Poste Italiane SpA - Spedizione in AP - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46), art. 1, comma 1, LO/MI. Euro 9,00
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DOMENICA
Ogni giorno ha la sua
SABATO
VENERDÌ
GIOVEDÌ
MERCOLEDÌ
Volume 39 numero 9
30 novembre 2020
Rivista fondata da Franco Panizon nel 1982 Rivista di formazione e di aggiornamento professionale del pediatra e del medico di medicina generale, realizzata in collaborazione con l’Associazione Culturale Pediatri
www.medicoebambino.com
Editoriali
Lasciate ogni speranza voi che non sperimentate: il Recovery collaborative group e il Recovery fund Al nido, oggi più che mai
Il graffio
MARTEDÌ
Lettere
...anche il sabato!
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Disabilità, patologie croniche complesse e bisogni inevasi: quali prospettive? Contraccezione in adolescenza La granulomatosi eosinofilica con poliangioite: dalla pelle al cuore
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Prescrizione di antibiotici in Pediatria tra il 2012 e il 2018 in Regione Piemonte
Farmacoriflessioni
Otite media acuta: le abitudini difficili a perdersi e l’aderenza alle linee guida
L’esperienza che insegna L’angolo degli specializzandi
ISSN 1591-3090
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Tumulti di San Martino
PAGINE ELETTRONICHE
Ostruzioni nasali e russamento: da tre casi insoliti una lezione per il pediatra Sindrome nefrosica: raccomandazioni terapeutiche oltre le linee guida SINePe IL BAMBINO IN COMUNITÀ E LA DIFFUSIONE DI SARS-CoV-2: L’ESPERIENZA DEI CENTRI ESTIVI SINDROME DI TOURETTE: ALLA FACCIA DELLA PANDAS!
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La Rivista è recensita in EMBASE, Google Scholar e Scopus Direttore responsabile Federico Marchetti Coordinamento scientifico Egidio Barbi, Irene Berti, Irene Bruno, Sara Lega, Giorgio Longo, Paola Rodari, Giorgio Tamburlini, Alessandro Ventura Comitato editoriale Antonio Addis Dipartimento Epidemiologia, Servizio Sanitario Regionale del Lazio • Raffaele Badolato Clinica Pediatrica, Università di Brescia • Sara Carucci Clinica di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, AO “G. Brotzu”, Cagliari • Rosario Cavallo Pediatra di famiglia, Salice Salentino (Lecce) • Mario Cutrone Unità Semplice di Dermatologia Pediatrica, Ospedale dell’Angelo, Mestre (Venezia) • Luciano de Seta UOC di Pediatria e Patologia Neonatale, Ospedale San Paolo, Napoli • Massimo Fontana Pediatra, Milano • Fabrizio Fusco Pediatra di famiglia, Vicenza • Luigi Greco Dipartimento di Pediatria, Università Federico II, Napoli • Giuseppe Magazzù Clinica Pediatrica, Università di Messina • Giuseppe Maggiore Dipartimento di Scienze Mediche-Pediatria, Università di Ferrara • Vitalia Murgia Pediatra di famiglia, Mogliano Veneto (Treviso) • Angelo Selicorni UOC di Pediatria, Presidio San Fermo, ASST Lariana, Como • Enrico Valletta UO di Pediatria, AUSL Forlì • Federica Zanetto Presidente ACP, Milano Redazione Emanuela Di Benedetto, Elisa Martecchini, Francesca Strami Abbonamenti Patrizia Pellaschiar
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Rivista mensile edita da Medico e Bambino sas, via Santa Caterina 3, 34122 Trieste Redazione: via Santa Caterina 3 - Trieste • tel. 040 3728911 • fax 040 7606590 redazione@medicoebambino.com Abbonamenti: via Santa Caterina 3 - Trieste • tel. 040 3726126 • fax 040 7606590 abbonamenti@medicoebambino.com Pubblicità e marketing: Quickline sas, via Santa Caterina 3, Trieste ombretta.bolis@gmail.com • servizioesecutivo@quickline.it Videoimpaginazione: Quickline sas, via Santa Caterina 3, Trieste Stampa: Starprint s.r.l. - via Amilcare Ponchielli, 51 - 24125 Bergamo N. repertorio ROC: 017934 d.d. 7/2/2009 Abbonamento annuale: ordinario: 90,00 euro • soci Ass. Culturale Pediatri: 70,00 euro • specializzandi: 35,00 euro • infermieri: 35,00 euro • estero (Europa): 135,00 euro. Costo di un numero: 9,00 euro • numero arretrato: 11,00 euro. Importo da versarsi sul c/c postale n. 36018893 intestato a Medico e Bambino sas, via Santa Caterina 3, 34122 Trieste • IBAN IT 51 V 07601 02200 000036018893. La fattura viene rilasciata solo su richiesta esplicita all’atto del pagamento. L’IVA è considerata nel prezzo di vendita ed è assolta dall’Editore ai sensi dell’art. 74, comma 1, lettera c, DPR 26/10/1972 n. 633. Abbonamento online: http://www.medicoebambino.com, cliccando su “Abbonati” Registrazione del Tribunale di Milano n. 364 del 3/10/1981 Poste Italiane SpA - Spedizione in AP - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/2/2004 n. 46), art. 1, comma 1, LO/MI Resi postali: c/o Ufficio di Milano Roserio - CMP Roserio MI2 Testata volontariamente sottoposta a certificazione di tiratura e diffusione in conformità al Regolamento CSST - Certificazione Editoria Specializzata e Tecnica CERTIFICAZIONE EDITORIA SPECIALIZZATA E TECNICA A member of IFABC International Federation of Audit Bureaux of Circulations
Per il periodo 1/1/2019 - 31/12/2019 Periodicità: Mensile Tiratura media: 6000 copie Diffusione media: 5144 copie Certificato CSST n. 2019-3047 del 24/2/2020 Società di revisione: Fausto Vitucci
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Volume 39
numero 9
Editoriali
551 Lasciate ogni speranza voi che non sperimentate: il Recovery collaborative group e il Recovery fund
F. Marchetti, A. Addis Le proposte per il trattamento del Covid-19 alla prova delle evidenze (poche cose sembrano essere efficaci). Il metodo scientifico e razionale può essere utile anche per programmi economici di recupero-rilancio.
552 Al nido, oggi più che mai G. Tamburlini, F. Zanetto È proprio in questa situazione epidemica che il pediatra può guidare i genitori verso un atteggiamento positivo in merito alla frequenza dei servizi educativi... con razionalità e buon senso.
555 La pagina gialla a cura di Alessandro Ventura Disforia di genere: aiutarli da piccoli; probiotici: miraggi e metanalisi; autismo: utilità della genetica; nausea e disturbi da sintomi somatici; neutropenia isolata: cosa pensare?
557 Il graffio a cura di Alessandro Ventura Tumulti di San Martino.
30 novembre 2020
Farmacoriflessioni
581 Otite media acuta: le abitudini difficili a perdersi e l’aderenza alle linee guida F. Marchetti, S. Tagliani La pratica clinica è ancora distante dalle numerose linee guida disponibili, a volte non uniformi. Abbiamo margini di miglioramento. È ora di assumere un senso di responsabilità rigoroso.
L’esperienza che insegna
585 Ostruzioni nasali e russamento: da tre casi insoliti una lezione per il pediatra R. Masetti, D. Leardini, L. Ronchini, S. Riolo, F. Guida, F. Baccelli, S. Cerasi, T. Papaleo, L. Bertelli, A. Pession Sono evenienze talmente comuni da dovere essere quasi trascurate. Esistono però rare situazioni che, per determinate caratteristiche, sono un campanello di allarme per patologie serie da non sottovalutare.
L’angolo degli specializzandi a cura di Sara Lega
591 Sindrome nefrosica: raccomandazioni terapeutiche oltre le linee guida SINePe
557 Lettere Disabilità, patologie croniche complesse e bisogni inevasi: quali prospettive? Due importanti contributi.
561 Quiz di autovalutazione Aggiornamento
562 Contraccezione in adolescenza
E. Conversano, A.M.C. Galimberti, M. Bevacqua Intervista al prof. Francesco Emma.
Osservatorio
597 Cartoline dalla scienza
a cura del Science Centre Immaginario Scientifico Elastografia RM.
C. Bonin, V. Clignon Può capitare di dover rispondere alla richiesta di un’efficace metodica contraccettiva. Quale consigliare e perché?
598 Cartoline dal mondo: le voci dei bambini
Problemi speciali
599 Casi indimenticabili
569 La granulomatosi eosinofilica con poliangioite: dalla pelle al cuore M. Pavan, A. Agrusti, A. Trombetta, S. Pastore, A. Tommasini, V. Moressa, F. Marchetti, A. Taddio, A. Ventura Si tratta della sindrome di Churg-Strauss, per intendersi. Vasculite maggiore, dalle diverse facce.
Ricerca
575 Prescrizione di antibiotici in Pediatria tra il 2012 e il 2018 in Regione Piemonte A. Ravaglia, A. Guala, R. Gnavi, A. Borraccino; GdL Antibiotici Piemonte Un trend di prescrizione in diminuzione, ma con ampi margini di miglioramento che devono tenere in considerazione le importanti variabilità di ambito (e tra i singoli pediatri) e delle scelte fatte nell’uso delle singole molecole di antibiotico.
a cura di Giorgio Tamburlini Bambini e nonni.
Si pensa che una grave anemia ferrocarenziale debba avere (quasi) sempre una causa identificabile... Eppure esiste ancora, e non così raramente, una causa da scarso introito.
601 Pagine elettroniche Un’esperienza sul campo sulla diffusione di SARS-CoV-2. Il monitoraggio è uno strumento che ci aiuterà ad affrontare meglio questo periodo. Una messa a punto sulla sindrome di Tourette.
605 Domande e risposte a cura di Giorgio Longo Iperpotassemia in lattante; vaccino HPV 9-valente.
606 Dermo mail a cura di Irene Berti Emangiomatosi multipla; emangioma congenito.
607 Bianca BLOB a cura di Paola Rodari Resistenze.
Pagine elettroniche - www.medicoebambino.com
Ricerca • Il bambino in comunità e la diffusione di SARS-CoV-2: l’esperienza dei centri estivi (S. Di Mario, E. Mazzanti, G. Matteo, G. Passarini, M.T. Paladino, G. Mattei, L. Barbieri, per il Gruppo Collaborativo Covid-19 in Pediatria) Casi contributivi • Sindrome di Tourette: alla faccia della PANDAS! (D. Ferrara) • Anemia normocitica e dosaggio degli ormoni tiroidei (E. Ferretti, C.M. Pini, L. Luti) Appunti di terapia • Malattia di Kawasaki: quale dose di immunoglobuline nei bambini grandi? (L. Mambelli, A. Iacono, G. Rametta, F. Marchetti) Casi indimenticabili • La circoncisione non è mai banale (D. Codrich, E. Guida, M.G. Scarpa, J. Schleef) • La trachionichia (o malattia delle 20 unghie) (D. Sambugaro) • Gialla fuori... e gialla dentro (A.G. Grasso) I poster degli specializzandi • Un bambino più lungo che largo (G. Trippella, C. Pizza, G. Palmas) • Una corea al 30% (E. Conversano, G. Gortani) • CAMT: trombocitopenia amegacariocitica congenita (V. Carrato) Striscia... la notizia a cura di M.V. Abate
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Editoriali
Editoriali
LASCIATE OGNI SPERANZA VOI CHE NON SPERIMENTATE: IL RECOVERY COLLABORATIVE GROUP E IL RECOVERY FUND Il termine recovery tanto di moda di questi tempi può avere, nella traduzione in italiano, diversi significati: recupero, ripresa, rilancio, ma anche guarigione. In termini economici il Recovery fund, di cui si parla in continuazione, è un fondo con titoli comuni europei per finanziare la ripresa di tutti i Paesi più colpiti dalla pandemia. Da destinare a vari settori tra cui quello più invocato riguarda la Sanità. In attesa di sapere quale sarà il destino del Recovery fund, non tutti sanno che si è creata, in tempo di Covid-19, una piattaforma che adotta una metodologia di lavoro innovativa e che ha l’obiettivo di valutare l’efficacia dei diversi farmaci proposti per il trattamento dell’infezione da SARS-CoV-2. Porta il nome di RECOVERY collaborative group. Strana e curiosa coincidenza rispetto al Recovery fund proposto dall’Unione Europea. Ma quali sono gli obiettivi e la metodologia di lavoro del gruppo collaborativo RECOVERY ? nel corso di studi che adottano una piattaforma comune di lavoro, i pazienti con una singola malattia vengono assegnati in modo casuale a un gruppo di terapie diverse sulla base di un algoritmo decisionale, al fine di determinare se una terapia ha benefici o meno1. Il principio alla base di tali studi consente l’esecuzione di protocolli sperimentali paralleli, con tecniche di arruolamento meno costose e più rapide su pazienti affetti da una determinata patologia e la raccolta di dati essenziali per rispondere a più di un quesito di ricerca. In una situazione di grande incertezza dove non è chiaro quale sia lo standard of care è importante mettere in competizione fin da subito le ipotesi di cura più ragionevoli e ottenere risultati che si traducano in prove e risposte chiare a diversi quesiti in modo tempestivo ed efficiente. Utilizzando questo approccio, i ricercatori di 176 ospedali (!) del Regno Unito hanno progettato lo studio RECOVERY che coinvolge pazienti ospedalizzati con infezione da SARS-CoV-2 avendo come end-point principale la mortalità entro 28 giorni dalla randomizzazione2. Qualche mese fa sulle pagine di Medico e Bambino3, all’inizio della pandemia, riflettevamo sul fatto che le situazioni di grave emergenza ponevano la comunità scientifica di fronte a un dilemma riassumibile in una affermazione: “non c’è tempo per sperimentare”. Eppure, dicevamo, “senza un metodo rigoroso da seguire, in queste situazioni di incertezze, nessun medico potrà sentirsi sicuro di quello che propone e nessun paziente critico potrà avere la garanzia di non essere esposto a rischi inutili, e senza una prospettiva reale di ottenere, in un tempo ragionevole, risposte valide”3. In pratica l’auspicio di sempre era ed è quello che le buone regole della ricerca clinica non devono rappresentare un ostacolo all’accesso alle migliori cure disponibili, a vantaggio e a difesa del paziente. I risultati dei primi studi pubblicati del RECOVERY Collaborative Group, che vengono ora resi disponibili, fanno riferimento a pazienti adulti e ci danno delle sufficienti certezze (non senza alcune rilevanti sorprese), dimostrando rispetto a specifici trattamenti che: a. Il desametasone, nei pazienti ospedalizzati con infezione da SARS-CoV-2, ha determinato una riduzione della mortalità a 28 giorni tra coloro che erano sottoposti a ventilazione meccanica invasiva (29% vs 41%) o solo ossigeno (23% vs 26%) al momento della randomizzazione, ma non tra coloro che non ricevevano supporto respiratorio (16% vs 14%)4.
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b. L’associazione antivirale lopinavir-ritonavir non è associata a riduzione della mortalità a 28 giorni, alla durata della degenza ospedaliera o al rischio di progressione verso la ventilazione meccanica invasiva. Questi risultati non supportano l’uso di lopinavir-ritonavir nei pazienti ospedalizzati5. c. L’idrossiclorochina, sempre nei pazienti ricoverati, non ha prodotto una riduzione della mortalità a 28 giorni rispetto al gruppo trattato con le cure standard (mortalità 27% nel gruppo idrossiclorochina vs 25% nel gruppo standard of care). Un esisto prognostico meno favorevole è stato dimostrato nei pazienti appartenenti al gruppo idrossiclorochina che erano ventilati al momento della randomizzazione6. Il farmaco non risulta efficace neanche in associazione con antibioticoterapia (azitromicina) o per un suo utilizzo, inizialmente proposto, come “preventivo” dell’infezione7. Sempre nel primi giorni di ottobre sono stati pubblicati i risultati di un altro importante studio di un gruppo collaborativo internazionale che vede la partecipazione di diverse nazioni (tra queste Stati Uniti, Inghilterra, Danimarca, ma non l’Italia), l’Adaptive Covid-19 Treatment Trial (ACTT-1), in merito all’efficacia di un altro antivirale, il remdesivir8. I pazienti adulti che hanno ricevuto remdesivir per via endovenosa hanno un tempo di degenza medio di 10 giorni rispetto ai 15 giorni del gruppo trattato con placebo (obiettivo primario dello studio). Le stime sulla mortalità sono del 6,7% con remdesivir e dell'11,9% con placebo entro il 15° giorno e dell’11,4% con remdesivir e del 15,2% con placebo entro il 29° giorno. Non sembra esserci una differenza di efficacia tra 10 giorni vs 5 giorni di terapia9. Alla luce di questi risultati le task force della Società di Medicina Toracica Europea e Americana hanno aggiornato le loro raccomandazioni sconsigliando l’uso dell’idrossiclorochina (se non nell’ambito di sperimentazioni cliniche) e raccomandato l’uso del remdesivir e del desametasone10. Successiva alla pubblicazione dei lavori del RECOVERY Collaborative Group e dell’ACTT-1, l’OMS ha annunciato i risultati intermedi del Solidarity Therapeutics Trial (a cui hanno aderito 30 nazioni): remdesivir, idrossiclorochina, lopinavir/ritonavir e interferone sembrano avere poco o nessun effetto sulla mortalità a 28 giorni o sul decorso dell’infezione da SARSCoV-2 tra i pazienti ricoverati. In attesa della pubblicazione del lavoro, anche i risultati di questa rete multicentrica darebbero un’ulteriore conferma in merito all’inefficacia dell’idrossiclorochina e di lopinavir/ritonavir (e dell’interferone), con risultati a questo punto dubbi sul remdesivir (oggetto di registro AIFA per monitoraggio della prescrizione). Tutto è in progress, ma cominciamo ad avere alcuni risultati robusti in termini di conoscenze anche sui trattamenti farmacologici. All’inizio della pandemia ognuno di noi ricorda le raccomandazioni di alcune Società scientifiche e Agenzie regionali in merito al “divieto” assoluto sull’uso dei corticosteroidi e alle raccomandazioni favorevoli sull’idrossiclorochina (invocata anche da capi di Stato, come Donald Trump, trattato invece per la sua infezione con anticorpi monoclonali!). In questo contesto, come superamento delle tante opinioni di esperti riguardo ai differenti trattamenti possibili, vale la pena ricordare il tentativo di fornire un aggiornamento continuo e una sintesi tra le diverse raccomandazione possibili fatta dall’Agenzia Italiana del Farmaco3.
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Editoriali
Editoriali
Anche se tutto questo non riguarda (o riguarda molto poco) la popolazione pediatrica, la pandemia senza fine ci richiama alcuni principi che sono stati recentemente invocati da diversi Enti e Organismi internazionali. I quesiti clinici e gli obiettivi di quello che si vuole ottenere da un determinato trattamento sono la base di qualsiasi doverosa sperimentazione. In questo momento, nonostante la diminuzione dei decessi e delle complicanze che potrebbero derivare da una migliore conoscenza della patologia e da trattamenti più appropriati, troppe persone con Covid-19 purtroppo sono ancora destinate a morire. È responsabilità dell’intera comunità medico-scientifica trovare una strada che consenta di progettare, implementare e completare rapidamente gli studi degli agenti terapeutici e dei vaccini più promettenti contro questa infezione. Questi agenti includono anticorpi monoclonali11, farmaci immunosoppressori più selettivi e vaccini costruiti su piattaforme che vanno dagli acidi nucleici, alle proteine, ai virus ricombinanti. La ricerca clinica multicentrica e coordinata, scientificamente solida ed eticamente valida, rimane il percorso più rapido ed efficiente per strategie di trattamento e prevenzione per il Covid-19. La strada intrapresa dalla Gran Bretagna (RECOVERY trial) sembra a oggi quella che è riuscita a restituire il maggior numero di informazioni per Covid-19 su ciò che è efficace e ciò che al contrario non serve o addirittura è dannoso. Senza perdersi in inutili piccole sperimentazioni, senza cercare vie di fuga che, anche in tempi di emergenza, purtroppo non pagano. Il metodo scientifico dei network collaborativi internazionali potrà essere da esempio per programmi - anche in Italia - di “recupero-rilancio” che hanno a che fare con il Recovery fund? Non si tratta solo di non sprecare risorse, ma di prevedere, con programmi di lavoro che dovrebbero assomigliare a quelli scientifici (obiettivi, metodi, risultati), che alle parole di cui sentiamo parlare, quali “programmi verdi, sociali e digitali”, si dia contenuto e azione. E se di parole ne immaginassimo anche altre che hanno a che fare con la salute, quali: “equità, qualità, ricerca”? Senza queste concrete prospettive il Sommo Poeta ci ricorderebbe ancora una volta che esiste una soglia che una volta varcata non ci darebbe alcuna possibilità di tornare indietro. Le speranze di una crescita e una redenzione solidale, diffusa tra i popoli, che condivida i diritti di dignità di vita12, se non attuate, ci potrebbero portare su una strada di non ritorno. Per intanto attendiamo i risultati dei prossimi studi del RECOVERY Collaborative Group che riguardano i farmaci biologici, il plasma di pazienti guariti. E attendiamo soprattutto i risultati delle sperimentazioni sui vaccini che dovrebbero rispondere a logiche più collaborative, con meno segreti commerciali, come invocato dalla stessa OMS13.
Bibliografia 1. Woodcock J, LaVange LM. Master protocols to study multiple therapies, multiple diseases, or both. N Engl J Med 2017;377:62-70. 2. Normand SLT. The RECOVERY Platform. N Engl J Med 2020 Jul 21 [Epub ahead of print]. 3. Fontana M, Zuin G, Addis A, Marchetti F. Farmaci, sperimentazioni, registri, nei tempi dell’emergenza del coronavirus. Medico e Bambino 2020;39(4):232-6. 4. The RECOVERY Collaborative Group, Horby P, Lim WS, et al. Dexamethasone in hospitalized patients with Covid-19 - preliminary report. 2020 Jul 17 [Epub ahead of print].
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5. RECOVERY Collaborative Group. Lopinavir-ritonavir in patients admitted to hospital with Covid-19 (RECOVERY): a randomised, controlled, open-label, platform trial. Lancet 2020 Oct 5 [Epub ahead of print]. 6. RECOVERY Collaborative Group; Horby P, Mafham M, Linsell L, et al. Effect of hydroxychloroquine in hospitalized patients with Covid-19. N Engl J Med 2020 Oct 8 [Epub ahead of print]. 7. Quarantiello F, Pennacchio ML, Diana A, Tommasini A. Covid-19: perché è meglio dimenticarsi dell’idrossiclorochina. Medico e Bambino 2020;39(7):420-1. 8. Beigel JH, Tomashek KM, Dodd LE, et al.; for the ACTT-1 Study Group Members. Remdesivir for the treatment of Covid-19 - preliminary report. N Engl J Med 2020 Oct 8 [Epub ahead of print]. 9. Dolin R, Hirsch MS. Remdesivir - An important first step. N Engl J Med 2020 May 27 [Epub ahead of print]. 10. Bai C, Chotirmall SH, Rello J, et al. Updated guidance on the management of Covid-19: from an American Thoracic Society/European Respiratory Society coordinated International Task Force (29 July 2020). Eur Respir Rev 2020;29(157):200287. 11. Chen P, Nirula A, Heller B, et al.; BLAZE-1 Investigators. SARS-CoV2 neutralizing antibody LY-CoV555 in outpatients with Covid-19. N Engl J Med 2020 Oct 28 [Epub ahead of print]. 12. Tognoni G, Cadauro A. Per una distanza che sia prossimità di diritti. Forward.recentiprogressi.it giugno 2020. 13. Mahase E. Covid-19: vaccine trials need more transparency to enable scrutiny and earn public trust, say experts BMJ 2020;371: m4042.
Federico Marchetti Direttore di Medico e Bambino UOC di Pediatria e Neonatologia, Ospedale di Ravenna AUSL della Romagna Antonio Addis Dipartimento di Epidemiologia del Servizio Sanitario Regionale, Regione Lazio, Roma AL NIDO, OGGI PIÙ CHE MAI Molti anni fa erano parecchi i pediatri che sconsigliavano i genitori di mandare il proprio bambino al nido, con la motivazione che si sarebbe ammalato troppo spesso. Cosa certamente vera, ma la cui importanza è soverchiata da molte altre considerazioni, già più volte richiamate su questa rivista e che ricordiamo brevemente. La prima è che infezioni frequenti nei primi anni “allenano” le difese immunitarie e proteggono da infezioni negli anni successivi1. La seconda è che, probabilmente per lo stesso motivo, le infezioni frequenti nei primi anni costituiscono un fattore protettivo (parziale) per non poche patologie croniche: asma, diabete e addirittura leucemia2-4. La terza è che la frequenza di un nido è un fattore facilitante lo sviluppo di competenze sia sul versante cognitivo che socio-relazionale, e questo soprattutto quando il contesto familiare non assicura ricchezza di apporti educativi, come confermato da una larga messe di studi e anche da una recente indagine effettuata in Italia, che ha indicato tra i determinanti delle competenze in bambini di 4 anni proprio la frequenza di un nido (o di una classe primavera)5. La quarta è che un servizio educativo, dove esistono delle regole e dove c’è la possibilità (e il dovere, ovviamente tenendo conto dell’età dei bambini e quindi con approcci pedagogicamente appropriati) di preparare i bambini a comprenderne il significato, è un fondamentale presidio del convivere civile: nei nidi, e poi nelle scuole dell’infanzia, in condizioni di normalità e ancor più in condizioni di emergenza, ci si attrezza
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Editoriali
Editoriali
man mano ad affrontare i problemi comuni assieme, comprendendo e introiettando i principi del bene comune, della coesione, del lavoro di gruppo, della solidarietà. Un po’ alla volta, forse troppo lentamente, queste evidenze hanno cambiato l’atteggiamento dei pediatri nei confronti della frequenza di nidi e scuole dell’infanzia. Ma sono ancora molti i casi in cui alle famiglie viene sconsigliato di mandare i bambini al nido, adducendo, ora, anche i rischi di contagio da Covid e le accresciute complicazioni di avere il “moccolo”. In realtà, è proprio in questa situazione che è compito del pediatra guidare i genitori verso un atteggiamento positivo verso la frequenza dei servizi educativi. Certo, con sensibilità e buon senso: i consigli del pediatra devono tenere conto del contesto familiare, della qualità dei servizi offerti dal territorio, rifuggendo quindi da ogni rigidità, anche riguardo all’età più appropriata di inizio della frequenza al nido6. In tempi di Covid, le quattro considerazioni pro-nido che abbiamo ricordato sono ancora più vere, tenendo conto anche di quanto sappiamo sulla minore infettività attiva e passiva dei bambini, soprattutto quelli piccoli, e del fatto che nidi, materne e scuole in generale sono in media molto più sicuri che altri contesti (familiari e non), proprio perché le regole esistono e vengono fatte rispettare. Infatti, quello che sappiamo dagli studi, dall’esperienza quotidiana e dai report dei monitoraggi a livello di alcune Regioni7 (vedi la Ricerca a pag. 601) e a livello nazionale, è che i casi di contagio imputabili alle scuole sono pochissimi, e che nella gran parte dei casi di infezione nei bambini, questa deriva dai familiari e non dalla scuola8. Si possono comprendere alcune esitazioni di fronte alle difficoltà che le famiglie incontrano in caso di sintomi da raffreddamento, imputabili all’ingiustificato automatismo sintomo-tampone e al tempo, spesso decisamente troppo lungo, che nella gran parte dei casi deve trascorrere tra richiesta del tampone, quando necessario, la sua esecuzione e il risultato. Se saranno disponibili test rapidi e/o se tutte le Autorità regionali lasceranno ai pediatri un margine di discrezionalità nella ri-
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chiesta del tampone, come già avviene in non poche realtà, tali difficoltà saranno molto ridotte. Va comunque considerato che andare al nido, o alla “materna”, rappresenta il miglior interesse del bambino. Ora più che mai9.
Bibliografia 1. Côté SM, Petitclerc A, Raynault MF, et al. Short- and long-term risk of infections as a function of group child care attendance. An 8-year population-based study. Arch Pediatr Adolesc Med 2010;164(12):1132-7. 2. Urayama KY, Buffler PA, Gallagher ER, Ayoob JM, Ma X. A metaanalysis of the association between day-care attendance and childhood acute lymphoblastic leukaemia. Int J Epidemiol 2010;39: 718-32. 3.Kaila B, Taback SP. The effect of day care exposure on the risk of developing type 1 diabetes: a meta-analysis of case-control studies. Diabetes Care 2001;24:1353-8. 4.Bach JF. The effect of infections on susceptibility to autoimmune and allergic diseases. N Engl J Med 2002;347:911-20. 5. Save the Children. Il miglior inizio: diseguaglianze e opportunità nei primi anni di vita. Settembre 2019. 6. Tamburlini G, Alushaj A. Tempo materno, tempo di nido e sviluppo del bambino: le evidenze. Medico e Bambino 2018;37(6):361-70. 7. Di Mario S, Mazzanti E, Matteo G, et al.; per il Gruppo Collaborativo Covid-19 in Pediatria. Il bambino in comunità e la diffusione di SARS-CoV-2: l’esperienza dei centri estivi. Medico e Bambino 2020;39(9):601-4. 8. Viner RM, Mytton OT, Bonell C, et al. Susceptibility to SARS-CoV-2 infection among children and adolescents compared with adults. a systematic review and meta-analysis. JAMA Pediatr pub online September 25, 2020. 9. Faust SN, Munro APS. It’s time to put children and young people first during the global Covid-19 pandemic. JAMA Pediatr published online September 25, 2020.
