Poste Italiane SpA - Spedizione in AP - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46), art. 1, comma 1, LO/MI. Euro 9,00
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Volume 39 numero 8
31 ottobre 2020
Rivista fondata da Franco Panizon nel 1982 Rivista di formazione e di aggiornamento professionale del pediatra e del medico di medicina generale, realizzata in collaborazione con l’Associazione Culturale Pediatri
www.medicoebambino.com
LINEE GUIDA LA PRIMA INFEZIONE URINARIA FEBBRILE in bambini di età compresa tra 2 mesi e 3 anni Editoriali
Colleferro Il conformismo non basato sull’evidenza: lezioni dallo “opioid overflow”
Il graffio Lettere Problemi speciali Articolo speciale Percorsi clinici
ISSN 1591-3090
Appunti di Neuropsichiatria PAGINE ELETTRONICHE
Il pediatra, il NPI e… Leopardi Un nuovo Libro Bianco per l’assistenza pediatrica? L’inquadramento delle ipoacusie in epoca neonatale e pediatrica Cosa deve sapere ogni pediatra sulla comunicazione aumentativa alternativa (CAA) Febbre di origine sconosciuta (FUO) ABA: l’analisi comportamentale applicata LA MALATTIA INFIAMMATORIA PELVICA
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Volume 39
numero 8
31 ottobre 2020
Editoriali
483 Colleferro G. Tamburlini I simboli del male che emergono e rischiano (o lo sono già) di essere spalleggiati. Ci riguarda: in queste traiettorie ci possono essere la parola, il gesto o la relazione che fanno cambiare direzione.
483 Il conformismo non basato sull’evidenza: lezioni dallo “opioid overflow” E. Barbi Si parla di una possibile dipendenza da uso “in eccesso”: semmai nella pratica clinica pediatrica è il contrario. Basta saperli usare: vediamo come.
485 La pagina gialla a cura di Alessandro Ventura Difendersi dal Covid: è la bambinità che fa la differenza; autismo: (molta) più genetica che ambiente; MICI: “Ma… vengono anche ai bambini?!?”; test salivari per intercettare il Covid-19; scialorrea nel bambino con paralisi cerebrale: sapere e saper fare; terapia dell’ADHD: punto della situazione sul N Engl J Med.
487 Il graffio a cura di Alessandro Ventura Il pediatra, il NPI e… Leopardi.
487 Lettere Alcuni contributi (che nascono da quello che stiamo vivendo in era Covid) sono sufficienti per definire le basi culturali per un Nuovo Libro Bianco per l’assistenza pediatrica. Da non perdere anche la lettera su come un pediatra di famiglia si comporta in concreto in merito ai proclami e ai decreti in tema di riapertura delle scuole.
494 Quiz di autovalutazione Linee guida
495 La prima infezione urinaria febbrile in bambini di età compresa tra 2 mesi e 3 anni Gruppo di lavoro sulle infezioni delle vie urinarie della Società Italiana di Nefrologia Pediatrica (SINePe) A 10 anni di distanza vengono riproposte le nuove Linee Guida italiane: punto di riferimento esauriente, rigoroso, documentato, con novità e semplificazioni.
Problemi speciali
505 L’inquadramento delle ipoacusie in epoca neonatale e pediatrica A. Feresin, M. Bevacqua, G. Del Piero, P. Staffa, E. Barbi, E. Orzan Il riscontro crea a volte (o spesso) dubbi interpretativi. Le diverse problematiche sono affrontate con chiarezza e con indicazioni su cosa pensare e come comportarsi.
Articolo speciale
513 Cosa deve sapere ogni pediatra sulla comunicazione aumentativa alternativa (CAA) C. La Manna, I. Prina, M. Cavalleri, P. Conti, A. Selicorni Un’area della pratica clinica che cerca di compensare la disabilità di bambini con bisogni comunicativi complessi. Comunicare è un diritto di tutti, favorirne la possibilità è un dovere sociale.
Percorsi clinici
519 Febbre di origine sconosciuta (FUO): approccio diagnostico attraverso un caso clinico D. Ursi, S. Puzone, C. Strisciuglio È una delle maggiori sfide che il pediatra si trova ad affrontare nella sua pratica clinica. La definizione, le cause, il ragionamento clinico da seguire.
Appunti di Neuropsichiatria
527 ABA: l’analisi comportamentale applicata S. Carucci Un approccio che non riguarda solo i bambini autistici. Continua l’alfabetizzazione dei pediatri su pratiche “evidence-based”.
Osservatorio
529 Cartoline dalla scienza
a cura del Science Centre Immaginario Scientifico Elastosonografia.
530 Cartoline dal mondo: le voci dei bambini
a cura di Giorgio Tamburlini Cosa pensano i bambini dei loro genitori? E come li vorrebbero?
531 Casi indimenticabili Tinea corporis: una diagnosi non sempre facile; una lattante di 15 mesi poco reattiva e i pneumococchi cattivi; alla scoperta del “NAPA”.
533 Pagine elettroniche La malattia infiammatoria pelvica è sempre più frequente anche in età adolescenziale. Quando pensarci, come trattarla: da un caso clinico alla revisione della letteratura.
539 Domande e risposte a cura di Giorgio Longo Diagnostica dell’allergia alimentare; lussazione dell’anca, eterometria degli arti inferiori; vaccino antipertosse e anafilassi.
540 Dermo mail a cura di Irene Berti Tinea capitis; kerion.
541 Bianca BLOB a cura di Paola Rodari Non dimentichiamo.
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Casi contributivi • Asplenia congenita (V. Migliarino, R. Lapenna, A. Comici, M.P. Miani, S. Naviglio, E. Barbi) Pediatria per l’ospedale • Ecografia con mezzo di contrasto in ambito pediatrico: uno sguardo al futuro (L. Basso, A. Di Mascio, G. Di Leo) Il punto su... • La malattia infiammatoria pelvica (S. Tagliani, S. Ventresca, L. Mambelli, A. Cuppari, S. Missiroli, F. Marchetti) Casi indimenticabili • Ereditieri sfortunati: il rene policistico (G.C. Calligari) • Streptococcus anginosus (A. Cicogna) I poster degli specializzandi • Addome acuto: un caso di Schönlein-Henoch (G. D’Onofrio, M. Minute, S. Martelossi) • Broncopolmonite e ulcere genitali da Mycoplasma pneumoniae: unico comune denominatore? (D. Gioè, J. Iacopelli) • Identificazione precoce di infezioni severe in età pediatrica: ruolo della cenestesi e del gut feeling (G. Fusaro) Chirurgia per il pediatra • Il trattamento endoscopico delle cisti pilonidali (EPSiT) in età pediatrica (P. Repetto, P.L. Ceccarelli) Striscia... la notizia a cura di M.V. Abate
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Editoriali
Editoriali
COLLEFERRO Quando questo numero di Medico e Bambino arriverà nelle vostre case, l’eco di quanto accaduto a Colleferro, dove un gruppo di giovani ha aggredito un altro gruppo, provocando la morte di Willy, intervenuto a difesa di un suo amico, si sarà forse spento. Il caso, certo non isolato nelle sue caratteristiche più generali, ha acquisito un sapore del tutto specifico, e comprensibilmente un’attenzione particolare da parte di media, commentatori ed esperti, per alcuni suoi aspetti: il fatto che la vittima fosse del tutto indifesa per corporatura e natura; il fatto che gli aggressori fossero già ben noti per atti di violenza sistematica, perpetrata anche a fini criminali (estorsioni, punizioni); il fatto che gli aggressori fossero cultori di arti marziali, quindi consapevoli del loro potenziale offensivo; il fatto che abbiano manifestato, immediatamente dopo l’aggressione mortale, sentimenti di indifferenza e derisione e di presunzione di impunibilità. Un tempo, la stessa asimmetria dei corpi e dei visi, nell’esilità o nella muscolarità, nei sorrisi o nei ghigni che è stata trasmessa dai media avrebbe creato unanimità di posizioni. Ora, si è materializzata una minoranza che parteggia per Golia, esercita una sorta di autarchia narcisistica specchiandosi nei simboli del male, compresi i propri selfie minacciosi. Non si tratta, quindi, della “solita” rissa finita male. C’è qualcosa di più, purtroppo non nuovo, né nella storia recente né tanto meno in così frequenti manifestazioni, verbali e non, simboliche e concrete. C’è la fascinazione del male e il suo divenire banalità, la violenza fisica come espressione di sé, la prevaricazione sull’altro fino alla sua distruzione. Ci sono i simboli storici di tutto questo, quali quelli del nazismo. C’è la tolleranza di fronte a manifestazioni ripetute, a volte preannunciate, di violenza sopraffattrice. E c’è, non dimentichiamolo, un contesto globale dove violenza e sopraffazione diventano sempre più frequenti, e trascendono da tempo gli abituali confini della criminalità organizzata o degli anfratti sotterranei del web, per albergare ormai stabilmente laddove sembravano venire progressivamente scacciati, cioè nei corpi governativi chiamati a garantire la pubblica e individuale sicurezza e che al contrario diventano gli esecutori coperti, ma sempre più spesso pubblici, di sopraffazioni di Stato a sfondo politico e a volte razziale o omofobo. Grandi democrazie ne sono ormai afflitte, a partire dalle loro massime espressioni e Autorità. È un cambiamento climatico terrificante, non meno di quello che sta portando lentamente (ma non troppo) il pianeta alla quinta estinzione di massa, quella che riguarderà l’uomo. Che comincia a riguardarci, sempre più da vicino. Che trova sponda e spazio nell’indifferenza di molti e nella mancata condanna, quando non nella vicinanza, di esponenti e parti politiche. E, badate: per quanto ci riguarda, se non come cittadini come operatori che si occupano di bambini, non è questo il punto. Il punto, e l’origine di tutto, sono i vuoti culturali, l’analfabetismo emotivo, la delega genitoriale unita al giustificazionismo quando non all’aggressione verso l’Autorità che, nel momento, tenta di far rispettare la Legge, per lo meno la regola del rispetto. Che sia l’insegnante, o a volte e sempre più spesso, il medico, o ancora e più tradizionalmente l’operatore sociale, che rischia di più per i contesti in cui opera.
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In questa “origine” ci siamo anche noi, o almeno dovremmo esserci. In più occasioni, ormai da molto tempo, abbiamo richiamato la necessità di offrire ai genitori opportunità di crescere in quanto tali, di acquisire competenze, conoscenze, abilità pratiche per fornire una guida ai bambini che poi crescono e a volte diventano mostri sotto i nostri occhi. Diceva un operatore di un servizio sociale, a proposito di uno di questi ragazzi: “ormai si considerano esaurite le possibilità di intervenire”. Disfatta. Non di quel singolo operatore o del suo servizio, ma di una Politica che di queste cose non si sa occupare. “Esaurite le possibilità di intervenire”. C’erano, però, queste possibilità: lungo la lunga catena di attenzioni e affetti presenti o assenti, piccoli gesti affettuosi o evitanti, parole di incoraggiamento o svalutazione, spazi e tempi concessi o negati, routine che danno riferimenti o contesti caotici, incontri che aprono al desiderio di fare e di essere o di distruggere, che hanno fatto la vita di questo ragazzo e di molti altri, aprendo la strada a quanto di peggio c’è in ognuno di noi e chiudendo tutte le altre. C’erano. E se tutta la catena porta all’ineluttabile, i singoli anelli non lo sono, e possono anche far prendere altri percorsi. In ciascuno di questi anelli ci può essere la parola, il gesto o la relazione che fa cambiare direzione. Individuale, meglio se organizzata in interventi e programmi, e in politiche che li indirizzano e li sostengono. Quando si dice New Generation Recovery Fund non si dovrebbe intendere anche questo, se non soprattutto questo? Una recovery può forse essere economica se prima non è sociale e culturale? Digitalizzazione, infrastrutture, sostenibilità ambientale, formazione del capitale umano. Di questi quattro assi di investimento l’ultimo pare proprio la base su cui costruire gli altri. Dall’inizio. Come scriveva Emmi Pikler, pediatra e poi pedagogista, la pace nel mondo inizia dal cambio di pannolino. Giorgio Tamburlini IL CONFORMISMO NON BASATO SULL’EVIDENZA: LEZIONI DALLO “OPIOID OVERFLOW” Tradotto letteralmente stiamo parlando dello “straripamento degli oppioidi”, ovvero del fenomeno per cui negli Stati Uniti le morti per overdose da oppioidi nella fascia di età tra i 15 e i 24 anni hanno superato la somma delle morti da tumori, malattie congenite e cardiopatie, arrivando a 8,6 per 100.000/ anno. L’argomento è controverso ma, in base alla letteratura disponibile, una quota di dipendenze da oppioidi è stata generata anche dalle prescrizioni, incluse quelle dei Pronto Soccorso (PS), per il trattamento di dolore acuto e cronico. Questo fenomeno era stato ingaggiato da una presa d’atto, e da una letteratura conseguente, importante e reiterata negli anni ’90, del mancato riconoscimento e trattamento del dolore pediatrico, e delle rilevanti conseguenze di breve e lungo termine che questo può avere sullo sviluppo dell’individuo. In sostanza, si è partiti da una lettura corretta di un fenomeno importante, ovvero: “non riconosciamo e trattiamo adeguatamente il dolore del bambino” e si è arrivati a una certa disinvoltura prescrittiva.
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Editoriali
Editoriali
Di fatto, pur in assenza di una letteratura che dimostrasse in qualsiasi modo la superiorità degli oppiodi rispetto ai FANS in contesti definiti, e parliamo nello specifico del dolore da trauma e frattura, è stato “sdoganato” il principio, riportato anche in molti protocolli, che ogni dolore “maggiore di 8“ su una scala di analogo numerico o visivo meritava un trattamento con oppioide. Questo ha generato negli USA un aumento delle prescrizioni di oppioidi in PS pediatrico, dal 2001 al 2010, del 30% circa. Evidenze epidemiologiche mostrano come la prescrizione di oppioidi sia più comune nei ragazzi che accedono a dipartimenti di Emergenza dell’adulto (la maggioranza negli USA e in tutto il mondo) piuttosto che in PS pediatrici dedicati. Ma questo cambia poco la sostanza delle cose. Nell’ultimo congresso in America in cui mi sono trovato, nel settembre 2019, mi veniva raccontata da alcuni colleghi locali come pratica di routine la prescrizione di ossicodone per il dolore da frattura, non solo in acuto all’arrivo in PS, ma anche a casa per alcuni giorni dopo. Adesso assistiamo al fenomeno inverso, dopo anni di letteratura critica del fatto che non davamo abbastanza oppioidi arriva una mole di letteratura sul fatto che forse ne abbiamo dati troppi. Questa è una storia in qualche modo “classica” nella letteratura pediatrica, ci sono le mode culturali, ingaggiate da evidenze limitate o anche assenti, che diventano una vera e propria moda, a cui segue un riflusso di evidenze di miglior qualità o di nuova consapevolezza di ricercatori o degli stessi maestri di cui sopra. Così progredisce, e tanto, per fortuna, la Medicina. Volendo sorriderci sopra, i più vecchi di noi non faranno fatica a ricordare quando ogni dermatite era un’allergia al latte da mettere in dieta, ogni arching un reflusso gastroesofageo da avviare all’inibitore di pompa, ogni infezione febbrile delle vie urinarie rischiava di finire in una scintigrafia con DMSA (acido meso2,3-dimercaptosuccinico) in acuto e a distanza, cistografia minzionale e profilassi pluriennale per reflussi anche lievi. Queste lezioni però servono e fanno crescere la nostra cultura. Cosa è successo nello specifico dell’opioid overflow? In primis si è mutuato un atteggiamento assolutamente ragionevole nel post-chirurgico e nei dolori maggiori (ad esempio in Oncologia), per cui ogni dolore “maggiore di 8” sancisce la necessità di oppioide in chi non risponde a paracetamolo e FANS, e lo si è traslato tout court al PS e al dolore acuto, nello specifico da trauma e frattura. Ma c’era almeno una evidenza di letteratura su cui basare questa scelta? Sorprendentemente la risposta è assolutamente no. Nessun lavoro ha mai dimostrato la superiorità degli oppioidi sui FANS nel dolore da trauma da frattura ossea, anzi, è l’opposto. Tutti i trial clinici randomizzati e controllati disponibili dicono univocamente che i due trattamenti sono equivalenti come efficacia, ma sempre con più effetti collaterali per gli oppioidi.
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In secondo ordine, c’è qualche lavoro in letteratura che dica che una misurazione del dolore di 8 corrisponde sempre a un dolore vero e importante? Ancora assolutamente no, è ben noto che valutare è diverso da misurare. Se valuto, considero anche anamnesi, elementi obiettivi ed emotivi e contesto. La misurazione è solo uno degli elementi del giudizio clinico e di valutazione globale su un bambino o adolescente con dolore. Resta sempre vero che l’unico giudice del dolore è chi lo prova. Solo io potrò dire quanto male ho, ma “dare un numero” non definisce sempre e automaticamente una realtà clinica, basti pensare a un malingering o a un dolore somatomorfo, né può trasformarsi incondizionatamente in una scelta terapeutica. La dimensione di un numero come solo elemento su cui prendere una decisione è lontana anni luce dalla complessità del fenomeno dolore, letto in termini globali di nocicezione, che interagisce con una componente peggiorativa di sofferenza emotiva, ansia, paura, elaborazione di vissuti di esperienze precedenti, ma anche con una componente di difesa data da livello di comprensione, capacità di razionalizzazione, resilienza, possibilità di azione, di trovare distrazione e senso di appartenenza. In sostanza, negli USA, un misto di conformismo e aderenza cieca a protocolli non basati sull’evidenza, aggiunti a una semplificazione estrema di un processo valutativo, ha generato un male maggiore del bene che si voleva ottenere. Come adattiamo questa cosa alla nostra realtà? Dobbiamo concludere che non dovremmo più usare oppioidi? La risposta è categoricamente no, il bambino con dolore adeguatamente valutato, post-operatorio, oncologico o di qualsiasi altra natura, che non risponde ai trattamenti di primo e secondo livello ha il diritto assoluto a un trattamento con oppioide, e sarebbe un abominio non trattarlo. Il fentanil endonasale in PS resta uno strumento prezioso per i pazienti con dolore severo, non altrimenti controllato, con profilo di efficacia e sicurezza strepitoso, e rischio di dipendenza assolutamente negligibile. Questo non è nulla di paragonabile a una prescrizione protratta per giorni di un farmaco a domicilio, tipo ossicodone, in un dolore, come quello di una frattura non scomposta, che dopo 48 ore è praticamente risolto in FANS e immobilizzazione da gesso. La morale di questa storia è sempre la stessa. Le linee guida sono spesso basate su evidenze parziali o insufficienti e nessun protocollo dovrebbe sostituire il nostro raziocinio e la nostra capacità di lettura della realtà di quello specifico paziente. Guai a non lavorare sulla base dell’evidenza scientifica e a non tenere conto delle raccomandazioni. Ma guai anche a nascondersi acriticamente e ottusamente dietro alle linee guida, ai protocolli e a seguire acriticamente le mode mediche. Statene certi, tra qualche anno cambieranno, di regola sempre in meglio. Teniamoci un margine di disobbedienza ragionata. Egidio Barbi
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La pagina gialla a cura di Alessandro Ventura
Difendersi dal Covid: è la bambinità che fa la differenza. È ben documentato che l’infezione da Covid19 decorre in maniera significativamente più grave in soggetti adulti con comorbidità, in particolare in quelli affetti da tumore e sottoposti a chemioterapia e/o a terapia immunosoppressiva (Zhang I, et al. Ann Oncol 2020;31(7):894-901). Stando peraltro a quanto messo in luce da un incalzante succedersi di evidenze, tutto questo non sembra vero nel caso che ad essere malati di tumore siano i bambini. In uno studio promosso dalla AIEOP (Associazione Italiana di Oncoematologia Pediatrica) che ha coinvolto 29 bambini oncologici in trattamento chemioterapico/immunosoppressivo che avevano acquisito l’infezione da Covid-19 nel periodo compreso tra il 23 febbraio e il 24 aprile 2019, la maggioranza dei casi (62%) è rimasta asintomatica sul piano respiratorio fino alla fine del follow-up (24 maggio 2020) e nei rimanenti casi la malattia è stata di scarsa rilevanza clinica senza alcun decesso e senza che alcun bambino abbia necessitato di Terapia Intensiva. Tutti tranne due risultavano Covid-free alla fine del follow-up. In un terzo dei casi, inoltre, non è stato nemmeno necessario sospendere temporaneamente la chemioterapia. Dato interessante, e allo stesso tempo ancor più sorprendente, è che l’infezione sia evoluta benignamente nonostante che, in larga maggioranza, si trattasse di bambini con neutropenia e/o linfopenia severa (Bisogno G, et al. J Pediatric Infect Dis Soc 2020 Jul 11 [Epub ahead of print]). Un’esperienza sovrapponibile è stata parallelamente riportata negli USA (Boulad F, et al. JAMA Oncol 2020 May 13 [Epub ahead of print]). Si conferma quindi che è l’essere bambini, la bambinità appunto (più ancora dell’efficienza della risposta immune, anzi...) è il fattore più forte di protezione dalla malattia che ad oggi conosciamo. È dunque soprattutto tenendo conto di questo che andrebbero organizzate e modulate le misure per il rientro a scuola. In coscienza e anche scienza… Autismo: (molta) più genetica che ambiente. Dell’autismo noi pediatri abbiamo imparato molto negli ultimi anni: del suo ampio spettro clini-
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co, del suo aumento di incidenza, che varia tra l’1% e il 2%, dell’importanza di diagnosticarlo presto per permettere un intervento efficace e soprattutto di come intercettare i casi tempestivamente. Di certo abbiamo anche imparato che l’autismo rappresenta la via finale di diversi tipi di alterazioni genetico-molecolari, neuroanatomiche e funzionali che si instaurano prima della nascita (Courchesne E, et al. Mol Psychiatry 2019; 24(1):88-107), ma nonostante ciò molti sono ancora presi dal dubbio che a causare l’aumento di incidenza della malattia sia stato l’intervento di fattori ambientali, magari proprio le vaccinazioni… Uno studio svedese su due coorti di gemelli nati tra il 1982 e il 2008 (in totale 37.958 coppie di gemelli, 21.457 omozigoti e 16.285 dizigoti), suddivisi per anno di nascita, ha dimostrato che il peso dei fattori genetici è praticamente assoluto e non si è modificato nel tempo con l’aumento di frequenza della malattia: la concordanza nei gemelli omozigoti rimane superiore al 90% in tutte le coorti di nati dal 1982 al 2008, mentre quella nei fratelli dizigoti (geneticamente più discordanti di quelli omozigoti ma esposti, vivendo nella stessa famiglia, agli stessi fattori ambientali) rimane comunque, senza modificarsi nel tempo, sempre inferiore al 20% (Taylor MJ, et al. JAMA Psychiatry 2020;77 (9):936-43). Alle stesse conclusioni era giunta, già nel 2016, anche una metanalisi di tutti gli studi di coorte su gemelli pubblicati fino ad allora. “Ma… vengono anche ai bambini?!?”. Le malattie infiammatorie croniche intestinali (MICI) erano ritenute rarissime (e praticamente sconosciute) nell’età pediatrica tanto da suscitare il dubbio circa la loro esistenza in questo periodo della vita. Di recente, tuttavia, sono stati pubblicati (Olén O, et al. Lancet 2020;395(10218):123-31) i risultati di un vasto studio di coorte, condotto in Danimarca e Svezia tra il 1969 e il 2017, che ha utilizzato quei Registri di malattia che spesso invidiamo ai Paesi del Nord Europa, dove sembra che basti premere un bottone per sapere tutto di tutti! Lo studio, principalmente focalizzato sull’epidemiologia del cancro colon-rettale (CRC) nei pazienti con
rettocolite ulcerosa (CU), ha coinvolto oltre 96.000 soggetti con CU, di cui circa il 6% con meno di 18 anni alla diagnosi. Tra i pazienti con CU sono stati osservati 1336 casi di CRC (1,29 per 1000 persone/anno, con un rischio aumentato di 1,66 volte rispetto ai “controlli”); tra i fattori che si associano a una maggior probabilità di CRC si trovano la colite estesa, la colangite sclerosante, la famigliarità di I° grado per CRC, ma soprattutto l’esordio della CU in età pediatrica (il rischio di CRC aumenta di 37 volte). Questo studio si aggiunge a un altro pubblicato pochi mesi prima (Malham M, et al. Aliment Pharmacol Ther 2019;50(1) :33-9) condotto con una metodologia simile in Danimarca e in Finlandia, questa volta specificatamente destinato alla sola età pediatrica. Nel corso di un follow-up di 24 anni (1992-2014, mediana = 9,6 anni) si identificano 6689 casi di MICI, esorditi a un’età mediana di 14 anni, 72 dei quali sviluppano un CRC a un’età mediana di 25 anni, e 65 muoiono (con un tasso di incidenza standardizzato 2-3 volte superiore alla popolazione generale, rispettivamente per malattia di Crohn e CU). Abbastanza sorprendentemente, dopo il CRC, la seconda causa di morte è rappresentata dal suicidio (quasi quattro volte più frequente rispetto alla popolazione generale, peraltro senza che ne venga data una particolare spiegazione). In conclusione: “Sì… le MICI vengono anche ai bambini”, e le osservazioni scaturite da questi e altri simili lavori suggeriscono che la MICI pediatrica rappresenti un fenotipo particolare, associato ad esempio a un decorso più aggressivo, che deve essere riconosciuto come un vero e proprio disease modifier (a cura di Massimo Fontana). Test salivari per intercettare il Covid-19. Uno studio pubblicato sul N Engl J Med che ha coinvolto 70 soggetti con diagnosi accertata di infezione da Covid-19 e 495 soggetti asintomatici ma a rischio di infezione (personale sanitario esposto) ha dimostrato che il test molecolare su saliva (anche quando eseguito su tampone salivare eseguito direttamente dall’interessato) è almeno altrettanto sensibile nel documentare la presenza del Covid-19 (e la sua
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La pagina gialla persistenza nel tempo) di quello da tampone naso-faringeo eseguito da operatore sanitario: con chiaro vantaggio sulla rapidità e facilità di esecuzione, sia per il paziente (che è molto meno tormentato dall’operazione) sia per l’operatore sanitario (che può risparmiarsi l’interazione con il paziente o sospetto tale) (Wyllie AL, et al. N Engl J Med 2020;383 (13):1283-6). Si tratta comunque di test che richiedono l’impegno di un laboratorio e di qualche ora per dare una risposta. E il passo avanti sarebbe dato dalla disponibilità di test rapidi (point-of-care, sul modello dei test di gravidanza) che, oltre a poter essere eseguiti su saliva e senza i tempi dovuti alla necessità di estrarre l’RNA virale, fossero di sensibilità sufficientemente elevata. In questo senso merita, tra le altre, la segnalazione di un test di recente messa a punto con una sensibilità di quasi l’80% (Fukumoto T, et al. Int J Infect Dis 2020;98:16-7). Certo, l’utilizzo di questi test sarebbe di grande aiuto per gestire meglio la riapertura delle scuole. Anche se appare chiaro che un punto irrinunciabile a questo fine non è tanto e soltanto l’avere a disposizione test facili da eseguire, ma è anche lo sfoltimento della lista dei sintomi su cui gli insegnanti devono porre il sospetto di infezione (rinorrea, tosse…). E soprattutto una diversa e più coraggiosa affermazione della dignità e del ruolo professionale del pediatra: cui solo dovrebbe spettare, avendo valutato la storia, il contesto clinico e il bambino stesso, la decisione sull’opportunità di eseguire il tampone, in particolare nei casi in cui non ci sia la febbre. Scialorrea nel bambino con paralisi cerebrale: sapere e saper fare. La scialorrea rappresenta un problema (spesso sottovalutato) che spesso si aggiunge ai tanti che già tormentano il bambino con paralisi cerebrale infantile, peggiorandone la qualità di vita, di interazione sociale e, quando il bambino è in grado di avere coscienza del problema, anche l’autostima: per la macerazione della pelle periorale che comporta, per la facilità di infezioni in questa sede, per le difficoltà di deglutizione e di linguaggio che aggiunge a quelle già esistenti, per il cattivo odore e per l’aspetto poco
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gradevole che la scialorrea stessa dà al bambino. Una metanalisi su quindici studi (tre riguardanti l’approccio non farmacologico-comportamentale, cinque riguardanti diversi farmaci anticolinergici, sei riguardanti l’iniezione di tossina botulinica nella ghiandola salivare, uno riguardante la chiusura chirurgica dei dotti salivari), pur rilevando l’inadeguatezza numerica e metodologica degli stessi rispetto alla rilevanza del problema, conclude che è sempre (sempre) opportuno un primo approccio conservativo di tipo comportamentale almeno nei bambini il cui controllo della testa e quoziente intellettivo lo permetta, seguito dall’uso attento di un anticolinergico come il glicopirrolato - quello con maggior efficacia e minori effetti collaterali -, senza rinunciare poi alle più efficaci ma più invasive iniezioni semestrali di tossina botulinica, che a oggi rappresentano l’intervento più efficace. Non va invece presa in considerazione l’opzione chirurgica per i suoi maggior effetti collaterali (in particolare il rischio di infezione respiratoria) (Khajuria S, et al. Arch Dis Child 2020;105(9):906-10). Da sapere e da ricordare: cominciando… con l’accorgersi del problema e con il voler bene a questi bambini come a tutti gli altri. Terapia dell’ADHD: punto della situazione sul N Engl J Med. Una documentata messa a punto sul N Engl J Med richiama l’attenzione dei pediatri e dei neuropsichiatri (NPI), ma anche di tutta la società, sulle evidenze scientifiche che riguardano l’ADHD e sulla sua terapia. L’evidenza più clamorosa che il lavoro mette in luce è il significativo divario tra la prevalenza dei casi trattati nei vari Paesi europei (mediamente inferiore all’1%, ma in molti casi sotto lo 0,5 come la Francia e l’Italia, che nemmeno è citata e dove c’è al momento la maggior vigilanza sulle diagnosi e i trattamenti), in quelli asiatici (attorno all’1% in Cina e Taiwan) e in quelli nordamericani (quasi il 2% in Canada, 5% negli USA dove si registra la quota più alta di trattamenti) e la prevalenza mediamente attesa della condizione nella popolazione generale comprensiva di bambini e adulti (intorno al 7%). Tutto questo acca-
de nonostante la mole di evidenze che dimostrano come l’ADHD sia una condizione fonte di sofferenza e frustrazione destinata ad avere esiti pesanti per chi ne è affetto e come possa e debba essere riconosciuta e trattata presto proprio per evitarne le devastanti conseguenze nel tempo: insuccesso e abbandono scolastico, insuccesso sociale, dipendenze da droghe, comportamenti antisociali, suicidio. Per i farmaci di prima scelta (che con ampio supporto di letteratura qualificata rimangono il metilfenidato e l’atomoxetina nel bambino e le anfetamine nell’adulto) disponiamo tra l’altro di qualche dimostrazione visiva del meccanismo di azione neurofarmacologico offerta dalla RM funzionale: attivazione della corteccia pre-frontale e insula (dove ha sede il centralino di controllo dell’attenzione) e, più in generale, pronta disattivazione del cosiddetto Default Mode Network - quella rete neuronale che governa il nostro essere sovrapensiero e decontestualizzati - al momento dell’assegnazione di un compito. Il lavoro ci mette a disposizione anche quanto indicato dalle linee guida esistenti in diversi Paesi europei (come Regno Unito e Germania) e nordamericani, che sono sostanzialmente concordi su quattro punti: la necessità di un approccio specialistico; l’opportunità di un intervento precoce già dai quattro anni (evitando di pensare e di dire: “tanto cresce” e iniziando dal training educazionale di genitori e insegnanti, ma sapendo passare tempestivamente ai farmaci nei casi che non rispondono o in quelli più gravi); la scelta del metilfenidato come farmaco di primo intervento nel caso si decida di iniziare la terapia farmacologica in un bambino, ponendo peraltro attenzione alle possibili comorbidità che ne sconsiglierebbero l’utilizzo (disordine della condotta, disturbo oppositivo-provocatorio); l’attenzione a non perdere l’adolescente e di ricorrere, nel caso di terapie farmacologiche a lungo termine, alle cosiddette “vacanze terapeutiche” (utilizzo al bisogno) (Cortese S. N Engl J Med 2020;383(11):1050-6). Parlatene con il vostro NPI di riferimento: potrebbe essere un’occasione di crescita e miglioramento della necessaria interazione.
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Lettere
Lettere Le lettere sono sempre gradite, e vengono sempre pubblicate. Si prega solo una ragionevole concisione, cercando di non superare le 3000 battute. Qualche taglio editoriale e qualche intervento di editing che non alteri il senso della lettera saranno, a volte, inevitabili.
