IoArchitetto Zero issue - Oct 2005

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Numero Zero - OTTOBRE 2005

Materiali

4

Masselli in cemento per un recupero economico

Ristrutturazione

6

Da un millennio arroccata sul granito

Progetto del mese

8

Il panificio militare diventa scuola

Design

14

Waterblade l’acqua che arreda

ANNO 1 Numero Zero Mensile

Direzione, redazione, amministrazione Font srl, via Siusi 20/a, 20132 Milano tel. 02 2847274 - fax 02 45474060 e-mail: info@fontcom.it Direttore Giovanna Franco Direttore responsabile Sonia Politi Redattore capo Nadia Rossi

I

oArchitetto è un nuovo giornale di cui presentiamo il numero zero. Parla di città, di case e di gente che ci vive; parla di chi è particolarmente impegnato nelle trasformazioni urbane, amministratori e politici, imprese e committenti, produttori, immobiliaristi e operatori; in particolare parla di architetti, per mettere in evidenza il loro lavoro, i risultati ottenuti e tutti i problemi legati alla professione. Non trattiamo solo di architettura però, parliamo di progetti e prodotti, di luoghi e non luoghi, ma anche di sentimenti, di estetica e di arte, di eleganza, di passioni e, perché no, di soldi, insomma di quelle cose, che quando riescono bene rendono felici. Siamo in molti noi architetti, un esercito variegato che con fatica quotidiana e qualche successo, è impegnato nella ricerca della qualità del vivere. L’impresa è improba, la foresta circostante è quella dei pugnali volanti, e spesso ci si dimentica che l’Italian Style è sempre ai primi posti nell’immagine del nostro paese nel mondo: moda, arte, design, arredamento, interiors, eleganza, cibo, recupero dei centri storici. Un primato molto pericolante. Nell’architettura contemporanea invece siamo deboli, e quello che si vede in giro viaggiando per l’Italia non è molto confortante, anzi a volte disperante, perché, anche negli edifici più continua a pag. 2 >>>

Pubblicità Font srl, via Siusi 20/a, 20132 Milano tel. 02 2847274 - fax 02 45474060 e-mail: info@fontcom.it Registrazione Tribunale di Milano n. 822 del 23.12.04

stile

CACCIA DOMINIONI, MILANO E GLI ARCHITETTI

Come sempre si lavora dal cucchiaio alla città

Redazione Roberta Basaglia, Andrea Porta, Bianca Urbani Hanno collaborato Enrico Dassori, Sara De Maestri, Alberto Nepi Foto E. Giani, R. Bregani Stampa Graphicscalve srl Vilminore di Scalve BG

Esiste ancora uno italianoinarchitettura? Noto per l’eleganza, il buon gusto e la della sua città. Di come si è trasformata suo modo di intendere l’architettura.

profonda identità milanese Luigi Caccia Dominioni ci parla dagli anni cinquanta ad oggi, delle occasioni perdute e del Un parere autorevole e straordinariamente interessante.

A

rchitetto, designer, paesaggista. Luigi Caccia Dominioni vive e lavora al 16 di piazza Sant’Ambrogio a Milano, nel palazzo che fu anche la sua prima opera di giovane architetto. Una casa importante, nel cuore di questa città dove è nato, cresciuto e si è laureato nel 1936. Tra i suoi amici e compagni di corso c’erano i grandi nomi dell’architettura e del design come Livio e Piergiacomo Castiglioni, Marco Zanuso, e architetti che hanno raggiunto il successo in discipline diverse come Renato Castellani, Alberto Lattuada e Luigi Comencini, che sono diventati grandi registi cinematografici. La personalità – si capisce – è forte, ma è mischiata con una singolare semplicità e accostata a una gentilezza con la quale nasconde gli spigoli di un carattere molto deciso, tutt’altro che accomodante. Riceve tutti, anche senza appuntamento; la gente entra, gli chiede consiglio e lui risponde, garbato e sbrigativo. Vicino a lui tutto appare più semplice e più bello. Sembra che sappia distinguere immediatamente ciò che è importante da quello che non lo è, per istinto. Il motivo del suo successo? Fin da giovane riesce a capire i bisogni delle famiglie, i desideri

LUIGI CACCIA-DOMINIONI

Architetto, designer, urbanista, Luigi Caccia Dominioni è una delle figure più rappresentative dell’architettura lombarda contemporanea. Laureato a Milano nel 1936, ha sempre espresso attraverso i suoi lavori una personale eleganza e un gradevole equilibrio tra il rispetto della tradizione e la forte capacità di innovazione. Viene definito un piantista, nel senso che tutti i suoi progetti partono dal dentro, nascono con l’idea di realizzare i desideri e soddisfare i bisogni delle persone, delle famiglie, delle collettività.

di scultura s’intendeva, era nato un 7 dicembre. Era scritto. Io sono nato architetto e lavoro con l’intento di far bello. Studio le case e le loro piante in modo tale che la gente dentro ci stia bene, quella è la differenza tra me e gli altri architetti. Io sono un piantista, questo è il mio mestiere e lo dico sempre! Il che significa far nascere le case dal di dentro, partendo dal letto, dal tavolo da pranzo... Dai particolari si arriva al generale, non il contrario. delle persone, li interpreta e li realizza. Caccia Dominioni ha il senso del bello, ce l’ha dentro e lo esprime nelle cose che fa per sé e per gli altri. Per questo è tanto amato, e tanto invidiato da suscitare gelosie e polemiche, ogni volta che fa qualcosa. E di cose ne ha fatte moltissime nella sua lunga e fortunata carriera. Il tavolo dello studio è immenso e pieno di carte, faldoni, libri. Gli ospiti vanno e vengono, parlano sottovoce per non disturbarlo e lo saluta-

Sarebbe stato di gran lunga meglio fare dei progetti più seri, posati e tranquilli, ma conoscendo bene la città

no piegandosi un pochino. Per parlare tranquilli scendiamo, una scaletta breve e sotto incon-

triamo un altro spazio bellissimo. Architettura come medicina. Una volta era una facoltà che si sceglieva per passione. È stato così per lei? Sì. Ma c’è da dire una cosa, lei deve sapere che io sono nato il 7 dicembre, il giorno di Sant’Ambrogio. Io mi sentivo attratto in modo particolare dalle opere del Bernini, sono andato a vedere sui libri alla voce Bernini Gian Lorenzo e mi sono accorto che anche lui, che

Le sue case sono molto eleganti e molto personali. In Valtellina piuttosto che a Montecarlo, e soprattutto qui a Milano. Dica architetto, che cosa pensa della Milano di oggi? Milano è un disastro in questo momento, non le sembra? Secondo me, a mio parere. Un disastro perché le cose importanti si fanno senza quel minimo necessario discernimento. Si chiamano grandi, bravissimi architetti per poter fare delle continua a pag. 2 >>>

PAESAGGI URBANI IN MOVIMENTO: NOVITÀ, ARCHITETTURA, TRASFORMAZIONI E SPECULAZIONE

L’architettura fra arte,

tradizione e modernità

arte del costruire,

S

embra che l’architettura, almeno nelle sue più recenti e celebrate occasioni, abbia sposato una dimensione decisamente artistica. Le diffuse tendenze verso il “fine a se stesso” e la “totalità estetica” spingono a trasformare tutto in opera d’arte e l’architetto-artista, non è tale in nome

di

F.O.Ghery Praga 1992

della sua abilità tecnica, ma della sua capacità di concettualizzare, di dominare la tecnica. La storia, tuttavia, ci ha insegnato che, quando il pericolo di omologazione intellettuale è concretamente percepito, scatta negli interessati un salvifico istinto critico, quello che viene altrimenti definito istinto di soprav-

ENRICO DASSORI

vivenza. Agli architetti (la maggior parte) esterni a quel ristretto club di personaggi che formano il cosiddetto star system (orribile esempio di globalizzazione del linguaggio) non resta che attivare i sani meccanismi della coscienza critica per non farsi continua a pag. 3 >>>

FAVOREVOLI&CONTRARI

Il polo della

discordia

Un programma ambizioso e di ampio respiro. Molto ammirato, ma al contempo discusso e contrastato. Il progetto di riqualificazione del vecchio polo espositivo milanese - la storica Fiera - promette di far parlare a lungo di sé. Dite la vostra! a pag. 2 >>>


2 • IOArchitetto Come sempre si lavora >>> segue dalla prima pagina

recenti, raramente si compie la saldatura tra architettura e edilizia e le malversazioni del territorio continuano. Nella progettazione del paesaggio poi, in particolare nel paesaggio urbano, di passi avanti ne sono stati fatti pochi e quasi mai ci troviamo al cospetto di nuovi quartieri dove si può sentire una compiutezza compositiva tra gli edifici, le strade, il verde, gli spazi. Qual è dunque la nostra linea politica, quali sono i criteri estetici di questo giornale? Rivolgo a tutti alcuni interrogativi. Quando possiamo considerare bella una città, un luogo, un palazzo, una villa, un giardino, una strada, una piazza, un salotto? Esistono delle regole? Contrasto o analogia? Rottura o tradizione? Quali materiali, quali tecniche costruttive? Può essere bello un sottopasso, un raccordo di tangenziale, un sopralzo di tetto, un quartiere di periferia? Ed ancora, quale rapporto tra bellezza individuale e collettiva, qualità, benessere e democrazia? Le esperienze sul territorio sono tante e diversificate e, nonostante le specializzazioni odierne, gli architetti continuano a confrontarsi su tutto l’arco di problemi che vanno dal cucchiaio alla città. Per ora pongo solo domande perché le risposte le cercheremo strada facendo, mostrando realizzazioni interessanti in diversi campi di architetti più o meno famosi che operano in tutto il nostro paese. Opinioni ed esperienze forse contrastanti, ma (si spera) portatrici di idee e di qualche utilità pubblica e privata. GFR

Esiste ancora uno stile italiano >>> segue dalla prima pagina

offerte e per poter vincere dei concorsi, ma quello che conta è altro. Sarebbe di gran lunga meglio fare dei progetti molto più posati e molto più tranquilli, ma fatti conoscendo bene la città, le sue esigenze, i suoi problemi, l’ambiente, i necessari collegamenti, l’inserimento del nuovo col vecchio e comunque con quanto c’era e c’è lì da unire, collegare e far crescere insieme.

Golf Club di Monticello

Invece... Invece si chiamano queste grandi autorità dell’architettura, si mettono insieme un po’ come si fa per mettere assieme una équipe sia essa di calcio o di pallacanestro, ecco. Capisce… Quindi sa, siamo nel mondo di queste cose, per vendere i terreni ex Fiera si fa un concorso a chi offre di più. E questa a me non sembra la via migliore, il modo di risolvere i problemi. Ci vuole ben altro, occorrono capacità e cultura, tanta, tanta buona volontà e impegno.

