotto il titolo, veduta a volo d’uccello dell’area di intervento con l’inserimento del progetto. A sinistra, dettaglio della sezione, in cui si evidenzia la “pelle” semitrasparente in lamiera stirata. Sopra, render del collegamento trasversale tra i due livelli.
Prospetto dei Piloni verso la valle.
Schemi dei flussi di percorrenza.
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dinamismo volumetrico / nadia rossi
Brainstorming sotto l’arco Un’architettura originale per Polins, punto di incontro tra mondo universitario e del lavoro
poLIns Progetto Marco Acerbis Studio www.marcoacerbis.com Committente Pirelli Re - Fondo Spazio Industriale General contractor ZH General Construction Company Area 800 mq superficie coperta Anno 2008, in fase di realizzazione Principali fornitori Arcate in legno Holzbau Facciate ventilate Marazzi Group Illuminazione generale iGuzzini Lampade dell’ingresso Avion (design Marco Acerbis) di Fontana Arte Sedute all’ingresso sgabelli Sugarfree (design Marco Acerbis) di MaxDesign; poltrone Kloe (design Marco Acerbis) di Desalto Sedie sala conferenze Juliette di Cerruti Baleri
Polins alla Biennale Architettura L’edificio Polins è presente con una installazione alla XII Biennale di Architettura a Venezia, all’interno della mostra Culture_Nature, incentrata sul tema dell’ambiente e l’habitat contemporaneo, presso lo Spazio Thetis.
C
on un’estensione di circa 1,8 milioni di mq nei comuni di Portogruaro e Fossalta (Ve), Eastgate Park è il più grande parco integrato logistico, industriale e artigianale del Nord-Est orientale. Al suo interno si trova il Polo per l’innovazione strategica, un edificio polifunzionale nato da un progetto di collaborazione tra il Comune e l’Ente universitario Portogruaro Campus con l’obiettivo di favorire lo sviluppo di nuovi modelli di business. Polins è certificato classe A+ secondo gli standard di CasaClima. L’edificio, progettato dallo studio Marco Acerbis, presenta una forma ad arco molto snella; gli impianti e in particolare il vano tecnico che ospita le unità di trattamento aria e le pompe geotermiche sono interrati nel lato nord, nascosti alla vista. Anche le griglie di ventilazione esterne per le prese d’aria sono occultate sotto la parte del tetto che va in aggetto. Al fine di avere un carico sul terreno minimo e di ottenere una pianta il più libera possibile, sono stati realizzati archi con travi di abete lamellare, 33 metri di luce, che si sorreggono da soli. Sono agganciati all’estremità sud ai plinti nel terreno, e a nord ai muri del vano tecnico che fungono da contrafforti. Il tutto è messo in tensione dalle fondamenta. La costruzione si sviluppa su un piano unico, con un’altezza interna variabile che raggiunge la misura maggiore nella sala conferenze,
dove il controsoffitto acustico permette di cogliere la volta in legno retrostante. Le arcate che si spingono verso l’esterno completano la geometria dell’arco e al contempo fungono da supporto per i frangisole in cui sono inseriti i pannelli fotovoltaici. Questo dettaglio è importante per un edificio di dimensioni ridotte al quale possono confluire 150 persone per seguire, ad esempio, una conferenza: la presenza di spazi protetti esterni permette di ampliare la superficie calpestabile, creando a tutti gli effetti un foyer esterno. Le pareti perimetrali sono costituite da uno strato di cartongesso a doppia lastra, 25 cm di CA, 25 cm di fibra di legno e un rivestimento in gres porcellanato nero che funge da facciata ventilata. A questi materiali, sul lato sud si aggiungono ampie superfici vetrate con vetrocamera bassoemissiva con trasmittanza totale certificata di 1,15 W/mq K. Compone il tetto una struttura di pannelli in legno di abete spessi 5 cm, supportata da un’orditura primaria e secondaria in abete lamellare con 30 cm di fibra di legno e un rivestimento in lamiera di alluminio. Sul solaio in CA che ricopre il vano tecnico si trova uno strato di terra inerbito, dunque non coibentato, che degrada sui lati e avvolge l’edificio, che appare incastonato nel terreno. Il sole gioca un ruolo determinante: l’esposizione secondo l’asse nord-sud permette di ricevere un
notevole apporto solare passivo durante i mesi invernali sia in termini di luce sia di calore. Nei mesi estivi, i pannelli frangisole creano ombra: la loro struttura è stata disegnata per integrare pannelli fotovoltaici di dimensioni standard. Una superficie di circa 40 mq accoglie 42 moduli con potenza nominale complessiva di 5,67 kW per una produzione di 6668,1 kW annui. La produzione di energia termica e frigorifera è affidata a una pompa di calore geotermica terra/acqua; sono state installate complessivamente 9 sonde della lunghezza di 90 metri ciascuna. Sono quattro i principali ambienti interni: foyer di ingresso, uffici, sala riunione e sala conferenze: queste ultime, separate da una porta scorrevole, possono essere trasformate in un unico auditorio. Le finiture e i colori dei muri neutri rendono gli arredi più leggibili. Piacevole il gioco delle altezze: il foyer, molto alto, esprime in tutta la loro bellezza le arcate, evidenziate da quattro lucernari. La sala conferenze ha un controsoffitto in alluminio alveolare anodizzato microforato, che ottimizza la resa acustica e nasconde i canali di ventilazione. Inoltre, il soffitto è composto da una parte solida nella quale sono inserite le bocchette, le luci e gli speaker, e da un’altra parte aperta con lame verticali che permettono di vedere la volta e il cielo tramite lucernari.
A fianco, le sezioni est-ovest (sopra ) e nord-sud dell’edificio, ripreso nella foto sotto il titolo dal lato sud. A destra, immagini della sala riunioni da 150 posti e del foyer d’ingresso con i quattro grandi lucernari ricavati tra le travi e le arcate in legno lamellare.
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tecnologie costruttive / eric ezechieli*
costruzioni esponenziali La stampa tridimensionale degli edifici: anche nel mondo dell’edilizia si presentano scenari inediti
L’
innovazione e la tecnologia pervadono le nostre vite, ma come esseri umani siamo abituati a pensare in termini lineari e non riusciamo a cogliere le vere implicazioni del cambiamento negli anni a venire. In realtà ci troviamo di fronte ad un crescita esponenziale delle tecnologie a nostra disposizione: 30 passi lineari fanno trenta passi, mentre 30 passi esponenziali ne fanno un miliardo. Questa è la misura dell’accelerazione tecnologica che stiamo vivendo. Per questo da due anni è nata la Singularity University,
sponsorizzata da Google e Autodesk, con sede al centro di ricerca NASA Ames, in Silicon Valley: un progetto educativoimprenditoriale con l’obiettivo di utilizzare nuove tecnologie in crescita esponenziale per risolvere alcune delle maggiori sfide dell’umanità. Anche nel mondo
delle costruzioni si presentano scenari inediti: utilizzando le più avanzate tecnologie in materia di robotica, stampa tridimensionale e nanotecnologie applicate ai materiali, nel 2009 un team di studenti di Singularity - in collaborazione con il professor Behrokh Khoshnevis della University of Southern California - ha progettato un sistema per “stampare” in tre dimensioni interi edifici. Entro un paio d’anni il sistema dovrebbe essere a regime e in grado di costruire una casa abitabile di 90 metri quadrati in circa un giorno e mezzo. Un carro ponte robotizzato ad alta precisione con ugelli guidati da computer potrà depositare strato dopo strato uno speciale cemento mescolato con materiali nano-tecnologici, analogamente a come una stampante tridimensionale crea oggetti di piccole dimensioni. Attualmente si riescono già a stampare rapidamente muri di un paio di metri d’altezza. Si stima un risparmio di energia e la riduzione di spreco di materiali intorno al 70%.
La tecnologia è pensata soprattutto per la costruzione di edifici a basso costo in paesi in via di sviluppo, come dignitosa alternativa a costruzioni pericolanti o malsane, ma le applicazioni sono promettenti anche per i paesi sviluppati. www.weareacasa.com www.contourcrafting.org
Qui sopra, un muro costruito con il nuovo sistema messo a punto dal professor Behrokh Khoshnevis con un team di studenti della Singularity University; a sinistra, una fase della progettazione di una”stampante” a controllo numerico con cui in futuro potrebbero essere costruiti gli edifici.