Giorgio Tamburlini Presidente del Centro per la Salute del Bambino onlus Federica Zanetto Presidente dell’Associazione Culturale Pediatri
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La pagina gialla a cura di Alessandro Ventura
Disforia di genere: l’importante è aiutarli da piccoli. Si chiama disforia perché sottende una sofferenza: estrema, pervasiva e di regola non comunicata. Parliamo dei bambini, e più ancora degli adolescenti, con incongruenza di genere: con discordanza cioè tra il genere assegnato alla nascita (il genere biologico e fenotipico) e il genere vissuto, il genere con cui il bambino si identifica. Per questi bambini la pubertà è un momento critico e particolarmente vulnerabile per quel che riguarda il rischio di sviluppare disordini mentali e ideazione suicidaria. Nei fatti, più di uno studio evidenzia l’utilità della creazione di Centri dedicati al supporto di bambini con disforia di genere (ed eventualmente - lo sarà in una stretta minoranza di casi - di un intervento ormonale finalizzato a ritardare la pubertà e prendersi il tempo per una decisione ponderata rispetto a eventuali interventi chirurgici) nella prevenzione di atti di autolesionismo e di tentativo di suicidio (vedi anche la Pagina gialla di marzo, Medico e Bambino 2020;39(3):145-6). Uno studio appena pubblicato su Pediatrics (Sorbara JC, et al. Mental health and timing of gender - Affirming care. Pediatrics 2020;146:e20193600) e che ha coinvolto 300 giovani adulti con disforia di genere (loro la chiamano incongruenza di genere) ha confermato come questa condizione sia fortemente correlata a disturbo psichico maggiore di tipo ansioso depressivo e all’uso di psicofarmaci. Ma ha anche inequivocabilmente dimostrato che la presa in carico di questi casi già in età pediatrica, e specialmente prima dell’inizio della pubertà, migliori significativamente la prognosi in questo senso. La disforia di genere è quindi, lo ripetiamo per l’ennesima volta, una questione pediatrica, e sta solo e soltanto alla nostra bravura e sensibilità sapere, al caso, riconoscere la sofferenza e dare al bambino e alla famiglia le giuste indicazioni: quelle che potrebbero anche salvargli la vita. Probiotici: miraggi e metanalisi. Si aggira sui 4 milioni il numero di persone (adulte) che nel 2015, negli USA, ha assunto almeno un ciclo di probiotici. Questo numero è quattro volte superiore rispetto al 2007, a sua volta accompagnato da una espansione dell’Industria e del marketing non giustificati dalle conoscenze
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scientifiche relative. Per questo motivo, diverse Società scientifiche hanno pubblicato delle linee guida (LG) nel tentativo di fornire una collocazione razionale all’utilizzo dei probiotici nelle diverse patologie gastroenteriche. Tra le ultime e più prestigiose, quelle elaborate dalla Società Americana di Gastroenterologia (AGA) che, con oltre 16.000 membri, è tra le più autorevoli del settore. La stesura di queste LG (Preidis GA, et al. AGA Technical review of probiotics in gastrointestinal disorders. Gastroenterology 2020;159 (2):708-38) è preceduta da una revisione sistematica della letteratura, suddivisa in 8 “sezioni”, corrispondenti ad altrettante potenziali indicazioni all’impiego di probiotici. Tra queste, la terapia e la prevenzione della diarrea da antibiotici, l’induzione della remissione e il mantenimento delle malattie infiammatorie croniche intestinali, il miglioramento dei sintomi nella sindrome dell’intestino irritabile, la riduzione della durata e della gravità della diarrea nella gastroenterite acuta infettiva (GEA), la prevenzione della enterocolite necrotizzante nel neonato pretermine. Il lettore che abbia dimestichezza con le revisioni sistematiche è probabilmente abituato alla rigorosa selezione dei lavori che vengono ammessi alla valutazione finale: anche queste LG non fanno eccezione e, a fronte di oltre 10.000 lavori presi in esame, solo poco più di un centinaio sono risultati di sufficiente qualità metodologica e rigore scientifico per essere ammessi alla valutazione finale stessa. In particolare, è discretamente sconcertante che almeno il 10% dei lavori scartati lo sia perché si tratta di duplicati (!). L’analisi dei lavori selezionati è poi condotta con una metodologia rigorosa (in larga parte basata su quella adottata nelle revisioni Cochrane) e la qualità dell’evidenza raggiunta viene espressa secondo quattro categorie (alta, moderata, bassa, molto bassa) dipendenti dal tipo di lavoro (massima per gli RCT), dalla presenza o meno di bias, e dalla qualità di altri elementi metodologici ancora. Per 7 su 8 dei quesiti clinici presi in considerazione dalle LG le conclusioni sono piuttosto vaghe: in generale vi è una qualche incerta raccomandazione verso l’impiego dei probiotici, con la sottolineatura, comunque, che si tratta di conclusioni basate su evidenze di qualità bassa o molto
bassa. Nel caso invece della gastroenterite acuta, spicca la chiarezza e sicurezza della raccomandazione contro l’impiego dei probiotici: raccomandazione basata su evidenze di qualità “moderata”, cioè quasi di livello massimo. Leggendo accuratamente il report “tecnico” che accompagna le LG, si può vedere come questa raccomandazione “in negativo” sia sostanzialmente il risultato di due diversi fattori: da un lato il “peso” del trial più ampio e meglio condotto su GEA e probiotici (già a suo tempo qui segnalato - Medico e Bambino, dicembre 2018, pag 623) che non ha dimostrato alcuna efficacia dei probiotici stessi, e dall’altro la miriade di lavori di piccole dimensioni e/o con elevato rischio di bias che abbassano il livello qualitativo del lavoro quand’anche venga raggiunta una significatività statistica. Ben vengano queste LG che ci aiutano a mantenere a fuoco i fatti dietro alle nebbie e ai miraggi che potrebbero offuscarci la vista e trarci in inganno (a cura di Massimo Fontana). Autismo: utilità clinica dei test genetici. Della polimorfa base genetica dell’autismo abbiamo parlato tante volte, così come delle vere e proprie sindromi (come l’X-fragile, la sindrome di Rett, le sindromi correlate a mutazioni dei geni che regolano la proliferazione cellulare come il gene PTEN) di cui il disturbo dello spettro autistico può essere parte. Ed è in questo senso che va rimarcato come l’Accademia Americana di Pediatria (AAP) raccomandi di eseguire sempre un approfondimento genetico (microarray per lo studio degli SNP Single Nucleotide Polymorphism - e analisi relative all’X-fragile) in tutti i casi in cui venga posta in maniera definitiva una diagnosi di autismo o di disturbo dello spettro atutistico (DSA). Un recente studio americano che ha coinvolto retrospettivamente 500 bambini con diagnosi di autismo o DSA fa luce sulla resa diagnostica e sull’utilità clinica dell’esecuzione dei test genetici raccomandati per questi casi. Una precisa diagnosi viene alla fine posta nel 12% dei casi che si sottopongono all’approfondimento genetico. Può sembrare poco ma, nei fatti, per i casi in cui viene identificata la causa genetica del loro disturbo le cose cambiano abbastanza. Nella larga maggioranza di
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La pagina gialla questi casi infatti la diagnosi porta a un significativo cambiamento del follow-up rispetto a quello in precedenza programmato: con diversi tipi di consulenze e di approfondimenti diagnostico-terapeutici in particolare per quanto riguarda l’epilessia, la patologia endocrinologica, l’ecocardiografia e le consulenze cardiologiche così come gli approfondimenti e interventi di tipo audiologico e oftalmologico. Senza contare poi l’utilità della diagnosi di X-fragile per la pianificazione procreativa dei genitori. Qualcuno potrebbe pensare che se l’autismo rientra in una condizione sindromica dovrebbe avere fin dall’inizio un fenotipo particolare, con dismorfismi e altri elementi clinici facilmente rilevabili, e che solo in questi casi andrebbe fatto l’approfondimento diagnostico: ma, stando ai dati dello studio, non è così (Harris HK, et al. Pathogenic yeld of genetic testing in autism spectrum disorder. Pediatrics 2020;146(4):e20193211). Stiamo dietro quindi, ancora una volta, ai nostri colleghi NPI: che non perdano l’occasione di far bene a quel bambino con DSA ancor più di quello che già fanno. Nausea. La nausea è un sintomo regolato dal sistema limbico e da diverse aree sottocorticali, in risposta a differenti stimoli sensoriali, psicologici e cognitivi. Non di rado si tratta di un sintomo di accompagnamento di dolori funzionali nell’ambito del cosiddetto disturbo somatico: e quando è così, rappresenta un fattore che ne peggiora significativamente la prognosi, sia in termini di durata che di (dis)funzionamento esistenziale (Russel AC. Clin Gastroenterol Hepatol 2017;15:706-11;Kovacic K, et al. Neurogastroenterol Motil 2019;31:e13595). Parliamo in pratica di quella che, secondo i famigerati criteri di Roma IV, può essere definita nausea funzionale: un disturbo soggettivo perdurante nel tempo (due volte o più per settimana da almeno due mesi), prevalentemente lontano dai pasti e senza vomito, non spiegabile da altra condizione patologica. Uno studio appena pubblicato (Tarbell SE, et al. Children with functional nausea. Comorbidities outside the gastrointestinal tract. J Pediatr 2020;225:103-108.e1) ci conferma che i bambini con nausea funzionale lamentano spesso anche altri disturbi funzionali di ordine
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gastroenterologico (in particolare il dolore addominale ricorrente e/o la stipsi) e che per questo vengono inutilmente sottoposti (assolutamente inutilmente!) a uno straordinario numero di approfondimenti invasivi: nello studio in questione 96 endoscopie digestive, 199 esami radiologici, quattro colecistectomie per 63 bambini. Il dato più importante che emerge dallo studio è però l’elevata comorbidità extraintestinale che i bambini con nausea funzionale presentano nella grande maggioranza dei casi: prevalentemente, anche questa, di origine disfunzionale o psichiatrica e caratterizzata dalla cefalea, dalla tachicardia o ipotensione ortostatica, dal disturbo di ansia, dal disturbo del sonno (difficile pensare che anche questo non sia espressione di uno stato d’ansia), dalla stanchezza e dalle allergie alimentari. Lo studio ci mostra anche che, per questo tipo di co-morbidità, più della metà dei casi sono stati assenti da scuola per molte settimane, quando non proprio relegati sempre in casa (homebound, per dirla con gli Autori). Per gli Autori potrebbero configurarsi diversi tipi di fenotipo disfunzionale meritevoli di diverso approfondimento e approccio diagnostico terapeutico, rimanendo chiaro comunque che questi bambini hanno bisogno di un approccio olistico, multidisciplinare. Si tratta certo di una raccomandazione ragionevole. E certamente, davanti a un bambino con nausea cronica, verificheremo con l’aiuto del NPI se sotto sotto c’è un disturbo d’ansia, piuttosto che partire con una gastroscopia… Ma rimane vero comunque che davanti a ogni caso disfunzionale (disturbo somatico) bisogna in primis, da soli o in compagnia di qualche collega specialista, impegnarsi a riattivare la funzione (e in particolare la frequenza scolastica) piuttosto che aggrovigliarsi sul sintomo. Tanto più se la nausea fa parte della scena. Neutropenia isolata. Le cause di una neutropenia isolata (conta assoluta dei leucociti neutrofili inferiore a 1500/µl in assenza di altre alterazioni dell’emocromo) sono molteplici: si va dalle forme acquisite con scarsa o nulla rilevanza clinica (assenza e basso rischio di infezioni severe) (neutropenia da infezioni virali, neutropenia autoimmune, neutropenia benigna
dell’infanzia), alla neutropenia da farmaci (qui basterà l’anamnesi a porre il sospetto clinico), alle forme congenite (come la sindrome di Shwachmann-Diamond riconoscibile peraltro da altri elementi fenotipici) o come le forme genetiche (rare, più spesso associate a mutazioni del gene ELANE, clinicamente caratterizzate dalla gravità delle infezioni che accompagnano la neutropenia e a causa delle quali si scopre che il bambino è neutropenico). Di fatto, nei casi di un bambino con neutropenia isolata non accompagnata da infezione grave, indipendentemente dalla severità della neutropenia stessa e dalla sua eziologia (si tratti cioè di una neutropenia autoimmune, di una neutropenia postvirale o di una neutropenia da causa non identificata), la prognosi è spontaneamente risolutiva e senza incidenti nel giro di qualche mese. Ce lo conferma uno studio che ha coinvolto 155 bambini inviati a un Centro di Oncoematologia pediatrica americano per neutropenia isolata nel giro di 5 anni e mezzo, in un quarto dei quali la neutropenia poteva essere definita moderata-severa (un numero di neutrofili < 500/µl): dopo un follow-up medio di un anno, il problema si era risolto spontaneamente senza insorgenza in infezioni gravi nel 70% dei casi (Nagalpuram V, et al. Outcomes of isolated neutropenia referred to Pediatric Hematology-Oncology clinic. Pediatrics 2020;146(4): e20193637). Ai bambini con neutropenia isolata senza storia di infezione grave andrebbe quindi risparmiato l’eccessivo numero di controlli che a loro viene oggi di regola imposto, sapendo da subito rassicurare la famiglia in maniera decisa. Confronti in Pediatria. Lo sapete già: i Confronti di questo anno si svolgeranno di necessità per via telematica, secondo lo stesso programma che era stato annunciato e che trovate all’indirizzo www.quickline.it/ docs/CONFRONTI.pdf. Ci mancheranno senz’altro gli abbracci, i saluti, il contatto umano. Ma l’entusiasmo e l’impegno di tutti, relatori e partecipanti, sarà lo stesso. Così come la voglia di interazione che riusciremo a soddisfare grazie alla qualità della piattaforma web che sarà utilizzata. Per avere dettagli in proposito scrivete a congressi@quickline.it. E… fatevi sentire.
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Lettere Le lettere sono sempre gradite, e vengono sempre pubblicate. Si prega solo una ragionevole concisione, cercando di non superare le 3000 battute. Qualche taglio editoriale e qualche intervento di editing che non alteri il senso della lettera saranno, a volte, inevitabili.
IL GRAFFIO
Tumulti di San Martino
Il 10 e l’11 novembre 1628, in piena epidemia di peste, scoppia a Milano la Rivolta del pane: quella di manzoniana memoria, da allora ricordata come “il tumulto di San Martino”. Dietro alle sommosse di quattrocento anni fa, come dietro a quelle cui assistiamo oggi nel contesto dell’epidemia di Covid e delle misure prese dal Governo per contenerla, si intravedono le ombre del male che cavalca il male per mali fini: i provvedimenti cinici e demagocici del Governatorato spagnolo che all’epoca avevano messo il popolo (i cittadini ridotti alla fame e sconvolti dalla peste) contro il popolo (i fornai che di certo non avevano né meno fame né meno peste) per garantire gli approvvigionamenti dell'esercito spagnolo, cosi' come l'istigazione distruttiva e omicida delle organizzazioni mafiose e delle frange estremiste che stravolge oggi le giustificate proteste di piazza di molte categorie di lavoratori e che, come sempre, mira a indebolire le Istituzioni. Le epidemie (la peste, come la Spagnola, come il Covid) devastano l’umanità, seminano paura, indeboliscono il fisico e la ragione degli uomini. E fanno emergere, assieme alla voglia di solidarietà, assieme ai sentimenti più generosi e nobili, assieme agli eroi, anche i peggiori sentimenti, le peggiori tentazioni, le peggiori intenzioni, le peggiori azioni. Vicino agli eroi (così stiamo chiamando infermieri, operatori sanitari, medici che fanno semplicemente quello che avevano
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scelto di fare, dipendenti o no che siano dal Sistema Sanitario Nazionale) crescono, vestiti della stessa divisa, nominati con lo stesso nome, altri protagonisti (vorrei sperare che siano una minoranza, vorrei sperare che si tratti solo di un momento di confusione) che fuggendo dal loro ruolo naturale (dal compito “assoluto” che avevano dichiarato di aver scelto), organizzano la loro assenza e contrattano, nella catastrofe e circondati dalla morte e dall’eroismo, il loro guadagno personale. Di eroi, di infermieri e mediciche-fanno-semplicemente-i-medici secondo quel che c’è da fare, in ogni contesto, in ogni momento, in ogni occasione si offra loro, ne conosco tantissimi: anzi, forse conosco solo infermieri e medici di questo tipo. E certamente mi vergogno di non essere oggi con loro, sul campo, con la becera scusa di essere un pensionato. Questi eroi, questi infermieri, questi medici-che-semplicemente-fanno-i-medici lavorano (combattono?) ovunque ci sia da lavorare: in ospedale, dove vanno ogni giorno ad accogliere e assistere, senza se e senza ma, i pazienti che arrivano; come sul territorio, quando operano con abnegazione per evitare che gli ospedali si affollino e che il sistema vada in crisi a danno della salute dei cittadini. C’è però qualcuno che fugge, c’è qualcuno che, non appartenendo allo stesso Sistema, può permettersi di non esserci, di organizzare la diserzione. Anche questo è un minaccioso rumore, un’ombra inquietante, che incombe sui tumulti di San Martino… Alessandro Ventura
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Lettere DISABILITÀ, PATOLOGIE CRONICHE COMPLESSE E BISOGNI INEVASI: QUALI PROSPETTIVE?
Disabilità: un problema irrisolto e forse irrisolvibile La percezione sociale del disabile sembra vivere un’eterna ambivalenza tra il rifiuto e l’accoglienza, l’amore e l’odio, la presa in carico e l’abbandono. Nel mondo animale il malato è destinato a morire e così la selezione naturale protegge e migliora la specie. Ci sono esempi di cura e difesa dei malati o dei feriti, ma la regola generale è questa. Noi uomini costituiamo un’anomalia. Tutta la Medicina infatti è lo sforzo per combattere la naturale selezione della specie! Nel corso dell’evoluzione l’uomo è riuscito a sopravvivere e prevalere perché è stato capace di essere gruppo, cooperazione, comunione delle esperienze e legami affettivi interpersonali solidi. Tutto questo grazie a un cervello plastico che è riuscito ad adattarsi e specializzarsi nella capacità dell’incontro e della reciprocità. Nel cervello dell’uomo i meccanismi dell’empatia attivano la reazione di cura attraverso l’esperienza interiorizzata del dolore dell’altro. Il sistema dei neuroni specchio, quello della comunicazione emotiva non verbale, il bisogno della relazione, tipico della specie umana, sono fondati sulla reciproca capacità di sentire e vivere le emozioni dell’altro, belle o brutte. Emozioni che attivano comportamenti reattivi qualche volta anche estremi, fino al sacrificio della vita per la vita dell’altro! Nel caso della disabilità cronica non sempre però il meccanismo di rispecchiamento ha il risultato dell’empatia o della presa in carico. I sistemi specchio possono non riconoscere l’immagine corporea che hanno davanti e avere difficoltà di ricostruirla nel proprio sé. Il vissuto della sofferenza poi, interiorizzata dopo l’incontro con una disabilità, può attivare una reazione di difesa attraverso il blocco dei meccanismi dell’empatia. L’effetto è la distanza emotiva e il rifiuto. La difficoltà a percepire i bisogni e i problemi del disabile con il suo mondo emotivo. L’impulso immediato davanti a una deformità è la presa di distanza, la diffidenza, l’incapacità di sentirne la sofferenza. È necessaria l’elaborazione corticale che prenda il controllo delle emozioni perché realmente il primo impatto di rifiuto sia superato e si attivi un comportamento di soccorso e presa in carico. Tutto questo è alla base della cecità sociale che accompagna la disabilità tutta.
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Il familiare, vicino affettivamente, ha un percorso diverso. Coinvolto emotivamente egli vive il dolore in prima persona. I meccanismi di evitamento e rifiuto diventano per lui complessi di colpa. L’inadeguatezza degli interventi, la percezione progressiva del fallimento delle speranze, accompagnata alla riduzione delle energie, costruiscono sindromi depressive e progetti di vita frantumati. Un Sistema Sanitario che si rivolga alla cronicità e alla disabilità non può non considerare questi problemi. La cecità sociale isola questi malati e non vede le problematiche complesse delle loro famiglie. Il sistema di sostegno dovrebbe quindi conoscere i meccanismi che sottendono questi comportamenti sociali e porvi rimedio con interventi mirati al recupero dell’inclusione e all’interruzione della solitudine. Il primo passo è comprendere che il disabile è un unicum insieme a tutta la sua famiglia e che c’è una profonda differenza di bisogni alle varie età. Un bambino è molto diverso da un anziano o un giovane! Ognuno dovrebbe avere un percorso di recupero differenziato. La gestione attuale è invece basata sull’offerta di contributi economici, presidi, facilitazioni e interventi riabilitativi, ma non tiene conto della peculiarità dei bisogni e non prevede nulla come sostegno umano familiare e di inclusione. In età pediatrica l’impegno è tutto mirato alla riabilitazione. I bambini frequentano più o meno la scuola e i genitori, giovani, mantengono ancora viva la speranza di un futuro. Dopo i 18 anni però la scuola finisce, la riabilitazione lascia pochi margini alla speranza, i ragazzi rientrano in casa senza prospettive e i genitori, stanchi, si ritrovano a dover riprogettare un futuro di vita che questa volta non sembra offrire possibilità. Il risultato è la profonda solitudine, l’involuzione, la depressione familiare. Il carico di lavoro sui genitori diventa insopportabile con l’angoscia di un “dopo di noi” cui è impossibile trovare risposte. La cecità sociale nelle età avanzate si acuisce. L’adattamento alla cronicità rende questi malati invisibili anche ai familiari (zii cugini ecc…) e non attiva più risposte emotive di sostegno. In questo contesto l’assegno di accompagnamento, unica risposta del sistema, resta un inutile risarcimento sociale, del tutto inadeguato ad affrontare le quotidiane problematiche com-
plesse cui la famiglia, rimasta completamente sola, deve rispondere. In che modo il sistema potrebbe migliorare un’offerta di cura in un contesto così difficile? Il primo passo dovrebbe essere la presa in carico di tutta la famiglia. Serve un importante supporto psicologico ed emotivo per i genitori e uno mirato e particolare per i fratelli. Le famiglie hanno assoluto bisogno di non vivere ripiegate solo sui bisogni del disabile, ma di mantenere interessi e prospettive proprie! Questo è possibile solo se non sono costrette a dover affrontare da sole le mille necessità logistiche quotidiane. Servono persone, presenze, relazioni, condivisioni! Percorsi di inclusione e soggiorno diurno o anche notturno in contesti propositivi dove ad attività riabilitative possano accompagnarsi attività ludiche e motorie tra abili e disabili! Tutto questo comporta un impegno importante, ma assolutamente necessario. Nella gestione della disabilità la patologia da curare non è il deficit intellettivo o l’atassia o la paresi… ma la cecità sociale, la depressione familiare, l’isolamento. E il paziente non è il singolo malato, ma la sua famiglia e il contesto sociale in cui è inserita. Il paziente è la città in cui vive. Un ambiente che dovrebbe essere accogliente, in grado di offrire luoghi accessibili e aggreganti. Un disabile chiuso in casa, davanti a un video, solo, è il quadro clinico comune a tutte le patologie croniche. Nessun intervento fino a ora è mai riuscito a modificarlo.
Bibliografia di riferimento • Aragona M, Puzella A. Come cambia l’empatia per il dolore nelle Neuroscienze. Una revisione critica della letteratura. Giorn Ital Psicopatol 2010; PDF researchgate.net • Gallese V, Migone P, Eagle MN. La simulazione incarnata: i neuroni specchio, le basi neurofisiologiche dell’intersoggettività e alcune implicazioni per la psicoanalisi. Psicoterapia e Scienze Umane 2006;40(3):543-80. • Gallese V. Dai neuroni specchio alla consonanza intenzionale, meccanismi neurofisiologici dell’intersoggettività. Rivista di Psicoanalisi 2007. • Gazzetta Ufficiale. Legge 5 febbraio 1992, n° 104. • Goleman D. Intelligenza emotiva. Ed. Bur 1999. • Goleman D. Intelligenza sociale. Ed. Bur 2007 • Rizzolatti G, Craighero L. The mirror-neuron system. Annu Rev Neurosci. 2004:27:169-92.
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Lettere
Lettere
• Selleri G. Handicap e famiglia. In: Notizie CRH: newsletter a cura del Centro Risorse Handicap del Comune di Bologna. Invio del 9 luglio 2007.
Tommaso Montini Pediatra di famiglia, Napoli Maria Elena Montini Facoltà di Medicina e Chirurgia Università Federico II, Napoli e-mail: tom.montini@gmail.com
Transitional healthcare per pazienti con patologia cronica complessa Siamo pediatri da tempo coinvolti in un’Associazione di famiglie con figli affetti da una condizione rara: la sindrome cri du chat. L’Associazione, nata più di 20 anni fa, si chiama ABC (Associazione Bambini Cri du Chat), perché allora raccoglieva prevalentemente “nuove diagnosi”, ma con l’andar degli anni i “bambini” sono diventati prevalentemente giovani e meno giovani adulti. Abbiamo letto con interesse l’Aggiornamento su Quaderni acp sulla “Transitional Healthcare: il passaggio alla Medicina dell’adulto del paziente pediatrico affetto da patologia cronica e complessa”, e vorremmo condividere con i lettori di Medico e Bambino alcune riflessioni. I pazienti affetti da 5p- (delezione del braccio corto del cromosoma 5, altra definizione della sindrome) fanno parte, a nostro giudizio, dei pazienti “difficilmente transitabili”, in quanto, come recita l’articolo: “il raggiungimento della maggiore età non comporta alcuna modifica nello status morale e sociale, né sortisce alcun effetto significativo in termini cognitivi, biologici o biografici. In termini giuridici, la loro condizione di minorità e la loro interdizione non può essere interrotta”. Però a 14 anni (o a 16, con deroga) anche loro perdono il diritto al pediatra di famiglia e afferiscono a un medico di Medicina generale che, per quanto volenteroso, il più delle volte delega al Centro di riferimento (o all’Associazione) i problemi di salute del suo assistito. L’Associazione (la nostra, almeno) ha “un parco macchine” orientato all’età pediatrica (nel Comitato Scientifico dell’Associazione sono rappresentati pediatri, NPI, genetisti, fisioterapisti, foniatri, medici nucleari) e crediamo che anche i Centri di riferimento abbiano una struttura analoga. Abbiamo cercato di “rimpolpare le fila”, ma i nostri call for help non sono andati a buon fine. Personalmente non ci riconosciamo le competenze per problemi neurologici, ma
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anche della sfera sessuale, endocrina o cardiovascolare che i genitori ci sottopongono (oltretutto, spesso, “a distanza”…). E, per inciso, pensiamo di non essere neppure coperti da polizze assicurative, trattandosi spesso di pazienti che non conosciamo da quando erano bambini… Qualche anno fa siamo stati ospitati sulle pagine di Medico e Bambino con una “presentazione della sindrome” a uso dei pediatri di famiglia, che è stata molto apprezzata dalle famiglie e dai loro curanti. Abbiamo poi provato ad “allargarci” stilando delle “raccomandazioni” per l’assistenza, comprensive dell’età adulta. Inaspettatamente, questo lavoro è stato rifiutato da riviste scientifiche pediatriche anche italiane, proprio perché “sconfinava” nell’età adulta. Ma allora? Dove e come può formarsi un medico che desideri effettivamente farsi carico di questi pazienti? Come si può realizzare questa auspicata transizione? O cogestione? Loro (i pazienti) starebbero molto meglio in Pediatria, ma sappiamo che per organizzare un Day Hospital bisogna chiedere il nulla osta in Direzione Sanitaria (e non tutte le Aziende lo concedono), il personale mal tollera il surplus di lavoro che un disabile adulto comporta, la commistione bambini-adulti è malvista dai genitori degli utenti pediatrici ecc. e sono pazienti “frustranti”, come giustamente si ribadisce nell’articolo. Già nella “Guida pratica intersocietaria adolescenza e transizione” del 2017 sulle malattie rare ci si esprimeva così: “Per questi motivi le malattie rare pongono problemi assistenziali rilevanti proprio al momento della transizione in quanto, mentre per certe malattie croniche come ad esempio diabete, artrite idiopatica giovanile, malattie croniche intestinali, non è difficile trovare lo specialista dell’adulto che prenda in carico tali pazienti in età giovaneadulta, lo stesso non si può dire per le malattie rare, come la sindrome di PraderWilli o di Turner, per le quali è difficile trovare medici dell’adulto con le necessarie competenze.” Forse i genetisti medici (che si occupano di bambini, ma anche di adulti) potrebbero essere il trait d’union. Ma quanti e dove sono? E all’estero come fanno? Ci farebbe piacere aprire una discussione serena per sollevare il problema delle competenze culturali e assistenziali, per non assistere, nonostante le ottime intenzioni, all’“abbandono camuffato” dei malati. Una soluzione dobbiamo trovarla. Maria Elena Liverani Pediatra, Roma Andrea Guala Pediatra e genetista, Verbania e-mail: meliverani@gmail.com
Non è facile rispondere ai due compiuti e ben documentati contributi che ripropongono aspetti che, negli anni, sono stati a lungo discussi. Quando si parla di disabilità e di patologie croniche complesse quello di cui abbiamo bisogno, come riportato nelle lettere, è di un salto culturale in merito ai problemi che non hanno trovano ancora una prospettiva di compiuta risoluzione. Ci sono alcuni semplici punti che vorrei sottolineare, con una visione che trae spunto dal vissuto quotidiano di una realtà ospedaliera (e come tale molto limitata), ma che sta cercando di andare “Oltre i Confini”, in un tentativo di progetto di rete. Negli anni ho sempre sentito un profondo afflato assistenziale nei confronti della disabilità. Non so se è una questione di neuroni specchio, forse appartiene al semplice dovere motivato (inizialmente clinico) di rispondere a determinati bisogni incontrati strada facendo. Vivere l’assistenza partecipe alla disabilità (quella di gruppo, quella che si ritrova a discutere e a prevedere i Piani di Assistenza Individuali e a verificarli costantemente) è un valore professionale e umano aggiunto che nei successi, ma anche negli insuccessi e nelle emozioni, è impagabile. Hanno ragione Tommaso e Maria Elena Montini quando dicono che spesso esiste al contrario una distanza assistenziale, anche quando e soprattutto ci si limita alla prescrizione di presidi, alla richiesta di consulenze, a un esclusivo progetto riabilitativo. Quello che mi sento di dire è che il contesto di vita, di relazioni, di socialità (e anche di assistenza medica) della disabilità e delle patologie croniche complesse deve prevedere delle persone capaci, accoglienti e che vivono il loro ruolo professionale come un “normale” (e qualificato) modo di essere e di agire. Questo non si insegna nei corsi di Laurea e nelle Scuole di specialità. In questi luoghi non si consigliano le letture che appartengono a una Pedagogia educativa della disabilità e di cui la letteratura specialistica o da libreria è piena. Mentre imparavo (o cercavo di farlo con un senso profondo di inadeguatezza) come sentirsi partecipe della vicinanza professionale ai “nostri” bambini speciali, leggevo i testi di Clara Sereni (Manicomio Primavera), di Giuseppe Pontiggia (Nati due volte) o di Gianluca Nicoletti (Una notte ho sognato che parlavi), per citarne solo alcuni. In quelle parole (così come in quelle di tanti genitori) mi sono sempre ritrovato per essere ancora più partecipe delle emozioni, del significato di un progetto, che non può limitarsi appunto a un intervento strettamente socio-sanitario. Mi è capitato di parlare con insegnanti di sostegno e con educatori che fuggono dalle classi dove i bambini disabili sono relegati, che vanno in spazi aperti di libertà dentro le città o in periferia e sono partecipi di un progetto che vede coinvolti anche i bambini cosiddetti “normali” insieme a quelli con biso-
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gni speciali. E mi è capitato di parlare con genitori che portano i loro figli in Centri diurni (alcuni molto e sempre di più qualificati) dove trovano i luoghi familiari di assistenza, dove il sorriso dei loro figli è percepibile dal primo minuto dell’accoglienza; altri dove invece si è in una condizione di continuo stress per “paure”, per “difficoltà” organizzative e altro ancora. Pochi esempi positivi, pochi modelli rispetto a quanto andrebbe progettato nel modo più naturale e spontaneo possibile. Devo dire che negli anni ho visto tanti progressi e non sarei pessimista nel pensare che tutto è o è rimasto irrisolvibile. Il vero dramma è quello dei nostri ragazzi che diventano adolescenti e poi adulti e delle loro famiglie. Non ci sono risposte, non ci sono modelli validi, non ci sono appunto progetti differenziati; sarebbe importante parlarne in modo molto concreto e non estemporaneo, anticipando le richieste e non inseguendole. Ci si chiede, ad esempio, rimanendo in un contesto strettamente medico (e come tale molto limitativo), se le famose Case della Salute non possano essere un luogo aggregativo di professionisti in grado di condividere ca-
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pacità, esperienze e prospettive di assistenza anche per i bambini (e futuri adulti) con patologie rare complesse. Ci si chiede se non sia arrivato il tempo di immaginare, per ogni ambito territoriale, dei “professionisti della transizione” per le patologie croniche complesse richiamate da Liverani e Guala. Forse bisognerebbe andare oltre il termine di transizione, ma semplicemente pensare che deve esistere e va programmata una assistenza che non ha un prima e un dopo, che non ha professionisti dedicati prima e da inventarsi dopo, ma che ha un “sempre”, fatto di qualità e di mestiere. Ma ci sarebbe ancora altro da immaginare e fare. Scrivono esperti di design che i luoghi fisici delle nostre piazze e delle nostre strade andrebbero previsti come spazi aggregativi e funzionali ai bisogni di vita sociale (parlarne di questi tempi suona male!). Gianluca Nicoletti questo, nel suo libro, lo ha già prefigurato, pensando al futuro del suo figlio autistico (quando lui come padre non ci sarà più): “Immaginavo di costruire la città felice che manca in ogni luogo, felice proprio perché chi la abita è disinteressato alla competizione, a schiacciare il prossimo, a sopraffare, sca-
valcare, insidiare. Felice perché ci vive chi è contento di fare le cose che a lui piacciono… chi è leggero di pensieri regala un sorriso a chiunque lo sfiori. Mi piacerebbe che pure chi, come i nostri ragazzi non ha più un posto e un ruolo, perché il mondo non sa che farsene di lui, ritrovasse in questa città qualcuno che dia un senso al suo esistere. Vigili in pensione, falegnami, decoratori, artigiani di ogni tipo trovassero a Insettopia formiche capaci di fare qualcosa o almeno che ci proverebbero. A Insettopia si ballerebbe, si farebbe musica, si mangerebbe e respirerebbe allegria, perché sarebbe come una fessura aperta sul mondo che non c’è. Ci andrebbero anche i ragazzi con il cervello tutto in regola, ma solo perché farlo diventerebbe più figo che passare le serate davanti a un locale…”. In queste parole non c’è buonismo o illusione. Forse c’è un cambio profondo di prospettiva che sarebbe in grado, da solo, di superare barriere fatte di accettazione, organizzazione, empatia e competenze. La normalità di contesto è diversa dalla ricerca spasmodica di inseguire ed evitare il minore danno. Federico Marchetti
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Quiz di autovalutazione La lettura di una Rivista medica è apprendimento attivo o passivo? Può essere l’uno o l’altro. PQRST è una ricetta per una lettura attiva. P STA PER PREVIEW (prelettura veloce, uno sguardo d’insieme al testo). Q STA PER QUESTION (cosa so già? cosa vorrei sapere?). R STA PER READ (lettura attenta). S STA PER STATE (bilancio delle conoscenze DOPO la lettura). T STA PER TEST (controllo, quiz). Vi proponiamo di testarvi con questi quiz PRIMA E DOPO. Se rispondete a 9 (70%), siete bravi; se rispondete a tutti, vuol dire che i quiz sono troppo facili, almeno per voi; se, a meno di 7 (50%), sono troppo difficili. Oppure dovete rimettere in discussione le vostre conoscenze. EDITORIALI - TERAPIE PER SARS-CoV-2 I risultati dei primi studi pubblicati del RECOVERY Collaborative Group che coinvolge pazienti adulti ospedalizzati con infezione da SARS-CoV-2 dimostrano che rispetto allo standard of care: 1. L’idrossiclorochina: a) Ha prodotto una riduzione della mortalità a 28 giorni; b) Non ha prodotto una riduzione della mortalità; c) Risulta efficace sulla mortalità solo in associazione con l’azitromicina. 2. Il desametasone: a) Ha prodotto una riduzione della mortalità a 28 giorni; b) Non ha prodotto una riduzione della mortalità; c) Ha prodotto un peggioramento dei dati di mortalità. 3. L’associazione lopinavir-ritonavir: a) Non è associata a riduzione della mortalità a 28 giorni; b) È associata a riduzione della mortalità; c) È associata alla riduzione della mortalità, ma solo se utilizzata nelle fasi molto precoci della malattia. 4. In merito all’utilizzo dell’antivirale remdesivir, i risultati pubblicati dell’Adactive Covid-19 Treatment Trial (ACTT-1) e quelli preliminari del Solidarity Therapeutics Trial (dell’OMS) dimostrebbero che: a) In entrambi i trial il farmaco è efficace nel ridurre la durata del ricovero e la mortalità; b) I risultati dei due trial sono discordanti; c) In entrambi i trial il farmaco è risultato inefficace su tutte le misure di esito.
8. Sempre nelle LG sul trattamento dell’OMA, nei bambini > 2 anni di età la durata della terapia antibiotica (nei casi in cui si decide di usarla) è di: a) 10 giorni; b) 7 giorni; c) 5 giorni. L’ANGOLO DEGLI SPECIALIZZANDI LA SINDROME NEFROSICA 9. Qual è la percentuale delle sindromi nefrosiche (SN) idiopatiche cortico-sensibili? a) 75-90%; b) 60-75%; c) 40-60%. 10. Qual è la percentuale delle SN che presenterà recidive multiple? a) 80-100%; b) 60-80%; c) 40-60%; d) 1030%. 11. La terapia della prima recidiva di SN prevede il trattamento con: a) Prednisone alla dose di 60 mg/m2/die per 4 settimane, seguito da 40 mg/m2/die a giorni alterni per 2 settimane; b) Prednisone alla dose di 40 mg/m2/die fino a 3-5 giorni dopo la negativizzazione dello stick, seguito da 40 mg/m2/die a giorni alterni per 4 settimane; c) Prednisone alla dose di 60 mg/m2/die fino a 3-5 giorni dopo la negativizzazione dello stick, seguito da 40 mg/m2/die a giorni alterni per 4 settimane. 12. Nelle forme di SN che richiedono l’utilizzo di un farmaco immunosoppressore, quale molecola risulterebbe essere di prima scelta? a) Levamisolo; b) Ciclofosfamide; c) Ciclosporina; d) Micofenolato; e) Tacrolimus.