E quando passeggia per Milano, cosa le piace? Quando passeggio per la città quello che mi piace è ancora la vecchia Milano, il centro che ancora ha una certa misura e una certa serietà e compostezza. Anche se quando è stata fatta la ricostruzione dopo i bombardamenti si è persa l’occasione, forse la grande occasione di fare un po’ come a Vienna, un ring di giardini tra il Naviglio e la circonvallazione. E lì fare una città con una specie di anello costellato di grattacieli, una sola semplice ma

brillante idea. Che il centro rimanesse centro antico come era, attorno un ring moderno fatto di giardini e torri le più alte possibili; oltre il ring una periferia di qualità. Che allora si poteva e si doveva fare con una Milano semi-distrutta com’era. Insomma, una grande occasione perduta. Non è stato fatto. E adesso… No. Adesso niente, adesso cosa vuol che le dica, io sono vecchio ormai ho finito la mia partecipazione. Ho fatto quello che potevo. Nel mio piccolo, capisce. Ma lei che cosa pensa dell’architettura? Vede io ho un’idea mia dell’architettura, fatta come servizio, per fare case serie che nascano dall’interno, come un’automobile deve nascere dal telaio e dal motore e non

dalla carrozzeria. Invece adesso si fa tutto l’inverso. Si fa la forma esterna e poi l’interno come viene viene. Insomma ecco, un modo proprio differente, un modo diverso di fare. Cioè io concepisco l’architettura come qualcosa che deve dare. Qui invece la prima cosa che si fa è la forma esterna, ci si costruisce il monumento. Comunque Milano resta una grande città, dove si sa lavorare e questa è cosa molto importante. Però è una città che rispetto a Parigi, New York, cosa vuole è come Pavia. Però, però Pavia è bella, è simpatica, piena di cose belle e importanti. E quindi tanto di cappello. Che cosa è cambiato nella sua professione nel corso dell’ultima metà del secolo scorso? Nel modo di lavorare? È cambiato che più ero giovane, più potevo contare su artigiani bravi, più ero giovane, più facevo disegni buoni, ma non bellissimi; l’artigiano correggeva e le cose riuscivano molto belle. Adesso mi sembra di fare delle cose belle, e mi sembra che non riescano così belle, perché l’artigiano

Luigi Caccia Dominioni Si laurea a Milano nel 1936 e qui inizia l’attività professionale con Livio e Piergiacomo Castiglioni. Negli anni della guerra, con il blocco forzato dell’edilizia, si dedica all’arredamento e al design, da ricordare i celebri suoi apparecchi radio Phonola, attività che non abbandona e che lo porta a realizzare diversi elementi d’arredo, dalle poltrone alle posate di Alessi, alle maniglie di Olivari. Coerente continuatore della tradizione lombarda, si esprime con eccellenti risultati nell’intera gamma delle soluzioni abitative: dalla villa cittadina alla residenza di campagna, dal singolo edificio residenziale ai complessi di San Felice o di Monticello. A Milano realizza importanti edifici in diverse zone della città: in via Carbonari, via Ippolito Nievo, via Tamburini, Santa Maria alla Porta, piazza Velasca e corso Europa, definita per un ampio tratto dai suoi sei palazzi neri. Un cenno a parte merita la fabbrica della Loro Parisini. Numerosissime le ville in

Lombardia, importanti quella dei Palau, in Sardegna, e la villa casa Stoppani in Milano. Degli anni ottanta sono il grattacielo e le case del Parc St. Roman, nel Principato di Monaco. Da ricordare la biblioteca Vanoni a Morbegno, la chiesa di San Biagio a Monza e quella di San Martino ad Arenzano, e ancora l’orfanotrofio dell’Addolorata a Milano, l’abbazia di Viboldone nel milanese e il convento agostiniano di Poschiavo, in Engadina. Impossibile riassumere in poche righe tanti anni di attività, ma non possiamo dimenticare il rifacimento della Pinacoteca Ambrosiana, di parte del museo Poldi Pezzoli, del teatro dei Filodrammatici fino alla recente sistemazione di piazza San Babila, con la nuova Fontana e i collegamenti in quota della Fiera di Milano. La casa di piazza Carbonari, a Milano

FAVOREVOLI&CONTRARI

Ilpolo della discordia Fa discutere l’uomo della strada e i più quotati addetti ai lavori. I suoi plastici e rendering rimandano a scenari del futuro che affascinano e al contempo spaventano. Il progetto di riqualificazione del vecchio polo espositivo milanese, che ha da poco ricevuto il primo “si”, si profila quale nuovo centro per la città. La giunta, con l’assessore all’Urbanistica Giovanni Verga ne ha riscritto i contorni lo scorso 6 settembre Largo al nuovo Gran parte del quartiere fieristico verrà trasformato in una nuova e moderna centralità con architetture avveniristiche, in particolare le tre torri progettate dagli architetti Daniel Libeskind, Irata Isozaki, Zaha Hadid e soluzioni innovative per la residenza e gli altri spazi coordinati dall’arch. Pier Paolo Maggora. A ciò si uniranno il Museo del Design, il Centro del Design e il Padiglione 3 (ex Palasport) dedicato all’infanzia dove ci sarà il Museo del bambino, un asilo nido con scuola materna e un grande Giardino d’inverno. Nella parte nord, il Vigorelli verrà completamente recuperato e interamente ricoperto. Questo, con il Centro del Design, il Museo del Design e la vicina Triennale daranno vita a un polo di riferimento internazionale per la rappresentazione culturale e imprenditoriale dell’industrial design lombardo e italiano; il Padiglione 3 con attività rivolte al mondo dell’infanzia e della terza età. L’apertura dei cantieri è prevista per il 2006 (8 anni la durata dei lavori). N.R.

I numeri Superficie complessiva 367.748 mq di cui: • 255.000 mq circa aree di trasformazione della Fiera • 112.000 mq circa di aree comunali. Superficie lorda di pavimento 292.909 mq di cui: • residenziale 148.407 mq • terziario 101.000 mq • commerciale 20.000 mq • servizi alle persone e alle imprese 19.472 mq • palazzina Orafi esistente 4.030 mq Superfici a standard Dei 255.000 mq di aree private della Fiera si libera un sistema urbano di 140.000 mq destinati a parco, verde attrezzato, spazi pubblici e piazze pedonali. I parcheggi di uso pubblico saranno di 72.000 mq (circa 3.500 posti macchina). Un’ulteriore quota di standard rappresentata dalla costruzione di opere pubbliche, in particolare il Padiglione 3, la Caserma dei Carabinieri e il Velodromo Vigorelli. Ai 140.000 mq ricavati dalla dismissione del recinto fieristico si aggiungono 35.000 mq di aree comunali attualmente ad uso stradale e aree di risulta che saranno trasformate a verde e piazze.

Opinioni a confronto Il progetto ha fatto e ogni giorno fa discutere politici, cittadini, addetti ai lavori. Vorremmo che nascesse un confronto intenso attraverso le pagine di questa nuova rivista. Scrivete. Dite la vostra, ampliate il confronto portandolo su più vasti orizzonti. Aspettiamo i vostri contributi a ioarchitetto@fontcom.it o via fax al numero 02 45474060.

Pollice verso Minaccia un ricorso al Tar l’associazione Vivi e progetta un’altra Milano che sul suo sito pubblica una lettera aperta al Sindaco, sottoscritta da più di 2.700 abitanti del quartiere. Di seguito alcune delle riserve avanzate: • Sul piano estetico/urbanistico la zona Fiera è oggi un gradevole quartiere residenziale, con case non superiori agli 8 piani. La costruzione di grattacieli e palazzoni alti fino a 28 piani è ritenuta una stridente rottura della vocazione e dell’equilibrio estetico-culturale della zona. • Grattacieli e tutto il progetto vengono ricondotti a un’unica logica, quella di massimizzare la cubatura, dunque il ricavo, per la Fondazione Fiera Milano. •Alla Fondazione è stato concesso un indice di edificabilità quasi doppio rispetto alla norma degli altri piani integrati di intervento. • Sul piano del metodo, si osserva che la scelta del progetto è stata interamente lasciata al Consiglio della Fondazione, che ha scelto la proposta finanziariamente più ricca e affidabile, non la migliore per la città. • Il 58% del terreno destinato a verde e spazi pubblici è giudicato insufficiente, considerato il fatto che non si conosce l’entità dei secondi e che osservando il plastico del progetto, di verde se ne vede poco. • Il nuovo quartiere porterà 5 mila residenti e altrettanti lavoratori, in pratica una “città nella città” congestionata e con evidenti ripercussioni negative sui parcheggi e sul traffico.

le tradisce in negativo. Comunque io ho la fortuna di trovare ancora artigiani bravi, sono vecchio, conosco tanta gente e mi appoggio a quelli bravi. Nel nostro lavoro, per raggiungere un ottimo risultato non basta essere bravi, bisogna saper costruire una buona squadra. Il suo lavoro più bello? Io sono abbastanza soddisfatto dei miei lavori, nei quali alla fine trovo un po’ meno errori che in altri. Purtroppo spesso i più belli sono progetti che non si realizzano. Una casa che mi piace sempre molto è quella di piazza Carbonari, anche Ippolito Nievo è buona così come la casa di Santa Maria alla Porta e quella di via Cino del Duca. Ma i pezzi di cui mi vanto sono due chicche particolari, e cioè il piccolo collegamento tra San Fedele e la casa della Chase Manhattan e il pavimento del presbiterio della basilica di Sant’Ambrogio, che ho realizzato recentemente e che ha suscitato tante polemiche. Eppure quel pavimento non è solo bello, è straordinariamente bello. Che opera le piacerebbe aver fatto lei? Tutto. Per la grande passione che ho per il mio mestiere, ma se fossi proprio costretto a scegliere, direi per esempio il San Satiro di Bramante. Chi è Luigi Caccia Dominioni? Una brava persona, semplice, che cerca di lavorare bene. Ma solo per un’élite… Non è vero, non è assolutamente vero. Io lavoro per chi mi chiama. Anzi, più la persona è semplice e ha pochi mezzi, più io lavoro con intensità e con maggior gusto. Mi sono divertito una volta a fare degli appartamenti piccoli, che ho chiamato Appartamento Pirelli, Appartamento Agnelli, perché anche l’appartamento piccolo può e deve avere una sua classe, riuscire ad avere alte qualità pur nella piccola dimensione ed un suo tono dignitoso. S.P.


IOArchitetto • 3 Fra tradizione e modernità >>> segue dalla prima pagina

triturare da modelli di cui non sono ben chiari (o lo sono fin troppo) paternità e leggi costitutive. Blondel, nel 1671, poneva la questione “Cos’è il buon gusto in architettura” esplicitando il fatto che il valore dell’architettura potesse essere ricompreso in un principio assoluto. Il relativismo della contemporaneità era lontano, ma l’insofferenza razionalista verso il dogmatismo cominciava evidentemente a germogliare. Negli oltre trecento anni che sono seguiti l’architettura ha dimostrato di essere uno degli strumenti più potenti attraverso i quali l’uomo riesce a produrre artificialità e, per certi versi, l’architettura stessa è pura artificialità. Il fatto che l’architettura debba anche “funzionare” (ad esempio sotto il profilo distributivo, meccanico-strutturale e del controllo energetico) rappresenta una evidente differenza rispetto alle arti cugine (pittura e scultura) certamente più autonome nel proporsi come libere precorritrici o interpreti di vicende e costumi. L’architettura non dovrebbe mai essere avulsa da uno scopo o, ancora, ridursi a oggetto di contemplazione e tuttavia Semper, intorno alla metà del XIX secolo, concepisce un’architettura che nasce dalla necessità, ma si dispiega nella libertà. L’architettura ha spesso dimostrato di ambire a questa libertà e solo il fatto di essere usata e di essere comunque costruzione ne ha limitato (non sempre impedito, basti ricordare gli Immaginari Boullè e Ledoux) la dimensione metafisica. Sono l’indispensabile applicazione delle “leggi del costruire” e la centralità del progetto a differenziare il fare in architettura dal fare nelle arti. La oggettiva esistenza di una dimensione estetica dell’architettura pone comunque di fronte alla possibilità di interpretazioni sensoriali al punto che la lettura storica delle sue vicende si è spesso dipanata a partire dal confronto fra categorie primarie quali la forma e la materia, il naturale e l’artificiale, il necessario e il superfluo, il sentimento e la ragione. La dimensione estetica dell’architettura non andrebbe comunque confusa con quella delle arti, prevalendo nella prima un principio di utilità assolutamente non vincolante per le seconde. A distanza di duemila anni è luogo comune considerare insuperata la teoria vitruviana dell’architettura sintesi di sicurezza strutturale, idonea funzionalità e bellezza; la bellezza di Vitruvio è però vincolata al razionale accostamento fra le parti, alle proporzioni, all’appropriata collocazione degli elementi, all’armonia, all’accordo fra le singole parti e la figura globale, al decoro. Significativo che Vitruvio, sgomentando non poco il lettore di oggi, inquadri l’economia come categoria della bellezza. In buona sostanza non esiste una dimensione “strutturale” separata da una “estetica”, sono i principi canonici di proporzionamento a garantire nel contempo stabilità e armonia. In questo senso i Discorsi galileiani vanno ben oltre l’invenzione di una disciplina (la Scienza delle Costruzioni) nella misura in cui vogliono dimostrare che il dimensionamento dei componenti architettonici strutturali può (o deve) avvenire scientificamente

ENRICO DASSORI

Nato nel 1952, sposato, due figli, nel 1977 si laurea con lode in Architettura. Autore di circa novanta pubblicazioni sulle tematiche delle tecnologie architettoniche, dell'industrializzazione edilizia e del "building quality". Presidente della Commissione di Certificazione Sistemi Qualità di ICMQ, è professore ordinario di Architettura Tecnica presso il Diseg, Dipartimento di Ingegneria Strutturale e Geotecnica dell'Università di Genova.