* The Natural Step e Singularity University
energia per gli edifici / antonio morlacchi
la macchina mancante Adesso c’è. Il brevetto di Eubios e l’uso di fonti rinnovabili avvicinano l’obiettivo della totale autosufficienza energetica degli edifici. In inverno e in estate
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l core di SEPE (sistema di energia ponderato Eubios) è una pompa di calore che invece dell’energia elettrica utilizza per il suo funzionamento acqua calda a bassa temperatura (intorno ai 60°). L’acqua calda è molto più economica da reperire rispetto all’energia elettrica, soprattutto perché nella maggior parte dei casi è già il prodotto dell’inevitabile dispersione di ogni macchina termica, dalla caldaia del condominio alla centrale termoelettrica. Superata la fase sperimentale, il SEPE è ormai in funzione in alcuni edifici, ad esempio nella sede CNA di Ravenna e in una struttura sanitaria assistita a Ginosa (TA). Il brevetto è un modello di efficienza: al concetto di risparmio energetico aggiunge quello del recupero della dissipazione termica risultante dal ciclo di produzione di energia (in pratica “rifiuti” di energia). Per fare un esempio, di 100 kWh equivalenti di combustibile fossile immessi in una normale centrale termoelettrica, 49 vengono dissipati in calore. È esattamente questa energia dispersa ad alimentare la pompa di calore ad acqua calda di Eubios. Questo concetto di recupero può essere messo in atto autonomamente, ad esempio adottando un impianto di cogenerazione alimentato a metano che produrrà il fabbisogno elettrico dell’edificio e il calore necessario al funzionamento della pompa a bassa entalpia per il fabbisogno termico e frigorifero. Ma il sistema si presta anche alla progettazione di “distretti energetici”: interi quartieri o aree di sviluppo site in prossimità di grandi produttori di “cascami” energetici, come le centrali elettriche, che potranno essere riscaldate e raffrescate con sistemi di teleclimatizzazione. O attività come le server farm, utilizzando il calore dissipato ai computer per alimentare il sistema di raffrescamento della farm stessa. L’efficienza aumenta, e il sistema procede verso un saldo energetico attivo, integrando fonti rinnovabili di qualsiasi origine: eolico, solare termico, fotovoltaico, geotermia, biomasse. Il core SEPE ottimizza l’efficienza delle macchine termiche tradizionali e acquisisce gli apporti energetici dalle fonti rinnovabili. A titolo di esempio, l’efficienza di un sistema che abbini cogenerazione, pompa di calore a bassa entalpia, apporto solare termico e
apporto geotermico raggiunge il 215%, ovvero restituisce, in elettricità e potenza calorifica e frigorifera, più di 2 volte i kWh che entrano nel sistema. In questo modo il brevetto di Eubios libera le fonti rinnovabili dai vincoli che finora ne hanno impedito un pieno sviluppo: limiti territoriali, ridotti vantaggi in caso di applicazioni su piccola scala, impatto architettonico e paesaggistico. Tutte le fonti disponibili in loco possono convergere in un unico sistema e il dimensionamento, ad esempio di un impianto fotovoltaico, assume un’importanza relativa. Fanno un passo avanti verso la convenienza economica anche le
logiche di autoproduzione energetica diffusa in luogo delle grandi centrali di produzione e relativi sistemi di trasporto e diventa più semplice fornire di calore ed energia a basso costo aree disagiate e Paesi in via di sviluppo. In Italia, dopo le prime installazioni, il sistema SEPE verrà adottato nel progetto in corso di Borgo Cascina Conti a Milano: un’area degradata di 50mila mq con un edificio di valore storico (la cascina, citata anche nei Promessi Sposi) su cui sono in costruzione 11.000 mq di slp residenziale in classe A+ con zero emissioni di CO2. www.eubiosenergia.it
Nella foto la pompa di calore a bassa entalpia in funzione presso la Residenza Sanitaria Assisitita Villa Genusia situata a Ginosa in provincia di Taranto. Eubios ha già realizzato alcune installazioni nel ravennate.
Nella foto, Tarcisio Ghelfi, inventore del brevetto SEPE e direttore marketing strategico, e Mario Beltrame, presidente di Eubios. La società, nata a Milano nel 2008, si propone sul mercato con soluzioni che coaugulano intorno ad una tecnologia innovativa e conveniente le diverse forme di energia alternativa disponibili, aumentandone l’efficacia e l’efficienza complessiva. Sullo sfondo dell’immagine il modello dell’insediamento residenziale di Cascina Conti a Milano.
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energia per gli edifici /
Ground cooling un caso di studio Cogenerazione e geotermia passiva per il fabbisogno climatico del nuovo stabilimento di Marchesini Group a Pianoro
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archesini Group di Pianoro, Bologna, inaugura, in occasione della Open House il 16 ottobre 2010 il nuovo stabilimento caratterizzato dalla presenza di nuove e interessanti tecnologie di climatizzazione: tra queste un sistema di raffrescamento passivo/geotermico (ground cooling) affiancato da un impianto di cogenerazione. Il sistema di ground cooling, sviluppato in partnership dallo studio di architettura SEArch/Carlo Ezechieli con Airklima Engineering, azienda leader nel campo dell’innovazione nei sistemi di climatizzazione, funziona in modo semplice ma efficace: l’energia per il raffrescamento è fornita gratuitamente dal terreno. Il terreno ha una temperatura pressoché costante durante l’anno. Quando d’estate e in primavera la temperatura dell’aria è superiore a quella del terreno, viene introdotta in tubi interrati a una profondità di un paio di metri, cede il calore al terreno ed esce più fredda, utilizzata per raffrescare. Viceversa d’inverno, quando la temperatura del terreno è più elevata rispetto all’aria esterna, l’aria acquisisce calore dal terreno. Non solo. In funzionamento estivo un sistema di raffrescamento passivo può utilizzare il cosiddetto “free cooling”: di notte, in primavera e d’estate, la temperatura dell’aria esterna può essere inferiore a quella dell’aria interna della struttura da climatizzare e il sistema può andare a recuperare quell’aria migliorando ulteriormente i rendimenti. Secondo le misurazioni effettuate il sistema geotermico
passivo fornisce circa il 33% del fabbisogno frigorifero complessivo e il 15% del fabbisogno termico complessivo annuale di uno stabilimento industriale di 2.700 mq (con proporzionale riduzione delle emissioni). La realizzazione si trova in una zona precollinare, ai limiti della pianura padana, una tipica zona climatica continentale: freddo d’inverno e caldo d’estate con elevata umidità. Questo si traduce in: calo dei costi energetici, riduzione delle emissioni di CO2 e miglioramento della classe energetica dell’edificio e quindi aumento di valore dell’edifico stesso: la nuova normativa sulla certificazione energetica include infatti l’efficienza in raffrescamento fra i parametri di valutazione della classe energetica di un edificio. Un impianto di climatizzazione integrato da geotermico passivo, se ben ingegnerizzato, ha un costo paragonabile a un impianto di climatizzazione tradizionale ad alta efficienza. Ad esempio consente di non installare l’unità di trattamento aria. L’extra-costo è dato dagli scavi necessari per posizionare i tubi, è contenibile con una progettazione accurata e una collaborazione fattiva fra le imprese coinvolte nella realizzazione, e ripagato in 5 o 6 anni dai risparmi sulla bolletta. Superato tale periodo, il vantaggio economico è tangibile: vive quanto l’edificio, è pressoché privo di costi di manutenzione ed ha pertanto un impatto positivo in termini di aumento di valore. Il cogeneratore che affianca il sistema di raffrescamento passivo fornisce calore, quando c’è domanda per riscaldamento, e/o acqua calda sanitaria. Produce inoltre energia elettrica destinata ad essere interamente consumata all’interno dello stesso stabilimento. La più rinnovabile delle fonti energetiche è il risparmio e un impianto geotermico passivo contribuisce al fabbisogno energetico di un edificio tanto più quanto l’edificio è pensato per ridurre gli apporti solari estivi. Il miglioramento dell’efficienza e il recupero di energia altrimenti sprecata è una condizione di base per la produzione di altra energia nel modo più efficiente, utilizzando per quanto possibile fonti rinnovabili. Le tecnologie di scambio termico e ad assorbimento possono essere utilizzate in molte situazioni non solo per migliorare l’ambiente ma anche per ottenere una riduzione dei costi di esercizio e un cash flow positivo.
Qui a sinistra, il motore dell’impianto di cogenerazione dello stabilimento Marchesini (vista generale a destra). In alto, lo scavo di 2 metri di profondità messo in atto per installare il sistema di raffreddamento passivo/geotermico dell’edificio.
edificio industriale a pianoro (Bo) Progettazione generale: SEArch/Carlo Ezechieli e Airklima Engineering Calcolo scambio termico: Mark Izard
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progetto del mese / mara corradi
L’hotel Medea e il nuovo orizz
Progettata da Michele De Lucchi, la torre Medea è tra i primi complessi della Georgia indipendente che promettono di rivoluzionare il volto della città. Batumi è des
con Francesco di Giorgio Martini e Federico II Gonzaga con Giulio Romano, che consegnarono al mondo gioielli rinascimentali come Urbino e Mantova. E ancora in tempi più recenti così si comportò un altro politico delle grandi imprese come Juscelino Kubitschek, presidente del Brasile, che commissionò a Oscar Niemeyer la costruzione dal nulla della nuova capitale Brasilia. Ha radici nella cultura classica la spinta al rinnovamento per mezzo delle arti, che mira a consolidare il consenso intorno alla nuova immagine dell’autorità. Spinta che si rintraccia oggi nel governo georgiano per affrancare la nazione da un passato di governo sovietico, che aveva imposto a città come
Tbilisi imponenti architetture dell’anonimato. Sul finire del 2003 alla Rivoluzione della Rose seguì una fase di transizione caratterizzata dal rigetto e dal conseguente abbandono dei simboli del passato regime. Michele De Lucchi racconta la situazione di Batumi, capoluogo della Regione Autonoma di Adjara: «Anche la costa è disseminata da alti edifici, tra l’altro tutti abbandonati e alquanto inquietanti perché chi li ha occupati nel periodo subito successivo all’indipendenza se ne è andato portando via tutto, porte, lavandini e finestre comprese: il tempo e la cattiva qualità di costruzione hanno fatto poi il resto e oggi non rimane in piedi altro che lo scheletro, anch’esso corroso dal vento e dall’umidità.» Il presidente e Michele De Lucchi si conoscono in occasione del concorso per la riqualificazione del Rikhe, un quartiere inutilizzato in prossimità del centro storico di Tbilisi. Il progetto del team De Lucchi, Chipperfield e Freyrie-Pestalozza non vince, ma il Presidente rimane così colpito dall’arditezza espressiva della torre a zigzag, centro del masterplan, da volerla a tutti i costi per il progetto di una nuova torre a Batumi, questa volta proprietà di una compagnia di real estate, un gruppo di investitori costituitosi nel 2006 tra le prime imprese edili private a mettere le mani sulla città. Proprio una di quelle torri anonime, alienanti nella reiterazione indistinta del
Nelle immagini, il percorso progettuale del Medea: dallo studio della sovrapposizione di volumi sfalsati e verande ai piani, matita su carta, da uno dei quaderni di Michele De Lucchi, giugno 2007 (sotto il titolo), allo studio del 2008 in tempera e matite colorate su cartoncino, qui sotto a sinistra. Nelle due immagini successive la libreria Montefeltro e l’armadio Estense di Michele De Lucchi con Philippe Nigro, prodotti in tiratura limitata per Design Gallery, possono essere considerati maquette del progetto georgiano, al pari del modello concettuale “Torre 1” , opera scolpita con la motosega da masselli di abete nel 2007.