IL GRAFFIO
Il pediatra, il NPI e… Leopardi
Vi raccomando di leggere e, al caso, di rileggere le operette morali di Leopardi. In particolare il dialogo di un Islandese con la Natura: causa di tutti i mali che lo affliggono e al contempo cinicamente disinteressata alla sofferenza, come anche alla felicità, di ogni sua creatura. A torto o ragione, la lettura di questo imperdibile pezzo della letteratura italiana mi ha riportato a pensare al dialogo che ho orecchiato di recente tra un pediatra e un neuropsichiatra amici di tutti voi*. Diceva il pediatra, come di consueto un po’ esagitato e un po’ presuntuoso nel volersi mostrare preparato sull’argomento: «Vi siete accorti anche voi NPI o no dell’epidemia di casi psichiatrici tra bambini e adolescenti che nei fatti tocca a noi pediatri affrontare in prima battuta nei nostri ambulatori e nei nostri Pronto Soccorso (PS)? Almeno il 10% dei bambini che vediamo in ambulatorio sono affetti da un disturbo mentale (esplicito o mascherato da altro tipo di sintomo) e le acuzie NPI sono diventate il primo motivo di accesso degli adolescenti al PS dopo i traumi. Per molti di noi pediatri tutto questo è causa di tormento e frustrazione, nella consapevolezza della nostra inadeguatezza e al contempo dell’urgenza di cambiare i modi, gli scopi e il ritmo del nostro lavoro. Abbiamo bisogno del vostro aiuto ma non avvertiamo che la consapevolezza di questa urgenza sia condivisa con voi». A quel punto il neuropsichiatra ha fatto una smorfia (sembrava soffrire anche lui e questo mi ha subito lasciato ben sperare…). «Noi NPI siamo ben consapevoli (ne siamo travolti…) dell’esplosione del problema della salute mentale in età evolutiva. Si tratta di una sollecitazione imperdibile a mettere insieme saperi ed esperienze per trovare soluzioni condivise. A fronte di questa consapevolezza, perché le cose vadano a sistema nel modo più vantaggioso, sembra peraltro opportuno, per il pediatra come per il NPI, il richiamo a esercitare la pazienza: proprio nel senso leopardiano della parola, di attivo apprendimento di un modo paziente di affrontare la realtà (“... la pazienza è la più eroica delle virtù, proprio perché non ha nulla di eroico”. G. Leopardi, Zibaldone)». «Qualcosa da dire - ha ripreso il pediatra - avremmo anche sull’autismo che noi pediatri abbiamo ora imparato a intercettare tempestivamente come voi stessi ci avete raccomandato e insegnato a fare. Ma che, una volta diagnosticato, resta spesso “sospeso nell’aria” alla ricerca di una cura e finisce ancora, purtroppo nella larga maggioranza dei casi, preda delle reti assistenziali private». «Mi sembra urgente e irrinunciabile che tutte le Regioni operino sinergicamente per raggiungere livelli condivisi di diagnostica e di presa incarico terapeutica perché vengano applicati e garantiti economicamente in ogni modo i livelli minimi di assistenza (LEA). Ma altrettanto urgente risulta, per tutti noi, anche una riflessione sui modi di comunicare e di agire la diagnosi (su cosa cioè viene lasciato per sempre in
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quella famiglia con l’atto di diagnosi) e sulla responsabilizzazione terapeutica che oggi imponiamo alla famiglia stessa (su cosa cioè viene lasciato per sempre a quella famiglia trasferendole così chiaramente l’atto di cura)». «E che dire dell’ADHD? - incalza ancora il pediatra, sempre un po’ antipatico - Nonostante i Centri di riferimento regionale autorizzati alla diagnosi e cura lavorino molto bene, l’ADHD rimane in Italia un problema largamente sottostimato, sia per quel che riguarda il numero di casi diagnosticati e trattati sia per quel che riguarda la dovuta consapevolezza (medica e sociale) della sofferenza del bambino e della gravità delle ripercussioni a lungo termine che questa condizione comporta se non adeguatamente trattata. Cosa state facendo voi NPI in questo senso, al di là del lavoro che svolgete nelle vostre strutture?» «L’ADH - ribatte il NPI- rappresenta la vera sfida di tutta la NPI moderna. Sfida che impone di tener conto degli elementi genetici e biologici della malattia e al contempo del contesto ambientale che ne modula l’espressione (oggi improntato dall’iperattività piuttosto che dalla pazienza…). Sfida che impone quindi di agire ogni terapia consapevoli che nel tempo le determinanti biologiche e ambientali si modificano, sapendo utilizzare (o al caso sospendendo) i farmaci, come ogni altra forma di terapia, al momento giusto nel corso dello sviluppo. Affrontando, certo, in ogni occasione ci venga data, quel conformismo-perbenismo medico e quell’ignoranza sociale che ancora moraleggiano sulla terapia farmacologica così come su altre forme di psicoterapia di documentata efficacia, umiliando così la sofferenza delle vittime». «Si dice che siamo ora davanti a una grande occasione ha ripreso il pediatra per concludere - quella di riformare il Sistema Sanitario e con questo le cure e l’assistenza all’età evolutiva. Ci pensiamo insieme?». «Sì, certo. Ma prima c’è bisogno tra di noi di un patto di assunzione di responsabilità. C’è bisogno, senza condizioni, di un atto di vera e propria paternità. Di un patto che si carichi dell’onere di identificare e perseguire un bene comune in età evolutiva, sfuggendo alla tentazione del paternalismo: di cui troppo spesso si abusa e che, intriso spesso di un interessamento tanto ostentato quanto strumentale, si adopra a elencare i problemi ma mai a farsene carico». Alla fine, a me che origliavo, è sembrato che il NPI avesse la stessa voglia di far bene (e di farlo insieme) che motiva tanti di noi. E che anche lui, forse, abbia bisogno di sentire da noi la stessa reale disponibilità personale, lo stesso sapersi mettere nei panni degli altri, la stessa tempestività nel cambiare ritmo, che noi continuamente gli chiediamo. Mi piace sperare, a questo punto, che anche lui desideri proseguire e approfondire questo dialogo. E sono sicuro che, assieme a tanti altri neuropsichiatri, lo farà. Con pazienza, certo… Alessandro Ventura *Giornate Pediatriche Perugine 2020 (dialogo tra A. Albizzati e A. Ventura)
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Lettere UN NUOVO LIBRO BIANCO PER L’ASSISTENZA PEDIATRICA?
I pediatri delle Cure primarie: compiti e funzioni Siamo un gruppo di pediatri di famiglia (PdF) che lavora da parecchi anni nell’ambito delle Cure primarie in regime di convenzione. Pensiamo sia utile far sentire la nostra voce in merito al nostro lavoro, in considerazione del fatto che molte voci istituzionali/associative/accademiche negli anni hanno espresso nei confronti della Pediatria convenzionata pareri su come dovremmo lavorare o appelli a collaborare a progetti; alcune volte i giudizi espressi nei nostri confronti non sono sempre stati benevoli, spesso alla base degli stessi vi era/è il pregiudizio che la nostra categoria lavorasse/lavori meno degli ospedalieri e venisse/venga pagata di più. Il Libro Bianco per l’assistenza pediatrica 20201 realizzato dalla FIARPED (Federazione Italiana delle Associazioni e Società Scientifiche dell’Area Pediatrica) presentato nel 2019 ha messo in evidenza quanto sia importante assicurare al neonato, al bambino e al ragazzo un’adeguata e qualificata assistenza pediatrica. Nell’Editoriale di gennaio della rivista Medico e Bambino 2 il prof. Marchetti, riportando e commentando i dati raccolti nel Libro Bianco, sostiene la necessità che la Pediatria italiana unita si faccia carico delle due criticità emergenti, ovvero la carenza dei pediatri e la risposta ai bisogni assistenziali di fasce di popolazione fragile che non possono più attendere (in particolare bambini e adolescenti con problemi neuropsichiatrici). L’appello è che i pediatri decidano, propongano, escano dalla logica dell’appartenenza separata tra i singoli ruoli professionali (PdF versus ospedalieri). Un ulteriore appello all’azione, pubblicato a risposta dell’editoriale di Marchetti, è quello della dott.ssa Brunelli3 che ha sollecitato nel passato in più occasioni i pediatri tutti a farsi carico della riorganizzazione dell’intero sistema di salute e cura di bambini e adolescenti, con responsabilità e professionalità, prima che altre motivazioni operino tagli seguendo altri criteri. Nella sua lettera la Brunelli suggerisce la valorizzazione del ruolo infermieristico per l’attività di prevenzione e promozione della salute oltre che del self-help o per trattamenti di breve durata ambulatoriali. Ridisegna una Pediatria di comunità che necessita per forza di cose del parere dei pediatri, che in quella comunità devono poi lavorarci, con le problematiche di complessità logistica e organizzativa che ne
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conseguono. L’esempio citato dell’autonomia dell’infermiera nell’ambulatorio vaccinale della Pediatria di comunità di Cesena pone in evidenza come l’organizzazione permetta quel ritmo di vaccinazioni (un solo medico sovraintende fino a 4 linee vaccinali contemporanee), ma il modello può non essere replicabile in tutte le realtà italiane, non con una Pediatria che fa fatica a pensarsi comunità. La Brunelli ritiene che tutti i professionisti, territoriali e ospedalieri, che si occupano di genitorialità ed età evolutiva (pediatri, neuropsichiatri, ostetrici, ginecologi) debbano stare in uno stesso contesto programmatico e organizzativo, che non può che essere lo stesso dipartimento. Marchetti in risposta alla lettera sottolinea come il pediatra delle Cure primarie ha reso la Pediatria italiana unica nella sua qualità e, negli anni, nelle sue potenzialità e prospettive, sollecita una visione di insieme che vada oltre lo spazio “angusto” governato dalla buona volontà del singolo pediatra e che l’immobilità non sia più accettabile3. È proprio partendo da queste riflessioni che abbiamo pensato come PdF di farci sentire e di proporre la nostra visione e partiamo proprio dal tema vaccinazioni. 1. Le vaccinazioni sono state oggetto negli anni dell’attenzione della parte pubblica nei confronti della convenzione pediatrica, alcuni pediatri hanno deciso di assumersi il carico dell’intero ciclo vaccinale, alcuni solo nella stagione autunnale per quanto riguarda l’antinfluenzale, altri hanno deciso di non farlo. E come un mantra annualmente ai Tavoli sindacali si propone la prospettiva di affidare ai pediatri il compito delle vaccinazioni, in questo momento si sta pensando in alcune realtà regionali di proporre il carico della vaccinazione antinfluenzale stagione 2020-21 ai PdF. Un recente sondaggio effettuato per gli iscritti lombardi della SIMPeF (uno dei principali sindacati della pediatria convenzionata) sulla disponibilità a vaccinare nel proprio ambulatorio ha evidenziato che il 42,9% era favorevole a vaccinare nel proprio studio, mentre il 41,4% era favorevole a praticare la vaccinazione in una struttura pubblica, il 15,7% non era favorevole (il totale dei votati era pari al 57,9% degli iscritti); il 17% dei colleghi ha poi risposto che l’adesione era vincolata all’uso del proprio studio a fronte invece di un 27,6% che considerava vincolante per l’adesione
alla campagna vaccinale l’uso della struttura pubblica. Nei colleghi disponibili a entrambe le possibilità circa i 2/3 ha indicato come preferenziale l’utilizzo dello studio rispetto alla struttura pubblica. Emerge chiara la difficoltà del farsi carico di questa progettualità e la divisione che si evidenzia con percentuali risicate mostra che un 41,4% di colleghi preferisce effettuarla in appoggio alla struttura pubblica (che garantisce organizzazione e logistica); pensiamo sia utile che il sindacato SIMPeF lombardo rifletta sulle percentuali emerse dal sondaggio e consideri che la maggioranza si differenzia dalla minoranza di 1,5% avendo poi partecipato al sondaggio il 57,9% degli iscritti4. Inoltre vorremmo sottolineare sull’argomento delle vaccinazioni in generale in termini di gestione delle risorse, che se in un distretto territoriale c’è un servizio di Sanità Pubblica (SP) che funziona e viene garantita un’ampia copertura vaccinale, ci si deve interrogare se sia utile smantellare il Servizio di Igiene a favore del pediatra di famiglia di turno, pare a noi, un controsenso in termini di allocazione delle risorse. Dobbiamo saper gestire la realtà del territorio, non entrare in competizione per togliere lavoro ad altri che lo stanno facendo bene. Se la copertura non è garantita sarà possibile intervenire affiancando il servizio di SP e dovrebbe essere compito del distretto Cure primarie verificare il tutto e definire i piani di intervento. 2. Il documento Nurturing Care Framework (NCF) recentemente tradotto a cura del Centro per la Salute del Bambino5 evidenzia come i servizi e gli operatori sanitari abbiano la responsabilità di creare un ambiente di supporto prima della nascita, alla nascita e nei primi mesi dopo la nascita. Debbano fornire informazioni e consigli ai genitori e supportare le famiglie, particolarmente quelle con bambini che hanno incontrato delle difficoltà nel periodo perinatale. Il PdF in particolare, pensiamo possa intervenire sulle diverse componenti del Nurturing Care (le cure che nutrono il corpo e la mente)6 con progettualità che sono a sostegno della famiglia e del bambino. Queste progettualità possono voler dire pensare al nostro lavoro in modo diverso rispetto a quello che facciamo ora e possono trovare ostacoli nell’ambito della Pediatria di famiglia
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stessa, ma pare a noi necessario e utile un cambio di paradigma che possa rendere il nostro lavoro qualitativamente utile e realizzare quella ricerca sul campo, già iniziata e documentata in letteratura, che solo la presenza capillare sul territorio del PdF e il legame di fiducia che il pediatra e la famiglia del bambino instaurano, possono garantire7. Abbiamo risposto come pediatri convenzionati alla patologia acuta con il self-help, ma non basta in termini appunto di prevenzione, o di presa in carico della cronicità (patologia/disabilità). In questo come categoria non siamo stati all’altezza del compito, lo è stato certamente, il singolo pediatra di buona volontà che è riuscito a costruire una rete di operatori in grado di realizzare la presa in carico o le azioni di prevenzione. La prevenzione necessita di mettersi in gioco con altre competenze non solo di tipo medico, ma con figure professionali quali quelle di psicologici, infermieri, nutrizionisti, fisioterapisti, terapisti occupazionali; costruire e far rete è un processo faticoso e spesso frustrante, boicottato talora dagli stessi pediatri o dalle realtà apicali che siano esse ATS o che siano rimaste ASL o USSL. Lo stesso discorso vale per la cronicità, nella quale è importante cogliere l’aspetto della presa in carico del paziente e del raccordo con la realtà dello specialista ospedaliero. Si può realizzare con la buona volontà di entrambe le parti, e necessita di una capacità di ascolto e un’umiltà d’animo che nell’ambito della Medicina è dote ormai rara. Gli ostacoli ci sono e sarebbe assurdo negarlo, ma pensiamo si possano superare realizzando, partendo proprio dalle contrattazioni sindacali della nostra categoria, progetti di lungo termine e di ampio respiro che contribuiscono alla collettività e al suo benessere partendo dai primi giorni di vita, che consentano la reale, efficace presa in carico delle persone che vivono in quel territorio, pensiamo lo si debba fare coinvolgendo tutte le figure professionali che ruotano intorno al bambino e ai suoi bisogni. Ci sono già esempi di progetti di prevenzione primaria (promozione dell’allattamento al seno, promozione di uno stile di vita sano, compresa la presa in carico del sovrappeso e dell’obesità, protezione e sicurezza, Nati per Leggere, Nati per la Musica) che sono stati realizzati e sperimentati in diverse realtà e che possono essere modelli da adattare e replicare in altri contesti; questi progetti nascono proprio da bisogni espressi e inespressi dei genitori dei bambini che curiamo8-11. Crediamo che costruire una rete funzionante tra ospedale e territorio debba partire proprio dal reciproco riconoscimento delle diverse professionalità in gioco e che progetti che non rispondano all’e-
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sigenza del momento, ma sappiamo pensare alle future generazioni anche in termini di protezione dell’ambiente in cui queste generazioni vivranno, siano parte integrante del lavoro del pediatra di famiglia e delle figure professionali sanitarie delle cure primarie.
Bibliografia 1. FIARPED. Libro Bianco dell’assistenza pediatrica. Dicembre 2019. 2. Marchetti F. Il Libro Bianco per l’assistenza pediatrica del 2020. Medico e Bambino 2020;39 (1):6-7. 3. Brunelli A, Marchetti F. Assistenza pediatrica 2020: quali prospettive? Medico e Bambino 2020;39(2):81-2. 4. Periodico SIMPeF numero 35, maggio 2020 https://simpef-nazionale.it/. 5. Centro per la Salute del Bambino. https:// www.youtube.com/watch?v=ojz1ektxQlw. 6. https://www.promozionesalute.regione.lombardia.it/wps/portal/site/promozione-salute/ dettagliopubblicazione/temi/ciclo-di-vita/nurturing-care. 7. Reali L, Lo Giudice M, Cazzato T, Bianchini C, Picca M. La ricerca nelle cure primarie pediatriche: i contributi italiani nella letteratura internazionale. Prospettive in Pediatria 2017;47 (185):18-32. 8. Conti Nibali S. Il sostegno dell’allattamento al seno nell’ambulatorio del pediatra di base. Quaderni acp 2002;9(3):10-2. 9. Briscioli V, Bellesi MS, Benaglio I, et al. Affrontare l’obesita nell’ambulatorio del pediatra di famiglia. Quaderni acp 2017;2:63-7. 10. Associazione Culturale Pediatri. Nati per Leggere. 28 Apr 2013. https://acp.it/it/2013/ 04/nati-leggere. 11. Spataro A (a cura di). Nati per la Musica. Quaderni acp 2014;21(6):264.
Vincenza Briscioli Pisogne (Brescia), ATS Montagna Ettore Tomagra Darfo Boario Terme (Brescia), ATS Montagna Angela Ferliga ATS Brescia Ornella Moretti Brescia Angela Maria Mele ATS Brescia Chiara Ravelli Gardone Valtrompia, ATS Brescia Marina Lusardi Desenzano del Garda (Brescia) Bruna Amedea Gelpi Bovezzo, ATS Brescia Emanuela Bresciani Montichiari, ATS Brescia Giuseppina Pennetta Lograto, ATS Brescia Patrizia Bardelli Milano, ATS Città Metropolitana Milano Asi Hakam Cesano Boscone (Milano), ATS Città Metropolitana Milano
Patrizia Lo Russo Milano, ATS Città Metropolitana Milano Michela Baiocchi Gardone Valtrompia, ATS Brescia Nicoletta Bucci Milano, ATS Città Metropolitana Milano Cristina Paterlini Concesio, ATS Brescia Carla Matiotti Provaglio d’Iseo, ATS Brescia e-mail: v.briscioli@gmail.com
Coronavirus e bambini: la dimensione socio-sanitaria Si è scritto, si scrive e si scriverà molto su bambini-adolescenti e coronavirus. Se la dimensione strettamente sanitaria è stata una novità, la dimensione socio-sanitaria e territoriale ha solo evidenziato e rimarcato problemi antecedenti alla prolungata chiusura delle scuole, spesso non sufficientemente valutati. Sapevamo e ora sappiamo ancor di più della povertà educativa, della povertà economica e delle disuguaglianze, che si alimentano a vicenda. È una condizione in cui un bambino o un adolescente si trova privato del diritto dell’apprendimento in senso lato, dalle opportunità culturali ed educative al diritto al gioco (non ho da mangiare adeguatamente, non ho un computer, non ho un luogo adatto a fare i compiti, non ho genitori disponibili). Rivediamo e rileggiamo il Manifesto “Riscriviamo il futuro” di Save the Children (che ho sottoscritto) e il Protocollo di intesa tra Ministero della Salute, Società Italiana di Pediatria (SIP) e Save the Children. “[…] non esiste più una dimensione strettamente sanitaria del nostro lavoro (ndr “pediatra”), ma socio-sanitaria e territoriale, caso per caso, che ci deve vedere da subito protagonisti con ragionevolezza e con impegno concreto”. (Marchetti F, Guiducci C. Covid-19 e bambini: le due facce di una diversa medaglia. Medico e Bambino 2020;39 (4):219-21, molto ben scritto). È difficile dare un senso concreto, tradurre nella pratica e nella operatività questo giusto invito-consiglio-suggerimento. Partiamo dall’ambulatorio e dall’incontro con il bambino e i genitori, che avviene poco dopo la nascita e proseguirà al bisogno e con i bilanci di salute. C’è sufficiente “ascolto”? Si interroga e si fa emergere il contesto socio-sanitario e territoriale (dove, con chi e come vive)? Se sì, cosa possiamo fare? Esistono percorsi, linee guida che ci indirizzino a seconda del problema a servizi o strutture che se ne facciano carico? E se sì, riusciamo poi a mantenere i contatti? Gli psicologi e i pedagoghi entrano nelle scuole, i pediatri “no” (ricordate il “medico scolastico”, che
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io, ora vecchio, se pur ospedaliero a tempo pieno ho fatto per anni in orario di lavoro, e se non si conosce e non se ne ha esperienza, non si può esprimere giudizi) e quante volte vengono contattati e messi al corrente della situazione? Chi fa educazione sanitaria (come, quando e dove)? Ci dovrebbe essere una responsabilità collettiva di tutte le componenti interessate. Ognuno deve fare la sua parte, ma poi ci deve essere un coro che si fa dirigere dalle necessità del bambino. C’è molto da fare con grande impegno soprattutto delle prime linee: Sanità (pediatra), Scuola (insegnanti), Famiglia (genitori). Ci deve essere una assunzione di responsabilità collettiva, un interesse comune, una finalità comune, una priorità per il Governo, il Parlamento, le Regioni e gli Enti locali, chiamati ad affrontare una sfida storica, spinti ora dalla necessità e dal considerare finalmente il concetto di salute definita dall’OMS, non più semplice assenza di malattia, ma “stato di completo benessere fisico, psichico e sociale”. Sicuramente non essendoci stato un prima, chiaro e organizzato, né un durante, non ci sarà neanche un dopo, perché con le riaperture, doverose, delle scuole, ci saranno delle difficoltà e non sarà facile affrontarle e risolverle ma è fatto obbligo darsi da fare e raccogliere le sfide per il bene dei bambini, considerato come un diritto e cercare di far seguire alle chiacchiere i fatti. Antonio Sabino Pediatra, San Vito al Tagliamento (Pordenone) e-mail: dott.antonio.sabino@gmail.com
Sanità pubblica e privata in tempo di Covid-19 In corso di pandemia da Covid-19 abbiamo assistito a tanti drammi umani. Tutto ciò si è verificato, secondo me, oltre che per la notevole aggressività del virus, anche per le difformità dell’operare, per la scarsa efficacia della Medicina del territorio, a volte lasciata sola e con pochi mezzi, e soprattutto per la mancanza di una visione di insieme, per la mancanza di una strategia che soprattutto la Medicina del territorio può dare. Pertanto bisogna riorganizzare la Medicina di famiglia, del territorio, con servizi capaci di fare da filtro nei confronti di queste ondate epidemiche; bisogna non perdere di vista la clinica, il rapporto di fiducia con il paziente, e promuovere vari aggiornamenti su patologie nuove o che tornano. Non praticare solo Medicina del singolo, con iper-specializzazione in strutture di lusso, ma dividere le risorse tra i vari campi della Medicina: territorio e
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ospedale e bisogna elevare la proposta qualitativa, anche al Sud, spingendo a gemellaggi sanitari, perché ci sia un arricchimento di conoscenza per gli operatori più svantaggiati. Affiancare Sanità pubblica e privata. È importante riconoscere al medico un ruolo chiave oltre che professionale, quale soggetto che può migliorare la proposta di salute per tutti i cittadini. Salute vuol dire benessere psico-fisico con percorsi appropriati alla persona. Prevenzione in senso lato vuol dire investimenti per un domani con meno patologie e minor spesa puntando sulla ricerca. Bisogna ridisegnare l’architettura delle città, delle abitazioni, dei quartieri, valutare e rimodulare la mobilità urbana ed extraurbana. L’obiettivo è la salute, come capacità di dare risposte di qualità a ogni cittadino da Trento a Trapani. Gaspare Salerno Pediatra, Segretario Provinciale CIPE Trapani Confederazione Italiana Pediatri e-mail: salernogaspare@alice.it
La pandemia da Covid-19 e gli insegnamenti per il futuro Mi riferisco all’editoriale del direttore, Federico Marchetti, pubblicato a settembre1, e al lavoro dei pediatri di famiglia della provincia di Bergamo sul modo in cui è stata affrontata la fase critica della pandemia da Covid-192. In generale si dice che in un dato contesto un evento stressogeno è utile perché offre nuove opportunità di riflessione sulle relazioni tra i soggetti di quel contesto e li induce a promuovere cambiamenti che poi si rivelano utili anche quando l’evento stressogeno viene meno. Credo che Covid, lockdown e lavoro dei pediatri vadano in questa direzione. Senza peraltro escludere che lo scenario lì descritto possa completamente cambiare con la riapertura delle scuole e la temuta diffusione di maggior contagio tra bambini e adolescenti, con problemi di diagnosi e cura delle malattie febbrili invernali che metterà a dura prova tutti. In ogni caso alcuni dati provenienti da quelle riflessioni rimarranno secondo me validi. Ne voglio qui sottolineare alcuni di ricaduta molto pratica. I bambini in generale possono stare mediamente più lontani dagli ambulatori e dagli ospedali di quello che comunemente si crede e molti problemi si possono risolvere anche per telefono o con l’intervento di un infermiere pediatrico. Ricordo che storicamente questo è un obiettivo che abbiamo sempre avuto: dal libro sulla deospedalizzazione di Panizon di molti anni fa ai numerosi articoli di
Ventura sulla comunicazione telefonica anch’essi di tempo fa, ma di straordinaria attualità. Ricordo anche i numerosi articoli di Baronciani tesi a rivedere al ribasso e con spirito critico i bilanci di salute sempre più numerosi e ripetuti. Il Covid avrebbe poi dimostrato la necessità di fare maggior rete tra pediatra di famiglia, pediatra ospedaliero e medico di famiglia. Sottolineo come questa rete sarebbe sempre e comunque necessaria anche per tutte le altre misure e cure mediche che ruotano intorno a una famiglia e a una comunità. A Cesena conosciamo bene il beneficio che deriva al bambini da uno stretto rapporto costruito sul territorio tra i pediatri di famiglia e la Pediatria ospedaliera. Meno bene a Cesena come altrove conosciamo i benefici che deriverebbero ai bambini da una maggior conoscenza della famiglia che discendesse da uno scambio costante di informazione con il medico di famiglia, che cura genitori e magari nonni e zii. Come non conosciamo i benefici che bambini e famiglie potrebbero trarre dalla disponibilità a “breve” di un infermiere pediatrico in ambulatorio o in comunità scolastica e non. Infine due parole sulla “relazione” pediatra-famiglia, tema di cui in Neuropsichiatria Infantile mi sono molto occupato insieme ai pediatri di famiglia. Qui i problemi sono più complessi con e senza Covid. Mediamente i pediatri non ricevono nessuna formazione sulla costruzione di una relazione “efficace” nel loro corso di studi3. In questo campo molto si è cercato di fare, ma con ricadute molto parziali. Mediamente chiedono di essere formati i pediatri che già hanno una naturale predisposizione a costruire relazioni “buone”. Come ci insegna la teoria della comunicazione, per costruire una relazione efficace sono importanti e la comunicazione verbale e quella non verbale (secondo Minuchin, ad esempio, il messaggio non verbale contiene più “verità” di quello verbale). Tuttavia il tono della voce al telefono è un “non verbale” e l’espressione del volto in video è un “non verbale” come dal vivo. Più problematica per la relazione la comunicazione social o via e-mail. Questa infatti, come sappiamo, predispone di più agli equivoci e al mancato controllo, perché non ha i freni “inibitori” e del non verbale simultaneo e del ritmo alternato della conversazione. Detto questo, permettetemi di concludere con una citazione dal mio libro Conversazione sulla famiglia con Leon Battista Alberti, che nel ’400 in tempi di pestilenze e carestie ha scritto I libri sulla famiglia. Nel mio libro egli, concludendo una conversazione immaginaria sulla famiglia con alcuni Autori moderni, dice: “La globaliz-
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zazione, le migrazioni di popoli, di cui voi parlate come gran novità, son cominciate con noi fiorentini. Ciò che della vostra epoca tuttavia mi stupisce è come si possa comunicare, commerciare e costruire insieme leggendo parole e immagini su di un monitor, senza guardare la persona negli occhi, percorrere lo spazio intorno a lei e dove vive, stringerle la mano e sentirne il sudore o il calore della pelle, avvertirne il profumo o il tanfo e l’energia positiva o negativa che dal suo corpo sprigiona. Chiusi nella bara di un computer, simulacri di morte ancor prima di morire”.
Bibliografia 1. Marchetti F. SARS-CoV-2 e Pediatria: riorganizzare le modalità di lavoro e la comunicazione, ma come? Medico e Bambino 2020;39(7):414-5. 2. Bonicelli I, Carrozzo R, Bacchini M, et al. SARS-CoV-2 e Pediatria territoriale: Armageddon o stimolo per riorganizzare il nostro modo di lavorare? Medico e Bambino Pagine Elettroniche 2020;23(7):174-9. 3. Ventura A, Marchetti F. Appunti di Neuropsichiatra. Medico e Bambino 2020;39(3):143.
Francesco Ciotti Neuropsichiatra infantile, Cesena e-mail: francescociotti1949@gmail.com
Queste quattro lettere, scritte così bene nelle motivazioni da cui nascono e nelle osservazioni e proposte che ci riportano, di per sé sarebbero sufficienti per definire le basi culturali per un Nuovo Libro Bianco per l’assistenza pediatrica. Un Libro Bianco che non affronti l’assistenza per settori specifici di competenza (le singole Specialistiche, le singole Subspecialità) ma per bisogni trasversali che sappiano parlare di una rete assistenziale in grado di dare adeguate risposte“per problemi di salute”. Superando finalmente le scelte “individuali”, per esempio sulla possibilità di aderire o meno a programmi vaccinali di un determinato ambito territoriale. Il problema a mio avviso non è quello di ridiscutere dei progetti in merito a nuovi ruoli e funzioni del PdF basandosi su contrattazioni sindacali, ma su una prospettiva di largo respiro che definisca e per bene le carenze esistenti (che la pandemia ha reso più evidenti) e le risposte da mettere in campo. Non è più tempo per una dimensione separata del nostro mestiere (vedi il Graffio del numero di settembre). Tutto potrebbe essere diverso se si lavorasse per obiettivi da raggiungere (in più parti delle lettere riportati) da parte di “gruppi” di professionisti che si ritrovano sulle progettualità, senza muri di appartenenza. Gruppi di professionisti tra cui anche infermieri, educatori, psicologi, as-
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sistenti sociali dell’area pediatrica. Non possiamo più immaginare persone che lavorano per dare delle risposte spesso estemporanee (e non condivise) a quello che incontrano per strada, ma auspicabilmente per obiettivi preventivi e di cura che siano, se possibile, anticipatori dei bisogni. E forse, in questo modo, anche la dimensione della disabilità potrebbe avere una progettualità di lavoro che vada oltre un’assistenza fatta di presidi, di sussidi o di cura di singoli aspetti parcellari. E forse si potrebbe dare finalmente contenuto (non volontario ma di sistema) nel creare un ambiente efficiente e qualificato di supporto prima della nascita, alla nascita, e nei primi mesi dopo la nascita (le cure che nutrono il corpo e la mente), come richiamato dai colleghi di Brescia e Milano. Il problema non è finanziario (si parla solo di quello in questi giorni), il problema non è (solo) quello della carenza di personale. Il problema è quello di stravolgere profondamente un’appartenenza a ruoli e funzioni che in questo momento sono spesso “di parte” con il rischio che lo diventino sempre di più, ognuno chiuso nel suo guscio, a difendersi “dai contagi”. I programmi che stiamo prevedendo non possono essere quelli di singoli gruppi (sindacali o di Società scientifiche) ma di una intera collettività (delle diverse figure che si occupano di infanzia e adolescenza) che andrebbe guidata con una visione non piramidale ma di rete partecipativa che sia anche decisionale. Un ultimo richiamo (presente in tutte le lettere) è quello al ruolo sociale del nostro mestiere e all’attenzione alle disparità assistenziali tra poveri e ricchi, tra ambiti territoriali. Non si superano facendo appello alla Medicina privata ma alle competenze professionali e organizzative del sistema. La Medicina democratica che parte da Maccacaro assume di questi tempi un profondo significato comunitario. Il termine comunità ha due significati prevalenti. Il primo, di tipo descrittivo, indica un qualsiasi insieme di persone legate da uno o più fattori (lingua, territorio, religione, professione, economia, politica). Il secondo è legato alla critica romantica della società moderna, e indica una forma di vita collettiva caratterizzata da un profondo sentimento di appartenenza, fiducia e dedizione reciproca. Il secondo significato è quello a cui dare una vera valenza, riempiendola di contenuti che rispondano ai diversi bisogni di salute inevasi e alle diseguaglianze. In tempo di Covid le comunità si sono orientate verso la cura reciproca. La cura dei pazienti sembra essere diventata più attenta e gentile. Non perdiamo questa occasione. Federico Marchetti
Vaccinazioni e ruolo del personale infermieristico In merito alla lettera dei pediatri di Brescia e Milano riguardo l’argomento delle vaccinazioni, credo vadano distinti tre aspetti che compongono questo tema: 1. L’atto vaccinale: rappresenta un intervento tecnico sul singolo, che diverse figure professionali (anche non pediatriche) possono attuare con qualità, compreso il counselling che lo accompagna, e che può quindi essere affidato alle diverse categorie a seconda dell’organizzazione locale; 2. La strategia vaccinale: è una azione di salute per la collettività, che prevede una programmazione a cascata dal Ministero alle Regioni alle singole Aziende sanitarie, che presuppone la scelta di Calendari vaccinali, di prodotti farmaceutici, e di tanto altro, e non può che essere in carico alle istituzioni pubbliche; 3. L’attività vaccinale: è la gestione degli ambulatori vaccinali, che prevede sistemi di chiamate attive e recupero dei missing, la gestione degli inadempienti, la gestione del rischio, la registrazione e la valutazione delle attività. È nel corso della attività vaccinale che, dove operative, le infermieri pediatrici di comunità hanno la possibilità di conoscere la propria popolazione di riferimento, di monitorarne lo stato di salute, la comparsa di segnali di allarme, e possono intervenire programmando azioni di educazione alla salute e di supporto. Al di là delle situazioni a rischio già note o segnalate con dimissioni protette, infatti, gli infermieri incontrano fino a 7 volte tutti i nuovi nati nel primo anno di vita e le loro famiglie, nel corso dei quali hanno la possibilità di valutare l’andamento del nucleo famigliare; li rivedono ai 5 anni, agli 11, ai 13; li incontrano nelle scuole o in altre occasioni di formazione; hanno la possibilità di raccordarsi con il pediatra di famiglia per situazioni difficili, di effettuare visite domiciliari, fare riferimento e sollecitare le risorse locali: Centri per le famiglie, servizi sociali, educativi, associazioni di volontariato. Il coinvolgimento degli infermieri di comunità nella attività vaccinale rappresenta, quindi, un formidabile strumento di incontro e di conoscenza della propria popolazione pediatrica, che permette di mettere in rete le risorse disponibili nella comunità. Antonella Brunelli Pediatra di Comunità, UO di Pediatria e Consultori Familiari, Cesena AUSL della Romagna e-mail: antonella.brunelli@auslromagna.it
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Protocolli medici per la riapertura delle scuole Il famigerato rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità Covid-19 n. 58/2020 ha gettato nel panico la maggior parte dei pediatri italiani. Recita: in caso di febbre > 37,5 °C: • I genitori devono contattare il pediatra di famiglia/medico di Medicina generale (PdF/MMG) per la valutazione clinica (triage telefonico) del caso. • Il PdF/MMG, in caso di “sospetto Covid-19”, richiede tempestivamente il test diagnostico e lo comunica al Dipartimento di Prevenzione. In pratica si attiva il percorso Covid! Tutto si gioca sulle parole “sospetto Covid”. Una gran parte dei Colleghi, data l’assenza di tratti distintivi del Covid, per cui tutto è “sospetto”, e per timore di conseguenze legali lo ha interpretato così: ogni volta che sono consultato per affezione febbrile, prescrivo tampone, non faccio certificato di rientro se non c’è tampone negativo, non faccio accedere allo studio se non ha fatto il tampone negativo! Questo azzera i rischi ma ci trasforma in telefonisti, e manda in tilt Sanità, famiglie e scuole (che si vuotano dopo un mese)! Tutto questo zelo è logico, quando poi non si fanno rispettare le regole di distanziamento in tanti luoghi pubblici o semplicemente per strada? Non sarebbe meglio applicare regole meno restrittive ma da per tutto! Ed è logico poi farlo in una popolazione che a marzo di quest’anno dava su 44.000 casi Covid confermati solo lo 0,9% come bimbi sotto i 10 anni, per la maggior parte asintomatici, ai quali il tampone era stato fatto solo perché conviventi stretti di casi Covid? Su 366 casi pediatrici di ricovero per polmoniti in periodo Covid, l’undici e mezzo per cento erano da virus influenzali, a fronte soltanto dell’uno e mezzo da Covid! Questo significa che, applicando il protocollo in modo estensivo su tutte le febbri invernali, troveremmo massimo lo 0,5% di positivi oligosintomatici e magari scarsamente infettivi, ma avremo fatto riprecipitare in un lockdown virtuale tutto il Paese! Ne vale la pena? Basterebbe sostituire le parole “sospetto Covid” con quelle più praticabili di “nel caso non si individui una causa diversa”. Inoltre, visto che comunque per malesseri inferiori ai tre giorni non occorre certificato, direi di aspettare almeno questo lasso di tempo perché il quadro si definisca, prima di far partire il tampone! Che il protocollo, così come è strutturato, rischi di bloccare tutto per “eccesso di tamponi” è un rischio del quale anche alcuni Distretti si stanno rendendo conto, visto che hanno inviato una circolare esemplificativa di
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quella ISS del 21-8-2020 nella quale dice che “… i PdF sono tenuti a prescrivere il tampone solo nei casi di sospetto Covid19, e non in ogni affezione delle vie respiratorie, basandosi su una serie di elementi clinici ed epidemiologici. Le certificazioni di riammissione a scuola non potranno attestare in ogni caso l’avvenuta esecuzione del tampone….” Anche qui purtroppo resta il testo “sospetto Covid” quando non vengono specificati i segni e sintomi che potrebbero indirizzarci perché di fatto non individuabili! Personalmente mi comporterò, anche alla luce di questa circolare, così: • Primo contatto telefonico, triage anamnestico/sintomatico e attesa di tre giorni salvo sintomi suggestivi. Se dopo tre giorni non emergono elementi diagnostici e perdura la febbre, lo visito in ambiente protetto temporalmente/spazialmente, e con DPI adeguati. • Se riesco a fare diagnosi vs patologia diversa da Covid, prescrivo terapia e attendo esiti, se non faccio diagnosi, attivo percorso Covid. In questo modo scremo almeno il 60% di falsi Covid, faccio il mio mestiere, non blocco l’Italia. Dimenticavo, naturalmente aderisco alla Campagna vaccinale antinfluenzale e vaccinerò più pazientini possibili! Mi interessano pareri! Luca Giangrande Pediatra di famiglia, Albano Laziale (Roma) e-mail: luca.giangrande53@gmail.com
Il parere è che le cose stanno esattamente nei termini riportati dal dott. Giangrande. Non possono esistere protocolli validi e universali (inutilmente invocati!), ma il primo approccio al bambino febbrile deve cercare di contestualizzarlo rispetto ai sintomi (occupandosi del suo stato di salute al di là del Covid!), a quello che succede in famiglia (genitore sintomatico o meno) e al contesto epidemiologico locale (quanti casi di Covid si stanno verificando, quanti casi sono stati documentati in quella scuola). È inutile, davvero inutile, richiedere delle regole; è impensabile, davvero impensabile che il sistema potrà reggere un’ondata di tamponi per tutti i bambini con febbre o con qualche sintomo di infezione respiratoria. Ognuno sceglierà nei suoi comportamenti per il meglio, ma quella che andrà preservata è anche e soprattutto la salute del bambino, che merita di essere visto tempestivamente se ha un corteo sintomatologico che accompagna la sua febbre che lo espone a un rischio di infezione severa. Il famoso sistema a semaforo della febbre. E per fare tutto questo e al meglio delle poche conoscenze attuali disponibili (ma strada facendo arriveremo a capire) occorrerà applicazione, umiltà, uniformità di vedute territoriale, tanto sup-
porto da dare alle famiglie e al sistema scolastico. Uniti ed evitando inutili polemiche. Federico Marchetti
Ancora sulle controversie tra stipsi e intolleranza alle proteine del latte vaccino Gentile direttore, ho letto con particolare interesse la risposta alla lettera di Dino Faraguna sull’aggiornamento della stipsi1, da parte di Matteo Bramuzzo. Ho colto alcune inesattezze che ritengo utile chiarire per i lettori della rivista, perché il tema stipsi, e più in generale quello dei disturbi digestivi funzionali, si interseca di certo con quello dell’allergia alimentare e dell’attivazione immunologica, e non darne conto significa oscurare possibili importanti aspetti terapeutici e di ricerca. Innanzi tutto, contrariamente a quanto affermato da Bramuzzo, lo studio da noi pubblicato sul N Engl J Med nel 1998 era un trial randomizzato controllato (RCT) e non uno studio in aperto2. Analogamente, un altro studio3 che ha concluso per un positivo effetto terapeutico della dieta di eliminazione in pazienti con stipsi non responsiva ad altro trattamento è stato un RCT non in cieco, e comunque tanti altri studi seppur in aperto, ma condotti da gastroenterologi pediatri, hanno confermato i nostri dati sia clinici che laboratoristici3-7. Ovviamente il nostro studio non suggeriva la dieta di eliminazione in tutti i bimbi con stipsi, ma solo nei casi di mancata risposta a terapie “di prima linea” (implementazione della dieta con fibre, adeguato apporto idrico ecc.). Questa era infatti la popolazione di pazienti inserita in quello studio e questa rimane l’attuale utile indicazione. Sulla relazione fra disturbi funzionali del colon e allergia ci sarebbe da scrivere a lungo. È tema purtroppo spesso ignorato dalla letteratura e dalle conoscenze di molti colleghi e che sarebbe necessario approfondire. Mi limito a ricordare che, per definizione, parliamo di allergia alimentare laddove il meccanismo che la supporta è immunologico; la mancata evidenza di una reazione IgE-mediata (prick test o IgE specifiche negativi) non esclude assolutamente il coinvolgimento di processi immunologici. È, anzi, sempre più evidente dalla letteratura recente che, in soggetti adulti affetti da sindrome del colon irritabile, il contatto con antigeni alimentari è in grado di determinare un danno dell’epitelio duodenale, con alterazione delle tight junction, senza alcuna evidenza di reazione mediata da IgE e con l’evidenza, al contrario, che la dieta di eliminazione risolve la
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sintomatologia di questi pazienti (stipsi, o diarrea che essa sia)8. In questi pazienti viene oggi sottolineato un possibile ruolo patogenetico degli eosinofili, dato che nell’articolo di oltre 20 anni fa avevamo indicato come possibile marker 2. Ancora, il lavoro del Gruppo di Anna Maria Staiano9, citato per confutare la mancata relazione fra stipsi e allergia IgE-mediata, è contraddetto da altri studi in letteratura 5,10 (nel nostro lavoro la componente IgE-mediata era presente in 20 su 65 la maggior parte dei pazienti erano allergici del 2°, 3°, 4° tipo di Gell e Coombs e questi dati sono confermati da altri lavori4,7). Aggiungo che un recente studio epidemiologico molto ampio, che ha incluso oltre 3500 soggetti adulti, ha evidenziato che sia le malattie allergiche (asma ecc.) che le malattie autoimmuni sono fattori di rischio associati ai disturbi digestivi funzionali, sia IBS- che dispepsia-like. Questo suggerisce ulteriormente l’ipotesi che pathway periferici immunologici siano coinvolti nella patogenesi dei disturbi digestivi funzionali11. Concludo circa le linee guida internazionali. Non è vero che non si faccia cenno alle diete di eliminazione e all’ipotesi di un meccanismo allergico nella stipsi4. Ma più mi preme sottolineare come talvolta l’aderenza alle linee guida oscuri l’esperienza clinica e possa erroneamente diventare un ostacolo alla ricerca innovativa. Ricordo che nell’ottobre 1998, appena pubblicato il nostro lavoro sul N Engl J Med, si tenne il congresso nazionale della SIGENP (allora SIGEP) che includeva nel programma una tavola rotonda sulla stipsi. Nessuno fece cenno a questa nuova evidenza scientifica, non certo di poco conto per la rilevanza della rivista sulla quale era stata pubblicata. Né gli anni successivi, pur con le notevoli novità ed evidenze sul rapporto fra disturbi funzionali e flogosi allergica (e non), hanno indotto a focalizzare i nostri spunti clinici e di ricerca sul tema. Se questa breve nota potesse avere il ruolo di stimolare la ricerca nel settore non potrò che esserne lieto. Se indurrà qualche giovane collega a verificare, nel bimbo affidato alle Sue cure, il possibile ruolo dell’allergia alimentare nel trattamento della stipsi, ne sarò ancor più contento.