• Dassori, CSG (Fiorenzuola), Quasar (Arezzo) Concorso per la Nuova Sede della provincia di Arezzo, Progetto in Concorso 2005

per calcolo razionale e non per proporzionamento principalmente formale. È evidente la ricaduta estetica di un così traumatico cambiamento rispetto ai consolidati meccanismi geometrici generatori di forme. Ciò che il pensiero di Galileo mette in discussione è la teoria architettonica dei trattatisti avulsa dalle proprietà meccaniche dei materiali e dai fattori di scala delle realizzazioni. Elemento comune fra il prima e il dopo è la natura della quale Francesco di Giorgio, Leonardo, Luca Pacioli… colgono con deferenza le regole armoniche mentre Cartesio, Galileo, Desargues… ricercano le leggi di funzionamento e la loro formalizzazione nel linguaggio della matematica. Proprio riguardo ai materiali basta confrontare la habilità evocata dallo Scamozzi “Non è molto lodevole cosa che l’architettura tenti di far violenza alla materia: in modo che egli pensi di ridur sempre a volere suo le cose della Natura, per volerle dare quelle forme che egli vuole” con le teorie sulla trave prismatica o cilindrica di Galileo ove prioritario è il dimensionamento della sezione strutturale al fine di mantenere costante “l’impegno del materiale”. Certo è che il nuovo rapporto che si instaura con le leggi della natura segna, per la prima volta, una discontinuità nel divenire dell’architettura che, dal secondo Settecento in poi, sarà sempre più al di sotto di quanto, in termini di soluzioni, si compirà, ad esempio, in ambito tecnico-scientifico: l’Ottocento vede il progressivo trionfo dell’ingegneria mentre l’architettura, fatto salvo l’episodio del Cristal Palace di Paxton, non riesce ad esprimere altro se non i modi dei revivals ove sul momento oggettivo prevale, romanticamente, quello soggettivo. La lettura in chiave profana e formalista che Ruskin fa del Rinascimento è, in questo senso, emblematica. Il passaggio al ‘900 vive del rifiuto all’aggancio eclettico dei linguaggi storici e della caduta dell’ipotesi moralista delle Arts and Crafts e Loos, nel ’13, para-

come rivoluzione che annulla gona l’ornamento a spreco di ogni traccia del passato. In Italia materiale e di forza di lavoro; in il Futurismo di Sant’Elia rompe altre parole l’architettura si trova ogni legame con la tradizione, lo di fronte al quesito dei suoi punti stile, l’estetica e la proporzione di partenza: tutto ciò che era segnando in negativo il rapporto stato fino ad allora sembra essercon la continuità storica. I si annullato e occorre quindi “moderni” materiali, cemento individuare i capisaldi da cui armato e acciaio, esigono nuovi riprendere le mosse. Di fronte ideali di bellezza che escludono alle Avanguardie, secondo le monumentalità, compattezza e quali l’opera è tale se attiva interstaticità. Irrompe sulla scena il pretazioni (e ogni interpretaziorapporto con la ne è legittima), moderna ingel’architettura gneria tesa, da un tenta una via di lato, a subordiestetica totale narsi alle più ma, per sua Le forme inventate disparate invenfortuna, rimane comunque legata sono subito consumate zioni formali e, all’essere intrinperchè storicamente dall’altro, ad esserne estremo secamente arte e linguisticamente severo censore. del costruire. infondate Sono due viNel ventennio sioni decisamena cavallo dei due te antitetiche tra secoli, i suoi loro, ma che, a punti di partenza ben vedere, par(o ripartenza) tono dalla radice comune del furono dunque i materiali, le rifiuto dei freddi revival e di strutture, le funzioni e, più in ogni ripescaggio, in ottica sugenerale, l’industria, la tecnoloperficialmente decorativa, e gia, le nuove tecniche. La parsiquindi falsa, di elementi stilistici monia decorativa, se non la del passato. viscerale avversione a essa, è il La visione cosiddetta tradiziomessaggio condiviso dagli archinalista è quella decisamente tetti del ‘900. Sembrano però sconfitta: il modernismo spazza prendere corpo due visioni del via valori artistici e consuetudini mondo, due diversi atteggiamendisciplinari rifiutando, se non a ti verso il passato: il progresso livello storiografico, ogni lezione come evoluzione nel rispetto dal passato. Per vincere il condella tradizione e il progresso

• Tagliaventi Alessandria 1995

fronto il modernismo non ha esitato, scientemente, a confondere il tradizionalismo con il becero e asfittico eclettismo tardo ottocentesco. Il tradizionalismo, da parte sua, non è riuscito, o non ha potuto per assoluta mancanza-capacità di comunicazione, a trasmettere il suo semplice e unico principio riassunto da Herder: “nella propria età nessuno è mai solo, costruisce sul passato e diventa base per il futuro”. In Italia, la rimozione del pensiero tradizionale è già forte nel primo dopoguerra ed è totale nel secondo: negli anni ’20 è portante il desiderio di modernizzazione e di avanguardia, dopo il secondo conflitto domina il desiderio, non immune da motivazioni strumentali, di chiudere con un ventennio che, spesso, aveva confuso i suoi riti esteriori con una interpretazione, parziale, della tradizione e della classicità. Il Razionalismo, assumendo architettonicamente materiali, strutture, funzioni e forme nuove sulla base di indicazioni produttive, tecniche e fruitive proprie dell’epoca contemporanea, è il superamento definitivo delle convenzioni eclettiche. Le sue radici cubiste e neoplastiche sono però la premessa di un esito astrattamente internazionale, estraneo alle condizioni ambientali locali e alla cultura intesa, secondo la definizione marettiana, come coscienza della realtà storico-civile. La forza dirompente dei cosiddetti “maestri” esprime appieno il fondamentalismo individualista di quell’architettura i cui prodotti evidenziano formalismi estetizzanti, nascosti da intellettualistiche personali teorizzazioni stilistiche, concettualmente non lontani proprio da quanto il modernismo aveva inteso combattere. Nel quotidiano, in quel vasto territorio dove l’architettura diventa edilizia, sono poi evidenti, anche sul piano sociale, i guasti di una divulgazione formalistica, tanto comoda quanto superficiale, del nuovo stile con gli epigoni quotidiani dei vari maestri impegnati in un gioco infinito di personali e arroganti interpretazioni delle teorie originali. È altresì evidente il ruolo giocato in negativo dalla componente speculati-

va che ha infierito sul territorio segnandolo irrimediabilmente attraverso lo sfruttamento irrazionale delle sue risorse. Gli esiti di un approccio creativista spinto agli estremi esprimono in sé i limiti di un pensiero che parte negando l’estetica degli stili ma approda ad un’architettura che è arte fra le arti, ad un’estetica della pura invenzione soggettiva ove gli stessi principi costruttivi sono negati, sacrificati sull’altare edonistico dell’aleatorietà. È un approccio relativistico spinto all’estremo, un’architettura che da sistema linguistico diventa produttrice di linguaggi artificiali disarticolati ed ermeticamente chiusi gli uni agli altri. Se l’architettura fosse veramente una espressione puramente artistica, tutto questo potrebbe essere sufficiente a soddisfare gli appetiti intellettuali più esigenti, ma l’architettura è ineluttabilmente ancorata alla concretezza della funzione, della sicurezza strutturale, dei costi, della durabilità. Negare questi fatti in nome di astratte concettualizzazioni significa negare processi reali, perdere il senso vero delle cose, vivere nell’ansia di raggiungere edonisticamente forme sempre “diverse”. Le forme inventate sono subito consumate perché storicamente e linguisticamente infondate e l’indifferenza di una soluzione rispetto ad un’altra fa sì che le città siano ormai tutte uguali e sempre più lontane dai loro cittadini. L’architettura mal sopporta giudizi definitivi o prese di posizione integraliste dettate dall’appartenenza settaria a movimenti o categorie di pensiero, tuttavia l’evidente negatività di fatti indotti da alcune esasperazioni “creative”, induce a riflettere (e a sperare) sulla possibilità che esista un’alternativa alla Babele estetica e che, attraverso la convinzione della inalienabilità del patrimonio di continuità civile della società, si possano trovare (o ritrovare) strade di esistenza più che di apparenza. Prendere le distanze dai vizi dell’individualismo non significa ripristinare un’estetica di regole stilisticamente subordinate al passato ma, attraverso la coscienza della storia, riconoscere e ricostruire la struttura scalare della realtà architettonica ed edilizia, una realtà che non è un’occasionale invenzione ma si dispiega, sociologicamente, dalla casa alla strada alla città fino al territorio e, tecnicamente, dal materiale alla struttura, all’impianto funzionale-distributivo alla forma. Sintetizza Emanuele Severino “decidere di uscire dalla storia dell’Occidente è come voler saltare al di là della propria ombra”.


4 • IOArchitetto ARCHITETTURA - URBANISTICA - PAESAGGIO

Recupero del centro storico con masselli di

cemento

Le Amministrazioni devono recuperare le pavimentazioni urbane con budget ristretti. L’esperienza di Cavour, comune piemontese, ne è una chiara testimonianza Fotografie di

Q

E. GIANI e R. BREGANI

uarantanove chilometri quadrati e poco più di 5 mila abitanti ma tanti riferimenti storici per il comune di Cavour, in provincia di Torino, cittadina ricca di valori ambientali da salvaguardare per la quale, gli amministratori pubblici locali hanno scelto di riqualificare gli spazi pubblici del centro storico, razionalizzare le aree a traffico pedonale-veicolare tenendo conto anche delle ridotte dimensioni di alcune sedi stradali. Il Comune pretese che fossero impiegati dei materiali dalle ottime prestazioni e versatilità in quanto a forme e colorazioni, nello specifico dalla resistenza alla compressione e all’usura e soprattutto, che il metodo di posa fosse scelto in relazione al fatto che ci si sarebbe trovati in presenza di un sottofondo di calcestruzzo magro con rete elettrosaldata. Per la pavimentazione la preferenza fu data ai masselli doppio strato in calcestruzzo che assicurano elevati standard qualitativi invariabili nel tempo. Costituito da due strati, uno di supporto e uno di finitura, realizzato con un processo di diversificazione degli impasti che lo compongono per quanto riguarda la scelta degli inerti, il rapporto lega/inerte, il tipo di vibrocompattazione, il doppio strato

offre garanzie nettamente superiori rispetto ai normali masselli a unico impasto. Da segnalare anche la componente estetica nel grado di finitura superficiale che permette di ottenere pigmentazioni più omogenee e un piano di calpestio più fine insieme al miglioramento delle caratteristiche tecniche rispetto ai fenomeni di usura, resistenza ai cloruli e gelività. Per la pavimentazione delle vie e delle piazze centrali (Roma, Ponza, Sforzini, Polchiu, Giolitti e Buffa di Persero) fu dunque selezionata una lastra doppio strato a quarzo rettangolare 20x40 cm dello spessore di 7 cm versatile e adattabile all’inserimento in un ambiente d’epoca. Per la realizzazione di marciapiedi e piazze, un massello di forma ottagonale in doppio strato a quarzo dello spessore di 6 cm che con la sua forma offre un risultato estetico molto simile a un acciottolato. Rosso e grigio scuro La scelta dei colori dei masselli è stata indirizzata su colorazioni ottenute dalla miscelazione di diversi pigmenti, ovvero con una predominanza verso il rossiccio e verso il grigio scuro. Questo è stato fatto tenendo conto del contesto architettonico in cui sono stati inseriti i lavori, scenario caratterizzato da edifici di