Nell’immagine grande, rendering della versione dell’hotel Medea di Batumi attualmente in costruzione; nella pagina a fianco, lo sviluppo della struttura e il posizionamento delle verande trasparenti nella prima versione del progetto, e una foto del cantiere.
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orse non tutti sanno che Mikhail Saakashvili, presidente della Georgia, parla di Michele De Lucchi come del suo architetto. E lo sta interpellando per immaginare la nuova veste delle principali città del Paese, come nella storia fu fatto dai più illuminati uomini di potere con gli architetti vicini allo spirito del tempo che, in seguito alla prestigiosa investitura, poterono dare la loro impronta a un’epoca e un sentire progettuale. Lo fece Pericle con Fidia suggellando le vestigia della Grecia classica nella nuova acropoli di Atene; lo fece Traiano con Apollodoro, realizzando il grandioso complesso dei Fori e dei Mercati traianei; e ancora Federico da Montefeltro
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zzonte di Batumi
umi è destinata a divenire la località turistica più rinomata del Paese. modulo in facciata, sta per essere trasformata nella dinamica, “futuristica” e scioccante torre dell’hotel Medea, cosicché i georgiani facciano spontaneamente il confronto tra il vecchio rudere, un gigante socialista abbandonato all’incuria, e il nuovo Medea della nuova Georgia. All’interno della generale riqualificazione del lungomare di Batumi, che il governatore della regione autonoma di Adjara sta cercando di trasformare nella località turistica più rinomata della Georgia, il Radisson Medea è in costruzione su un lotto di terreno incastrato nella maglia ortogonale che caratterizza il tessuto urbano; ne è derivata una pianta romboidale, il cui sviluppo verticale, non rettilineo ma a zigzag su tutti i fronti, disegna facciate continue, sinuose e aerodinamiche, pur essendo formate da tradizionali moduli retti. Nata dal concetto della sovrapposizione sfalsata di volumi in cemento e acciaio, una struttura tradizionale che va incontro a esigenze di budget si unisce ad un rivestimento continuo in vetro a doppia pelle di forte impatto scenico. Adattandosi alle variazioni di inclinazione della struttura a blocchi sfalsati, nel progetto originario di De Lucchi il rivestimento avrebbe ricavato delle verande completamente trasparenti, da cui ammirare il lungomare e le montagne retrostanti. L’intercapedine della doppia pelle vetrata, dalla funzione protettiva oltre che estetica,
avrebbe garantito la ventilazione naturale generando un microclima ideale anche per la crescita di giardini interni, e offrendo ai visitatori un’eccellente alternativa residenziale durante i periodi di pioggia frequenti a Batumi. Il Medea avrebbe ospitato un hotel 3 stelle nei piani inferiori e un complesso di appartamenti duplex con verande private da una certa quota in poi. Sennonché il successo del progetto andò a discapito dell’idea originaria: la committenza volle trasformarlo in hotel a 4 stelle, eliminando le residenze e aggiungendo una serie di servizi, come casinò e ristoranti di lusso. La necessità di aumentare il numero delle camere impedì purtroppo anche la realizzazione delle logge. Nonostante le esigenze di profitto però, il Medea in costruzione mantiene il suo impatto simbolico, monumento all’indipendenza e all’orgoglio nazionale. Il valore del simbolo infatti è sintetizzare un concetto, valido in se stesso e indipendente dal contesto esterno, paesaggio o ambiente in cui si trova: il Medea, come gli altri progetti georgiani di Michele De Lucchi, è privo di una facciata principale diversa dalla altre, cosicché appare come un oggetto a grande scala, riconoscibile da qualunque lato si guardi. Se la progettazione architettonica sfocia in quella del prodotto, allora le vetrine e librerie che De Lucchi disegna per Design Gallery sembrano proprio le maquette dell’hotel Medea.
Il vecchio albergo di epoca sovietica demolito per lasciare posto al Medea; in alto, il sito visto da Google Earth.
Hotel Medea Project leader Michele De Lucchi Progetto Architetto Michele De Lucchi, Freyrie & Pestalozza Architetti Associati Collaboratori Marcello Biffi, Laura Parolin, Andrea Saita, Sang Yeun Lee Ingegneria Dizayn Grup, Istanbul Data inizio progetto 2006 Data fine progetto 2009 Realizzazione in corso, completamento previsto per il 2011 Luogo Batumi (Georgia) Committente Adjara Resort JSC, Development Solutions LLC Area del lotto 3.300 mq Area lorda (21 piani fuori terra e 1 piano interrato) 25.600 mq Altezza del complesso 77 m
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ambienti di lavoro / nadia rossi
Louis Vuitton emozione e produzione Il polo produttivo veneto, progettato dall’architetto francese Jean-Marc Sandrolini, rappresenta una nuova idea di fabbrica. Che unisce estetica e funzionalità
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l primo stabilimento Louis Vuitton viene realizzato nel 2001 a Fiesso d’Artico, a 30 km da Venezia, su una superficie di 1200 mq. In breve, il forte sviluppo del settore calzature del marchio francese rende necessaria la realizzazione di un secondo polo produttivo su un terreno di 28mila mq adiacente al primo. Il progetto, con tempi molto stretti di studio e realizzazione, viene affidato all’architetto francese Jean-Marc Sandrolini, che dà il via a un intenso confronto con il management: a un’architettura di qualità si devono unire condizioni di lavoro ottimali; per questo il processo di creazione e lavorazione viene esaminato più volte anche con i protagonisti della realtà produttiva, per conoscerne le esigenze e i desideri. Il risultato è una “nuova idea di fabbrica”, che unisce funzionalità ed estetica, produzione ed “emozione”, dedicando grande attenzione al benessere di chi vi opera e all’ambiente. Il sito si trova al confine tra un’area industriale e una residenziale: da una parte strutture produttive, dall’altra ville e giardini. Il nuovo edificio si inserisce tra queste realtà in modo naturale, rispettandone le specificità architettoniche e rispondendo all’esigenza (qui si trovava la vera sfida) di proteggere la creatività degli spazi produttivi dalla vista esterna. L’edificio a piastra in calcestruzzo a vista è estremamente vivo al suo interno. Gli ambienti dedicati alla produzione e alla creatività si affacciano attraverso grandi vetrate su uno spazio verde a prato. Nel grande giardino centrale al centro dello stabilimento spicca un grande sandalo realizzato dall’artista portoghese Joana Vasconcelos unendo 600 pentole in acciaio inox, a sottolineare che ci si trova in una fabbrica di scarpe. Le facciate sono rivestite da una maglia di acciaio inossidabile che riduce l’effetto accecante del sole allo zenit, evita che i raggi raggiungano la superficie dell’edificio - in primo luogo delle vetrate - contribuendo al risparmio energetico e migliorando il comfort sia in estate sia in inverno. I reparti degli atelier (le aree produttive) hanno pavimenti in parquet: insieme ai pannelli fonoassorbenti e alle vernici satinate, il legno consente di ridurre del 20% il rumore prodotto, portando il livello sonoro al di sotto degli 85 dB fissati per legge. La luce naturale è protagonista del progetto: raccolta da pozzi di luce e opportunamente filtrata da tende tecniche che si interpongono tra le vetrate e la cortina di pannelli in maglia d’acciaio che la distribuiscono in modo uniforme nelle unità produttive, creando il massimo comfort. Il primo atelier è collegato ai tre nuovi attraverso un lungo corridoio; l’area di progettazione ha una posizione centrale, nel cuore dell’area produttiva, mentre l’ala sud del quadrilatero è dedicata a spazi di accoglienza, formazione, ristorazione e a una “galleria”, ovvero una vetrina storica e dei mestieri legati al mondo calzaturiero. In risposta a una specifica richiesta dei responsabili di Louis Vuitton, fin dall’inizio il progetto ha integrato elementi essenziali per la qualità dell’ambiente, in termini di forme,
materiali, energia, luce. Tra questi, il volume del fabbricato, discreto e non invasivo (7,5 metri di altezza), per una migliore integrazione nella territorio; la schermatura solare; il trattamento ottimale delle fonti di luce naturale. Lo stesso approccio ha guidato le scelte tecniche: - illuminazione artificiale realizzata con tubi fluorescenti a basso consumo energetico con ballast elettronico;
- isolamento dei muri: 100 mm di spessore; - isolamento dei tetti: 120 mm di spessore; - serramenti esterni in alluminio a taglio termico con doppi vetri; - pompa di calore geotermica che sfrutta 75 pozzi verticali di 100 metri di profondità e soddisfa quasi tutte le esigenze di energia termica (95%) e di refrigerazione (69%) necessarie al funzionamento dell’edificio; - 32 mq di pannelli solari che forniscono il
Sotto il titolo, il grande giardino centrale dello stabilimento di Fiesso d’Artico con la scultura realizzata da Joana Vasconcelos. Sopra la luce naturale e qualità delle finiture migliorano il comfort all’interno dei reparti produttivi. A destra, vista interna dell’atrio. Qui sotto, sezione del fronte nord del corpo uffici e sala mensa e, nella pagina di destra, la pianta dello stabilimento e, nella foto in basso, particolare della facciata vetrata ”a tripla pelle” .