6. Dai dati della Regione Emilia-Romagna sulle resistenze antimicrobiche pediatriche risulta che Haemophilus influenzae è produttore di beta-lattamasi in una percentuali pari a: a) 45%; b) 25%; c) 17%.
13. Qual è la definizione in uso di una forma di SN cortico-resistente? a) Mancata remissione al trattamento steroideo dopo 4 settimane di terapia con prednisone (60 mg/m2/die), 3 boli di metilprednisolone (500 mg/m2) e altre 2 settimane di prednisone a 60 mg/m2/die; b) Mancata remissione al trattamento steroideo dopo 8 settimane di terapia con prednisone (60 mg/ m2/die) e 3 boli di metilprednisolone (500 mg/m2); c) Mancata remissione al trattamento steroideo dopo 8 settimane di terapia con prednisone (60 mg/m2/die) e due cicli a distanza di un mese di 3 boli di metilprednisolone (500 mg/m2).
7. Tra le diverse linee guida (LG) sul trattamento dell’otite media acuta (OMA) ci sono alcune discordanze su quando adottare la strategia della vigile attesa. Pur nelle differenze, questa è consigliata in tutti i bambini > 2 anni di età che non hanno sintomi gravi Vero/Falso
14. Nella SN la biopsia renale deve essere eseguita a) Dopo la terza recidiva; b) Nei casi con età di esordio < 1 anno e superiore a 10-12 anni; c) Nelle forme cortico-resistenti; d) Sia la risposta a) che c) sono giuste; e) Sia la risposta b) che c) sono giuste.
FARMACORIFLESSIONI OTITE MEDIA ACUTA 5. Streptococcus pneumoniae ha come meccanismo di resistenza la produzione di betalattamasi, che può essere superata con l’utilizzo di un farmaco inibitore (amoxicillina + clavulanico, cefalosporine) Vero/Falso
Risposte Medico e Bambino 9/2020
EDITORIALI 1=b; 2=a; 3=a; 4=b; FARMACORIFLESSIONI 5=Falso; 6=c; 7=Vero; 8=c; L’ANGOLO DEGLI SPECIALIZZANDI 9=a; 10=b; 11=c; 12=d; 13=a; 14=e.
LE AZIENDE INFORMANO ALOVEX La linea Alovex, a disposizione del pediatra fin dal 2000, ha allargato la propria gamma per poter proporre soluzioni a diversi piccoli disturbi. Al momento sono disponibili: • Alovex Protezione Attiva1, il prodotto capostipite, indicato per alleviare, grazie alla sua pellicola protettiva, il dolore e favorire la naturale cicatrizzazione in caso di afte, piccole lesioni della bocca come quelle causate da apparecchi ortodontici, protesi fisse e mobili e nelle lesioni di origine chirurgica. Disponibile in gel, collutorio, spray con direzionatore e cerotti. • Alovex Dentizione gel 2, indicato per dare sollievo a dolore e fastidi associati alla nascita dei primi denti, grazie alla sua pellicola protettiva. Il comodo applicatore, dotato di morbide setole di silicone, garantisce una pratica ed igienica applicazione e permette un delicato massaggio delle gengive. Il prodotto non contiene miele, zucchero o alcol e ha un gradevole gusto alla banana. • Più recente è l’introduzione in farmacia di Alovex Ferite2 crema idrofila, indicato in caso di lesioni della cute come ferite, abrasioni, ustioni e ulcere. ALOVEX Ferite forma una barriera protettiva a livello della cute lesa e agevola quindi i processi riparativi grazie alla presenza nella sua formula di acido ialuronico e argento metallico. L’azione principale è garantita dall’acido ialuronico che forma una barriera protettiva sulla cute in grado di agevolare i processi riparativi e di mantenere lo stato di idratazione. La formulazione è ricca di sostanze ad azione idratante come il pantenolo e l’olio di jojoba ed è stata studiata per essere usata anche su pelli delicate. I prodotti della linea Alovex accompagnano il percorso di crescita dei bambini dalla nascita fino all’adolescenza e all’età adulta.
Per ulteriori informazioni www.alovex.it 1 È un dispositivo medico CE 0373. Leggere attentamente le avvertenze o le istruzioni per l’uso. 2 Sono dispositivi medici CE 0477. Leggere attentamente le avvertenze o le istruzioni per l’uso.
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Contraccezione in adolescenza CECILIA BONIN, VALENTINO CLIGNON
UOC di Ostetricia e Ginecologia B, AOUI di Verona
Nella pratica quotidiana di un pediatra può capitare di dover rispondere alla richiesta di un’efficace metodica contraccettiva da parte di una giovane paziente, piuttosto che di un genitore particolarmente attento. Quale metodo prescrivere tra i diversi presenti in commercio? Come orientarsi tra le nuove possibilità terapeutiche disponibili a oggi?
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iulia è una ragazza di 15 anni che ha da poco conosciuto Marco e che ora sembra essere diventato qualcosa di più di un amico. È questo il motivo che la porta presso il nostro ambulatorio: Giulia, dopo aver preso coraggio e aver affrontato il discorso con i propri familiari, è alla ricerca di un metodo contraccettivo che le possa far vivere serenamente la sua nuova realtà sentimentale. GRAVIDANZA PRECOCE: LE DIMENSIONI DEL PROBLEMA
Con gravidanza precoce identifichiamo le gravidanze che si verificano tra l’inizio dell’età fertile e il compimento dei 19 anni di età, periodo durante il quale né il corpo né la mente dell’adolescente sono adeguatamente preparati a fronteggiare un evento simile. In molti casi queste gravidanze non sono state programmate e/o desiderate dai giovani genitori e giungono quindi in maniera inattesa senza essere state precedute da una pianificazione e da un’attenta valutazione delle conseguenze che queste comportano nella vita personale e della famiglia di origine che spesso interviene in supporto ai neo-genitori e al piccolo. “Per alcune giovani madri la maternità può rappresentare un evento felice, ma nella la maggior parte dei casi la nascita è vissuta come un evento troppo precoce e l’esperienza che ne può derivare è il rifiuto, il panico o il dolore” 1.
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CONTRACEPTION IN ADOLESCENCE (Medico e Bambino 2020;39:562-568)
Key words Contraception, Teenage pregnancy, Long acting reversible contraception, Sexually transmitted diseases Summary Modern contraceptives are very effective when correctly used and, thus, effective counselling regarding contraceptive options are key components of adolescent health care. Emergency contraception should routinely be included in discussions about contraception. Among the many methods available on the market, long-acting reversible contraceptives have higher efficacy, higher continuation rates and higher satisfaction rates compared with short-acting contraceptives among the adolescents who choose to use them.
Nel mondo sono 16 milioni le ragazze di età compresa tra i 15 e i 19 anni che partoriscono annualmente; 2,5 milioni sono le nascite provenienti da ragazze di età minore di 15 anni e 3,9 milioni gli aborti compiuti da pazienti di età compresa tra i 15 e i 19 anni2. La probabilità di morire durante il corso della gravidanza è raddoppiata nella fascia 15-19 anni mentre il tasso di mortalità feto-neonatale è superiore al 55%3. In Italia nel 2018 sono stati 5739 i parti provenienti da madri di età inferiore ai 19 anni di cui 1218 da adolescenti con meno di 17 anni, nel 28% dei casi da pazienti di nazionalità non italiana. Una gravidanza in età adolescenziale può rappresentare anche un limite per la ragazza-madre nel raggiungimento di un adeguato livello di istru-
zione e di conseguenza una maggior difficoltà nell’ottenere una futura occupazione adeguata a sostenere la famiglia. Queste sono, inoltre, le condizioni che possono favorire una seconda gravidanza a distanza di poco tempo4. Non è facile individuare una tipologia precisa di adolescente più esposta di altre a una gravidanza precoce perché le condizioni delle mamme adolescenti spesso sono molto differenti fra loro. Tra i fattori maggiormente coinvolti ritroviamo sicuramente l’età della paziente (la situazione di una giovane mamma di 14 anni, com’è chiaramente comprensibile, differisce in modo rilevante da quella di una di 1819 anni), il contesto familiare piuttosto che i trascorsi personali5. Riguardo invece alla nazionalità delle giovani ragazze, una recente indagine condotta da Save the Children nelle tre città
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Contraccezione in adolescenza
campione di Milano, Roma e Napoli ha mostrato un panorama alquanto variegato: alcune sono italiane, altre straniere trasferitesi in Italia, altre ancora di etnia Rom. La gravidanza precoce è un tema complesso che coinvolge non solo gli adolescenti in primis, ma anche i loro neonati e il contesto socio-affettivo6.
Obstetrics and Gynecologist (ACOG) si è espressa in merito appaiono perentori: “Long Acting Reversible Contraceptives have higher efficacy, higher continuation rates and higher satisfaction rates compared with short acting contraceptives among adolescent who choose to use them” 7. Spirale intrauterina
METODI DI CONTRACCEZIONE PER L’ADOLESCENTE
I metodi contraccettivi disponibili sul mercato sono molteplici e differiscono tra loro oltre che per il principio attivo contenuto al loro interno anche per la loro durata di azione, per la via di somministrazione, per il costo e per gli eventuali effetti collaterali derivanti dal loro utilizzo. Dispositivi contraccettivi reversibili a lunga durata
I dispositivi contraccettivi reversibili a lunga durata, meglio noti come LARC (Long Acting Reversible Contraception) consistono nell’impianto di sistemi a lenta erogazione di progestinici (spirale intrauterina, impianto sottocutaneo)(Tabella I) o estroprogestinici (cerotto, anello vaginale) e vanno considerati i contraccettivi di prima scelta per l’adolescente . A questo proposito, i termini con cui l’American College of
Consiste in un piccolo dispositivo flessibile di plastica a forma di T. Viene inserita nell’utero per via vaginale in regime ambulatoriale e ha una durata variabile, a seconda dei modelli, dai 3 ai 5 anni (Figura 1). Ne esistono principalmente due tipologie, una a base di solo progestinico (es. levonorgestrel) e una a base non farmacologica rivestita di rame. L’efficacia contraccettiva del dispositivo medicato al progesterone si esplica attraverso multipli fronti: l’inibizione dell’ovulazione tramite feedback negativo dell’asse ipotalamo-ipofisi da un lato, l’ispessimento del muco cervicale che andrà a formare una barriera fisica alla penetrazione degli spermatozoi nell’ambiente uterino e la riduzione della motilità delle ciglia tubariche dall’altro. Il meccanismo della spirale medicata al rame si estrinseca invece mediante il rilascio di ioni di tale metallo con effetto di inibizione del movimento e della sopravvivenza degli spermatozoi
nell’utero, rallentando la risalita degli spermatozoi attraverso il canale cervicale in modo che non riescano a raggiungere l’ovulo e fecondarlo. La spirale al rame provoca inoltre una leggera reazione infiammatoria che modifica l’endometrio rendendolo inadatto all’impianto dell’ovulo fecondato8. Il dispositivo consigliato in chi non ha mai avuto una gravidanza è la spirale medicata al progesterone (della quale esistono tre modelli in commercio con differenti dosaggi e durata). Le complicanze nelle adolescenti, tra le quali l’espulsione del dispositivo o la perforazione uterina, sono rare e differiscono di poco da quelle dell’adulto, motivo per cui tali sistemi sono ritenuti altamente sicuri anche e consigliati come contraccettivi di prima scelta dalle linee guida9. Il rischio di malattia infiammatoria pelvica risulta massimo nei primi 20 giorni successivi all’inserimento del dispositivo (RR di 9,7 casi su 1000 donne per anno di utilizzo), ma il rischio relativo assoluto si riduce a 1,6 casi su 1000 donne per anno di utilizzo. Con l’utilizzo a lungo termine, inoltre, i dispositivi medicati al progesterone sembrano ridurre il successivo rischio di malattia pelvica infiammatoria con un duplice meccanismo: assottigliamento dell’endometrio da un lato e aumento della consistenza del muco cervicale dall’altro. Il tasso di espul-
ESEMPI DI DISPOSITIVI CONTRACCETTIVI REVERSIBILI A LUNGA DURATA IN COMMERCIO IN ITALIA Nome commerciale
Principio attivo
Dosaggio di farmaco rilasciato/ die [µg/die] 17,5
Durata del dispositivo [anni] 5
Dimensioni [mm]
Costo annuo [euro]
Tipologia
28 x 30
Percentuale di gravidanze indesiderate nel primo anno di utilizzo 0,2
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Spirale intrauterina medicata Spirale intrauterina medicata Spirale intrauterina medicata Spirale intrauterina rame Impianto sottocutaneo
Kyleena
Levonorgestrel (19,5 mg)
Mirena
Levonorgestrel (52 mg)
20
5
32 x 32
0,2
49
Jaydess
Levonorgestrel (13,5 mg)
14
3
28 x 30
0,2
57
Nova-T
Rame (380 mm2)
/
5
32 x 36
0,8
14
Etonogestrel (68 mg)
60-70
3
40 x 20
0,05
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Nexplanon Tabella I
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Figura 1. Spirale intrauterina progestinica.
Figura 2. Impianto sottocutaneo.
sione del dispositivo varia da un 2% a un 10% tra tutte le pazienti utilizzatrici di dispositivi intrauterini (Intra-Uterine Device - IUD). Uno studio retrospettivo condotto su un campione di 2138 adolescenti e donne di età compresa tra i 13 e i 35 anni ha dimostrato che le pazienti più giovani, di età compresa tra i 13 e 19 anni, o le pazienti nullipare non sono esposte a un maggior rischio di tale complicanza se paragonate a utilizzatrici più anziane o pluripare; per entrambe il rischio totale di espulsione si è attestato al 6%10. Un’anamnesi positiva per pregressa espulsione del dispositivo è un fattore di rischio per il ripetersi dell’evento, ma non va considerata come una controindicazione assoluta nel caso in cui la paziente desideri un nuovo posizionamento: andrà spiegato che il rischio di espulsione del secondo dispositivo sale al 30%11. Tra le controindicazioni all’inserimento della spirale abbiamo le alterazioni congenite o acquisite uterine, che distorcono la cavità uterina in una maniera incompatibile con il posizionamento della stessa, e infezioni cervicali o pelviche in fase attiva. Un’anamnesi positiva precedente di gravidanza ectopica non è una controindicazione allo IUD; la sua efficacia nella prevenzione delle gravidanze si riflette infatti in una maggior incidenza di gravidanze extrauterine12.
tore a livello del sottocute dell’arto superiore non dominante (Figura 2). Tale sistema contiene solamente progestinico (es. etonogestrel) e il meccanismo di azione contraccettiva è analogo a quello della spirale progestinica. Con l’utilizzo di tale dispositivo le mestruazioni tendenzialmente tendono a ridursi sia in termini di durata che di flusso, ma d’altro canto potrebbero assumere caratteri irregolari in termini di ritmo. Il pattern mestruale dei primi tre mesi successivi al posizionamento è un ottimo predittore di ciò che seguirà nei mesi successivi. Il ritorno alla fertilità alla rimozione del dispositivo è rapido e completo. Una particolare attenzione è stata posta recentemente sul ribadire la necessità di posizionamento sottocutaneo del dispositivo, essendo stati segnalati casi di migrazione dello stesso in piani profondi del braccio con necessità di successiva rimozione in sedazione in sala operatoria.
Impianto sottocutaneo
Si tratta di un cilindro flessibile di 4 cm di lunghezza e 2 mm di spessore circa, approvato per una durata di 3 anni, che viene posizionato dall’opera-
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Progestinico iniettabile a lunga durata
Il principio attivo utilizzato è il medrossiprogesterone acetato sotto forma di formulazione deposito a lento rilascio che esiste in due formulazioni, 150 mg intramuscolare o 104 mg sottocutaneo; in entrambi i casi è necessaria un’iniezione trimestrale. Il meccanismo di azione è il medesimo di tutti i metodi contenenti solamente progesterone. Con tale sistema, analogamente all’impianto sottocutaneo, il flusso mestruale potrebbe assumere caratteristiche irregolari in termini di ritmo nei primi mesi di utilizzo ma occorre tener conto che in più del 50% delle pazienti trattate in
maniera continuativa per oltre un anno si sviluppa una condizione di amenorrea. Paragonato ad altre metodiche esistenti, questo metodo contraccettivo è legato a un maggior tasso di incremento ponderale e nel contempo a una riduzione, seppur reversibile, della densità ossea minerale che non ne deve precludere il loro utilizzo nelle adolescenti13. Lo studio della densità ossea in corso di trattamento non è necessario, ma le adolescenti dovrebbero altresì essere incoraggiate a raggiungere le dosi di calcio e vitamina D raccomandate per le pazienti in età riproduttiva. Il ritorno alla normale fertilità avviene in un arco di tempo variabile da 3 mesi a un anno dall’ultima somministrazione, motivo per il quale le giovani donne in cerca di prole dovrebbero essere informate a riguardo14. In Italia, il farmaco è registrato per il trattamento di tumore di seno ed endometrio. Il suo utilizzo a scopo contraccettivo è pertanto considerato off-label, ovvero per “indicazione diversa da quelle previste dal provvedimento di autorizzazione all’immissione in commercio”; prevede pertanto l’acquisizione di un consenso informato da parte del paziente e non è rimborsabile. Cerotto anticoncezionale
Ha un meccanismo di azione pressoché equivalente a quello dalla pillola estroprogestinica e consiste nel rilascio per via transdermica di una combinazione di estrogeno e progesterone (rispettivamente etinilestradiolo e norelgestromina). La modalità di utilizzo del cerotto anticoncezionale è molto semplice, probabilmente ancor più della pillola, poiché a differenza di quest’ultima che deve essere assunta ogni giorno alla medesima ora per assicurare il massimo dell’efficacia contraccettiva, il cerotto deve essere applicato solo una volta a settimana, per tre settimane consecutive, lasciando a seguire 7 giorni di pausa durante i quali avverrà la mestruazione15. Anello vaginale
È un dispositivo di diametro di circa 5 cm (Figura 3) a base di vinilaceta-
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Contraccezione in adolescenza
Figura 3. Anello vaginale.
to contente al suo interno una combinazione di estrogeno e progestinico (etonogestrel ed etinilestradiolo) che vengono assorbiti a livello della mucosa vaginale dove esplicano la loro azione contraccettiva con meccanismo analogo al cerotto. Il principale vantaggio rispetto ad altri sistemi risiede nella necessità di una sola applicazione mensile mediante inserimento manuale in vagina da parte della paziente stessa dove va lasciato per 3 settimane. Dopo una settimana libera, nella quale si assiste alla mestruazione, andrà successivamente inserito un nuovo dispositivo. Contraccettivi orali
I contraccettivi orali sono uno dei metodi più diffusi e utilizzati tra le adolescenti e maggiormente prescritti dai professionisti in Italia, e comprendono la pillola a base estroprogestinica e la cosiddetta minipillola a base solamente progestinica. Nella maggior parte degli estroprogestinici - i cosiddetti estroprogestinici di seconda generazione - l’etinilestradiolo rappresenta la componente estrogenica, mentre uno tra il noretisterone, il levonorgestrel e l’etinodiolo rappresenta la componente progestinica. Gli estroprogestinici di terza generazione costituiscono invece delle alternative più recenti rispetto ai precedenti e si differenziano per la componente progestinica che può comprendere, diversamente dal caso precedente, uno tra gestodene e desogestrel. Il meccanismo contraccettivo della pillola combinata consiste in primis nell’inibizione della secrezione delle gonadotropine (FSH e LH) così da ar-
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restare l’ovulazione. In dettaglio, la componente estrogenica inibisce la secrezione di FSH, sopprimendo così lo sviluppo del follicolo ovarico mentre la componente progestinica inibisce la secrezione di LH, prevenendo così il rilascio della cellula uovo matura. Oltre all’azione inibitoria nei confronti delle gonadotropine la combinazione ormonale della pillola estroprogestinica è capace di impedire il concepimento aumentando la densità del muco della cervice uterina, alterando la struttura dell’endometrio uterino che assumerà caratteristiche sfavorevoli all’impianto dell’ovulo e inibendo le contrazioni muscolari coordinate della cervice, dell’utero e delle tube di Falloppio che giocano un ruolo fondamentale durante il processo di fecondazione. In linea generale, l’utilizzo della pillola anticoncezionale combinata prevede un’assunzione giornaliera del prodotto per 21 giorni consecutivi, seguiti da 7 giorni di pausa. Durante la settimana di sospensione, la ragazza andrà incontro a perdite ematiche vaginali paragonabili alle mestruazioni, seppur in genere meno abbondanti. Terminati i 7 giorni di pausa, riprenderà l’assunzione giornaliera per i successivi 21 giorni, e così via.
QUALE CONTRACCETTIVO?
“Giulia è alla sua prima visita medica senza un genitore che la accompagni, e ammette di non conoscere bene come e quando una ragazza possa rimanere incinta”.
A differenza di quanto si possa immaginare, nelle prime visite di ginecologia-pediatria dell’adolescenza è necessario partire da una premessa semplice e sintetica sull’anatomia e sul funzionamento del corpo femminile. Risultano essere molto utili in questo contesto delle figure/disegni colorati plastificati che chiariscano idee confuse derivate da internet o passaparola con le amiche. Il compito del curante sarà successivamente quello di fornire informazioni sui benefici e rischi di ogni meto-
do disponibile tendendo a favorire i LARC rispetto agli altri metodi contraccettivi reversibili. Il counselling contraccettivo alle adolescenti e alle loro famiglie dovrebbe inoltre includere consigli anticipatori riguardanti le possibili modifiche del flusso mestruale e la gestione di eventuali sanguinamenti uterini irregolari o anormali. Le preferenze delle pazienti dovrebbero essere il principale, se non unico, fattore influenzante la prescrizione del metodo contraccettivo, questo per ottenere la miglior compliance terapeutica. Nella pratica quotidiana risulta spesso utile proporre una tabella che comprende tutti i metodi disponibili in commercio in modo da agevolare la comprensione e il counselling con l’adolescente16. Rispettare la privacy dell’adolescente risulta inoltre cruciale al fine di proteggerla da eventuali ansie parentali. Nella maggioranza degli Stati europei le adolescenti hanno la possibilità di ricevere un metodo contraccettivo, LARC inclusi, senza il consenso dei genitori. In Italia non esiste normativa specifica a riguardo e il principale riferimento che guida il clinico consiste ancora nella Legge 194/78 riguardante le “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”. Secondo l’articolo 2, la somministrazione su prescrizione medica, nelle strutture sanitarie e nei consultori, dei mezzi necessari per conseguire le finalità liberamente scelte in ordine alla procreazione responsabile è consentita anche ai minori di età superiore ai 13 anni. Negli USA si stima che il 42% delle ragazze e il 44% dei ragazzi adolescenti di età compresa tra i 15 e i 19 anni abbiano già avuto un primo rapporto sessuale e, nonostante recentemente si sia assistito a un leggero calo del tasso di gravidanze precoci, nel 2018 il 75% di queste è stata indesiderata17. Le giovani adolescenti che ricorrono a tecniche contraccettive utilizzano, contrariamente alle ultime linee guida, metodi a breve durata di azione come il preservativo, il coito interrotto o i contraccettivi orali combinati; metodi che però sono associati a una minor
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compliance terapeutica e un maggior numero di gravidanze indesiderate18. Una recente metanalisi di 12 studi focalizzati sulla compliance terapeutica dell’utilizzo di un LARC tra adolescenti di età inferiore ai 25 anni ha dimostrato un tasso di utilizzo di tali dispositivi a 12 mesi maggiore dell’84%19. Il progetto CHOICE, uno studio di coorte prospettico effettuato su un campione di 9256 ragazze in età riproduttiva con l’obiettivo di incentivare l’utilizzo dei LARC, ha stabilito che più dell’81% delle adolescenti di età compresa tra i 14 e i 19 anni di età ha continuato a utilizzare tale metodi contraccettivi a un anno, paragonato al 44% di chi utilizzava un metodo a breve durata di azione20. A oggi sembra che i principali ostacoli alla diffusione dei metodi contraccettivi a lunga durata di azione includano la minor familiarità nel loro confronti da parte delle giovani pazienti, i maggiori potenziali costi iniziali, una minor accettazione da parte dei genitori piuttosto che una carenza di informazione sulla loro efficacia e sicurezza a lungo termine. CASI PARTICOLARI Terapia anticoncezionale precoce postpartum L’American College of Obstetrics & Gynecologist supporta l’utilizzo dei LARC anche nell’immediato postpartum, suggerendo l’inizio di tale terapia addirittura prima della dimissione della paziente, con l’obiettivo di prevenire il rapido ripetersi di una gravidanza non desiderata21. Le adolescenti, come già accennato, presentano un maggior rischio di nuove gravidanze ravvicinate che le espone a un rischio maggiore di parti pretermine e neonati piccoli per l’epoca gestazionale22. Il posizionamento di un contraccettivo a lunga durata di azione nel corso del puerperio successivo alla prima gravidanza riduce significativamente il rischio di nuovi concepimenti, in particolar modo quando l’adolescente è altamente motivata. Il fatto che tali dispositivi non siano dispensati dal Sistema Sanitario Nazionale e il loro co-
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sto gioca oggi un ruolo notevole a svantaggio della loro diffusione. Anche l’inserimento di una IUD successivamente a un episodio abortivo del primo o del secondo trimestre andrebbe offerta di routine, essendo un metodo riconosciuto sicuro ed efficace. Come si può facilmente intuire, va tenuto conto che il tasso di espulsione in seguito a inserimento dopo un aborto del secondo trimestre è maggiore rispetto a un’interruzione di gravidanza avvenuta più precocemente23. L’inserimento del dispositivo intrauterino nelle adolescenti non è risultato essere più complicato, dal punto di vista tecnico, nemmeno se confrontato con soggetti più anziane o tra pazienti nullipare paragonate a quelle con precedente gravidanza. Alcune pazienti potrebbero presentare leggero discomfort legato al posizionamento del dispositivo, ed è questo il motivo per il quale il clinico dovrebbe sempre un counselling anticipatorio adeguato. In casi selezionati può risultare utile offrire un’addizionale forma di analgesia periprocedurale che può includere antifiammatori non steroidei, ansiolitici o blocco nervoso paracervicale24. Contraccezione di emergenza Per ciò che riguarda la contraccezione di emergenza sono due le pillole attualmente disponibili sul mercato italiano con assunzione per via orale: una a base di levonorgestrel e una a base di ulipristal acetato. Per entrambe la dispensazione è libera nelle donne di età maggiore ai 18 anni senza bisogno, dunque, di ricetta medica. Di recentissima introduzione la Determina n.998 dell’8/10/202025 nella quale l’AIFA, l’Agenzia Italiana del Farmaco, ha revocato l’obbligo di ricetta per la dispensazione, nei confronti delle pazienti minorenni, della pillola a base di ulipristal acetato, efficace fino a 5 giorni dopo il rapporto. Tra le novità anche la redazione di un foglio informativo che accompagnerà la somministrazione del farmaco con lo scopo di promuovere una contraccezione informata ed efficace al fine di disincentivare un uso inappropriato della contraccezione di emergenza.
Si tratta di una svolta per la tutela della salute fisica e psicologica delle adolescenti. Come evidenziato nel giugno 2020 nella relazione al Parlamento del Ministro della Salute, basata sui dati del 2018, “l’aumento dell’uso della contraccezione d’emergenza - levonorgestrel, la pillola del giorno dopo, e ulipristal acetato, la pillola dei 5 giorni dopo - ha inciso positivamente sulla riduzione delle interruzioni volontarie di gravidanza che è in continua e progressiva diminuzione dal 1983”. Il meccanismo di azione di entrambi i principi attivi consiste nell’inibire o ritardare l’ovulazione impedendo in questo modo che si verifichi la fecondazione, motivo per il quale non può essere considerata una pillola abortiva, quanto più contraccettiva. Paragonando i due principi attivi, l’efficacia dell’ulipristal acetato supera quella del levonorgestrel, motivo per il quale andrebbe sempre considerato come metodo di prima scelta26. MALATTIE SESSUALMENTE TRASMESSE Considerato che gli adolescenti sono tra le categorie epidemiologicamente più a rischio per le malattie sessualmente trasmesse (STIs) il suggerimento delle linee guida è che il pediatra o il ginecologo forniscano le usuali indicazioni per la prevenzione e lo screening di tali patologie. Risulta mandatorio, in caso di utilizzo di LARC, raccomandare l’utilizzo del preservativo maschile o femminile per ridurre l’incidenza di STIs, HIV compreso. Si stima che il tasso di utilizzo del preservativo tra le pazienti che ricorrono a un contraccettivo a lunga durata sia di molto minore in paragone a pazienti che non ricorrono a nessun metodo (17,8% versus 35,6%)27: le adolescenti trattate con LARC necessitano quindi di un counselling adeguato e reiterato sull’importanza e il corretto utilizzo del preservativo28. Uno studio randomizzato multicentrico pubblicato su Lancet nel 2009 ha smentito in maniera decisa il dubbio che i LARC potessero aumentare la
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Contraccezione in adolescenza
suscettibilità delle pazienti nei confronti dell’HIV. In tale ricerca un gruppo di 7830 donne africane provenienti dal Kenya e Mozambico è stato trattato in maniera randomizzata con sistemi contraccettivi quali medrossiprogesterone iniettabile a lento rilascio, dispositivo intrauterino medicato al rame e impianto sottocutaneo al progesterone ed è stato paragonate a un gruppo di soggetti che non hanno ricevuto alcun trattamento. Lo studio, durato 24 mesi, non ha dimostrato un aumento del rischio statisticamente significativo di contrarre il virus dell’immunodeficienza acquisita tra le varie sottopopolazioni trattate con i diversi LARC paragonate al gruppo di controllo confermando la sicurezza e l’efficacia di tali dispositivi29. LE COSE A CUI PORRE ATTENZIONE Le attuali evidenze hanno dimostrato che i dispositivi contraccettivi reversibili a lunga durata (spirale intrauterina progestinica in primis e impianto sottocutaneo) hanno una maggior efficacia, maggior compliance e maggior soddisfazione personale se paragonati ai contraccettivi a breve durata tra gli adolescenti che decidono di usarli. Sarà compito del clinico informare l’adolescente sulle possibili modifiche delle caratteristiche delle mestruazioni, specialmente nel primo mese di utilizzo. La spirale medicata al rame potrebbe causare flussi più abbondanti e dismenorrea, quest’ultima facilmente controllabile da analgesici antinfiammatori non steroidei. La maggior parte delle utilizzatrici di dispositivi medicati al progesterone potrà manifestare invece con il passare del tempo cicli progressivamente più “leggeri”, spotting o amenorrea. I dispositivi a basso dosaggio di progesterone presentano minor tassi di amenorrea ma maggior rischio al contempo di sanguinamenti intermestruali. Indipendentemente dal tipo di dispositivo utilizzato le attuali evidenze supportano nel trattamento dello spotting o del sanguinamento anomalo l’utilizzo di antinfiammatori non steroi-
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dei. Le giovani pazienti che si prestano con anomalie mestruali legate al recente inizio di una terapia con LARC raramente richiedono valutazioni particolarmente approfondite23. La comparsa di un sanguinamento anomalo non legato a un recente utilizzo di un nuovo metodo contraccettivo andrebbe valutato egualmente alle pazienti che non utilizzano tali metodi. La diagnosi differenziale include le complicanze di un’eventuale gravidanza iniziale, infezioni o ben più gravi neoplasie maligne ginecologiche. Un nuovo sanguinamento anormale potrebbe indicare nell’adolescente un’espulsione parziale del dispositivo intrauterino e il corretto posizionamento andrebbe sempre valutato con l’esame obiettivo o se possibile tramite un esame ecografico. La maggior parte degli studi attualmente disponibili non dimostra correlazione tra l’utilizzo di impianti contraccettivi e modifiche del peso corporeo o della densità ossea. L’incremento ponderale medio nel primo anno, fonte spesso di grande preoccupazione tra le nostre pazienti, è risultato essere di 2,1 kg su 130 donne monitorate nel corso del progetto CHOICE20. Un breve sondaggio effettuato nel mese di novembre 2019 tra i colleghi ginecologi intra- ed extra-ospedalieri dell’area del Nord Est d’Italia ha dimostrato che a oggi sono ancora pochi i professionisti che si attengono alle linee guida internazionali precedentemente citate. All’interno del campione selezionato, alla domanda “quale contraccettivo prescrivi maggiormente nella fascia di età 15-19 anni?”, il 48,3% tende ancora a preferire la pillola estroprogestinica a base di estradiolo, il 20,7% la pillola estroprogestinica a base del più moderno estradiolo valerato e il 24,1% l’anello vaginale. Solo meno del 7% degli intervistati ha dimostrato di seguire le più recenti linee guida, confermando come prima scelta la prescrizione di un contraccettivo a lunga durata. Tali risultati, ovviamente non estensibili a livello nazionale a causa dell’esiguità del campione analizzato, ci hanno spinto a riflettere sulle possibili cause che
MESSAGGI CHIAVE ❏ La contraccezione dovrebbe essere argomento di approfondimento e discussione con ogni adolescente assistito. ❏ Nel caso di richiesta di prescrizione di un contraccettivo da parte di un’adolescente è opportuno chiarire, in termini semplici e sintetici, l’anatomia femminile e la fisiologia del ciclo mestruale. Avvalersi di sussidi grafici prestampati può facilitare la comunicazione. ❏ Nel dare spiegazione dei diversi metodi contraccettivi va chiarita la gradazione di sicurezza in termini contraccettivi, ma anche in quella di prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili. ❏ Va sempre cercata un’alleanza terapeutica con l’adolescente e possibilmente anche con i genitori per il corretto e adeguato utilizzo nel tempo del contraccettivo scelto. ❏ Dopo un primo colloquio, è buona regola fissarne un altro a distanza di pochi mesi per rivedere insieme eventuali dubbi e problemi, nonché per rafforzare il rapporto di fiducia con la ragazza. ❏ La contraccezione di emergenza, inoltre, dovrebbe sempre essere inclusa di routine all’interno del counselling contraccettivo. ❏ Tra le varie metodiche disponibili i contraccettivi reversibili a lunga durata di azione presentano una maggior efficacia, un maggior tasso di soddisfazione e una maggior compliance da parte della ragazza.
giustificano questa discrepanza tra linee guida e pratica clinica quotidiana. Tra i fattori limitanti la diffusione dei LARC spicca in primis la necessità, sia per la spirale intrauterina che per l’impianto sottocutaneo, di una piccola procedura chirurgica. A oggi sul territorio sono ancora pochi i consultori che offrono tali possibilità terapeutiche. Esiste inoltre una notevole percentuale di colleghi ginecologi extraospedalieri che, da un lato per problematiche legali-assicurative, dall’altro per la necessità di una competenza chirurgica di base, è tutt’ora costretto a inviare in ambiente ospedaliero le proprie pazienti per il posizionamento di tali dispositivi.