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Al mio amico Dino Faraguna un grazie per avermi chiamato in ballo. Al direttore di Medico e Bambino un grazie per la cortese ospitalità. Bibliografia 1. Bramuzzo M. Medico e Bambino 2019;38(8): 497-502. 2. Iacono G, Cavataio F, Montalto G, Florena A, Tumminello M. Intolerance of cow’s milk and chronic constipation in children. N Engl J Med 1998;339:1100-4. 3. Dehghani SM, Ahmadpour B, Haghighat M, Kashef S, Imanieh MH, Soleimani M. The role of cow’s milk allergy in pediatric chronic constipation: a randomized clinical trial. Iran J Pediatr 2012;22:468-74. 4. American Gastroenterological Association Medical Position Statement. Guidelines for the evaluation of food allergies. Gastroenterology 2001;120:1023-5. 5. Borrelli O, Barbara G, Di Nardo G, et al. Neuroimmune interaction and anorectal motility in children with food allergy-related chronic constipation. Am J Gastroenterol 2009;104:454- 63. 6. Irastorza I, Ibañez B, Delgado-Sanzonetti L, et al. Cow’s-milk-free diet as a therapeutic op-tion in childhood chronic constipation. J Pediatr Gastroenterol Nutr 2010;51:171-6. 7. Turunen S, Karttunen TJ, Kokkonen J. Lymphoid nodular hyperplasia and cow’s milk hy-persensitivity in children with chronic constipation. J Pediat 2004;145:606-11. 8. Fritscher-Ravens A, Pflaum T, Mösinger M, et al. Many patients with irritable bowel syn-drome have atypical food allergies not associated with immunoglobulin E. Gastroenterology 2019;157: 109-18. 9. Simeone D, Miele E, Boccia G, Marino A, Troncone R, Staiano A. Prevalence of atopy in children with chronic constipation. Arch Dis Child 2008;93:2044-7. 10. El-Hodhod MA, Younis NT, Zaitoun YA, Daoud SD. Cow’s milk allergy related pediatric constipation: appropriate time of milk tolerance. Pediatr Allergy Immunol 2010;21:e407-12. 11. Koloski N, Jones M, Walker MM, et al. Population based study: atopy and autoimmune dis-eases are associated with functional dyspepsia and irritable bowel syndrome, independent of psychological distress. Aliment Pharmacol Ther 2019;49:546-55.
Giuseppe Iacono Ex direttore UOC Pediatria-Gastroenterologia “G.Di Cristina”, ARNAS Palermo e-mail: stoai@inwind.it
Grazie per aver ulteriormente alimentato il dibattito sulla questione della relazione tra intolleranza alle proteine del latte vaccino (IPLV) e stipsi del bambino.
Nonostante i due RCT 1,2 citati siano formalmente più rigorosi degli studi in aperto, critiche sulla metodologia applicata nei due casi specifici sono state sollevate da voci autorevoli e mettono in dubbio la completa attendibilità dei risultati 3-5. Inoltre, come già avevo ribadito6, le linee guida ESPGHAN non escludono un tentativo con una dieta di eliminazione ma suggeriscono di riservare questo atto diagnostico/ terapeutico solo ai casi di stipsi refrattaria e priva di altre cause5. Soprattutto però, alla luce della realtà reale, viene da domandarsi quanto frequenti siano i casi di stipsi che non vengano facilmente e prontamente risolti dalla terapia con purgante osmotico a base di PEG, somministrata al giusto dosaggio e con le giuste modalità. Nella nostra esperienza (e di molti altri, ci risulta) pochi: anzi pochissimi, eccezionalmente rari. E quando li abbiamo incontrati la causa della stipsi è sempre stata... un’altra: una celiachia, ad esempio; o un ipotiroidismo o una ipervitaminosi D o un’aganglionosi non riconosciuta. Mai una IPLV.
Bibliografia 1. Iacono G, Cavataio F, Montalto G, et al. Intolerance of cow’s milk and chronic constipation in children. N Engl J Med 1998;339:1100-4. 2. Dehghani SM, Ahmadpour B, Haghighat M, et al. The role of cow’s milk allergy in pediatric chronic constipation: a randomized clinical trial. Iran J Pediatr 2012;22:468-74. 3. Eigenmann PA, Zamora SA, Belli DC. Cow’s milk and chronic constipation in children. N Engl J Med 1999;340:891. 4. Crowley E, Williams L, Roberts T, et al. Evidence for a role of cow’s milk consumption in chronic functional constipation in children: Systematic review of the literature from 1980 to 2006. Nutr Diet 2008;65;29-35. 5. Tabbers MM, DiLorenzo C, Berger MY, et al. Evaluation and treatment of functional constipationin infants and children: evidence-based recommendations from ESPGHAN and NASPGHAN. J Pediatr Gastroenterol Nutr 2014;58: 258-74. 6. Bramuzzo M. Stipsi e intolleranza alle proteine del latte vaccino? Medico e Bambino 2020; 39(1):11-2.
Matteo Bramuzzo Clinica Pediatrica, IRCCS Materno-Infantile “Burlo Garofolo”, Trieste
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GLI ARTICOLI DEVONO ESSERE CORREDATI DI :
1. Titolo in italiano e in inglese. 2. Nome per esteso, cognome e qualifica di tutti gli Autori (professione, Istituto di appartenenza). 3. Riassunto/Abstract in italiano e in inglese (al massimo 2000 battute, pari a 300 parole circa). Nelle ricerche e nelle revisioni, l’abstract va strutturato in: Razionale (o Background), Obiettivi, Materiali e Metodi, Risultati, Conclusioni. Per i casi clinici contributivi l’abstract deve avere 1000 battute al massimo (150 parole circa). 4. Parole chiave (da 3 a 5) in italiano e inglese. 5. Indirizzo e-mail per la corrispondenza. 6. Figure e Tabelle se opportune. Per le figure è necessaria la didascalia. Per le tabelle il titolo. Per entrambe il riferimento nel testo e, se opportuno, la fonte. Tutte le figure vanno inviate separate dal testo in formato digitale ad alta risoluzione. Immagini di qualità non idonea possono venir omesse, previa comunicazione all’Autore. Se fosse necessario pubblicare immagini riconoscibili del paziente, l’Autore deve richiedere il consenso informato alla pubblicazione al paziente o alla famiglia compilando l’apposito modulo. 7. Bibliografia: va redatta in ordine di citazione (non alfabetico), secondo numerazione araba (1,2, …). Il numero d’ordine di citazione va indicato in apice nel testo, senza ipertesto e senza parentesi. Gli Autori vanno citati tutti quando non superano il numero di 6. In caso contrario citare i primi 3, seguiti dall’abbreviazione et al. A seguire, nell’ordine, il titolo dell’articolo o del libro, il nome della rivista secondo le abbreviazioni internazionali, l’anno, il volume, la prima e l’ultima pagina del testo. Il font da utilizzare è Times, grandezza 12, interlinea 1,5. Gli articoli non rispondenti ai requisiti verranno restituiti agli Autori prima di essere valutati.
Quiz di autovalutazione La lettura di una Rivista medica è apprendimento attivo o passivo? Può essere l’uno o l’altro. PQRST è una ricetta per una lettura attiva. P STA PER PREVIEW (prelettura veloce, uno sguardo d’insieme al testo). Q STA PER QUESTION (cosa so già? cosa vorrei sapere?). R STA PER READ (lettura attenta). S STA PER STATE (bilancio delle conoscenze DOPO la lettura). T STA PER TEST (controllo, quiz). Vi proponiamo di testarvi con questi quiz PRIMA E DOPO. Se rispondete a 9 (70%), siete bravi; se rispondete a tutti, vuol dire che i quiz sono troppo facili, almeno per voi; se, a meno di 7 (50%), sono troppo difficili. Oppure dovete rimettere in discussione le vostre conoscenze. LINEE GUIDA - LA PRIMA INFEZIONE URINARIA FEBBRILE IN BAMBINI DI ETÀ COMPRESA TRA 2 MESI E 3 ANNI 1. La sensibilità e la specificità dell’esterasi leucocitaria per la diagnosi di infezione delle vie urinarie (IVU) allo stix urine è pari al: a) 79% sensibilità, 87% specificità; b) 49% sensibilità, 98% specificità; c) 91% sensibilità, 96% specificità. 2. La sensibilità e la specificità dei nitriti per la diagnosi di IVU allo stick urine è pari al: a) 79% sensibilità, 87% specificità; b) 49% sensibilità, 98% specificità; c) 88% sensibilità, 79% specificità. 3. In caso di sospetta IVU, l’ospedalizzazione è indicata: a) Sempre; b) In presenza di condizioni critiche (segni di sepsi, disidratazione, vomito); c) Se la compliance alla terapia non è affidabile; d) Se la febbre persiste dopo 3 giorni di trattamento antibiotico adeguato; e) Se la febbre persiste dopo 2 giorni di trattamento antibiotico adeguato; f) Se sono presenti le condizioni b), c) o d); g) Se sono presenti le condizioni b), c) o e). 4. In un bambino con IVU febbrile non complicata, la terapia antibiotica per via orale: a) È inferiore come efficacia a quella parenterale; b) È parimenti efficace; c) Deve essere iniziata solo dopo alcuni giorni di terapia antibiotica parenterale. 5. L’antibiotico per via orale indicato nelle linee guida come di prima scelta nel trattamento dell’IVU è: a) Nitrofurantoina; b) Ciprofloxacina; c) Amoxicillina + acido clavulanico; d) Ceftibuten/cefixime; e) Cotrimossazolo. 6. Nel caso in cui si renda necessario iniziare un trattamento antibiotico per via parenterale, la dose raccomandata per l’amoxicillina + acido clavulanico/sulbactam è pari a: a) 60 mg/kg/die in 3-4 dosi; b) 100 mg/ kg/die in 3-4 dosi; c) 200 mg/kg/die in 3-4 dosi. 7. La dose raccomandata di gentamicina è: a) 3-4 mg/kg/die in singola dose; b) 6-7,5 mg/kg/die in singola dose; c) 6-7,5 mg/ kg/die in 2-3 dosi; d) 10 mg/kg/die in 2-3 dosi.
8. La durata consigliata attualmente per il trattamento antibiotico di una IVU febbrile è di: a) 7 giorni, sia per uso orale che parenterale; b) 7 giorni se terapia parenterale, 10 giorni se orale; c) 10 giorni sia per uso orale che parenterale. 9. La profilassi antibiotica dopo il primo episodio di IVU febbrile è consigliata: a) In tutti i casi; b) Solo nelle femmine; c) Se si evidenzia una qualsiasi dilatazione calicopielica all’ecografia renale; d) Nei casi di reflusso vescico-ureterale (RVU) ≥ II grado; e) Nei casi di RVU di IV e V grado. 10. L’efficacia del succo di mirtillo per la prevenzione delle recidive di IVU è al momento: a) Dimostrata; b) Non dimostrata; c) Dubbia. 11. Dopo una prima IVU è consigliabile eseguire l’ecografia renale: a) Il prima possibile durante l’IVU febbrile; b) Durante l’IVU nei casi complicati (ad esempio febbre persistente dopo 3 giorni di terapia antibiotica appropriata, oliguria); c) 2-4 settimane dopo; d) Sia la risposta b) che c) sono corrette. 12. L’ecografia renale ha un alto valore predittivo per l’identificazione di tutti i casi che hanno un RVU Vero/Falso 13. Reperti ecografici anomali rappresentano un fattore di rischio per le cicatrici renali secondarie a IVU Vero/Falso 14. Dopo un primo episodio di IVU la cistografia o la cistoscintigrafia o la cistosonografia sono indicate: a) Sempre; b) In presenza di una dilatazione della pelvi anche senza segni ecografici aggiuntivi; c) Se l’ecografia mostra ipoplasia renale, ispessimento dell’ureterio della pelvi e dilatazione della pelvi e dei calici, dilatazione ureterale, anomalie vescicali; d) Quando è in causa un batterio diverso da Escherichia coli; e) Sia in presenza del quadro c) che d).
Tutti gli articoli pubblicati sono citabili e sono validi a tutti gli effetti come pubblicazioni. Redazione di Medico e Bambino Via Santa Caterina, 3 - 34122 Trieste Tel 040 3728911 - Fax 040 7606590 redazione@medicoebambino.com
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Risposte
LINEE GUIDA 1=a; 2=b; 3=f; 4=b; 5=c; 6=b; 7=b; 8=c; 9=e; 10=c; 11=d; 12=Falso; 13=Vero; 14=e.
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Linee guida
La prima infezione urinaria febbrile in bambini di età compresa tra 2 mesi e 3 anni Compendio delle raccomandazioni per la diagnosi, il trattamento e il follow-up GRUPPO DI LAVORO SULLE INFEZIONI DELLE VIE URINARIE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI NEFROLOGIA PEDIATRICA (SINePe)*
A distanza di circa 10 anni dalle precedenti, la SINePe riporta le nuove raccomandazioni sulla prima infezione urinaria nei bambini febbrili con età compresa tra 2 mesi e 3 anni. Un passo ulteriore verso l’essenzialità nella diagnosi, nella terapia e nel follow-up, con diverse novità. Si tratta ancora una volta di un punto di riferimento rigoroso nella metodologia seguita e ragionevole ed esauriente nelle indicazioni pratiche che sono fornite.
1. INTRODUZIONE
In questo articolo presentiamo le raccomandazioni aggiornate per la diagnosi, la terapia e il follow-up della prima infezione delle vie urinarie (IVU) febbrile nel bambino piccolo, approvate dalla Società Italiana di Nefrologia Pediatrica e dalla Società Italiana di Infettivologia Pediatrica. Le nostre precedenti raccomandazioni1 sono state riviste sulla base della recente letteratura e di una valutazione ad hoc dei fattori di rischio precedentemente proposti per guidare il clinico nell’identificazione dei bambini con reflusso vescico-ureterale (RVU) di grado elevato2. Per quanto riguarda i fattori di rischio, solo la presenza di un batterio diverso da Escherichia coli è risultata significativamente predittiva di RVU di grado elevato, sia nell’analisi univariata (odds ratio 2,52, IC 95%: 1,32-4,81, p < 0,005) che in quella multivariata (odds ratio 2,74, IC 95%: 1,39-5,41, p= 0,003). Gli altri tre fattori di rischio più frequenti, cioè anomalie nell’ecografia renale e vescicale, anomalie nell’ecografia prenatale, lattante di sesso maschile di età inferiore ai 6 mesi al momento dell’IVU, non erano né significativamente né indipenden-
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UPDATED ITALIAN RECOMMENDATIONS FOR THE DIAGNOSIS, TREATMENT AND FOLLOW-UP OF THE FIRST FEBRILE URINARY TRACT INFECTION IN CHILDREN AGED BETWEEN 2 MONTHS AND 3 YEARS (Medico e Bambino 2020;39:495-504)
Key words Febrile urinary tract infection, Children, Guidelines, Diagnosis, Treatment Summary The aim was to update the recommendations for the diagnosis, treatment and follow-up of the first febrile urinary tract infection in young children, which were first published in 2012 and endorsed by the Italian Society of Paediatric Nephrology. The Italian recommendations were revised on the basis of a review of the literature published from 2012 to October 2018. An ad hoc evaluation of the risk factors, which were published in the previous recommendations, was carried out to identify children with high-grade vesicoureteral reflux or renal scarring. When evidence was not available, the working group held extensive discussions during various meetings and through email exchanges. Four major modifications have been introduced. The method for collecting urine for culture and its interpretation has been re-evaluated. The algorithm that guides clinical decisions to proceed with voiding cystourethrography has been reformulated. The suggested antibiotics have been revised and further restrictions of the use of antibiotic prophylaxis have been recommended. These updated recommendations have now been endorsed by the Italian Society of Paediatric Nephrology and the Italian Society for Paediatric Infectivology. They can also be used to compare other available recommendations, as a worldwide consensus in this area is still lacking.
temente associati alla presenza di RVU di grado elevato2. Come nella versione precedente, queste raccomandazioni si riferiscono a bambini di età compresa tra 2 mesi e 3 anni con una prima IVU febbrile e temperatura corporea ≥ 38 °C. Abbiamo escluso i lattanti di età inferiore ai
2 mesi, a causa delle loro peculiarità e specifiche esigenze, e bambini di età superiore ai tre anni, per il minor rischio di anomalie nefro-urologiche e per la diversa presentazione clinica. Sono anche stati esclusi da queste raccomandazioni i bambini con deficit immunologici, quelli con precedenti ac-
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certamenti per malformazioni dei reni o delle vie urinarie e coloro che richiedono ricovero in Terapia Intensiva. Le raccomandazioni aggiornate seguono lo stesso schema di quelle precedenti, focalizzandosi su 4 aspetti: diagnosi, terapia, accertamenti strumentali, profilassi. Il grado di evidenza delle raccomandazioni a supporto di un particolare intervento è stato attribuito secondo i criteri SORT: forte (grado A), moderato (grado B), debole (grado C)3. Le raccomandazioni sono indirizzate a tutti i medici che si occupano di bambini con febbre, sul territorio e in ospedale, agli specialisti in Nefrologia pediatrica e dell’adulto e agli urologi. 2. DIAGNOSI 2.1. Quando sospettare una IVU
Una IVU dovrebbe essere sospettata in un bambino con febbre ≥ 38 °C4 senza apparente localizzazione (grado A)5. Nei bambini di età compresa tra 2 e 3 mesi la febbre può mancare e le manifestazioni cliniche possono essere rappresentate da letargia, irritabilità e vomito6. L’assenza di febbre nei primi 3 mesi di vita non indica necessariamente una condizione meno grave6 e, a quest’età, il rischio di complicanze, quali sepsi e meningite, è più alto7. Nei bambini più grandi, la pollachiuria, la disuria e l’incontinenza urinaria possono essere sintomi precoci, mentre dolore addominale e dolorabilità in regione lombare si possono associare alla febbre. La presenza di urina maleodorante non è né specifica né sufficientemente sensibile per aiutare nella diagnosi di IVU febbrile (grado B)8. Anche una scarsa crescita è stata riportata come possibile segno di IVU ma, secondo la nostra opinione una crescita insufficiente è più frequentemente associata a infezioni ricorrenti o ad altre condizioni, come la malattia renale cronica. 2.2. Cosa fare quando si sospetta una IVU
È necessario raccogliere un campione urine e analizzarlo con lo stick o al microscopio per identificare i bambini
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in cui una IVU è molto probabile9 e, se l’esame urine è alterato, eseguire un’urocoltura (UC) per ottenere una diagnosi di certezza (grado A)5. La presenza di leucocituria e batteriuria in un campione di urine fresco e/o la positività per esterasi leucocitaria (EL) allo stick suggerisce la diagnosi di IVU nel bambino sintomatico. L’urocoltura può confermare la diagnosi attraverso la crescita di un unico ceppo batterico5,10. L’interpretazione dello stick urine positivo per nitriti e negativo per leucociti non è semplice, in quanto l’infezione stimola nell’ospite una risposta infiammatoria, rappresentata nell’IVU dalla presenza di leucociti urinari. Pertanto la positività dell’UC in assenza di leu-
cocituria deve essere interpretata con cautela, in quanto risultato di batteriuria e non di infezione. Qualora la febbre persista raccomandiamo di ripetere lo stick per cogliere la comparsa di leucocituria. 2.3. Come raccogliere l’urina
Vedi Box 14,5,11-26.
2.4. Qual è il significato clinico dello stick, dell’esame microscopico e dell’urocoltura?
La sensibilità e la specificità dello stick e dell’esame microscopico dell’urina sono state ben riassunte in una metanalisi 9 e sono riportate in Tabella I. I risultati dell’EL allo stick
Box 1 - COME RACCOGLIERE L’URINA Sono disponibili quattro metodi: sacchetto, mitto intermedio, cateterismo vescicale, puntura sovrapubica. Tutti richiedono procedure standardizzate11-18. 1. Per stick ed esame urine ogni metodo è accettato (grado A)5,11,12,19-22. 2. Per urocoltura: le raccomandazioni della letteratura sono riassunte in Tabella: Metodo
Raccomandazione
Voci bibliografiche
Sacchetto
Non raccomandato
5,11,19,21
Mitto intermedio
Raccomandato nel territorio. Seconda scelta a livello ospedaliero (considerare metodi di stimolazione della minzione in lattanti di età < 6 mesi, o di peso < 10 kg)
11,14-19,21,23
Cateterismo vescicale
Prima scelta a livello ospedaliero e obbligatorio in bambini in gravi condizioni
5,11,19,21,26
Puntura sovrapubica
Metodo di scelta, non fattibile come routine nel territorio
5,11,12,19-21
Commento Puntura sovrapubica e cateterismo vescicale: minore probabilità di contaminazione (grado A); la puntura sovrapubica dovrebbe essere utilizzata in particolare in presenza di fimosi serrata, sinechie delle piccole labbra, infezioni o malformazioni dei genitali esterni20. Mitto intermedio: l’utilizzo in alternativa ai metodi più invasivi è controverso20,21. Quando utilizzato nel lattante, è stata descritta una procedura semplice per stimolare la minzione; il grado di contaminazione con questa metodica non è stato valutato14-18. Sacchetto: la maggior parte degli Autori lo raccomanda solo per l’esecuzione dello stick5,11,12,19-22. Nostra raccomandazione Procedere in base alle condizioni cliniche del bambino: • Bambino febbrile in condizioni generali scadenti o compromesse: utilizzare cateterismo vescicale o puntura sovrapubica4 (grado A). • Bambino febbrile in buone condizioni generali: procedere in due fasi5,22,24 a. Raccogliere l’urina mediante mitto intermedio o sacchetto per eseguire lo stick5,11,12,19,21,22,25. b. - Se lo stick mostra presenza di EL, con o senza nitriti, utilizzare mitto intermedio o cateterismo4,11,19,21,25,26 per urocoltura (grado A). - Se lo stick non mostra presenza di EL e nitriti: follow-up clinico con ripetizione dello stick dopo 24-48 ore in caso di persistenza della febbre (grado B).
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La prima infezione urinaria febbrile in bambini di età compresa tra 2 mesi e 3 anni
sono paragonabili al riscontro di leucocituria all’esame microscopico. La microscopia con colorazione di Gram per la differenziazione batterica è il test rapido con la maggiore sensibilità e specificità; tuttavia questo test non viene quasi mai eseguito di routine in Italia. Mentre nelle nostre precedenti raccomandazioni l’uso dello stick in bambini di età inferiore ai 2 anni veniva scoraggiato per la sua scarsa affidabilità1,27, dati più recenti della letteratura accettano l’uso dello stick anche in bambini di età < 2 anni4,28-31. Un approccio pratico, basato sul risultato dello stick per EL e nitriti, è suggerito in Tabella II. Quando si utilizza la microscopia, questa dovrebbe essere eseguita su un campione fresco da un operatore esperto (grado B). L’UC è richiesta per confermare la diagnosi (grado A): viene considerata positiva se la coltura mostra la crescita di un unico ceppo batterico con una carica la cui soglia significativa varia a seconda del metodo di raccolta, come indicato in Tabella III (grado C). Tuttavia, è difficile stabilire una soglia precisa per interpretare i risultati dell’UC, a causa della eterogeneità e variabilità della letteratura a disposizione, come ben riassunto da alcuni Autori10,21. Ovviamente ogni risultato deve essere valutato nel contesto anamnestico, clinico e laboratoristico (febbre, leucocituria, batteriemia)10. Diamo alcune raccomandazioni sulle soglie ritenute significative, ribadendo che il risultato dell’UC deve essere valutato nel contesto della situazione clinica. Nella nostra realtà, in cui utilizziamo prevalentemente campioni urine raccolti con mitto intermedio, riteniamo che siano necessari sia la leucocituria che una carica batterica significativa all’UC (Tabella III) per la diagnosi di infezione urinaria (grado B). 2.5. Sono necessari esami ematochimici quando si sospetta una IVU?
Esami ematochimici di routine non sono necessari per identificare la sede dell’infezione. Se il bambino viene ospedalizzato vi è l’indicazione a eseguire un esame emocromocitometrico completo con PCR, procalcitonina ed
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SENSIBILITÀ E SPECIFICITÀ DELLO STICK (esterasi leucocitaria e nitriti) E DELL’ESAME MICROSCOPICO (globuli bianchi e batteri) PER LA DIAGNOSI DI INFEZIONE URINARIA Sensibilità % (range) Specificità % (range)
Test Esterasi leucocitaria Nitriti Esterasi leucocitaria o nitriti positivi Esterasi leucocitaria e nitriti entrambi positivi Microscopia: globuli bianchi Microscopia: batteri Microscopia: batteri con colorazione di Gram
79 49 88 45 74 88 91
(73-84) (41-57) (82-91) (30-61) (67-80) (75-94) (80-96)
87 98 79 98 86 92 96
(80-92) (96-99) (69-87) (96-99) (82-90) (83-96) (92-98)
Tabella I. Da voce bibliografica 9, modificata. INTERPRETAZIONE E APPROCCIO PRATICO SUGGERITO IN SEGUITO AL RISULTATO DELLO STICK PER NITRITI ED ESTERASI LEUCOCITARIA Nitriti positivi Infezione delle vie urinarie Eseguire urocoltura e iniziare Esterasi leucocitaria positiva molto probabile terapia antibiotica empirica Nitriti negativi Infezione delle vie urinarie Eseguire urocoltura e iniziare Esterasi leucocitaria positiva probabile terapia antibiotica empirica Nitriti negativi Infezione delle vie urinarie Ricercare una diagnosi Esterasi leucocitaria negativa alquanto improbabile alternativa
Tabella II CUT-OFF PER LA SIGNIFICATIVITÀ DELLA CARICA MICROBICA ALL’UROCOLTURA A SECONDA DEL METODO DI RACCOLTA DELL’URINA Metodo Puntura sovrapubica Cateterismo vescicale Mitto intermedio Sacchetto**
Valori di cut-off indicati in letteratura (voce bibliografica)
La nostra raccomandazione (grado C)* > 10.000 UFC/ml
Qualsiasi sviluppo microbico (11,19,20) o > 50.000 UFC/ml (o meno in caso di febbre e leucocituria) (5) > 50.000 UFC/ml (5,10) > 10.000 UFC/ml o > 10.000 UFC/ml (11,19) in caso di febbre e leucocituria (5,10) > 100.000 UFC/ml (4,11,19,20,21) > 50.000 UFC/ml > 100.000 UFC/ml (20,21) > 100.000 UFC/ml
*Si riferisce a bambini con febbre ≥ 38 °C e leucocituria **Non raccomandato
Tabella III
esami di funzione renale (grado B), che sono sempre raccomandati in lattanti di età < 3 mesi4,11,32. 2.6. Quando si dovrebbe ospedalizzare il bambino?
Raccomandiamo di ospedalizzare ogni bambino in condizioni critiche (sepsi, disidratazione e vomito) (grado A), quando c’è un serio timore di non compliance (grado B) e quando la febbre persiste dopo tre giorni di un trattamento antibiotico adeguato in base all’antibiogramma (grado A)32-34.