56% del fabbisogno di acqua calda sanitaria; - trattamento dell’aria estratta dagli ambienti (85mila mc per le polveri, 45mila mc per i solventi), e reimmessa, senza perdita di calore nella stagione invernale; - raccolta in un bacino sotterraneo di 200 mc delle acque meteoriche, filtrate prima dell’utilizzo nei sanitari e per l’irrigazione, riducendo il consumo di acqua potabile.
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Jean-Marc Sandrolini Nato nel 1950, si laurea all’Ecole Nationale des Beaux-Arts di Parigi nel 1975. Nel 1980 apre lo studio che oggi conta una decina di collaboratori. Lo studio ha un’esperienza riconosciuta nell’ambito dell’architettura per l’impresa. Jean-Marc Sandrolini é vice-presidente e segretario generale dell’associazione «Architecture et Maîtres d’Ouvrage» (che raggruppa mille tra committenti e architetti in tutta la Francia). A questo titolo, partecipa a una riflessione sulla qualità architettonica attraverso le strette relazioni tra la committenza, la posta in gioco, i suoi obiettivi da una parte, l’architetto e il progetto architettonico dall’altra.
Atelier dellA produzione Proprietà Manufacture de Souliers Louis Vuitton Progetto Sandrolini Architecte; Jean-Marc Sandrolini, François Lefevre, Valérie Boulay, Giuseppe Galante Direzione dei lavori Studio BB&C Durata dei lavori ottobre 2007 - 2010 Schermatura solare Suncover
Gli spazi del nuovo stabilimento 11.000 mq superficie totale 5.600 mq superficie dei 3 atelier produttivi + la “modelleria” 2.350 mq magazzino 115 mq uffici di produzione 1.590 mq spazi sociali e di ristorazione 300 mq galleria d’arte con centro di formazione 100 mq hall 1.300 mq piano tecnico che riunisce le apparecchiature necessarie al funzionamento del complesso 170 posti parcheggio esterno
Schermatura solare firmata Suncover Le tende avvolgibili Prospecta di Suncover che vestono lo stabilimento Louis Vuitton si inseriscono in una sorta di facciata “a tripla pelle”: dall’esterno, una cortina protettiva fissa esterna in maglia d’acciaio che agisce direttamente sulle temperature incidenti; tende tecniche che eliminano i fenomeni di abbagliamento e contribuiscono a una distribuzione uniforme della luce all’interno; il fronte vetrato che delimita gli spazi interni. Le 48 tende Prospecta di grandi dimensioni (ciascuna di cm 270 x 460 h.) installate, dotate di tessuto filtrante Vetroscreen Suncover grigio chiaro, sono state applicate sui montanti strutturali delle vetrate, verso l’esterno, disposte su due fronti distinti in esposizione da sud-est a sud-ovest. I rulli sono protetti da cassonetti in alluminio estruso, sostenuti da mensole orientabili in pressofusione che sottendono i cavi guida in fili d’acciaio da 6 mm. Il sistema di schermatura solare agisce tramite centraline motor controller Somfy integrate a sensori sole/vento che azionano le tende suddivise per zona a gruppi di tre o quattro. Un dettaglio in più: tutte le tende Suncover installate sono state trattate con Ecosun di Suncover al biossido
di titanio. La luce attiva la componente TiO2 che agisce come purificatore naturale eliminando agenti inquinanti come monossido d’azoto, polveri sottili, pollini e allergeni organici, con una protezione che può durare anche 10 anni. Ecosun previene anche la formazione di batteri e muffe, oltre a rendere i tessuti autopulenti, vantaggio che aiuta la manutenzione delle tende interne ed esterne. www.suncover.com
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materiali / alice orecchio
Urban Mimesis manifesto cromatico del policarbonato Edifici mimetici e strutture armonicamente inserite nel paesaggio. Caratteristiche e potenzialità del policarbonato. Leggero, resistente e polifunzionale
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lcune costruzioni si affermano decisamente nel paesaggio. Il pericolo è che si distinguano per la bruttura, denominatore comune a molta architettura industriale. Un capannone è forse sollevato da una qualsivoglia responsabilità estetica rispetto al contesto? Sep, produttrice dei pannelli in policarbonato 100% Seplux, ha risposto sviluppando il concetto di Urban Mimesis, mimesi di un’edificio intesa non come occultamento, nè come invito all’anonimato, ma come inserimento armonico nel paesaggio. Armonia applicata nella realizzazione della propria sede di Volano, in provincia di Trento, che andava ampliata. Il prolungamento dell’edificio, con la riconversione di una poco funzionale area scoperta per lo stoccaggio delle merci, è stata l’occasione per costruire una struttura che si innestasse positivamente su quella preesistente, ma al tempo stesso intesa come spazio nuovo, libero nel progetto e nella resa. La soluzione, autoreferenziale, è una scatola di policarbonato. I vantaggi di questo materiale sono visibili a occhio nudo e le traduzioni in architettura sono molteplici. Dai dettagli interni al completo rivestimento di una struttura, il policarbonato in purezza è un materiale versatile, leggero, ha la trasparenza del vetro, ma non la fragilità. Nell’ampliamento della struttura, 320 ganci a scomparsa ancorano i pannelli di policarbonato allo scheletro portante; le stringhe colorate si susseguono senza apparente saldatura, gli incastri maschiofemmina sono praticamente invisibili, e le cromie si rincorrono in uno spettro polisinfonico molto equilibrato. L’ispirazione è addirittura l’Ouverture della Primavera di Vivaldi, trasformata da armonia musicale ad armonia visiva, con il motivo di base declinato in toni diversi, in un gioco costante di rimandi e di assonanze. La tonalità di base prescelta è quella di un fiore viola, l’acquilegia, che cresce spontaneamente nei dintorni, che si concede alle variazioni dell’azzurro e del verde, anche quello più deciso. Pannelli di policarbonato come uno spartito, che la luce poi esegue. La formula di Urban Mimesis nasce dalla collaborazione tra Sep e Forteco, una società di consulenza che accompagna il progettista con il supporto tecnico nella scelta del materiale e nella messa in posa, mentre lo studio dei colori è opera di Clariant, multinazionale svizzera specializzata nelle ricerche cromatiche per superfici termoplastiche. Un’altra applicazione delle potenzialità del policarbonato in purezza, con un’accezione più mimetica questa volta, si rivela nel capannone industriale dell’architetto Stefano Vassallo, tra Pavia e Broni: 83 metri di lunghezza e 21 di altezza, un parallelepipedo dalle dimensioni difficilmente dissimulabili, ma che nel rivestimento emula i colori del paesaggio, le varianti grigie dei cieli della pianura padana. Il progettista si è ispirato alle grandi architetture in vetro e acciaio. Come il Crystal Palace della prima Esposizione Universale di Londra, un edificio che, pur basandosi sul concetto modulare anche abbastanza prosaico delle serre, esprimeva programmaticamente la propria modernità a partire dai materiali. Architetture che della struttura fanno la superficie e viceversa, e che con la leggerezza riescono a sfuggire la bruttura rivendicando un’autonomia estetica rispetto al paesaggio.
Sotto il titolo, l’ampliamento della sede Sep di Volano (TN), realizzato con pannelli modulari di policarbonato coestruso a tre pareti SEPLUX 405 px. Il policarbonato in purezza ha una trasparenza difficilmente eguagliabile da altri materiali con la stessa semplicità di utilizzo che consente giochi di luce e sperimentazioni cromatiche. A fianco, le scelte cromatiche, sviluppate dalla multinazionale svizzera Clariant, si ispirano al fiore viola dell’aquilegia, tipico del patrimonio botanico locale, la cui cromia è stato declinata in diverse tonalità.
Sotto, la facciata del capannone vista dall’interno. I pannelli di policarbonato si innestano sullo scheletro portante attraverso i ganci a scomparsa brevetto Sep.