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Il fatto che tali sistemi non siano dispensati dal SSN gioca a oggi un ruolo notevole a svantaggio della loro diffusione. La spirale intrauterina, che espone la paziente a un maggior costo iniziale sia per l’acquisto che per il posizionamento del dispositivo, è, contrariamente a quello che si potrebbe pensare, ben più economica di una pillola estroprogestinica il cui costo, sebbene minore, deve essere affrontato mensilmente per tutta la durata della terapia. Anche la semplice conoscenza dei meccanismi della fertilità e delle metodiche di contraccezione di emergenza è risultata essere un elemento cruciale nell’abbassamento dei tassi di gravidanze indesiderate. Due ricerche qualitative, una definita Fertility study e l’altra Abortion study, hanno portato a raccogliere 46 interviste provenienti da donne di età compresa tra i 16 e i 24 anni dalle quali è emersa la generalizzata mancanza di conoscenza dei temi ciclo mestruale-fertilità. Basti pensare che la maggior parte delle giovani donne si erano convinte della loro “invulnerabilità” alla gravidanza per il solo motivo di aver avuto un precedente rapporto non protetto che non era risultato in un concepimento. La maggior parte di queste, inoltre, ignorava il fatto che la contraccezione di emergenza potesse fallire se utilizzata oltre un certo limite di tempo30. Questo a sottolineare il fatto anche ancora molto va fatto in tema di sensibilizzazione sia in ambito intrache, soprattutto, extraospedaliero. Conflitto di interesse: nessuno
Indirizzo per corrispondenza: Cecilia Bonin e-mail: cecilia.bonin@aovr.veneto.it
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Problemi speciali
La granulomatosi eosinofilica con poliangioite: dalla pelle al cuore Sindrome di Churg-Strauss, per intendersi… MATTEO PAVAN1, ANNA AGRUSTI2, ANDREA TROMBETTA2, SERENA PASTORE1, ALBERTO TOMMASINI1,2, VALENTINA MORESSA1, FEDERICO MARCHETTI3, ANDREA TADDIO1,2, ALESSANDRO VENTURA2
IRCCS Materno-Infantile “Burlo Garofolo”, Trieste Università di Trieste 3 UOC di Pediatria e Neonatologia, Ospedale di Ravenna, AUSL della Romagna 1 2
Quattro storie di bambini con granulomatosi eosinofilica con poliangioite con quattro finali diversi. E una sottolineatura importante sull’interessamento cardiaco. GRANULOMATOSI EOSINOFILICA CON POLIANGIOITE: DI COSA SI TRATTA?
La granulomatosi eosinofilica con poliangioite (GEP), in precedenza nota come sindrome di ChurgStrauss, è una vasculite multisistemica rara che interessa i vasi di piccolo calibro. Si caratterizza per una flogosi granulomatosa eosinofilica necrotizzante coinvolgente prevalentemente le vie aeree e i vasi di medio e piccolo calibro, associata ad asma ed eosinofilia1,2. Nel 1990 l’American College of Rheumatology (ACR) ha stabilito che si possa classificare come GEP una malattia che soddisfi almeno 4 dei seguenti 6 criteri clinici: asma, eosinofilia >10% dei leucociti totali, mononeuropatia o polineuropatia, infiltrati polmonari transitori, coinvolgimento dei seni paranasali e riscontro di infiammazione eosinofilica extra-vascolare alla biopsia1,3 (Tabella I). Si stima che la prevalenza della GEP nella popolazione generale sia di 10-13 pazienti per milione3-5 e la patologia risulta ancora più rara in età pediatrica, con poco più di un centinaio di casi descritti in letteratura6-31. L’età media alla diagnosi è circa 12 anni ed è riportata una maggior prevalenza nel genere femminile.
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EOSINOPHILIC GRANULOMATOSIS WITH POLYANGIITIS: FROM SKIN TO HEART (CHURG-STRAUSS SYNDROME) (Medico e Bambino 2020;39:569-574)
Key words Churg-strauss syndrome, Eosinophilic granulomatosis with polyangiitis in childhood, Vasculitis, Asthma, Hypereosinophilia Summary Background - Eosinophilic granulomatosis with polyangiitis, formerly known as ChurgStrauss syndrome, is an extremely rare systemic vasculitis in the paediatric population. The hallmarks of eosinophilic granulomatosis with polyangiitis are a long history of asthma and peripheral eosinophilia with eosinophilic inflammation that may involve several organs. Findings - The paper reports the clinical characteristics, courses, and outcomes of the four patients diagnosed with eosinophilic granulomatosis with polyangiitis at IRCCS Burlo Garofolo (Trieste, Italy) from 1996 to 2015. The mean age at diagnosis was 11.5 years. All the patients presented a history of asthma and peripheral eosinophilia at diagnosis. 3/4 of the children presented upper airway and pulmonary disease. Skin and heart involvement was present in half of the patients, whereas gastrointestinal and neurological symptoms were reported in 25% of the cases. When performed, tissue biopsy revealed eosinophilic inflammation in all the cases. Anti-neutrophil cytoplasmic antibodies were negative in 66% patients. One young child died shortly after presentation, one remitted after immunosuppressive treatment and two patients needed low-dose corticosteroid therapy to maintain the remission. Conclusion - Comparison with an updated review of the series and cases of childhoodonset eosinophilic granulomatosis with polyangiitis reported in the literature showed similar demographic characteristics, clinical features and outcomes. Cardiac disease represents the poorer prognostic factor, leading to the 60% of the deaths reported.
Di seguito presentiamo le storie dei pazienti con GEP afferiti all’IRCCS “Burlo Garofolo” di Trieste tra il 1996 e il 2018.
CASO 1
Giulio, di 2 anni, viene portato in Pronto Soccorso (PS) per un attacco
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Problemi speciali
CRITERI DIAGNOSTICI UFFICIALI DELL’AMERICAN COLLEGE OF RHEUMATOLOGY PER DIAGNOSI DI GRANULOMATOSI EOSINOFILICA CON POLIANGIOITE 1. Asma 2. Eosinofilia periferica > 10% 3. Neuropatia: mono- o polineuropatia 4. Infiltrati polmonari migranti 5. Coinvolgimento dei seni paranasali 6. Infiltrati eosinofili extravascolari alla biopsia
Tabella I
Figura 1. Intensa fibrosi con infiltrazione massiva di eosinofili, mastociti e linfociti tra i miociti del ventricolo sinistro (da voce bibliografica 32, modificata).
asmatico severo caratterizzato da dispnea, cianosi e desaturazione. È un bambino “atopico”, che in passato ha sofferto di una forma diffusa di eczema costituzionale associata a marcata eosinofilia (fino a 4000/mm3) e a valori elevati di IgE; inoltre il piccolo soffre di attacchi severi di asma dall’età di sei mesi e ha sviluppato due episodi di orticaria e angioedema a seguito dell’ingestione di formaggio e carne di cavallo. Nel corso delle 12 ore precedenti all’accesso in PS, il bambino è stato trattato a domicilio con ripetuti aerosol di salbutamolo; i genitori si sono sempre rifiutati di somministrare a Giulio corticosteroidi per via inalatoria o sistemica per paura degli effetti collaterali, e anche in questo caso negano il ricorso alla terapia steroidea. In astanteria si instaura quindi una terapia con ossigeno, infusioni endovenose di salbutamolo e adrenalina per via sottocutanea, senza che si registri alcun miglioramento. Considerate le condizioni critiche di Giulio, il
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bambino viene trasferito in Terapia Intensiva pediatrica dove si rende necessario procedere all’intubazione e alla ventilazione meccanica. Purtroppo, le condizioni di Giulio peggiorano drammaticamente: il bambino sviluppa infatti una bradicardia ingravescente che conduce rapidamente ad arresto cardiaco irreversibile ed exitus. L’autopsia rivela la presenza di infiltrati polmonari periferici e di una intensa flogosi eosinofilica a carico di cuore (Figura 1), polmoni e cute: la positività di 4 criteri diagnostici (eosinofilia, asma, infiltrati polmonari e flogosi eosinofilica extra-vascolare alla biopsia) rende il quadro altamente suggestivo di una cardiomiopatia instauratasi nel contesto di una GEP 32. CASO 2
Giada è una ragazza di 17 anni la cui storia è caratterizzata da riacutizzazioni asmatiche ricorrenti, tosse
non produttiva cronica, calo ponderale e infiltrati polmonari alla radiografia del torace. Gli esami ematici mostrano spiccata eosinofilia (fino a 3600/mm3) con elevazione degli indici di flogosi (VES 55 mm/h, PCR 6,1 mg/dl - vn < 0,5 mg/dl) incremento delle immunoglobuline E (IgE) (1123 UI/l) e positività degli anticorpi anticitoplasma dei neutrofili (perinuclear anti-neutrophil cytoplasmic antibodies, p-ANCA). Alla TC si evidenziano addensamenti polmonari e ispessimento della mucosa dei seni mascellari. Considerata la coesistenza di eosinofilia, asma, infiltrati polmonari e anomalie dei seni paranasali con indici di flogosi elevati è possibile porre diagnosi di GEP. Viene dunque avviata la terapia con prednisone per via orale che determina la remissione dei segni clinici e laboratoristici di malattia. I tentativi di instaurare un regime terapeutico alternativo allo steroide (con metotressato, azatioprina, ciclofosfamide, immunoglobuline endovena, infliximab e rituximab) si rivelano fallimentari, configurando il quadro di una malattia cortico-dipendente. Nel corso degli anni Giada sviluppa segni di coinvolgimento gastro-intestinale (melena) e muscolare (miosite e fascite eosinofilica confermate istologicamente). Attualmente la paziente ha 35 anni ed è in remissione stabile in terapia con 5 mg/die di prednisone e 100 mg/die di azatioprina. CASO 3
Giovanna, di 13 anni, accede al nostro Servizio dopo aver ricevuto il sospetto diagnostico di GEP in un altro Istituto. Il primo sintomo lamentato dalla ragazza, circa un anno prima, era stato una rinocongiuntivite allergica, a cui erano seguiti diversi attacchi asmatici acuti. Una radiografia eseguita in corso di riacutizzazione asmatica evidenziava multipli infiltrati polmonari periferici e ispessimento della mucosa dei seni paranasali. Quando giunge alla nostra attenzione, Giovanna presenta alcune lesioni cutanee purpuriche che vengono sottoposte a biopsia cutanea: il reperto istologico mostra la pre-
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La granulomatosi eosinofilica con poliangioite in età pediatrica
senza di infiammazione perivascolare eosinofila e permette di porre la diagnosi di GEP in ragione della positività di 4 criteri ACR: asma, infiltrati polmonari, anormalità dei seni paranasali e infiammazione perivascolare eosinofilica. Gli anticorpi p-ANCA risultano negativi. Si avvia la terapia con cortisone per os ad alti dosaggi con cui si ottiene un considerevole miglioramento clinico. Tuttavia, a ogni scalo di prednisone si verifica una recrudescenza dei sintomi respiratori. CASO 4
Giacomo, un ragazzo di 15 anni con storia di asma allergico esordito nell’infanzia, giunge alla nostra attenzione per accertamenti in merito ad affaticamento muscolare, anoressia, mialgie e parestesie comparsi da circa due mesi, associati a un calo di peso di 12 kg dall’anno precedente. Guidata dalla conoscenza del binomio “ipereosinofilia e VES alta: GEP fino a prova contraria”, una giovane pediatra dell’ospedale di riferimento aveva già posto il sospetto di GEP. All’esame obiettivo si evidenzia ipotrofia muscolare degli arti inferiori, rash maculo papulare alle mani e ipertensione arteriosa (130/85 mmHg). Gli esami ematici mostrano leucocitosi eosinofila (leucociti totali 19.530/ mm3, di cui il 44% eosinofili), aumento degli indici di flogosi (VES 88, PCR 11 mg/dl - vn < 0,5 mg/dl) e delle IgE totali (2234 UI/l), con p-ANCA negativi. Vengono eseguite una radiografia del torace
(moderata cardiomegalia) e un’ecocardiografia transtoracica che mostra versamento pericardico e lieve disfunzione sistolica, con perimiocardite confermata grazie alla risonanza magnetica (Figura 2). L’elettromiografia rivela una polineuropatia degli arti inferiori e la biopsia cutanea mostra infiammazione perivascolare eosinofila. La coesistenza di eosinofilia, perimiocardite, polineuropatia con infiammazione perivascolare eosinofila in ragazzo con storia di asma consente di porre la diagnosi di GEP28. Viene instaurata la terapia con prednisone orale e azatioprina che conduce a remissione completa; dopo 2 anni la terapia immunosoppressiva è stata del tutto sospesa. Attualmente l’asma è ben controllato dalla terapia inalatoria con fluticasone/salmeterolo. DISCUSSIONE
La GEP è una vasculite “maggiore” sistemica che solitamente si manifesta in età adulta ed è rara in età pediaALLERGENI AMBIENTALI
Th1/Th17
trica33. In accordo con la prevalenza nota in letteratura, in un periodo di circa 20 anni, nella nostra Clinica Pediatrica sono stati diagnosticati solo 4 pazienti con GEP (ma l’esperienza in altri Centri di riferimento italiano non sembra sostanzialmente diversa, tanto che si tratta della seconda casistica italiana per numerosità nello stesso periodo). Quando esordisce in età pediatrica, la GEP si manifesta tipicamente nella seconda decade di vita, con un’età media alla diagnosi di circa 12 anni e con una lieve prevalenza nel sesso femminile. Benché la patogenesi della GEP non sia stata del tutto chiarita, recenti studi hanno contribuito ad approfondire la comprensione dei meccanismi attraverso i quali si instaura la risposta sistemica vasculitica ed eosinofilica che caratterizza la patologia, come riassunto nella Figura 3 1. Tipicamente la GEP evolve attraverso una fase prodromica caratterizzata da asma e altre manifestazioni allergiche quali rinite, angioedema e orticaria, una fase eosinofilica, durante la
IL2, IFNγ, IL17
GRANULOMI VASCULITE
DANNO TISSUTALE
TCR
Th2
APC (CELLULA PRESENTANTE L’ANTIGENE)
IL4, IL5, IL13 JL17RB
LINFOCITI B IgE, IgG4, ANCA
CCR3
DANNO TISSUTALE
Eotassina
EOSINOFILI
Figura 2. Risonanza magnetica cardiaca (T2). Iperintensita pericardica e sub-endocardica della parte inferiore del cuore in ragazzo con granulomatosi eosinofila con poliangioite (da voce bibliografica 28, modificata).
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Alcuni allergeni ambientali nei soggetti affetti da GEP scatenano una risposta immunitaria adattativa stimolando sia i linfociti T-helper 1 e T-helper 17 (Th-1 e Th-17) che T-helper 2 (Th-2). I linfociti Th-1 e Th-17 attivati rilasciano interferone gamma inducendo lo sviluppo di granulomi e vasculite; l’intensa stimolazione dei Th-2 con IL-4, IL-5 e IL-13 determina il rilascio da parte dei linfociti B attivati di IgE, IgG4 e p-ANCA. L’aumentata espressione e secrezione di eotassina guida gli eosinofili a infiltrare endotelio e tessuti; gli eosinofili, a loro volta, mantengono l’attivazione dei Th-2 rilasciando IL-25, creando così un circolo vizioso che mantiene la risposta infiammatoria. La degranulazione locale degli eosinofili attivati determina danno tissutale, necrosi e fibrosi. TCR: recettore delle cellule T; CCR3: recettore delle chemochine di tipo 3. Figura 3. Patogenesi della granulomatosi eosinofila con poliangioite (da voce bibliografica 1, modificata).
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Problemi speciali
CONFRONTO TRA LE CARATTERISTICHE CLINICHE DEI NOSTRI CASI DI GEP E DI QUELLI RIPORTATI IN LETTERATURA Genere (rapporto maschio/femmina) Età alla diagnosi (media anni) Picco di eosinofili sierici (/ l) (range di normalità: 100-500/l) Asma Infiltrati polmonari Coinvolgimento dei seni paranasali Neuropatia Interessamento cardiaco Interessamento cutaneo Interessamento renale Interessamento gastrointestinale Positività dei p-ANCA Biopsia diagnostica Morte
Casistica IRCCS “Burlo Garofolo” 1:1 11,5 6980 4/4 (100%) 3/4 (75%) 2/3 (66,6%) 1/4 (25%) 2/4 (50%) 2/4 (50%) 0 1/4 (25%) 1/3 (33.3%) 4/4 (100%) 1/4 (25%)
Casistiche della letteratura 0,73:1 12,3 8970 78/87 (90%) 55/71 (77%) 48/78 (61%) 31/83 (37%) 40/85 (47%) 45/85 (53%) 9/84 (19%) 39/85 (46%) 10/58 (17%) 76/82 (93%) 10/85 (12%)
Tabella II
quale si verifica un peggioramento dell’asma con ipereosinofilia periferica accompagnata da aumento degli indici di flogosi e una fase vasculitica, caratterizzata da manifestazioni multisistemiche, con indici di flogosi particolarmente elevati. In questa fase può esserci un coinvolgimento di polmoni (asma, versamento pleurico, emorragie alveolari), cute (petecchie, porpora palpabile, ulcere, noduli sottocutanei, livaedo reticularis), distretto testa-collo (sinusiti, polipi nasali, otiti croniche), occhio (uveiti, cheratiti), cuore (miocarditi, pericarditi, aritmie, cardiomiopatia, scompenso cardiaco), tratto gastrointestinale (dolore addominale, vomito, diarrea, esofagite, gastrite, citolisi epatica o complicanze quali sanguinamenti, occlusioni o perforazioni), nervi periferici (mononeuropatie, polineuropatie) e rene (proteinuria, ematuria, insufficienza renale)26,29. In letteratura è riportato un caso pediatrico di granuloma localizzato a livello vulvare30 e un paziente di 10 anni che ha sviluppato un’occlusione delle arterie degli arti inferiori31. Come precedentemente riportato, la diagnosi di GEP è clinica e si basa sulla positività di almeno 4 criteri ACR su 6 (Tabella I). Il gold standard diagnostico rimane l’analisi istopatologica: nelle casistiche pediatriche il principale sito bioptico è rappresentato
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dalla cute, sede di scelta in quanto consente di eseguire una procedura poco invasiva. I reperti istologici tipici sono la vasculite necrotizzante, l’infiltrato eosinofilico e il granuloma perivascolare29. Il cardine della terapia è rappresentato dall’impiego di corticosteroidi ad alte dosi. Nei pazienti con malattia severa o corticoresistente può essere necessaria la terapia combinata con altri agenti immunosoppressivi (ciclofosfamide, azatioprina, metotressato, immunoglobuline ad alte dosi endovena, infliximab o rituximab). Durante lo scalo del cortisone possono verificarsi ricadute e la malattia può divenire cortico-dipendente. Il mepolizumab, un anticorpo monoclonale umanizzato che neutralizza l’IL-5 arrestando così la proliferazione degli eosinofili, si è dimostrato efficace come terapia aggiuntiva nel trattamento di pazienti adulti, e può rappresentare un’opzione terapeutica anche nelle GEP pediatriche27. Come nel nostro primo caso, se non tempestivamente trattata la GEP può essere fatale e il principale fattore prognostico sfavorevole, con incidenza significativa nelle forme ad esordio in età pediatrica, è rappresentato dall’interessamento cardiaco, che secondo alcuni Autori andrebbe considerato come criterio aggiuntivo
di malattia, peggiorativo della prognosi28. Al momento della diagnosi di GEP sarebbe quindi doveroso eseguire una ecocardiografia e, in caso di riscontro di anomalie, l’indagine migliore per una valutazione più approfondita dell’infiammazione miocardica è rappresentata dalla risonanza magnetica cardiaca28. I pazienti pediatrici con GEP presentano alcune caratteristiche peculiari: il coinvolgimento sistemico si sviluppa più precocemente rispetto ai soggetti adulti e risultano più frequenti le manifestazioni cardiorespiratorie, cutanee e gastro-intestinali, mentre sono più rari i sintomi neurologici. La prognosi dei bambini affetti da GEP può essere peggiore rispetto a quella dei pazienti adulti a causa di una compromissione cardio-respiratoria più importante7. Inoltre, è emerso che i soggetti con GEP p-ANCA-positivi presentano più spesso un coinvolgimento neurologico rispetto ai soggetti p-ANCA-negativi29. I nostri casi, assieme a quelli riportati in letteratura, singolarmente9-25 e in casistiche più ampie7,8,29 (Tabella II) permettono una serie di sottolineature: • una storia di asma è presente nel 90-100% dei casi. La gravità e la frequenza degli attacchi peggiorano prima dell’insorgenza delle altre localizzazioni di vasculite;
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La granulomatosi eosinofilica con poliangioite in età pediatrica
MESSAGGI CHIAVE E UN BINOMIO DA RICORDARE
✔ La granulomatosi eosinofila con poliangioite è una forma rara ma grave di vasculite in età pediatrica. ✔ Le manifestazioni cliniche possono riguardare diversi organi e apparati (in particolare polmone con focolai multipli, cuore e pericardio, cute, intestino e nervi periferici), ma la quasi totalità dei pazienti ha una storia di asma progressivamente più difficile da trattare. ✔ La localizzazione cardiaca va sempre cercata (ecocardio, RM) perché è correlata a una evoluzione peggiore e alla necessità di un trattamento immunosoppressivo più aggressivo. ✔ L’ipereosinofilia con indici di flogosi elevati costituisce l’elemento laboratoristico caratterizzante, che impone il sospetto diagnostico. ✔ La conferma diagnostica si può avere dalla biopsia cutanea anche in assenza di lesioni visibili (granulomatosi e vasculite eosinofila). ✔ Il trattamento immunosoppressivo è di regola efficace ma deve essere iniziato tempestivamente, pena un rischio misurabile di mortalità. BINOMIO ✔ Ipereosinofilia marcata - VES elevata: GEP fino a prova contraria.
• una conta eosinofilica estremamente elevata nel sangue periferico, accompagnata da innalzamento degli indici di flogosi, è sempre presente al momento della diagnosi e rappresenta l’elemento caratterizzante della malattia; • gli infiltrati polmonari e l’interessamento dei seni paranasali sono presenti nei due terzi dei casi; • le manifestazioni cutanee (porpora, rash maculo papulare, noduli) e l’interessamento cardiaco, sotto forma di cardiomiopatia, versamento pericardico, insufficienza valvolare, coronaropatie e infarcimento miocardico, interessano circa la metà dei pazienti; • i sintomi gastrointestinali (enterocolite emorragica) e neurologici (questi ultimi sotto forma inizialmente di mononeuropatia e poi di polineuropatia sensitivo-motoria a carico specialmente degli arti inferiori) sono presenti in circa un quarto dei casi; • l’interessamento renale, sotto forma di glomerulonefrite focale e segmentaria necrotizzante sul modello delle altre vasculiti ANCA-correlate, è piuttosto raro (circa il 10% dei casi, mai nella nostra casistica); • l’esordio in età pediatrica della GEP non è sempre accompagnato da positività degli ANCA circolanti (uno Medico e Bambino 9/2020
su quattro dei nostri pazienti, 17% nelle coorti storiche); • le principali cause di exitus riportate sono: l’interessamento cardiaco ma anche, più raramente, la perforazione intestinale e/o l’insufficienza respiratoria in 2 bambini.
Indirizzo per corrispondenza: Serena Pastore e-mail: serena.pastore@burlo.trieste.it
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Problemi speciali
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La terza edizione del Convegno Internazionale Transdisciplinare Brazelton “Con i genitori” ha l’obiettivo di condividere a livello transdisciplinare, con l’apporto di esperti nazionali e internazionali, le attuali conoscenze sui meccanismi alla base della regolazione reciproca tra bambino e genitore, la sua rilevanza per lo sviluppo del bambino, le modalità per valutarla e sostenerla nel lavoro clinico dei professionisti dell’infanzia e confrontarsi sugli interventi a sostegno dello sviluppo del bambino e delle competenze genitoriali. Il convegno proseguirà per gli iscritti (per le iscrizioni: www.conigenitori.it) con tre webinar gratuiti della durata di due ore ciascuno, realizzati nei primi tre mesi del 2021. I webinar affronteranno diverse tematiche riguardanti la promozione dello sviluppo, tra le quali la paternità e la collaborazione transdisciplinare nel lavoro clinico con le famiglie e all’interno dei programmi di promozione dello sviluppo.
18 e 19 Dicembre 2020 Convegno online
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Prescrizione di antibiotici in Pediatria tra il 2012 e il 2018 in Regione Piemonte ALDO RAVAGLIA1, ANDREA GUALA2, ROBERTO GNAVI3, ALBERTO BORRACCINO4; GdL ANTIBIOTICI PIEMONTE
Pediatra di famiglia, Chivasso (Torino) SC di Pediatria, Dipartimento Materno-Infantile, Ospedale Castelli, ASL Verbano Cusio Ossola, Verbania 3 Servizio di Epidemiologia, ASL TO3, Grugliasco (Torino) 4 Dipartimento di Scienze della Sanità Pubblica e Pediatriche, Università di Torino 1 2
Gruppo di Lavoro Antibiotici Piemonte: Alberto Borraccino, Aldo Ravaglia, Andrea Guala, Elga Cagliero, Giulia Costagliola, Giulia Pruccoli, Giuliana Dossi, Loredano Giorni, Raffaella Baroetto, Roberto Gnavi
I dati della Regione Piemonte sull’utilizzo degli antibiotici nel periodo 2012-2018 confermano un trend di prescrizione complessivo in diminuzione, ma con ampi margini di miglioramento che devono tenere in considerazione le importanti variabilità di ambito (e tra i singoli pediatri) e le scelte fatte nell’uso delle singole molecole di antibiotico. Dal dato di prescrizione all’adozione di un progetto di miglioramento che vede tutti coinvolti come protagonisti.
G
li antibiotici sono la classe di farmaci più prescritta nell’età pediatrica, ma i tassi di prescrizione nelle diverse realtà nazionali e internazionali variano notevolmente, con differenze che non possono essere interamente spiegate dalle sole oscillazioni epidemiologiche delle malattie infettive1,2. Sul piano analitico la variabilità delle prescrizioni, oltre che dalla situazione epidemiologica e demografica, dipende anche da altri fattori quali, ad esempio, la disponibilità di nuovi farmaci, le dinamiche del mercato farmaceutico e le politiche pubbliche in materia di farmaci. In ultima analisi, la considerazione forse più importante: questa variabilità è anche imputabile al cambiamento dei comportamenti direttamente legati alla pratica medica3. L’evoluzione dei consumi, in campo economico, dipende in modo quasi univoco dalla relazione tra domanda e offerta. Ma nel campo della salute, invece, l’andamento dei consumi non dipende solo e direttamente da questo. Tra domanda e offerta deve essere considerato il ruolo giocato dal professionista (prescrittore) e dal sistema di
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PRESCRIPTION OF ANTIBIOTICS IN PAEDIATRICS IN THE PIEDMONT REGION (ITALY) BETWEEN 2012-2018 (Medico e Bambino 2019;38:575-580)
Key words Antibiotic prescriptions, Epidemiologic surveillance, Paediatrics Summary Background - he variability in the prescription of antibiotics in the infant population registers changes that cannot always be explained by the associated morbidity alone. Italy, despite its decreasing trend, is still among those countries with the highest prescriptions and shows an important inter-regional variability. The Pharmaceutical Service of the Piedmont Region gave the start to a working group with the task of describing the prescriptive activities, evaluating any internal variability and proposing strategies for improvement. Aim - The aim of the work is to describe the results achieved in Piedmont in 2012-2018 with regard to the paediatric treatment. Materials and methods - Data on prescriptions in paediatrics, grouped for ATC, were obtained from the regional pharmaceutical prescription system. Prescriptive rates and treatment prevalence - children with at least one prescription during the year - were calculated for the total number of residents. Results - The overall rate was reduced from 931 to 689 prescriptions per thousand children. In the same period, the prevalence of prescriptions was also reduced from 45.5% to 34.8%. Non-associated amoxicillin accounted for less than 15% of prescriptions, while clavulanate amoxicillin was the most widely used antibiotic with the 45% of the prescriptions. The ratio of amoxicillin to clavulanate amoxicillin remained strongly negative over the entire period, although it slightly improved from 0.27 to 0.42. Conclusion - The proportion of treatments, though decreasing, is still far from those of other virtuous European nations. Amoxicillin, unlike what suggested by inter-national and national guidelines, is the least prescribed antibiotics with an excess in clavulanate amoxicillin prescriptions that is difficult to explain. According to recent AIFA reports, the observed differences seem to depend partly on the patient's family but mainly on the prescriptive behaviours. Therefore, the professionals involved should compare prescribing practices to further improve prescriptive appropriateness.
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“protezione sociale” (in Italia il Sistema Sanitario Nazionale - SSN). Il professionista/prescrittore interpreta la domanda come bisogno di salute dell’individuo e, in qualità di intermediario, utilizza il sistema di protezione sociale. Questo assume su di sé parte, o buona parte, del costo economico e sociale, con effetti che possono condizionare l’offerta4. A complicare ulteriormente questa relazione si aggiunge il problema della farmacoresistenza: tasso di prescrizione e antibioticoresistenza hanno infatti dimostrato di essere direttamente correlati2,5. All’interno del panorama internazionale, l’Italia si colloca tra i Paesi con ancora un alto tasso di prescrizione, a cui si aggiunge un’enorme variabilità interregionale e conseguenti problematiche associate alla farmacoresistenza1,2,5. L’Emilia-Romagna, con l’avvio del progetto ProBA (Progetto Bambini e Antibiotici), ha studiato consumo e tipologia di prescrizioni di antibiotici in Regione6 riportando, nel periodo compreso tra il 2008 e il 2016, una sensibile riduzione nel tasso complessivo di prescrizioni e, dal punto di vista qualitativo, un incremento qualitativo delle prescrizioni di amoxicillina rispetto all’amoxicillina + acido clavulanico. Questi risultati sono stati ottenuti attraverso una strategia articolata che ha visto coinvolti Istituzioni, pediatri di famiglia e genitori7. Rimane però ancora una importante variabilità prescrittiva tra i singoli pediatri all’interno dei diversi ambiti territoriali, anche a fronte dell’impegno di questi ultimi dieci anni. Il Servizio Farmaceutico della Regione Piemonte ha istituito un Gruppo di Lavoro con il compito di effettuare una rilevazione sull’attività prescrittiva nella popolazione pediatrica, confrontandola con i dati della Regione Emilia-Romagna, per valutare se esiste una variabilità interna in termini sia quantitativi che qualitativi e proporre eventuali strategie di miglioramento. Obiettivo del lavoro è illustrare i passi effettuati e i risultati conseguiti dal Gruppo regionale nei sette anni di lavoro 2012-2018.
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METODI
In accordo con le informazioni riportate nel lavoro di Di Mario e coll.7, al fine di effettuare una comparazione puntuale tra la situazione prescrittiva in Piemonte e in Emilia-Romagna, sono stati presi in esame gli stessi indicatori. I dati sulle singole prescrizioni sono stati ottenuti dal sistema informativo delle prescrizioni farmaceutiche della Regione Piemonte per la popolazione pediatrica di età compresa tra la nascita e i 13 anni. A seguito del graduale perfezionamento del sistema regionale, che renderebbe non comparabili i dati antecedenti al 2010 con quelli successivi, non è stato possibile prendere in esame lo stesso periodo prescrittivo dell’Emilia-Romagna. Per ragioni di completezza il lavoro fa quindi riferimento a tutte le prescrizioni per le classi di farmaco ATC J01 - farmaci antinfettivi a uso sistemico - registrate all’interno del sistema informativo regionale piemontese nel periodo 20122018. Le prescrizioni sono state analizzate suddividendole in cinque classi di antibiotici: penicilline e inibitori di beta-lattamasi (amoxicillina + acido clavulanico), penicilline ad ampio spettro (amoxicillina), macrolidi, cefalosporine, altri antibiotici.
I tassi di prescrizione sono stati calcolati dividendo il numero di prescrizioni effettuate nel corso di un anno in soggetti di età fino a 13 anni per il numero di residenti nella stessa fascia di età, tenendo conto delle prescrizioni ripetute. La prevalenza di bambini trattati è stata calcolata come numero di bambini con almeno una prescrizione nel corso dell’anno, indipendentemente dall’insieme delle prescrizioni, per il numero dei bambini residenti. La popolazione residente è stata ottenuta dalla banca dati demografica ISTAT 8. Gli indicatori sono stati stratificati per ASL di residenza e per cinque classi di età (< 1 anno, 1-2 anni, 36 anni, 7-10 anni e 11-13 anni). RISULTATI
Nei sette anni in analisi la popolazione pediatrica in Piemonte si è ridotta di circa 30mila unità, da 532.131 a 501.991, senza variabilità apprezzabili all’interno delle singole ASL. Il tasso di prescrizione di antibiotici (Figura 1) si è ridotto di circa il 26% passando da 931 prescrizioni ogni mille bambini nel 2012, pari a 495.432 prescrizioni, a 689 nel 2018, pari a 346.146 prescrizioni. Nello stesso periodo si è ridotta anche la prevalenza
Figura 1. Andamento del tasso (linea blu) e della prevalenza (linea rossa) di trattamento con antibiotici sistemici nella popolazione pediatrica di età inferiore ai 14 anni, ogni mille soggetti, anno 2012-2018, Regione Piemonte.