3. TERAPIA
In un bambino febbrile con segni clinici sospetti e/o positività dello stick o dell’esame microscopico del sedimento, la terapia antibiotica deve essere iniziata subito dopo aver raccolto un campione urine per UC. Un trattamento antibiotico tempestivo è necessario per eradicare l’infezione, per prevenire una batteriemia (in particolare nei primi mesi di vita) e per migliorare le condizioni cliniche del bambino (grado A)20,35,36. Il rischio di
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Linee guida
comparsa e l’estensione di cicatrici renali conseguenti all’IVU non viene attualmente considerato collegato al momento di inizio della terapia antibiotica, se iniziata entro 3-4 giorni dalla comparsa della febbre35,37-40. Molti studi hanno dimostrato che iniziare la terapia per os o per via parenterale ha uguale efficacia e il clinico dovrebbe basare la sua scelta della via di somministrazione dell’antibiotico su considerazioni pratiche5,33,34,41-49: se l’IVU è complicata, cioè se il bambino appare settico o gravemente disidratato o presenta vomito, o se vi sono preoccupazioni sulla compliance, la terapia dovrebbe essere iniziata per via parenterale e proseguita con un antibiotico orale non appena le condizioni cliniche del bambino lo permettono (grado A); se l’IVU non è complicata, cioè se il bambino febbrile è in buone condizioni cliniche, è in grado di trattenere liquidi e farmaci somministrati per os e ci si aspetta una buona compliance, la terapia dovrebbe essere somministrata per os (grado A)5,33-35,46-49 (Figura 1). I risultati del trattamento somministrato per via orale rispetto alla via parenterale non differiscono per quello che riguarda la durata della febbre, le recidive di infezione o l’incidenza di cicatrici renali secondarie all’infezione5,11,33,34,42,43. Il clinico dovrebbe anche basare la scelta dell’antibiotico sul profilo delle resistenze locali (se disponibile) e adattarlo in base alla sensibilità del batterio isolato all’antibiogramma (grado A)5,11,33,34,49. Escherichia coli rimane il patogeno prevalente nelle infezioni urinarie acute non complicate contratte in ambiente non ospedaliero (comunità) (80%), seguito da Klebsiella, Enterobacter, Proteus ed enterococchi. Molte delle caratteristiche di questi patogeni si stanno modificando, in particolare a causa delle resistenze batteriche50-56. In base al pattern di resistenze disponibile in Italia57-62, raccomandiamo di iniziare un trattamento empirico con amoxicillina + acido clavulanico come antibiotico di prima scelta per via orale e ampicillina + sulbactam o amoxicillina + acido clavulanico se è indicata la via endovenosa (grado B). La crescente resistenza di Escherichia
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IVU febbrile Bambino in buone condizioni (infezione non complicata)
Bambino in cattive condizioni (infezione complicata) • età < 3 mesi • gravemente malato • febbre persistente • timore di scarsa compliance
Terapia orale
Terapia endovenosa Prima scelta Seconda scelta (casi selezionati) Solo in casi particolari Cotrimossazolo
Amoxicillina + acido clavulanico Cefixime o ceftibuten Ciprofloxacina Non indicato come trattamento empirico
Prima scelta
Trattare per 10 giorni
Ampicillina + sulbactam o amoxicillina + acido clavulanico Seconda scelta Cefotaxime (preferito) o (casi selezionati) ceftriaxone In caso di allergia amikacina o gentamicina
Passare alla via orale non appena le condizioni lo permettono
Trattare per • 10 giorni in caso di pielonefrite • 14 giorni in caso di urosepsi
Figura 1. Terapia dell’infezione urinaria.
coli alle cefalosporine di terza generazione (circa il 30% in Italia) è prevalentemente dovuta all’uso diffuso e non sempre appropriato di questa classe di antibiotici62-64. Pertanto suggeriamo di considerare l’uso delle cefalosporine (cefixime o ceftibuten per la via orale e cefotaxime o ceftriaxone per la somministrazione ev) in bambini con infezione severa5,11,33,34,45-49,62,65,66. In effetti, le cefalosporine hanno una superiore efficacia e rapidità di azione, rendendo la possibile insorgenza di resistenze meno importante (grado C). Poiché è noto che il ceftriaxone causa colestasi67, deve essere utilizzato con cautela nei lattanti con ittero o quelli di età < 3 mesi; sarebbe preferibile l’utilizzo del cefotaxime, anche sulla base di considerazioni sulla farmacoci-
netica/farmacodinamica, in particolar modo per la sua escrezione renale (grado C). Se il risultato dell’UC mostra resistenza del batterio identificato all’antibiotico in uso, ma le condizioni cliniche del bambino sono in miglioramento, la terapia non dovrebbe essere modificata (grado C)68,69. Nei bambini allergici ai beta-lattamici un aminoglicoside, come l’amikacina o la gentamicina, è la scelta migliore (grado A), ricordando tuttavia che Pseudomonas aeruginosa sviluppa rapidamente resistenza agli aminoglicosidi utilizzati in monoterapia70,71. A causa della diffusa resistenza al trimetoprim, il suo utilizzo empirico deve essere evitato; dovrebbe essere usato solo sulla base dei risultati dei test di sensibilità all’antibiogramma72.
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La prima infezione urinaria febbrile in bambini di età compresa tra 2 mesi e 3 anni
Per l’urosepsi raccomandiamo un trattamento di 14 giorni, da iniziarsi per via parenterale; quest’ultima tuttavia nella maggior parte dei casi può essere limitata a tre giorni, passando appena possibile alla terapia per os (grado B). Non vi sono evidenze sufficienti né raccomandazioni sull’utilizzo del metilprednisolone nel trattamento della pielonefrite acuta; un unico piccolo studio ha dimostrato una significativa riduzione degli esiti cicatriziali nel braccio dei pazienti trattati, ma tale risultato necessita di conferma con studi più ampi48,79.
brile, a meno che non sia complicata, atipica o severa (per la presenza di una delle seguenti condizioni: stato settico, febbre persistente dopo tre giorni di terapia antibiotica appropriata, aumento della creatinina, oliguria) (grado B)49. Il referto ecografico dovrebbe sempre descrivere le caratteristiche dei reni, e in particolare la lunghezza renale, l’ecogenicità e lo spessore del parenchima. Altre caratteristiche importanti sono l’aspetto dei calici, il diametro antero-posteriore della pelvi renale nel suo punto di uscita dal parenchima renale, il diametro massimo dell’uretere, lo spessore della parete vescicale e, se possibile, il volume vescicale prima e dopo minzione. Raccomandiamo anche che venga riportata la presenza o assenza di ispessimento dell’uroepitelio a livello della pelvi renale. È tuttavia importante sottolineare che esistono molte evidenze sul basso valore predittivo dell’ecografia renale riguardo alla presenza di RVU: questo esame è frequentemente normale in bambini con RVU di grado lieve, ed anche in alcuni con RVU di grado elevato, mentre una dilatazione lieve e transitoria della pelvi e dell’uretere è un evento comune, spesso non associato al RVU. D’altra parte, reperti ecografici anomali rappresentano un fattore di rischio per le cicatrici secondarie a IVU e sono presenti fino all’86% dei RVU di grado elevato 80. Tra le anomalie ecografiche, sono particolarmente importanti l’ipoplasia renale mono- o bilaterale, l’importante dilatazione della pelvi e dei calici, la dilatazione dell’uretere e l’ispessimento dell’uroepitelio a livello della pelvi renale81.
4. ESAMI STRUMENTALI
4.2. Quando e come eseguire esami strumentali per identificare un RVU?
DOSI SUGGERITE PER LA TERAPIA ANTIBIOTICA DELLE INFEZIONI URINARIE FEBBRILI TERAPIA Via endovenosa Penicilline Ampicillina + sulbactam Amoxicillina + acido clavulanico Cefalosporine Cefotaxime Ceftriaxone Aminoglicosidi Amikacina Gentamicina Via orale Amoxicillina + acido clavulanico Cefalosporine Cefixime Ceftibuten Ciprofloxacina Trimetoprim + sulfametossazolo
DOSE
100 mg/kg/die di ampicillina in 3-4 dosi 100 mg/kg/die di amoxicillina in 3-4 dosi 150-200 mg/kg/die in 3-4 dosi* 75-100 mg/kg/die in 1 dose* 15 mg/kg/die in 1 dose** 6-7,5 mg/kg/die in 1 dose** 50-90 mg/kg/die di amoxicillina in 3 dosi 8 mg/kg 2 v/dì il primo giorno, poi 1 v/dì 9 mg/kg 2 v/dì il primo giorno, poi 1 v/dì 20-40 mg/kg/die in 2 dosi 8-12 mg/kg/die di trimetoprim in 2 dosi ***
*La dose più alta in bambini con urosepsi **Devono essere monitorati i livelli sierici e il dosaggio adattato di conseguenza ***Da usarsi solo sulla base della sensibilità dimostrata all’antibiogramma, a causa dell’elevata incidenza di resistenza batterica Le dosi, in accordo con quelle citate nelle voci bibliografiche 1 e 35 e nella Sanford Guide to Antimicrobial Therapy, potrebbero essere diverse da quelle usate in alcune Istituzioni o trial. Confrontare sempre con le monografie del prodotto.
Tabella IV
L’utilizzo in età pediatrica della ciprofloxacina è controverso. L’uso dei chinolonici dovrebbe essere limitato a pazienti in gravi condizioni generali o che non rispondono alla terapia con altri antibiotici, solo sulla base dei test di sensibilità, come indicato in recenti raccomandazioni73,74. Dovrebbe anche essere considerato il preoccupante aumento delle resistenze ai chinolonici, dovuto al loro diffuso utilizzo in pazienti adulti75. Farmaci che sono escreti per via urinaria ma non raggiungono concentrazioni terapeutiche nel sangue, come la nitrofurantoina, non dovrebbero essere utilizzati nel trattamento delle IVU febbrili, perché le concentrazioni antimicrobiche nel parenchima e nel siero potrebbero non essere sufficienti per la terapia della pielonefrite e dell’urosepsi (grado A)47. Le dosi suggerite degli antibiotici sopramenzionati sono indicate nella Tabella IV. Non vi è consenso in letteratura sulla durata ottimale della terapia antibiotica5,11,33,34,45-49,76-78; noi suggeriamo una durata di 10 giorni per la pielonefrite.
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4.1. Quando e come dovrebbe essere eseguita un’ecografia?
Raccomandiamo di eseguire un’ecografia renale e vescicale a tutti i bambini, 2-4 settimane dopo la prima IVU febbrile, al fine di identificare anomalie renali e delle vie urinarie (grado B). Non raccomandiamo di eseguire l’ecografia durante l’IVU feb-
Raccomandiamo di eseguire esami strumentali per identificare la presenza di RVU dopo la prima IVU febbrile quando l’ecografia mostra ipoplasia renale mono- o bilaterale, anomalie dell’ecogenicità parenchimale, dilatazione dell’uretere, ispessimento dell’uroepitelio della pelvi renale e dilatazione della pelvi e dei calici, in particolare se associata a ispessimento del-
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Linee guida
l’uroepitelio, anomalie vescicali (grado B). Una dilatazione isolata della pelvi renale non rappresenta generalmente un’indicazione a ulteriore approfondimento (grado B). Inoltre, esami strumentali per identificare un RVU dovrebbero essere eseguiti quando l’IVU è stata causata da un patogeno diverso da Escherichia coli 2,82, o in bambini con IVU febbrili ricorrenti (Figura 2). 4.2.1. Quale esame per cercare il RVU
Vedi Box 2 83-86.
PRIMA INFEZIONE URINARIA FEBBRILE Batterio diverso da Escherichia coli
e/o • • • • • •
Almeno una delle seguenti anomalie ecografiche Ipoplasia renale mono- o bilaterale Alterata ecogenicità renale Dilatazione pelvi-caliceale (idronefrosi > 2° grado secondo la Società di Urologia Fetale) Dilatazione ureterale Ispessimento dell’uroepitelio della pelvi renale Anomalie vescicali (ureterocele, diverticolo)
4.3. È necessario un trattamento antibiotico al momento dell’inserzione del catetere per l’esame cistografico?
Sebbene diffusamente prescritto nella pratica clinica, l’utilizzo del trattamento antibiotico è dibattuto: alcune linee guida ne raccomandano l’uso11, ma dati recenti mostrano che il rischio di IVU dopo la cistografia è molto basso87. Noi suggeriamo di somministrare un trattamento antibiotico a dose piena per tre giorni nei lattanti, in particolare nei primi 12 mesi di vita, o quando sono state evidenziate anomalie maggiori dell’apparato urinario con l’ecografia (grado C). 4.4. Scintigrafia
La scintigrafia non è raccomandata di routine dopo la prima IVU. L’utilizzo della scintigrafia renale statica (con DMSA) è raccomandato in tutti i bambini con RVU di IV e V grado, che sono riconosciuti quali fattori di rischio maggiori per danno renale permanente88,89(grado B). Per valutare la presenza di cicatrici renali secondarie all’IVU, la scintigrafia deve essere eseguita almeno sei mesi dopo l’IVU febbrile, tempo necessario per evitare un’errata interpretazione di alterazioni temporanee legate all’infezione acuta.
5. COSA FARE DOPO LA PRIMA IVU FEBBRILE?
La maggior parte delle IVU febbrili nei bambini sono eventi non gravi, che possono verificarsi in bambini per il resto sani nei quali la prognosi è eccellente. Un numero relativamente basso di bambini (6-10%) presenteranno reci-
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Cistografia o cistoscintigrafia o cistosonografia
SECONDA INFEZIONE URINARIA FEBBRILE Figura 2. Quando eseguire esami strumentali per escludere il reflusso vescico-ureterale.
Box 2 - QUALE ESAME STRUMENTALE PER IDENTIFICARE IL REFLUSSO VESCICO-URETERALE Sono disponibili quattro metodiche: cisto-uretrografia minzionale, cistoscintigrafia diretta, cistosonografia, cistoscintigrafia indiretta. Cisto-uretrografia minzionale (CUM) Vantaggi: metodica che permette di diagnosticare il RVU, di stabilirne il grado e di rilevare l’anatomia dell’uretra maschile (Grado A). Svantaggi: comporta l’utilizzo di radiazioni ionizzanti Recentemente è stato descritto un protocollo standardizzato per l’esecuzione della CUM: nei maschi, prima dell’inserimento del catetere, instillare nell’uretra lidocaina in gel; tramite procedura sterile inserire un catetere adeguato all’età (3,5-8 French); riempire la vescica finché si verifica la minzione; se non si identifica un RVU dopo la prima minzione, riempire nuovamente la vescica attraverso lo stesso catetere, per aumentare le possibilità di identificare un RVU83. Cistoscintigrafia diretta Vantaggi: uguale o maggiore sensibilità rispetto a CUM e molto meno irradiante Svantaggi: - non disponibile su larga scala - non in grado di fornire dettagli sull’anatomia dell’uretra maschile Potrebbe rappresentare l’esame di prima scelta nelle bambine (grado B). Cistosonografia Vantaggi: - metodica sensibile84,85 - l’utilizzo di un mezzo di contrasto di seconda generazione insieme a un approccio trans-perineale rendono possibile la valutazione dell’uretra maschile86 Svantaggi: - tempo di esame più lungo rispetto alla CUM - risultati operatore-dipendenti - richiede maggiori risorse economiche, non disponibile su larga scala Cistoscintigrafia indiretta Vantaggi: può essere ottenuta nelle fasi finali della scintigrafia renale con Mag3 Svantaggi: bassa sensibilità e specificità
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La prima infezione urinaria febbrile in bambini di età compresa tra 2 mesi e 3 anni
dive, di solito nell’anno successivo46. Fattori di rischio per recidive sono il RVU di grado elevato, un’età inferiore all’anno nei maschi, il sesso femminile e la disfunzione vescico-intestinale. In generale è importante istruire i genitori a riconoscere i sintomi dell’IVU e a prevenire i fattori di rischio modificabili delle recidive, e in particolare la stipsi e la disfunzione vescico-intestinale 90,91. Noi riteniamo che anche lo scarso apporto di liquidi vada tenuto in considerazione (grado C). La circoncisione è un’opzione da valutare in casi selezionati di maschi con RVU di grado elevato e con IVU recidivanti nonostante altri sforzi tesi a prevenire le infezioni. Per quanto riguarda la profilassi antibiotica, è stata utilizzata per decenni nei bambini con RVU, con l’idea che il danno renale e la sua progressione sarebbero stati prevenuti evitando IVU ricorrenti. Attualmente la sua efficacia è dibattuta. Vari recenti trial randomizzati e controllati hanno mostrato un effetto nullo o minimo della profilassi antibiotica nel ridurre le recidive di IVU92-96. Sono state pubblicate varie metanalisi97-99: tra esse, quella di De Bessa e coll.99 appare di particolare interesse, in quanto gli Autori hanno separato i RVU con dilatazione (grado III-IV-V) da quelli senza dilatazione (grado I-II) riguardo al rischio di recidive di IVU in corso di profilassi. Analizzando i primi studi pubblicati, gli Autori hanno trovato che la profilassi antibiotica sarebbe utile solo nei bambini con RVU di grado elevato. Aggiungendo i dati dello studio RIVUR100, questi risultati sono cambiati a favore della profilassi in tutti i bambini con RVU. Bisogna sottolineare che lo studio RIVUR ha valutato 607 bambini (92% femmine) di età compresa tra 2 e 71 mesi, 126 avevano acquisito il controllo sfinterico, 71 avevano una disfunzione vescico-intestinale e il 92% aveva un RVU di grado compreso tra I e III. Noi riteniamo che la profilassi abbia mostrato una significatività statistica, ma non clinica: sono stati necessari 22 paziente/anno di antibiotico per prevenire una IVU febbrile. Pertanto, l’analisi dei dati riguardanti le recidive di infezione non è a favore dell’utilizzo della profilassi antibiotica, almeno nei bambini con RVU di grado lieve. Medico e Bambino 8/2020
Un’ulteriore preoccupazione è rappresentata dalla propensione degli antibiotici a indurre resistenza batterica. Una recente metanalisi di Selekman e coll.101 ha mostrato che la profilassi aumenta il rischio di resistenza multipla agli antibiotici (i bambini che ricevevano profilassi avevano una odds ratio 6,4 volte superiore), con importanti implicazioni nel rapporto rischio/ beneficio della profilassi. Allo stesso tempo è divenuto chiaro che la profilassi non riduce la comparsa e la progressione del danno renale, come mostrato da molte recenti metanalisi97-99,102. In aggiunta, il gruppo di bambini trattati con profilassi nello studio RIVUR ha ricevuto in tutto oltre 600 anni di profilassi, senza effetti dimostrabili sulla formazione di cicatrici renali. In conclusione, la profilassi antibiotica non è raccomandata di routine in lattanti e bambini dopo la prima IVU febbrile (grado A). Può essere considerata in lattanti e bambini, dopo la terapia dell’episodio acuto finché venga eseguita la cistografia (grado C), con RVU di grado IV e V (grado C) e con IVU recidivanti, definite come > 3 IVU febbrili nell’arco di 12 mesi (grado C). Queste raccomandazioni sono in linea con le principali linee guida internazionali4,5,11. Come farmaco di prima scelta per la profilassi, suggeriamo amoxicillina + acido clavulanico, mentre ceftibuten o nitrofurantoina dovrebbero essere considerate opzioni di seconda scelta, ricordando che la nitrofurantoina può causare disturbi gastrici ed è inattiva nei confronti della maggior parte di
ceppi di Proteus 103. Non vi sono sufficienti evidenze per raccomandare una determinata dose; tuttavia, tradizionalmente, la dose utilizzata per la profilassi è di ¼ fino a 1/3 della dose di terapia, somministrata 1 volta/dì. Non vi sono dati sull’efficacia della pratica di utilizzare vari farmaci in alternanza. Analogamente, non è stata stabilita la durata ottimale della profilassi. In relazione alla maggiore durata nel tempo della suscettibilità alle IVU nelle femmine che nei maschi, suggeriamo 12-24 mesi nelle bambine e 6-12 mesi nei maschi (grado C). 5.1. Altre misure di prevenzione delle IVU
Oltre alla profilassi antibiotica, sono stati utilizzati vari interventi per prevenire le recidive di IVU, ma mancano evidenze della loro efficacia nei lattanti e nei bambini104. L’efficacia del succo di mirtillo rosso (cranberry) rimane dubbia. In uno studio su bambini di età compresa tra 1 e 6 anni, senza o con minori malformazioni urologiche, la somministrazione di cranberry per 6 mesi non ha ridotto in maniera significativa il numero di bambini che presentavano una recidiva di IVU, ma è risultata efficace nel ridurre il numero di recidive e il conseguente uso di antibiotici105. Sono disponibili pochi studi sull’uso dei probiotici e, al momento, non sono stati dimostrati benefici significativi nella prevenzione delle IVU106.
6. LA RICERCA FUTURA
Vedi Box 3 107.
Box 3 - LA RICERCA FUTURA Gli Autori di queste raccomandazioni hanno riscontrato alcune lacune nelle conoscenze sulle IVU nei lattanti e nei bambini, che richiedono studi ulteriori. In particolare, suggeriamo la necessità di studiare i seguenti aspetti: • il numero di colonie batteriche necessarie per formulare una diagnosi di IVU e il razionale scientifico per indicare soglie differenti di significatività per le diverse modalità di raccolta dell’urina; • il significato dei nitriti in assenza di leucocituria; • la possibilità di un trattamento antibiotico più breve rispetto agli standard attuali; • il ruolo degli steroidi nel prevenire la comparsa di cicatrici; • la necessità della profilassi antibiotica nel RVU di grado elevato; • il ruolo di un elevato apporto di liquidi nel prevenire infezioni recidivanti; • soprattutto studi prospettici, dopo la prima IVU febbrile, in bambini con reni normali e in bambini con diagnosi prenatale di ipodisplasia, per stabilire la potenziale morbidità delle IVU nel lungo termine107.
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Linee guida
LE RACCOMANDAZIONI PER LA PRIMA IVU FEBBRILE IN UN COLPO D’OCCHIO Diagnosi La diagnosi di IVU dovrebbe essere considerata nei bambini che presentano febbre (38 °C o oltre) senza causa apparente. Si dovrebbe raccogliere l’urina, analizzarla al microscopio o con stick per identificare i bambini in cui l’IVU è molto probabile (leucocituria con o senza nitriti) ed eseguire un’urocoltura per la diagnosi definitiva. Urocoltura Per raccogliere l’urina, in bambini febbrili in buone condizioni cliniche si può procedere in due passi successivi. Per lo stick l’urina può essere raccolta con mitto intermedio o sacchetto. Se lo stick mostra la presenza di leucociti con o senza nitriti, il campione per l’urocoltura dovrebbe essere raccolto con mitto intermedio o con cateterismo vescicale. Se lo stick è normale non vi è necessità di eseguire un’urocoltura e si raccomanda un ulteriore stick dopo 24-48 ore, se la febbre persiste. In un bambino febbrile che appare gravemente malato l’urina deve essere raccolta mediante cateterismo vescicale o puntura sovrapubica. Terapia In un bambino febbrile con positività dello stick o dell’esame microscopico, la terapia antibiotica deve essere iniziata subito dopo aver raccolto il campione urine per l’urocoltura. Gli antibiotici proposti sono amoxicillina + acido clavulanico come prima scelta se è possibile utilizzare la via orale in bambini in buone condizioni, e ampicillina + sulbactam o amoxicillina + acido clavulanico se vi è l’indicazione alla terapia endovenosa in bambini gravemente malati. Esami strumentali In tutti i bambini vi è l’indicazione ad eseguire un’ecografia dell’apparato urinario, 2-4 settimane dopo l’IVU febbrile, mentre una cistografia minzionale è indicata quando l’ecografia mostra anomalie importanti dei reni e/o delle vie urinarie e/o quando l’IVU è stata causata da un batterio diverso da Escherichia coli. Profilassi antibiotica Non è raccomandata di routine dopo la prima IVU febbrile. Può essere considerata in bambini con VUR di grado IV e V, o in presenza di IVU recidivanti, definite come più di tre IVU febbrili nell’arco di 12 mesi.
*Componenti del gruppo di lavoro SINePe Anita Ammenti1, Irene Alberici2, Milena Brugnara3, Roberto Chimenz4, Stefano Guarino5, Angela La Manna 5, Claudio La Scola 6, Silvio Maringhini 7, Giuseppina Marra 8, Marco Materassi9, William Morello8, Giangiacomo Nicolini10, Marco Pennesi11, Lorena Pisanello12, Fabrizio Pugliese13, Floriana Scozzola14, Felice Sica15, Antonella Toffolo16, Giovanni Montini8,17 (coordinatore)
Unità Polispecialistica Pediatrica, Poliambulatorio Medi-Saluser, Parma Dipartimento di Salute della Donna e del Bambino, Università di Padova 3 Pediatria, Ospedale Donna Bambino, Verona 4 UO di Nefrologia e Reumatologia Pediatrica con Dialisi, AOUG Martino, Messina 5 Dipartimento della Donna, del Bambino e di Chirurgia Generale e Specialistica, Università della Campania “Luigi Vanvitelli”, Napoli 6 Programma di Nefrologia e Dialisi Pediatrica, Dipartimento della Donna, del Bambino e delle Malattie Urologiche, AOU “Sant’Orsola-Malpighi”, Bologna 7 Dipartimento di Pediatria, ISMETT (Istituto Mediterraneo per i Trapianti e Terapie ad Alta Specializzazione), Palermo 8 Nefrologia, Dialisi e Trapianto Pediatrico, Fondazione IRCCS Ca’ Granda, Ospedale Maggiore Policlinico di Milano 9 SOC di Nefrologia e Dialisi Pediatrica, Azienda Ospedaliero-Universitaria “Meyer”, Firenze 10 UOS di Pediatria Pieve di Cadore, UOC Pediatria di Belluno 11 IRCCS Materno-Infantile “Burlo Garofolo”, Trieste 12 Pediatra di famiglia, AULSS 6, Padova 13 Pronto Soccorco Pediatrico, Ospedale Salesi, Ancona 14 UOC di Pediatria, Dipartimento Materno-Infantile, Treviso 15 SC di Pediatria Universitaria, Policlinico Riuniti Foggia 16 Pediatra, Treviso 17 Cattedra di Pediatria Giuliana e Bernardo Caprotti, Dipartimento di Scienze Cliniche e di Comunità, Università di Milano 1 2
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Queste raccomandazioni sono tratte e adattate dal lavoro pubblicato in inglese108. Ringraziamenti L’Associazione senza scopo di lucro “Il sogno di Stefano” ha fornito supporto finanziario per le riunioni tenute dal gruppo di studio per preparare queste raccomandazioni.
Indirizzo per corrispondenza: Giovanni Montini e-mail: giovanni.montini@unimi.it
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La prima infezione urinaria febbrile in bambini di età compresa tra 2 mesi e 3 anni
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Problemi speciali
L’inquadramento delle ipoacusie in epoca neonatale e pediatrica Lo screening, gli esami audiometrici, la classificazione AGNESE FERESIN1, MARTINA BEVACQUA2, GIULIA DEL PIERO1, PAOLA STAFFA1, EGIDIO BARBI2,3, EVA ORZAN1
SC di Otorinolaringoiatria e Audiologia, 2Clinica Pediatrica, IRCCS Materno-Infantile “Burlo Garofolo”, Trieste Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche e della Salute, Università di Trieste
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Lo screening neonatale delle ipoacuse è in Italia pressoché universale, ma l’interpretazione dei risultati non è sempre semplice. L’articolo descrive il percorso precoce di identificazione dei problemi uditivi e le cose da programmare in caso di fallimento del test (risposta “refer”) allo screening entro il mese di vita. Si parla di test audiometrici a seconda dell’età, di classificazione delle ipoacusie e di come prestare particolare attenzione alle fome trasmissive che non richiedono spesso un trattamento invasivo.
IL CASO
Bambino nato al termine di una gravidanza normodecorsa con peso di 3400 g e punteggio Apgar 9-10. Il test di screening uditivo neonatale (A-TEOAE - emissioni otoacustiche automatiche) presentava un esito refer (fallimento) in assenza di problemi perinatali e con familiarità per sordità. La soglia del deficit uditivo con potenziali evocati uditivi (a-ABR) è risultata, per entrambe le orecchie, di 50 dB nHL (livello uditivo normale). Il quadro è stato interpretato come un’ipoacusia di tipo neurosensoriale, di grado moderato e bilaterale, meritevole di protesizzazione acustica. Contestualmente, la ricerca del citomegalovirus su tampone salivare è risultata negativa e l’indagine genetica di sequenziamento del gene GJB2, codificante per la connessina 26, ha evidenziato la mutazione 35delG nello stato di eterozigosi, mentre l’analisi del gene GJB6 è risultata negativa: sono state quindi escluse tali eziologie. Giunge alla nostra osservazione per un secondo parere riguardo la necessità di protesizzazione acustica all’età di 5 mesi.
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MODERATE HEARING LOSS IN NEONATAL AND PAEDIATRIC AGE: HEARING SCREENING, AUDIOLOGICAL ASSESSMENT AND CLASSIFICATION (Medico e Bambino 2020;39:505-511)
Key words Congenital hearing loss, Moderate hearing impairment, Audiological assessment, Conductive hearing impairment, Hearing screening Summary Conductive, mild-moderate hearing impairment in children is a very frequent condition after newborn hearing screening that easily leads to misdiagnosis. Conductive hearing impairment needs an accurate differential diagnosis to avoid inadequate treatments. The paper reports a case of bilateral, sensorineural hearing impairment of moderate degree in a 5-month male infant that was diagnosed after the failure of newborn hearing screening and because of a family history of hearing loss. His parents asked for an advice about the need of hearing aids at the Audiological and Otolaryngology Department. The diagnostic and audiological assessment recognised a conductive, moderate hearing loss associated with tympanic effusion and velar-tube dysfunction. After two months, in the follow-up, the child’s hearing threshold was normal. The case underlines the importance of early identification of hearing impairment and of a complete evaluation programme before indicating any treatment.
L’anamnesi familiare è risultata significativa per un caso di sordità profonda preverbale nel ramo paterno, non meglio specificata ed eziologia ignota, è stato escluso un possibile rapporto di consanguineità tra i genitori del bambino. Alla prima valutazione generale, lo sviluppo psicomotorio
del bambino è risultato coerente all’età, senza patologie generali degne di note. All’esame obiettivo otorinolaringoiatrico (ORL) sono stati osservati segni di versamento endotimpanico bilaterali (quadro di otite media effusiva con livelli idro-aerei), ugola bifida, in assenza di schisi ossea o sottomu-
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Problemi speciali
A
B
C
Figura 1. Esami in corso di valutazione audiologica a 7 mesi. A. timpanogramma di tipo B ; B. immagine otoscopica di otite media effusiva; C. ugola bifida.
cosa. La rinofaringoscopia flessibile ha rilevato la presenza di adenoidi ostruenti il 40% del lume coanale. L’esame impedenzometrico ha mostrato un timpanogramma di tipo B con riflessi cocleo-stapediali non evocabili bilateralmente e ipsi-controlateralmente, compatibili con la presenza di versamento endotimpanico (Figura 1). Gli ABR per la ricerca della soglia uditiva, eseguiti in sonno spontaneo, hanno registrato per la via aerea l’onda V fino all’intensità di 55 dB HL a sinistra e fino a 50 dB HL a destra, mentre per la via ossea l’onda V fino a 30 dB per entrambi i lati. Dalla VRA (Visual Reforcement Audiometry), svolta con inserti sia per via aerea sia per via ossea, sono emerse risposte a 50 dB, compatibili con un’ipoacusia trasmissiva di grado moderato. Le abilità uditive e comunicative analizzate alla valutazione logopedica si sono confermate in linea con l’età cronologica. Tutti gli accertamenti clinico-laboratoristici compresi nel percorso valutativo-diagnostico (elettrocardiogramma, emocromo, esame urine, visita oculistica e visita pediatrica) sono risultati nella norma. L’interpretazione integrata dei dati clinici e strumentali ha permesso di diagnosticare un’ipoacusia di tipo trasmissivo, bilaterale, di grado moderato, associata a versamento endotimpanico, insufficienza velo-tubarica funzionale e sviluppo uditivo-comunicativo nella norma. Tali risultati non hanno confermato l’indicazione alla protesizzazione. Invece, è stata posta indicazione a eseguire lavaggi nasali, sconsigliando di aspirare manualmen-
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te le secrezioni nasali, pratica che potrebbe alterare le funzioni tubariche (areazione, drenaggio e mantenimento dell'equilibrio pressorio). Sono stati forniti alcuni consigli per rinforzare lo sviluppo delle funzioni orali (ad esempio evitare il ciuccio, scegliere tettarelle adeguate, usare il cucchiaino per i primi pasti). La rivalutazione a 2 mesi di distanza ha confermato normali funzionalità uditiva e sviluppo delle tappe comunicative. INQUADRAMENTO DELLE IPOACUSIE Il deficit uditivo è il più comune difetto sensoriale in Pediatria, colpisce circa un neonato su mille nei Paesi industrializzati1. Lo screening uditivo neonatale universale è una pratica dalla consolidata efficacia, recentemente inserito dal Ministero della Sanità nei Livelli Essenziali di Assistenza. Sono varie le Regioni italiane che hanno implementato programmi per garantire a tutti i nati questo servizio2. L’identificazione precoce permette di correggere il difetto uditivo prima dei suoi esiti, garantendo l’ottimale sviluppo comunicativo, linguistico e l’apprendimento. Sulla base delle maggiori evidenze internazionali, la Joint Committee on Infanti Hearing (JCHI) ha stabilito le tempistiche di azione per garantire l'intervento precoce, come spiegato dalla “Legge 1-3-6”, descritta nella Figura 2 3. Per garantire la presa in carico delle ipoacusie infantili in modo da evitare le cattive conseguenze della
deprivazione sensoriale è fondamentale agire precocemente: • entro il primo mese di vita offrendo a tutti un test di screening; • entro il terzo mese di vita garantendo, in caso di fallimento del test (risposta refer), l’esecuzione di una valutazione audiologica completa; • entro i 6 mesi di vita approfondendo l’eziologia, le caratteristiche dell’ipoacusia confermata, proponendo l’intervento terapeutico e (ri)abilitativo adeguato. Le esperienze di analisi dei risultati dell’UNHS (University of Medicine and Health Sciences) mostrano che la maggior parte delle perdite sono di grado lieve-moderato. Anche i dati raccolti dal CDC (Centers for Disease Control) evidenziano che il 36% delle ipoacusie identificate in seguito all’UNHS sono Le varie esperienze italiane di screening neonatale concordano con questo dato5. L’anamnesi familiare e personale con riferimento ai fattori di rischio audiologici internazionalmente condivisi (JCIH) sono un contributo indispensabile nella scelta e interpretazione degli esami audiometrici. Una panoramica delle caratteristiche dei principali esami audiologici impiegati nella pratica pediatrica è riportata in Tabella I 6. La tecnica delle otoemissioni acustiche (OAE) è spesso scelta come test di screening in virtù della sua rapidità, facilità di esecuzione, affidabilità, non invasività ed economicità. Ha una buona sensibilità (85-100%) e una migliore specificità (91-95%) 7,8.