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design / marco penati
Il meglio è fatto a mano Lavorazione tra l’artiginale e l’innovativo di frontiera. Sensibilità e gusto di grande finezza. Servizio originale per i clienti. Soprattutto gli architetti. Ecco Ceramica Bardelli. E la sua collezione di piastrelle
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eramica Bardelli è a Vittuone, appena fuori Milano. Non è nel distretto delle piastrelle, che in Italia si colloca a Sassuolo, in Emilia. Fondata da Arnaldo nel 1962, quando il mercato dell’edilizia ingoiava milioni di metri quadri all’anno. Un prodotto molto standardizzato, con poche varianti di forma e colori che andava a rivestire pavimenti e pareti di bagni e cucine. Nella memoria collettiva questi ambienti sono impressi per i loro noiosi, tenui toni pastello che andavano dal verde acqua al cipria al crema. Il pavimento immancabilmente di un nero/grigio screziato di bianco. Perchè “meno sporchevole”. Trovare una identità tra il mare di proposte che si sovrapponevano e si diversificavano al ribasso, fu l’intuizione del fondatore. E furono le piastrelle di formato 13x26. Un formato grande e rettangolare che incontrò subito il gradimento degli architetti, che volevano qualcosa di diverso. Questo voler soddisfare l’esigenza di progettisti che vogliono “andare oltre” diventa la missione dell’azienda, mai più abbandonata, e anzi implementata notevolmente nel tempo, come vedremo. Marco Mignatti è il responsabile marketing strategico dell’azienda. Mentre ci spiega queste cose ci accompagna a vedere i reparti, dove osserviamo con stupore che il cuore dell’azienda è una specie di laboratorio artigiano dove le piastrelle vengono decorate manualmente una ad una. Lo fanno con perizia delle signore che cambiano innumerevoli mascherine trasparenti che consentono una buona precisione nei contorni dei disegni ma lasciano alla mano dell’operatore la perizia di aggiungere finezza di tocco al segno. Sono operazioni che si fanno a pennello, oppure a spugna o a spolvero. Si ottengono risultati di finezza percettiva vicino all’affresco, cosa che non si ottiene con la serigrafia o la tampografia, le tecniche industrializzate più comunemente adottate nel settore. In uno scaffale sono accuratamente selezionate le piastrelle di riferimento, alle quali attenersi per garantire la continuità di qualità estetica tra le diverse partite di lavorazione. In un altro scaffale gli smalti, le basi, le ricette e gli strumenti. Sembra un laboratorio alchemico. E ad una parallela magia ci rimanda Marco Mignatti. Un Harry Potter della comunicazione. La cosa strana è che lui ha saputo innestare sulla radice quasi artigianale della lavorazione di Bardelli un sistema di comunicazione con i fruitori del prodotto, che sono essenzialmente architetti (poco le esposizioni di prodotti idrosanitari). Fornendo loro un servizio assolutamente originale. In sostanza si tratta di mettere a disposizione in rete i 3D delle piastrelle. Un progettista scarica dal sito di Bardelli il prodotto prescelto e lo “spalma” sulla propria architettura. Sembra una cosa ovvia, ma non lo è per niente. Perchè unica. Innanzitutto l’investimento iniziale dell’azienda non è stato da poco. Basti dire che il progetto è stato commissionato direttamente ad Autodesk e portato in porto dopo mesi di lavoro, con il concorso dell’ufficio tecnico dell’azienda. In secondo luogo perchè il risultato è sorprendente. I rendering si costruiscono e costano ore di lavoro, con risultati spesso elementari. Soprattutto se si tratta di rendere una superficie vibrante e difficile come la piastrella. In questo caso tutto è già stato confezionato. Basta solo applicare. Altra impresa, a dir poco singolare, è quella
dell’Area Architetto. Sempre nel sito. Qui bisogna spiegare bene. In sostanza si tratta di un “luogo” interattivo dove i progettisti “amici” trasferiscono informazioni sulla propria attività. Curriculum, dati dello studio, opere. E quale azienda ha pensato mai una cosa del genere? A cosa serve? Beh, innanzitutto è una offerta di promozione totalmente gratuita per i partecipanti. Poi è uno strumento professionale realizzato su scala nazionale, e presto internazionale, di interrelazione tra
Due esempi della collezione Ceramica Bardelli. Qui sopra, la serie “architetture” riveste le pareti di uno studio. nell’immagine grande, sotto il titolo, una piastrella della serie “fornasettiana” (Fornasetti è il loro designer più richiesto).
La decorazione a mano. Alcune immagini del reparto hand made di Ceramica Bardelli: oltre alla decorazione a mano, con pennelli sottili fino a 1 mm e tagliati su misura, si adottano tra le altre le tecniche della mascherina (layer che delimitano le parti della ceramica da decorare) e dello spolvero (maschere forate in corrispondenza dei tratti del disegno). Per le colorazioni si utilizzano ossidi di minerali uniti a una base trasparente e diluiti con acqua. Composto da 23 persone coordinate da Amalia Baruffo, che lo ha creato nel 1992, il laboratorio interviene su tutte le collezioni hand made di Bardelli con ritmi produttivi che possono variare tra 40 e 300 pezzi al giorno per persona.
addetti e clienti. Per l’azienda una miniera di fidelizzati (e sono già migliaia) a cui inviare news e inviti. Insomma, un perfetto equilibrio tra antico e moderno, tra tradizione e innovazione. Permettersi di trasporre la lirica fantasia di un Fornasetti (che è il loro designer più richiesto), che sappiamo assolutamente legata a una poetica calligrafica e arcaica, in una semplice operazione al computer, adattandola a piacere a situazioni anche stranianti, è una possibilità che solo Bardelli offre.
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archimostre / atto belloli ardessi
Marco Ferreri progettarepensieri M
ilano, Triennale Design Museum. Il 5 ottobre 2010 inaugura una nuova mostra monografica dedicata a Marco Ferreri. Il titolo progettarepensieri suona come un’intuizione. In fondo, fare oggetti vuol dire ridurre una distanza: significa avvicinare l’idea alle sue forme. Sovrapponendo il progetto ai pensieri raccolti lungo il sentiero del processo. Così, mentre sempre più spesso, nel design si assiste ad una intrinsecazione scenica della pratica del fare, Ferreri ferma il lampo di genio e lo solidifica. In mostra sono stati allestiti rituali, strumenti, materiali e gesti che la volontà della prassi, in totale libertà, ha reso oggetti. Allievo di Munari, Ferreri è dotato di un non comune senso per il divertimento del fare. Ferreri sa mettere in contatto passato e presente come pochi altri designer sono in grado di fare. La mostra presenta l’intero percorso progettuale di Ferreri attraverso una selezione di lavori che spaziano dal design all’architettura, dalla grafica agli allestimenti alle installazioni, dagli esordi al giorno d’oggi. Inoltre, nella grande tradizione della Triennale, vengono presentati nuovi progetti appositamente realizzati. “Ferreri progetta in modo integrato”, scrive, nel testo di presentazione, la curatrice Silvana Annicchiarico. “Lui ti mostra le sue cose sorridendo, si sorprende di quanto gli piacciano, ti trasmette il suo entusiasmo, e poi subito accosta e ipotizza, prefigura e sperimenta e non si ferma un attimo, si alambicca, si arrovella, ti coinvolge, e a poco a poco capisci che la cosa che più lo rende felice è intuire che le sue cose sorprendono anche te quanto hanno sorpreso e incuriosito lui. Questo suo modo di comunicare il suo lavoro, in fondo, è già design. Design della performance, design dell’entertainment. [...] Tra i designer della sua generazione - quella nata troppo tardi per essere annoverata tra i Maestri del design, ma troppo presto per essere ritenuta figlia della rivoluzione digitale - Ferreri è uno di quelli che maggiormente ha svolto e sta svolgendo un ruolo-cerniera. I Maestri, lui, li ha conosciuti per davvero. Ha lavorato con Munari e Mangiarotti, si è laureato con Zanuso. Ha imparato dal primo il gusto poetico del gioco, dal secondo la consapevolezza della centralità dei materiali nel percorso progettuale, dal terzo la concezione del design come un processo di problem solving e - al contempo come un vettore di cambiamento e di innovazione. E lui, forse, è il risultato di una sorta di virtuale centrifuga della lezione dei suoi tre maestri: discolo e severo, giocoso e rigoroso, curioso e spiritoso (appunto…). Ma questa eredità dei Maestri che porta incisa e quasi scolpita nella sua formazione, Ferreri non la utilizza per una nostalgica reverie della grandezza del passato”. La retrospettiva in Triennale dunque non celebra unicamente l’eredità visionaria di Ferreri, ma la sistematizza, indirizzando i suoi lavori a differenti ambiti: il progettare idee, il progettare libero, il progettare spazi, cose, segni e
Nella foto grande, “La Casatuttadiunpezzo”, esposta all’esterno del palazzo della Triennale in occasione della mostra, è un piccolo edificio (4 x 2,40 x 3,50 metri) formato da un pezzo unico e realizzato in cemento Portland con una stampante 3D D-Shape Technology.
vita. “La mostra è un percorso di oltre 1200 metri quadrati, allestito nell’ala est al piano terra della Triennale di Milano”, così come conferma il designer milanese: “il mio lavoro ha sempre avuto bisogno di molto spazio e di molte parole per essere raccontato, così ho deciso di allineare oggetti, installazioni, concept di prodotti e idee facendoli diventare un solo linguaggio. La dichiarazione di intenti iniziali è un’installazione. Lo stato di fatto di progettarepensieri è rappresentato da sei croci di marmo tagliate a 30°. L’indeterminatezza è l’incipit per ogni mio progetto. Le sei croci stanno sprofondando o stanno riemergendo? Ordinate come un insieme di maglie, le croci danno il via al percorso delle idee. A partire da questo punto, l’intera mostra, per il visitatore, può durare dai trenta minuti ai due giorni. Attorno alle pareti sono state poste le descrizioni dei progetti e delle performance, documentate al meglio grazie anche all’inserimento di piccoli monitor. In mostra sono riuscito ad inserire molti lavori nuovi. Come ad esempio la moto
elettrica di Dainese, progettata per gli spostamenti urbani e pensata come uno zaino da città che al suo interno ha spazio a sufficienza per contenere oggetti di varie dimensioni, dal computer a una chitarra. Eliminando il motore dal telaio, e spostando le
batterie nella parte retrostante della moto, ho infatti sostituito il metallo con il tessuto, inserendo nella struttura del veicolo una sorta di sacca. In triennale ho voluto esporre, sempre per quanto riguarda Dainese, una poltroncina prototipata utilizzando la stessa tecnologia che l’azienda impiega nelle linee di abbigliamento. Con il titolo Airbag infine metto in mostra una seduta gonfiabile e sgonfiabile che partendo dalla tecnologia per la sicurezza e poi modificando l’utilizzo dell’aria, arriva a concepire una struttura integrata, un tutt’uno. Un’altra novità sono i Soffi. Sono chiamati così i primi sfiati mattutini dei vetrai veneziani che, per provare la qualità del silicio e per misurare l’intensità del loro respiro, compiono la prima prova del giorno dando vita a strane gocce di vetro soffiato, spesso non utilizzate. Mi è sempre sembrato uno spreco abbandonare come scarti i primi respiri del mattino. Così in mostra ne ho voluti novantanove, novantanove respiri fermati dal vetro blu”.
“Airbag”, prototipo per Dainese, poltroncina gonfiabile che sfrutta per la propria struttura la tecnologia del cuscino salvavita per moto.