Spazi da attrezzare Gli slarghi della sede stradale in corrispondenza degli incroci si prestano alla realizzazione dei parcheggi oppure di spazi da attrezzare con materiale d’arredo urbano. Tra le soluzioni architettoniche, il ricorso a materiali di tipo differente posati allo stesso livello permette di impostare in una separazione immediatamente comprensibile delle strisce riservate al traffico pedonale da quelle destinate al traffico veicolare senza creare vincoli di sorta. Così viene realizzata a ridosso degli edifici una fascia di massello grigio scuro di larghezza variabile da 40 a 100 cm, mentre la sede stradale è pavimentata con materiale rossiccio. Piazza Sforzini è sicuramente la parte più qualificante dell’intera soluzione architettonica di pavimentazione (progetto dell’architetto G. Geuna di Pinerolo e direzione lavori dell’ing. C. Ricotto di Cavour) poiché riguarda la risistemazione di un’area che si presta alle più svariate utilizzazioni. Nella fase progettuale, i criteri guida sono stati quelli della realizzazione della pavimentazione su due livelli distinti per separare le parti destinate a uso pedonale da quelle a uso veicolare. Suddivisione della piazza in tre parti circondate da un anello destinato alla circolazione dei veicoli, eliminazione dei parcheggi, utilizzo di nuovi elementi di arredo urbano mobili in modo da permettere l’utilizzo della piazza per altre manifestazioni. Lungo i lati della stessa sono stati realizzati marciapiedi della larghezza di un metro pavimentati con masselli grigi disposti a correre, rialzati di 15 cm rispetto alla sede stradale pavimentata con masselli rossicci. La parte centrale è suddivisa in tre aree: la prima, presso il municipio, è sviluppata intorno all’esistente monumento con l’impiego per la pavimentazione di masselli posati a 45 gradi rispetto all’asse. La parte centrale è pavimentata allo stesso livello, con lo stesso materiale della sede stradale a eccezio-

particolare pregio con colorazioni tenui e con numerosi spazi orizzontali lastricati in pietra naturale. Si è scelto di realizzare lo strato di allettamento dei masselli con l’impiego di sabbia e cemento miscelati a secco in ragione di un quintale di cemento normale R 325 per metro cubo di inerte per uno spessore di 6 cm. Soluzione indispensabile vista la mancanza di drenaggio del sottofondo che in caso di saturazione della sabbia di allettamento ne avrebbe potuto provocare il rinvenimento. In via Roma, strada d’accesso al centro storico dalla direzione di Pinerolo, vista l’ampiezza della sede stradale tale da permettere la costruzione di un marciapiede rialzato, si è provveduto a una pavimentazione realizzata con masselli grigio scuro posati a correre secondo la direzione dell’asse stradale e contenuti da un cordolo in calcestruzzo vibrocompresso 8x2x25 cm: questa soluzione si integra con le numerose soglie in pietra delle abitazioni che si affacciano sulla via. La sede stradale (con una larghezza variabile tra i 7 e gli 8 m) è stata realizzata a una quota inferiore a 15 cm rispetto al marciapiede e pavimentata con masselli rossicci. La soluzione scelta permette un’ottima mimetizzazione di chiusini e griglie.

ne di un cordone centrale di masselli rossi disposti a correre con funzione di collegamento. La terza parte infine fa richiamo alla prima, nel senso che si sviluppa intorno a una fioriera di grosse dimensioni ed è pavimentata allo stesso modo, ovvero con masselli posati a

Professione architetto IoArchitetto intende dar voce all’intera comunità degli architetti e spazio alla progettazione in tutte le sue forme: architettura, edilizia, recupero, spazi urbani, paesaggio, arredo, design, energia e impiantistica. Prendete contatto con la redazione per inviarci i vostri contributi: ioarchitetto@fontcom.it tel.02.2847274

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correre con inclinazione a 45 gradi rispetto alla direzione preferenziale di traffico. L’arredo urbano è realizzato attraverso l’uso di elementi in trachite a lavorazione grezza, completamente movibili perché privi di alcun vincolo alla pavimentazione.

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C O M


IOArchitetto • 5 SARDEGNA: CASA MONOFAMILIARE

FABRIZIO LEONI

Interventi

Una villa masso di granito Architetto

come un

Hotel Gritti: completato il restyling della Terrazza sul Canal Grande MDC

L’ossatura dell’edificio è formata da gabbie strutturali in acciaio, appoggiate a blocchi di calcestruzzo e connesse da una parte centrale a punte. L’edificio è interamente rivestito da un pannello di laminato Abet per esterno

Ai piedi del massiccio del Sulcis (nella zona sud-ovest della Sardegna) si apre la conoide alluvionale di Capoterra, un territorio aperto e organizzato da campi agricoli e da attività serricole, da modi insediativi dell’urbanizzazione residenziale a bassa densità. Su un terreno in forte pendio, lungo la linea del confine del bosco, l’edificio progettato da Fabrizio Leoni (1999/2001 progetto; 2001/2004 realizzazione) si configura come estrusione di uno dei massi granitici affioranti, prima radice dell’oggetto. L’organismo si modifica lungo la sezione longitudinale e si plasma adattandosi alla pendenza del terreno, si piega seguendo la presenza degli alberi e si inarca staccandosi dal suolo per permettere il ruscellamento delle

acque superficiali: si chiude completamente verso il nord-ovest e si apre a selezionare le viste. Tra queste, in primo piano la piana agricola e il bosco, poi sullo sfondo il golfo. In questo punto la casa articolata secondo un programma abitativo per una giovane coppia, ridotta alle sue componenti spaziali minime, esprime volontà di confronto diretto con il paesaggio ed espande lo spazio interno verso un patio che, con un clima favorevole, si propone come un luogo privilegiato del vivere quotidiano. L’ossatura dell’edificio è costituita da due gabbie strutturali in acciaio appoggiate o appese ad alcuni blocchi di calcestruzzo, connesse da una terza parte centrale a punte. I solai sono stati realizzati con pannelli-sandwich

di osb e poliuretano espanso, per le pareti di tamponamento si è optato per grandi pannelli di poliuretano sinterizzato (25 cm di spessore). L’edificio è interamente rivestito da un pannello di laminato Abet per esterni, montato a distanza dal parametro

murario in modo da realizzare una parete ventilata: l’uso di questi materiali è stato pensato in funzione della loro notevole leggerezza nei trasporti e nei montaggi oltre che per il controllo del bilancio energetico della casa. La pelle che risale piegandosi a rivestire anche il tetto posteriore, suggerisce la lettura dell’edificio come di un blocco massivo, rigato e avvolto da un film che non allude alla sua consistenza tettonica ma nel suo carattere plastico, alla ricerca di un peculiare confronto con la natura geografica del luogo.

VENEZIA - Il Gritti Palace è uno degli hotel più eleganti e raffinati al mondo. Legato ad una lunga tradizione di stile, ma sempre attento all'innovazione, è famoso per la sua terrazza sul Canal Grande, che oggi si presenta in una veste completamente rinnovata ai turisti e agli ospiti che cercano un contesto esclusivo e raffinato dal quale ammirare la città oppure semplicemente dove passare alcune ore di relax. La terrazza si presenta con un arredamento completamente ripensato nello stile e nel layout. Per la realizzazione dell'operazione il Gritti ha inaugurato una partnership con MDC - Management Design & Contract, noto studio di progettazione milanese. Per quel che riguarda l'arredo la scelta è caduta sul legno, il più nobile dei materiali. Il design, sobrio e non invasivo, favorisce l'integrazione con l'ambiente esterno. Caratteristico anche l'alternarsi di tavoli quadrati e rotondi che movimenta l'ambiente infondendo al locale un ritmo geometrico, piacevolmente vivace e regolare.

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Normative

In Puglia

via libera

ai fondi per l’ambiente Via libera al finanziamento destinato ai comuni della Puglia per il miglioramento della qualità dell’ambiente nelle aree urbane. Con la delibera 738/2005 l’amministrazione regionale ha infatti fissato le modalità di presentazione delle domande finalizzate all’ottenimento dei finanziamenti previsti dalle azioni 1, 3a, 3b, 4a, 4b e 5 del Por Puglia 2000/2006 misura 5.2 del complemento di programmazione “Servizi per il miglioramento della qualità dell’ambiente nelle aree urbane”. Il programma operativo regionale (Por) è documento di programmazione per l’utilizzo dei fondi strutturali europei integrati da quelli del Ministero dell’economia e delle finanze e da quelli della Regione. Grazie alle opportunità offerte dai fondi europei, la Regione ha avviato e realizzato numerose iniziative che sostengono il decollo dell’economia locale permettendo al territorio di svolgere un ruolo da protagonista nell’economia internazionale. Nella sopraccitata delibera sono specificate le categorie di intervento finanziabili per ciascuna azione e i soggetti che possono presentare le relative domande. I soggetti ammessi sono i singoli comuni con popolazione superiore a 30 mila abitanti (esclusi i capoluoghi di provincia) o i comuni limitrofi associati, come previsto dal decreto legislativo 267/2000. Per le proposte relative alla tipologia C3A o per i progetti che contengono interventi relativi a studi di fattibilità per l’organizzazione di servizi di car sharing, sono ammessi solo comuni singoli con popolazione superiore a 50 mila abitanti. I capoluoghi di provincia potranno invece accedere solo nell’ambito della tipologia C3A tramite singolo progetto.

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6 • IOArchitetto

C Una casa rinnovata UN ANTICO INSEDIAMENTO ARROCCATO SUI COLLI DELL’ALTA MAREMMA SVELA I SEGRETI DELLA SUA ORIGINE

1000 2000

dall’anno

al

Le tecniche di restauro adottate. Cenni sui costi degli interventi di ricostruzione e adattamento progetto di

ALBERTO NEPI

apita sovente attraversando le dolci colline toscane, sulla vecchia strada romana, con le pietre dell’antico selciato affioranti dal terreno, di posare lo sguardo sui vecchi poderi, spesso abbandonati, unici abitanti le pecore, e interrogarci su quale possa essere la loro storia. Una antica casa nell’alto grossetano, alle soglie della Maremma, rinata dopo lungo abbandono. Un casale, in una zona ricca di bosco ceduo, collocato a mezza costa, in posizione allora scelta con cura, al riparo dei venti dominanti, con esposizione ottimale, ha suscitato il nostro interesse. Quando venne edificato, in epoca remota, dette il nome alla località ed era certamente un fabbricato importante, con grandi muri in pietra squadrata dello spessore di oltre 60 cm. Nel corso dei lavori di restau-

ro, dai rilievi effettuati sulle murature, in specie sulle fondamenta, fu accertato che la costruzione era collocata sulle basi di un antichissimo insediamento. Sia per la mancanza di finestre nella parte bassa delle pareti esterne, sia per la posizione strategica, si può supporre che il fabbricato fosse destinato a insediamenti militari, a difesa di un passaggio, lungo una strada allora di primaria importanza, ancora selciata in pietra, oggi quasi un sentiero, declassata a strada vicinale. Le indicazioni sulla datazione dell’immobile sono state molteplici, si sono scoperte alcune tracce di muratura con pietre squadrate di piccola dimensione attribuibili a epoca etrusco-romana nelle parti basse delle strutture verticali. Inoltre la composizione della calce contenente grumi di gesso, gli intonaci in alcune zone multistrato lasciano pensare a una datazione assai remota (per ovviare ai problemi causati dalle

Lato sud. Facciata e ingresso. Originariamente protetto da mura o modificato in epoca successiva alla costruzione.