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L'inquadramento delle ipoacusie in epoca neonatale e pediatrica
Screening uditivo neonatale (entro il primo mese di vita)
Pass
Refer
Ricerca CMV urinario
Identificazione: valutazione audiologica completa (entro il terzo mese di vita)
Normoacusia
Ipoacusia neurosensoriale o trasmissiva o mista permanente mono- o bilaterale
Ipoacusia trasmissiva temporanea
Monitoraggio e terapia medica
Diagnosi audiologica, eziologica e funzionale completa (entro il sesto mese di vita)
Trattamento e piano (ri)abilitativo
Figura 2. Il percorso della legge 1-3-6. La figura schematizza le tappe e le tempistiche di un percorso di identificazione precoce delle ipoacusie, seguendo le linee guida della JCHI. A tutti i neonati, presso il Centro nascita, viene offerto lo screening uditivo neonatale. In caso di fallimento (risposta “refer”), viene subito richiesta la ricerca del citomegalovirus nelle urine e prenotata la valutazione audiologica completa presso il Centro audiologico pediatrico. Le informazioni derivate dagli esami eseguiti stabiliscono se c’è un deficit uditivo: in caso di origine trasmissiva, indica l’appropriata terapia medica, mentre in caso di perdita di tipo neurosensoriale è opportuno effettuare un approfondimento diagnostico, eziologico e funzionale completo, al fine di indicare quali siano trattamento e piano riabilitativo adeguati (da voce bibliografica 3, modificata).
Possibili falsi positivi dipendono da rumori ambientali, oppure da condizioni del canale uditivo esterno (collasso del canale, presenza di detriti) o dell’orecchio medio (ad esempio la presenza di fluido amniotico o muco), generalmente risolvibili nei primissimi giorni di vita9. Gli ABR automatici (a-ABR), proposti in seguito all’esito refer delle otoemissioni acustiche o in caso di presenza di almeno un fattore di rischio audiologico, hanno un’alta sensibilità nel riconoscere meccanismi patologici riguardanti un’interruzione degli impulsi afferenti (ANSD, Auditory Neuropathy Spectrum Disorders), permettono di distinguere perdite uditive di tipo trasmissivo da quelle
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di tipo neurosensoriale e sono considerati il gold standard per la determinazione della soglia uditiva nei bambini più piccoli10,11. In una valutazione multicentrica che ha analizzato 1524 neonati, sottoposti a screening uditivo (OAE ed eventualmente a-ABR), è stato dimostrato che circa il 23% dei bambini affetti da ipoacusia permanente di grado lieve o lieve-moderato ai 9 mesi di età non era stato identificato dallo screening, perché risultato pass all’esame a-ABR. Questa evidenza indica un margine di errore non trascurabile nel riconoscimento delle ipoacusie con soglia inferiore ai 40 dB HL12. La valutazione della funzione dell’orecchio medio del neonato richiede al-
cune considerazioni legate allo sviluppo anatomico: le pareti del canale uditivo interno sono meno rigide, il canale uditivo è più piccolo, la membrana timpanica ha un orientamento più orizzontale nel neonato rispetto al bambino più grande13. La timpanometria dovrebbe utilizzare un tono sonda a 1000 Hz (il tono “standard” a 226 Hz non è appropriato)14. Il bambino del caso descritto, poiché non ha passato lo screening, ha effettuato gli ABR solo per la via aerea, evidenziando una soglia uditiva a 50 dB HL, ed è stato correttamente diagnosticato con un’ipoacusia di grado moderato. La tipologia della sua perdita uditiva non è risultata chiara finché i risultati dei vari esami non sono stati integrati.
INQUADRAMENTO DIAGNOSTICO Al momento della diagnosi, una completa caratterizzazione di una ipoacusia comprende: • epoca di insorgenza, distinguendo forme congenite da quelle acquisite nella vita postnatale, per le quali si indica se comparse in epoca pre-, peri- o postverbale; • tipologia, ovvero la sede e il meccanismo alla base del deficit uditivo; • grado della perdita (esistono diverse classificazioni: WHO, ASHA, GENDEAF); sede (unilaterale, bilaterale). La Tabella II riassume le principali categorie di classificazione delle ipoacusie. LE CAUSE E IL FOLLOW-UP Attualmente le conoscenze permettono di identificare, in circa il 70% dei casi e con buon approfondimento, la causa genetica, tossica, infettiva o altro15. L’ipoacusia va seguita nel tempo con valutazioni audiologiche: la soglia uditiva può restare stabile, fluttuare o essere di tipo progressivo. Nella prima parte della vita, le ipoa-
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Problemi speciali
GLI ESAMI AUDIOMETRICI IN PEDIATRIA Età di sviluppo
Test audiologico/ durata media esame
Significato dell’esame
Procedura del test
Vantaggi
Limitazioni
Tutte le età
Otoemissioni evocabili (OAE)/10 min
Test della risposta delle cellule ciliate esterne della coclea alla presentazione di uno stimolo sonoro, che può essere un click (OAE da transienti, TEOAE) o un tono puro (OAE come prodotto di distorsione, DPOAE)
Una piccola sonda provvista di microfono è posizionata nel canale uditivo esterno per l’invio dello stimolo e la ricezione della risposta
Risultati specifici per orecchio; risultati ottenuti indipendentemente dal sonno/veglia; caratteristiche conformi a un test di screening
È richiesto che il bambino testato sia tranquillo; studio parziale della funzionalità uditiva, non comprende l’elaborazione retrococleare del suono; molto sensibile alla presenza di cerume nel canale esterno e di effusioni dell’orecchio medio
0-9 mesi
Automatic Auditory Brainstem Response (A-ABR)/15 min
Misurazione dell’attività elettrofisiologica del nervo uditivo e della via nervosa diretta al tronco encefalico
Lo stimolo uditivo viene inviato tramite sondino nel canale uditivo esterno, gli elettrodi posizionati sulla testa del paziente registrano l’attività di risposta elettrica. Si esamina un orecchio alla volta
Risultati specifici per orecchio; risultati ottenuti indipendentemente dalla collaborazione del paziente; caratteristiche conformi a un test di screening
Il bambino testato deve restare fermo e a riposo durante tutto il test (può essere necessaria la sedazione); non fornisce informazioni relative alle frequenze gravi; studio parziale della funzionalità uditiva, non comprende l’elaborazione retrococleare del suono
9-30 mesi Visual Reinforced Audiometry (VRA)/15-30 min
Test comportamentale che sfrutta il condizionamento operante per ottenere risposte uditive. Misura le risposte del bambino a stimoli specifici in frequenza erogati tramite altoparlanti, inserti, cuffie, vibratori ossei
Il bambino è condizionato ad associare lo stimolo uditivo a un rinforzo (gioco luminoso o video) in una stanza
Permette di valutare la percezione uditiva del bambino; test con valore diagnostico
L’esame deve essere eseguito in adeguata cabina insonorizzata e con audiometro calibrato. Quando eseguito con casse (in campo libero), valuta l’orecchio migliore e non è specifico per singolo orecchio; quando eseguito con cuffie o inserti può evidenziare anche un’ipoacusia monolaterale
2,5-4 anni
Audiometria gioco/15-30 min
Test comportamentale che stabilisce la soglia audiometrica in risposta agli stimoli presentati tramite inserti o vibratore osseo
Il paziente è istruito a rispondere in relazione alla percezione degli stimoli
Risultati specifici per orecchio; valuta la percezione uditiva del paziente; caratteristiche del test conformi allo screening e alla diagnosi
L’esame deve essere eseguito in adeguata cabina insonorizzata e con audiometro calibrato. La collaborazione e il tempo di attenzione del bambino possono essere limitati, pregiudicando la quantità e la qualità di informazioni audiometriche
Dai 4 anni in poi
Audiometria convenzionale/ 15-30 min
Test che stabilisce la soglia audiometrica in risposta a stimoli presentati tramite inserti o vibratore osseo
Il paziente è istruito ad alzare la mano alla percezione dello stimolo uditivo
Risultati specifici per orecchio; valuta la percezione uditiva del paziente; caratteristiche del test conformi allo screening e alla diagnosi
L’esito dipende dalla collaborazione e attenzione del bambino
Ogni età
Auditory Brainstem Response (ABR) per ricercare soglia
Misurazione della risposta elettrofisiologica generata dalle diverse porzioni del sistema uditivo troncoencefalico in risposta a stimoli sonori (generalmente click) di intensità decrescente. Gli stimoli sonori possono essere erogati con cuffia, inserti e per via ossea
Lo stimolo uditivo viene inviato tramite sondino nel canale uditivo esterno, gli elettrodi posizionati sulla testa del paziente registrano l’attività di risposta elettrica. Si esamina un orecchio alla volta
Risultati specifici per orecchio; multiple frequenze esaminate; indipendentemente dalla collaborazione del paziente
Studio parziale della funzionalità uditiva, non comprende l’elaborazione corticale del suono; il bambino testato deve restare fermo e a riposo durante tutto il test (può essere necessaria la sedazione); non può essere utilizzato nella stima di soglia in caso di problematiche troncoencefaliche (immaturità, patologie)
Ogni età
Timpanometria
Studio della funzionalità del sistema timpanoossiculare, in particolare valuta la compliance dell’orecchio medio a variazioni di pressione nel canale uditivo esterno
Una piccola sonda nel Permette lo studio canale uditivo esterno dell’orecchio medio e della funzione tubarica impartisce diverse pressioni
Non è un test dell’udito; dipende dal volume del canale; richiesto tono sonda ad alte frequenze per i bambini < 6 mesi
Tabella I. Da voce bibliografica 6, modificata.
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L'inquadramento delle ipoacusie in epoca neonatale e pediatrica
LA CLASSIFICAZIONE DELLE IPOACUSIE IN ETÀ PEDIATRICA Epoca di insorgenza Congenita
Acquisita
Preverbale Periverbale Postverbale
Tipologia
Sede
Le onde sonore non sono trasmesse all’orecchio interno (es. tappo di cerume, effusione transitoria dell’orecchio medio, malformazione degli ossicini)
Trasmissiva
Il problema risiede nell’orecchio esterno e/o medio
Neurosensoriale
Il problema coinvolge l’orecchio Il meccanismo della trasduzione del segnale sonoro/elettrico è interno (coclea o nervo acustico) inficiata (cocleare) oppure la conduzione dello stimolo nervoso è compromessa (neurale)
Mista
Coinvolgimento di orecchio esterno e/o medio e interno
Unilaterale
Destra
I meccanismi di trasmissione e trasduzione/conduzione del segnale sonoro sono alterati.
Sinistra Bilaterale
Grado
Simmetrica
Stesse caratteristiche della perdita uditiva per entrambi i lati
Asimmetrica
Le due orecchie presentano diversi gradi di perdita
Secondo la classificazione WHO (soglia uditiva media a 500, 1000, 2000, 4000 Hz) Lieve
26-40 dB HL
Moderato
41-60 dB HL
Severo
61-80 dB HL
Severo-Profondo
> 81 dB HL
Secondo la classificazione GENDEAF (soglia uditiva media a 500, 1000, 2000, 4000 Hz)
Eziologia
Lieve
20-40 dB HL
Moderato
41-60 dB HL
Moderato-severo
61-70 dB HL
Severo
71-80 dB HL
Profondo
> 81 dB HL
Genetica
Sindromica (alla nascita l'ipoacusia può anche essere l’unico segno presente di una sindrome) Non sindromica
Esogena
Molteplici fattori responsabili di danno trasmissivo e/o neurosensoriale (congeniti o postnatali)
Sconosciuta Follow-up
Soglia uditiva stabile
Ipoacusia stabile
Soglia uditiva peggiorata
Ipoacusia progressiva
Soglia uditiva migliorata
Ipoacusia fluttuante
Tabella II
cusie trasmissive sono comuni e riferibili a diverse cause morfologiche o funzionali che impediscono la corretta trasmissione dell’onda sonora nel percorso dall’orecchio esterno alla coclea. Più spesso, nei bambini, la ridotta trasmissività è una condizione temporanea, re-
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lativa a collasso del canale, presenza di detriti/muco/liquido amniotico nel canale uditivo esterno, corpi estranei, otiti o complicanze delle otiti. Invece, in caso di anomalie craniofacciali con varianti morfologiche delle strutture dell’orecchio esterno e/o medio come
ipoplasia, stenosi del canale uditivo esterno, atresia auris, microtia, colesteatoma congenito, malformazioni ossiculari o malformazioni fenestrali, la trasmissione dell’onda sonora è compromessa in modo permanente. Queste condizioni possono essere isolate,
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Problemi speciali
associate o meno a labio-palato-schisi o rientrare in cortei sintomatologici sindromici, come ad esempio sindromi di Down, branchio-oto-renale o di Treacher-Collins. Nella maggior parte dei casi la perdita uditiva trasmissiva infantile è di grado lieve (< 40 dB HL), meno frequentemente di grado da moderato a severo (oltre 41 dB HL). Nel caso di malformazioni dell’orecchio medio, generalmente l’ipoacusia trasmissiva è di grado > 50 dB HL16. In questa fase della vita, l’insufficienza tubarica è una condizione frequente, con una prevalenza di circa il 40%. La tuba uditiva è la struttura di collegamento tra rinofaringe e orecchio medio, deputata al mantenimento di un equilibrio pressorio fondamentale a garantire l’adeguata vibrazione della membrana timpanica e della catena degli ossicini. Se la tuba non è adeguatamente sviluppata e funzionale si crea una pressione negativa nell’orecchio medio, con conseguente raccolta di muco nella cassa timpanica. Poiché nei bambini la tuba di Eustachio è più corta, ipotonica e orizzontale rispetto all’età adulta, il rischio di otiti medie effusive ricorrenti è concreto. Si stima che circa il 90% dei bambini presenti un episodio di otite media effusiva (OME) in età prescolare17. Ancora oggi vi sono pareri discordanti circa le ripercussioni delle OME sulla capacità uditiva e sullo sviluppo del linguaggio18. Generalmente, se l’ipoacusia da OME è temporanea (< 3-4 mesi) ha un impatto trascurabile sullo sviluppo di un bambino sano. Tuttavia, nelle condizioni a rischio vi è maggiore possibilità di ritardo del linguaggio, associata all’ipoacusia trasmissiva, legata all’accumulo di fluido nell’orecchio medio. Anche l’approccio terapeutico di questa condizione è dibattuto. Le attuali linee guide dell’American Academy of Otolaryngology sconsigliano l’uso di steroidi, antibiotici, decongestionanti e antistaminici, così come l’adenoidectomia (a meno di ostruzione nasale e adenoidite cronica). Si preferisce una vigile attesa, ponderando il ruolo dell’OME e le sue conseguenze con opportuni algoritmi valutativi che tengono conto della ricorrenza e durata dei sintomi, del gra-
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do di perdita uditiva e della presenza di altre condizioni di rischio per l’udito e lo sviluppo del linguaggio (ad esempio al sindrome di Down). La scelta chirurgica dei drenaggi transtimpanici, posizionati sulla membrana timpanica per favorire la ventilazione dell’orecchio medio, è indicata nei casi sintomatici, ricorrenti o persistenti (ipoacusia > 4 mesi) e/o nei casi con membrana timpanica danneggiata19. Un aspetto peculiare del caso analizzato riguarda anche il riscontro di ugola bifida (Figura 2). Si tratta di una variante anatomica presente con frequenza variabile da 0,18% a 10,3%, a seconda della popolazione studiata. Può essere una variante anatomica fisiologica isolata oppure essere predittiva di altre disgenesie degne di nota, come più frequentemente la palatoschisi sottomucosa, fino a patologie sindromiche (come Marfan, Loeys-Dietz, Ehlers-Danlos). Dal punto di vista funzionale, l’ugola bifida può comportare l’insufficienza velofaringea, con conseguenti problemi di deglutizione (rigurgiti nasali, disfagia per i liquidi), difficoltà nel parlato (voce ipernasale, compromessa intelligibilità) e problemi uditivi20.
Nel bimbo del nostro caso il riscontro di ugola bifida e insufficienza velo-palatale, insieme alla disfunzione tubarica, hanno contribuito a spiegare l’origine trasmissiva del danno. Un’altra considerazione riguarda l’analisi genetica. Il gene GJB2 codifica per la connessina 26, proteina coinvolta nell’accoppiamento chimico-elettrico della stria vascularis, nell’organo del Corti. Nella popolazione europea e statunitense, mutazioni di tale gene sono responsabili di oltre la metà delle ipoacusie non sindromiche a trasmissione autosomica recessiva. In presenza di una mutazione o delezione in eterozigosi nel gene GJB2, si consiglia l’analisi del gene GJB6, codificante per la connessina 30, in modo da valutare la possibilità di una doppia eterozigosi, patogenetica22. Il caso descritto ci insegna che nelle ipoacusie di grado lieve-moderato identificate grazie allo screening neo-
natale è fondamentale poter discriminare tra un’origine trasmissiva e neurosensoriale. Nei bambini piccoli questo è possibile grazie all’incrocio dei risultati clinici e strumentali, interpretati sulla base del quadro clinico globale. La valutazione audiologica dovrebbe sempre essere accompagnata da approfondimenti per stabilire se la perdita uditiva è parte di un quadro più complesso, sindromico o è isolata. L’approccio diagnostico-valutativo integrato è fondamentale per scegliere l’adeguato trattamento dell’ipoacusia. Il caso presentato ha permesso di chiarire l’origine trasmissiva del problema uditivo, di escludere altre condizioni cliniche associate e di non confermare l’indicazione protesica. La normoacusia, alla rivalutazione a 2 mesi dall’inquadramento diagnostico, ha permesso di interpretare la precedente diagnosi di ipoacusia trasmissiva come conseguenza di una temporanea condizione anatomo-funzionale tubarica. La costituzione di un percorso integrato di valutazione, diagnosi e followup richiede una collaborazione multidisciplinare dei singoli specialisti e pone le basi per una presa in carico globale del singolo paziente e della sua famiglia23. CONCLUSIONI In un’era (e una parte di mondo) in cui lo screening uditivo neonatale è una prassi consolidata, la promessa di identificare precocemente un deficit uditivo va mantenuta. L’altrettanta tempestività della presa in carico dei piccoli pazienti con un sospetto uditivo raggiunge i benefici attesi solo in presenza di un approfondimento audiologico, clinico e una ricerca eziologica mirata. Particolare attenzione va posta alla ipoacusia di grado lieve-moderato, in quanto è un riscontro frequente allo screening uditivo alla nascita. Alla luce dei vantaggi e limiti delle tecniche dell’esame audiologico, un completo percorso valutativo, diagnostico ed eziologico permette di acquisire dati, dal cui incrocio è possibile
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L'inquadramento delle ipoacusie in epoca neonatale e pediatrica
MESSAGGI CHIAVE ❏ Lo screening uditivo neonatale è fondamentale per il riconoscimento precoce di un deficit uditivo congenito. ❏ In caso di fallimento dei test di screening uditivo, il sospetto di deficit uditivo va escluso o confermato con un inquadramento diagnostico-eziologico che include una valutazione audiologica completa. ❏ Il frequente riscontro di un’ipoacusia neonatale di grado moderato impone l’impiego di esami audiologici specifici per una diagnosi differenziale tra origine trasmissiva, neurosensoriale o mista. ❏ Tutti i deficit uditivi di grado significativo (> 35-40 dB HL) meritano un intervento terapeutico. ❏ Nei bambini, le ipoacusie di tipo trasmissivo sono spesso temporanee e di grado lieve-moderato. ❏ Le otiti medie effusive sono la principale causa di temporanea trasmissività. ❏ Le ipoacusie trasmissive permanenti, nei bambini sono più spesso associate a malformazioni dell’orecchio esternomedio o cranio-facciali.
proporre l’opzione terapeutica più adeguata e garantire un follow-up personalizzato a ogni bambino. Indirizzo per corrispondenza: Agnese Feresin e-mail: agnese.feresin@burlo.trieste.it
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PUBBLIREDAZIONALE
BENESSERE INTESTINALE SIN DAL PRIMO GIORNO DI VITA:
L’IMPORTANZA DEI PROBIOTICI
Il ristabilimento dell’equilibrio del microbiota intes�nale può essere favorito dall'azione dei probio�ci. La definizione di probio�ci (le�eralmente “ a favore della vita “ dal greco Pro Bios) è quella emanata dal Ministero della Salute:
Abiflor Baby in breve
“i probio�ci sono microrganismi vivi che, quando somministra� in quan�tà adeguate, forniscono all’ospite (nel nostro caso l’organismo umano) dei vantaggi in termini di salute”.
• Grazie all’azione sinergica dei 2 ceppi Lactobacillus reuteri LRE02
La quan�tà minima sufficiente per o�enere una temporanea colonizzazione dell’intes�no da parte di un ceppo probio�co è di almeno 1 miliardo di cellule vive per ceppo e per dose (Ministero della Salute, Commissione unica per la nutrizione e la diete�ca. Guidelines on probio�cs and prebio�cs. Ministero della Salute (online),h�p://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_1016_allegato.pdf (2013)).
fin dal primo giorno di vita. In par�colare, è indicato in caso di
E’ stato evidenziato che differen� formulazioni commerciali probio�che possono differire mol�ssimo tra loro in termini di contenuto di microrganismi vivi, capacità di resistere ai succhi gastrici, agli acidi biliari e agli enzimi pancrea�ci (1).
che che incrementa la resistenza dei microrganismi probio�ci
Il gruppo di studio ESPGHAN ha suggerito che un probio�co che possa definirsi tale, debba avere le seguen� cara�eris�che minime (2):
• Il prodo�o è “allergen-free”: garan�sce l’esclusione totale di
• deve essere presente in un quan�ta�vo sufficiente al termine della “shelf-life”; • deve passare indenne a�raverso il tra�o gastrointes�nale ed in par�colare resistere agli acidi biliari e ai succhi gastrici; • deve essere in grado di colonizzare l’intes�no; • deve mantenere le funzioni benefiche per il quale è stato ministrato;
(200 milioni di cellule vive) e Lactobacillus rhamnosus LR04 (1 miliardo di cellule vive), Abiflor baby® è u�le per favorire l’eubiosi gastroenteri� acute, coliche, s�psi, dischezia e disbiosi associata a terapia an�bio�ca. • Con�ene ceppi ba�erici microincapsula�. La microincapsulazione è una par�colare tecnologia di rives�mento delle cellule ba�eridurante il transito gastro-duodenale, consentendo loro di arrivare vivi e a�vi fino all’intes�no, con una resa 5 volte superiore.
sostanze potenzialmente allergizzan�, come proteine del la�e vaccino e della soia, glu�ne e l’assenza di fru�osio e saccarosio (intolleranza ereditaria al fru�osio), aspe�o di notevole importanza per tu� i bambini e in par�colare nel la�ante. • Garan�sce la vitalità di tu� i ceppi contenu� fino alla data di scadenza.
som-
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Esso associa 2 ceppi ba�erici appartenen� alle “famiglie” più u�lizzate e studiate in pediatria: Lactobacillus reuteri LRE02 (DSM 23878) e Lactobacillus rhamnosus LR04 (DSM 16605) che hanno dimostrato avere effe� immunomodulatori e/o immunos�molan� e vengono spesso u�lizza� per la prevenzione e la cura di coliche infan�li, della s�psi, della disbiosi associata a terapia an�bio�ca e come coadiuvan� nella cura di gastroenteri� acute. A proposito di gastroenteri� acute il ceppo LR04 contenuto in Abiflor Baby si è mostrato efficace nell’inibire la crescita dei principali ceppi “diarrogeni” di E. coli (3). Oggi la conoscenza più approfondita dei singoli ceppi di ba�eri probio�ci, delle loro peculiari cara�eris�che e della possibillità di associarli per creare u�li sinergie sta aprendo la strada a quella che è la tecnologia applicata alla medicina, per un approccio alla patologia e al paziente più personalizzato. Bibliografia 1. Toscano M, de Vecchi E, Rodighiero V, Drago L. Microbiological and gene�c iden�fica�on of some probio�cs proposed for medical use in 2011. J Chemother. 2013 Jun;25(3):156-61. 2. Ko laček S1, Hojsak I, Berni Canani R, Guarino A, et al.Commercial Probio�c Products: A Call for Improved Quality Control. A Posi�on Paper by the ESPGHAN Working Group for Probio�cs and Prebio�cs. J Pediatr Gastroenterol Nutr. 2017;65:117-124. 3. Mogna L, Del Piano M, Deidda F, Nicola S, Soa�ni L, Debiaggi R, Sforza F, Strozzi G, Mogna G. Assessment of the in vitro inhibitory ac�vity of specific probio�c bacteria against different Escherichia coli strains. J Clin Gastroenterol. 2012 Oct;46 Suppl:S29-32.
5 gocce/die.
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513-517 Art Spec CAA.qxp_elisa 08/10/20 15:08 Pagina 513
Articolo speciale
Cosa deve sapere ogni pediatra sulla comunicazione aumentativa alternativa (CAA) CYNTHIA LA MANNA1, ISABELLA PRINA1, MICHELE CAVALLERI1, PATRIZIA CONTI1, ANGELO SELICORNI2
UO di Neuropsichiatria Infantile e dell’Adolescenza, 2UOC di Pediatria, ASST Lariana, Como
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È un approccio dai vari volti, ma con lo scopo univoco di offrire alle persone con bisogni comunicativi complessi la possibilità di utilizzare canali che si affiancano alla comunicazione orale. La comunicazione aumentativa alternativa (CAA) offre numerose potenzialità, ma è ancora poco diffusa nel nostro Paese. “Comunicare è un diritto di tutti, favorirne la possibilità è un dovere sociale”.
CHE COS’È LA CAA?
Si tratta di un’area della pratica clinica che cerca di compensare la disabilità temporanea o permanente di soggetti con bisogni comunicativi complessi. È una Comunicazione interattiva e viene usata da entrambi i partner comunicativi: quello verbale e quello con deficit di linguaggio o non verbale: quando viene utilizzata dal partner comunicativo verbale è a supporto della comprensione del linguaggio parlato (recettiva); spesso si avvale di gesti o segni e immagini e utilizza un doppio input comunicativo sia visivo che uditivo. È Aumentativa perché ha lo scopo principale di potenziare, ampliare ed espandere (in inglese augmentative)1 la comunicazione e il linguaggio supportando tutte le potenzialità comunicative della persona a partire dalle vocalizzazioni e dal linguaggio verbale esistente. È Alternativa perché utilizza modalità alternative alla comunicazione tradizionale: si avvale di gesti, segni, ausili per la comunicazione e tecnologia avanzata e rientra nella tecnologia assistiva. CHE COSA NON È...
Non è una tecnica riabilitativa perché non può essere patrimonio solo
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WHAT PAEDIATRICIANS NEED TO KNOW ON AUGMENTATIVE ALTERNATIVE COMMUNICATION (AAC) (Medico e Bambino 2020;39:513-517)
Key words Augmentative Alternative Communication (AAC), Double communicative input, Complex disabilities, Assistive technology Summary Augmentative Alternative Communication (AAC) is an area of clinical practice that tries to compensate for the temporary or permanent disability of individuals with complex communication needs. It uses gestures or signs and images and utilises a double communicative input, both visual and auditory. It is Augmentative because its main purpose is to enhance and expand ("augmentative" 1983 ISAAC) communication and language, supporting all the communicative potential of the person. It is Alternative because it uses an alternative method to traditional communication: it utilises gestures, signs, aids for communication and advanced technology, falling within Assistive Technology (AT). AAC users are mainly those with complex (cognitive and communicative) disabilities. Moreover, it is also used in all those temporary situations in which communication is hindered by traumatic factors (intensive care, first aid) or linked to the issue of integration / inclusion. For example, foreign people can benefit from the use of AAC in order to reduce discomfort in social relations and language learning. The Authors highlight the potential of AAC both on the basis of scientific and clinical evidence and describe the evolution of two clinical cases followed at the Child and Adolescent Neuropsychiatry Unit in Como (Italy).
del terapista, ma deve essere adottata e condivisa da tutti i contesti di vita del suo fruitore, in ogni momento e luogo della sua vita: risponde così alle continue esigenze di cambiamento ed è quindi un sistema flessibile, su misura per ogni persona. Il modello di intervento risulta essere esclusivamente e imprescindibilmente partecipativo e prevede l’attivazione di tutto il contesto di vita del soggetto interessato cioè la famiglia, la scuola, i Servizi sociali, le strutture
sanitarie, i Centri ludico-sportivi-ricreativi, la struttura religiosa e la biblioteca che frequenta. Tale attivazione è subordinata a un percorso formativo presso Centri dedicati. CHI SONO GLI UTENTI?
Principalmente quei soggetti in età evolutiva e in età adulta, portatori di una disabilità complessa (cognitiva e di comunicazione) capaci di utilizzare
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Articolo speciale
strategie per esprimere bisogni comunicativi legati a scelte, emozioni e stati d’animo. Inoltre tutte quelle situazioni temporanee in cui la comunicazione è ostacolata per impedimenti legati a fattori traumatici (Terapia Intensiva, Pronto Soccorso) oppure legate alla problematica di integrazione/inclusione: le persone straniere possono beneficiare dell’utilizzo della CAA al fine di ridurre il disagio nella comunicazione interpersonale, nelle relazioni sociali e nell’apprendimento della lingua. QUANDO UTILIZZARE LA CAA?
È importante considerare che l’unico prerequisito fondamentale per la presa in carico con la CAA è l’attivazione del contesto in termini di collaborazione continuativa nel tempo e partecipazione al percorso formativo sia del soggetto che della collettività, mentre età, livello cognitivo o gravità di compromissione non sono fattori così rilevanti. PERCHÉ UTILIZZARE LA CAA?
La CAA migliora il linguaggio verbale implementando le abilità di comunicazione e interazione2. Soggetti con disturbo dello spettro autistico migliorano il loro uso del linguaggio parlato comprensibile se esposti a simboli grafici, visivi e parole durante l’interazione con il partner comunicativo, in situazioni quotidiane3. La CAA con tavole di comunicazione mediante immagini ha aumentato la frequenza e la lunghezza delle espressioni verbali durante la lettura di storie4 e ha implementato sia l’attenzione congiunta che le capacità grafico-rappresentative, come emerso da ricerche in ambito clinico. QUALI I PRESUPPOSTI TEORICI DELLA CAA?
I capisaldi teorici alla base del modello di intervento con la CAA sono due: i neuroni specchio e l’ICF (classificazione internazionale del funziona-
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mento, delle disabilità e della salute, redatta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità). I primi sono un sistema automatico che entra in risonanza con le azioni effettuate da un altro, attivando lo stesso partner motorio necessario a compiere le azioni osservate, senza agire però concretamente. La teoria dei neuroni specchio mette in evidenza come lo snodo chiave che differenzia l’uomo dai primati sul piano comunicativo non è stato tanto il linguaggio, quanto la funzione comunicativa e sociale attraverso gesti naturali e specifici quali indicare e mimare5,6. Dal momento che la capacità umana di comunicare si è sviluppata prima dai gesti e poi dal linguaggio è un sistema attivo fin dalla nascita: infatti i neonati nascono con una serie di competenze innate che favoriscono lo sviluppo della comunicazione, ma tali competenze necessitano dell’interazione con l’altro per svilupparsi e implementarsi7,8. Ecco che ogni atto comunicativo presuppone almeno due partner che attraverso la ripetizione regolare di sequenze creano un terreno comune noto e condiviso che permette la comunicazione intenzionale in una turnazione di gesti e parole. Questa capacità dell’uomo di collaborare con altri uomini verso fini congiunti e di agire con una intenzionalità comunicativa condivisa è unica e specifica della comunicazione umana9,10 e rende dunque fondamentale l’intervento di CAA nei soggetti con bisogni comunicativi complessi. L’ICF, redatta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha portato a un grande cambiamento dello sguardo sulla disabilità, che non viene più classificata in base alla conseguenza della malattia, bensì in base alle componenti della salute che sono intese come fattori fondamentali di salute e benessere 11. Se guardiamo dunque alla disabilità come al risultato dell’interazione fra fattori individuali e fattori contestuali/ambientali12, anche la comunicazione risulta tra questi e nel caso di un disturbo complesso o situazioni contingenti/ambientali problematiche può essere causa di un
ampliamento della disabilità così come in presenza di strategie e facilitatori può risultare un fattore assolutamente rilevante per una riduzione della stessa. L’intervento di CAA ha lo scopo di creare strumenti utili a promuovere e sviluppare la comunicazione spontanea con conseguente riduzione della disabilità (ICF), incrementando la partecipazione attiva e l’intenzionalità comunicativa nei diversi ambienti. QUALI GLI STRUMENTI?