“Incanto” lampada da parete angolare, utilizzabile sia in caso di angoli concavi che convessi. A sinistra, “Piccole crisi senza importanza”, sei croci di marmo tagliate a 30°, che sembrano sprofondare (o emergere) nel terreno, aprono il percorso della mostra.
Marco Ferreri: progettarepensieri 6 ottobre - 6 gennaio 2011 Triennale Design Museum Viale Alemagna, 6 - Milano A cura di Silvana Annicchiarico Catalogo Electa Orari: mar-dom 10.30/20.30 giov-ven fino alle 23.00 www.triennaledesignmuseum.it
A sinistra,“Storie di oggetti”, installazione di Marco Ferreri per progettarepensieri.
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nuove tecnologie / sonia politi
Se il mosaico diventa digitale Semplicità, leggerezza, grande libertà e forza espressiva. Sono queste le caratteristiche di mosaico digitale, l’invenzione di Salvatore Pepe
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osaico Digitale è innanzitutto un’idea portata avanti con entusiasmo ed energia da Salvatore Pepe, imprenditore nel settore della lavorazione della resina a Gravina di Puglia. L’idea è nuova e originale: un’immagine digitale viene impressa direttamente sulle tessere di un mosaico in resina; leggero, di semplice applicazione, è un rivestimento in grado di riprodurre immagini su pareti, pavimenti e qualunque superficie interna o esterna, dando vita a opere uniche, esplosioni di creatività e immaginazione progettuale. La formula vincente di questo prodotto sta proprio qui: nella totale capacità di adattamento dei mosaici a qualunque esigenza e nell’affidabilità dei materiali in qualunque condizione, una flessibilità che lascia ampi spazi di libertà espressiva e consente di realizzare installazioni capaci di creare meraviglia e stupore, senza perdere il prezioso legame con la realtà e i limiti che essa impone al progettista. Importanti studi di architettura e di design utilizzano già questo materiale per dar vita a proposte per le location più disparate. Come il grande centro enogastronomico Eataly nella Fifth Avenue di New York, i cui arredi delle zone food sono realizzati da Costa Group e ancora con Costa, il nuovo locale Akua, nell’ambito del porto turistico di Mirabello, a La Spezia. Con Kingsize, lo studio di architettura di Maurizio Favetta, si progettano le applicazioni all’hotel Rosshus di Antakia, 160 camere all’estremo sud della Turchia che verrà inaugurato nel 2012, al Mercure hotel di Riyad, in Arabia Saudita dove la partnership con Mosaico Digitale esploderà in una personale interpretazione delle arti grafiche orientali negli spazi dedicati alla ristorazione, mentre con gli architetti Alfonso Femia e Gianluca Peluffo di 5+1 AA si studiano
soluzioni per l’interno del Nuovo Palazzo del Cinema di Venezia. Fino alla collaborazione con l’architetto Giampaolo Cammarata, che ha curato la ristrutturazione della Paradiso Gallery di Venezia, palazzo liberty nei Giardini della Biennale dove, per la decorazione delle pareti dei bagni, Cammarata ha utilizzato la tecnica del mosaico digitale su un’opera di Paolo Fraternali. E proprio nell’ambito della XII Biennale di architettura è stata annunciata la nascita di Mosaico d’autore, la naturale evoluzione di mosaico digitale. Salvatore Pepe propone all’artista di svincolare l’opera dalla fisicità, dal luogo dove viene realizzata e di fare che si concretizzi altrove. Un grande passo verso una più ampia libertà creativa, dove all’artista poi spetta solo di firmare una targa per autenticare e certificare la propria creazione, realizzata in una unica e irripetibile opera grazie a Mosaico d’autore. International Mosaico d’autore award - Venezia 2011 Aperto a giovani autori e artisti affermati, il Premio è destinato all’opera che meglio saprà interpretare la filosofia di Mosaico d’Autore per cromatismo, taglio come possibilità di scomposizione in tessere di mosaico; interattività e superamento delle barriere del luogo, del tempo e delle dimensioni. Mosaico d’Autore Award prevede una sezione anche per gli Enti locali che vogliano destinare uno spazio pubblico a un’installazione di mosaico digitale. Tutte le informazioni per partecipare su www.mosaicodautore.com
Accanto al titolo e sopra a destra, i mosaici di Eataly di New York, nati dalla collaborazione tra Costa Group e Mosaico Digitale; a destra, una delle sale ristorante del Mercure Hotel di Riyad, Arabia Saudita, progettato da Kingsize Architects di Maurizio Favetta, realizzate da Mosaico Digitale.
architetture / antonio morlacchi
Green_Frame House Una villa contemporanea riciclata e riciclabile
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ggi nel mondo 20 milioni di container hanno terminato il loro ciclo di servizio e sono depositati da qualche parte in attesa della loro demolizione. Abitarli non è un’idea nuova e forse è nata spontaneamente, prima che se ne occupassero architetti e costruttori. Nuova è la formula che, inserendosi nel mainstream della nuova prefabbricazione, Art Container propone ora per l’Italia, dove esperienze analoghe hanno avuto solo carattere sporadico o emergenziale. È nuova, soprattutto, l’idea di poter usare dei rottami per costruire una residenza contemporanea, bella, piacevole da abitare e realizzata secondo i moderni criteri del risparmio energetico. È il progetto dello studio AstoriDepontiAssociati, illustrato in scala 1:1 alla recente edizione di Abitare il Tempo a Verona: 6 container marittimi affiancati e sovrapposti a definire il perimetro di una residenza individuale in cui vien voglia di abitare. Perchè il
fatto è che oggi l’industria è già in grado di offrire i prodotti e le soluzioni necessarie a limitare i consumi di energia, acqua e materie prime; così come è in grado di proporre pavimenti, rivestimenti, arredi, idrosanitari, elettrodomestici, fonti di illuminazione capaci di trasformare un vecchio container in una residenza di design. Tradurre tutto questo in un progetto corrisponde esattamente all’impegno ambientale di un architetto, convincendoci che una scelta ambientale oltre che utile è bella, vivibile, desiderabile, emozionante. Nicola De Ponti ci spiega che l’installazione di Verona è una di molte possibili proposte, declinabili secondo le esigenze del luogo e della committenza: da soluzioni di lusso a nuove forme di edilizia prefabbricata a basso costo. Tutte dis-integrabili, facili da rimuovere o smaltire, come è stato semplice assemblarle a partire da moduli standard di 6, 9 o 12 metri di lunghezza per 2,40 di larghezza.
Due immagini dell’installazione in scala 1:1 di Green_Frame House (foto: Tom Vack Photographer, www.tomvack.com) e il concept sviluppato dallo studio AstoriDePonti Associati.
aziende e prodotti di Green_Frame House Biò Fireplace: biocaminetti Sipario (Matteo Ragni) e Twin (Massimo Botti) Bticino: sistema domotico MyHome (automazione luci, termoregolazione a zone, chiusure e schermature, audio); sistemi di comando Axolute driade: libreria componibile Edipo (Nicola De Ponti) dupont: pannello leggero Energain© (spessore 5 mm) per edifici a bassa inerzia termica; membrana traspirante per tetti e pareti Tyvek© Enercor© electrolux: elettrodomestici Il Cantiere: parete verde South Face (Massimo Iosa Ghini) Kronos Ceramiche: pavimentazione modulare aerata da esterni Modulo Margaritelli listone Giordano: parquet per interni Medoc® (Michele De Lucchi); listoni da esterni Decking Metallconcept: scala a chiocciola su disegno oluce: lampade Atollo (Vico Magistretti), Flash e Spider (Joe Colombo), Plateau (Antonia Astori e Nicola De Ponti), Stones (Marta Laudani e Marco Romanelli) rapsel: idrosanitari Schiffini: cucina G-One technogym: macchina fitness Kinesis™Personal (design Antonio Citterio) ttM rossi: tele metalliche in acciaio inossidabile per rivestimenti esterni, tessuto metallico d’arredo Tex Light tubes: radiatori Soho e Milano turn lights: proiettori da binario Gab
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anteprima saie /
Integrare per costruire Come ogni anno, ecco una breve rassegna delle novità per il mondo delle costruzioni presentate a Bologna Industrie Cotto Possagno
Freudenberg Politex
Wienerberger
Integrazione architettonica completa con le tegole fotovoltaiche standard e per coppi di Sistema Tetto. Con celle in silicio cristallino da 4,2 o 4,8 Wp applicate alla tradizionale produzione di qualità dell’azienda e certificate per accedere al conto energia, le tegole fanno parte di un sistema completo studiato per assicurare semplicità di posa e facilità di allacciamento. Il fabbisogno varia tra 25 e 33 pezzi per mq. 17 mq di tetto hanno una capacità al picco di 1kW. www.cottopossagno.com
La famiglia di pannelli per isolamento termoacustico Ecozero® ha ottenuto la marcatura CE, che prevede il rispetto delle specifiche in materia di resistenza meccanica, stabilità, igiene, salute, ambiente, sicurezza d’impiego, e rappresenta una sorta di “passaporto” comunitario. A ciò si unisce la sostenibilità dei processi, che ha portato alla certificazione EPD e, grazie a interventi tecnologici ecocompatibili come l’impianto di cogenerazione avviato a Novedrate (CO), ha visto diminuire le emissioni di CO2 di oltre il 20%. Per il suo impegno ambientale, quest’anno il Gruppo Freudenberg Politex ha ottenuto il “Premio Innovazione Amica dell’Ambiente per il Sud” promosso da Legambiente e dal Comitato Mezzogiorno di Confindustria. www.freudenbergpolitex.com
Il blocco Porotherm Bio Plan 38 T - 0,11 prolunga il flusso termico minimizzando la conducibilità. Grazie all’elevato numero di file dei fori e allo sfasamento dei setti in direzione della trasmissione del calore, la parete semplicemente intonacata raggiunge valori di trasmittanza termica inferiori del 20% a quella richiesta per il 2010 in zona F. Grazie alla rettifica delle facce di allettamento dei blocchi inoltre è possibile eseguire murature con giunti orizzontali molto sottili. I blocchi Bio Plan sono prodotti con impasti di argille naturali e farina di legno priva di additivi chimici. www.wienerberger.it
Far System
Riwega
Zehnder Comfosystems
tegole energetiche
consumi sotto controllo
pannelli con il passaporto
la membrana che respira
laterizio biocompatibile
La membrana USB Vita è realizzata in tessuto di poliestere spalmato con miscela speciale di poliacrilato nel colore grigio perla. Posata su tetti inclinati a partire da 10°, garantisce impermeabilità all’acqua e al vento, una lunga durata ai raggi UV e un’elevata traspirabilità. Di semplice posa, il suo peso è di 270 gr/mq (20 kg a rotolo). www.riwega.com
Gruppo Fassa
Pontarolo Engineering
Prefa