Professione architetto IoArchitetto intende dar voce all’intera comunità degli architetti e spazio alla progettazione in tutte le sue forme: architettura, edilizia, recupero, spazi urbani, paesaggio, arredo, design, energia e impiantistica. Prendete contatto con la redazione per inviarci i vostri contributi: ioarchitetto@fontcom.it tel.02.2847274


IOArchitetto • 7 irregolarità dei muri, dai distacchi per ritiro, dalla cavillature superficiali, si sovrapponevano sino a sei strati d’intonaco). Al momento dei lavori, se si escludono i muri portanti, tutte le altre componenti della struttura erano in pessimo stato di conservazione. Il fabbricato, disabitato da decine di anni, era staticamente in condizioni di inagibilità. Furono perciò preventivati importanti interventi. Le murature in elevazione, anche se risalenti a svariati secoli fa, fondate su terreno roccioso erano in buono stato. Le cantonate delle pareti esterne, costituite da blocchi di travertino perfettamente squadrati, sicuramente trasportati da cave distanti almeno 100 km, lasciavano presupporre l’esistenza nella zona di uno o più edifici di particolare pregio e costo, tali da giustificare spese di trasporto di elementi lapidei del peso di 70/90 kg da una distanza, per i mezzi di quei tempi, indubbiamente ragguardevole. Generalmente nel medioevo per le nuove costruzioni si utilizzavano materiali locali o di recupero demolendo i vecchi edifici limitrofi dismessi, agevolati in ciò dalla bassa consistenza della malta che legava le pietre o i mattoni impiegati nelle murature. Tali tecniche di demolizione venivano adottate: per il modesto onere economico, per il basso costo della mano d’opera, per evitare la riquadratura a scalpello e martello nel caso di materiale lapideo, oltre che per ovviare ai lunghi tempi di trasporto. Quando a causa dello sviluppo industriale e la fine della mezzadria, nelle zone collinari, povere di acqua, si determinò l’esodo di gran parte dell’Italia contadina, molte delle abitazioni rurali furono abbandonate e con loro i valori e le tradizioni popolari. La nostra costruzione, dopo chissà quali vicissitudini e quante modifiche, abbandonata da oltre 50 anni, rinascendo ha svelato con parsimonia i suoi numerosi segreti. Finalmente una nuova forma di turismo volto alla ricerca di quiete e di tranquillità da parte di chi voleva sottrarsi alla convulsa vita cittadina, ha compiuto e sta compiendo il miracolo del recupero immobiliare, la fine del temuto degrado ambientale di tutta la zona. Dopo un lungo periodo, nuovi proprietari decisero di riportare la vita in questo affascinante podere circondato da boschi cedui e querce secolari. Ristrutturarlo e abitarlo era il loro intendimento, si trattava soltanto di stabilire la tipologia e l’entità dei lavori. Lo stato dell’immobile e la sua ristrutturazione Il restauro di questo fabbricato presentò inizialmente notevoli difficoltà. A una attenta analisi strutturale, mentre le pareti in pietra squadrate a mano da abili scalpellini richiedevano soltanto la stuccatura delle fughe di giunzione, il tetto e i solai, in legno di castagno, dovevano essere in gran parte ricostruiti. Nonostante le doti di imputrescibilità del castagno, ricco di tannino, circa il 40% di travi e travetti, a causa delle continue infiltrazioni d’acqua, fu giudicato irrecuperabile. Le pavimentazioni, di mattoni in cotto 15x30 originali dell’epoca, presentavano molti elementi lesionati da sostituire. Gli impianti, (compresa la fognatura),

Particolare della loggia d’ingresso al primo piano.

in precedenza mai esistiti e naturalmente da realizzare, richiedevano la collocazione delle tubazioni sotto pavimento a causa della difficoltà di praticare canalizzazioni nelle massicce pareti in pietra arenaria e travertino. Dopo tali verifiche si decise di procedere dapprima allo smontaggio completo delle strutture orizzontali, solai e tetto compresi, passando alla successiva fase di ricostruzione con il riutilizzo di tutto il materiale di possibile recupero. Anche se a un primo calcolo economico l’operazione poteva sembrare costosa, in pratica si rilevò che la vecchia malta di calce, di scarsa consistenza, permetteva di procedere con rapidità allo smontaggio dei componenti i solai manualmente, senza contrasto alcuno, semplicemente rimuovendo sia travi che mattoni dalla loro sede, con incredibile facilità. Si dice che il primo prefabbricato della storia sia stato il mattone. In questi casi, per questa tipologia di strutture, si possono a ragione aggiungere anche travi e travicelli. Quella parte di travi del tetto e specialmente dei solai, trovate in buone condizioni di conservazione, sono state recuperate e trattate con mordente in acqua con aggiunta di antitarlo, come quelle nuove che reperite in loco sono state poste in opera grezze, squadrate con superficie a taglio di sega, tali da uniformarsi con quelle preesistenti. Prima di procedere al riposizionamento del materiale di recupero, circa il 60%, si è proceduto ad una sua accurata sabbiatura a piè d’opera al fine di eliminare le incrostazioni accumulatesi nel tempo. Sia le travi che i mattoni per solai e pavimenti, che si sono sostituiti, originali d’epoca sono stati reperiti presso cantieri di demolizione, e purtroppo quali autentici pezzi d’antiquariato, pagati un occhio della testa.

Per la ripresa degli intonaci e delle murature a vista, per realizzare il colore originale, si è fatto ricorso agli inerti di una vecchia cava limitrofa al cantiere, tale da permettere la realizzazione di strutture sostanzialmente simili a quelle esistenti. Come leganti: calce idrata additivata per gli intonaci, calce idraulica per il restante delle opere interne. I serramenti sono stati ricostruiti totalmente, in legno di castagno come gli originali, salvo alcuni portoncini in robusto legno di quercia, sopravvissuti e restaurati, con le necessarie opere di modifica in altezza, per un adeguamento alla statura attuale. Indicazioni sui costi A lavori ultimati, a consuntivo, è possibile affermare che la tipologia operativa adottata, consistente nello smontaggio delle strutture orizzontali e al loro riposizionamento, non ha determinato costi superiori a quelli programmati. I risultati, tuttavia, si possono definire qualitativamente eccellenti. Per un intervento di recupero radicale, come quello adottato nel caso in esame, va preventivata, orientativamente, una spesa superiore almeno del 30% rispetto a quella di una nuova costruzione monofamiliare attuale, con finiture di tipo medio. La sigillatura delle fughe sulle pareti esterne in pietra a vista, effettuata con calce e inerti simili a quelli originali, additivata con antiritiro a base di etringite, è stata una della opere unitariamente più dispendiose. Si è proceduto con una produzione di circa 5 mq al giorno per operaio, con conseguenti oneri economici notevoli, giustificati però dal risultato finale ottenuto. Si è riportato l’edificio ai fasti della sua epoca e l’aspetto della costruzione finita è risultato in tutto conforme all’originale.

Lato nord. Struttura originaria del fabbricato. Si nota la mancanza di aperture nella zona bassa che lascia supporre la destinazione ad opera militare.


8 • IoArchitetto il progetto del mese

Da panificio m

CONVENIENZA E SALVAGUARDIA DEL PAESAGGIO URBANO IN UN CASO CONCRETO DI

SARA DE MAESTRI

Vive e lavora a Genova dove si occupa particolarmente di problemi architettonici e storici connessi allo sviluppo urbano e territoriale di Genova e della Liguria e al riuso di strutture civili e industriali. Docente di Architettura e composizione architettonica II alla facoltà di Ingegneria, è responsabile del Laboratorio di Archeologia Industriale del Deuim dell’Università, che, in collaborazione con la Soprintendenza e la Fondazione Ansaldo, promuove la conoscenza e la valorizzazione del patrimonio industriale regionale.

scuoladi motori Il progetto di riqualificazion prevede la conservazione e valorizzazione con un riuso compatibile delle antiche strutture industriali ancora presenti. L’area, un tempo periferica poiché situata al centro dell’antico comune di Cornigliano, è oggi sede centrale e strategica per la riorganizzazione del tessuto urbano, anche in virtù della vicinanza al complesso delle acciaierie dell’ex Italsider, la cui dismissione è oggetto di grande dibattito

Q

uando, su segnalazione della Soprintendenza, ci siamo interessati del complesso dell’ex Panificio Militare a Genova-Cornigliano, in sponda destra del torrente Polcevera, questo comprendeva una serie di edifici costruiti in diversi periodi, dal più antico, il molino Odino, fino al più recente, la Caserma Marabotto, tutti in stato di abbandono. Solo il piazzale circostante era in parte utilizzato come parcamento per le auto della Polizia di Stato. Il progetto di riqualificazione dell’area - un tempo periferica al centro dell’antico comune di Cornigliano, annesso nel 1926 alla “Grande Genova”, oggi centrale e strategica per la riorganizzazione del tessuto urbano, anche per la vicinanza al complesso delle acciaierie dell’ex Italsider, la cui dismissione è oggetto di grande dibattito - prevede la conservazione e valorizzazione con un riuso compatibile delle antiche strutture industriali ancora presenti. L’area di Campi La zona di Campi, dove si trova il Panificio, è stata oggetto, fino dalla metà dell’Ottocento, di profonde trasformazioni: da insediamento di “villa”, dove a giardini e parchi si affiancavano le coltivazioni a ortivo, grano e vigna, si era andata progressivamente industrializzando: il filatoio a vapore Rolla, una tra le maggiori aziende meccanizzate del tempo, è del 1840 e al 1847 risale, sempre alla foce del Polcevera ma in sponda sinistra, la Taylor e Prandi per la produzione e riparazione delle macchine per le strade ferrate, impiantata in previsione della costruzione della linea ferroviaria Genova-Torino (1854). Nel 1884, vicino allo stabilimento Rolla, viene costruito il molino Odino e Fassio, l’ultimo di una serie di molini alla foce del Polcevera, azionato da una macchina a vapore, a differenza di quelli preesistenti lungo il torrente, che erano alimentati dalla “Roggia”, un canale artificiale lungo 6,5 km, che nel suo percorso serviva un centinaio di opifici. Al molino, rilevato nel 1905 dalla Società Italiana di Panificazione, e nel 1909 dall’Esercito per installarvi il Panificio Militare - nome col quale è tuttora conosciuto - vengono successivamente annessi altri edifici. Con l’affermarsi della Gio. Ansaldo & C – che nel 1853 rileva la Taylor e Prandi, nel 1894 lo stabilimento Metallurgico Delta nella piana di Campi, e successivamente installa nelle vicinanze l’Elettrotecnico e le Fonderie e Acciaierie – il territorio di Campi, come quelli limitrofi, vedrà sconvolto l’antico assetto, di cui saranno cancellate le tracce. Negli ultimi decenni del secolo scorso si assiste a una ulteriore variazione della destinazione d’uso: con la progressiva dismissione dell’industria pesante - il complesso delle Fonderie e Acciaierie viene chiuso negli anni ’90 e successivamente demolito - l’area è oggetto di riconversione a terziario avanzato, deposito e commercio all’ingrosso. Ancora una volta il processo di trasformazione viene attuato nella totale indifferenza per il tessuto preesistente. Dell’assetto industriale della zona si salva miracolosamente il “Panificio Militare”, che era stato dismesso negli anni ’60.

Il Laboratorio di Archeologia Industriale Gli antichi edifici non sono tuttavia tutelati né salvaguardati: lo stesso Piano Urbanistico Comunale (PUC) di Genova, approvato con D.P.G.R. n. 44 del 10/3/2000, che include l'area all'interno di una zona di trasformazione - per cui gli interventi sono subordinati alla preventiva approvazione di uno strumento attuativo urbanistico - non ne prevede la conservazione. E proprio la volontà di conservare e valorizzare, con un riuso compatibile, le antiche strutture industriali di interesse storicoarchitettonico presenti nell'area ha costituito la premessa al nostro progetto di riqualificazione, in linea con le iniziative che stiamo portando avanti nel Laboratorio di Archeologia Industriale del Dipartimento di Edilizia Urbanistica e Ingegneria dei Materiali dell’Università di Genova. All’interno del Laboratorio, costituito nel 2000 in collaborazione con la Soprintendenza e la Fondazione Ansaldo, stiamo infatti promovendo la conoscenza e la valorizzazione del patrimonio industriale della Liguria con una serie di iniziative didattiche, di ricerca, di collaborazione scientifica con altri centri universitari, quali il Politecnico di Torino, di Milano, l’Università di Venezia, di Padova, associazioni, quali il TICCIH, l’AIPAI, l’ICSIM, e operative con gli enti preposti alla tutela e pianificazione del territorio. Nell’ambito dell’attività del Laboratorio sono in corso tutta una serie di iniziative: • il censimento degli edifici e dei siti industriali di interesse storico, architettonico, e tecnologico della Liguria - in convenzione con la Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio della Liguria e la Soprintendenza Regionale per i beni Culturali della Liguria (2002); • convenzioni con Enti Pubblici o Società Private per lo studio di proposte progettuali di valorizzazione di strutture industriali in cattivo stato di conservazione o dismesse, a mezzo di recupero o riuso compatibile. Per il Panificio Militare – tra i siti di maggior interesse e più a rischio - abbiamo messo a punto, con un gruppo di colleghi, il progetto di recupero.

