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Massimo Russo
Massimo Russo inizia la sua attività di ricerca nel 1995, all’interno del dipartimento di progettazione dell’Università Federico II di Napoli. Successivamente, con uno studio sui gruppi umani primordiali, avvia un percorso di collaborazione con il dipartimento di psichiatria dell’Università del Sacro Cuore di Roma unendo antropologia, organizzazione dei sistemi viventi e nuove tecnologie informatiche. Nel corso degli anni partecipa a concorsi nazionali e internazionali ottenendo premi e riconoscimenti. Recenti studi sugli ‘algoritmi della bellezza’ trovano applicazione e sinergia all’interno della progettazione architettonica e del design e nell’esplorazione di processi innovativi di progettazione parametrica. www.massimorusso.it www.massimorusso.it MATEMATICA, MUSICA, ANTROPOLOGIA E LA VOLONTÀ DI ESPLORARE L’INCONSCIO CHE LO CONDUSSE A COLLABORARE CON UN DIPARTIMENTO UNIVERSITARIO DI PSICHIATRIA. DAI MOLTEPLICI INTERESSI E DA UNA COSTANTE ATTIVITÀ DI RICERCA MASSIMO RUSSO RICAVA UN METODO DI PROGETTAZIONE PARAMETRICA NEL QUALE LA GEOMETRIA NON È IL FINE MA UN MEZZO NELLA È IL FINE MA UN MEZZO NELLA RICERCA DELLA BELLEZZA RICERCA DELLA BELLEZZA
Vista e un disegno di Villa Brand a Montoro, Avellino (ph. ©Moreno Maggi).
di Luigi Prestinenza Puglisi
Massimo Russo si è laureato in architettura ma avrebbe potuto fare il matematico, lo psichiatra o il filosofo. Tanto è vero che, subito dopo gli studi universitari, nel 1995, ha iniziato una collaborazione con il dipartimento di psichiatria di Roma alla ricerca di punti di contatto tra antropologia, sistemi viventi e nuove tecnologie informatiche. Appassionato delle scienze matematiche, ne apprezza più le forme che la potenza di calcolo per usi concreti. Facendo proprio il principio che la creatività è utile soprattutto quando è inutile, si muove con grande agio nel mondo della geometria non euclidea. In particolare della topologia, la disciplina che studia le caratteristiche delle figure che non cambiano le proprietà fondamentali quando viene effettuata una deformazione. Vi è, infine, l’amore per la musica, dove la matematica dei suoni, dei ritmi e delle note gioca una parte non irrilevante in questa più ampia ricerca della bellezza, che è un distillare fondamenti comuni, per captare le tracce di un’armonia soggiacente ad un mondo che, invece, troppo spesso preferisce manifestarsi come disorganico, folle, irrazionale. Date queste premesse, il lavoro di Massimo Russo si muove lungo la direzione dell’architettura parametrica. Ma di un parametricismo, se così si può dire, più platonico che decostruttivista. Cioè non fantasmagorico come capita invece quando queste geometrie assumono esasperate connotazioni organiche o futuriste e postorganiche. Lo si vede per esempio nel progetto di una seduta in marmo che ci ricorda le sculture di Alberto Viani o di Henry Moore. Suggerisce un flusso ideale: l’avvolgersi in una dimensione infinita. E lo si vede nelle strutture
elementari autocostruite, spesso eseguite in occasione di workshop di progettazione, che riprendono forme primordiali quali l’igloo. Sono pensate con l’ausilio del calcolatore per semplificare la fase esecutiva, minimizzando gli sprechi di materiale. Massimo Russo li chiama algoritmi della bellezza. Lo stesso evita però di fare dell’architettura parametrica una professione di unica fede. La geometria è infatti mezzo e non fine. E la musica delle forme può scaturire da approcci più consueti, per esempio da una rilettura personale e poetica dell’architettura del Movimento Moderno. Nella riqualificazione di una conceria a Casandrino, Massimo Russo mostra come si possa riqualificare un volume senza particolari qualità con poche ed essenziali mosse, restituendo l’immagine di un edificio semplice e sobrio che sembra come sollevato dal piazzale sul quale si affaccia. La massa edilizia diventa più leggera, orientandosi lungo la dimensione orizzontale invece che sulla verticale. Un gioco astratto sembra aver generato la costruzione di villa Brand. Questa volta a determinare l’insieme sono alcuni volumi sfalsati che si individuano con facilità grazie all’alternarsi dei colori. A smaterializzarli ulteriormente provvedono i tagli che generano inaspettate visuali. La geometria e la musica suggeriscono costruzioni proiettate verso l’orizzonte perché aperte al paesaggio circostante. L’edificio destinato all’accoglienza all’interno del parco archeologico di Nissan-lezEnsérune sembra volare sopra il terreno. È caratterizzato da una ampia copertura d’acciaio che lo rende vibrante. Questa, oltre a proteggere l’edificio dal sole, riporta in alto i segni di un antico alfabeto rinvenuto dagli archeologi durante gli scavi. Attraversando questi segni incisi nella lamiera, il sole segna sulla terrazza ombre intriganti che introducono il visitatore alla lettura di uno, forse il più rilevante, dei misteri del parco archeologico. I caratteri astratti e leggeri, ottenuti con un gioco d’ombre, ricordano inoltre il mondo digitale nel quale viviamo, fatto di cifre anch’esse effimere. Segno che musica, paesaggio, cibernetica e antropologia possono convergere, sia pure attraverso sottili e vaghe analogie, nel gioco delle forme dell’architettura ■
Uno sbalzo e una cornice proteggono dal soleggiamento diretto le vetrate aperte sul panorama circostante. Una sottile linea perimetrale tiene la casa come ‘sollevata’ dal prato che la circonda (ph. ©Moremo Maggi). Villa Brand: la quinta al primo piano che delimita la terrazza esterna e il viale di cemento che collega la casa alla strada pubblica (ph. ©Moreno Maggi).