Il sistema costruttivo Climablock unisce in un’unica soluzione l’elevato isolamento termico dell’EPS e la resistenza meccanica del calcestruzzo. Staffe in plastica riciclata mantengono alla corretta distanza due pannelli in EPS per contenere la gettata di calcestruzzo. Gli elementi sono disponibili in più forme e dimensioni e in formati speciali, per realizzare pareti angolari o circolari. www.pontarolo.com
Alla leggerezza e resistenza dell’alluminio, la superficie PREFA P.10 aggiunge nuove possibilità di resa estetica con texture e colori che riprendono i materiali da copertura tradizionali: ardesia, pietra, cotto, per combinarsi armonicamente con le componenti esterne dell’edificio e adattarsi a ogni realizzazione, dai moderni edifici industriali alle residenze più classiche. Un risultato ottenuto con una verniciatura a due strati con lacca termoindurente secondo il processo coal coating: 20 fasi di lavorazione per resistere alle sollecitazioni accidentali, agli agenti atmosferici e al tempo. Così la quarantennale garanzia di Prefa sui materiali, con PREFA P.10 è estesa anche al colore. www.prefa.com
Il gesso proviene dal pregiato giacimento di Calliano (AT), il cartone è 100% riciclato, l’acqua è controllata e l’amido di mais migliora la coesione degli elementi nelle lastre di cartongesso Gypsotech® che l’azienda trevigiana ha presentato di recente. Un sistema completo con Focus, ignifughe con fibra di vetro; Aqua, idrorepellenti a basso assorbimento d’acqua; Vapor, con barriera vapore di alluminio.; Duplex, accoppiate a diversi materiali isolanti. l pannello parete Alveum ha anima in cartone a nido d’ape. www.fassabortolo.com
muri in un’unica soluzione
di tutti i colori
risparmio e benessere
Green G.E.Co di Far System, azienda del Gruppo Industriale Tosoni, è un sistema completo di monitoraggio dell’efficienza energetica di edifici e stabilimenti industriali applicabile sia a stabili esistenti che di nuova costruzione. Il sistema comprende sensori di rilevamento dei dati dal campo, centraline di raccolta dati (che possono inviare i dati raccolti direttamente ai server Far System via wireless) e un software dedicato che permette all’energy manager di accedere ai dati e alle elaborazioni via Internet. Conforme alla norma UNI EN 16001:2009 “Sistemi di gestione dell’energia”, poco invasivo, flessibile e basato su protocolli standard, il sistema può contribuire al conseguimento di alcuni crediti secondo il protocollo LEED Green Building. www.farsystems.it
l’imbarazzo della lastra
Alpewa
Il sistema di ventilazione Comfort Zehnder assicura un ricambio d’aria a regime costante, elimina odori, vapori e altri agenti inquinanti dagli ambienti e consente di recuperare più del 90% del calore altrimenti disperso a causa della ventilazione naturale. Tutti i componenti agiscono in modo logico e consecutivo, assicurando la massima resa in termini di benessere abitativo, risparmio energetico, versatilità ed estetica, con un impatto visivo davvero minimo. www.comfosystems.it
L’innovazione incontra la funzionalità del metallo in Larson pe/fr, sistema in alluminio prodotto dal gruppo spagnolo Alucoil e distribuito in Italia da Alpewa. Il pannello composito è costituito da due lamiere in lega di alluminio verniciate in PVdF in spessore 0,5 mm con interposto un “core” di polietilene estruso o in materiale resistente al fuoco (FR). Le numerose colorazioni e le dimensioni speciali di fabbricazione lo rendono un prodotto adatto per grandi superfici. www.alpewa.com
garanzia 40+40
IMPIANTI TECNOLOGICI Cat. SOA OG1-OG6-OG11-OS3-OS28-OS30 Viale Venezia, 96 - 38056 Levico Terme (TN) - tel. 0461 707084
www.hollander.it
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ricordo di Carlo Aymonino / ilaria valente*
Architettura come fenomeno urbano L’opera di Aymonino è oggi termine di paragone per una riflessione sulle difficoltà politiche dell’architettura italiana
I
l 4 luglio scorso è mancato Carlo Aymonino. Il suo pensiero e la sua opera hanno contribuito in modo fondamentale al dibattito e al costituirsi del profilo dell’architettura italiana del dopoguerra. Architetto formato nella scuola di Roma, inizia la sua attività con Mario Ridolfi e Ludovico Quaroni partecipando al progetto per il Quartiere Tiburtino III a Roma (1950), con la palazzina La Tartaruga con Ludovico Quaroni (1951) e, di seguito, la realizzazione del quartiere Spine Bianche a Matera (1954). È decisiva per Aymonino la stagione di studi e ricerche allo IUAV, avviata nella Scuola in cui Giuseppe Samonà aveva riunito, negli anni, alcuni tra i più significativi protagonisti della rinascita dell’architettura italiana: maestri e allievi, due generazioni che hanno fissato i cardini teorici e operativi di una pratica del progetto di architettura che può dirsi fondativa per le successive esperienze europee degli anni Settanta e Novanta. Tra il 1963 e il ’66, insieme ad Aldo Rossi e a un gruppo di più giovani collaboratori, elabora nel Corso di caratteri distributivi degli edifici l’ossatura portante della sua teoria, lavorando intorno al rapporto tra morfologia urbana e tipologia edilizia, ovvero sul nesso tra architettura e forma urbana, nella sua formazione storica e de-formazione in “fenomeno urbano”, affrontando in termini innovativi il tema della crescita urbana e, con riferimento al dibattito sui centri direzionali, della nuova dimensione. Parallelamente, Aymonino si occupa approfonditamente della tipologia della residenza, per riprendere sul piano disciplinare la riflessione engelsiana sulla “questione delle abitazioni”. Due progetti di questi anni possono essere considerati sperimentali e paradigmatici: il progetto di concorso per la ricostruzione del Teatro Paganini a Parma (1966) e la realizzazione del complesso Monte Amiata al Gallaratese, a Milano (1967-74). Il nesso tra pratica teorica e progettuale è costante e informa l’attività didattica e professionale di Carlo Aymonino, fondendosi in un insieme coerente, problematico e sperimentale. Nello sviluppo della sua attività allo IUAV, di cui sarà rettore tra il ’74 e il ’79, emergerà in modo chiaro l’intensità di questo atteggiamento, ben descritto da Nino Dardi nel tracciare la vicenda del Gruppo Architettura, fondato da Aymonino insieme allo stesso Dardi, Semerani, Polesello, Canella e ad altri più giovani: “Carlo Aymonino ci propose delle norme elementari di comportamento: preparare una lezione scritta, ove venivano esposte le proprie tesi, leggerla a lezione ai colleghi e agli studenti, e aprire su questa una discussione: pensare, scrivere, dattiloscrivere, ciclostilare, diffondere, leggere, dibattere. (…) Rileggendo i testi di quegli anni, un’inequivocabile vocazione e una prioritaria opzione balza immediatamente evidente: a favore di una costruzione logica serrata, di una disciplina metodologica assai ampia, di una
vocazione a costruire leggi, a ricercare norme, ad affermare principi. (…)”. Questi antefatti e i successivi sviluppi, gli studi sulla città di Padova e sulle città capitali del XIX secolo, confluiranno nella pregnante sintesi offerta in Lo studio dei fenomeni urbani, pubblicato nel 1977, e in altri importanti testi, contributi sistematici rivolti alla messa a punto del nesso fondamentale tra architettura e città. Strettamente intrecciata alla sua attività di architetto e studioso, va citata la militanza di Aymonino nel Partito Comunista Italiano che è anche da considerarsi come importante chiave di lettura del suo pensiero e del suo operare come intellettuale “organico”. In particolare, nel giro di boa della fine degli anni Sessanta, il tentativo di fondare una scienza urbana corrispondeva a un’istanza etico-ideologica in cui “scienza” corrispondeva alla ricerca della “verità” tra gli opposti atteggiamenti della cultura del “sistema” e della
dissoluzione della ricerca disciplinare nella politica. La scienza urbana, e ne è esempio concreto lo studio sulla città di Padova, non è intesa come la fissazione di metodiche analitiche da cui le opzioni progettuali derivino in sequenza deduttiva, ma come costruzione di una teoria della città e dell’architettura come inevitabili orizzonti di riferimento per il progetto, che rispetto ad essi articola la sua costituzione formale in termini di relativa autonomia. Termine e metro di giudizio della validità dell’apparato conoscitivo rimane sempre, per Aymonino, il progetto: “il giudizio finale o il risultato conclusivo spettano sempre ai progetti e alle realizzazioni di architettura, che possono confermare o negare le ipotesi iniziali”, scrive in Architettura come fenomeno urbano (1969). Il nesso tra architettura e città viene sperimentato in una ricerca paziente che emerge dalle sue opere: architetture civili in cui è evidente l’obiettivo di costruire frammenti di città pubblica, con i progetti degli anni Settanta per le università di Firenze e delle Calabrie, concorsi che costituiscono un importante banco di prova per le più significative posizioni espresse dalla cultura architettonica italiana di quegli anni, quindi edifici pubblici: i palazzi di giustizia di Brindisi (1961) e di Ferrara (1977), i progetti e le opere realizzate a Pesaro, di cui ricordiamo in particolare il campus scolastico del 1971 e il centro direzionale Benelli del 1981. I numerosi progetti e le opere degli anni Ottanta coincidono con l’impegno di Aymonino, tra l’81 e l’85, come assessore per gli Interventi sul Centro Storico del Comune di Roma istituito dalla Giunta Argan, occasione irripetibile in cui ancora una volta Aymonino pone al centro l’architettura come motore della valorizzazione della città capitale. Prende sempre più corpo, nel caso del progetto per il centro storico di Roma, l’approfondimento sul delicato equilibrio tra vecchio e nuovo, dove la definizione della nuova architettura avviene a valle di concrete condizioni di necessità, supportata da una conoscenza profonda dei fatti urbani che sola può informare modalità coerenti per “costruire sul costruito”. Aymonino aggiunge quindi un ulteriore tassello alla riflessione da anni avviata sulla città contemporanea e sul nesso centro-periferia, dialettica necessaria in cui si iscrive il ruolo dell’architettura nella sua capacità di riscatto delle condizioni di degrado fisico e come motore della ricostituzione di un’identità civile. L’opera di Carlo Aymonino, felice, coerente e coraggiosa fusione di talento e impegno intellettuale e politico, descrive compiutamente e in modo paradigmatico un percorso forse irripetibile e si pone come termine di paragone per una sempre più necessaria riflessione sulle odierne “difficoltà politiche dell’architettura italiana”.