L’antico molino e il Panificio Militare L'edificio più antico è il molino: costruito nel 1884, è costituito da un semplice parallelepipedo a pianta rettangolare (50 x 15,7 m), disposto ortogonalmente al tracciato del torrente Polcevera, organizzato su quattro piani. I muri perimetrali portanti sono in pietra, grossolanamente lavorata e intervallata da filari di mattoni, secondo una tipologia tipica delle costruzioni dell'epoca; all’interno due file di colonne in ghisa, travi principali binate, poggianti su capitelli in ghisa, e un ordito di travi secondarie portano l’impalcato d’assi che costituisce il pavimento dei vari piani; la copertura è realizzata con una interessante capriata composita. Quando il molino viene acquisito dall’Esercito

per convertirlo a Panificio Militare, nella parte prospiciente il fronte strada vengono costruiti 12 sili in cemento armato, che attraversano il molino nell’intera altezza. Viene anche realizzato un secondo edificio, parallelo al molino, per installarvi i forni per la cottura del pane ed è costruita la Caserma Marabotto, costituita da diversi corpi di fabbrica, dove alloggiare il personale militare addetto al funzionamento del panificio. L'edificio adibito a Panificio Militare, di dimensioni planimetriche analoghe a quelle del molino, suddiviso in due piani per un’altezza di 10,75 m, con struttura in c.c.a, viene collegato al molino con una galleria coperta da un solaio in cemento armato a sheed. Nel dopoguerra il Panificio è adibito a rimessaggio delle provviste alimentari per la Regione


IoArchitetto • 9

militare a

I RECUPERO

izzazione

Professione architetto IoArchitetto intende dar voce all’intera comunità degli architetti e spazio alla progettazione in tutte le sue forme: architettura, edilizia, recupero, spazi urbani, paesaggio, arredo, design, energia e impiantistica. Prendete contatto con la redazione per inviarci i vostri contributi: ioarchitetto@fontcom.it tel.02.2847274

Militare Nord-Ovest e rimane in esercizio fino all’ottobre del 1964. Nel 1992 l’intero complesso è dato in concessione all’Autocentro della Polizia di Stato, che utilizza parte dell’area all’aperto come rimessaggio delle vetture dismesse. Nel luglio del 2001, nell’ambito dei lavori per il G8, vengono demoliti il corpo principale della Caserma Marabotto e alcuni annessi. Il progetto di riqualificazione Il progetto riguarda un'area di circa 9.000 mq e prevede: la conservazione dell'antico molino e di una parte degli edifici annessi con la costituzione

del Panificio Militare, la demolizione delle parti successivamente aggiunte, di scarso rilievo architettonico e in cattivo stato di conservazione, e l’integrazione con nuovi volumi, che consentano il riuso della struttura nella valorizzazione delle testimonianze storiche. Gli antichi edifici industriali sono conservati nella loro volumetria e immagine storico-architettonica e sono destinati a Scuola della Motorizzazione della Polizia di Stato, mentre le nuove costruzioni sono destinate all’Autocentro della Polizia. Poiché il P.U.C. include il complesso all’interno di una zona di trasformazione - ZTR 24°, distretto

Qui accanto l’antico mulino, fronte su via Rolla e - a destra - vista dal ponte sul Polcevera. In alto, planimetria e sezione di progetto dell’Autocentro e della Scuola di motorizzazione della Polizia di Stato. Pagina a fronte, in alto planivolumetrico di progetto, vista da nord-ovest. Pagina a fronte, in basso la foresteria dell’Autocentro in costruzione.

aggregato Campi-Campi Sud subsettore 2, Circoscrizione VI Medio Ponente (Cornigliano) - è stato approntato un apposito schema di assetto urbanistico (S.A.U.) esteso all'intera area; al suo interno uno dei comparti di intervento (Comparto A) concerne appunto il complesso dell’ex Panificio Militare, per il quale è stato redatto il progetto preliminare. Il Comparto A è stato suddiviso in due lotti di intervento che prevedono: • il recupero dell'antico molino e dell’ex Panificio Militare, con riuso a Scuola della Polizia di Stato (comprendente aule, mensa, palestra, camere per allievi, uffici) e, nella parte adibita a silos, a piccolo museo (lotto 2). Non è previsto aumento di S.A. né di volume, compatibilmente all'intento di conservare e valorizzare le strutture originarie di interesse storico-architettonico; • la costruzione di nuove strutture in elevato destinate a ospitare le attività dell'Autocentro della Polizia di Stato (officina, autorimessa, uffici, alloggi per il personale di servizio) e di un piano parcheggi interrato, previa demolizione delle volumetrie ancora esistenti nell’area (lotto 1). Il S.A.U. e il progetto preliminare vengono presentati e approvati alla 3a Conferenza di Servizio, in seduta deliberante, del 28/02/2002. Per l’antico mulino è prevista la conservazione della volumetria e delle caratteristiche tecnologico-costruttive originali, sia dell'involucro esterno nei modi dell’esistente che delle strutture portanti interne, previo adeguamento alle normative di sicurezza vigenti. Nella progettazione si è posta particolare attenzione a mantenere la spazialità interna, ottenuta con la destinazione a scuola e con la realizzazione di aule e spazi per l’insegnamento che consentono di non frammentare gli spazi: un’aula magna e una sala conferenze al piano terra, aule specifiche ai piani superiori, archivio e biblioteca all’ultimo piano, organizzati a open space, per garantire la totale visibilità della struttura lignea della copertura. Nella parte dell’edificio prospiciente via Rolla, dove erano stati inseriti i sili per la farina, è previsto un piccolo museo destinato a ospitare un percorso di archeologia industriale che illustrerà il funzionamento delle lavorazioni che si svolgevano all'interno del molino, attraverso l’esposizione dei macchinari ritrovati e materiale informativo. Nel volume adiacente, ex Panificio Militare, vengono alloggiati gli allievi della scuola: ai piani superiori sono ricavate le camere e al piano terra le attrezzature comuni. I due volumi saranno collegati da una nuova struttura, una galleria vetrata che consentirà una adeguata illuminazione, in sostituzione di quella esistente, in pessimo stato di conservazione. Nell’area dell’ex Caserma Marabotto, previa demolizione delle volumetrie ancora in elevato, è prevista la costruzione

ex novo di un terzo volume che ospiterà gli uffici dell'Autocentro, di un parcheggio interrato e, nella parte meridionale dell’area, dell’officina dell’Autocentro nonché di una foresteria. L’edificio destinato a uffici è posizionato parallelamente al molino e al Panificio, con analoghe dimensioni, a segnalare una serialità che evidenzia il susseguirsi di costruzioni in tre secoli differenti: il Molino nel XIX, il Panificio Militare nel XX e l’Autocentro nel XXI secolo. Il nuovo volume, dove la scansione delle finestre riprende la verticalità delle aperture dei corpi adiacenti, è organizzato su quattro piani, i due intermedi destinati a uffici, l’ultimo ad abitazione. Nella parte meridionale dell’area della ex Caserma è prevista la costruzione dell'officina dell'Autocentro, una volumetria monopiano ricoperta da un prato artificiale. Al livello superiore in un volume lineare che delimita il complesso su via Matteucci e in parte sulla nuova via lungo l’argine è prevista la costruzione di una foresteria, sette monoalloggi destinati al personale in transito temporaneo. Il corpo della foresteria, che concorre a definire parte della perimetrazione dell’intero complesso e a ricomporre il fronte urbano, ha una copertura a un’unica falda, inclinata verso il giardino pensile interno; il rivestimento in lamiera nervata reinterpreta la copertura dell’antico mulino. Alla chiusura del volume verso le vie adiacenti, sottolineata dal rivestimento lapideo delle pareti perimetrali, si contrappone l’apertura sul giardino interno con una serie di finestrature a tutta altezza. Tra il corpo degli uffici e l’officina è stato organizzato un “cortile” di 1.200 mq attrezzato con parcheggi e aiuole a verde, segnato a ponente da un piccolo corso d’acqua a memoria dell’antica roggia, e a levante da un terrazzamento artificiale, al cui interno sono stati ricavati posti auto, che si raccorda visivamente con il grande prato artificiale a copertura dell’officina dell’Autocentro. A oggi è stato approntato il progetto definitivo di un primo lotto, che comprende il fabbricato officina, l’autocentro della Polizia di Stato e gli alloggi ospiti, presentato il 01/07/02 al C.T.A. e approvato con richiesta di estendere il progetto in fase esecutiva anche all’adiacente autorimessa, parte interrata, parte fuori terra. I lavori del primo lotto sono stati appaltati all’inizio del 2004. Progettisti del S.A.U., del progetto preliminare e del progetto definitivo sono l’architetto Sara De Maestri, l’ing. Aldo Signorelli, docenti della Facoltà di Ingegneria dell’Università di Genova, l’ing. Maurizio Gazzano e l’ing. Sandro Morandi.


10 • IoArchitetto

arredo urbano

Sobrio e Sporcizia antica e autopulente moderna di

BIANCA URBANI

Luce, salute e facilità di manutenzione sono alla base dell’architettura moderna. Oltre che dentro, gli edifici si devono mostrare puliti anche fuori e inseriti in un contesto urbano privo di elementi inquinanti…visibili e meno

L

a prima forma di qualità urbana, quella che tutti ragionevolmente ci aspettiamo in un paese moderno è la pulizia. Con la rivoluzione borghese e il pensiero illuminista l’igiene è diventata anche una norma estetica. Prima, ovvero prima del XVIII secolo, non ci si lavava, non c’erano le fognature se non in pochi centri, la gente buttava la spazzatura per strada e svuotava i pitali dalle finestre. Non esistevano infatti gabinetti privati, non solo per i poveri, ma anche per i ricchi e gli aristocratici. Alla corte del re Sole i nobili avevano il diritto di fare i loro bisogni sulle scale reali e gli angoli delle splendide sale puzzavano peggio delle stalle. La sporcizia legata all’accumulo dei rifiuti e degli escrementi, è ancora visibile in parecchie città del mondo e purtroppo anche in alcune città italiane. È una caratteristica delle società contadine e preindustriali, anche se con notevoli differenze a seconda degli usi dei popoli: i Romani, ad esempio, erano molto puliti e l’imperatore Vespasiano inventò il primo gabinetto urbano. Dopo Roma però, per vari secoli, nessuno fece particolare attenzione all’igiene, sino quando si scoprirono i legami tra la sporcizia e le malattie e si verificano le condizioni tecniche e scientifiche per combatterla ed eliminarla. La ricerca della pulizia divenne un elemento acquisito da tutta la popolazione dei paesi più avanzati. Pulizia all’interno delle proprie case, pulizia e rispetto degli spazi pubblici sono elementi determinanti della vita contemporanea perché nella città non esiste bellezza senza

pulizia. Tutta l’architettura moderna mette alla base del proprio progetto la luce, la salute, la facilità di manutenzione, i colori chiari, la trasparenza, rigettando gli interni scuri e polverosi delle vecchie dimore, affascinanti ma arcaiche. Cosa c’è di più odioso di montagne di sacchi della spazzatura per strada? Di lattine e cartacce per terra? Della puzza di orina per strada? Delle deiezioni canine sui marciapiedi? Quando ciò accade in luoghi storici come a Venezia o a Napoli la cosa è ancora più dolorosa. Sappiamo tutti che senza la collaborazione dei cittadini è impossibile ottenere buoni risultati, ma la coscienza di questo fatto non può scusare le amministrazioni che devono trovare soluzioni adeguate e coraggiose senza rimpalli di re-sponsabilità sulle colpe primarie. Non si può pretendere che non si getti roba per terra se non ci sono cestini adeguati. I vandali li rompono? Mettiamoli più robusti oppure, al contrario, di carta da gettare assieme ai rifiuti. Una buona organizzazione di servizi e una continua manutenzione (assieme a belle multe) scoraggiano i comportamenti asociali. Un’ultima osservazione: se la sporcizia delle strade e delle case è tipica di società preindustriali, quella dell’aria e dell’acqua è invece un terribile problema legato all’industrializzazione e ai sistemi di vita della città moderna e contemporanea. L’inquinamento è la sporcizia della modernità, ma qui entriamo in un problema non risolvibile con un’organizzazione funzionale della pulizia.