Villa Brand
Villa Brand è costruita intorno a un gioco di volumi sovrapposti e sfalsati. Grandi portali sottolineano le principali vetrate della casa che si aprono verso il panorama circostante proteggendole dal soleggiamento diretto. Una grande quinta al piano primo caratterizza lo spazio esterno della terrazza che gravita intorno alle camere. Il gioco dinamico dei volumi è sottolineato dal dualismo cromatico dei prospetti. La villa sembra essere adagiata sul prato che la circonda, grazie a una rientranza, una sorta di linea di d’ombra, che gira lungo tutta la base del suo perimetro. Un viale di cemento, come una sorta di cordone ombelicale, la collega alla stradina pubblica. Pur risultando di grande impatto visivo, l’edificio ha un costo particolarmente contenuto grazie all’uso di materiali semplici e il suo aspetto dinamico è affidato a un sapiente gioco di sbalzi e vuoti, realizzati grazie a un’articolata struttura in cemento armato e acciaio che coincide con la forma architettonica.
Edificio d’accoglienza dell’Oppidum d’Ensérune
Il nuovo edificio che sorgerà all’interno del parco archeologico di Nissan-lez-Ensérune in Francia svolgerà la funzione di accoglienza dei visitatori, con un infopoint e una libreria. È stato pensato come una struttura leggera e reversibile in legno e acciaio, posizionato al limitare della collina del parco, quasi in bilico, come un grande affaccio sulla vallata. Lo caratterizza una grande copertura in acciaio che oltre a svolgere la funzione protettiva che le è propria riporta in alto una serie di segni di un alfabeto che è stato rinvenuto dagli archeologi durante gli scavi delle preesistenze della roccaforte romana, ma ad essa sicuramente precedente. Il concorso internazionale è stato indetto direttamente dal Centre Des Monuments Nationaux di Parigi. Il progetto di Massimo Russo e Federico Russo Associé è risultato vincitore e l’opera è in corso di realizzazione.
Modello e disegni dell’edificio in costruzione nel parco archeologico di Ensérune. Sull’acciaio della pensilina saranno incisi i segni di un alfabeto antico, precedente l’insediamento Romano.
Il concept della seduta, formata da due blocchi di marmo realizzati con macchine guidate da un algoritmo generato dalla progettazione parametrica, e un render. In basso il prototipo costruito.
La seduta dell’Infinito
Presentata nella sezione Architettura & Design di una recente edizione di Marmomac, la Seduta dell’Infinito è composta da due elementi monolitici in marmo di circa 370x180 centimetri, lavorati con macchine a controllo numerico di Helios Automazioni guidate dagli algortimi generati dalla progettazione parametrica. I due blocchi sono stati poi congiunti direttamente in sede allestitiva a Verona. «Il progetto – spiega Massimo Russo – è pensato come costruzione di un luogo, un assenza all’interno di un abbraccio di forme complesse generate lungo piani che si inseguono all’infinito; occasione per un attimo di riflessione, una pausa puntuale contrapposta alla sinuosità e alla complessità di forme avvolgenti e dinamiche». L’opera si presenta come una seduta informale che per le sue forme si presta a un uso ludico grazie alla sinuosità delle forme realizzate.
Russo di Casandrino
L’intervento di riqualificazione del preesistente edificio produttivo e dell’area circostante è stato l’occasione per realizzare la nuova immagine dell’azienda, che ha una lunga tradizione nell’ambito della produzione di pelli di qualità per il settore dell’alta moda e che aveva chiesto a Massimo Russo di realizzare un edificio capace di rappresentare, allo stesso tempo, questa doppia anima innovativa e radicata nella propria storia. Nel suo bianco rigore geometrico, il progetto è metafora del rigore aziendale e dell’impegno verso una attività produttiva compatibile con l’ambiente. Una tematica questa sottolineata anche dall’uso del verde pensato come parte integrante della composizione architettonica.
La riqualificazione dell’edificio produttivo e direzionale si presenta pulita e rigorosa, corrispondente all’immagine di qualità associata all’azienda (ph. ©Moreno Maggi).
Dettaglio della quinta che definisce l’ingresso, con la balaustra in vetro che accompagna il percorso e lo schermo orizzontale.