Gli strumenti e le tecniche utilizzate nella CAA sono diversi e molteplici in base alla patologia, all’età ai bisogni personali e alle caratteristiche cliniche. Una prima distinzione si basa sul tipo di sistema utilizzato: corporeo, cioè segni manuali, gesti e vocalizzazioni, CAA non assistita, oppure extracorporeo, cioè disegni, fotografie, simboli tridimensionali o lineari, CAA assistita. Quando il sistema assistito si avvale del supporto di dispositivi tecnologici o ausili informatici, in base al livello di tecnologia si distinguono sistemi di CAA a bassa tecnologia oppure ad alta tecnologia13. Il linguaggio dei segni è un esempio di CAA non assistita, i PECS (sistema di comunicazione per scambio di simboli), le tavole comunicative, gli Inbook (libri con il testo scritto in simboli) sono esempi di CAA assistita. CAA E STRUTTURE SANITARIE: L’ESPERIENZA DI COMO
L’ambulatorio di Neuropsichiatria infantile si occupa di diagnosi, cura, riabilitazione e presa in carico dei minori che soffrono di malattie neurologiche, psichiatriche, disturbi neuropsicologici e disabilità di vario grado. L’intervento è allargato alla famiglia e all’ambiente di vita e viene effettuato da una équipe multidisciplinare. Tra i vari interventi, quello della CAA sui minori con difficoltà di comunicazione linguistica occupa un posto di rilievo e viene proposto sia in ambito ambulatoriale che in via sperimen-
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Cosa deve sapere ogni pediatra sulla comunicazione aumentativa alternativa (CAA)
ESEMPI DI STRUMENTI IN CAA
Didattica in CAA: testo di storia semplificato in simboli
Tabella a tema per la scelta
Inbook
Libri modificati su misura
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Per saperne di più: www.sovrazonalecaa.org - www.csinbook.altervista.org - www.isaacitaly.it
Figura 1
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tale presso il reparto di Pediatria dell’ospedale Sant’Anna di Como, dove l’équipe dedicata alla CAA fornisce una consulenza al reparto di Genetica pediatrica, diretta dal dottor Angelo Selicorni, finalizzata ad attivare percorsi di CAA, fornendo materiali informativi e supervisioni ai Centri riabilitativi di riferimento. L’obiettivo di incontrare genitori e bambini affetti da sindromi genetiche, perlopiù rare, è di individuare gli strumenti più efficaci per sviluppare l’intenzionalità comunicativa e la capacità di attenzione condivisa all’ascolto così da sostenere la comunicazione (comprensione e linguaggio), creando situazioni/ambienti facilitanti e motivanti. Uno di questi strumenti è il libro illustrato in simboli, personalizzato, cioè fatto sull’esperienza e il vissuto del bambino, oppure il libro in simboli costruito “su misura” per il bambino, quindi modificato dal testo originale11. Per offrire miglior accoglienza ai pazienti e alle loro famiglie sono stati “etichettati” con simboli di CAA gli ambienti sia del reparto di Pediatria che del Pronto Soccorso pediatrico e all’interno della libreria presente in reparto, è stata allestita una piccola sezione di libri in simboli CAA. I libri in simboli sono un valido strumento anche quando traducono fedelmente il testo originale (Inbook) e vengono usati nella nostra Unità Operativa di Neuropsichiatria Infantile e dell’Adolescenza (UONPIA) nei laboratori con piccoli utenti con bisogni comunicativi complessi, tra cui anche stranieri esposti a bi-trilinguismo, così da condividere un modello di lettura ad alta voce anche con i genitori che spesso necessitano di percorsi che supportino il legame affettivo con i figli e la capacità empatica. I laboratori vengono anche svolti nelle scuole sia dell’infanzia che primaria e secondaria di primo grado così da generalizzare la proposta di lettura ad alta voce di libri in simboli, favorendo l’integrazione e l’inclusione del soggetto con bisogni comunicativi complessi nella sua classe e nell’ambiente scolastico. La CAA e gli strumenti di CAA, utilizzati nel progetto di intervento ambulatoriale sia durante i laboratori
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Articolo speciale
di lettura sia nei trattamenti neuropsicomotori individuali e di gruppo, hanno permesso a molti dei nostri utenti e alle loro famiglie di migliorare le relazioni sociali, aumentando le possibilità di integrazione, inclusione nei diversi contesti di vita, potenziando il coinvolgimento dei partner comunicativi sia genitori che insegnanti e coetanei. Di seguito due casi clinici che illustrano le modalità di intervento con la CAA. Caso 1: sindrome da alterazione globale dello sviluppo psicologico non specificata
Il bambino nasce nel 2005. All’età di tre anni viene fatta una valutazione neuro-psicomotoria che evidenzia un difetto di regolazione del comporta-
mento, con instabilità psicomotoria, associato a un quadro di disfasia. Presenta un potenziale cognitivo, ma essendo esposto a tre lingue (filippino, inglese, italiano) la comprensione è deficitaria così come l’espressione linguistica è gravemente compromessa. In seguito alla valutazione inizia il trattamento psicomotorio presso la UONPIA di Como con frequenza bisettimanale. All’età di sei anni l’équipe multidisciplinare decide di inserire il bambino all’interno del Progetto regionale “Supporto delle gravi disabilità della comunicazione in età evolutiva” che, con la formazione e supervisione dell’équipe del Centro sovrazonale di Comunicazione Aumentativa, diretta dalla dottoressa Costantino, si occupa di formare in CAA le UONPIA della
CASO 1: CAMBIAMENTI SIGNIFICATIVI AVVENUTI CON LA CAA Prima dell’intervento in CAA Dopo l’intervento in CAA Bambino silente, agisce i bisogni Ecolalia differita contestuale e imitazione e usa poco la comunicazione non verbale gestuale del simbolo associato alla parola (basta/ancora) Olofrase contestuale al bisogno Comprensione della lingua inglese
Miglioramento della comprensione della lingua italiana e produzione di parole fino alla produzione di semplici frasi legate al contesto
Scrittura guidata e imitativa al PC
Scrittura spontanea di singole parole al PC con iniziale significato contestuale. Lettura di simboli, ma anche di parole ad alta familiarità senza simbolo associato
Isolamento con i pari
Iniziali rapporti con i coetanei e maggior coinvolgimento nel piccolo gruppo classe fino alla partecipazione a momenti extrascolastici come compleanni e pizze di gruppo
Tabella I CASO 2: CAMBIAMENTI SIGNIFICATIVI AVVENUTI CON LA CAA Prima dell’intervento in CAA Bambino con assenza di produzione verbale in lingua italiana/poche parole in turco. Vocalizzi afinalistici
Dopo l’intervento in CAA Ripetizione di parole bisillabiche e trisillabiche con supporto del simbolo, aumento delle parole nella lingua madre, riduzione importante dei vocalizzi afinalistici
Scarsa comprensione del messaggio verbale sia in lingua turca che in italiano
Miglioramento della comprensione della lingua italiana e produzione spontanea di parole legate alla presentazione del simbolo
Atteggiamento ipo-reattivo di fronte alle proposte
Partecipazione alle attività strutturate e semi-strutturate
Tabella II
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Lombardia e i contesti di vita dei loro utenti. Dopo una valutazione sulle capacità comunicative emerge che il bambino ha un disturbo di comprensione significativo e fatica a comprendere le parole se isolate dal contesto: si comporta come una persona straniera alle prese con una lingua sconosciuta; il suo livello cognitivo è migliore del suo livello linguistico. Le proposte di intervento messe in atto durante l’approccio neuro-psicomotorio integrato alla CAA hanno comportato un utilizzo massiccio di libri su misura, l’utilizzo degli strumenti di CAA in simboli WLS (Widgit Literacy Symbols) e l’utilizzo in un primo momento di un ausilio a uscita in voce (32 caselle) e successivamente di un tablet dotato di un software per griglie con simboli in CAA (Figura 1). Con la crescita del bambino si è considerata la necessità di lavorare sulle capacità/autonomie sociali ed è stato proposto un percorso condiviso con un altro utente con bisogni comunicativi complessi, utilizzando la CAA come linguaggio comune a entrambi gli utenti. Durante la presa in carico con la CAA sono stati anche proposti laboratori di lettura ad alta voce con libri in simboli Inbook sia presso il Servizio di Neuropsichiatria sia presso la scuola primaria e secondaria di primo grado che tutt’oggi frequenta con una buona riuscita sia dal punto di vista degli apprendimenti (la CAA lo supporta nella comprensione dei testi e nelle verifiche personalizzate) sia dell’integrazione e inclusione all’interno della classe. La Tabella I evidenzia i cambiamenti significativi avvenuti. Caso 2: disturbo generalizzato dello sviluppo non ancora specificato (ICD 10, F 84.9)
Il bambino, originario della Turchia, nasce a maggio 2016 a Como, con parto eutocico dopo una gravidanza fisiologica. Riscontro di ipoglicemia in prima giornata di vita trattata con infusione con soluzione glucosata. Il bambino ha raggiunto la deambulazione autonoma ai 13 mesi. All’età di tre anni la valutazione neuro-psicomotoria ha evidenziato un comporta-
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Cosa deve sapere ogni pediatra sulla comunicazione aumentativa alternativa (CAA)
MESSAGGI CHIAVE ❏ Comunicare è un diritto di tutti, favorire la possibilità di comunicare è un dovere sociale. ❏ La CAA rappresenta più di una pratica clinica dal momento che costituisce una vera e propria lingua per chi è portatore di bisogni comunicativi complessi. ❏ È di supporto alla relazione, allo scambio comunicativo fra pari, sostiene le autonomie sociali e gli apprendimenti in ogni contesto di vita.
mento ipoattivo, assenza di gioco strutturato, comportamenti e azioni non finalizzati e stereotipati, grave ritardo nello sviluppo del linguaggio. In ambiente domestico è esposto prevalentemente alla lingua di origine, il turco. I genitori hanno riferito che il bambino dice solo poche parole nella sua lingua (“mamma”, “finito”, “ancora”) e che tende a giocare da solo, senza ricercare l’interazione con gli altri; le autonomie personali presentano un marcato ritardo. Inizia così un trattamento individuale psicomotorio con cadenza bisettimanale integrato all’uso della CAA dal momento che la comprensione, l’espressione linguistica e l’intenzionalità comunicativa sono gravemente compromesse e limitate a vocalizzi spesso afinalistici. Le proposte di intervento messe in atto durante l’intervento neuro-psicomotorio hanno integrato l’uso della CAA per sostenere la comprensione del messaggio verbale e lo scambio comunicativo. Sono state proposte at-
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tività ludiche, partendo da un livello senso-motorio, supportate dai simboli di CAA (Figura 1) che la terapista della neuro- e psico-motricità dell’età evolutiva ha usato in entrata per supportare la comprensione dell’azione e stimolare l’attenzione condivisa. Il rapido cambiamento che si è evidenziato dopo circa due mesi di intervento ha permesso la proposta di lettura di semplici libri in simboli CAA e l’ampliamento del setting con proposte di attività ludiche strutturate e semistrutturate. La Tabella II evidenzia i cambiamenti significativi.
Indirizzo per corrispondenza: Angelo Selicorni e-mail: angelo.selicorni61@gmail.com
Bibliografia 1. ISAAC Italy. Società Italiana per la Comunicazione Aumentativa Alternativa, sezione italiana. http://www.isaacitaly.it/caa.htm. Ultimo accesso 12 ottobre 2019.
2. Millar D, Light J. Eshosser R. The impact of AAC on natural speech development: a meta analysis. Atti della 9a conferenza biennale dell’ISAAC. Washington (DC), 2000, pagg. 740-1. 3. Romsky MA, Sevick RA. Breaking the speech barrier: language developmental through augmented means. Baltimore: Paul H. Brooks, 1996. 4. Dexter ME. The effects oh aided language stimulation upon verbal output and augmentative communication during storybook reading for children with pervasive developmental disabilities. Johns Hopkins University, 1998, 492 pagg. 5. Costantino MA, Anastasi S, Bergamaschi E, et al. Costruire libri e storie con la CAA. Gli IN-book per l’intervento precoce e l’inclusione. Erikson, 2011, pagg. 43. 6. Rizzolati G, Sinigallia C. So quel che fai: il cervello che agisce e i neuroni a specchio. Milano: Raffaello Cortina editore, 2006. 7. Costantino MA, Anastasi S, Bergamaschi E, et al. Costruire libri e storie con la CAA. Gli IN-book per l’intervento precoce e l’inclusione. Erikson, 2011, pag. 45. 8. Gergely G, Watson JS. The social biofeedback model of parrental affect mirroring: the developmental of emotional self-awareness and self control in infancy. Int J Psychoanal 1996;77(Pt 6):1181-212. 9. Costantino MA, Anastasi S, Bergamaschi E, et al. Costruire libri e storie con la CAA. Gli IN-book per l’intervento precoce e l’inclusione. Erikson, 2011, pagg. 47-8. 10. Tommasello M. Le origini della comunicazione umana. Milano: Raffaello Cortina editore, 2009. 11. National Joint Committee for the Communication Needs of Persons With Severe Disabilities. Guidelines for meeting the communication needs of persons with severe disabilities. 1992. https://www.asha.org/policy/GL1992-00201. 12. Buono S, Zagaria T. ICF - classificazione internazionale del funzionamento delle disabilità e della salute. Ciclo evolutivo e disabilità. 2003. 13. Costantino MA, Anastasi S, Bergamaschi E, et al. Costruire libri e storie con la CAA. Gli IN-book per l’intervento precoce e l’inclusione. Erikson, 2011, pag. 55 e pagg. 79-135.
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Percorsi clinici
Febbre di origine sconosciuta (FUO) Approccio diagnostico attraverso un caso clinico DAVIDE URSI, SIMONA PUZONE, CATERINA STRISCIUGLIO
Dipartimento della Donna, del Bambino e di Chirurgia Generale e Specialistica, Università della Campania “Luigi Vanvitelli”
Secondo i nuovi criteri classificativi la febbre di origine sconosciuta è una febbre > 38 °C che persiste da almeno 8 giorni senza una causa identificabile. L’articolo ne riporta le possibili cause, il ragionamento clinico da seguire, con una riflessione a partire dalla descrizione di un caso clinico: prima di considerare le ipotesi più difficili e rare, meglio valutare in modo approfondito quelle più logiche e realistiche ed eventualmente riconsiderarle se ci si trova in difficoltà.
IL CASO DI ANNA
Anna, 12 anni, è una bambina affetta da rettocolite ulcerosa (RCU), in terapia di mantenimento con metotrexate intramuscolo una volta a settimana e infliximab ogni 8 settimane (ultima somministrazione circa 2 settimane prima). Da circa 7 giorni presenta febbre remittente con puntate mattutine e serali di 38,5 °C, trattata a domicilio con ciprofloxacina e paracetamolo, su consiglio del pediatra di famiglia. Per il persistere della sintomatologia viene ricoverata presso la nostra struttura. All’esame obiettivo le condizioni generali sono discrete: TC 38,2 °C, FC 111 bpm, PA 90/52 mmHg, SatO 2 100%, tempo di ricircolo < 2 sec. Esantema maculare su arti superiori, tronco e in sede malare, maggiormente visibile in corrispondenza dei picchi febbrili. Faringe lievemente iperemico, cheilite e lesioni vescicolo-bollose sulla mucosa labiale, micropoliadenopatia laterocervicale. Obiettività cardiotoracica nella norma. Addome trattabile e non dolente alla palpazione superficiale e profonda, organi ipocondriaci nei limiti. All’esame obiettivo articolare non si riscontra la presenza di rossore, tumefazione o deformazione e la mobilità sia attiva che passiva risulta conservata. La malattia di base è in remissione e control-
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FEVER OF UNKNOWN ORIGIN: DIAGNOSTIC APPROACH THROUGH A CLINICAL CASE (Medico e Bambino 2020;39:519-525)
Key words FUO, Cytomegalovirus, Ulcerative colitis, Fever, Rash Summary The paper reports the case of a 12-year-old female affected by ulcerative colitis and treated with double immunosuppressant therapy (methotrexate and infliximab). The patient presented with 7 day-lasting fever associated with pharyngotonsillar hyperaemia, cheilitis, vesicular-bollous lesions on labial mucosa and rash on malar regions, chest and upper extremities. Since full blood count showed lymphocytosis and inflammatory markers were negative, a viral infection was suspected. Virological tests identified the presence of IgM against Cytomegalovirus (CMV), Herpes and Mumps viruses, but Real-Time PCR was negative for the DNA detection of any of those viruses. Despite hospital admission and different investigations, fever persisted for more than 7 days without any explanation. Therefore, it was considered as Fever of unknown origin (FUO). FUO is often an unusual manifestation of a common disease but so far there is not a single validated diagnostic protocol. In the presented case only did the repetition of the Real-Time PCR test after a few days enable CMV DNA to be identified in the patient’s blood and urine and CMV infection to be diagnosed.
lata dalla doppia terapia immunosoppressiva: Anna non presenta dolore addominale né rettorragia, l’alvo è regolare per frequenza delle evacuazioni e consistenza delle feci, nega evacuzioni notturne e limitazioni delle normali attività quotidiane. Pertanto il punteggio del Pediatric Ulcerative Colitis Activity Index (PUCAI), fortemente indicativo dell’attività di malattia1, è 0. Gli esami di laboratorio all’ingresso mostrano lieve leucocitosi (11.200/ mm 3) con linfomonocitosi (linfociti 56,6%; monociti 13,3%; neutrofili
25,6%), VES aumentata (34 mm/h), PCR e PCT negative, LDH 249 U/l, bilirubina totale 0,41 mg/dl e transaminasi, CPK, trigliceridi e profilo coagulativo tutti nella norma. Esame delle urine e urinocoltura negativi. Emocoltura al picco febbrile negativa. Considerato che la paziente è in terapia con immunosoppressori e non ha risposto alla ciprofloxacina, iniziamo terapia con ceftriaxone e, per mancato sfebbramento dopo 48 ore, sostituiamo con piperacillina + tazobactam e claritromicina.
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Percorsi clinici
Prima riflessione Ricapitolando, febbre remittente non responsiva ad antibiotici a largo spettro, rash maculare in corrispondenza dei picchi febbrili, linfomonocitosi, PCR negativa, linfonodi laterocervicali palpabili in paziente con RCU in remissione in terapia con immunosoppressori. Il primo sospetto sembra scontato: qual è secondo voi e quali esami chiedereste per la conferma?
Sicuramente sospettiamo un’infezione virale opportunista e l’esame di elezione è la ricerca anticorpale. È bene ricordare infatti che i pazienti come Anna, affetti da RCU e in trattamento con immunosoppressori, sono maggiormente esposti a infezioni, in particolare da citomegalovirus (CMV)2. In questi pazienti il CMV può determinare, oltre che un’infezione sistemica, una grave colite che, tuttavia, abbiamo potuto escludere con la valutazione del PUCAI score. Poiché la bambina non aveva mai praticato vaccinazioni per volontà materna, effettuiamo una ricerca anticorpale allargata verso morbillo, parotite, rosolia, herpes virus 1-2 (HSV), virus di Epstein-Barr (EBV), CMV, adenovirus e Toxoplasma, che mostra IgM positive per CMV, HSV e parotite. Ipotizziamo una possibile cross-reattività tra IgM virali ed eseguiamo la ricerca di DNA virale tramite real-time PCR su sangue, che però risulta negativa. Seconda riflessione Esclusa l’ipotesi virologica, quale altra ipotesi può essere presa in considerazione? Esantema, cheilite, linfoadenopatia > 1,5 cm sono tre dei cinque criteri maggiori di quale patologia?
La malattia di Kawasaki, la cui diagnosi richiede la presenza di almeno 4 dei 5 criteri maggiori (Tabella I). L’assenza di alterazioni delle estremità e di iperemia congiuntivale senza secrezioni impongono quindi la ricerca di anomalie coronariche per un’eventuale diagnosi di forma incompleta. L’ecocardiografia eseguita ne esclude però la presenza e segnala solo una piccola falda di versamento pericardico. Abbiamo comunque fatto ri-
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CRITERI CLASSICI* DELLA MALATTIA DI KAWASAKI Febbre persistente da almeno 5 giorni** e presenza di almeno 4 dei seguenti sintomi 1. Alterazioni delle estremità a) In fase acuta: eritema e/o edema del palmo delle mani e/o della pianta dei piedi b) In fase subacuta: desquamazione dei polpastrelli delle dita delle mani e dei piedi entro 2-3 settimane dall’esordio 2. Esantema polimorfo 3. Iperemia congiuntivale bilaterale senza secrezione 4. Alterazioni delle labbra e della cavità orale: arrossamento, fessurazioni labiali, lingua a fragola, iperemia del faringe e del cavo orale 5. Linfoadenomegalia laterocervicale (> 1,5 cm diametro), solitamente unilaterale Esclusione di altre malattie con caratteristiche simili *Nei pazienti con febbre da almeno 5 giorni e meno di 4 sintomi principali, la malattia di Kawasaki può essere diagnosticata quando siano identificate alterazioni coronariche tramite ecocardiografia o angiografia. **Nel caso in cui siano presenti 4 o 5 sintomi principali, la diagnosi di malattia di Kawasaki può essere effettuata in quarta giornata.
Tabella I. Da voce bibliografica 3. CRITERI ILAR PER LA DIAGNOSI DI ARTRITE IDIOPATICA GIOVANILE Presenza di artrite accompagnata o preceduta da febbre ≥ 2 settimane e almeno uno dei seguenti sintomi 1. Rash color salmone 2. Linfoadenopatia simmetrica generalizzata 3. Splenomegalia e/o epatomegalia 4. Sierosite Esclusione di altre malattie con caratteristiche simili
Tabella II. Da voce bibliografica 5, modificata. LUPUS ERITEMATOSO SISTEMICO INDOTTO DA ANTI-TNF ALFA Non sono stati ancora stabiliti specifici criteri diagnostici per il LES indotto da anti-TNF alfa. Tuttavia per una diagnosi precoce devono sussistere i seguenti fattori: • Associazione temporale fra comparsa di sintomi e terapia con inibitori del TNF alfa (da 1 mese a 12 anni dall’esposizione) • Sierologia (uno tra ANA, anticorpi anti-dsDNA, anticorpi anti-istone) • Clinica compatibile (uno tra artrite, sierosite, rash)
Tabella III. Da voce bibliografica 7, modificata.
petere l’esame a 6 settimane di distanza3,4, che ha confermato l’assenza di alterazioni coronariche. Terza riflessione L’artrite idiopatica giovanile sistemica andrebbe valutata nella diagnostica differenziale? O secondo voi l’assenza di segni di artrite all’esame obiettivo ci permette di escluderla a priori?
L’artrite idiopatica giovanile sistemica (AIGs) deve essere sicuramente considerata nei casi di febbre di lunga durata associata a rash. L’assenza di segni di artrite non permette infatti di
escludere tale ipotesi, in quanto secondo i criteri diagnostici stabiliti dall’International League of Associations for Rheumatology (ILAR) la comparsa di febbre può precedere l’interessamento articolare (Tabella II). Nel caso di Anna, però, la febbre non presentava ancora la durata di almeno 2 settimane prevista dall’ILAR per poter includere l’AIGs nella nostra diagnostica differenziale. Quarta riflessione Potremmo pensare anche a un’altra patologia reumatologica? Una bambina in terapia con infliximab che presenta
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Febbre di origine sconosciuta (FUO)
CAUSE COMUNI DI FEBBRE DI ORIGINE SCONOSCIUTA IN ETÀ PEDIATRICA INFETTIVE Batteriche Ascesso Bartonella Brucella Endocardite Febbre da morso di topo Febbre Q Febbre delle Montagne Rocciose Leptospirosi Linfogranuloma venereo Virali Adenovirus Arbovirus Citomegalovirus Enterovirus Virus di Epstein-Barr
Blastomicosi Criptosporidiosi Erlichiosi Istoplasmosi
Mastoidite Micobatteri atipici Mycoplasma Osteomielite Pielonefrite Psittacosi Salmonellosi Tubercolosi Tularemia Epatite Herpes simplex HIV Picornavirus
Fungine e parassitarie Leishmaniosi Malaria Toxoplasmosi Toxocariasi
NON INFETTIVE Oncologiche Istiocitosi a cellule di Langerhans Istiocitosi emofagocitica Leucemia Linfoma Neuroblastoma
Anticorpi antifosfolipidi Artrite idiopatica giovanile Malattia di Behçet Granulomatosi di Wegener Ipertiroidismo Malattia di Kawasaki
Autoimmuni Lupus eritematoso sistemico MICI Poliarterite nodosa Sarcoidite Tiroide subacuta Altre
Diabete insipido Disautonomia familiare Febbre da farmaci Febbre fittizia Sindrome di Kikuchi-Fujimoto
Malattia da siero Neutropenia ciclica Pancreatite Sindrome della febbre periodica
Tabella IV. Da voce bibliografica 8, modificata.
febbre, rash malare e versamento pericardico può suggerirci qualcosa? E che esami potremmo richiedere?
È necessario escludere un lupus eritematoso sistemico (LES) da farmaci indotto da infliximab (Tabella III) e richiediamo quindi anticorpi anti-nucleo (ANA) e anticorpi anti-dsDNA, che risultano però negativi. Dato che la febbre persiste da ormai 12 giorni, non è responsiva ad antibiotici e gli esami di laboratorio preliminari non hanno evidenziato alcuna causa apparente, il caso di Anna viene inquadrato come febbre di origine sconosciuta (FUO). Pratica quindi Rx del torace, ecografia dell’addome, test di Widal-Wright per Salmonella e Brucella, sierologia per Chlamydia pneumoniae e Mycoplasma pneumoniae, Quantiferon test, ricerca per epatite B (HBV) e C (HCV), quadro proteico elettroforetico, coprocoltura e altre due emocolture ai picchi febbrili per ricercare cause infettive me-
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no comuni delle febbri di lunga durata. Gli esami praticati e le indagini strumentali risultano tutti negativi. Anna continua però a presentare febbre con picchi di 39,5 °C e quindi ripetiamo l’emocromo, che indica un incremento dei leucociti (21.710/ mm3) con linfocitosi ancora più marcata (L 80,4%; N 9,6%; M 7,2%). Rivalutiamo anche il PUCAI, che conferma il punteggio di 0. Quinta riflessione A cosa dobbiamo pensare a questo punto? La domanda che ci siamo posti è questa: dobbiamo proseguire con esami di terzo livello (biopsia midollare, TC, scintigrafia, PET, RM ecc.) o ci sta sfuggendo qualcosa? Potremmo forse rivalutare il procedimento diagnostico fin qui seguito prima di andare avanti?
Noi riteniamo che il quadro clinico e l’emocromo con marcata linfocitosi siano particolarmente suggestivi per
un’infezione virale e ci ricordiamo che gli esami virologici eseguiti in prima battuta avevano evidenziato una positività delle IgM verso parotite, CMV e HSV, sebbene la ricerca diretta del DNA virale su sangue avesse poi dato esito negativo. Decidiamo quindi di ripetere la real-time PCR per i tre virus e anche ricerca di CMV-DNA sia nel sangue che nelle urine di Anna e questa volta identifichiamo DNA di CMV in entrambi i liquidi biologici. È infatti possibile che il DNA virale non venga identificato nelle prime fasi della malattia, in quanto la carica virale cresce con il progredire dell’infezione e ne rende più facile l’identificazione in fasi più avanzate7. Impostiamo quindi una terapia infusionale con ganciclovir 5 mg/kg due volte al giorno, riscontrando una graduale riduzione dei picchi febbrili e scomparsa della febbre e dell’esantema nelle 48 ore successive. Nel corso della terapia infusionale abbiamo ripetuto il dosaggio del CMVDNA con riduzione della carica a una
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Percorsi clinici
Tifo, polmonite virale
Ondulante
Remittente
38
38
Tifo, tubercolosi, febbre reumatica
Brucella, linfoma di Hodgkin
38
38
36
36 [°C] 40
[°C] 40
Intermittente
Malaria, borreliosi
[°C] 40
[°C] 40
36
36
Bifasica
Continua
38
38
36
Ricorrente
[°C] 40
[°C] 40
Pleurite, sepsi
36
Alcune infezioni virali
Figura 1. Pattern febbrili in alcuni quadri di febbre di origine sconosciuta.
settimana e poi scomparsa totale del virus dopo le due settimane di terapia. DISCUSSIONE
La FUO, descritta per la prima volta nel 1961, si definisce comunemente come una febbre documentata da un operatore sanitario la cui causa non viene individuata dopo tre settimane di controlli extraospedalieri o dopo una settimana di indagini in regime di ricovero4, sebbene fonti recenti stabiliscano che si possa già parlare di FUO nei casi di febbre con temperatura pari o superiore ai 38 °C che persista da almeno 8 giorni senza una causa identificabile8-11. Le cause di FUO sono riassunte nella Tabella IV. Si noti come l’eziologia più frequente sia quella infettiva, seguita nell’ordine da neoplasie e malattie autoimmuni, mentre tra le cause meno comuni troviamo disturbi neurologici, genetici e iatrogeni4,8-10. Ottenere la diagnosi definitiva di una FUO è una delle maggiori sfide
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che un pediatra possa affrontare nella sua pratica quotidiana, in quanto le cause potenziali sono numerose e spesso i pazienti vengono sottoposti senza ragione a un numero elevato di procedure diagnostiche, test di laboratorio e terapie antimicrobiche. Frequentemente infatti si tratta di pseudo-FUO, caratterizzate da una serie di episodi infettivi che, susseguendosi l’uno dall’altro con periodi di sfebbramento di circa 24-72 ore, appaiono ai genitori e al clinico come lunghi e ininterrotti eventi febbrili della durata talvolta di alcuni mesi11. Accertarsi che i genitori misurino la temperatura in sede ascellare con termometro elettronico digitale 12 e non con valutazioni soggettive (“dottore, la fronte scottava”) e raccomandare di tenere un diario giornaliero dei picchi febbrili, permette di discernere più facilmente le FUO reali dalle pseudo-FUO. È importante ricordare che la FUO in realtà è più spesso determinata da patologie di comune riscontro in ambito pediatrico: l’agente patogeno più
frequentemente identificato è infatti l’EBV10, che può dare manifestazioni non immediatamente associabili alla classica mononucleosi. Una raccolta anamnestica accurata e un esame obiettivo scrupoloso possono fare la differenza e risultano spesso più dirimenti delle indagini laboratoristiche e strumentali. La valutazione del pattern febbrile può essere suggestiva di processi flogistici specifici (Figura 1) e il riscontro di alterazioni organiche alla visita può essere di aiuto nell’indirizzare il processo diagnostico. Nella Tabella V sono riassunti alcuni segni clinici spesso associati a febbre di lunga durata e la loro possibile causa. Davanti a un quadro clinico non ben definito e a una storia di almeno una settimana di febbre non risoltasi con i soli farmaci antipiretici, è necessario valutare il bambino anche dal punto di vista laboratoristico. Nei pazienti in apparenti buone condizioni cliniche è possibile evitare il ricorso in prima battuta a strutture di secondo livello e praticare esami di routine quali emocromo con formula, enzimi epatici, pannello metabolico di base (glucosio, creatinina, urea, bilirubina totale e frazionata, elettroliti, proteine totali e albumina), indici infiammatori principali (PCR, VES e ferritina), esame delle urine e indagini strumentali quali radiografia del torace ed ecografia dell’addome8,10,13. In caso di esami non indicativi e persistenza della febbre, o se le condizioni cliniche dovessero essere scadute, si rende necessaria una valutazione del bambino in regime di ricovero ospedaliero. In tal caso andranno aggiunti esami di secondo livello quali un’urinocoltura e almeno tre emocolture con relativo antibiogramma, mentre in presenza di sintomi neurologici può essere praticato anche un esame liquorale8. Una volta eseguite queste prime indagini sarà opportuno continuare a valutare giornalmente le condizioni del bambino, in quanto la maggior parte dei casi di FUO trova una risoluzione grazie alla comparsa all’esame obiettivo di nuovi ed essenziali elementi che fino al 25% dei casi possono essere assenti alla prima visita8.
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Febbre di origine sconosciuta (FUO)
SEGNI CLINICI ASSOCIATI A FEBBRE DI ORIGINE SCONOSCIUTA Sistema
Segni clinici
Patologia
Addome
Epatomegalia
Torace
Splenomegalia Soffio cardiaco Bradicardia
Cute
Eritema nodoso
Linfoma, LHL, febbre tifoide, malaria, brucellosi Linfoma, febbre tifoide, LHL, CMV, EBV Endocardite Malaria, febbre di origine centrale, febbre da farmaci, febbre tifoide Malattia di Behçet, sarcoidosi, artrite idiopatica giovanile, LES, MICI LES Artrite idiopatica giovanile Endocardite, batteriemia, infezioni virali, rickettsiosi Malattia di Lyme EBV, malattia di Kawasaki, tubercolosi, LES, infezioni da Chlamydia e istoplasmosi Sarcoidosi, tubercolosi, LES, artrite idiopatica giovanile, toxoplasmosi Linfoma, EBV, CMV, Toxoplasma, artrite idiopatica giovanile, leucemia, tubercolosi Ipertiroidismo Disautonomia Brucellosi, dermatomiosite, artrite Febbre familiare mediterranea, LES, malattia di Lyme, brucellosi, febbri periodiche CMV, EBV, Toxoplasma Malattia di Behçet, PFAPA
Eritema malare Rash color salmone Petecchie
Occhi
Eritema migrante Congiuntivite Uveite
Linfonodi
Linfoadenopatia
Muscolo-scheletrico Iperiflessia Iporiflessia Debolezza muscolare Debolezza articolare Orofaringe
Iperemia faringe Ulcere orali
Tabella V. Da voce bibliografica 8, modificata.
In base quindi ai nuovi riscontri clinici e ai risultati degli esami praticati, sarà possibile indirizzare il percorso diagnostico e procedere con gli esami di secondo o terzo livello più appropriati. Sebbene non esista un protocollo unico, nella Figura 2 è riportata una sintetica strategia diagnostica applicabile nei casi di FUO. Per quanto riguarda la gestione terapeutica, nei casi di febbri di lunga durata, non è raccomandato l’impiego routinario di una terapia antibiotica empirica durante il processo diagnostico, in quanto potrebbe ritardare l’identificazione di alcune comuni cause infettive quali endocardite, osteomielite, infezione del sistema nervoso centrale e ascessi. In linea generale l’eventuale uso di antibiotici andrebbe riservato nei casi di elevato sospetto clinico di infezione batterica, dopo l’avvio delle opportune indagini colturali8.
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Qualche considerazione sul percorso diagnostico seguito nel nostro caso. Trattandosi di una bambina con RCU in terapia con farmaci immunosoppressori è stato necessario determinare innanzitutto lo stato di attività della patologia di base. Abbiamo pertanto valutato il PUCAI score ottenendo un punteggio di 0 e abbiamo quindi escluso una riattivazione della RCU, orientandoci verso una possibile infezione opportunista in bambina sotto trattamento immunosoppressivo. Il quadro clinico si è infatti mostrato sin da subito suggestivo di infezione virale (rash eritematoso e iperemia faringea associati a linfocitosi, PCR e PCT negative, urinocoltura ed emocoltura negative) e il pannello allargato di ricerca anticorpale ha indicato la presenza di IgM positive per tre diversi virus tra cui il CMV, frequentemente responsabile di infezio-
ni sia intestinali che sistemiche nei pazienti con RCU. La ricerca di DNA virale è però risultata negativa per ciascuno di essi e abbiamo proseguito quindi con le indagini previste dall’algoritmo diagnostico delle febbri di lunga durata senza trovare una soluzione al caso e spingendoci verso ipotesi di sempre più raro riscontro. È bene anche ricordare che pazienti con malattie infiammatorie croniche intestinali trattate con farmaci immunosoppressori come Anna sono anche esposti a un maggior rischio di sviluppare neoplasie linfoproliferative14, ma l’emocromo iniziale, l’LDH normale e gli indici infiammatori negativi sembrano permettere di escludere da subito questa eventualità. La chiave di volta nella nostra indagine è stata la rivalutazione clinica della paziente nei giorni seguenti e la ripetizione dell’emocromo, che ci ha indotto a riconsiderare l’ipotesi iniziale e a ripetere le indagini virologiche, che questa volta hanno evidenziato l’infezione da CMV. Occorre considerare che l’impiego della sierologia nella diagnosi di infezione da CMV in pazienti immunodepressi presenta importanti limiti, in quanto la risposta immunologica è a volte insufficiente e i bassi titoli di IgM riscontrati portano a un aumento del rischio di falsi negativi. È inoltre possibile che in alcuni pazienti le IgM si mantengano elevate anche a distanza di tempo dalla risoluzione della malattia rendendo quindi difficile distinguere con certezza un’infezione in atto da una pregressa. La ricerca di DNA tramite real-time PCR, anche se più costosa, dovrebbe essere il metodo da preferire per l’identificazione del CMV in un paziente immunodepresso, in quanto grazie alla sua elevata sensibilità permette sia di individuare l’infezione in fasi molto precoci (a volte addirittura prima della produzione di anticorpi) che di determinare la risposta del paziente all’eventuale trattamento15,16. Non bisogna sottovalutare però che tale metodica presenta una bassa specificità e uno scarso valore predittivo negativo15, quindi un risultato negativo non può escludere con certezza la presenza dell’infezione.
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Percorsi clinici
Febbre ≥ 8 giorni
Buone condizioni generali
Sì
No
Indagini ambulatoriali
Ricovero ospedaliero
• Interrompere le terapie non essenziali • Emocromo con formula • Enzimi epatici • Pannello metabolico di base • Esame delle urine • Radiografia e/o ecografia se indicato • Osservazione e rivalutazione
• Interrompere le terapie non essenziali • Emocromo con formula • Enzimi epatici • Pannello metabolico di base • Esame delle urine • Esami colturali • Radiografia e/o ecografia se indicato • Indici infiammatori • Esami del liquor se indicati • Antibioticoterapia empirica (dopo le colture) • Rivalutazione clinica seriata
Trattare la causa
Sì
Causa identificata o risoluzione della febbre No
Indagini di secondo livello in base alla causa sospettata
Infettiva
• Esami colturali (da ripetere se necessario) • Esami liquorali se indicati • Ricerca anticorpale specifica o test molecolari • PCR/VES se sospetto di endocardite, osteomielite o ascesso • Esami strumentali se indicati • Proseguire antibioticoterapia empirica (dopo colture)
Oncologica
• Acido urico • Ferritina • LDH • Striscio periferico • Radiografia del torace • Non somministrare cortisonici
Reumatologica/autoimmune
Immunodeficienza
• Anticorpi anti-nucleo (ANA) • Fattore reumatoide • C3, C4, CH50 • Test di funzionalità tiroidea • Indici infiammatori (PCR/VES/ferritina)
• Immunoglobuline • Tipizzazione linfocitaria • Considerare i titoli anticorpali per lo stato vaccinale
Nessuna causa identificata
Considerare Inviare a specialista o a Centro di terzo livello
• Ripetere gli esami • Indagini sierologiche aggiuntive • Biopsia midollare • Esami strumentali se indicati: scintigrafia ossea, PET, radiografia con pasto baritato, TC, RM ecc.