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Prescrizione di antibiotici in Pediatria tra il 2012 e il 2018 in Regione Piemonte
DISTRIBUZIONE PERCENTUALE DELLE PRESCRIZIONI PER CLASSE DI ANTIBIOTICO (ATC J01) E ANNO (popolazione pediatrica in età inferiore ai 14 anni periodo 2012-2018, Regione Piemonte) Anno
Totale prescrizioni
Amoxicillina + acido clavulanico [%]
Amoxicillina [%]
Macrolidi [%]
Cefalosporine [%]
Altri antibiotici [%]
Amoxicillina/ amoxicillina + acido clavulanico ProBa*
2012
495.432
45,1
12,2
18,9
22,0
1,7
0,27
2013
483.537
45,4
11,4
19,6
21,9
1,8
0,25
2014
445.442
45,4
11,4
20,6
20,7
1,9
0,25
2015
420.652
46,7
12,3
18,3
20,7
2,0
0,26
2016
400.251
45,7
15,4
16,5
20,4
2,0
0,34
2017
352.166
43,6
17,6
15,9
20,6
2,3
0,40
2018
346.146
42,7
17,9
16,1
21,0
2,4
0,42
*ProBa - Indicatore Progetto ProBa: rapporto fra il numero di prescrizioni di amoxicillina semplice rispetto al numero di prescrizioni di amoxicillina + clavulanico. Valori di riferimento > 1,5 positivo, tra 1 e 1,5 intermedio, valori < 1 negativo.
Tabella I TASSO ETÀ SPECIFICO PER MILLE E PREVALENZA PERCENTUALE DELLE PRESCRIZIONI PER CLASSE DI ANTIBIOTICO (ATC J01) E ANNO (popolazione pediatrica in età inferiore ai 14 anni in classi di età, periodo 2012-2018, Regione Piemonte) Fascia di età
Anno 2012 TES (%)
Anno 2013 TES (%)
Anno 2014 TES (%)
Anno 2015 TES (%)
Anno 2016 TES (%)
Anno 2017 TES (%)
Anno 2018 TES (%)
Scarto [%] 2012-2018 del TES
< 1 anno
949 (56,8)
969 (57,6)
810 (51,2)
834 (51,8)
755 (47,7)
726 (46,2)
735 (45,3)
–22,6
1-2 anni
1354 (59,5)
1330 (58,2)
1227 (55,8)
1193 (55,0)
1134 (54,0)
1082 (51,8)
1110 (51,5)
–18,0
3-6 anni
1287 (54,7)
1239 (53,4)
1169 (51,7)
1103 (50,0)
1091 (50,8)
951 (45,3)
979 (44,3)
–23,9
7-10 anni
692 (38,2)
660 (36,5)
620 (34,7)
596 (33,6)
587 (33,5)
512 (30,0)
498 (27,5)
–28,0
11-13 anni
475 (29,3)
456 (28,3)
443 (27,5)
427 (26,6)
402 (25,4)
371 (23,5)
353 (21,2)
–25,7
Valori mancanti*
378 e 52
448 e 44
2332 e 0
2224 e 1
3092 e 0
2380 e 1
7280 e 1
–
*Prescrizioni e numero di soggetti con indicazione dell’età non indicata. TES = Tasso età specifico 0-13 anni.
Tabella II
del numero dei trattati, passando dal 45,5% al 34,8%, con un numero di trattati che si è progressivamente ridotto da 241.881 soggetti nel 2012 a 174.688 nel 2018. Per quanto riguarda la tipologia di antibiotici (Tabella I), amoxicillina + acido clavulanico è l’antibiotico maggiormente utilizzato; da solo rappresenta il 45% di tutte le prescrizioni effettuate, con una lieve riduzione nel corso del periodo di osservazione. L’amoxicillina rappresenta, invece, circa un settimo delle prescrizioni nell’intero periodo, passando dal 12% del 2012 al 17,9% nel 2018. Nello stesso periodo, il rapporto tra amoxicillina su amoxicilli-
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na + acido clavulanico, in accordo con gli indicatori del progetto ProBa7, rimane fortemente negativo passando da 0,27 a 0,42. Le prescrizioni di macrolidi e cefalosporine rappresentano il 19% e il 22% rispettivamente di tutte le prescrizioni registrate, entrambe con una leggera riduzione durante l’intero periodo di monitoraggio. Per quanto riguarda l’utilizzo di antibiotici nelle diverse fasce di età, il maggior numero di prescrizioni avviene nelle età comprese tra 1 e 6 anni, con tassi di 1350 (1-2 anni di età) e 1280 (3-6 anni) prescrizioni ogni mille bambini nel 2012, che si riducono ri-
spettivamente a 1100 e 980 ogni mille nel 2018, con una riduzione percentuale costante in tutte le fasce di età. Le prevalenze di bambini che ricevono almeno un trattamento nel periodo in analisi si presentano tutte in lieve riduzione, con percentuali di trattati di circa il 50% nelle fasce di età inferiori ai 7 anni, per scendere intorno a circa il 20% all’età di 11-13 anni (Tabella II). In merito alla distribuzione territoriale del tasso di prescrizioni nel primo e nell’ultimo anno di osservazione, 2012 e 2018 (Figura 2), è possibile osservare una costante riduzione in tutte le Aziende territoriali, con un avvicinamento al valore medio regionale per
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Ricerca
Figura 2. Tasso di prescrizione con antibiotici sistemici nella popolazione pediatrica di età inferiore ai 14 anni riferito all’anno 2012 e all’anno 2018, per ASL di residenza, Regione Piemonte.
periodo. Persiste però una variabilità interaziendale costante che oscilla tra 789 e 1100 trattamenti ogni mille bambini per il 2012 e tra 801 e 523 nel corso del 2018. DISCUSSIONE
Il tasso di prescrizione di antibiotici è passato da 931 a 689 ogni mille bambini nei sette anni presi in esame, con il 34% complessivo di bambini in terapia. Quest’ultimo dato sul totale dei trattamenti nella popolazione pediatrica risulta essere in linea con quello della popolazione di pari età nelle sei Regioni analizzate dall’ultimo rapporto AIFA (Lombardia, Veneto, Toscana, Lazio, Campania e Puglia)5, ma inferiore a quello ottenuto dall’Emilia-Romagna nel 2016. Il numero dei trattati, anche se in diminuzione, è però ancora molto lontano da quello di altre nazioni europee virtuose. Ad esempio nei Paesi Bassi ogni anno viene trattato, nelle stesse fasce di età, appena il 15% dei bambini9. In riferimento alle diverse categorie di antibiotici in uso nello stesso periodo, come per il dato sulla prevalenza di trattamenti, i nostri risultati mostrano che la classe più prescritta è quella delle associazioni di penicilline (amoxicillina + acido clavulanico) con un tasso
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di prescrizione che dal 2012 al 2018 è passato da 450 a 420 prescrizioni ogni mille bambini. Dato che risulta essere superiore a quello di riferimento per la media nazionale e tra i più alti nelle Regioni del Nord, se confrontato con quanto riportato nello stesso rapporto AIFA5. L’amoxicillina, ovvero le penicilline ad ampio spettro, invece, diversamente da quanto suggeriscono le linee guida internazionali e quelle nazionali, è l’antibiotico meno prescritto (120 prescrizioni nel 2012 per passare a circa 180 ogni mille bambini nel 2018). Macrolidi e cefalosporine seguono rispettivamente gli andamenti rilevati anche a livello nazionale. Per lo stesso periodo in esame, il rapporto tra il numero di prescrizioni di amoxicillina su quello di amoxicillina + acido clavulanico, indicatore di buona qualità prescrittiva (come suggerito dalla Commissione Europea10 e riportato nel Progetto ProBa7), passa da 0,27 a 0,42, rimanendo fortemente negativo rispetto ai valori di accettabilità stabiliti. Nel confronto dei dati sulle classi di antibiotici tra i diversi Paesi europei, osserviamo che il rapporto tra penicilline ad ampio spettro e penicilline che comprendono gli inibitori delle betalattamasi è direttamente invertito, con valori fortemente positivi superiori
all’1,5 (in Olanda, ad esempio questo rapporto è superiore a 4). Va rilevato inoltre che esiste una notevole variabilità tra le Regioni e, all’interno della stessa Regione Piemonte, tra le diverse ASL (Figura 2), così come documentato anche nella Regione Emilia-Romagna. A fronte di un complessivo calo delle prescrizioni di antibiotici persiste una rilevante differenza sul tasso di trattamento all’interno delle diverse ASL. Differenza che è difficilmente spiegabile con la sola variabilità epidemiologica che le malattie infettive possono avere in uno spazio geografico così limitato. Analogamente a quanto riferito dagli Autori del rapporto AIFA, si può presumere che queste differenze possano in parte dipendere dal contesto familiare, ma in misura non trascurabile anche dal medico prescrittore. È noto infatti che la probabilità per un bambino di ricevere un antibiotico, così come una specifica categoria di antibiotici in particolare, è direttamente legata al pediatra che lo ha in carico11,12. Il professionista/prescrittore è sottoposto a continue pressioni, da quelle organizzative a quelle legate all’aggiornamento. Così come è sottoposto alla forte pressione legata al mercato della Sanità, che spesso e in modo sottile e indolore introduce quello che viene chiamato il “rapporto di cortesia”, che può orientare la scelta di una molecola per un’altra, così come potrebbe orientare la scelta sulla prescrizione di amoxicillina + acido clavulanico, rispetto alla sola amoxicillina, oppure spingere nell’indicare una marca specifica al posto di un analogo generico13. Come sottolineava Silvio Garattini nella prefazione al libro Giuro di esercitare la Medicina in libertà e indipendenza: «Il predominio del marketing si traduce in una distorsione delle conoscenze e i prodotti farmaceutici sono spesso considerati beni di consumo anziché strumenti di salute. Di fatto molti professionisti/ prescrittori rinunciano a difendere la centralità dell’ammalato e privilegiano l’interesse dell’Industria, con un conflitto di interessi tra medici e Industria che può minare il Giuramento di Ippocra-
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Prescrizione di antibiotici in Pediatria tra il 2012 e il 2018 in Regione Piemonte
te»14. Ed è in questa circostanza che, secondo gli Autori, senza dolo e in modo spesso inconscio, il professionista può a volte “tradire” il patto di alleanza terapeutica con il paziente. Il razionale della scelta dell’antibiotico è verosimilmente ascrivibile a una consolidata “cultura prescrittiva” altrimenti identificabile come consuetudine. Pertanto è facile immaginare che, in alcuni distretti più che in altri, si prescriva per buona parte delle infezioni respiratorie un antibiotico anche quando l’eziologia è di origine virale, e che il farmaco di prima scelta non sia quello atteso. Se questa modalità, nel MESSAGGI CHIAVE ❏ Gli antibiotici sono la classe di farmaci più prescritta in Pediatria e l’Italia si colloca tra i Paesi con più alto tasso prescrittivo; alcune Regioni, capofila l’Emilia-Romagna, si sono attivate per monitorarne l’andamento. In Piemonte si osserva dal 2012 al 2018 un trend in riduzione del 26%. ❏ Nello stesso periodo, la prevalenza del numero di bambini trattati con antibiotico si è ridotta dal 45,5% al 34,8%, ancora lontana dal 15% rilevato nei Paesi Bassi. ❏ La molecola più prescritta in Piemonte è l’amoxicillina + acido clavulanico, con un andamento che è rimasto sostanzialmente stabile durante il periodo di osservazione. Le linee guida (nazionali e internazionali) relative alle più frequenti patologie infettive respiratorie pediatriche suggeriscono l’amoxicillina come molecola di prima scelta. ❏ La variabilità nelle varie ASL piemontesi si è solo leggermente ridotta nel periodo dello studio. Questa variabilità dipende non solo da disponibilità di nuove molecole in commercio, ma anche dalle politiche pubbliche e soprattutto dal comportamento del medico pediatra prescrittore. ❏ Nel 2018 è attivo in Piemonte un Gruppo di Lavoro sulla prescrivibilità di farmaci in età pediatrica con obiettivi di monitoraggio e di sosteno alle politiche regionali su: formazione del personale medico, appropriatezza prescrittiva e contrasto dell’antibioticoresistenza.
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confronto con altri Paesi europei, o semplicemente tra le diverse Regioni in Italia, si traduca in una differenza di accesso alle strutture sanitarie, o una differenza negli esiti di salute, è argomento che meriterebbe un approfondimento dedicato. Questo ci aiuterebbe a comprendere il fenomeno nella sua complessità e sarebbe di utilità nella identificazione di quei trattamenti che definiremmo inappropriati oppure semplicemente in eccesso rispetto al valore atteso. Per quel che riguarda il trend in riduzione osservato in Piemonte è necessario aggiungere che, diversamente da quanto osservato ad esempio in Regione Emilia-Romagna, è avvenuto senza l’impiego di azioni formative o di sensibilizzazione dei diversi professionisti pianificate a livello centrale. È verosimile che dalla diffusione delle linee guida nazionali e internazionali, all’interno di incontri scientifici formali, informali e locali, ad esempio a livello di ASL, si possano essere creati Gruppi di riflessione che, nel tempo, abbiano contribuito alla diffusione una differente cultura prescrittiva, capace di guidare il trend osservato. È pertanto presumibile che la riduzione osservata sia il risultato di una lenta contaminazione nella condivisione delle diverse scelte operative e di una progressiva e autonoma diffusione delle linee di indirizzo. Se pur di fronte a un dato quantitativo complessivamente positivo, si osserva la persistenza di una costante variabilità nelle prescrizioni tra le diverse ASL e, sul piano qualitativo, la persistenza di un rapporto sbilanciato fra prescrizioni di amoxicillina e di amoxicillina + acido clavulanico. In risposta a tale discrepanza, il Servizio Farmaceutico Regionale del Piemonte ha avviato un progetto di miglioramento. Con determina del 10 maggio 2018, è stato costituito un Gruppo di Lavoro sulla prescrivibilità di farmaci in età pediatrica, che ha intrapreso un percorso di ri-valutazione dell’appropriatezza prescrittiva. Scopo del lavoro è quello di attivare un sistema di monitoraggio, a partire dai flussi informativi regionali, che possa dare luogo a valutazioni condivise capaci di sostenere le
politiche regionali sulla formazione del personale medico dipendente e convenzionato e sul corretto uso dei farmaci antibiotici, avviando un progressivo cambiamento verso l’ulteriore miglioramento15,16. Questa iniziativa nasce certo dalle sollecitazioni istituzionali nazionali, ma prende come modello l’esperienza quindicennale sulla prescrivibilità condotta a Reggio Emilia. Gli ultimi dati riportati nel sito della Regione EmiliaRomagna, infatti, indicano che attraverso il confronto, la collaborazione tra colleghi e l’integrazione delle pratiche fra i pediatri di famiglia si possono raggiungere risultati fortemente positivi e duraturi nel tempo, quale ad esempio il miglioramento dell’appropriatezza prescrittiva complessiva e soprattutto l’ulteriore miglioramento del rapporto amoxicillina su amoxicillina + acido clavulanico che, come osservato, nel 2018, raggiunge in alcuni ambiti territoriali il valore di 3,3, vicino a quello di alcuni virtuosi Paesi europei17.
Conflitto di interessi: nessuno
Indirizzo per corrispondenza: Alberto Borraccino e-mail: alberto.borraccino@unito.it
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Ricerca
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Farmacoriflessioni
Otite media acuta: le abitudini difficili a perdersi e l’aderenza alle linee guida È tempo di cambiare? FEDERICO MARCHETTI1, SARA TAGLIANI2
UOC di Pediatria e Neonatologia, Ospedale di Ravenna, AUSL della Romagna Scuola di Specializzazione in Pediatria, Università di Ferrara
1 2
Si parla da oltre 30 anni su cosa fare per la gestione dei casi di OMA. Eppure la pratica clinica è ancora distante dalle numerose linee guida disponibili (vedi anche la Ricerca sulla prescrizione antibiotica, pag. 575). Gli Autori ci ricordano che un uso eccessivo degli antibiotici nell’OMA, la prescrizione di molecole non raccomandate in prima istanza e la lunga durata della terapia contravvengono ai principi della stewardiship antimicrobica. Abbiamo margini importanti di miglioramento. È tempo di assumere un senso di responsabilità rigoroso (individuale e collettivo) anche per la gestione delle banali infezioni delle vie respiratorie.
È
stato recentemente pubblicato un articolo sulle abitudini prescrittive dei pediatri americani relativamente a un argomento frequente, discusso e ridiscusso, ma tuttavia sempre attuale e spesso causa di overtreatment : l’otite media acuta (OMA)1. L’articolo ci permette di confrontare (come esercizio e con tutti i limiti e le difficoltà del caso) la pratica clinica dei medici dello Health Medical Center di Denver, con alcune delle linee guida (LG) pubblicate in letteratura sul trattamento dell’OMA: quelle dell’American Academy of Pediatrics (AAP)2, della Regione Emilia-Romagna3 e recentemente quelle aggiornate della Società Italiana di Pediatria (SIP)4. LO STUDIO AMERICANO SUL TRATTAMENTO DELL’OMA
Lo studio osservazionale1 ha considerato tutti i pazienti pediatrici di età superiore ai 2 anni, con diagnosi di OMA, nell’arco di un anno solare, escludendo coloro che avevano ricevuto antibioticoterapia nei 30 giorni precedenti o effettuato interventi di timpanostomia. Tre sono stati gli aspetti considerati dagli Autori:
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ACUTE OTITIS MEDIA: HABITS DIFFICULT TO LOSE AND ADHERENCE TO GUIDELINES. IS IT TIME TO CHANGE? (Medico e Bambino 2020;39:581-583)
Key words Acute otitis media, Antibiotic therapy, Delayed prescription, Guidelines Summary A recent publication on the prescriptive attitude of American paediatricians towards a child older than two years of age with acute otitis media (OMA) showed that 98% of cases received antibiotic therapy, only in 4.5% of cases administered after “delayed prescription" (persistence or worsening of symptoms 48-72 hours after the onset). In accordance with the guidelines, the first choice drug in 80% of the cases was amoxicillin while the duration of therapy in many cases was longer than the 5 days recommended in the treatment of OMA in this age group. The indications and divergences of the main guidelines on the treatment of the OMA are discussed in the present paper. Guidelines are frequently disregarded in clinical practice, also in Italy, although the numerous studies available confirm their validity. Therefore, it is necessary to define indicators relating to the excessive use of antibiotics to identify specific areas of intervention that should be considered as priorities in punctual antimicrobial stewardship programmes aimed to improve clinical practice.
1. l’uso o non uso dell’antibiotico in prima istanza, con l’adozione eventuale della “vigile attesa” (VA); 2. la scelta del tipo di molecola di antibiotico utilizzato; 3. la durata della terapia. Il 98% dei casi diagnosticati ha ricevuto terapia antibiotica, solo nel 4,5% dei casi somministrata dopo VA, ossia dopo persistenza o peggioramento dei sintomi a 48-72 ore dall’esordio della sintomatologia.
L’antibiotico di prima scelta nell’81% delle prescrizioni era l’amoxicillina. Nel restante 19% dei casi sono stati prescritti amoxicillina + clavulanato, cefdinir e azitromicina, più frequentemente utilizzati nel bambino tra i 2-5 anni, nelle femmine, in caso di otite bilaterale e per allergia alla penicillina. Nel 94% dai casi la durata del trattamento ha superato i canonici 5 giorni, soprattutto se il trattamento era stato prescritto in regime di urgenza; la presenza di febbre al momento della visita
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Farmacoriflessioni
non è stata determinante nella scelta di una maggiore durata della terapia. LE LINEE GUIDA SULL’OMA
La Tabella I riporta le principali indicazioni di alcune LG sul trattamento dell’OMA2-4. A partire dai 2 anni di vita, tutte le LG danno l’indicazione per una possibile VA, con prescrizione ritardata dell’antibiotico in caso di persistenza o aggravamento dei sintomi, sia per le otiti monolaterali che bilaterali, purché in assenza di sintomi gravi al momento della visita (otalgia importante, otalgia > 48 ore, temperatura corporea > 39 °C, otorrea). Le LG dell’Emilia-Romagna la consigliano a partire da un anno di vita e, a giudizio del curante, dai 6 mesi per tutte le otiti, in assenza di sintomi gravi3. Tra i 6 e i 24 mesi, la AAP2 suggerisce la VA per le OMA monolaterali lievi, con indicazione a trattare da subito le OMA bilaterali, anche se lievi (sola iperemia timpanica)2, mentre le LG della SIP raccomandano in questa fascia di età il trattamento antibiotico immediato per tutte le OMA, siano esse lievi o gravi, mono o bilaterali4. Le tre LG indicano l’amoxicillina come antibiotico di prima scelta, alla posologia di 75-90 mg/kg/die preferibilmente in 3 somministrazioni2-4. L’amoxicillina dovrebbe essere sostituita da una molecola protetta solo in caso di mancata risposta clinica, in caso di recidiva di otite (secondo episodio in 30 giorni) o in caso di un suo precedente utilizzo nei 30 giorni precedenti2-4. Sia le LG AAP che quelle della SIP raccomandano amoxicillina + clavulanato
anche in caso di concomitante congiuntivite purulenta2,4. Le nuove LG SIP consigliano l’amoxicillina protetta anche per OMA definita come grave, in presenza di otorrea spontanea o di elevata probabilità di antibiotico-resistenza all’amoxicillina (frequenza di comunità infantile, mancata vaccinazione antipneumococcica, provenienza da aree geografiche con elevata prevalenza di isolamento di batteri resistenti). Raccomandazioni a nostro avviso troppo estensive e di fatto basate su un giudizio soggettivo (che giustamente gli estensori delle LG vorrebbero evitare) nel definire ad esempio la gravità dell’episodio. Si definisce grave l’OMA se il punteggio valutativo è > 4. Punteggio che dovrebbe tenere conto della temperatura, dalla compromissione delle condizioni generali (presente o assente), del grado di otalgia (lieve/moderato o intenso), della iperemia della membrana timpanica (lieve/moderata o intensa) e della estroflessione della membrana. Ad esempio è sufficiente avere un’otalgia definita come intensa (spesso facile da controllare con la terapia analgesica) e una intensa iperemia della membrana per avere un punteggio di 4 che definirebbe l’OMA come grave. C’è accordo nelle LG nel prevedere l’uso dei macrolidi come l’azitromicina esclusivamente nei casi di documentata allergia di tipo I alle penicilline, mentre una cefalosporina di seconda o terza generazione può essere utilizzata in caso di allergia non di tipo I o assenza di reazioni gravi, alla luce della scarsa probabilità di cross-reazione2-4. In merito alla durata della terapia antibiotica nessuna LG raccomanda in bambini sopra i 2 anni di età, senza ri-
schio di evoluzione sfavorevole, una terapia di durata maggiore ai 5 giorni2-4. LA PRATICA CLINICA NELLA GESTIONE DELL’OMA
I risultati dello studio statunitense1 ci dicono che nella grande maggioranza della popolazione analizzata (93,5%) la VA non è stata adottata e il tasso di prescrizione degli antibiotici per l’OMA continua a essere elevato nonostante tutte le LG raccomandino l’adozione di questa possibile strategia osservazionale iniziale, che si basa sui risultati di numerosi studi (randomizzati e di coorte)5,6. Il vantaggio della terapia antibiotica nella terapia dell’OMA è dimostrato, ma è molto modesto e bisogna trattare, a seconda dei risultati delle diverse metanalisi pubblicate in letteratura, dagli 8 ai 16 bambini per avere un bambino che trae beneficio sul sintomo dolore e/o febbre rispetto a quello in cui è stata messa in atto la VA5. Parliamo sempre di bambini che non presentano all’esordio dell’OMA una sintomatologia clinica di rilievo. È ampiamente dimostrato che l’applicazione della VA in un contesto ambulatoriale permette di risparmiare l’uso dell’antibiotico a 2 bambini su 3 con OMA7, con un possibile impatto favorevole sulla farmacoresistenza e sulla riduzione dei costi8. In un largo studio condotto 15 anni fa nell’ambito della Pediatria di famiglia (PdF) italiana, dei 1099 bambini con OMA candidati alla VA il 67,6% a 3 giorni e il 65,1% a 30 giorni è stato trattato con successo con la sola terapia analgesica/antipiretica senza pertanto ricorso sull’uso dell’antibiotico in prima istanza7. Più recente-
ALCUNE LINEE GUIDA SULLA GESTIONE DELL’OTITE MEDIA ACUTA American Academy of Pediatrics Emilia-Romagna Società Italiana di Pediatria < 2 anni: OMA monolaterale senza > 6 mesi: OMA < 2 anni: no vigile attesa sintomi gravi*; > 2 anni: OMA monolaterale monolaterale e bilaterale > 2 anni: OMA monolaterale, e bilaterale senza sintomi gravi senza sintomi gravi OMA bilaterale senza sintomi gravi Antibiotico di prima scelta Amoxicillina Amoxicillina 75 mg/kg/die Amoxicillina 90 mg/kg/die in 2 dosi in 3 dosi 80-90 mg/kg/die in 3 dosi Durata della terapia < 2anni 10 giorni 8-10 giorni 10 giorni Durata della terapia > 2 anni Da 5 a 7 giorni 5 giorni 5 giorni *Sintomi gravi: otalgia importante, otalgia > 48 h, temperatura corporea > 39 °C, otorrea. Vigile attesa
Tabella I
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Otite media acuta: le abitudini difficili a perdersi e l’aderenza alle linee guida
mente questi risultati favorevoli, che erano stati ottenuti con l’obiettivo di verifica di applicabilità di un protocollo largamente condiviso tra i pediatri partecipanti alla sorveglianza, non sono stati confermati. Uno studio condotto su 4573 bambini visti in Pronto Soccorso (PS) pediatrico documenta come nell’81% dei casi con diagnosi di OMA sia stato prescritto l’antibiotico immediatamente e che la frequenza della prescrizione degli antibiotici non abbia avuto sostanziali modifiche dopo l’introduzione delle LG italiane9. Percentuali simili, sempre in Italia, sono osservate nella PdF dalla banca dati di Pedianet nel periodo 2010-2015: la strategia della VA nell’OMA è stata adottata in solo il 17,5% dei casi10. I risultati dello studio di Frost e coll.1 riportano un dato sicuramente positivo che riguarda l’utilizzo dell’amoxicillina in prima istanza nel trattamento dell’OMA in un’alta percentuale di casi (81%), in conformità a quelle che sono le raccomandazione di tutte le LG. È noto che in Italia l’amoxicillina + clavulanato è la molecola più prescritta in un contesto di cure pediatriche, con una larga variabilità regionale11-14. E lo è indipendentemente dalle raccomandazioni, dalla tipologia delle infezioni e dall’eziologia, e dalle presunte resistenze. Dai dati della Regione EmiliaRomagna sulle resistenze antimicrobiche pediatriche15 risulta che Haemophilus influenzae (HI) (che è il patogeno con una maggiore probabilità di avere un’evoluzione spontanea favorevole nei casi di OMA) è produttore di betalattamasi in una percentuale contenuta di casi (17%) senza incremento negli ultimi anni. Streptococcus pneumoniae (SP) (principale batterio a cui prestare attenzione nel trattamento dei casi di OMA, sinusite e polmonite) non produce beta-lattamasi come meccanismo di resistenza, e nel 2017 la sua resistenza ad amoxicillina era dell’1,6% (3,1% considerando insieme resistenza e sensibilità intermedia). Come è noto la (rara) sensibilità intermedia alle penicilline dello SP viene efficacemente gestita utilizzando dosaggi di amoxicillina più alti (75-90 mg/kg/die), come consigliato nelle LG sull’OMA. Va considerato inoltre che i pro-
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grammi vaccinali per HI e SP sembrerebbero avere ridotto il numero delle infezioni invasive e, in parte (anche se il dato è controverso), i casi di OMA e di altre infezioni respiratorie, con un decremento nel tasso di prescrizione degli antibiotici e nel ricorso alle timpanostomie16,17. L’ultimo messaggio dell’articolo della sorveglianza statunitense1 ci dice che, come dimostrato in letteratura per tutte le infezioni del tratto respiratorio superiore, la durata della terapia è spesso maggiore rispetto a quella indicata dalle LG: problema noto, molto discusso18, con una visione che dovrebbe considerare il concetto di antimicrobial stewardship che vede, a differenza di quello che si pensava sino a qualche anno fa, nella lunga durata del trattamento uno dei principali meccanismi dell’aumento delle resistenze19. Terrorizzati dal rischio di trattamenti insufficienti (undertreatment), non si sarebbe prestata la giusta attenzione ai problemi derivanti dai trattamenti eccessivi (overtreatment). Oggi i batteri che causano le infezioni resistenti maggiormente diffuse non avrebbero acquisito la loro immunità agli antibiotici attraverso una selezione diretta, o target selection, dovuta a terapie antibiotiche troppo brevi. Si tratterebbe invece di batteri normalmente innocui, che acquisiscono antibioticoresistenza proprio a causa di trattamenti di durata eccessiva. In conclusione, a circa 35 anni dalla pubblicazione dello studio olandese20 che ha introdotto la VA nella gestione dei casi di OMA, questa pratica, nonostante tutte le evidenze a suo favore, è molto poco utilizzata. L’articolo di Frost1 ci lascia un messaggio ambivalente, nella duplice natura delle informazioni, in parte positive e in parte negative, veicolate: “Se proprio non possiamo rinunciare all’abitudine di dare l’antibiotico nelle OMA (con l’adozione della VA per i casi meritevoli), per lo meno che sia dato quello giusto (l’amoxicillina)”. Una domanda rimane invece aperta e suggestiva di ulteriori studi: cosa avremmo documentato se la popolazione studiata fosse stata quella con età tra i 6 e i 24 mesi?
È TEMPO DI CAMBIARE?
A livello globale, internazionale e anche nazionale, un obiettivo di rilievo di Salute pubblica è rivolto a contenere il fenomeno della resistenza dei batteri attraverso la riduzione della prescrizione di antibiotici21. Nonostante alcuni successi a breve termine22, studi e sondaggi di opinione ci dicono che le LG, anche e soprattutto sulla prescrizione antibiotica, non vengono sempre seguite producendo un impatto modesto in termini di miglioramento delle prescrizioni23. Le motivazioni non sono sempre note e si stanno discutendo (da tempo) le possibili soluzioni24. Si è finalmente consapevoli che non basta produrre ulteriori prove e LG (a volte contraddittorie in alcuni messaggi pratici, come nel caso presentato delle 3 LG sull’OMA) per garantirne la trasferibilità nella pratica25. Sono richiesti modelli alternativi, alcuni basati sulla formazione, che, ad esempio sull’OMA, richiamano l’uso adeguato della terapia analgesica e la rassicurazione sui rischi pressoché inesistenti relativi alla comparsa di complicanze (mastoidite) con l’adozione della VA26. Ci si basa anche su modelli educativi dell’utenza che troverebbero il paziente adulto favorevole alla condivisione della strategia della VA27 o sulla definizione di indicatori relativi all’uso eccessivo di antibiotici per identificare specifici ambiti di intervento che dovrebbero essere considerati come prioritari in programmi puntuali di antimicrobial stewardship orientati al miglioramento della pratica clinica28. Sicuramente ci sono esempi favorevoli che ci dicono che l’estrema variabilità nelle attitudini prescrittive dovrebbe suggerire un confronto molto attivo fra i PdF (tutti i pediatri che operano in singole realtà assistenziali) e allo stesso modo un confronto tra i pediatri ospedalieri, i PdF e gli specialisti (gli otorini spesso invocati come determinanti delle cattive prescrizioni ma di cui, per le normale gestione delle infezioni respiratorie, si stenta a capire il bisogno assistenziale)25. Esperienze positive hanno dimostrato che questo metodo di lavoro basato sulla “condivisione partecipe e continua” può deter-
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minare un miglioramento dell’appropriatezza nell’uso di antibiotici29. Di certo è arrivato il tempo di rendere conto, come singoli e come medicina comunitaria (tanto invocata di questi tempi), delle variabilità delle attitudini prescrittive che sono largamente documentate. La motivazione a fare meglio, in un percorso di audit personale e di gruppo, ci accomuna tutti, se prevale un progetto di lavoro migliorativo, nel metodo e nell’organizzazione. Nessuno e niente sarà più uguale a prima (si sente dire in questo periodo storico), e questa più che una considerazione diventa una necessità, se si assume un senso di responsabilità che non può più lasciare nulla al caso, anche nella gestione delle banali infezione delle prime vie respiratorie. E rendere conto non è più una scelta, ma una profonda necessità.
MESSAGGI CHIAVE
❏ Dopo i 2 anni di vita tutte le linee guida (LG) sul trattamento dell’otite media acuta (OMA) consigliano la vigile attesa (VA), in assenza di sintomi “gravi” alla valutazione clinica. Sia in Italia che negli Stati Uniti, la VA non viene adottata nella pratica nella stragrande maggioranza dei casi, a favore della prescrizione immediata dell’antibiotico. ❏ L’amoxicillina è l’antibiotico di prima scelta nell’OMA. La rara sensibilità intermedia alle penicilline di Streptococcus pneumoniae viene gestita utilizzando dosaggi di amoxicillina più alti (75-90 mg/kg/die). ❏ Tutte le LG raccomandano, in bambini sopra i 2 anni di età con OMA, senza fattori di rischio per evoluzione sfavorevole, una terapia antibiotica (quando necessaria) della durata di 5 giorni. Anche questa raccomandazione viene spesso disattesa nella pratica clinica. ❏ Un uso eccessivo degli antibiotici nell’OMA, la prescrizione di molecole non raccomandante in prima istanza, e una lunga durata della terapia favoriscono l’insorgenza di antibioticoresistenza e aumentano il rischio di eventi avversi, contravvenendo ai principi della stewardship antimicrobica.