Public Toilet è il bagno pubblico autopulente, discreto, solido e adatto a tutti i luoghi della città prodotto da Castiglioni. Sobrio nel design, Public Toilet è un gabinetto automatico di nuova concezione, indicato tanto per i centri storici quanto per le aree verdi. Le pareti esterne in calcestruzzo con graniglie di marmi colorati e il tetto in vetroresina gli conferiscono un aspetto moderno, mentre gli infissi e la porta scorrevole sono dotati di supporti per la pubblicità luminosa. All'interno lo spazio che accoglie l'utilizzatore è particolarmente curato: finiture pregiate, pareti chiare, superfici igieniche facilmente pulibili, illuminazione gradevole. L'uso è semplice e sicuro: la presenza all'interno di Public Toilet di un utilizzatore è rilevata dal suo stesso peso; quando in uso, la porta scorrevole rimane chiusa per un massimo di 15 minuti, ma è sempre possibile riaprirla dall'interno per mezzo di appositi maniglioni antipanico. All'uscita dell'utilizzatore il bagno viene automaticamente lavato, igienizzato e asciugato per mezzo di spruzzatori mobili. Per maggiori informazioni: F.lli Castiglioni (VA) www.castiglionisrl.com


IoArchitetto • 11 PROVE SPERIMENTALI PRESSO LABORATORI DI INGEGNERIA-ARCHITETTURA AUTORIZZATI DAL MINISTERO DELL’INTERNO ATTESTANO COME OTTIMO RIVESTIMENTO ANTINCENDIO, CHE SODDISFA LE PRESCRIZIONI DI LEGGE E LE PRESTAZIONI, L’INTONACO IGNIVER, ISOLANTE A BASE DI GESSO E VERMICULITE

Ottima coibenzae facilità di messa in opera

Le applicazioni al Polo universitario di Sesto San Giovanni con il trattamento sulle strutture portanti e, ancora in corso, l’ampliamento della vecchia struttura ospedaliera dell’Ospedale Maggiore di Bologna

C

ome garantire e aumentare la resistenza al fuoco? È necessario un rivestimento antincendio che incrementi le prestazioni andando a soddisfare le prescrizioni di legge. Illustriamo la casistica delle applicazioni legata ad Igniver, intonaco isolante a base di gesso e vermiculite che consente di abbinare alle ottime proprietà di coibenza termica della vermiculite, il basso costo e la facilità della messa in opera con il vantaggio dell’inalterabilità nel tempo. Il prodotto è fornito già premiscelato (si applica a macchina), è estremamente leggero e quindi evita ogni appesantimento sulle strutture. Oltre ad avere superato numerose prove sperimentaliarchitettoniche presso laboratori ingegneristici autorizzati dal Ministero dell’interno, è un prodotto conosciuto dai Vigili del Fuoco e il suo utilizzo è semplificato anche dall’assistenza del servizio tecnico BPB Italia-divisione Vic, disponibile per il dimensionamento preliminare del trattamento protettivo da eseguire secondo le norme UNI 9502 e UNI 9503 e secondo quanto previsto dal decreto ministeriale 4/5/1998 e successive disposizioni in tema di Prevenzione incendi. Entrando nel merito di alcuni esempi applica-

tivi segnaliamo l’opera della Sipaf di Levate, Bergamo, gestita dai fratelli Mascheretti. Nel campo della protezione antincendio Igniver è stato utilizzato per ambienti e sottofondi da

trattare come strutture in acciaio, calcestruzzo armato o canalizzazioni metalliche.Tra i lavori eseguiti, significativi sono la base Nato di Aviano, il parcheggio di piazza Roma a

Venezia (80 mila mq di Igniver) e l’aeroporto di Fiumicino. Da segnalare tra i più recenti è l’applicazione al Polo universitario di Sesto San Giovanni, dove le strutture portanti costituite da profili di acciaio con solai in lamiera recata, necessarie alla realizzazione dell’opera, sono state trattate con l’intonaco antincendio. Nei due piani interrati, dove è situato un parcheggio, Igniver è stato utilizzato per ottenere una resistenza al fuoco pari a REI 120 e REI 180. I quattro piani superiori sono stati trattati con Igniver per ottenere una resistenza di R 60. In tutto l’edificio questo intonaco rappresenta un ottimo scudo per la protezione dal fuoco delle strutture metalliche trattate. Da segnalare anche l’intervento all’Ospedale Maggiore di Bologna, per il quale è previsto un grande lavoro di ampliamento della vecchia struttura ospedaliera in due grandi lotti. Per quest’ultimo intervento (quasi 80 mila mq di prodotto) i cui lavori dovrebbero terminare entro dicembre di quest’anno, viene utilizzato Igniver per ottenere una resistenza al fuoco REI 120 per il trattamento di protezione dal fuoco delle strutture metalliche con spessori variabili tra i 2 e i 3 cm.

agenda

Illuminazione Architetti

pubblica Il prossimo 14 ottobre è in programma a Roma un corso di Illuminazione pubblica che sarà tenuto da Giuseppe Bruno e Giovanna Franco. Il corso rientra nelle attività di formazione di Dario Flaccovio Editore, che organizza regolarmente corsi e workshop di argomento tecnico che mirano a offrire un servizio professionale di qualità e immediatezza a costi accessibili. Per garantire ai partecipanti il massimo dell’apprendimento, la casa editrice ha adottato i seguenti criteri nell’organizzazione: il clima è disteso e informale; si evitano accademismi ed eccessivi approfondimenti teorici; vengono forniti numerosi esempi pratici; il numero dei partecipanti è limitato a poche decine; è possibile intervenire durante le varie fasi della relazione dei docenti per ottenere chiarimenti; il metodo scelto per l’attività è del tipo full immersion. Tra gli argomenti trattati: le prin-

cipali grandezze illuminotecniche, le principali sorgenti luminose (applicazioni e cromatismo), applicazioni in strutture di pubblico spettacolo, normative sui componenti e sulle installazioni, risparmio energetico (controllo elettrico della luce), illuminazione degli spazi urbani, tipologie dei corpi illuminanti, illuminazione stradale, di edifici e monumenti, in particolare dei centri storici e delle aree pedonali, i piani della luce. Il corso si svolge a Roma, presso la sede della Casa internazionale delle donne, in via della Lungara 19 (Trastevere) dalle ore 9.10 alle 19.00; il costo è di 120 euro. È possibile iscriversi collegandosi al sito della casa editrice: www.darioflaccovio.it/corsi oppure scrivere a corsi@darioflaccovio.it

pittori

Dal 15 ottobre prossimo, l’architetto Carlo Giuliani espone alcune delle proprie tele presso il Circolo I Navigli. Luogo di incontro e dibattito culturale, il Circolo si trova in via De Amicis 17 a Milano. Giuliani è attivo da anni a Venezia, specialista in restauri di chiese e palazzi, ha praticato fin da giovane la pittura. In linea con il suo modo di sentire l’artista propone riflessioni dedicate allo spazio con un particolare riferimento alla laguna e ai suoi incanti di luce e di trasparenze.

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12 • IoArchitetto

tecnologia

ambiente

SANA 2005 per la casa La registrazione di formato eco-compatibile sicurezza compatto Il 17° SANA - Salone Internazionale del Naturale, Alimentazione, Salute, Ambiente - si è tenuto a Bologna dall'8 all'11 settembre. I padiglioni del settore Ambiente, riservato ai prodotti e alle tecnologie ecocompatibili, ha ospitato quest'anno due importanti appuntamenti: Ecologia è Design e Casa Sana. Il primo, la mostra del design ecocompatibile curata dall'architetto Sonia Perini, anche in questa edizione ha presentato una ricca selezione di complementi d'arredo, elettrodomestici, apparecchi d'illuminazione e pavimentazioni realizzati con materiali riciclati e riciclabili. Spazio dunque a piastrelle antismog o in gomma riciclata, a parquet in papiro e a lampade in stoffa, a tappeti in pura fibra di cocco e a pavimenti in gres porcellanato con l'aspetto del legno. A chi cerca l'ecologia non solo nell'arredo ma anche nella sua stessa costruzione SANA 2005 ha presentato Casa Sana, l'area espositivo-dimostrativa dedicata ai materiali e agli impianti per il benessere delle abitazioni. Casa Sana ha ospitato diversi spazi espositivi, ma anche progetti, laboratori, conferenze e interventi di tecnici ed esperti.

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grado di inviare un SMS su un numero di cellulare preimpostato quando si verifica un evento sospetto. Le dimensioni compatte di WonderTrack 1500 (250 x 250 x 67 mm) lo rendono particolarmente adatto all'impiego in negozi, locali pubblici e insediamenti residenziali.

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er la loro realizzazione i solai prefabbricati richiedono travi da gettare in opera. Ma questa è una necessità che con i tavoli Dokaflex viene meno, con grandi vantaggi in termini di semplificazione del lavoro in cantiere. Nella costruzione dei solai prefabbricati rimane infatti ancora oggi l'esigenza di gettare travi a spessore e, nella maggioranza dei casi, di disporre di attrezzature robuste in grado di funzionare come base d'appoggio per le lastre prefabbricate.

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ideoregistrazione di sicurezza ad alte prestazioni: Hesa, da più di trent’anni protagonista nella produzione e commercializzazione di sistemi d’allarme, presenta oggi WonderTrack 1500, l’apparecchiatura digitale semplice nell'uso e dalle prestazioni elevate. Quando la registrazione video non è solo un optional ma una vera necessità, WT 1500 è l’ideale con le sue quattro funzioni integrate. Con un solo apparecchio è possibile infatti effettuare registrazioni continue ad intervalli prestabiliti, su allarme (a ricevimento di un segnale), temporizzate e manuali.

Altrettanto importante in queste operazioni è la velocità di posa e di movimentazione dell'attrezzatura, fattori che influenzano direttamente i tempi di realizzazione dell'opera. Solo i tavoli Dokaflex sono in grado di semplificare il lavoro: trasportabili come unità intere, sono convenienti già dopo tre impieghi e sono adatti anche ai cantieri di piccole dimensioni. Tecnologia e assistenza: i tecnici Doka sono in grado di consigliare la tipologia di tavolo più adatta alle singole esigenze.


IoArchitetto • 13

tecnologia

arredo

Coperture ventilate con

del Caffè Hai colori il nuovo

Larivent

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ellotti presenta Larivent, il sistema per coperture ventilate a pannello monolitico portante che in un’unica posa soddisfa estetica, struttura, isolamento termico e ventilazione. Le superfici in legno del pannello ventilato di tipo composito sono disponibili in diverse finiture. Larivent inoltre è caratterizzato da uno speciale inserto che, assicurando un’ottimale ventilazione e un eccellente isolamento termico, garantisce un maggior comfort e un notevole risparmio energetico rispetto a una copertura tradizionale. La particolare struttura del pannello monolitico assicura alte prestazioni meccaniche anche con considerevoli sovraccarichi accidentali. A completamento del sistema c’è la specifica gamma di accessori che rende facile ed economica la realizzazione di tetti a tecnologia ventilata.