Figura 2. Strategia diagnostica sintetica di febbre di origine sconosciuta (da voce bibliografica 8, modificata).
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Febbre di origine sconosciuta (FUO)
MESSAGGI CHIAVE ❏ Viene descritto il caso di una bambina di 12 anni affetta da rettocolite ulcerosa in terapia con doppio immuosoppressore (metotrexate e infliximab) con febbre alta da 7 giorni, associata a iperemia faringotonsillare, cheilite, lesioni vescicolo-bollose sulla mucosa labiale e esantema su arti superiori, tronco e in regione malare. ❏ La presenza di linfocitosi e l’assenza di un rialzo degli indici infiammatori ci ha fatto sospettare un’infezione virale. ❏ I test virologici hanno identificato IgM positive per citomegalovirus, herpes e parotite, ma la real-time PCR su sangue non ha identificato il DNA di nessuno di questi tre virus. ❏ Dato il persistere della febbre per più di 7 giorni senza aver identificato la causa dopo diversi controlli ed esami in regime ospedaliero, questo caso può essere identificato come febbre di origine sconosciuta (FUO). ❏ La FUO spesso è una manifestazione atipica di patologie di frequente riscontro in età pediatrica, ma non esiste un unico protocollo diagnostico da seguire per identificarne la causa. Nel nostro caso solo la ripetizione dopo alcuni giorni della real-time PCR ci ha permesso di identificare il CMV-DNA su sangue e urine della paziente e di fare la diagnosi di infezione da citomegalovirus.
ti l’ipotesi inziale di infezione da CMV, non rara in pazienti con RCU, si è rivelata corretta. Come da sempre suggerisce il “principio del rasoio di Occam”, prima di considerare le ipotesi più difficili e rare è meglio valutare in maniera approfondita quelle più logiche e realistiche ed eventualmente riconsiderarle se ci si trova in difficoltà. Bisogna ricordare sempre quindi che una febbre prolungata in una MICI in terapia immunosoppressiva e in assenza di segni di riattivazione della malattia è una infezione virale (CMV il più delle volte) fino a prova contraria.
Indirizzo per corrispondenza: Davide Ursi e-mail: ursi.davide@gmail.com
Bibliografia
CONCLUSIONI
Da questo caso può essere ricavato un messaggio pratico: la FUO spesso consiste in una manifestazione non immediatamente chiara di una patologia comune. In questa occasione infat-
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1. Turner D, Ruemmele FM, Orlanski-Meyer E, et al. Management of paediatric ulcerative colitis, part 2: acute severe colitis - An evidence-based consensus guideline from the european Crohn’s and colitis organization and the European Society of Paediatric Gastroenterology, Hepatology and Nutrition. J Pediatr Gastroenterol Nutr 2018;67(2):292-310. 2. Nahar S, Hokama A, Fujuta J. Clinical si-
gnificance of cytomegalovirus and other herpes virus infections in ulcerative colitis. Pol Arch Intern Med 2019;129(9):620-6. 3. Benelli E, Carbogno S, Carucci NS, et al. Kawasaki facile e difficile. Medico e Bambino 2017;36(3):155. 4. Kliegman RM, St. Geme JW, Blum NJ, Shah SS, Tasker RC. Nelson Textbook of Pediatrics, Elsevier 2015. 5. Petty RE, Southwood TR, Manners P, et al. International League of Associations for Rheumatology classification of juvenile idiopathic arthritis: second revision, Edmonton, 2001. J Rheumatol 2004;31(2):390-2. 6. Mirza M, Mirza M, Murugesan V, Olano A. Pericardial effusion due to infliximab therapy for ulcerative colitis. Case reports in gastrointestinal medicine, 2018. 7. Kraft CS, Armstrong WS, Caliendo AM. Interpreting quantitative cytomegalovirus DNA testing: understanding the laboratory perspective. Clinical Infectious Diseases 2012;54 (12):1793-7. 8. Antoon JW, Potisek NM, Lohr JA. Pediatric fever of unknown origin. Pediatrics in review 2015;36(9):380. 9. Antoon JW, Peritz DC, Parsons MR, Skinner AC, Lohr JA. Etiology and resource use of fever of unknown origin in hospitalized children. Hospital pediatrics 2018;8(3):13540. 10. Chow A, Robinson JL. Fever of unknown origin in children: a systematic review. World Journal of Pediatrics 2011;7(1):5-10. 11. Tolan Jr RW. Fever of unknown origin: a diagnostic approach to this vexing problem. Clinical pediatrics 2010;49(3):207-13. 12. National Collaborating Centre forWomen’s and Children’s Health. Feverish Illness in Children: Assessment and Initial Management in Children Younger than 5 Years; National Collaborating Centre for Women’s and Children’s Health: London, UK, 2013 13. Pasic S, Minic A, Djuric P, et al. Fever of unknown origin in 185 paediatric patients: a single-Centre experience. Acta Pædiatrica 2006;95(4):463-6. 14. Parambir DS, Siegel CA. The risk of malignancy associated with the use of biological agents in patients with inflammatory bowel disease. Gastroenterology Clinics 2014;43(3): 525-41. 15. Dioverti MV, Razonable RR. Cytomegalovirus. Microbiology spectrum 2016;4(4). 16. Ross SA, Novak Z, Pati S, Boppana SB. Overview of the diagnosis of cytomegalovirus infection. Infectious Disorders Drug Targets, 2011;11(5):466-74.
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Appunti di Neuropsichiatria
ABA: l’analisi comportamentale applicata SARA CARUCCI Clinica di Neuropsichiatria dell'Infanzia e dell’Adolescenza, AO “G. Brotzu”, Cagliari
L’analisi comportamentale applicata (ABA) e l’autismo sono un binomio da almeno trent’anni. L’ABA è rivolta ai comportamenti socialmente significativi (abilità scolastiche, sociali, comunicative, adattive) e questo la rende adatta a essere impiegata per il recupero delle disabilità intellettive ed evolutive in genere e non, come comunemente si pensa, solo nell’autismo. La descrizione dei due casi clinici è il punto di partenza per fare capire al pediatra su cosa si basano i principi e come dev’essere applicata. Una caratteristica fondamentale dell’ABA è quella di essere evidence-based. CASO 1
Giacomo è un bimbo di 3 anni e 6 mesi, che recentemente ha ricevuto diagnosi di disturbo dello spettro autistico, livello di gravità 2, con compromissione del linguaggio associata, in assenza di compromissione cognitiva (criteri DSM5). Le insegnanti riferiscono, oltre alle difficoltà nella comunicazione verbale, alcune importanti rigidità nel comportamento del bambino, difficoltà di fronte a piccole variazioni della routine scolastica e bassa soglia alle frustrazioni e ai dinieghi, soprattutto durante i giochi. La mancanza di flessibilità rappresenta un’importante criticità anche in ambito familiare, in quanto i genitori hanno difficoltà nel contenere l’irritabilità di Giacomo nei semplici cambi di routine quotidiana (uscite da casa per andare a scuola, uscite da scuola, tragitti alternativi in macchina). Si procede quindi a impostare un programma di intervento sulla base dell’analisi comportamentale applicata. Si effettua un assessment delle preferenze del bimbo e delle abilità funzionali e si costruisce un curriculum comportamentale attraverso l’osservazione in situazione non strutturata e durante la somministrazione della testistica principale. Si indagano quindi le preoccupazioni dei genitori e le loro priorità, che al momento, includono la necessità di lavorare sulle aree del linguaggio e della flessibilità. Considerate le difficoltà fonetico-fonologiche e morfosintattiche oltreché la tendenza di Giacomo a portare la conversazione verso argomenti di proprio interesse, la presenza di interessi ripeti-
Medico e Bambino 8/2020
ABA: APPLIED BEHAVIOUR ANALYSIS (Medico e Bambino 2020;39:527-528)
Key words Applied Behaviour Analysis, ABA, Therapeutic approach Summary The paper reports the most characterising aspects and clinical applications of the applied behaviour analysis (ABA) through the description of and the comment on two cases. The aim is to share this important therapeutic approach with infantile neuropsychiatrists and psychologists for a correct indication and its prompt application.
tivi (animali e numeri) e, considerate le emergenti abilità di attenzione ed emozione condivisa, si struttura un piano di intervento su tre aree principali: comunicazione, abilità sociali e attività di gioco. In particolare, nell’ambito della comunicazione, il bambino viene stimolato ad aumentare l’utilizzo della gestualità deittica e la varietà della gestualità convenzionale e aumentare il numero degli scambi comunicativi con progressivo incremento del numero delle richieste. Nell’ambito delle interazioni sociali si favorisce l’interazione fisica con un coetaneo stimolandolo a condividere un gioco che gli piace per almeno 5 minuti. Nell’ambito del gioco si mira a un ampliamento degli interessi e a potenziare il gioco simbolico/immaginativo avvalendosi del video-modeling. Dopo un anno di trattamento appare possibile evidenziare un significativo miglioramento in tutte e tre le aree con un funzionamento globale, scolastico e familiare, significativamente migliore rispetto all’inizio del progetto riabilitativo. Sulla base delle nuove com-
petenze acquisite si rimodula il piano di intervento, al fine di continuare a potenziare le competenze adattive bel bambino, prestando sempre la giusta attenzione alle sue preferenze e alle necessità dei genitori, ricordando che più precoce è l’intervento maggiore è l’efficacia del trattamento. CASO 2
Mario è un ragazzino di 12 anni, affetto da disturbo dello spettro autistico di grado moderato associato a disabilità intellettiva moderata, che, da alcune settimane, appare marcatamente irritabile e oppositivo, tanto da non riuscire più a svolgere le proprie attività quotidiane (scuola, riabilitazione, sport). Appare inoltre marcatamente aggressivo nei confronti della figura materna verso la quale mostra anche comportamenti ipersessualizzati. Nonostante la terapia farmacologica in corso (aripiprazolo 15 mg) appaia discretamente efficace nel controllare l’irritabi-
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Appunti di Neuropsichiatria
lità, persistono improvvisi e imprevedibili episodi di violenti acting out, tali da richiedere il ricovero ospedaliero nel reparto di Neuropsichiatra infantile della propria città, dove, in associazione a una rivalutazione della terapia farmacologica in corso viene garantito un intervento di analisi comportamentale applicata. Sulla base dell’osservazione continuativa in reparto vengono evidenziati alcuni importanti antecedenti. L’aggressività del ragazzo appare generalmente conseguente al rifiuto da parte della figura genitoriale di assecondare alcune richieste (in particolare approcci a carattere sessuale o rassicurazioni ripetitive quali cantare ininterrottamente la stessa cantilena), prevalentemente la sera, dopo cena. Tale condizione sembra essere attivata dalla tendenza del ragazzo a ritardare e trattenere l’evacuazione, come da auto-stimolazione sensoriale, che esita quindi in una pulsione sessuale che Mario non ha ancora imparato a gestire, con conseguente rabbia e frustrazione che sfocia in aggressività. In collaborazione con il personale infermieristico, viene condotta una valutazione delle preferenze per individuare le attività più gradite al ragazzo al fine di ripristinare un clima collaborativo e appropriate routine personali che scandiscano le varie fasi della giornata. Viene inoltre introdotto l’uso di supporti visivi che sostengano il ragazzo nella comprensione di ciò che caratterizza la sua giornata. Inoltre, in accordo con la famiglia, viene individuata una figura specializzata nell’ambito della psicoeducazione per un ragazzo in età puberale con disabilità intellettiva che parallelamente al lavoro con il ragazzo possa fornire alla famiglia dei consigli educativi sulla gestione della sfera sessuale. Al termine del ricovero gli episodi di aggressività appaiono ri-
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dotti per intensità e frequenza, si suggerisce ai terapisti e ai genitori di proseguire il lavoro impostato in reparto anche all’interno del contesto familiare e di procedere con un graduale reinserimento del giovane nelle sue attività quotidiane. ANALISI COMPORTAMENTALE APPLICATA (ABA, APPLIED BEHAVIOUR ANALYSIS)
Sebbene il termine ABA e autismo vengano considerati un binomio da almeno tre decadi, l’analisi comportamentale applicata non nasce proprio con l’autismo, ma come metodologia per il recupero delle disabilità intellettive in genere. Con il termine analisi comportamentale applicata si definisce la scienza applicata, che deriva dalla scienza di base conosciuta come analisi del comportamento di Skinner. Rappresenta sostanzialmente l’area di ricerca finalizzata a elaborare i dati che derivano dall’analisi del comportamento per descrivere le interazioni tra determinati comportamenti e condizioni esterne, spiegare come avvengono e, su queste basi, prevederne le caratteristiche e la probabilità di comparsa nel futuro, e influenzarne (modificarne) la forma e la funzione1. Tale tipologia di intervento appare particolarmente efficace nell’aiutare soggetti con disturbi dello spettro autistico o con disabilità intellettiva, ad acquisire nuove specifiche competenze. In particolare trova un’ottima applicazione nella gestione di comportamenti problema altamente invalidanti quali irritabilità, aggressività auto- o eterodiretta e severa oppositività. Attraverso l’analisi comportamentale applicata vengono identificate le cause e le risposte che determinano il
rinforzo e che quindi mantengono un dato comportamento e attraverso l’analisi degli antecedenti e delle conseguenze si identificano le strategie maggiormente proficue atte a “spezzare” il circolo vizioso di un comportamento maladattivo. L’ABA, nella sua forma classica è un intervento effettuato da psicologi e terapisti della riabilitazione che basano il proprio lavoro su un ampio raggio di condizionamenti operanti. Le terapie, generalmente effettuate al domicilio e all’interno dei contesti di vita dei piccoli pazienti, possono essere piuttosto lunghe (anni) e prevedere un impegno anche sino a 40 ore settimanali, ma garantire al contempo ottimi risultati sostenendo i piccoli pazienti in diversi modi: aumentando comportamenti e abilità adattivi, mantenendoli nel tempo; facilitando l’apprendimento di nuove abilità e conoscenze; estendendo e generalizzando comportamenti e abilità da una situazione all’altra; riducendo le condizioni in cui si verificano comportamenti problema e la loro intensità e frequenza2.
Indirizzo per corrispondenza: Sara Carucci e-mail: sara.carucci@gmail.com
Bibliografia 1. Moderato P, Copelli C. L’analisi comportamentale applicata. Parte prima: teoria, metateoria, fondamenti. Autismo e disturbi dello sviluppo 2010;8(1):pp. 9-36. 2. Vismara LA, Rogers SJ. Behavioral treatments in autism spectrum disorder: what do we know? Annu Rev Clin Psychol 2010;6:44768.
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A CURA DEL SCIENCE CENTRE IMMAGINARIO SCIENTIFICO www.immaginarioscientifico.it
Osser vatorio CARTOLINE DALLA SCIENZA
ELASTOSONOGRAFIA Mappe di elastografia di deformazione a ultrasuoni. In alto a destra, elastogramma di un muscolo della gamba registrato su un atleta prima (sopra) e dopo (sotto) l’allenamento. I colori rosso, verde e blu codificano per livelli crescenti di rigidità. Sono chiaramente visibili la diminuzione del colore rosso e l’aumento dei colori verde e blu dopo l’allenamento. Le immagini sono tratte da “The Effect of Strength Training on Vastus Lateralis’ Stiffness: An Ultrasound Quasi-Static Elastography Study” pubblicato da Rute Santos, Maria João Valamatos, Pedro Mil-Homens e Paulo Armada-da-Silva su International Journal of Environmental Research and Public Health, giugno 2020. Sotto, elastogrammi di un “manichino di elasticità” con quattro livelli di rigidità su due diversi settaggi del modello. La figura è tratta da “Visual Scoring and Semi-Quantification of Ultrasound Strain Elastography A Phantom Study”, pubblicato da Jonathan Frederik Carlsen, Caroline Ewertsen, Adrian Săftoiu, Lars Lönn e Michael Bachmann Nielsen su PLoS ONE, febbraio 2014.
opo aver presentato la microD scopia a ultrasuoni, dalle cellule ritorniamo agli organi, sulle sca-
le classiche dell’ecografia. Parlando di ecografia 3D, nel primissimo numero di questa rubrica, abbiamo fatto riferimento all’uso degli ultrasuoni per localizzare oggetti e ostacoli da parte di pipistrelli e sommergibili, menzionando anche le prospezioni sismiche, in cui
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la registrazione delle onde di compressione riflesse e trasmesse dagli strati del sottosuolo permette di indagarne la struttura. Sono le immagini che risultano da queste ultime quelle che ricordano più da vicino gli elastogrammi che presentiamo in questo numero, e che derivano da un’elaborazione matematica del segnale ecografico, al quale vengono spesso sovrapposte sul di-
splay dell’apparecchio. L’elastografia nasce in tempi relativamente recenti, ma costituisce la trasposizione visiva dell’antichissima pratica medica della palpazione. Analogamente alla termografia, l’elastografia trasforma un’esperienza tattile in un documento visivo e misurabile, consentendo di “palpare” con gli occhi tessuti difficilmente raggiungibili con la mano.
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CARTOLINE DAL MONDO: LE VOCI DEI BAMBINI COSA PENSANO I BAMBINI DEI LORO GENITORI? E COME LI VORREBBERO? Si parla molto di relazioni tra i genitori e figli, spesso senza sapere cosa i bambini, sia i piccoli che i grandi, pensino in realtà di tutto questo. Tranne, ovviamente (ma non sempre) i “nostri” figli o nipoti. I pediatri sono fra quanti hanno maggiore e quotidiana occasione di conoscere, direttamente o indirettamente, cosa pensano i bambini. Ugualmente, può essere utile dare un’occhiata a quello che ha scoperto chi ha cercato di studiare cosa i bambini desiderano e vorrebbero, o non vorrebbero, dai loro genitori. Abbiamo interpellato varie fonti e ne riportiamo, tra tante, un paio che ci sono parse interessanti. Troverete una parte di queste cose abbastanza scontate, ma altre un po’ meno. Cominciamo con una lista delle top ten che un gruppo di adolescenti ha annoverato tra i ricordi più piacevoli legati alle loro mamme. Tra queste, ce ne sono alcune classiche, come: “veniva nella mia camera la sera e mi cantava una canzone, o mi raccontava una storia”; “passava del tempo con me, solo con me, non con gli altri (fratelli e sorelle) intorno”; “a cena si parlava di cosa potevamo fare assieme nel fine settimana”; “mi lasciava giocare fuori molto a lungo”; “ci mettevamo sotto una coperta a vedere la nostra trasmissione preferita alla tv”. Altre invece sembrano meno prevedibili: “mi dava delle regole, il che mi faceva sentire che si preoccupava per me”; “mi la-
sciava dei messaggini sul mio tavolo con la merenda”. Interessante anche il lavoro di Ioana Lepedatu, una psicologa dello sviluppo rumena, che ha ripescato e riutilizzato un vecchio e semplice test elaborato da Vincent Rose, basato sul chiedere ai bambini di immaginare di essere in un mondo dove potevano scegliere la madre e il padre ideale tra una serie di opzioni. Le domande erano: “quale di questi caratteri assomiglia di più, e di meno, al vostro padre o alla vostra madre reale? E quale di più, e di meno, al vostro padre o alla vostra madre ideale?”. In questo caso lo studio è stato fatto con 100 bambini tra gli 8 e i 10 anni di una scuola elementare di Brasov (città di mezzo milione di abitanti, in Transilvania, Romania). I bambini potevano scegliere tra opzioni (descritte anche da foto) quali: la madre amica, la madre dolce e permissiva, la madre sempre
occupata, la madre calma, la madre autoritaria; e il padre “importante”, quello sportivo, quello che sa far tutto, quello dolce, quello seduttivo, quello amico. I risultati indicano che la più votata come madre ideale, sia dai bambini che dalle bambine, è la madre amica e la più votata come quella reale è quella sempre occupata; la meno simile a quella reale è quella calma, e la meno votata come ideale è quella dolce e permissiva. Per i padri ideali, va bene, ma soprattutto per i maschi, il padre sportivo, e per tutti quello dolce e quello amico mentre le opzioni che assomigliano di più ai padri reali sono molto distribuite, tranne quelle relative al padre importante e a quello seduttivo, che sembrano rari. Nel complesso (sono le conclusioni dell’Autrice) la preferenza, sia per i maschi che per le femmine, del genitore “amico” indicano l’esigenza di rapporti emotivamente aperti, il che appare confermato dal fatto che la madre sempre busy è la meno desiderata (ma spesso la più frequente nella realtà). Rispetto ai risultati ottenuti circa 50 anni prima da Vincent Rose, cambia un poco il profilo della realtà (allora, le madri erano madri un po’ meno busy e i padri meno disponibili) ma non quello dei desiderata. L’Autrice conclude che sarebbe utile un percorso educativo per i genitori, basato anche su questi risultati. Fonti: • https://www.lifehack.org/articles/featured/the-top-10-things-children-really-wanttheir-parents-to-do-with-them.html. • Lepadatu I. How children see their parents - a short intergeneration comparative analysis. Procedia - Social and Behavioral Sciences 2015;187:5-9.
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CASI INDIMENTICABILI in Pediatria ambulatoriale
Il messaggio principale del primo caso riguarda la difficoltà di diagnosi (se non ci si pensa) di una tinea quando c’è stata di mezzo una terapia con il cortisone (la storia della prima delle due lesioni). Il secondo caso è quello classico di un bambino che non convince, che ha avuto le convulsioni e che richiede, da protocollo, l’esecuzione di una rachicentesi. Infine, il terzo è la caratterizzazione di una forma di asma che non è allergico e che ha negli eosinofili e in un intercritico non libero una corretta chiave di pensiero e di diagnosi. TINEA CORPORIS: UNA DIAGNOSI NON SEMPRE FACILE
Anna Agrusti*, Irene Berti IRCCS Materno-Infantile “Burlo Garofolo”, Trieste *Scuola di Specializzazione in Pediatria, Università di Trieste Conosciamo Sara, 11 anni, nell’ambulatorio di Dermatologia. Da più di un mese la bambina presenta tre lesioni cutanee all’arto inferiore sinistro (Figura 1): le due chiazze sulla coscia hanno un aspetto rotondeggiante e con lieve desquamazione, a margine rilevato, eritematoso e microvescicolare, mentre quella sul ginocchio presenta alcune caratteristiche differenti ma inizialmente era simile alle altre e si è modificata negli ultimi giorni, allargandosi e assumendo l’aspetto di due anelli concentrici eritematosi; l’applicazione di creme a base di steroidi non ha apportato alcun beneficio. Chiediamo a Sara se possiede qualche animale domestico e in effetti la bambina ci racconta che la gatta di casa ha da poco avuto dei cuccioli, con cui ama giocare… Questo dato anamnestico rafforza il nostro sospetto clinico: le chiazze sulla coscia risultano attribuibili a un’infezione fungina (tinea corporis), esattamente come quella sul ginocchio che però è stata modificata dall’applicazione di cortisonici topici (tinea incognito). Il trattamento combinato con antifungino locale (econazolo due volte al giorno per un mese) e sistemico (griseofulvina 20 mg/kg/die per un mese) ha determinato la regressione delle lesioni cutanee. La tinea corporis è una dermatofitosi causata da funghi zoofili (il più frequente in Europa è Microsporum canis), ospitatati solitamente da cani e gatti domestici oltre che da conigli, criceti e cincillà, per cui la storia di contatto con animali domestici può aiutare nell’orientamento diagnostico. L’aspetto tipico è quello di chiazze rotondeggianti, solitamente non o poco pruriginose, con orletto rilevato eritematoso, lievemente desquamante e microvescicolare, con risoluzione centrale; se non trattate, le lesioni tendono ad aumentare di numero. La principale diagnosi differenziale si pone con l’eczema nummulare, che generalmente, a differenza della tinea, è pruriginoso e si presenta uniformemente eritematoso e secco (Figura 2). La diagnosi di tinea corporis non è sempre facile e il trattamento con steroidi topici può determinare, come accaduto a Sara, la comparsa di caratteristiche atipiche quali l’allargamento centrifugo della chiazza e l’assunzione di margini più sfumati senza desquama-
POCO REATTIVA… IN TEMPI DI PNEUMOCOCCHI CATTIVI
Maria Elena Liverani1, Chiara Ziparo2 1
Azienda Ospedaliera Universitaria “Sant’Andrea”, Roma 2 Scuola di Specializzazione in Pediatria, Università “La Sapienza”, Roma
Serata di guardia in piena epidemia influenzale. Verso le 22 arriva una bimba di 15 mesi che da due giorni presenta febbre, vomito e scariche diarroiche mucose e che, in corso di picco febbrile, ha pre-
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Figura 1. Le due lesioni sulla coscia hanno il tipico aspetto di una tinea corporis, con orletto eritematoso rilevato e microvescicolare, a risoluzione centrale con lieve desquamazione, mentre la chiazza sul ginocchio, a margini meno netti e ad anelli concentrici, ha le caratteristiche di una tinea incognito.
Figura 2. Chiazze di eczema nummulare. Si noti l’aspetto uniformemente eritematoso e secco.
zione, condizione che viene definita tinea incognito. La tinea incognito va sospettata nei soggetti che presentano una lesione cutanea anulare che progredisce in corso di trattamento con steroidi applicati localmente; la gestione terapeutica prevede la sospensione del trattamento corticosteroideo e l’avvio della terapia antifungina per almeno quattro settimane, topica se la lesione è singola o comunque a estensione limitata, altrimenti per via sistemica. Nel nostro caso l’esame colturale su tampone cutaneo a posteriori ha confermato la diagnosi, risultando positivo per Trichophyton mentagrophytes.
sentato ipertono generalizzato, con clonie agli arti superiori e riferita cianosi periorale della durata di pochi secondi, regredito spontaneamente. Non c’è familiarità per convulsioni febbrili e l’esame obiettivo (a parte una faringe intensamente iperemica) è negativo. In particolare, non ci sono segni di compromissione neurologica. Proponiamo un prelievo e, visto un emocromo sostanzialmente normale (GB 7200/mm3; Hb 10,2 g/dl; PLT 184.000/mm3) ed elettroliti “accettabili” (132 mmol/l di Na, 3,8 mmol/l di K e 9,6 mg/dl di Ca), rassicuro la mamma (che nel frattempo si è rivelata essere una collega) dicendo che, una volta arrivata la chimica, l’avrei dimessa. Invece... arriva una PCR di 31,64 mg/dl! (vn 0-0,5mg/dl).
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CASI INDIMENTICABILI in Pediatria ambulatoriale
Chiamo il laboratorio, chiedendo se ci potesse essere un errore. Mi propongono di ripetere il prelievo (impresa non facile, perché le vene sono fragili e non riusciamo a mettere una cannula) e il valore viene ahimè confermato. Ovviamente, tra una cosa e l’altra, sono passate circa due ore dall’arrivo in Pronto Soccorso (PS)... e non è l’unica paziente. Rivisito la bimba da capo a piedi, soffermandomi sui segni meningei, ma non trovo nulla. La cute è indenne. La bimba è solo “un po’ noiosa”, ma è ormai tardi e ha la febbre... è suo diritto lagnarsi. La mamma riferisce che la piccola ha fatto TUTTE le vaccinazioni, comprese antipneumococcica e antimeningococcica. Per prudenza, chiedo al laboratorio di farmi anche la procalcitonina, ricovero la bimba e inizio una terapia con ceftriaxone (mi sento come un gatto che “subodora il terremoto”) a dose generosa. Arriva la procalcitonina: 34 ng/ml! Torno in reparto dal PS e comunico i risultati alla mamma, ormai “più che alleata” nella ricerca di una diagnosi. Chiedo se “la sente rigida” quando la tiene in braccio, ma la sua risposta è negativa. Chiedo una Rx del torace, nonostante una saturazione ottima e un reperto auscultatorio normale: negativo. Chiamo la Terapia Intensiva Pediatrica (che non è nel nostro ospedale) per “conforto” e il collega mi suggerisce di curarla (cosa che sto facendo) e di stare a vedere. Non hanno visto casi simili in questi giorni. Con l’aiuto dell’anestesista, riusciamo a mettere una cannula (sangue denso, facilmente coagulabile) e inizia un’infusione di fisiologica. La bimba dormicchia, ogni tanto si lamenta e si rigira nella culla (ma siamo nel cuore della notte e non è nella sua culla...).
Io e la mia giovane collega specializzanda ci arrovelliamo, pensando a una diagnosi che ci sfugge: cosa manca? Lo stick urine rivela solo chetoni (mi avrebbe stupito non trovarli…). Un’ecografia all’addome? Ma l’addome è trattabile. Non ha più evacuato, né vomitato. Un’ecocardiografia? I toni sono puri e le pause libere. Cominciamo da un semplice elettrocardiogramma (ECG). L’infermiera si avvicina con il carrello dell’ECG e la sento dire: “Certo che questa bimba ciuccia proprio di gusto!”. Mi viene un dubbio e guardo meglio la piccola, nella penombra della stanza: non è una suzione “naturale”! Tolgo il ciuccio e gli automatismi perdurano. Che sia un equivalente convulsivo? In un attimo tutto accelera: proviamo a registrare un EEG al letto della bimba, “spariamo” un diazepam, che non viene trattenuto, chiamiamo il rianimatore che ci assista mentre somministriamo midazolam, una seconda dose di ceftriazone e cortisone e contattiamo la Terapia Intensiva per trasferirla... Dal liquor vengono isolati uno pneumococco “cattivo” e un herpesvirus e la bimba continua cefriaxone, aggiunge aciclovir e steroide e, nonostante un percorso di ricovero non scevro da insidie e complicazioni, “se la cava” con un’ipoacusia monolaterale quale esito. Ma... se la mamma non fosse venuta in PS? Se io non avessi dato credito a quell’unico valore “sballato”? Se non ci fossimo accorti che quella suzione era in realtà l’inizio di una crisi? Mi vengono ancora i brividi a pensarlo. Tanto più che era una bimba “blindata” contro le meningiti. Doveva essere una diagnosi “impossibile”, ma in Pediatria never say never.
NAPA: NON-ATOPIC PERSISTENT ASTHMA
tipica, o forse più nota, nell’adulto (il cosiddetto “asma intrinseco”), può manifestarsi anche in età pediatrica, associandosi tendenzialmente a un’importante iperreattività bronchiale ma, di contro, a un’ottima responsività ai corticosteroidi inalatori. A Miriam viene così prontamente avviata una terapia di fondo con corticosteroidi inalatori (CSI), da effettuarsi per cicli di almeno tre mesi e - per un immediato controllo dei disturbi respiratori - da associarsi nel primo mese di ogni ciclo all’assunzione di LABA (Long Acting Beta-adrenoceptor Agonists): la sua risposta, nonostante l’iniziale ripresa rapida della reattività bronchiale ai tentativi di sospensione del trattamento corticosteroideo inalatorio, sarà nel tempo molto buona, con controllo ottimale dell’asma nell’arco di due anni, fino attualmente alla interruzione della terapia di fondo da oltre 6 mesi con pieno benessere della piccola.
Laura Levantino IRCSS Materno-Infantile “Burlo Garofolo”, Trieste In ambulatorio di Allergologia conosciamo Miriam, una bambina di 3 anni e mezzo con storia di “bronchiti asmatiformi ricorrenti”. Gli episodi di broncospasmo della piccola - che dall’età di 6 mesi frequentava l’asilo nido - venivano scatenati da virosi, ma nel tempo tendevano ad aggravarsi in intensità e frequenza, lasciando anche un intercritico sempre più sintomatico, con comparsa progressiva di tosse, difficoltà respiratoria e sibili a seguito di svariati stimoli irritativi non-infettivi (tra cui sforzo fisico, passeggiate in montagna, sbalzi termici). Ipotizziamo così un asma bronchiale persistente, che viene indirettamente confermato dal riscontro di una ipereosinofilia sia nel muco nasale che nel sangue periferico della bambina. Nel sospetto di un asma allergico a insorgenza precoce, tipicamente secondario alla sensibilizzazione ad allergeni perenni (quali acaro ed epiteli), si eseguono i prick test e - per ulteriore conferma, vista l’età della paziente - i test RAST, ma entrambe le indagini risultano negative. Di conseguenza, alla piccola viene fatta la diagnosi di NAPA (NonAtopic Persistent Asthma). Si tratta di un fenotipo di asma bronchiale persistente, che consegue cioè a una flogosi eosinofila cronica dei bronchi, ma indipendente da allergeni, risultando da un’attivazione aberrante della risposta innata di tipo Th2 a livello bronchiale, verosimilmente innescata da agenti infettivi, ma mantenuta da qualsiasi altro stimolo irritativo. Sebbene la sua insorgenza sia più
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Dall’esperienza nel nostro ambulatorio, relativa a questo e ad altri casi analoghi, possiamo affermare che: l’asma persistente non-atopico non è esclusivo dell’adulto né infrequente nel bambino, sebbene tuttora l’asma “intrinseco” pediatrico sia poco conosciuto e poco studiato, persistendo dei dubbi circa il suo approccio terapeutico e la sua storia naturale; il NAPA insorto in età prescolare, a fronte di una tendenziale gravità degli episodi broncostruttivi fin dall’esordio, tende ad avere nel tempo un’ottima prognosi. Concludendo, dinnanzi a un problema di bronchiti asmatiformi ricorrenti nella prima infanzia, è opportuno sempre indagare sia un andamento peggiorativo degli episodi di viral wheezing che la comparsa insidiosa di una sintomatologia respiratoria nei periodi intercritici, quali tipici campanelli di allarme di NAPA nel bambino.
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Anno XXIII Numero 8
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Il punto su... LA MALATTIA INFIAMMATORIA PELVICA Quando pensarci e come trattarla: descrizione di un caso clinico e revisione della letteratura Sara Tagliani1,2, Silvia Ventresca1,2, Lorenzo Mambelli1, Alessandro Cuppari3, Stefano Missiroli3, Federico Marchetti1 1 UOC di Pediatria e Neonatologia, Ospedale di Ravenna, AUSL della Romagna 2 Scuola di Specializzazione in Pediatria, Clinica Pediatrica, Arcispedale Sant’Anna, Università di Ferrara 3 UOC di Ginecologia e Ostetricia, Ospedale di Ravenna, AUSL della Romagna Indirizzo per corrispondenza: sara.tagliani@student.unife.it
PELVIC INFLAMMATORY DISEASE: MANAGEMENT, TREATMENT AND LITERATURE REVIEW
Key words Abdominal Pain, Pelvic inflammatory disease, Antibiotics, Salpingitis Summary The paper describes a case of Pelvic Inflammatory Disease (PID) in a fourteen-year-old girl who presented with salpingitis, low abdominal pain, fever, high inflammation indexes and infection by Chlamydia trachomatis and Gardnerella. As guidelines suggest, she was treated with doxycycline, metronidazole and ceftriaxone and her clinical conditions rapidly improved. PID can develop also in teenagers, especially if sexually active, and it must be differentiated from other causes of acute abdomen. The diagnosis can be based on the presence of pain and on at least one criterion between clinical objectivity (fever, vaginal secretions) and laboratory data (vaginal swab, blood exams, vaginal secretion microscopic analysis). Instrumental exams can support the diagnosis but sometimes only laparoscopy and biopsy can reveal a condition of PID. Adequate antibiotic treatment should be performed to avoid complications over future reproductive life.