* Docente di composizione architettonica e urbana al Politecnico di Milano
Sotto il titolo, “Studi per il Campus di Pesaro. Il centro civico nella tempesta 2”, 1980, inchiostro, tempera e pennarelli su carta, 70x50 cm. A sinistra, “Ecco qua un altro pezzo di città”, 1973. Tecnica mista su tela, 199x146,5 cm. Sopra,“Musei Capitolini in Campidoglio. Copertura e sistemazione del Giardino Romano dei Musei Capitolini”, 2.05.2005. Pennarelli, matita e inchiostro su carta 100x70 cm.
“Autoritratto preoccupato per l’architettura”, Carlo 8/XII/’77, penna su carta, 32x24 cm
Tutte le immagini di questa pagina courtesy Collezione Francesco Moschini e Gabriel Vaduva, A.A.M. Architettura Arte Moderna. (www.aamgalleria.it)
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archiartisti / mara corradi
Design: uguale o differente dall’arte? Interpretazioni sul tema di Michele De Lucchi e Ottorino De Lucchi in una mostra che si inaugura il 14 ottobre al museo delle Arti decorative di Bordeaux
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l Musée des Arts décoratifs di Bordeaux supera la sua missione tradizionale di conservazione e valorizzazione del patrimonio delle arti e dell’artigianato locale, aprendosi alla contemporaneità. E lo fa allestendo un’ala delle sale espositive completamente dedicata al design, che è nato e si è sviluppato in stretta connessione con le arti applicate, per raccoglierne l’eredità a partire dalla Rivoluzione Industriale fino ai giorni nostri. Oggi che la stessa definizione di design è messa in crisi, a Bordeaux intendono riflettere sulle prospettive della disciplina, attraverso esposizioni dedicate ad autori contemporanei che sono al centro del dibattito. Ad aprire la strada è stato Jasper Morrison nel 2009. Quest’anno il museo ha pensato di lanciare una provocazione, chiamando ad esporre insieme due figure dalla carriera non convenzionale, la cui creatività nasce dalla reciproca influenza delle arti e della tecnica, che enfatizzano nel loro essere fratelli gemelli: “Uguale e differente” è il titolo della mostra che mette in relazione le opere di Michele De Lucchi e di Ottorino De Lucchi. Noto a livello internazionale per l’esperienza avanguardistica del gruppo Memphis negli anni ’80, Michele De Lucchi non ha mai ricondotto la sua poetica alla pura componente estetica, ma ha affrontato la tecnica lavorando a capo dell’ufficio di design dell’Olivetti per 10 anni, ha indossato i panni dell’imprenditore fondando Produzione Privata, la sua azienda che produce oggetti realizzati con le maestranze artigiane italiane, e ha continuato a costruire architetture, dialogando con le componenti tecnologiche del progetto. Arte e scienza si combinano in un costante rinnovamento concettuale
Michele De Lucchi - Ottorino De Lucchi uguale e differente Design et peinture Musée des arts décoratifs de Bordeaux 39, rue Bouffard, Bordeaux Dal 14 ottobre 2010 al 31 gennaio 2011 mer-lun 11.00/18.00 www.bordeaux.fr
e linguistico, come nella poetica di Ottorino De Lucchi, la cui tecnica pittorica iperrealista di interpretazione del reale deriva dalla formazione scientifica. Professore di chimica all’Università Ca’ Foscari di Venezia, membro dell’American Chemical Society, autore di numerose pubblicazioni e detentore di brevetti, egli ha condotto studi sui pigmenti e sui coloranti per la conservazione e il restauro di opere d’arte e ricerche sulle molecole organiche grazie a cui ha sviluppato negli anni una tecnica pittorica basata sull’acquerello secco (watercolor drybrush), che permette di associare la brillantezza e la trasparenza dell’acquerello a una estrema permanenza dell’opera.
Per suggellare questo patto poetico dell’integrazione tra le arti, il Musée des Arts décoratifs di Bordeaux mette in scena i più importanti oggetti di produzione industriale e artigianale e le sperimentazioni architettoniche a piccola scala di Michele De Lucchi con le rappresentazioni pittoriche degli stessi, realizzate per l’occasione da Ottorino De Lucchi. Nella forte volontà di intrecciare a livello culturale le diverse discipline, che come tali appaiono estranee le une alle altre e dovrebbero essere portate avanti con rigorosa distanza, si sostanzia la rivelazione dell’agire contemporaneo; la combinazione tra design, architettura, chimica e pittura, cadute le barriere disciplinari, rivela relazioni inaspettate e genera immagini parallele, dove si legge con chiarezza una comune finalità: l’interpretazione dell’oggi, e dove l’ambiguità dell’ “uguale e differente” è proposta come una possibile chiave.
Sopra, vassoio da muro “Via Omero 38”, Produzione Privata 2009 (Michele De Lucchi, Alberto Nason); a sinistra, vaso Basequadra (Michele De Lucchi, Alberto Nason e Mario Rossi Scola), Produzione Privata, 1997; sotto, Vaso di Natale 2006 con tulipano rosso (Ottorino De Lucchi), drybrush e acrilico su cartone Schoeller, 36,5 x 36,5 cm, 2010.
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archilibri / Milano expo 2015 Un’occasione di sviluppo sostenibile Stefano Di Vita Franco Angeli editore 320 pp - euro 28,00 Il testo esplora il tema dei grandi eventi nelle città contemporanee attraverso i principi dello sviluppo sostenibile, a più di vent’anni dalla sua definizione, interrogandosi sulla difficoltà nel tradurla in azioni concrete, focalizzandosi non tanto sulle tipologie di intervento quanto sulle loro modalità di attuazione. Milano, terreno di sperimentazione in occasione dell’Expo 2015, ci offre interessanti riflessioni in materia.
effetto Maddalena Una vicenda di architettura / an architectural affair Stefano Boeri Architetti Rizzoli, editrice AbitareSegesta 223 pp - euro 50,00 L’isola della Maddalena: scenario di un viaggio progettuale a cui è improvvisamente mancata la destinazione prima: la sede italiana del vertice G8 del 2009. Il volume raccoglie le testimonianze, a volte dissonanti, dei protagonisti di una realizzazione costretta in tempi strettissimi; le voci, da Boeri a Bertolaso, spiegano le immagini, di per sé eloquenti, di una storia italiana controversa.
Worldwide architecture The next generation Utet editori 249 pp - euro 75,00 Una rassegna di progetti che porta alla luce un interessante panorama globale, quello della nascente generazione di progettisti che, in nome di una ritrovata semplicità, vuole empanciparsi da quella precendente, che molto deve alle Archistar. Quarantacinque progetti per quarantacinque architetti under 40, ognuno corredato da una descrizione accurata e, soprattutto, immagini.
Maxxi Zaha Hadid Architects Skira editore 164 pp - euro 55,00 L’unico volume ufficiale sull’architettura del MAXXI, il Museo delle Arti del XXI secolo, recentemente inaugurato a Roma, progettato dal Premio Pritzker 2004 Zaha Hadid. Schizzi, prospetti, tavole e fotografie di una trama spaziale che è stata definita “un campo permeabile in cui immergersi”. Un libro per capire la genesi di un edificio che è già icona.
architettura del Settecento a napoli dal Barocco al Classicismo Benedetto Gravagnuolo Guida Editore 278 pp - euro 30,00 Da Vaccaro a Ruffo, i sette protagonisti dell’architettura napoletana del Settecento vengono restituiti in questo volume alla luce di una rivalutazione critica che non è stilistica tout court, bensì chiaroscurale, come la rassegna fotografica di Sergio Rizzo che lo accompagna, testimoniando la perenne oscillazione negli autori tra barocco e classicismo.