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Indirizzo per corrispondenza: Federico Marchetti e-mail: federico.marchetti@auslromagna.it Bibliografia 1. Frost HM, Becker LF, Knepper BC, Shihadeh KC, Jenkins TC. Antibiotic prescribing patterns for acute otitis media for children 2 years and older. J Pediatr 2020;220:109-115.e1. 2. Lieberthal AS, Carroll AE, Chonmaitree T, et al. The diagnosis and management of acute otitis media. Pediatrics 2013;131(3):964-99. 3. Di Mario S, Gagliotti C, Moro ML; a nome del Gruppo “ProBA”. Otite media acuta in età pediatrica. Aggiornamento della Linea Guida della Regione Emilia-Romagna. Medico e Bambino 2016;35(1):35-40. 4. Marchisio P, Chiappini E, Pignataro L, Doria M, Felisati G (coordinatori). Gestione dell’otite media acuta in età pediatrica, linea guida 2019. 5. Marchetti F, Panizon F. Infezioni delle vie respiratorie e antibiotico: sì, no, quando? Medico e Bambino 2010;29(9):577-84. 6. Spurling GK, Del Mar CB, Dooley L, Foxlee R, Farley R. Delayed antibiotic prescriptions for respiratory infections. Cochrane Database Syst Rev 2017;9(9):CD004417. 7. Marchetti F, Ronfani L, Conti Nibali S, Tamburlini G; Italian Study Group on Acute Otitis Media. Delayed prescription may reduce the use of antibiotics for acute otitis media: a prospective observational study in primary care. Arch Pediatr Adolesc Med 2005; 159(7):67984. 8. Sun D, TJ McCarthy TJ, Liberman DB, Cost-effectiveness of watchful waiting in acute otitis media. Pediatrics 2017;139(4) e20163086. 9. Palma S, Rosafio C, Del Giovane C, et al. The impact of the Italian guidelines on antibiotic prescription practices for acute otitis media in a paediatric emergency setting. Ital J Pediatr 2015;41:37. 10. Barbieri E, Donà D, Cantarutti A, et al. Antibiotic prescriptions in acute otitis media and pharyngitis in Italian pediatric outpatients. Ital J Pediatr 2019;45:103. 11. Marchetti F (a cura di). L’uso degli antibiotici nella popolazione pediatrica. Medico e Bambino 2019;38(4):219-21. 12. Di Martino M, Lallo A, Kirchmayer U, Davoli M, Fusco D. Prevalence of antibiotic prescription in pediatric outpatients in Italy: the role of Local Health Districts and Primary Care physicians in determining variation. A multilevel design for healthcare decision support. BMC Public Health 2017;17(1):886. 13. Di Mario S, Gagliotti C, Buttazzi R, et al.; regional working group “Progetto ProBA -Progetto Bambini e Antibiotici-2014”. Observational pre-post study showed that a quality improvement project reduced paediatric antibiotic prescribing rates in primary care. Acta Paediatr 2018;107(10):1805-9. 14. Messina F, Clavenna A, Cartabia M, et al. Antibiotic prescription in the outpatient paediatric population attending emergency departments in Lombardy, Italy: a retrospective
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L’esperienza che insegna
Ostruzioni nasali e russamento: da tre casi insoliti una lezione per il pediatra RICCARDO MASETTI, DAVIDE LEARDINI, LAURA RONCHINI, SERENA RIOLO, FIORENTINA GUIDA, FRANCESCO BACCELLI, SARA CERASI, TERESA PAPALEO, LUCA BERTELLI, ANDREA PESSION
UO di Pediatria, Policlinico Sant’Orsola-Malpighi, AOU di Bologna, Università di Bologna
La rinolalia e il russamento nel bambino sono evenienze talmente comuni da dovere essere quasi trascurate. Esistono rare situazioni che, per determinate caratteristiche (rapida insorgenza, peggioramento, sintomi associati), sono un campanello di allarme per patologie serie da non sottovalutare. La descrizione di tre casi e la contestualizzazione delle cause possibili di ostruzione delle alte vie aeree, con o senza russamento.
CASI CLINICI Caso 1
Paola è una bambina di 3 anni senza dati anamnestici di rilievo. Nel mese di giugno inizia a presentare rinolalia che nelle settimane successive si associa a ostruzione nasale ed evidente russamento notturno. In seguito all’insorgenza di tali sintomi viene valutata dai colleghi otorinolaringoiatri (ORL), senza tuttavia giungere a una diagnosi di certezza. Due mesi dopo la piccola viene condotta presso il nostro Pronto Soccorso pediatrico per il sospetto di presenza di un corpo estraneo a livello della narice sinistra. Viene rinvenuto un mattoncino Lego, che viene rimosso senza il riscontro di alterazioni anatomiche. Tuttavia, nelle settimane successive, la bambina va incontro a un progressivo peggioramento del quadro respiratorio presentando, durante la notte, russamento ingravescente accompagnato da episodi di apnea e decadimento delle condizioni generali. A seguito della comparsa di russamento anche durante i “pisolini” diurni e dell’accentuazione della voce nasale, i genitori conducono nuovamente la bambina all’attenzione dei colleghi ORL, i quali riscontrano una neoformazione a carico della narice sinistra associata a importante linfoadenomegalia laterocervicale non dolente. Alla luce della se-
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NASAL OBSTRUCTION AND SNORING: THREE UNUSUAL CASES AS A LESSON FOR THE PAEDIATRICIAN (Medico e Bambino 2020;39:585-589)
Key words Nasal obstruction, Snoring, Lymphadenopathy Summary Nasal obstruction with or without snoring is a frequent condition and, as such, it is easily disregarded by paediatricians and by parents as well. The paper describes three “unforgettable” clinical cases that must be a warning to investigate and not to underestimate those atypical and/or characteristic aspects, such as the nasal obstruction that rapidly becomes severe. Such aspects must induce to deepen investigations to exclude much more rare pathologies that if not promptly diagnosed would have serious prognostic repercussions on the child. Surely, the first alarm signal is time (recent onset and/or snoring that rapidly becomes severe), with worsening of symptoms. Surely, lymphadenopathy is another alarm signal, especially when bilateral and large. Furthermore, the onset of epistasis associated with oral cavity bleeding must not be underestimated.
verità del quadro respiratorio ostruttivo, che rende rischiosa la sedazione, la bambina viene intubata per eseguire biopsia di un linfonodo latero-cervicale. L’esame bioptico permette di porre diagnosi di rabdomiosarcoma embrionario, negativo per le traslocazioni PAX3-FOXO1 t(2;13)(q35-q14) e PAX7-FOXO1 t(1;13)(p36-q14). Per stadiare la malattia la piccola viene sottoposta a RM del massiccio facciale e TC del torace e dell’addome. La risonanza mostra una voluminosa lesione espansiva solida del rinofaringe obliterante pressoché completamente il lume faringeo e le cavità nasali e parzialmente il seno mascellare e la cavità orbitaria fino al nervo ottico
(Figura 1). La piccola viene quindi sottoposta a exeresi chirurgica per poi intraprendere chemioterapia secondo protocollo EpSSG RMS 2005 HR. Commento - Il rabdomiosarcoma (RMS) è un tumore aggressivo di derivazione mesenchimale. È il più frequente tumore delle parti molli in età pediatrica, rappresentando circa il 3% di tutti i tumori infantili1. La maggior parte dei casi insorge in maniera sporadica, ma è nota un’associazione con la sindrome di Li-Fraumeni, la neurofibromatosi di tipo 1 e la sindrome di Beckwith-Wiedemann. Esistono diversi istotipi fra cui i più frequenti sono il leiomiomatoso, l’embrionario e l’alveolare. La forma embrionaria (70%) è più tipica dei
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L’esperienza che insegna
Caso 2
Figura 1. Immagine RM del caso 1. Nella sezione trasversale, a livello del rinofaringe è possibile apprezzare la lesione espansiva che si estende al lume faringeo, alle cavità nasali, al seno mascellare e alle cavità orbitarie.
Figura 2. Immagine RM del caso 2. Nella sezione sagittale è possibile notare la presenza di una formazione espansiva a partenza dalla parete posteriore del rinofaringe, che si estende anteriormente obliterandone il lume e caudalmente occupando in parte l’orofaringe.
bambini, mentre l’alveolare è caratteristica dell’età adolescenziale. Le sedi maggiormente colpite sono il capo e il collo (40%), seguiti dal tratto genitourinario (20%) e dalle estremità (20%). Il 15-20% dei pazienti si presenta alla diagnosi con metastasi a distanza che si localizzano preferenzialmente al polmone e, nel caso di masse primitive, nel distretto testa-collo, a livello linfonodale. Le localizzazioni più frequenti nella regione testa-collo sono quelle parameningea e orbitale2. La peculiarità del caso di Paola è da ricondurre non tanto al situs della lesione che, seppur poco frequente, è abbastanza tipico della patologia, quanto piuttosto al riscontro di un corpo estraneo nella medesima sede di esordio, a cui è peraltro imputabile il ritardo diagnostico. Di converso significativa risulta la linfoadenomegalia bilaterale, con linfonodi di grandi dimensioni e non dolenti. Questo elemento
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avrebbe potuto costituire sin da principio un segno, per quanto aspecifico, comunque di sospetto. Da un punto di vista molecolare il RMS è caratterizzato da alterazioni del pathway differenziativo e replicativo FGFR4/RAS/ PIK3CA delle cellule muscolari. Le traslocazioni più frequenti sono a livello di PAX3 e PAX7 con il par tner FOXO13, e consentono di suddividere i rabdomiosarcomi pediatrici nelle due classi PAX-fusion positive e negative, utile alla stratificazione del rischio, aventi i primi peggior prognosi4. La diagnosi è dunque essenzialmente istologica e deve essere seguita da una stadiazione radiologica con TC e RM5. Per quanto riguarda il trattamento, gli schemi variano in base ai diversi protocolli; i più diffusi utilizzano la combinazione di ifosfamide, vincristina e dactinomicina, presentando una sopravvivenza globale a tre anni attorno al 65-70%6.
Francesco è un bambino di 5 anni che da circa due mesi presenta ostruzione nasale con russamento notturno ed episodi di apnea. Per il progressivo peggioramento dei sintomi esegue a domicilio un ciclo di terapia antibiotica con amoxicillina e terapia aerosolica con budesonide senza beneficio. Il piccolo giunge alla nostra attenzione inviatoci dal Pronto Soccorso di un altro presidio, presso il quale è stato valutato per episodio di abbondante epistassi associata a sanguinamento dal cavo orale, con riscontro di una neoformazione a carico del rinofaringe. All’arrivo Francesco si presenta in buone condizioni cliniche generali ma con pallore cutaneo, significativa ostruzione nasale con rinolalia e importante linfoadenomegalia laterocervicale bilaterale. Gli esami ematici risultano nella norma per età. La rinoscopia conferma la presenza di una neoformazione a carico del rinofaringe, per cui il piccolo viene ricoverato per eseguire gli accertamenti del caso. La RM del massiccio facciale e del collo rileva una voluminosa formazione espansiva solida a margini definiti a carico della parete posteriore del rinofaringe, la quale appare in prima ipotesi di pertinenza del tessuto linfatico rinofaringeo (Figura 2). Tale reperto pone il sospetto di linfoma per cui viene sottoposto a biopsia. L’esame istologico rivela un ricco infiltrato linfoide caratterizzato da elementi monomorfi di medie dimensioni, numerose figure mitotiche e un aspetto “a cielo stellato”. La caratterizzazione immunoistochimica documenta la derivazione della popolazione linfoide dai linfociti B periferici. L’ibridazione a fluorescenza in situ dimostra la presenza della traslocazione t(8;14) coinvolgente il gene MYC nel 38% dei nuclei analizzati, confermando la diagnosi di linfoma di Burkitt.
Commento - Il linfoma di Burkitt è la varietà più frequente di linfoma nonHodgkin in età pediatrica (35-40%), particolarmente aggressivo e costituito da una proliferazione linfoide di derivazione dai linfociti B periferici. Dal punto di vista istologico si caratterizza per il tipico aspetto “a cielo stellato” 7,
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Ostruzioni nasali e russamento: da tre casi insoliti una lezione per il pediatra
derivante dalla presenza di una ricca componente di macrofagi benigni che inglobano i linfociti neoplastici in apoptosi. Da un punto di vista molecolare nel 70-80% dei casi si riscontra la traslocazione t(8;14)(q24;q32) che coinvolge l’oncogene c-MYC, gene chiave nella regolazione del ciclo cellulare. Sono descritte tre varianti cliniche di tale patologia: endemica, sporadica e associata a immunodeficienza, quest’ultima di prevalente riscontro nei pazienti con infezione da HIV. La forma sporadica si manifesta principalmente a livello addominale, più spesso in prossimità della valvola ileo-cecale, con una sintomatologia caratterizzata da dolore, nausea, vomito e sanguinamento gastro-intestinale. Meno frequente è la presentazione del linfoma di Burkitt a livello del distretto testa-collo, in particolare con il coinvolgimento di rinofaringe, orofaringe e seni paranasali. In questi casi, come osservato in quello da noi descritto, il quadro di presentazione è costituito da sintomi respiratori aspecifici, quali ostruzione nasale, russamento, rinolalia, episodi di apnea. Nel nostro paziente, seppur il russamento sia stato il sintomo principale di esordio, la comparsa di epistassi e la presenza di linfoadenomegalia laterocervicale bilaterale hanno indirizzato verso la diagnosi in tempi relativamente rapidi. Resta sicuramente peculiare l’insorgenza di un linfoma di Burkitt a livello orofaringeo, cui occorre pertanto prestare attenzione come possibile localizzazione. Il trattamento chemioterapico per il linfoma di Burkitt basato sulla polichemioterapia permette di ottenere tassi di sopravvivenza libera da eventi a 4 anni superiori all’80% 8,9. Caso 3
Monica è una bambina di 10 anni che giunge alla nostra attenzione per recente comparsa di una tumefazione facciale che si estende all’ala nasale destra e alla regione zigomatica. La tumefazione, di consistenza dura, non dolente, non si associa a sintomi locali né ad alterazioni della cute sovrastante. La madre riferisce inoltre che da qualche tempo la piccola presenta un respiro rumoroso durante il sonno. All’osservazione, l’ala nasale e la guancia destra appaiono rigonfie; nel cavo orale è visibile un’asimmetria del palato per bombatura della porzione destra. Sono apprezzabili multiple linfoaMedico e Bambino 9/2020
denopatie di consistenza teso-elastica, mobili sui piani superficiali, non dolenti e coperte da cute integra in regione laterocervicale, sottomandibolare e retro-angolomandibolare bilateralmente. La piccola è per il resto in buone condizioni generali, apiretica e non si evidenzia nessun segno di flogosi delle alte vie aeree. Viene quindi richiesta valutazione ORL che, in rinoscopia anteriore, evidenzia medializzazione della parete laterale del naso ed epistassi monolaterale dalla narice sinistra. La TC mostra la presenza di tessuto ipodenso, a densità sovrapponibile ai tessuti molli, nel contesto dell’osso mascellare destro e in misura minore anche del controlaterale estendendosi alla cavità nasale. Gli esami ematici mostrano leucocitosi (GB 16.810/mm3) con elementi blastici, lieve piastrinopenia (128.000/ mm3) e aumento dell’LDH (335 U/l). L’aspirato midollare evidenzia una popolazione blastica pari a circa il 65% del totale con positività per CD19 e CD58. Viene posta diagnosi di leucemia acuta linfoblastica, tipo pre-B, con interessamento extramidollare. Dopo l’inizio del trattamento chemioterapico secondo protocollo AIEOP-BFM ALL 2009, la tumefazione del volto e del rinofaringe è andata incontro a completa risoluzione. Commento - La leucemia linfoblastica acuta (LAL) è la neoplasia di più frequente riscontro in età pediatrica, con un picco di incidenza tra i 2 e i 5 anni di vita. In base ai dati AIRTUM (Associazione Italiana Registri Tumori), l’incidenza di LAL è di 40 casi su milione, che si traduce in 350-400 nuove diagnosi ogni anno in Italia10. Generalmente i sintomi di esordio sono riconducibili all’insufficienza midollare, all’infiltrazione del tessuto linfatico e del midollo osseo e agli effetti conseguenti al massivo rilascio di citochine e metaboliti derivanti dalla rottura dei blasti 11. Sebbene la sede di malattia più colpita sia il midollo osseo, sono possibili coinvolgimenti extramidollari nel 5-10% dei casi 12,13. La più frequente sede di malattia extra-midollare è rappresentata dal sistema nervoso centrale, ma possono essere interessati anche siti nodali ed extranodali come testicolo, cute, osso e, più raramente, retroperitoneo, mediasti-
no, pleura, apparato gastrointestinale e altri tessuti molli, in particolare del distretto testa-collo. Peculiare è l’interessamento dell’apparato osteo-muscolare: il dolore osseo costituisce esordio di LAL fino al 30% dei casi 14 e sembrerebbe essere correlato all’effetto massa esercitato dal midollo osseo in rapida crescita sul canale midollare piuttosto che a una vera e propria localizzazione extramidollare di malattia. Come visto, la LAL può avere uno spettro di presentazione estremamente vario per la possibilità di manifestarsi praticamente in ogni sede linfonodale. Nel nostro caso l’esordio a livello rinofaringeo è certamente peculiare nonché difficilmente sospettabile, anche per la presenza di esami ematici non eccessivamente alterati (PLT 128.000), tuttavia l’estesa linfoadenopatia bilaterale di importanti dimensioni con cute integra deve sicuramente fare nascere il sospetto. DISCUSSIONE
Nella normale pratica clinica, in ambulatorio o in Pronto Soccorso, sebbene non frequentemente, può capitare di imbattersi nel dato anamnestico di un russamento o di una rinolalia di insorgenza relativamente recente. Sebbene questo possa rappresentare un dato incidentale o marginale, occorre non trascurarlo. Se adeguatamente valutato, infatti, questo dato potrebbe costituire un segnale di allarme e portare, attraverso ulteriori approfondimenti, a diagnosi precoce di patologie anche severe, come quelle dei casi descritti. L’obiettivo di questo lavoro non è la trattazione esaustiva dei russamenti o della rinolalia, che raramente può rappresentare il sintomo chiave di alcune patologie ma, partendo dai casi presentati, offrire uno spunto di riflessione ed elementi clinici che devono essere valorizzati per non rischiare di considerare come un banale “naso chiuso” un russamento causato da patologie di altra natura e portata. Esistono numerose condizioni che possono giustificare l’insorgenza di russamento, naso chiuso e/o rinolalia, spaziando da alterazioni anatomiche a ostruzioni acquisite delle alte vie (Tabella I). I casi presentati ci in587
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L’esperienza che insegna
CAUSE DI OSTRUZIONE DELLE ALTE VIE AEREE CON O SENZA RUSSAMENTO DIAGNOSI
ETÀ
SINTOMATOLOGIA
ESAME OBIETTIVO E DIAGNOSI
NASO Anamnesi e test allergici
Rinite allergica
Qualsiasi
Rinite infettiva
Qualsiasi
Corpo estraneo
Età prescolare Difficoltà a respirare, secrezioni monolaterali, russamento notturno
Evidente all’esame obiettivo
Setto deviato per trauma
Qualsiasi
Difficoltà a respirare attraverso una o entrambe le narici, russamento
Evidente all’esame obiettivo con speculum
Encefalocele nasale
Primi mesi di vita
Sintomi di ostruzione nasale, liquorrea, TC e RM russamento, meningiti ricorrenti
Angiofibroma nasofaringeo giovanile
7-19 anni
Epistassi, ostruzione nasale, edema facciale, proptosi, diplopia
Ematoma settale (trauma o emopatie)
Qualsiasi
Poliposi naso-sinusale
Qualsiasi
Polipo antrocoanale (o polipo di Killian)
0-20 anni
Tumori benigni (glioma nasale, emangioma nasale, papilloma invertito, craniofaringioma)
Qualsiasi
Tumori maligni
Qualsiasi
Rinorrea e prurito nasale, starnuti, congestione nasale con sintomi di ostruzione e russamento
Anamnesi e tamponi
TC e RM Slargamento della metà inferiore del dorso del naso, mucosa settale rigonfia e violacea
Ostruzione nasale: anosmia o ipogeusia, rinolalia, rinorrea, russamento notturno, OSAS
Test del sudore, studio delle ciglia, citologia del muco Endoscopia nasale: formazione polipoide grigio-brunastra, solitaria, che occupa la parte mediana e posteriore della fossa nasale. Conferma con TC TC e RM
Difficoltà a respirare, russamento notturno, epistassi, decadimento delle condizioni cliniche generali
TC e RM
RINOFARINGE Ipertrofia adenoidea
6 mesi 15 anni
Occlusione delle coane con sintomi di Esame obiettivo ostruzione nasale quali respirazione a bocca aperta, russamento e OSAS, rinolalia, facies adenoidea. Occlusione delle tube di Eustachio con otiti medie ricorrenti
Tumori maligni (linfoma non Hodgkin rinofaringeo, sarcoma granulocitico rinofaringeo, rabdomiosarcoma rinofaringeo)
Qualsiasi
Respirazione a bocca aperta, russamento e OSAS, rinolalia, facies adenoidea, epistassi
Endoscopia nasale per visualizzare il rinofaringe, seguita poi da TC e RM
BOCCA E OROFARINGE Ipertrofia tonsillare
6 mesi 15 anni
Respirazione rumorosa e a bocca aperta, russamento, OSAS, otiti o sinusiti ricorrenti, difficoltà a mangiare nei bambini, alitosi, cambiamenti di voce, sensazione di corpo estraneo in gola
Tonsille osservabili all’esame obiettivo
Tumori benigni della bocca (lipoma del collo retrofaringeo, emangioma, linfangioma e cisti linguale)
Qualsiasi
Russamento, disfagia, OSAS
TC e RM
Tabella I
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Ostruzioni nasali e russamento: da tre casi insoliti una lezione per il pediatra
SEGNI, SINTOMI E CONDIZIONI DI ALLARME DI OSTRUZIONE DELLE VIE AEREE • Esordio recente senza storia di russamento e andamento rapidamente ingravescente della sintomatologia • Importante linfoadenopatia bilaterale non dolente, specie se coinvolgente più stazioni linfonodali con cute integra • Sintomatologia sistemica: febbre persistente non definita, prurito, perdita di peso, pallore, astenia • Epatosplenomegalia • Alterazioni esame emocromocitometrico (anemia, piastrinopenia, leucopenia o leucocitosi) • Condizioni di aumentato rischio oncologico: sindrome di Li-Fraumeni, neurofibromatosi tipo 1, sindrome di Beckwith-Wiedemann ecc.
Tabella II MESSAGGI PRATICI L’esperienza dei casi ✔ Il naso chiuso (con o senza il russamento) è un reperto frequente e come tale facilmente trascurato dai pediatri, come pure dagli stessi genitori. ✔ Vengono descritti tre casi clinici “indimenticabili” che devono servire da monito a ricercare e a non sottovalutare quegli aspetti atipici e/o singolari che devono indurre ad approfondire le indagini per escludere patologie certamente molto più rare. ✔ Il primo segnale di allarme è sicuramente la tempistica (recente insorgenza e/o rapida ingravescenza del russamento), con peggioramento dei sintomi. ✔ La linfoadenopatia è sicuramente un altro sintomo di allarme, specialmente se di grande dimensioni e bilaterale. ✔ Da non trascurare poi l’insorgenza di epistassi associata a sanguinamento dal cavo orale.
segnano che non bisogna mai sottovalutare anche cause meno frequenti come i tumori oro-facciali, che possono esprimersi con disturbi respiratori di tipo ostruttivo e che pertanto devono essere sospettate dal pediatra anche prima di un’eventuale consulenza ORL. Queste entità clinico-patologiche per la loro rarità possono sfuggire a un iter diagnostico superficiale. Analizzando i nostri casi abbiamo cercato di identificare alcuni suggerimenti utili per sospettare condizioni più rare che presentano russamento e ostruzione delle vie aeree (Tabella II). Il primo segnale di allarme è sicuramente la tempistica (recente insorgenza e/o rapida ingravescenza del russamento), come abbiamo visto nel
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caso di Francesco, in cui la sintomatologia è comparsa nell’arco di 2 mesi di tempo con peggioramento dei sintomi nelle settimane successive. La linfoadenopatia è sicuramente un altro sintomo di allarme, specialmente se di grande dimensione, bilaterale e senza alterazioni della cute sovrastante come apprezzabile in tutti e tre i casi. Da non trascurare poi l’insorgenza di epistassi che, associata a sanguinamento dal cavo orale, nel caso di Francesco ha smascherato la condizione maligna sottostante. Gli ulteriori elementi di allarme in Tabella II sono di carattere più generale e non specifici del russamento ma in ogni caso importanti e da tenere in considerazione.
Indirizzo per corrispondenza: Riccardo Masetti e-mail: riccardo.masetti@gmail.com
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L’angolo degli specializzandi
a cura di Sara Lega
INTERVISTA ALL’ESPERTO: 15 DOMANDE IN 15 MINUTI Ester Conversano, Anna Maria Chiara Galimberti, Martina Bevacqua Scuola di Specializzazione in Pediatria, Università di Trieste
Sindrome nefrosica: raccomandazioni terapeutiche oltre le linee guida SINePe Intervista al prof. Francesco Emma Nefrologia e Dialisi, Ospedale Pediatrico “Bambino Gesù” IRCCS, Roma Abbiamo imparato dalle recenti linee guida della Società Italiana di Nefrologia Pediatrica (SINePe), pubblicate anche su Medico e Bambino1, come trattare la sindrome nefrosica (SN). Diverse linee guida sono concordi nel trattamento della SN all’esordio e indicano il prednisone come farmaco di prima linea alla dose di 60 mg/m 2/die per 4-6 settimane; tuttavia non vi è un consenso trasversale riguardo alle modalità di scalo (tapering) del cortisone e al trattamento delle recidive e delle forme progressive di sindrome nefrosica. Ad esempio le linee guida SINePE prevedono il trattamento dell’esordio con prednisone 60 mg/m 2/die per 6 settimane, seguito da prednisone 40 mg/m 2/die a giorni alterni per 6 settimane, senza scalo successivo. Altre linee guida prevedono uno scalo progressivo del cortisone con diversi schemi, sia per quanto riguarda la durata (da 4 a 9 settimane) che il dosaggio (40 mg/m 2/die a giorni alterni con o senza scalo) 2. Ci rivolgiamo dunque all’esperto per fare una sintesi delle evidenze correnti in letteratura e per applicarle nella nostra pratica clinica. 1. C’è una correlazione tra l’intensità della dose di steroidi e l’outcome della sindrome nefrosica all’esordio? Negli ultimi anni molti studi hanno permesso di rispondere a questa domanda. Uno studio, condotto con lo scopo di valutare il beneficio della terapia cortisonica prolungata da 3 a 6 mesi, ha evidenziato un minor numero di ricadute a 6 mesi, ma non a 2 anni di follow-up3. Tali risultati sono stati confermati da ulteriori studi che hanno messo a confronto durate differenti di terapia (2 vs 6 mesi e 2 vs 4 mesi) senza evidenziare un vantaggio in termini di ricadute a 2 anni di followup4,5. Possiamo quindi affermare che la dose iniziale di corticosteroidi non influenza l’incidenza di ricadute a lungo termine6. Tuttavia uniformare la terapia di esordio consente di confrontare i pazienti e capire quali siano a rischio di una forma più severa di SN. 2. La modalità dello scalo del cortisone incide sul rischio di ricadute? Uno studio olandese ha valutato uno schema di trattamento di 3 mesi, senza scalo della dose, vs 6 mesi, con scalo progressivo, utilizzando la stessa dose cumulativa di prednisolone; non sono stati evidenziati vantaggi sia in termini di tempo alla prima ricaduta che in termini di rischio di sviluppare una SN a frequenti recidive (FR)7.
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3. La risposta iniziale al cortisone predice l’andamento della malattia? Una risposta precoce (entro 7 giorni) alla terapia steroidea all’esordio correla con un miglior andamento globale di malattia in termini di minor rischio di sviluppare forme a FR o corticodipendenti (CD) e di dover prescrivere terapie di fondo non steroidee 8. Tuttavia questo effetto non è sufficientemente sensibile e specifico per proporre protocolli differenziati nel trattamenti delle SN. In linea generale bisogna tenere a mente che il 75-90% delle SN idiopatiche è cortico-sensibile (CS), che il 60-80% presenterà recidive multiple e che circa il 15-20% avrà ancora una malattia attiva dopo l’adolescenza (Figura 1). Le forme CS hanno una buona prognosi e non evolvono mai verso l’insufficienza renale, tranne per casi molto rari di cortico-resistenza (CR) secondaria. 4. Parliamo di recidive: come si trattano? Esistono vari schemi. La terapia della prima recidiva prevede in molti Centri il trattamento con prednisone 60 mg/m2/die (massimo 60 mg) fino a 3-5 giorni dopo la negativizzazione dello stick urine, seguito da prednisone 40 mg/m2/die (massimo 40 mg) a giorni alterni per 4 settimane. Il nostro protocollo prevede che nelle successive recidive si utilizzi il medesimo schema; nel tempo la terapia può essere adattata in alcuni pazienti in funzione della risposta ai precedenti cicli di terapia, alla gravità della malattia e agli effetti collaterali della terapia steroidea; tuttavia non vi sono evidenze scientifiche di qualità sul modo migliore di trattare le recidive di SN. I risultati dello studio italiano PROPINE, che ha confrontato il trattamento delle recidive con o senza scalo, ma con una dose totale sovrapponibile, non hanno mostrato un beneficio dello scalo progressivo. Attualmente vi sono altri due studi in corso
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L’angolo degli specializzandi (RESTERN, REducing STEroids in Relapsing Nephrotic syndrome, e un ulteriore studio realizzato in India, CTRI/2015/06/ 009277) che stanno valutando l’efficacia per dosi minori di steroidi.
Sindrome nefrosica idiopatica
Cortico-sensibile (CS) 75-90%
CR - responsiva a immunosoppressori 5-10%
2°
Frequenti recidive 60-80%
Malattia in età adulta 15-25%
5. Quando si rende necessario avviare un farmaco steroidorisparmiatore?
Cortico-resistente (CR) 10-25%
In caso di SN a FR o CD, anche in base agli effetti secondari della terapia con prednisone, è indicato avviare una terapia immunosoppressiva di fondo non steroidea. Prima di istituire tale terapia, è consuetudine in diversi Centri testare l’efficacia di un trattamento steroideo a giorni alterni a basse dosi, indicativamente intorno a 0,5 mg/kg. A questi dosaggi gli effetti secondari del prednisone sono generalmente molto moderati.
CR - resistente a immunosoppressori 5-15%
Immuno-mediata SN CR
Forme genetiche SN CR
Alto rischio ricorrenza post-trapianto
No ricorrenza post-trapianto
Figura I. Prognosi e storia naturale della sindrome nefrosica a esordio pediatrico.
6. Quindi, nei bambini con forme a FR/CD, quando si sospende il cortisone? Il goal terapeutico è sospendere del tutto il cortisone mediante l’utilizzo di immunosoppressori (IS), oppure una minima dose di prednisone si ritiene comunque necessaria per un miglior controllo della malattia, con conseguente riduzione del numero di recidive e della dose totale di cortisone utilizzata? Nelle forme a FR, una volta ottenuta la remissione con l’IS, il cortisone va generalmente interrotto in tempi brevi. Nelle forme con recidive multiple è importante conoscere i propri pazienti; alcuni di questi beneficiano di una bassa dose continuativa di prednisone a giorni alterni e mantengono una remissione prolungata.
TABELLA RIASSUNTIVA DEI FARMACI IMMUNOSOPPRESSORI UTILIZZATI NELLA SINDROME NEFROSICA Farmaco
Risposta (no recidive a 1 anno)
Dose
Monitoraggio
Effetti collaterali
35% nelle FR, meno efficace nelle CD12
2 mg/kg/die x 12 sett max 150-170 mg/kg
Emocromo ogni 2 settimane
Neutropenia, tossicità gonadica
Levamisolo
Remissione prolungata 30% FR14
2-2,5 mg/kg/gg alterni
Emocromo dopo 2 settimane, poi ogni 3-6 mesi con dosaggio ANCA
Neutropenia vasculite ANCA-associata
Micofenolato mofetile
Remissione prolungata 70% FR/CD12
600 mg/m2 x 2/die max 900 mg/m2
Target è la risposta clinica; quando assente valutare livelli ematici a T0; se < 3 µg/ml aumento della dose, se > 3 µg/ml monitoraggio AUC
Gastrointestinali (nausea, vomito, diarrea, tossicità epatica), leucopenia, teratogenicità
Ciclosporina
Remissione prolungata 70% FR/CD; 35% CR12,14,17
3-5 mg/kg/die
Livelli ematici T0 e T1 (2 ore dopo l’assunzione) target 40-120 e 400-600 µg/l
Tossicità renale, ipertricosi, ipertrofia gengivale
Tacrolimus
Buona efficacia FR/SD 55-70%; di scelta nelle CR, 85%12
0,05-0,1 mg/m2/2 dosi
Livelli ematici T0 4-7 ng/ml
Immunosoppressione, tossicità renale, intolleranza glucidica
Rituximab
Efficacia variabile FR/CD 30-90%12
375 mg/m2 (bassa dose) associata ad altro IS, fino a 1500 mg/m2 (dose alta) non associata ad altro IS
Monitoraggio CD19 e linfociti B memoria
Ipogammaglobulinemia, artropatia
Ciclofosfamide
Tabella I
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L’angolo degli specializzandi 7. Sappiamo che le infezioni virali possono fungere da trigger immunologico per la ricaduta: può essere utile prescrivere ai bambini con forme FR/CD una dose aggiuntiva di prednisone in corso di infezione virale per prevenirle? Alcuni trial hanno mostrato che aumentare la terapia a somministrazioni quotidiane, anziché a giorni alterni, per 510 giorni dall’inizio di un’infezione virale, consente di ridurre il numero di recidive in pazienti con FR/CD 9,10. Un ulteriore studio, crossover controllato con placebo, ha dimostrato che una dose di prednisone di 0,5 mg/kg ex novo aumenta del 15% la probabilità di prevenire le ricadute rispetto al gruppo placebo11. 8. Quale farmaco di seconda linea dobbiamo preferire come steroido-risparmiatore? I farmaci IS di cui disponiamo sono la ciclofosfamide, il micofenolato mofetile (MMF), il levamisolo, gli inibitori della calcineurina (tacrolimus e ciclosporina) e il rituximab, le cui caratteristiche sono riassunte nella Tabella I 12,14,17. In considerazione della sua maneggevolezza e degli effetti collaterali limitati il MMF è diventato in molti Centri il farmaco di prima scelta nel trattamento delle SN a FR8. La ciclofosfamide è un farmaco che funziona bene nelle forme con FR, ma è meno efficace nelle forme più severe con CD. Ha il vantaggio di essere utilizzata per un tempo breve (2 mg/kg/die per 12 settimane, con dose cumulativa massima di 150-170 mg/kg) e di consentire ad alcuni bambini di rimanere in remissione prolungata. La ciclofosfamide è però gravata da effetti collaterali, tra cui la neutropenia e la tossicità gonadica, in particolare nei maschi puberi e post-puberi. La dose cumulativa ritenuta sicura in termini di fertilità è inferiore a 200-250 mg/kg; pertanto la ciclofosfamide non dovrebbe essere prescritta più di una sola volta12. Il levamisolo funziona bene sulle forme con FR, ma molto meno nelle CD. È un’ottima scelta nei Paesi con minori risorse economiche perché è un farmaco poco costoso. Gli effetti collaterali sono in genere minori, come la neutropenia che è, salvo eccezioni, reversibile con la sospensione del farmaco. È descritta l’evenienza di una vasculite anticorpi anti-citoplasma (ANCA)-associata; pertanto abbiamo la consuetudine di monitorare i livelli di ANCA ogni 6 mesi e di interrompere la terapia in caso di positività13,14. Gli inibitori della calcineurina sono il tacrolimus e la ciclosporina, farmaci con simile profilo di efficacia, capaci di mantenere remissioni prolungate nella maggior parte dei pazienti. Gli inibitori della calcineurina, in particolare la ciclosporina, possono avere una tossicità renale dose- e tempo-dipendente. Pertanto, ove possibile, cerchiamo di evitare trattamenti prolungati. Alcuni Centri eseguono una biopsia renale a 2-3 anni dall’inizio del trattamento per escludere segni precoci di tossicità. La ciclosporina è gravata da effetti collaterali estetici importanti, come l’ipertricosi e l’iperplasia gengivale, pertanto non è una buona scelta negli adolescenti, in particolare nelle ragazze. Il tacrolimus può causare intolleranza glucidica e raramente diabete mellito, pertanto non è una buona scelta nei pazienti trattati con dosi elevate di corticosteroidi15,16.