Tabu

piallaccio

Alcune immagini delle coperture in sezione e la successiva posa in opera. I pannelli possono essere utilizzati solo in posizione inclinata

Sotto: l’effetto dato dall’alternanza delle diverse specie legnose

Sopra: una camera d’albergo di gusto piacevolmente esotico

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C

offee Break è il nuovo piallaccio nato dalla collaborazione creativa e progettuale di Marco Piva e Tabu, l'azienda comasca che da quasi ottant'anni propone una produzione di piallacci naturali, bordi in legno, parquet e pannelli da rivestimento murale. Il nuovo nato in casa Tabu è stato realizzato appositamente per il complesso alberghiero e congressuale T Hotel di Cagliari dove ha trovato impiego per il rivestimento degli arredi e delle porte. Coffee Break è ispirato proprio ai colori del caffè, con un’elegante alternanza delle tinte moka e nocciola chiaro. L'esclusiva dei legni multilaminari Tabu è nella composizione: realizzati con varie specie legnose, questi "nuovi legni" sono costituiti da lamine sottilissime che, assemblate, danno origine a masselli dai quali sono ricavati i piallacci. Quest'ultima creazione si inserisce nella linea Caleidolegno, la gamma che associa qualità cromatiche del legno e una tranciatura impeccabile. Per ulteriori informazioni: TABU SpA via Recanati, 110 - 22063 Cantù (CO) tel: 031.714493 - fax: 031.711988 www.tabu.it - info@tabu.it

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Le nostre abitazioni in legno non pongono limiti al design. Grazie a un nuovo concetto costruttivo a pannelli preassemblati, un progetto pensato per l’edilizia tradizionale può essere realizzato, con piccoli accorgimenti, anche con il legno. Costruire case in legno su misura ora è veramente possibile.

I vantaggi sono molteplici: • il risparmio derivato da consumi più contenuti (risparmio superiore al 30%); • la velocità di realizzazione; • il prezzo garantito. • L’assenza di limitazioni permette di realizzare architetture in sintonia con il paesaggio in cui avete scelto di costruire la vostra casa. Ovunque essa sia.

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14 • IoArchitetto

design Waterblade Design innovativo e funzionalità, estetica gradevole e versatilità. I rubinetti Waterblade disegnati da Peter Jamieson e prodotti da Ritmonio sono veri complementi d'arredo, oggetti di alto livello concepiti per creare un impatto decisamente scenografico. Tutti in acciaio inox EC 1.4301 (AISI 304) con finiture in cromo lucido, le rubinetterie Waterblade si distinguono per le linee squadrate e spigolose e per uno stile sobrio che esalta il movimento dell'acqua. Il supporto dei rubinetti - tutti a quattro razze - ha forma di L con un lato erogatore orizzontale studiato per essere impiegato anche da mensola. Le varie dimensioni disponibili rendono le rubinetterie Waterblade adatte a diverse combinazioni di arredo e a tutte le tipologie di sanitari. Per maggiori informazioni: Rubinetterie Ritmonio www.ritmonio.it

Ovofritto Novità in casa ilumi: Ovofritto è la lampada da parete e da soffitto disegnata da Laura Sorteni. Dopo l'anteprima al Light+Building di Francoforte e l'apparizione televisiva nelle scenografie di "Ziggie" su Italia1, Ovofritto è oggi finalmente disponibile sul mercato, anche in versione blu. Grazie all'impiego del lackfolie imbottito nella realizzazione della montatura, la nuova lampada ilumi è ancora più luminosa. Disponibile nelle tonalità arancione, blu, gialla, rossa e verde, Ovofritto conferisce stile e originalità ad ogni ambiente. Per maggiori informazioni: ilumi www.ilumi.it

Luzilla

Dalle fessure orizzontali scendono piccole cascate governate dall'acciaio a formare vere e proprie lame d'acqua

Piccola lampada da comodino o da scrittoio a doppia funzione, Luzilla è dotata di proiettore orientabile con parabola dicroica a bassissima tensione. Con il proiettore orientato verso il vetro diffusore, Luzilla diventa una piccola abat-jour. Orientando il proiettore in altro modo è invece possibile ottenere un potente fascio per la lettura. Il diffusore è in vetro soffiato a tre strati o in resina, la struttura è in fusione di alluminio, la base è in resina. È inoltre disponibile una versione che permette accensione e regolazione della luminosità semplicemente sfiorando la struttura. Per maggiori informazioni: Album, luci e mobili - www.album.it

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Vita

scelta del comfort

L’imbarazzo della

il piacere PL s.p.a. è un’ azienda del Gruppo Abet Laminati leader nella produzione di pavimenti in laminato ad alta pressione PARQCOLOR® e pareti PARQWALL®. Disponibili in una vasta gamma di colori, estremamente robusti, sono ideali in tutti gli ambienti che necessitino di caratteristiche tecniche eccezionali ma anche di particolari valenze estetiche.

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Alle grandi doti estetiche unisce molte altre doti, tra cui una resistenza fuori dal comune propria del laminato HPL; è quindi particolarmente indicato per luoghi collettivi, ambienti in cui la durezza del laminato HPL è l'unica che sappia opporsi al calpestio più intenso. PARQWALL® Rinnovato e arricchito nell’estetica, è disponibile in più di 800 decorativi a scelta fra tutta la gamma Abet Laminati e nelle soluzioni tecniche di montaggio. Parqwall® è offerto sia nella versione con giunti a vista di alluminio anodizzato, che in quella con giunti a scomparsa che permettono la posa dei pannelli in verticale o in orizzontale. Sono disponibili inoltre giunti attrezzabili orizzontali e verticali a cui abbinare un’ampia gamma di accessoristica.

Vita è la maniglia disegnata dall'architetto Mauro Ronchi e realizzata da Fmn Martinelli. È in ottone forgiato e fa parte della linea DND, Diffusione Nuovo Design, la fascia più esclusiva della vasta produzione dell'azienda bresciana. L'innovazione dei prodotti DND intende tracciare nuove direzioni in termini di design e qualità, in risposta a un mercato esigente e sempre più complesso.

SILENTWALL Sistema di controparete fonoassorbente, è l’evoluzione fonoassorbente del sistema di controparete modulare e attrezzabile Parqwall®. Silentwall è una parete adatta ad assorbire i rumori all’interno di ambienti ad alta frequentazione e con elevato brusio di fondo. P.L. spa 22070 VERTEMATE C/MINOPRIO (CO) Strada prov. per Bulgorello, 3 Tel. 031.888.211 - Fax 031.901.053 E-mail: componenti@pl-abetgroup.it parqcolor@pl-abetgroup.it

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Vita-D

Vita-L

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IoArchitetto • 15

Libri

Dalla parte dei

marciapiedi:

la città

italiana vista da

un architetto

SUITE

EUCLIDE la soluzione software più innovativa, semplice ed efficiente per gestire qualsiasi progetto edile

cio del tutto nuovo ai problemi della vita urbana. Con la competenza di chi la città la conosce davvero bene - se non altro per aver lavorato anni a fianco dell'amministrazione comunale milanese - l'autrice, con una scrittura sempre ironica e leggera, parla di moda, di arte, di letteratura e di vita culturale intrecciando le sue parole con le descrizioni di strade, ponti, tangenziali, luci e marciapiedi. Tutto ciò insomma che “fa” la città. Percorrendo un tragitto ideale che costeggia piazze e parcheggi, che attraversa giardini e viali, Franco fa luce sulle architetture delle nostre metropoli evidenziandone tanto le funzioni e le caratteristiche compositive quanto gli stati d’animo delle migliaia di persone che quotidianamente le vivono.

Giovanna Franco Repellini Sulle strade della città luoghi progetti sentimenti FrancoAngeli Editore, 2003 pagg. 208 - 18,50 euro

U

na folla affannata si muove sulle strade della città. A piedi, in macchina o in tram, di giorno e di notte respira l’aria, al contempo libera, piena di idee e di sogni, ma inquinata di gas e rumori. Attorno la città cambia, anch’essa scorre, prendendo nuova forma. Gli spazi pubblici, i luoghi del vivere assieme, ne costituiscono la struttura. Essi sono l’oggetto specifico del libro di Giovanna Franco Repellini: ogni capitolo (trentadue in tutto) ne evidenzia un aspetto, trattando tutti i problemi relativi alla progettazione, all’estetica, agli usi e alle soluzioni tecniche.” Quello di Giovanna Franco Repellini è un approc-

Arte pubblica, illuminazione, design dell'arredo urbano e delle pavimentazioni stradali sono osservati e descritti con minuzia e spirito critico. Nonostante questo, però, le riflessioni di Giovanna Franco Repellini non vogliono essere sistematiche ed esaustive. Sono qualcosa di più: un vero e proprio viaggio in 32 capitoli zeppo di “variazioni sul tema” e di riflessioni personali, provocazioni, interrogativi che mettono in dubbio le certezze acquisite su cosa è bello e cosa è brutto in città. Agli occhi dell'autrice, infatti, non passano inosservati i luoghi comuni, le banalità e il cattivo gusto che spesso sono alla base di una gestione disordinata degli spazi collettivi, vere e proprie terre di nessuno delle nostre metropoli. Come ci ricorda l’autrice “non bastano le case per fare una città. Una città è formata da architetture e spazi pubblici. Ma questi sono sempre dimenticati”. Vantiamo infatti bellissime città ma trascuriamo gli spazi condivisi, la vera anima del vivere civile. E così piazze, giardini pubblici, stazioni ferroviarie e parcheggi diventano sempre più anonimi, lasciati come sono in uno stato di abbandono, se non di vero e proprio oblio.

gli edifici che da architetto ha osservato e che ha progettato, tra le opere d'arte che ha ammirato e i libri che più ha amato, tra i paesaggi e gli scenari del suo (e del nostro) quotidiano.

Giovanna Franco Repellini Una casa non è una tazza. Riflessioni sullo stile e sul gusto nel quotidiano FrancoAngeli Editore, 1995 V edizione 2005 - pagg. 176 - 12,50 euro

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on occhio arguto e disincantato, Giovanna Franco Repellini - da 25 anni titolare di uno studio di architettura a Milano - ripercorre in questo volume l'esperienza del nostro quotidiano osservando attentamente il mondo che ci circonda attraverso l'architettura delle città. Un viaggio insomma che si snoda tra

"Perché una casa o un oggetto ci appaiono belli o brutti? Perché l'edilizia moderna è stata così distruttiva verso le città e la natura? Qual è il significato di un edificio? Come si è trasformato il nostro gusto negli ultimi venti anni? Sono domande alle quali il libro vuole rispondere non in modo sistematico, ma con spunti e percorsi culturali che partendo dal concreto dell'esperienza professionale di architetto si organizzano attorno ai temi dell'abitare e del vivere civile." Il lettore di Una casa non è una tazza è così condotto in un singolare itinerario personale che diventa, un po' come nei grandi romanzi dell'Ottocento, un vero e proprio percorso "di formazione". Partendo dalle comuni studentesche "arredate con cassette di frutta e cuscini indiani" fino ad arrivare ai più esclusivi appartamenti del centro, passando attraverso stili e epoche, esperienze culturali e ideologiche, l'autrice annoda storie e aneddoti a ricordi personali, sempre evocati con ironia.

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Un libro, questo, non pensato solo per gli architetti: con Una casa non è una tazza tutti coloro che vivono con interesse e partecipazione l'evoluzione dei luoghi troveranno piacere nel riflettere sui concetti (e preconcetti) di bello e di brutto, di gusto e di moda.

Giovanna Franco Repellini, milanese, è laureata in architettura a Venezia e svolge la libera professione a Milano. Nel corso degli anni ha accumulato una grande esperienza nella progettazione architettonica urbana, nel restauro e nel design. Ha svolto progetti di riqualificazione di spazi pubblici fornendo consulenze a pubbliche amministrazioni, specialmente in tema di design urbano. Si è inoltre occupata di interior design per privati ed esercizi commerciali. Ha collaborato con Il Sole 24 Ore e alla realizzazione della trasmissione televisiva “Luoghi comuni” con Beppe Severgnini.

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