Caso clinico - Ragazza di 14 anni con febbre da 4 giorni, vomito e addominalgia riferita in particolare in sede pelvica e in fossa iliaca destra. Alvo regolare. Menarca da 2 anni, con cicli irregolari. Attiva sessualmente. Non riferiva la presenza di perdite vaginali. All’ingresso era febbrile (TC 39,5 °C), pallida, profondamente astenica, con l’addome molto dolente alla palpazione ai quadranti inferiori, in modo particolare in fossa iliaca destra, con Blumberg debolmente positivo. Restante obiettività nella norma. Agli esami ematici importante incremento della PCR: 412 mg/l; all’emocromo linfopenia (GB 7600/mm3, N 6550/ mm3, L 690/mm3), Hb 11,2 g/dl, PLT 162.000/mm3, coagulazione nella normae transaminasi; creatininemia: 1,32 mg/dl. Negativa la beta-hCG. Alla luce del quadro ecografico che visualizzava una piccola falda di versamento nel Douglas, in assenza di segni di appendicopatia, per il persistere della sintomatologia dolorosa ascrivibile a un quadro di addome acuto è stata eseguita la
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Queste pagine rappresentano la finestra su “Medico e Bambino” cartaceo dei contributi originali delle pagine elettroniche. I testi in extenso sono pubblicati on line.
TC. L’esame ha permesso di escludere un quadro riferibile a una appendicite acuta, evidenziando un quadro di flogosi degli annessi (destro lievemente maggiore del sinistro) con tube ispessite, falda di versamento periovarico bilaterale e versamento anecogeno retro-uterino. Contestualmente l’ecografia transvaginale ha escluso subtorsione degli annessi ovarici e ha evidenziato aspetti suggestivi per idrosalpingite bilaterale (Figura 1), consentendo di orientare il sospetto diagnostico verso un quadro di malattia infiammatoria pelvica o PID (Pelvic Inflammatory Disease). La diagnosi è stata formalizzata sulla base dei seguenti criteri: a. febbre (presente da 4 giorni); b. aumento degli indici di flogosi; c. evidenza ecografica e alla TC di flogosi degli annessi e falde di versamento (in sede periovarica e retrouterina). La diagnosi è stata confermata anche dalla positività del tampone vaginale per Chlamydia trachomatis (tampone positivo anche per Gardnerella vaginalis e Mycoplasma urealyticum). È stata iniziata terapia antibiotica endovena con ceftriaxone (2 g/die) e metronidazolo (500 mg x 3/die), a cui è stata aggiunta, alla luce della positività del tampone vaginale, la terapia con doxiciclina per via orale (100 mg x 2/die). La risposta clinica alla terapia antibiotica è stata graduale, con sfebbramento a 72 ore, con lenta scomparsa del dolore pelvico. Abbiamo osservato una progressiva riduzione della PCR, con risoluzione anche della linfopenia. Negativo il test per HIV, nella norma le immunoglobuline e le sottopopolazioni linfocitarie. L’ecografia pelvica di controllo pre-dimissione ha mostrato un evidente miglioramento, con risoluzione quasi completa del versamento peritoneale. È stata indicata la ripetizione dei tamponi vaginali dopo 3 mesi dall’inizio del trattamento. Al compagno della ragazza è stata data indicazione per un trattamento antibiotico empirico con doxiciclina. Discussione
Che cos’è la PID? È una patologia flogistica dell’apparato genitale femminile che coinvolge gli organi riproduttivi, e può diffondersi a tutto il distretto pelvico e alla sierosa peritoneale. È un’evenienza di riscontro più frequente tra le giovani donne ed è causata da patogeni a trasmissione sessuale che ascendono dal cervice vaginale all’endometrio, alle tube e alle strutture adiacenti. In letteratura sono stati inoltre riportati rari casi di PID in pazienti non sessualmente attive, affette da forme secondarie a diffusione dell’infezione, a partenza da focolai extragenitali, per via ematica, linfatica o per contiguità. Per la sua spiccata capacità di diffusione, clinicamente si può presentare in varie forme a seconda dell’organo coinvolto o in più combinazioni delle stesse: endometrite, ovarite, salpingite, ascesso tubo-ovarico con un quadro clinico che può rapidamente evolvere in peritonite. Dati recenti dimostrano come la prevalenza delle infezioni sessualmente trasmesse stia aumentando e le donne colpite hanno un’età media di infezione che sta progressivamente diminuendo: negli Stati Uniti, il tasso di infezioni sessualmente trasmesse causate da C. trachomatis e Neisseria gonorrhoeae
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PAGINE ELETTRONICHE
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Figura 1. Ecografia transvaginale: a. falda di versamento periovarica sinistra; b. falda di versamento nel cavo del Douglas.
è in aumento tra le ragazze e donne di età compresa tra i 15 e i 24 anni. Aumentata l’incidenza di PID tra le adolescenti, soprattutto legata a rapporti sessuali non protetti. L’eziologia nella maggior parte dei casi è polimicrobica; C. trachomatis e N. gonorrhoeae sono implicati nella maggioranza dei casi, ma può essere dovuta anche a microrganismi della flora vaginale fisiologica (Tabella, disponibile on line). Ci sono delle condizioni di maggiore sospetto che devono fare pensare a una PID in una adolescente: il fatto di essere sessualmente attive, di avere partner multipli, un’anamnesi suggestiva per malattie sessualmente trasmesse nella ragazza stessa o nel partner, la presenza di device intrauterini, di avere eseguito una isteroscopia o manovre endoscopiche invasive. Le vaginosi batteriche possono aumentare il rischio di PID.
Come si presenta clinicamente? Può presentarsi in 2 forme cliniche principali: • acuta: la più comune. Si presenta con un quadro di dolore addominale severo e andrebbe sempre considerata in diagnosi differenziale con le cause più frequenti di addome acuto (in modo particolare l’appendicite acuta, la torsione ovarica, una gravidanza ectopica); • subclinica: la più insidiosa; essendo paucisintomatica spesso resta misconosciuta, e proprio il ritardo nella diagnosi e nel trattamento favorisce lo sviluppo di complicanze. Nel 60% dei casi la sintomatologia è lieve e molto aspecifica (spotting, dismenorrea, dispareunia profonda, affaticamento, anoressia, nausea, vomito, pollachiuria, disuria, amenorrea). Nel 30% dei casi la PID è completamente asintomatica. Nel restante 10% i sintomi più frequentemente osservati sono febbre, dolore addominale/pelvico, leucorrea, menometrorragia.
Come si fa la diagnosi? A oggi nessun singolo rilievo anamnestico, obiettivo o di laboratorio, è sensibile e specifico per diagnosi di PID. La clinica, seppur estremamente variabile, può e deve aiutarci nella diagnosi. Attualmente, i dati forniti dalla letteratura, indicano la necessità di sospetto diagnostico in caso di: a. dolore cervicale durante l’esame vaginale bimanuale; b. dolorabilità uterina o dolore addominale di origine annessiale.
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La specificità della diagnosi è aumentata dalla presenza di uno o più dei seguenti criteri: a. febbre; b. perdite cervicali mucopurulente o friabilità cervicale; c. elevato numero di leucociti all’esame microscopico della secrezione vaginale; d. VES o PCR elevate; e. tamponi vaginali positivi per N. gonorrhoeae o C. trachomatis. L’ecografia transvaginale o RM/TC mostrano tube ispessite, ripiene di liquido con o senza liquido libero nella pelvi o nel complesso tubo-ovarico.
Perché non deve essere sottovalutata? Perché frequentemente (circa nel 25% dei casi) causa complicanze quali: a. Infertilità/sterilità: per gli esiti cicatriziali a livello tubarico. Tuttavia è importante sottolineare che la fertilità è solitamente preservata nelle adolescenti con primo episodio di PID adeguatamente trattato. Il rischio di infertilità è direttamente proporzionale al numero di recidive e alla gravità delle stesse; b. Rischio di gravidanza ectopica; c. Infezioni pelviche ricorrenti; d. Dolore pelvico cronico; e. Formazioni ascessuali; f. Dismenorrea/dispareunia. Quale deve essere la corretta gestione? I regimi di trattamento devono fornire copertura antibiotica empirica dei patogeni responsabili di PID. In particolare modo deve sempre essere garantita la copertura nei confronti di N. gonorrhoeae e C. trachomatis, che possono esser causa di infezione del tratto riproduttivo superiore anche in presenza di negatività dei tamponi vaginali ed endocervicali. Deve quindi essere previsto un regime antibiotico costituito da tetracicline (attive nei confronti di C. trachomatis), cefalosporine (attive su N. gonorrhoeae) e metronidazolo con azione sugli anaerobi (Tabella I). Nei casi severi le cefalosporine e il metronidazolo devono essere somministrati per via endovenosa; la terapia parenterale deve essere considerata in caso di condizioni cliniche severa-
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PAGINE ELETTRONICHE
TERAPIA ANTIBIOTICA RACCOMANDATA NELLA MALATTIA INFIAMMATORIA PELVICA Terapia per casi severi (ricovero ospedaliero)
Terapia in caso di trattamento ambulatoriale/domiciliare
Antibiotici raccomandati dalle linee guida europee Regime A Ceftriaxone 1 g ev (o cefotetan 2 g ev 2/die o cefoxetina 2 g ev 4/die) + doxiciclina100 mg 2/die + metronidazolo 500 mg 2/die x 14 giorni Regime B Clindamicina 900 mg ev 3/die + gentamicina 3-5 mg/kg in singola dose seguito daclindamicina 450 mg 4/die per 14 giorni OPPURE doxiciclina 100 mg 2/die + metronidazolo 500 mg 2/die x 14 giorni Regime alternativo Ofloxacina ev 400 mg 2/die o moxifloxacina 400 mg/die o levofloxacina 500 mg/die + metronidazolo 500 mg 3/die x 14 giorni totali Regime A Ceftriaxone 500 mg im in singola dose + doxiciclina 100 mg 2/die + metronidazolo 500 mg 2/die x 14 giorni Regime B Ofloxacina per os 400 mg 2/die + metronidazolo 500 mg 2/die x 14 giorni Regime C Mofloxacina 400 mg 1/die x 14 giorni Regime alternativo Ceftriaxone 500 mg im in dose singola + azitromicina 1 g seguita da una dose analoga dopo 1 settimana
Tabella I
mente compromesse, fallimento clinico della terapia per via orale, ascesso tubo-ovarico, stato di gravidanza. Per la doxiciclina è preferibile la somministrazione per via orale, a causa del dolore legato all’infusione per via endovenosa. Dopo 2448 h dal miglioramento clinico in trattamento parenterale, è possibile passare alla terapia per via orale. Nel sospetto di ascesso tubo-ovarico è invece preferibile l’utilizzo della clindamicina. La terapia orale deve essere considerata in tutte le forme di PID lievi-moderate e, in caso di mancata risposta dopo 72 ore di trattamento, si deve prendere in considerazione l’inizio della terapia per ev. In caso di allergia alle cefalosporine, se la prevalenza nella comunità e il rischio individuale di gonorrea sono bassi e se è garantito un adeguato follow-up, può essere considerato l’uso di un fluorochinolone associato a metronidazolo. I test diagnostici per gonorrea devono essere predisposti prima di iniziare la terapia. Le più recenti linee guida prevedono l’uso di cefalosporine di terza generazione (ceftriaxone) nel trattamento della PID, piuttosto che cefalosporine di seconda (cefoxetina o cefotetan). Le cefalosporine di terza generazione non hanno una copertura nei confronti degli anaerobi, per cui dovrebbero sempre essere associate all’utilizzo di metronidazolo. Al contrario cefoxetina e cefotetan possono essere utilizzati da soli in associazione alla doxiciclina. In tutti i casi di sospetta PID deve sempre essere considerata l’esecuzione di un test di gravidanza e la somministrazione di un’adeguata terapia analgesica. Le ragazze con PID dovrebbero essere sempre testate per HIV, N. gonorrhoeae, C. trachomatis e Treponema pallidum (sifilide). Deve essere data adeguata informazione di evitare rapporti sessuali non protetti fino al termine del trattamento antibiotico. Anche il partner inoltre dovrebbe essere testato per C. trachomatis e N. gonorrhoeae. Il trattamento della paziente con PID deve essere considerato inadeguato senza un’accurata valuta-
zione e gestione del partner. Le donne con PID adeguatamente trattate devono avere un miglioramento clinico (defervescenza, riduzione della dolorabilità addominale), come è avvenuto nel nostro caso, entro 3 giorni dall’inizio della terapia. Se non si è verifica alcun miglioramento clinico entro 72 ore dalla terapia ambulatoriale, si dovrà considerare il ricovero, la rivalutazione della terapia antibiotica e un’eventuale diagnostica aggiuntiva (inclusa la considerazione della laparoscopia diagnostica per diagnosi alternative). Tutte le donne che hanno ricevuto una diagnosi di PID da clamidia o da gonococco devono essere testate nuovamente 3 mesi dopo il trattamento. Se non è possibile ripetere il test a 3 mesi, le pazienti dovrebbero essere ritestate ogni volta che si presentano per cure mediche nei 12 mesi successivi al trattamento.
Quando pensare alla chirurgia? Nei casi complicati e/o persistenti quali ascessi che non rispondono alla terapia antibiotica, aderenze sintomatiche, raccolte asettiche tubariche sintomatiche. Conclusioni - Il quadro descritto è quello di una PID in una adolescente con un quadro clinico di esordio molto severo di addome acuto. Dati epidemiologici recenti riportano un aumento della prevalenza del problema nelle giovani adolescenti sessualmente attive. Di fatto la PID deve rientrare nel bagaglio conoscitivo del pediatra e va sospettata non solo di fronte a quadri acuti che ricordano un addome acuto, ma anche in presenza di una sintomatologia più sfumata caratterizzata da perdite e/o sanguinamenti vaginali, associati a dolori addominali, febbricola o febbre. Una diagnosi tempestiva e corretta può evitare complicanze che possono essere anche sulla salute riproduttiva. La versione full text degli articoli è disponibile on line
Le pagine elettroniche (pagine verdi) riportano la sintesi di alcuni dei contributi che compaiono per esteso sul sito web della rivista (www.medicoebambino.com). Il sommario delle pagine elettroniche è riportato a pag. 481. Nel Caso contributivo si discute dell’elevato rischio di infezioni invasive severe nei pazienti con asplenia congenita. L’ecografia con mezzo di contrasto (CEUS) è una metodica di imaging radiation-free, sicura, eseguibile al letto del paziente, facilmente ripetibile e pressoché scevra da rischio di reazioni avverse al mezzo di contrasto; nella Pediatria per l’ospedale si evidenzia come questa rappresenti oggi un’ulteriore arma ai fini diagnostici e di follow-up nel paziente pediatrico. Il Punto su... si occupa della malattia infiammatoria pelvica, la cui prevalenza è in aumento nelle giovani adolescenti sessualmente attive: di fatto deve rientrare nel bagaglio conoscitivo del pediatra. Due sono i Casi indimenticabili presentati in questo numero: nel primo una malattia renale policistica e nel secondo una polmonite complicata con empiema pleurico causata da un saprofita occasionalmente patogeno in determinate categorie a rischio. Nei Poster degli specializzandi: una porpora di Schönlein-Henoch, una broncopolmonite e ulcere genitali da Mycoplasma pneumoniae e uno studio prospettico sull’identificazione precoce di infezioni severe in età pediatrica. La Chirurgia per il pediatra riporta l’esperienza e la casistica della UC di Chirurgia Pediatrica del Policlinico di Modena nell’applicazione del trattamento EPSiT (Endoscopic Pilonidal Sinus Treatment) per la cura delle cisti pilonidali fistolizzate in età pediatrica.
XXXIII CONFRONTI IN PEDIATRIA Trieste, 11-12 dicembre 2020 TRIESTE CONVENTION CENTER MAGAZZINO 28 PORTO VECCHIO (TS)
Confronti
venti venti il cammino della Pediatria tra certezze, dubbi e ribaltoni Giovedì 10 dicembre
16.10 Adolescente 2020: ci sono domande in sala? A. Zuddas, A. Albizzati introduce con un caso D. Sambugaro e uno specializzando
CONFRONTI GIOVANI – fuori ECM
I Poster degli specializzandi discussi col professore 13.30 A. Ventura, L. Greco 14.20 E. Barbi, G. Maggiore 15.10 A. Ventura, M. Fontana
17.00 Coffee break
Specializzandi ed Esperti a confronto sui casi: 16.05 Allergia Alimentare L. Badina 17.05 Neuropsichiatria e dintorni S. Carucci 18.05 Il quizzone degli specializzandi
Venerdì 11 dicembre 8.40 Saluto delle autorità SESSIONE PLENARIA modera A. Ventura 8.50 Tosse: quando è troppa e quando è troppo poca... G. Longo, A. Amaddeo introduce con un caso G. Ventura e uno specializzando 9.40 Dipendenze: da Internet, dai social e... da altri aggeggi A. Skabar, A. Milone introduce con un caso L. Basile e uno specializzando 10.30 Farmaci biologici: cosa deve sapere il pediatra (a cura di specializzandi d’Italia) introduce con un caso P. Pecile 11.30 Coffee break 12.00 SESSIONI PARALLELE · Tutto ciò che può dirci l’emocromo (sala Auditorium) U. Ramenghi, M. Rabusin introduce con un caso M. Innocente e uno specializzando · Esame delle urine 2020: certezze senza ribaltoni? (sala A) F. Emma, M. Pennesi introduce con un caso S. Rizza e uno specializzando · Il pediatra con l’oro in bocca. Ovvero: il pediatra e la salute orale (sala C) M. Cadenaro, S. Pizzi introduce con un caso M. Mayer e uno specializzando 13.00 Lunch SESSIONE PLENARIA Modera E. Barbi 14.30 Vaccinazioni 2020: come condividere dubbi e certezze G. Corsello, F. Marchetti introduce con un caso D. Ferrara e uno specializzando 15.20 Dermatologia pediatrica dal vivo, immagine dopo immagine. Ovvero: dubbi e certezze in diretta M. Cutrone, I. Berti introduce con un caso S. Denti e uno specializzando
17.30 SESSIONI PARALLELE · Pediatria e nutrizione: dagli OGM… al latte materno andata e ritorno (sala Auditorium) G. Di Leo, R. Defez introduce con un caso M. G. Pizzul e uno specializzando · Genetica clinica 2020, caso per caso. Dubbi e certezze, segni clinici che possono sfuggire, scelta degli esami genetici da fare e ipotesi di cura, attraverso i quiz degli esperti (… e le vostre domande) (sala A) A. Selicorni, F. Faletra introduce con un caso A. Ruggeri e uno specializzando · Il bambino con le transaminasi alte (sala C) G. Maggiore, M. Bramuzzo introduce con un caso A. Ravaglia e uno specializzando 18.30 Fine lavori della giornata
Sabato 12 dicembre SESSIONE PLENARIA 8.00 Ancora specializzandi alla ribalta fuori ECM Moderati da E. Barbi, G. Maggiore, A. Ventura 8.50 “San cortisone”. Non solo febbre e dolori: dubbi, certezze e ribaltoni, appunto E. Barbi, F. De Benedetti modera G. Maggiore, A. Ventura introduce con un caso S. Castelli e uno specializzando 9.40 Questioni di genere G. Tornese, M. Mosconi Modera G. Maggiore, A. Ventura introduce con un caso F. Marolla e uno specializzando 10.30 Disturbo somatico: più matti... che NPI G. Masi, G. Cozzi Modera A. Albizzati, E. Barbi introduce con un caso D. Mariani e uno specializzando 11.20 Premiazioni degli specializzandi 11.30 Coffee break 12.00 Pediablob G. Longo, E. Barbi, A. Ventura 13.00 Fine lavori
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FAD news CONFRONTI
FAD VIDEO
IN PEDIATRIA 2019
Il corso FAD “Confronti in Pediatria 2019” propone una serie di confronti tra esperti in diversi settori della Pediatria. Un'occasione di aggiornamento che riguarda sia problemi clinici di più comune riscontro, sia condizioni patologiche più rare e complesse che potrebbero presentarsi ai pediatri. Il corso “Confronti in Pediatria 2019” si basa su 12 confronti tra esperti riguardanti le seguenti tematiche: Allergologia, Gastroenterologia, Ortopedia, Ginecologia, solo per citarne alcuni. I confronti proposti sono vividi, veri e propri scambi preziosi tra addetti ai lavori. A rendere il tutto molto frizzante e scorrevole, la modalità di fruizione: ai discenti saranno proposti 12 video di dibattito tra esperti, introdotti e moderati a loro volta da colleghi pediatri registrati nell’ambito di un evento di interesse nazionale, Confronti in Pediatria, dove anche la platea partecipa con spunti interessanti. Durata del corso dal 15/06/2020 al 14/06/2021 Destinatari Professioni Medico Chirurgo Discipline Pediatria, Pediatria di libera scelta ECM A questo corso saranno assegnati 10 crediti formativi ECM Prezzo € 122,00 (€ 100,00 + IVA) Organizzazione del corso Il corso FAD “Confronti in Pediaria 2019” è composto da 12 video di dibattito e confronto tra medici specialisti che trattano argomenti relativi alle più diverse e interessanti aree specialistiche legate alla Pediatria. Indice del corso • Asma e dintorni: Troppe linee guida… per essere vere • La droga fa male, la droga… ”fa bene”: evidenze, linee guida, contraddizioni nelle scelte di “liberalizzazione” • Mal di testa, mal di pancia, mal di denti, mal di ossa…: un approccio pratico con e oltre le linee guida • Una celiachia, tante linee guida: per la diagnosi, per la dieta senza glutine, per accompagnare il bambino che diventa adulto • Ortopedia pediatrica: praticaccia, consulenze o linee guida? • Ginecologia pediatrica e contraccezione nell’adolescente: scienza, coscienza e linee guida • Trauma cranico: più linee guida che… botte in testa • Farmaci in dermatologia pediatrica: antibiotici, cortisone e che altro? Tra linee guida e buoni consigli • Nutrizione, Gastroenterologia ed Epatologia pediatrica. Oltre le linee guida: 10 domande per iniziare a… • Psicofarmaci in pediatria: chi ci (linea) guida? • La personalizzazione delle cure: miti e realtà. Cosa deve sapere un pediatra “normale”: la parola agli specializzandi italiani • Il sonno dei giusti. Cosa deve sapere e saper fare il pediatra nei disturbi del sonno del bambinoe dell’adolescente: partiamo dalle raccomandazioni e dalle linee guida
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Domande &
a cura di Giorgio Longo
Risposte
Le domande vanno inviate alla redazione preferibilmente via mail (e-mail: domanderisposte@medicoebambino.com) oppure per posta (via Santa Caterina, 3 - 34122 Trieste). Delle risposte è responsabile il Comitato Editoriale di Medico e Bambino, che si avvale del contributo di esperti per ogni singola disciplina pediatrica. Le domande di maggior interesse generale potranno essere pubblicate nella rubrica “Domande e Risposte”. Per questo, è opportuno che il mittente segnali anche la città in cui lavora e la qualifica e/o il tipo di attività svolta. Se, al contrario, non si desidera che il proprio nome venga indicato in calce al quesito posto, è sufficiente specificarlo.
Diagnostica dell’allergia alimentare Ho rivisto questa settimana una mia piccola paziente (2 anni e 8 mesi), stagionale (vive in Germania), che non vedevo dall’autunno scorso. La madre mi segnala che in Germania ha avuto una reazione cutanea non meglio precisata con edema palpebrale importante in seguito al contatto con kiwi all’asilo nido (non ho altri dati sul ricovero, peraltro breve, in ospedale). Reazioni minori, sempre a livello cutaneo, caratterizzate da fugace eritema e “fastidio” non meglio specificato sono comparse, a detta della madre, all’ingestione di albume d’uovo, lenticchie e alimenti contenenti frutta secca. Ho intanto consigliato di iniziare ad assumere Pavesini a dosi crescenti, riservandomi di salire poi, seguendo lo schema di Giorgio Longo; inoltre ho programmato un prick-by-prick con il kiwi e varie leguminose (cotte). Non ho idee chiare su come comportarmi con la frutta secca. Ha senso fare un prickby-prick, o devo procurarmi l’estratto allergenico? Con che tempistica fare queste valutazioni e l’eventuale reintroduzione? dott. Andrea Fenato Pediatra di famiglia, San Pietro di Feletto (Treviso)
L’allergia al kiwi è spesso isolata, per gli altri alimenti, se non già mangiati senza problemi dalla bambina, il prick-byprick rimane la metodica migliore per definire la reale consistenza delle sospette allergie. Oltre tutto gli estratti allergenici alimentari sono sempre meno disponibili in commercio e di attendibilità non sempre ottimale. Meglio pertanto, per cominciare, limitarsi a valutare con il prick-by-prick gli alimenti che fossero stati esclusi dalla dieta in seguito a quei sintomi “aspecifici”. Poi magari pensare a qualche allargamento sempre con il prick-by-prick e, se ci fossero risultati dubbi, considerare un approfondimento in vitro magari arricchito con la diagnostica molecolare. Consideri però anche che, come per i Pavesini, nell’allergia all’uovo anche la Nutella è
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spesso tollerata in chi risulta prick-byprick positivo alla nocciola. Questo anche per dire che il test di provocazione non deve essere mai escluso a priori prima di un’attenta valutazione costi/benefici che consideri le diverse variabili del problema (livello delle positività, importanza dell’alimento escluso e, non da ultimo, l’età del bambino ecc.).
Lussazione dell’anca, eterometria degli arti inferiori Scrivo a Voi perché sono molto preoccupata per mia figlia che, a 14 mesi, ha fatto un intervento per lussazione dell’anca sinistra (vedi radiografia dopo l’intervento). Da allora, a quanto pare, tutto si è sistemato, la bimba cammina bene e non ha dolori ma, quando si misurano le gambe, quella dell’intervento mostra essere più lunga di circa 1,5 cm. Oggi che ha cinque anni abbiamo fatto una radiografia di controllo (allego anche questa) e vorrei chiedere il vostro parere sul caso. Una mamma
In assenza di dati più precisi sulla situazione prima dell’intervento, possiamo soltanto dire che non è possibile essere certi che si trattasse di una vera e propria displasia dell’anca. Nell’esame radiografico postoperatorio si osserva infatti l’esito di una osteotomia del bacino, con anca centrata ma con turbe trofiche
Radiografia postoperatoria.
dell’epifisi femorale (esito di malattia di Perthes? Esito di necrosi post-riduzione?). In ogni caso, a 5 anni, con anca mobile e senza dolore e con radiografia rassicurante (anca centrata senza segni di recidiva) un’eterometria degli arti inferiori non richiede trattamento, ma solo una valutazione periodica seguendo la crescita. Se in futuro dovesse superare i 2,5 cm potrebbe esserci l’indicazione a una minima correzione chirurgica.
Vaccino antipertosse e anafilassi Chiedo un consiglio in merito al vaccino antidifterite-tetano-pertosse acellulare (dTPa) che dovrebbe eseguire una donna gravida di 32 anni. Nell’anamnesi riferisce che quando aveva 12 anni ha presentato una reazione anafilattica dopo la prima dose di vaccino antiepatite B (poi sospeso). Ha poi eseguito, dopo una decina di anni, richiamo contro tetano e difterite (dT) senza problemi. Purtroppo non è possibile trovare documentazione per conoscere quali prodotti commerciali siano stati utilizzati (e quindi sapere i loro costituenti) per avere indicazioni più precise in merito al rischio di allergie severe per il vaccino dTPa che, come sappiamo, è fortemente raccomandato in gravidanza. Posso secondo voi vaccinarla? dott.ssa Marinella Mao Medico dei Servizi Vaccinali (Brescia)
Ci sembra di poter dire che se la signora ha fatto il vaccino per epatite B da solo, come mi par di capire, non dovrebbe avere alcun problema con il dTPa, visto anche che il dT lo ha già fatto senza reazioni. In caso contrario non abbiamo elementi per rispondere ma, comunque sia, pensiamo che, magari in ambiente protetto, la signora debba essere vaccinata sia per prevenire il rischio che il nascituro contragga la pertosse, ma anche per sciogliere, una volta per tutte, il timore verso le vaccinazioni.
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D ermo m@ il
a cura di Irene Berti
Chiedo aiuto per un bambino di 9 anni che presenta una lesione circolare desquamativa al cuoio capelluto da circa 3 settimane. Non ha prurito, mai avuto dermatite nella sua vita. Non familiarità per atopia né per psoriasi. Grazie. Una pediatra
Mi sembra possa essere una tinea capitis. Chiedere se ha avuto contatti con animali, in particolare gatti, conigli, criceti. O anche se sa di qualche parente o amico che sia stato affetto da micosi in questo periodo. La tinea, infatti, si contrae dagli animali a loro volta infettati, o anche da una persona affetta. Farei un tampone e un prelievo di squame e avvierei una coltura e, se ci fosse un’anamnesi suggestiva, comincerei comunque la griseofulvina, unico farmaco adatto nella tinea capitis, alla dose di 2025 mg/kg/die. Se poi la coltura confermasse la diagnosi, la terapia andrà protratta per almeno 40-50 giorni.
Noi sospettiamo un kerion celsi, è una diagnosi corretta? Cosa dobbiamo fare e come la dobbiamo curare? Una pediatra di Pronto Soccorso
Bambina di 4 anni. Viene in Pronto Soccorso perché una settimana fa è comparsa una chiazza rossa pruriginosa a livello del cuoio capelluto in sede nucale, che poi si è ingrandita e ha iniziato a essere secernente (liquido purulento). Da 2 giorni sta assumendo amoxicillina + acido clavulanico alla
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dose di 40 mg/kg in due dosi giornaliere, senza beneficio. Alla visita appare in buone condizioni generali. Presenta un’evidente tumefazione nucale di circa 3 cm di diametro, crostosa e iperemica, ricoperta di pustole follicolari. Linfonodi retronucali palpabili a sinistra, con movimenti del collo liberi.
Confermo la diagnosi di kerion, per la presenza di tumefazione, eritema, pustole, croste, secrezione, tutti elementi suggestivi. Si tratta sostanzialmente dell’evoluzione in senso infiammatorio di una tinea capitis. È un quadro tipico del bambino (anche la tinea capitis di per sé è rara nell’adulto) e va trattata con la griseofulvina (20-25 mg/kg/die per almeno 40-50 giorni), associata a toilette locale e all’applicazione locale di un antimicotico. Spesso è utile avviare anche una terapia antibiotica perché frequentemente c’è una sovrapposizione batterica.
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bianca BLOB
a cura di Paola Rodari
Non dimentichiamo L’intervista al prete “cacciatore di maniaci”
La denuncia di Don Fortunato Di Noto: “Donne pedo!ile, una notevole crescita” Il sacerdote da anni impegnato sugli abusi dei minori: “Sono passate dal coprire le perversioni dei compagni a essere protagoniste in prima persona delle violenze” (da: Libero, 4 settembre 2020)
L’indagine degli orrori “Bambini torturati in diretta streaming” Due 17enni piemontesi accusati di pedopornografia Già denunciati per la chat in cui si inneggiava a Hitler
(da: La Stampa, 16 luglio 2020)
È la più grande operazione compiuta in Europa. Identificate 44 vittime di età compresa fra i 3 mesi e i 14 anni
Germania, scoperti 30mila pedofili “Nei forum i consigli per adescare”
(da: La Stampa, 30 giugno 2020)
Inchiesta partita dalla denuncia di una mamma di un indagato
I ragazzini si divertivano con pedofilia e torture Nei telefoni dei giovanissimi coinvolti - dai 13 ai 17 anni - video agghiaccianti scaricati da internet: se li scambiavano (da: Libero, 12 luglio 2020)
Operazione della Polizia postale, 3 arresti e 50 indagati in 15 Regioni
La rete degli orchi, sconcezze anche con i neonati Coinvolti studenti, professionisti e disoccupati tra i 19 e i 55 anni: nelle loro chat immagini sadiche e abusi su bambini
(da: Libero, 5 luglio 2020)
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bianca BLOB Non dimentichiamo Prato, le prime violenze nel 2008. C’è anche un’inchiesta della Diocesi A dicembre il Vaticano ha soppresso i “Discepoli dell’Annunciazione”
Due fratelli minorenni vittime di abusi, indagati 9 religiosi di un’ex comunità (da: La Stampa, 30 gennaio 2020)
Orrore a Terni e a Reggio Emilia
Mamma pedofila in manette: “Concepì solo per gli abusi” Due donne arrestate, fermato pure uno dei compagni Violenze sulle bimbe per realizzare foto da vendere
(da: il Giornale, 8 febbraio 2020)
Un fenomeno sottostimato
Sempre più minori scomparsi: decuplicati negli ultimi 10 anni Solo nel 2019 3000 denunce e 490 giovanissimi mai più rintracciati. Molti immigrati, in forte aumento anche gli italiani. Don Di Noto: pedo!ilia, ma anche traf!ico di organi
(da: Libero, 25 maggio 2020)
LA PUBBLICAZIONE
Pedofilia, la Chiesa corre ai ripari: nelle parrocchie il vademecum “anti abusi” Due sussidi per “prevenire ogni forma di abuso in ambito ecclesiale”
(da: l’Unione Sarda, 30 settembre 2020)
Pedo!ilia, arrestato in Francia uno dei dieci uomini più ricercati al mondo Il quarantenne è stato fermato il 7 luglio vicino a Bordeaux. Amministrava siti sul darknet, la parte nascosta del web. Il procuratore: “Consentiva a migliaia di internauti di avere accesso a foto e video di carattere pedopornogra!ico” (da: la Repubblica, 13 luglio 2020)
Fonti fornite da:
Maria Cristina Bertogna, Fabrizio Fusco, Andrea Guala, Andrea Lambertini, Gabriella Palla, Lucio Piermarini, Claudio Ughi
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DOMENICA
Ogni giorno ha la sua
SABATO
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Volume 39 numero 8
31 ottobre 2020
Rivista fondata da Franco Panizon nel 1982 Rivista di formazione e di aggiornamento professionale del pediatra e del medico di medicina generale, realizzata in collaborazione con l’Associazione Culturale Pediatri
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LINEE GUIDA LA PRIMA INFEZIONE URINARIA FEBBRILE in bambini di età compresa tra 2 mesi e 3 anni Editoriali
Colleferro Il conformismo non basato sull’evidenza: lezioni dallo “opioid overflow”
Il graffio Lettere Problemi speciali Articolo speciale Percorsi clinici
ISSN 1591-3090
Appunti di Neuropsichiatria PAGINE ELETTRONICHE
Il pediatra, il NPI e… Leopardi Un nuovo Libro Bianco per l’assistenza pediatrica? L’inquadramento delle ipoacusie in epoca neonatale e pediatrica Cosa deve sapere ogni pediatra sulla comunicazione aumentativa alternativa (CAA) Febbre di origine sconosciuta (FUO) ABA: l’analisi comportamentale applicata LA MALATTIA INFIAMMATORIA PELVICA