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Il MMF si è dimostrato efficace quanto la ciclosporina, qualora il dosaggio sia ottimizzato mediante monitoraggio della farmacocinetica, e ha meno frequentemente effetti collaterali17. È diventato in molti Centri il farmaco di prima scelta nelle forme CD; consente di sospendere la terapia steroidea in circa la metà dei casi e di ridurre il tasso di recidiva nei due terzi dei casi18. 9. Il farmaco di prima scelta nel trattamento delle SN FR/CD è quindi il MMF. Quali sono le misure di monitoraggio del MMF per ottimizzare l’efficacia terapeutica? Il miglior modo di ottimizzare l’efficacia terapeutica del MMF è monitorare la cinetica (AUC). Questa non è semplice da ottenere. La correlazione fra i livelli al tempo 0 e l’AUC non è buona. Tuttavia, se i livelli ematici al tempo 0 sono maggiori di 3 mg/dl, l’AUC è generalmente nel range terapeutico. Pertanto, nei casi in cui la SN non sia bene controllata con il MMF e i livelli ematici al tempo 0 siano inferiori a 3 mg/dl tendiamo ad aumentare il dosaggio in maniera empirica. Se invece i livelli sono maggiori di 3 mg/dl, è utile eseguire la cinetica prima di aumentare il dosaggio. Qualora invece non sia possibile dosare i livelli di MMF, si può comunque cautamente aumentare la dose di MMF valutando l’insorgenza di effetti collaterali. 10. In quali pazienti è indicato l’utilizzo del rituximab? Il rituximab (RTX) si è dimostrato efficace nel ridurre le recidive nelle forme a FR o CD. L’efficacia dipende dalla severità della SN, dal mantenimento di un secondo immunosopressivo e, nei pazienti in monoterapia, dal numero di dosi di RTX somministrate. L’efficacia nel mantenere la remissione a un anno del RTX varia a seconda degli studi da 30% a 90%. È generalmente riservato alle forme più severe, ovvero le SN CD o le SN FR mal controllate dagli immunosopressori. In base ai recenti dati della letteratura, è probabilmente più efficace somministrare due dosi di RTX da ripetere ogni 6 mesi per circa 2 anni, o mantenere una terapia con MMF dopo una singola dose di RTX19. Può essere ripetuto, ma il numero massimo di infusioni non è noto. Personalmente cerco di non superare le 4-5 infusioni. Il dosaggio dei CD19 consente di verificare la deplezione dei linfociti B indotta da RTX; qualora i valori di CD19 siano maggiori al 2% dei linfociti totali una settimana dopo la prima infusione, è necessaria una seconda dose; il monitoraggio dei CD19 può essere utile anche nel follow-up per valutare la ricostituzione nel tempo. Tuttavia, in realtà, il rischio di ricaduta è associato alla ricostituzione dei linfociti B di memoria che sono più difficili da dosare20. RTX è un’immunoglobulina e quindi è preferibile somministrarlo nella fase di remissione per non perderne una parte nelle urine; qualora il paziente non fosse in remissione al momento della somministrazione, abbiamo l’abitudine di ripetere sistematicamente una seconda dose dopo una settimana. A mio parere è anche indicato nei pazienti adolescenti per evitare di utilizzare glucocorticoidi durante la fase di accelerazione della crescita. Rimane ancora da chiarire se possa trovare uno spazio anche come farmaco di prima linea, e se possa modificare la storia naturale della malattia utilizzandolo anche nelle fasi precoci.
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L’angolo degli specializzandi 11. Quali sono le evidenze sugli effetti collaterali a lungo termine del rituximab? Studi realizzati principalmente in ambito reumatologico hanno mostrato che il 20-30% dei pazienti sviluppa nel tempo un’ipogammaglobulinemia che richiede, nei casi severi, infusioni periodiche di gammaglobuline. I criteri per la supplementazione sistematica di gammaglobuline sono ancora in fase di definizione. Generalmente queste vengono prescritte se i livelli di IgG sono < 200 mg/dl, o in caso di infezioni ripetute. Nella SN, l’insorgenza di ipogammaglobulinemia non sembra essere dosedipendente e si verifica maggiormente nei pazienti più piccoli, probabilmente perché presentano un sistema immunitario ancora “immaturo”. Per tale motivo credo sia bene evitare di prescrivere RTX sotto i 6 anni di età 20,21. 12. Quali sono i criteri per definire cortico-resistente una SN e quali entità nosologiche differenti sottende? Si definisce CR una mancata remissione al trattamento steroideo dopo 4 settimane di terapia con prednisone a 60 mg/m 2/die, seguito da 3 boli di metilprednisolone (500 mg/m2) e altre 2 settimane di prednisone a 60 mg/m2/die22. Il 10-15% circa delle SN pediatriche è CR. Queste forme sono gravate da una prognosi molto più severa; circa la metà dei casi evolve verso l’insufficienza renale terminale entro 5 anni dalla diagnosi23. Le forme CR raggruppano due principali entità eziopatogenetiche: le forme geneticamente determinate e quelle immuno-mediate. Pertanto, nelle forme CR, molte delle quali hanno un esordio precoce, è indicato avviare indagini genetiche. Questo permette sia un inquadramento genetico che terapeutico, poiché in queste forme non sono indicati gli IS; il rischio di recidiva dopo trapianto è quasi inesistente nei pazienti con SN genetica, mentre nelle forme immuno-mediate la recidiva è molto frequente essendo queste legate alla presenza di “fattori circolanti” che causano la SN24. 13. Quali sono le strategie terapeutiche delle forme CR? Nelle forme genetiche la terapia si limita all’utilizzo di ACE-inibitori e in alcuni casi di FANS per ridurre il filtrato glomerulare e la perdita di proteine. In assenza di mutazione, o fintantoché la genetica non è nota, la terapia prevede la somministrazione degli inibitori della calcineurina (tacrolimus e ciclosporina) nell’ipotesi di una forma immunomediata. Con questa terapia, nelle forme immunomediate, si ottiene la remissione completa nel 50% dei casi, tuttavia questa può richiedere molto tempo, fino a 3 anni. Il trattamento va mantenuto almeno per 12 mesi dal raggiungimento della remissione. In alcuni casi è possibile raggiungere solo una remissione parziale; in questi casi, l’evoluzione dell’insufficienza renale è più lenta. In aggiunta alla terapia IS, anche nelle forme immunomediate, è indicato prescrivere ACE-inibitori. 14. Quali sono le indicazioni all’esecuzione della biopsia renale e all’approfondimento diagnostico mediante indagini genetiche? L’età di esordio tipica della SN idiopatica è compresa tra 1 e 12 anni. Le forme a esordio precoce, sotto l’anno di vita, sottendono molto spesso una forma geneticamente determinata (nel 70% dei bambini con età inferiore a 3 mesi e nel 50% dei
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bambini con età compresa tra i 4-12 mesi)25. Le forme a esordio tardivo sono invece più frequentemente secondarie ad altre malattie renali. In genere, la biopsia renale viene eseguita sistematicamente nei bambini di età inferiore a un anno o superiore a 10-12 anni, nei bambini CR e in tutti i bambini che presentano sintomi che indirizzano verso altre diagnosi come macroematuria persistente, ipertensione severa, insufficienza renale (non conseguente all’ipovolemia grave che può essere presente nelle forme severe di SN) e altre alterazioni immunologiche. Con lo sviluppo delle tecniche di Next Generation Sequencing tuttavia, l’indicazione alla biopsia nei bambini con forme congenite o molto precoci e nei casi sindromici è sempre più discussa poiché l’analisi genetica rapida ha molte probabilità di porre la diagnosi26. 15. La presenza di ematuria, ipertensione o proteinuria tubulare all’esordio escludono una sindrome nefrosica “idiopatica”? L’ematuria (+/++ allo stick) è presente nel 20-30% delle SN idiopatiche all’esordio, ma è eccezionalmente macroscopica. Analogamente può essere presente anche una lieve proteinuria tubulare, ma sempre in misura molto minore rispetto alla quota glomerulare. La SN idiopatica si può presentare anche con una lieve ipertensione, quasi mai severa.
Bibliografia 1. Gruppo di lavoro sulle infezioni delle vie urinarie della Società Italiana di Nefrologia Pediatrica (SINePe). La prima infezione urinaria febbrile in bambini di età compresa tra 2 mesi e 3 anni. Medico e Bambino 2020;39(8):495-504. 2. Noone DG, Iijima K, Parekh R. Idiopathic nephrotic syndrome in children. Lancet 2018;392(10141):61-74. 3. Sinha A, Saha A, Kumar M, et al. Extending initial prednisolone treatment in a randomized control trial from 3 to 6 months did not significantly influence the course of illness in children with steroid-sensitive nephrotic syndrome. Kidney Int 2015;87(1):217-24. 4. Yoshikawa N, Nakanishi K, Sako M, et al; Japanese Study Group of Kidney Disease in Children. A multicenter randomized trial indicates initial prednisolone treatment for childhood nephrotic syndrome for two months is not inferior to six-month treatment. Kidney Int 2015; 87(1):225-32. 5. Webb NJA, Woolley RL, Lambe T, et al.; PREDNOS Collaborative Group. Long term tapering versus standard prednisolone treatment for first episode of childhood nephrotic syndrome: phase III randomised controlled trial and economic evaluation. BMJ 2019;365:l1800. 6. Hoyer PF. New lessons from randomized trials in steroid-sensitive nephrotic syndrome: clear evidence against long steroid therapy. Kidney Int 2015;87(1):17-9. 7. Teeninga N, Kist-van Holthe JE, van Rijswijk N, et al. Extending prednisolone treatment does not reduce relapses in childhood nephrotic syndrome. J Am Soc Nephrol 2013;24(1):149-59. 8. Vivarelli M, Moscaritolo E, Tsalkidis A, Massella L, Emma F. Time for initial response to steroids is a major prognostic factor in idiopathic nephrotic syndrome. J Pediatr 2010;156(6):965-71. 9. Gulati A, Sinha A, Sreenivas V, Math A, Hari P, Bagga A. Daily corticosteroids reduce infection-associated relapses in frequently relapsing nephrotic syndrome: a randomized controlled trial. Clin J Am Soc Nephrol 2011;6(1):63-9.
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591-595 Angolo spec2.qxp_Casi maggio 05/11/20 14:24 Pagina 595
L’angolo degli specializzandi 10. Mattoo TK, Mahmoud MA. Increased maintenance corticosteroids during upper respiratory infection decrease the risk of relapse in nephrotic syndrome. Nephron 2000;85(4):343-5. 11. Abeyagunawardena AS, Thalgahagoda RS, Dissanayake PV, et al. Short courses of daily prednisolone during upper respiratory tract infections reduce relapse frequency in childhood nephrotic syndrome. Pediatr Nephrol 2017;32(8):1377-82. 12. Larkins NG, Liu ID, Willis NS, Craig JC, Hodson EM. Non-corticosteroid immunosuppressive medications for steroid-sensitive nephrotic syndrome in children. Cochrane Database Syst Rev 2020;4: CD002290. 13. Sinha A, Puraswani M, Kalaivani M, Goyal P, Hari P, Bagga A. Efficacy and safety of mycophenolate mofetil versus levamisole in frequently relapsing nephrotic syndrome: an open-label randomized controlled trial. Kidney Int 2019;95(1):210-218. 14. Gruppen MP, Bouts AH, Jansen-van der Weide MC, et al.; all members of the Levamisole Study Group. A randomized clinical trial indicates that levamisole increases the time to relapse in children with steroidsensitive idiopathic nephrotic syndrome. Kidney Int 2018;93:510-8. 15. Choudhry S, Bagga A, Hari P, Sharma S, Kalaivani M, Dinda A. Efficacy and safety of tacrolimus versus cyclosporine in children with steroid-resistant nephrotic syndrome: a randomized controlled trial. Am J Kidney Dis 2009;53(5):760-9. 16. Wang W, Xia Y, Mao J, et al. Treatment of tacrolimus or cyclosporine A in children with idiopathic nephrotic syndrome. Pediatr Nephrol 2012;27:2073–9. 37 17. Gellermann J, Weber L, Pape L, Tönshoff B, Hoyer P, Querfeld U; Gesellschaft für Pädiatrische Nephrologie. Mycophenolate mofetil versus cyclosporin A in children with frequently relapsing nephrotic syndrome. J Am Soc Nephrol 2013;24(10):1689.
18. Dehoux L, Hogan J, Dossier C, et al. Mycophenolate mofetil in steroid-dependent idiopathic nephrotic syndrome. Pediatr Nephrol 2016; 31(11):2095-101. 19. Chan EY, Webb H, Yu E, et al. Both the rituximab dose and maintenance immunosuppression in steroid-dependent/frequently-relapsing nephrotic syndrome have important effects on outcomes. Kidney Int 2020;97(2):393-401. 20. Colucci M, Carsetti R, Serafinelli J, et al. Prolonged Impairment of Immunological Memory After Anti-CD20 Treatment in Pediatric Idiopathic Nephrotic Syndrome. Front Immunol 2019;10:1653. 21. Parmentier C, Delbet JD, Decramer S, Boyer O, Hogan J, Ulinski T. Immunoglobulin serum levels in rituximab-treated patients with steroid-dependent nephrotic syndrome. Pediatr Nephrol 2020;35(3): 455-62. 22. Pasini A, Benetti E, Conti G, et al. The Italian Society for Pediatric Nephrology (SINePe) consensus document on the management of nephrotic syndrome in children: Part I - Diagnosis and treatment of the first episode and the first relapse. Ital J Pediatr 2017;43(1):41. 23. Cochat P, Fargue S, Mestrallet G, et al. Disease recurrence in paediatric renal transplantation. Pediatr Nephrol 2009;24(11):2097108. 24. Puckelwartz M, Schnaper HW. Keeping the customers stratified: moving toward genetics-based treatment options in childhood NS. Kidney Int 2017;91:781-3. 25. Sadowski CE, Lovric S, Ashraf S, et al.; SRNS Study Group, Hildebrandt F. A single-gene cause in 29.5% of cases of steroid-resistant nephrotic syndrome. J Am Soc Nephrol 2015;26(6):1279-89. 26. Preston R, Stuart HM, Lennon R. Genetic testing in steroid-resistant nephrotic syndrome: why, who, when and how? Pediatr Nephrol 2019;34(2):195-210.
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Osser vatorio CARTOLINE DALLA SCIENZA
ELASTOGRAFIA RM Elastogrammi a risonanza magnetica. A destra in alto, elastogramma RM di cervello sano; i colori corrispondono alla scala cromatica sulla destra, che codifica per valori di rigidità da 0 a 5 kPa (kiloPascal). L’immagine è tratta da “Measuring the Characteristic Topography of Brain Stiffness with Magnetic Resonance Elastography” pubblicato da Matthew C. Murphy, John Huston, Clifford R. Jack Jr, et al. su PLoS ONE, dicembre 2013. Più in basso, immagine d’onda (sinistra) ed elastogramma RM (destra) del fegato di un donatore di 39 anni (immagini piccole) e del fegato cirrotico di un paziente di 40 anni che deve ricevere il trapianto (immagini più grandi, in basso). La scala della rigidità va da a 0 a 20 kPa. Le immagini sono tratte da “Staging of Hepatic Fibrosis: Comparison of Magnetic Resonance Elastography and Shear Wave Elastography in the Same Individuals”, pubblicato da Jeong Hee Yoon, Jeong Min Lee, Hyun Sik Woo, et al. su Korean Journal of Radiology, febbraio 2013.
estiamo ancora sul tema dell’eR lastografia, ma cambiamo la tecnica di indagine, passando dal-
l’elastosonografia all’elastografia a risonanza magnetica. Questa tecnica, di più recente introduzione, conserva principi e obiettivi dell’elastosonografia, ma opera in modo abbastanza diverso. Mentre l’elastosonografia consiste in una speciale elaborazione dello stesso segnale ecografico (l’onda acustica viene utilizzata sia per fare vibrare il tessuto che per registrarne la vibrazione), la procedura necesMedico e Bambino 9/2020
saria per ottenere gli elastogrammi RM prevede tre fasi concettualmente distinte. Alla generazione di onde di taglio nel tessuto segue infatti l’acquisizione in risonanza magnetica delle immagini che rappresentano la propagazione di queste onde (chiamate “immagini d’onda”); a questa acquisizione segue ancora l’elaborazione delle immagini d’onda necessaria per produrre le mappe quantitative della rigidità dei tessuti, che sono gli elastogrammi veri e propri (i colori dal blu al rosso esprimono la rigidità
in termini di pressione). Dal punto di vista dell’indagine, il principale vantaggio dell’elastografia a risonanza magnetica sta proprio in questo sdoppiamento tra la generazione della vibrazione e la sua registrazione, che permette di esplorare i tessuti senza i limiti di profondità di cui soffre l’ecografia. L’elastografia RM è già largamente usata per esaminare l’interno del fegato, o del seno; e, come mostra una delle immagini, permette anche di indagare organi letteralmente “impalpabili” come il cervello.
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Osser vatorio
CARTOLINE DAL MONDO: LE VOCI DEI BAMBINI BAMBINI E NONNI Da una ricerca commissionata all’Istituto Ricerche Economiche e Sociali (IRES) dal Sindacato Pensionati Italiani (SPI-CGIL) nel 2018 apprendiamo che in Italia vivono circa 6,9 milioni di nonni, 5,9 dei quali si prendono cura dei nipoti in modi e tempi diversi. Si stima in una cifra compresa tra 495.600.000 e i 1.321.600.000 euro il risparmio annuo che l’opera dei nonni garantisce alle famiglie. Ma quest’ultimo “conto” non è certo quello principale. I nonni offrono infatti molto di più di una modalità di conciliazione tra famiglia e lavoro o a volte un rifugio in situazioni familiari difficili: trasferiscono ai nipoti conoscenze, esperienze, saperi pratici e passioni oltre a ricordi di una vita; sono spesso i più grandi tifosi dei loro nipoti e rafforzano talenti e determinazione. Per non parlare dell’affetto: qualcuno ha scritto che i nonni hanno un dottorato in amore. Se i nonni lasciano il segno nel cuore dei bambini, i nipoti apportano loro vitalità, allegria e sostegno. Stare con i nipoti significa per i nonni riscoprire il mondo attraverso la meraviglia e l’innocenza. «Mia nonna ha lottato con un tumore». Enrico, 14 anni
«La nonna mi aiuta a fare i compiti e mi spiega quando non capisco». Alessandra, 7 anni «Quello che vorrei è che mio nonno mi accompagnasse al mio matrimonio». Elena, 9 anni «Mio nonno mi ha insegnato che tutti devono aiutare in casa. Lui aiuta la nonna in tutto, anche a lavare i piatti. E fa il più buon arrosto!». Piero, 8 anni «I nonni sono buoni almeno quanto papà e mamma, e forse di più. Credo perché hanno già fatto esperienza con i loro figli». Maddalena, 13 anni
A CURA DI GIORGIO TAMBURLINI
«La mia nonna mi ha incoraggiato a raggiungere obiettivi che non avrei mai pensato di poter raggungere». Giovanni, 9 anni «Mio nonno è buono, aiuta sempre gli altri, mi insegna ad aggiustare le cose quando si rimpono, mi dice sempre di fare del mio meglio, che si possono fare errori, e di essere sempre coraggioso, e che si può piangere». Alberto, 7 anni «Lei è il vento nelle mie vele. Mi aiuta e mi spinge. Anche brevi colloqui con lei mi cambiano la giornata. Non è solo positiva e saggia. Ha una gran fede». Gabriella, 15 anni
«La mia nonna c’è sempre lì quando ho bisogno». Antonio, 7 anni
«Ha dovuto allevare figli in più riprese, anche con noi ha dovuto farlo. A volte mi sento in colpa per questo, per aver preso le sue energie anche quando poteva riposarsi. Ma le sono molto grata. È molto forte ed è il mio modello, da lei vengono tutti i valori che ho». Anna, 16 anni
«La mia nonna mi supporta anche quando faccio degli sbagli». Giacomo, 13 anni
«Una volta, il nonno mi ha portato a una festa e mi ha insegnato il twist!». Elisabetta, 10 anni
«Ho un nonno fantastico, ha preso me e mio fratello a vivere con lui». Tyler, 8 anni
Nati per Leggere - Campania
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CASI INDIMENTICABILI in Pediatria ambulatoriale
Si pensa che una grave anemia ferrocarenziale debba avere (quasi) sempre una causa identificabile, da perdite, da malassorbimento e questo è un pensiero irrinunciabile. Eppure esiste ancora, e non così raramente, una causa da scarso introito soprattutto in bambini (e adolescenti) a rischio. La diagnosi è facile alla fine, così come la terapia. La prevenzione è l’obiettivo su cui lavorare. UNA GRAVE ANEMIZZAZIONE
Marta Cognigni IRCCS Materno-Infantile “Burlo Garofolo”, Trieste Fallou è un bambino di 11 anni, nato in Senegal e giunto in Italia all’età di 3 anni. Viene portato al Pronto Soccorso, accompagnato dalla mamma incinta e dalla sorellina: oggi sarebbe quasi svenuto. È profondamente astenico e, durante la mattinata, ha presentato un episodio di vomito. L’anamnesi patologica remota è muta e sono riferiti epistassi ripetute e un episodio di feci con tracce di sangue nelle settimane precedenti. Fallou si presenta in buone condizioni generali, apiretico, con un buon ingresso aereo bilaterale, senza rumori patologici e saturazione 100% in aria ambiente. L’addome è trattabile, in assenza di organomegalie. Ponendo il fonendoscopio sui focolai cardiaci ci si accorge subito che è tachicardico (170 bpm) e, spostandosi sul focolaio tricuspidalico, si ausculta un soffio sistolico 2/6. La pressione arteriosa è 85/55 mmHg. Ci colpisce un particolare: le labbra di Fallou sono estremamente pallide. Gli chiediamo di farci vedere i palmi delle mani: anch’essi pallidi. Li confrontiamo con i palmi della mamma: eh sì, Fallou è proprio pallido. Che sia anemico? Viene eseguito un emocromo e, in attesa del risultato, ci arriva la chiamata dal laboratorio: “Forse c’è stato un errore: l’emoglobina è 3,5 g/dl”. No, nessun errore. Quel valore (confermato su un secondo campione) coincide con la clinica. Fallou ha un’anemia microcitica severa con lieve piastrinopenia (MCV 66 fl, RDW 42%, Hct 14,3%, GR 2.160.000/mm3, PTL 82.000/mm3). Lo striscio di sangue presenta anisopoichilocitosi con dacriociti e schistociti. Si esegue una trasfusione di emazie concentrate, dopo la quale la frequenza cardiaca si riduce a 100 bpm. Nel corso dell’osservazioPICACISMO E ANEMIA
Rosaura Conti , Eva Da Dalt , Maria Paola Miani 1
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1 Università di Trieste SOC di Pediatria, Presidio Ospedaliero di San Daniele del Friuli-Tolmezzo (Udine)
Una ragazzina di 14 anni viene in Pronto Soccorso pediatrico perché da tre giorni ha episodi di vomito non biliare e diarrea. Il padre riferisce inoltre che da 2-3 mesi gratta il calcestruzzo dal muro per mangiarselo. All’esame obiettivo la ragazza si presenta in buone condizioni generali, vigile e reattiva, mucose normoidratate, eupnoica, buon ingresso aereo bilaterale, addome trattabile dolorabile in sede epigastrica, non segni appendicolari, peristalsi presente e vivace, faringe e membrane timpaniche indenni. Febbricola. Viene posta diagnosi di gastroenterite e picacismo. Gestita la gastroenterite, si è voluto indagare l’altra problematica: il picacismo. Il picacismo deriva da pica, la gazza ladra, che si dice si nutra di tutto ciò che vede. Oltre a essere un disturbo psichiatrico, esso può essere espressione di malattia organica.
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ne vengono escluse la presenza di un’emolisi in atto (LDH 362U/l, aptoglobina 96 mg/dl, bilirubina indiretta 0,40 mg/dl), la sindrome uremico-emolitica (creatinina nella norma ed esame delle urine negativo) e la malaria (test negativo). Viene inoltre eseguito un test per sangue occulto, risultato negativo. Indagando il setting marziale, se ne riscontra una carenza: ferritina 4,8 ng/ml, sideremia 12 µg/dl, transferrina 385 µg/dl. Il quadro è quello di un’anemia sideropenica, verosimilmente cronica, visto il buon compenso clinico del bambino. Il giorno successivo vengono indagate le possibili concause di tale anemizzazione. Vengono escluse la malattia celiaca, come causa di malassorbimento (negatività per gli anticorpi anti-transglutaminasi e anti-endomisio), una malattia infiammatoria cronica (PCR e calprotectina fecale negative), emoglobinopatie (elettroforesi nella norma), disordini della coagulazione (PT, APTT, antitrombina III e fibrinogeno nella norma), telangectasie del nasofaringe (visita ORL) e uno stillicidio ematico. La causa di questa grave anemizzazione sideropenica, viene quindi identificata nello scarso apporto dietetico: questa ipotesi è rinforzata dalla saturazione della transferrina molto bassa (2%), dalla presenza di una crisi reticolocitaria apparsa dopo la somministrazione di ferro parenterale e dalla lieve trombocitopenia, autorisoltasi con la normalizzazione dell’emoglobina. Fallou stesso, inoltre, afferma di non gradire la carne. L’età dello sviluppo è un periodo a rischio: la crescita diventa più rapida e aumentano le richieste nutrizionali. Inoltre, l’anemia fa discriminazioni razziali e affligge più frequentemente le persone di colore. Su questo background, la dieta svolge un ruolo importante e spesso l’apporto nutrizionale non cresce di pari passo alle richieste, a causa dei gusti del bambino, dell’imposizione di una dieta vegetariana da parte dei genitori o per mancanza di risorse economiche, che pone gli stessi nell’impossibilità di acquistare prodotti in grado di garantire un adeguato apporto di ferro. L’associazione tra questo fenomeno e il riscontro di anemia sideropenica è noto in letteratura e per questo motivo successivamente sono stati eseguiti degli accertamenti ematici per verificare l’eventuale carenza di ferro sottostante. Gli esami hanno confermato la presenza di anemia sideropenica (globuli rossi: 4,49x106/µl, Hb 10,3 g/dl, MCV 74,1 fl, sideremia 61 µg/dl, ferritina 15 ng/ml, transferrina 363 mg/dl, indice di saturazione della transferrina calcolata: 11%). Dato il riscontro dell’anemia sideropenica sono state indagate le possibili cause organiche di anemia sideropenica (celiachia, perdite ematiche occulte, dismenorrea, disordini della coagulazione), che sono state escluse. Parlando con la ragazza si è capito che il problema era proprio riconducibile a un introito inadeguato di ferro, infatti le abitudini alimentari sono risultate essere poco sane: mangia soltanto pasta, patate fritte e dolci, tralasciando completamente la carne rossa, il pesce e le verdure. Messaggi da portare a casa Il picacismo, specialmente pediatrico, può essere espressione di una carenza alimentare; inoltre, ancor prima degli esami, è sempre bene fare un’attenta anamnesi alimentare.
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Bibliografia 1. Chiappini E et al. Riflessioni Universo Pediatria Luglio 2016; Suppl. 1 al N. 2. 2. Nurofen Febbre e Dolore Bambini 100mg/5ml. Nurofen Febbre e Dolore 200mg/5ml. RCP. 3. Pelen F et al. Ann Pédiatr 1998; 45: 719-28. 4. Kelley MT et al. Clin Pharmacol Ther 1992; 52 (2): 181-89. 5. Pierce CA et al. Ann Pharmacother 2010; 44 (3): 489-506. 6. Kanabar DJ. Inflammopharmacology 2017; 25 (1): 1-9. 7. Southey ER et al. Curr Med Res Opin 2009; 25 (9): 2207-2222. 8. De Martino M et al. GdM On-line - Giornale del Medico. Aprile 2017.
Depositato presso AIFA in data 05/03/2020 - RBHI-INF-06-20
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Ricerca IL BAMBINO IN COMUNITÀ E LA DIFFUSIONE DI SARS-CoV-2: L’ESPERIENZA DEI CENTRI ESTIVI Simona Di Mario1, Elisabetta Mazzanti1, Giulio Matteo2, Gino Passarini3, Maria Teresa Paladino3, Giovanna Mattei2, Luca Barbieri1, per il Gruppo Collaborativo Covid-19 in Pediatria* Direzione generale Cura della Persona, Salute e Welfare, 1 Servizio Assistenza Territoriale, 2 Servizio Prevenzione Collettiva e Sanità Pubblica, 3 Servizio Politiche Sociali e Socio-Educative Regione Emilia-Romagna, Bologna *Gruppo Collaborativo Covid-19 in Pediatria: Alessandro Ballestrazzi, Marcello Bergamini, Antonella Brunelli, Silvia Cattani, Tiziano Dall’Osso, Alfredo Ferrari, Giuseppe Gregori, Annamaria Magistà, Romano Manzotti, Maddalena Marchesi, Sandra Mari, Franco Mazzini, Gino Montagna, Valerio Moschettini, Luciana Nicoli, Carmelo Palmeri, Costantino Panza, Rita Ricci, Roberto Sacchetti, Stefano Testi, Aldo Vinattieri, Alessandro Volta Indirizzo per corrispondenza: simona.dimario@regione.emilia-romagna.it
CHILDREN AND SARS-CoV-2 SPREAD: THE EXPERIENCE IN SUMMER CAMPS Key words Covid-19, Children, Summer camp, Monitoring Summary Data on SARS-CoV-2 in children are sparse and sometimes contradictory. In Italy the closing of the school at the end of February 2020 up to June probably contributed to slow the epidemic, but was also associated with an increased risk of mental and physical disruption in children and adolescents. In the Emilia-Romagna Region summer camps were opened starting from the first week of June, even in absence of clear and univocal guidelines. Opening summer camps gave the opportunity to test the health and the educational systems in general and, in particular, the effectiveness of the implemented preventive measures and the test, treat and track system, therefore to increase the knowledge on Covid-19 in Paediatrics. The paper describes the building of a virtual space for collaboration with family paediatricians, community paediatricians, public health departments, preschool departments and the monitoring of the health conditions in children attending summer camps. This model can help guide health care decision with the reopening of schools.
La comparsa in Italia del virus SARS-CoV-2, agente causale di Covid-19, con i primi casi autoctoni identificati a fine febbraio in Lombardia e dopo pochi giorni in Emilia-Romagna, ha causato la progressiva implementazione di misure preventive per contrastare la diffusione dell’epidemia, con interventi che hanno riguardato anche la chiusura delle scuole e degli spazi educativi (a partire dal 24 febbraio in Emilia-Romagna). Il conseguente periodo di chiusura ha verosimilmente contribuito alla riduzione dei casi e della trasmissione virale, permettendo così l’avvio della cosiddetta Fase 2, con progressiva riapertura delle attività commerciali e degli spostamenti fra Regioni da metà maggio, mentre le attività educative e scolasti-
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Queste pagine rappresentano la finestra su “Medico e Bambino” cartaceo dei contributi originali delle pagine elettroniche. I testi in extenso sono pubblicati on line.
che hanno continuato a rimanere chiuse. I primi studi pubblicati sui casi di Covid-19 in età pediatrica suggerivano che, in questa fascia di età, l’infezione da SARS-CoV-2 è probabilmente meno frequente, che la sintomatologia è comunque più lieve e che, in assenza di comorbidità, sono rarissimi i casi con quadro clinico grave e morte. Sporadiche segnalazioni hanno fatto ipotizzare anche un ruolo di minore trasmissione dell’infezione dal bambino all’adulto. Il quadro però è ancora poco definito e probabilmente influenzato dalla minore possibilità di socializzazione dei bambini nella fase di chiusura. Il ruolo dei bambini come diffusori di malattia Covid-19 è stato messo in discussione, anche in una visione più ampia, a tutela del benessere di questa fascia di popolazione, minoranza numerica i cui interessi sono raramente rappresentati nel dibattito politico e culturale. Con l’obiettivo di definire il rischio di circolazione del virus e di contagio dei bambini, quando inseriti nuovamente in comunità, e di coordinare le attività di assistenza clinica e sorveglianza necessarie, la Regione Emilia-Romagna ha organizzato, in collaborazione con i pediatri di famiglia (PdF) del proprio territorio, un monitoraggio per verificare il numero di casi sintomatici, di tamponi richiesti e di tamponi positivi fra i bambini che, a partire da metà giugno e fino alla fine di agosto, hanno frequentato i centri estivi, quei luoghi, cioè, di aggregazione, educazione e socialità gestiti dagli Enti locali o dal Terzo settore, che durante l’estate offrono alle famiglie un Servizio alternativo a quello dei Servizi educativi e scolastici. Metodo - Prima della riapertura dei centri estivi nel territorio della Regione Emilia-Romagna (fissata per il 6 giugno 2020) si sono tenuti quattro incontri in videoconferenza con una rappresentanza di pediatri (di famiglia e di comunità) e dei Servizi regionali sanitari e sociali per definire le procedure più adatte a garantire la ripresa in sicurezza delle attività dei centri stessi. Ai PdF è stato proposto di partecipare in maniera volontaria a un’indagine prospettica: è stato messo a disposizione un questionario on-line per la raccolta settimanale di un numero contenuto di variabili riportate in maniera aggregata e completamente anonima (Tabella I). I questionari compilati venivano automaticamente inviati al Coordinamento regionale. I dati sono stati analizzati ed è stato inviato un report con le informazioni raccolte a tutti i pediatri partecipanti. I dati raccolti sono stati confrontati con quelli del Sistema di Sorveglianza in funzione presso i Dipartimenti di Sanità Pubblica (DSP) aziendali della Regione, che hanno inviato settimanalmente dati aggregati relativi a numero di tamponi effettuati sul personale dei centri estivi e sui bambini partecipanti ai centri estivi e relativo esito (la specifica dei centri estivi è stata attivata ad hoc). I risultati dei questionari sono riportati come numeri e frequenze. Risultati - Fra il 6 giugno e il 30 agosto 2020 hanno inviato informazioni relative ai bambini che frequentano i centri estivi 199/597 PdF, pari al 33% del totale (dato di partecipazione media settimanale), con una variazione compresa fra 118 e 324 pediatri a settimana. Sono state effettuate complessivamente 1436 visite a bambini che frequentano i centri estivi e che hanno sviluppato sintomi acuti (media settimanale 144 vi-
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site). I tamponi richiesti ed eseguiti sono stati pari a 637 (media settimanale 64 tamponi): nessuno dei tamponi richiesti dai PdF per sintomatologia acuta è risultato positivo. Due test, poi risultati positivi, sono stati eseguiti nell’ambito di attività di contact tracing dal DSP (figli di genitore positivo, contagiato presumibilmente sul luogo di lavoro). Sono state 7, infine, le famiglie che si sono rifiutate di fare sottoporre il bambino al tampone. Nello stesso periodo i dati raccolti dai DSP delle Aziende hanno registrato 18 tamponi positivi in personale e fruitori dei centri estivi, rispettivamente 9 fra gli operatori e 9 fra i bambini; in un solo caso il luogo di presunta esposizione è stato il centro estivo. Una valutazione dell’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani (ANCI) sezione Emilia-Romagna stima che siano stati oltre cinquantamila i bambini che hanno partecipato a uno degli oltre duemila centri estivi attivati in Regione quest’anno. Discussione - Ad aprile 2020 le indicazioni relative alla frequenza di scuole e spazi educativi per i bambini in relazione all’epidemia di Covid-19 erano rare ed essenzialmente basate su opinioni. La chiusura delle scuole è stata più breve o addirittura non è mai avvenuta nei Paesi del Nord Europa; in altri Paesi, come l’Italia, le scuole sono rimaste chiuse fino alla fine dell’anno scolastico. In questo quadro generale di incertezza, la ripresa delle attività dei centri estivi in Emilia-Romagna ha richiesto un lavoro di coordinamento fra livello centrale e periferico, sia in ambito sanitario che educativo, particolarmente intenso. Il confronto periodico tramite videoconferenza avviato ad aprile ha consentito di ripartire condividendo protocolli e procedure comuni, finalizzate a contenere al minimo il rischio di contagio - pur nella consapevolezza dell’impossibilità di azzerare il rischio - e allo stesso tempo di far tornare i bambini a una dimensione di socialità necessaria al loro benessere. Essersi dati uno strumento semplice di monitoraggio (tempo medio di compilazione inferiore a due minuti), on-line, ha consentito di delineare un quadro che, seppure parziale (dal 20% al 54% dei PdF ha partecipato alla raccolta e invio di dati nelle varie settimane) è però informativo: le visite per episodi di acuzie non sono state molte rispetto a quanto avveniva solitamente durante il periodo della frequenza dei centri estivi (data qualitativo raccolto durante gli incontri): è possibile che l’isolamento dovuto alla permanenza forzata in casa nei mesi del lockdown, oltre all’applicazione delle misure di prevenzione, abbia ridotto la circolazione di patogeni fra i bambini. Nessuno dei 637 tamponi richiesti in bambini sintomatici in cui il PdF sospettava l’infezione da SARS-CoV-2 (quasi un bambino sintomatico ogni due visitati è stato sottoposto a tampone) è risultato positivo. Gli unici due casi di positività in bambini frequentanti i centri estivi sono stati in soggetti asintomatici tracciati dal DSP nell’ambito di attività di contact tracing. Questo dato suggerisce che, anche dopo due mesi di ripresa delle attività in comunità, la circolazione di SARS-CoV-2 in età pediatrica è ancora sostanzialmente associata all’esposizione intrafamiliare. È possibile che quanto osservato sia legato all’attento rispetto delle norme di prevenzione concordate con gli Enti gestori e attuate durante questo periodo nei centri estivi (stipula di un Patto di corresponsabilità fra Enti gestori e famiglie rispetto alle procedure da seguire e all’osservazioni di norme di prevenzione concordate, procedure di triage in ingresso, lavoro in piccoli gruppi stabili, periodica igienizzazione degli spazi utilizzati, norme per la ristorazione ecc.). È anche possibile che la mobilità delle persone, e quindi la circolazione del virus, sia stata molto contenuta nei mesi di giugno e luglio (ad agosto il numero di centri estivi attivi è, come
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DOMANDE NEL QUESTIONARIO 1. Azienda USL di appartenenza 2. Settimana di riferimento 3. Numero di visite per sintomatologia acuta in bambini che frequentano i centri estivi 4. Numero di tamponi richiesti per bambini che frequentano i centri estivi 5. Numero di tamponi positivi in bambini che frequentano i centri estivi 6. Numero di famiglie che rifiutano di eseguire il tampone
Tabella I
di consuetudine, ridotto). Eppure, monitorare questi dati e restituire un feedback ai PdF è stato utile per iniziare a costruire un’esperienza basata maggiormente sui dati e meno sulle opinioni rispetto alla gestione dei bambini in epoca Covid-19: il livello di preoccupazione percepito durante le prime videoconferenze con i professionisti è sicuramente andato riducendosi nel tempo, alla luce del confronto fra pari e dei dati raccolti. L’esperienza acquisita sarà la base per un sistema di monitoraggio da attivare con la ripresa delle scuole di cui sia i PdF che i decisori politici, ma anche le scuole e le famiglie, sentono fortemente la necessità: è prevedibile che con l’autunno ci sarà una differente e probabilmente maggiore circolazione del virus, dovuta alla più elevata mobilità delle persone e intensificazione delle attività produttive. Il ruolo della riapertura delle scuole sulla circolazione del virus non è noto, ma è verosimile che inciderà, anche se solo marginalmente. Modelli previsionali indicherebbero che le scuole influiscono solo per il 2% rispetto alla circolazione di SARS-CoV-2, anche se non tutti concordano con queste valutazioni. Nella convinzione che i vantaggi della riapertura delle scuole superino comunque gli eventuali problemi legati all’aumento di circolazione del virus, pur consapevoli della complessità dei sistemi e dei differenti interessi in gioco, ci sembra che il confronto periodico con i professionisti coinvolti e la disponibilità di dati localmente raccolti - rappresentativi quindi della circolazione virale locale - con feedback periodici e ravvicinati (bisettimanali) possa consentire: 1. ai PdF di modulare la propria attività diagnostica e assistenziale, 2. ai Servizi di regolare la propria capacità di risposta, anche anticipando le richieste in base ai trend evidenziati, 3. ai decisori di rafforzare, o al contrario di rilassare, le misure preventive e di indirizzare i messaggi informativi rivolti alla popolazione. Il monitoraggio sarà uno degli strumenti che ci aiuterà ad affrontare meglio questo periodo, con l’obiettivo di limitare al minimo le interruzioni delle attività scolastiche.
Conflitto di interesse: nessuno.
La bibliografia del lavoro è disponibile nella versione online del lavoro
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Caso contributivo SINDROME DI TOURETTE: ALLA FACCIA DELLA PANDAS! Dante Ferrara Pediatra di famiglia, ASP 6 Palermo Docente di Cure Primarie, Scuola di Specializzazione in Pediatria, Università di Palermo Indirizzo per corrispondenza: ferraradnt@libero.it
TOURETTE’S SYNDROME: A CASE REPORT
Key words Tourette syndrome, PANDAS Summary The paper describes the clinical case of a ten-year-old boy with Tourette’s syndrome, initially classified as PANDAS. The persistence, the complexity of the symptoms and the comorbidity with obsessive-compulsive disorders (OCD) have framed the case as Tourette syndrome and OCD. Treatment with cognitive behavioural therapy and aripiprazole gave a good clinical response, with partial regression of the symptoms. In the light of clinical improvement, a good prognosis is expected in the long term.
Caso clinico - Bambino primogenito di anni 10, nato a termine, da parto spontaneo da gravidanza normodecorsa. Alla nascita Apgar 9-10, dati antropometrici adeguati all’età anagrafica, regolari le prime tappe dello sviluppo psicomotorio. Andatura sulle punte, piede equino con retrazione achillea, corretto chirurgicamente a 6 anni. A 8 anni compaiono tic motori al volto (chiude le palpebre, muove la lingua, storce la bocca) e tic vocali. Dopo un mese dall’inizio dei sintomi la madre, spontaneamente, si affida alle cure di un neuropsichiatra infantile il quale, sulla base di un moderato incremento del TAS e degli anticorpi anti-DNAsi B (da lui richiesti e prescritti), pone diagnosi di PANDAS (Paediatric Autoimmune Neuropsychiatric Disorder Associated with Streptococcus infections) e propone cicli di antibiotico-terapia con amoxicillina (15 giorni). A questo punto vengo consultato, sconsiglio la terapia antibiotica e decido di rivalutare la situazione dopo breve tempo. Intanto i tic variano, da semplici diventano complessi, coinvolgono altri gruppi muscolari, diventano più frequenti, peggiorano quelli vocali; il bambino muove le spalle, cammina su e giù per la stanza, presenta ecolalia, è ossessionato dai calcoli e dagli stessi giochi. Per la persistenza e l’aggravamento dei sintomi, nel sospetto di sindrome di Tourette associata a disturbo ossessivo-compulsivo (DOC), richiedo una visita neuropsichiatrica infantile e una consulenza psicologica che evidenziano un livello cognitivo nei limiti (alle scale di valutazione psicodiagnostica), ma rilevano rigidità cognitiva, pensiero ossessivo, fobie, comportamenti ripetitivi, tendenza a isolarsi. Viene confermato il sospetto diagnostico di sindrome di Tourette (ST) in comorbidità con il disturbo ossessivo-compulsivo e avviata terapia cognitivo-comportamentale e aripiprazolo, neurolettico di terza generazione. Discussione - I tic sono movimenti o vocalizzazioni improvvisi, rapidi, ricorrenti, stereotipati, ma non involontari (possono infatti essere soppressi), aumentano in condizioni di stress, disagio psico-fisico, relax, diminuiscono quando è richiesta attenzione focalizzata. Vanno distinti in: • motori semplici (interessamento di un gruppo di muscoli smorfo-facciali, che determinano per esempio blefarospasmo o scatti del collo o della testa); • complessi (interessamento di altri gruppi muscolari che generano movimenti rotatori o avanti e indietro ecc.);
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• vocali semplici (tosse, emissioni di rumori provenienti dalla gola) e complessi (ecolalia, cioè ripetizione di suoni emessi da altri, e coprolalia, fenomeno peraltro non comune). La prevalenza dei tic nella popolazione pediatrica è di 1:10; l’età media di esordio è 9 anni (7-8 anni nella ST, 5 anni nel DOC), il 25% dei tic cronici si associa alla ST, che colpisce lo 0,3-1% della popolazione, rapporto M:F = 4:1. Secondo il DSM-V, per la diagnosi di ST devono essere presenti tic motori multipli e almeno uno vocale, più volte al giorno, ad accessi, quasi ogni giorno, per più di un anno; sede, tipo, frequenza e gravità dei tic variano. L’esordio deve avvenire prima dei 18 anni, in genere a 7 anni; il periodo di maggiore esacerbazione si ha tra 8 e 12 anni, con riduzione in adolescenza. Solo il 10% continua la psicoterapia in età adulta. Nell’80% dei casi si associano DOC e deficit di attenzione e iperattività (ADHD). In merito alla patogenesi diverse teorie sono accreditate dalla letteratura: • Genetica (poligenica multifattoriale) comprovata dalla concordanza fino al 94% nei gemelli monozigoti; il principale cromosoma coinvolto è il 13 e precisamente la regione 13q31.1, dove è presente il gene SLITRK1 implicato, attraverso la sintesi di una proteina transmembrana, nella crescita dei dendriti, dei neuroni e delle sinapsi nelle regioni dell’ippocampo; una mutazione di questo gene sarebbe alla base della ST; • Condizioni di affaticamento, tensione con successivo incremento di allopregnanolone, ormone dello stress prodotto dal cervello che accenderebbe i circuiti eccitatori; • Disordine ereditario della neurotrasmissione che interesserebbe i circuiti dopaminergici, con una disinibizione di alcune zone in sede cortico-striato-talamico-corticale. Alcuni Autori hanno cercato di chiarire il ruolo patogenetico delle disfunzioni della dopamina nella genesi della sST, ipotizzando vari fattori quali: anomalia presinaptica neuronale del mediatore, alterazione nel trasporto, incremento della dopamina stessa con conseguente “iperinnervazione” e ipersensibilità degli stessi recettori dopaminergici. Sembrerebbe che proprio l’incremento della dopamina concorra al determinismo dell’apprendimento e della azione che porta alla genesi del tic stesso che, proprio perché appreso, si configura come disturbo reattivo a sensazioni che creano disagio. Tali conoscenze fisiopatologiche fanno comprendere meglio l’efficacia dei farmaci anti-dopaminergici e della terapia cognitivo-comportamentale. La diagnosi si avvale della valutazione dei sintomi attraverso lo score ottenuto dall’analisi di alcuni item che strutturano la scala di Yale che valuta la severità dei tic e la loro complessità. Spesso l’iter diagnostico è complesso per la variabilità dei tic, per l’associazione con situazioni scatenanti, inoltre è necessario seguire i pazienti per almeno un anno ed escludere condizioni psicosociali, psichiatriche e neurologiche secondarie. L’approccio terapeutico è prevalentemente cognitivo-comportamentale, le tecniche più efficaci sono l’esposizione con prevenzione della risposta e il habit reversal training, che prevede una risposta competitiva al movimento che genera il tic. Si ricorre ai farmaci se il tic non risponde alla terapia o se coesiste un disturbo comportamentale. I farmaci più utilizzati sono i neurolettici, prevalentemente anti-dopaminergici, quali: aloperidolo, risperidone, pimozide (un inibitore del recettore della dopamina), aripiprazolo. Quest’ultimo è un neurolettico di ultima generazione utilizzato nei tic, nella ST e nella sindrome bipolare, che agisce come agonista parziale della dopamina (quando la dopamina è bassa, attiva il recettore), come ago-
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nista ad alta efficacia dei recettori D2 dopaminergici e come antagonista dei recettori post-sinaptici della dopamina, come agonista parziale dei recettori serotoninergici 5TH1 e come antagonista dei 5TH2A; ha anche modesta azione regolatrice dei recettori dell’istamina. Il metilfenidato viene utilizzato se è presente comorbidità con ADHD. La valutazione del caso descritto e la PANDAS - Il caso in esame presenta peculiarità abbastanza tipiche della ST (sintomi caratteristici, durata superiore a un anno, comorbidità con DOC); purtroppo frettolosamente era stata posta da uno specialista NPI, consultato dalla madre, diagnosi di PANDAS, oggi spesso sovradiagnosticata. I criteri diagnostici nosografici della stessa PANDAS hanno subito in questi ultimi anni numerose critiche, che hanno di fatto sconfessato il diretto rapporto con la pregressa infezione da streptococco beta-emolitico di gruppo A (SBEGA). Oggi infatti si preferisce parlare di PANS (Paediatric Acute-onset Neuropsychiatric Syndrome). I criteri clinici iniziali della PANDAS erano caratterizzati da presenza di DOC o tic, esordio prepuberale, comparsa improvvisa dei sintomi a decorso recidivante-remittente, associa-
zione temporale fra infezione da SBEGA ed esordio o ricaduta sintomatologica, associazione con anomalie neurologiche (in particolare iperattività motoria e movimenti coreiformi). Le criticità maggiori che hanno di fatto ridimensionato la PANDAS riguardano i criteri diagnostici. Esistono infatti molti falsi negativi e positivi, in quanto il tempo di osservazione fra infezione da SBEGA (molto frequente in età pediatrica) ed esordio della clinica non è ben codificato, non vi sono rapporti chiari fra nuove infezioni da SBEGA e riesacerbazione di sintomi riferibili alla PANDAS. Non esistono infine evidenze scientifiche dall’utilità della terapia con penicillina. Il decorso del piccolo paziente è abbastanza buono, risponde bene alla terapia cognitivo-comportamentale e a quella farmacologica con aripiprazolo. Presenta infatti cospicua riduzione della sintomatologia ticcosa e dei disturbi ossessivi-compulsivi, è ben inserito a livello scolastico, non tende più all’isolamento, viene seguito presso un Centro di secondo livello con competenze specifiche per la sindrome di Tourette. La versione full text degli articoli è disponibile on line
Le pagine elettroniche (pagine verdi) riportano la sintesi di alcuni dei contributi che compaiono per esteso sul sito web della rivista (www.medicoebambino.com). Il sommario delle pagine elettroniche è riportato a pag. 549. In Emilia-Romagna l’apertura dei centri estivi fin dalla prima settimana di giugno, anche in assenza di chiare e univoche linee guida, è stata l’occasione per sperimentare la tenuta del Sistema sanitario ed educativo, la capacità di applicare le misure di prevenzione e controllo, e conoscere meglio l’epidemiologia di SARS-CoV-2 in età pediatrica. Nella Ricerca si descrive l’esperienza nel costruire uno spazio virtuale di collaborazione con la Pediatria di famiglia, la Pediatria di comunità, la Sanità pubblica, in un lavoro di coordinamento che ha coinvolto i Servizi educativi e sanitari sul territorio e il Sistema regionale e che ha previsto la raccolta di dati sulle condizioni di salute dei bambini che hanno frequentato i centri estivi. Nel primo dei due Casi contributivi viene descritto quello di un bambino di dieci anni affetto da sindrome di Tourette, inizialmente inquadrata come PANDAS. Nel secondo quello di una bambina con anemia normocitica iporigenerativa che in Pediatria può essere espressione non solo di aplasia midollare, ma anche di malattie croniche e disordini endocrini (pensare alla tiroide), che vanno opportunamente indagati. Malattia di Kawasaki: quale dose di immunoglobuline nei bambini grandi? Negli Appunti di terapia si discutono le conclusioni di un recente lavoro di un’esperienza nazionale giapponese. Nei Casi indimenticabili: le complicanze (a volte drammatiche) di una circoncisione; vistose alterazioni ungueali (la trachionichia); ittero, ematomi al dorso e feci acoliche (cisti del coledoco). Nei Poster degli specializzandi: una caso di scarsa crescita ponderale, una corea al 30% e una trombocitopenia amegacariocitica congenita.
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Domande &
a cura di Giorgio Longo
Risposte
Le domande vanno inviate alla redazione preferibilmente via mail (e-mail: domanderisposte@medicoebambino.com) oppure per posta (via Santa Caterina, 3 - 34122 Trieste). Delle risposte è responsabile il Comitato Editoriale di Medico e Bambino, che si avvale del contributo di esperti per ogni singola disciplina pediatrica. Le domande di maggior interesse generale potranno essere pubblicate nella rubrica “Domande e Risposte”. Per questo, è opportuno che il mittente segnali anche la città in cui lavora e la qualifica e/o il tipo di attività svolta. Se, al contrario, non si desidera che il proprio nome venga indicato in calce al quesito posto, è sufficiente specificarlo.
Iperpotassemia in lattante Lo scenario si ripete, ancora una volta, nel contesto di un affollato ospedale del Sud, dove due pediatri si ritrovano a confrontarsi sulla gestione di un lattante “da laboratorio”, ripetendo a se stessi, se mai ce ne fosse bisogno, quanto sia stimolante ragionare insieme sulle cose, che forse è la natura stessa della vita di “caserma” che facciamo, senza l’ipocrisia di nasconderci i reciproci timori e i difetti di conoscenza (un minimo di residuo amor proprio ci impedisce di usare la parola ignoranza). Lattante, diciamo grossomodo sotto i sei mesi, che “soggiorna” nella nostra Osservazione Breve per un fatto intercorrente quale una febbre, una sospetta IVU, ma comunque per nessun problema di tipo gastroenterico e con storia di “bel bimbo nato e cresciuto sano” fino a quel momento; sei lì che scorri il profilo, come un giocatore di poker che apre lentamente le sue carte nella mano, e di nuovo lei, quella piccola freccia con la punta in su sul potassio, e quel 6,1 mEq/l, con tutto il resto nella norma. Intanto hai davanti agli occhi il piccolo, appena visitato al giro, e che grida “mandatemi a casa, sto bene, grazie”. Ecco che riparte la chiacchierata con il collega, ma soprattutto con l’amico, e da lì la ricerca online di percentili stratificati per età che dicano che a quell’età è normale, ma ancora una volta i numeri che avrebbero dovuto “salvarci” ci dicono che le 2 DS sono superate; poi scatta la preoccupazione di mettere in difficoltà il collega (perché è ovvio che gli esami li hai avuti a dieci minuti dallo smonto) e allora chiedi un elettrocardiogramma da far refertare al cardiologo, evitandogli, pensando alla procedura cruenta, un equilibrio acidobase; intanto parli sulla chat degli amici neonatologi e ne ricavi che dalla “Experience-Based Medicine” nei “piccoli” è tanto frequente da essere normale e che non vuol dire niente; poi, nel delirio (il delirio è solo nella nostra psiche, ovviamente) elettrolitico, decidi che il sodio a 137 mEq/l è nel range inferiore della norma e allora vai a ri-
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guardarti i genitali, ovviamene normali, e pensi che possa avere una forma di sindrome adrenogenitale sfumata, che possa essere uno di quei bambini che rivedrai in Pronto Soccorso a 4 anni collassati per una sola scarica di diarrea, e allora valuti di controllare il 17OH-progesterone e il cortisolo basale. Alla fine però è tardi, devi andare via, e lasci tutto al collega, che agisce di “Empiric-Based Medicine”, dimettendo il bambino e fissando un controllo a distanza nell’ambulatorio dei rientri, perché in fondo è piccolo e se lo merita. Così oggi noi, funamboli sulla corda che corre tra un estremo e l’altro dei valori normali del potassio, ci convinciamo che il rene di un lattante non è diverso da un cardias, e che deve “maturare” la capacità emuntoria del maledetto catione, sperando così di avere la stessa autorevolezza sulla questione che sbandieramo alla mamme sul piccolino che vomiticchia e cresce bene. La vocina, quella dei difetti di conoscenza, però non tace e allora siamo qui a chiedere a voi, che da sempre siete la nostra rete sotto la corda, di riportarci sulla retta via dei pensieri concreti e fondati sulla vera verità. Sperando di mantenere l’equilibrio, aspettiamo come sempre fiduciosi. Paolo Raimondo, Margherita Rosa Pronto Soccorso, AORN “Santobono-Pausilipon”, Napoli
Potassio alto, ma appena sopra i limiti e in un’unica rilevazione. La prima cosa che ci viene in mente è la pseudoiperkaliemia, ovvero il potassio elevato a causa di un prelievo difficoltoso ed emolizzato. L’immaturità tubulare, più tipica del neonato, potrebbe invece fare un’ipokaliemia piuttosto che iper. Valorizzerei l’ipotesi di insufficienza surrenalica solo in presenza di sintomi suggestivi (era un bambino molto abbattuto in corso di febbre? Com’era la glicemia?). E se proprio voglio togliermi ogni dubbio, il prelievo lo ripeterei subito. Nei bambini la pseudoiperkaliemia è spesso causata da campioni di sangue emolizzato a causa delle difficoltà nel-
l’ottenere o manipolare campioni di sangue. Ciò è particolarmente vero nei bambini piccoli, in cui si utilizza un ago piccolo per il prelievo (da 20 a 24 gauge) con la siringa in aspirazione poiché i dispositivi a vuoto sono difficilmente utilizzabili a causa del piccolo diametro dei vasi. Quando vengono utilizzate le ago cannule, anche queste di piccole dimensioni, è necessario prelevare il sangue in aspirazione con una siringa per ottenere volumi di campione sufficienti. In letteratura si dice che l’emolisi ha una probabilità sei volte maggiore quando si utilizza una siringa rispetto a un dispositivo a vuoto (quello tipicamente utilizzato negli adulti). Anche una leucocitosi o una piastrinosi possono essere in causa. Bibliografia di riferimento • Baer DM, Ernst DJ, Willeford SI, Gambino R. Investigating elevated potassium values. MLO Med Lab Obs 2006;38(11):24,26,30-1. • Dickinson H, Webb NJ, Chaloner C, Wynn RF, Bonney DK. Pseudohyperkalaemia associated with leukaemic cell lysis during pneumatic tube transport of blood samples. Pediatr Nephrol 2012;27(6):1029-31.
Vaccino HPV 9-valente Adolescenti che hanno già effettuato negli anni scorsi il ciclo completo (3 dosi) di Gardasil quadrivalente devono ora praticare per coprire i genotipi mancanti anche la vaccinazione con Gardasil 9-valente? Un pediatra, Napoli
Il vaccino HPV 9-valente ha evidentemente uno spettro di copertura superiore al quadrivalente, ma ciò fa migliorare di poco i buoni risultati di quest’ultima. Comunque sia, pur non essendoci controindicazione ad allargare la copertura vaccinale con il 9-valente (esiste uno studio pre-marketing che non ha evidenziato alcun problema di sicurezza per i già vaccinati), la difficoltà di riproporre altre tre somministrazioni vaccinali, oltre che il costo, rendono questa opzione francamente improbabile.
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D ermo m@ il Bimbo di 2 mesi e mezzo di età anagrafica, nato pretermine a 28 settimane + 4 giorni. Dopo la nascita è risultato sempre più evidente un quadro di angiomatosi cutanea, caratterizzato da multiple piccole formazioni color rosso vivo, in continuo aumento di numero e dimensioni. Ora ha quasi raggiunto le 40 settimane, la prima ecografia dell’addome non evidenziava emangiomi epatici; è in programma comunque una RM cerebrale per la prematurità. C’è indicazione ad avviare il beta-bloccante? Se sì, quando? Una collega della Patologia neonatale
Lattante di 2 mesi che presenta dalla nascita una voluminosa tumefazione sottocutanea in sede occipitale, di circa 3 cm di diametro e almeno 8-10 mm di spessore, con cute sovrastante integra. Ha eseguito nei primi giorni di vita un’ecografia che ha evidenziato nel contesto delle parti molli una formazione ovalare delle dimensioni di 30 mm x 13 mm, prevalentemente iperecogena, con limiti netti, che non impronta la teca cranica ed è intensamente vascolarizzata. L’orientamento del radiologo è per un emangioma congenito tipo RICH o NICH, o in alternativa una malformazione vascolare. Non è stata proposta alcuna terapia, nemmeno il propranololo. Il bambino è entrato in un follow-up. Mi piacerebbe conoscere la vostra opinione. Una pediatra di Pronto Soccorso
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a cura di Irene Berti
Questo è un tipico esempio di emangiomatosi multipla, condizione in cui si osservano numerosi emangiomi (spesso più di cento) di piccole dimensioni, per lo più millimetrici, casualmente distribuiti su tutta la superficie cutanea. In questi casi va escluso il coinvolgimento viscerale, come avete giustamente fatto. Se l’ecografia dell’addome è stata fatta molto precocemente potrebbe essere comunque utile ripeterla quando raggiunge il termine, perché gli emangiomi possono comparire almeno fino al terzo mese di età corretta. Come concetto generale, se un bambino con emangiomatosi multipla cutanea mostra anche un coinvolgimento epati-
La presenza dalla nascita (lesione congenita), l’aspetto clinico e la descrizione ecografica sono compatibili in prima ipotesi con un emangioma congenito.
co è opportuno eseguire una RM cerebrale per escludere emangiomi anche a tale livello. Altrimenti, in assenza di lesioni del fegato, la RM può essere evitata (sempre che non ci siano altri motivi per richiederla, ad es. appunto la forte prematurità). Per quanto riguarda il trattamento, la terapia di prima scelta è senz’altro il propranololo per via orale, farmaco approvato e rimborsato nei lattanti con emangioma infantile singolo o multiplo, e prescrivibile secondo le attuali raccomandazioni a partire dalla quinta settimana di età (età corretta nel caso dei prematuri).
L’emangioma congenito è un’entità ben distinta dal più comune emangioma infantile, che compare dopo la nascita e ha una fase proliferativa nei primi mesi di vita. Ne esistono diverse varianti: il RICH, che sta per Rapidly Involuting Congenital Haemangioma, il NICH, Non-Involuting Congenital Haemangioma e secondo alcuni Autori anche il PICH, Partially Involuting Congenital Haemangioma. Si tratta di tumori vascolari benigni che hanno completato la loro fase proliferativa in epoca prenatale e, a seconda del tipo, possono rapidamente regredire senza bisogno di alcun trattamento, restare stabili o ancora regredire parzialmente. Il trattamento, qualora necessario, è chirurgico, in quanto gli emangiomi congeniti non rispondono al propranololo. Il consiglio di seguirne l’andamento nel tempo, per il primo anno almeno, è assolutamente condivisibile.
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a cura di Paola Rodari
Resistenze
Casalinghe di Manhattan contro il crimine “In gruppo per difendere i nostri !igli” Tremila mamme hanno fondato un movimento per rendere le strade più sicure: combattono con incontri, dialogo e post sui social (da: La Stampa, 18 febbraio 2020)
La decisione del vescovo di Sulmona
Stop a padrini e madrine “Lo fanno solo per posa”
In battesimi, cresime e comunioni non più bimbi associati ad adulti “Poca consapevolezza del ruolo, scelti perché parenti o amici” (da: Libero, 19 luglio 2020)
“Bambole, macchinine e pistole ad acqua: così aggiusto i giocattoli dei bambini” Il 36enne Marco Mele ha lasciato il lavoro negli studi di Architettura per la sua antica passione: “Impagabile vedere la gioia dei piccoli” (da: La Stampa, 25 giugno 2020)
“Vivete emozioni, chiedete il perché delle cose” Il prof. di matematica saluta così i suoi ragazzi Festa a sorpresa per Maurizio Candeago, da quasi vent’anni insegnante nella scuola media di Pray. Era stato anche a Quarona, è andato in pensione. Applausi e qualche lacrima durante l’incontro (da: Notiziaoggi, 2 luglio 2020)
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bianca BLOB Resistenze
Se i professionisti dell’infanzia propongono un orto alle famiglie L’esperienza dell’associazione Genitori e !igli guidata da Carlo Tognola, che sceglie l’educazione in natura per bambini e famiglie all’Orto Club
(da: Varese News, 14 ottobre 2020)
Regno Unito, pasti gratis ai bambini poveri: Rashford vince la battaglia contro il Governo
Il calciatore del Manchester United da mesi ha lanciato una straordinaria campagna sui suoi social network contro la povertà minorile in Inghilterra (da: la Repubblica, 24 ottobre 2020)
Palermo
Palermo, i bambini dello Sperone mettono in scena “Antigone”
A scuola in mascherina, non solo tra i banchi. Reinterpretano l’eroina di Sofocle, Antigone, gli studenti dell’Istituto comprensivo Sperone-Pertini, nello spettacolo “Antigone oggi a Palermo” (da: la Repubblica, 25 ottobre 2020)
La scuola di Napoli che resta aperta per fare lezione ai bambini con disabilità L’ordinanza del governatore Vincenzo De Luca chiude tutti gli istituti fino alla fine del mese Ma nel quartiere Vomero del capoluogo la scuola elementare Luigi Vanvitelli continuerà a fare lezione dal vivo per 50 alunni «Abbiamo fatto da apripista, speriamo che tanti colleghi potranno ispirarsi a questo progetto» (da: l’Espresso, 19 ottobre 2020)
Fonti fornite da:
Maria Cristina Bertogna, Fabrizio Fusco, Andrea Guala, Andrea Lambertini, Gabriella Palla, Lucio Piermarini, Claudio Ughi
OVIXAN PEDIATRIA.qxp_615 Inserz dic 06/11/19 13:22 Pagina 480
RIASSUNTO DELLE CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO 433-03
mometasone furoato 1. DENOMINAZIONE DEL MEDICINALE OVIXAN 1MG/G CREMA 2. COMPOSIZIONE QUALITATIVA E QUANTITATIVA Un grammo di crema contiene 1 mg di mometasone furoato. Eccipienti con effetti noti: 250 mg di propilenglicole e 70 mg di alcool cetostearilico per grammo di crema. Per l’elenco completo degli eccipienti, vedere paragrafo 6.1. 3. FORMA FARMACEUTICA Crema Crema inodore di colore bianco 4. INFORMAZIONI CLINICHE 4.1 Indicazioni terapeutiche OVIXAN è indicato per il trattamento sintomatico di patologie cutanee infiammatorie che rispondono a terapia topica con glucocorticoidi, come la dermatite atopica e la psoriasi (ad esclusione della psoriasi a placche diffusa). 4.2 Posologia e modo di somministrazione Posologia Adulti (inclusi anziani) e bambini (a partire dai 6 anni di età): Applicare un sottile strato di OVIXAN una volta al giorno sulle zone cutanee interessate. La frequenza delle applicazioni va successivamente ridotta in modo graduale. Una volta ottenuto un miglioramento clinico, spesso è preferibile ricorrere a un corticosteroide meno potente. Come con tutti i glucocorticoidi topici di potenza elevata, OVIXAN non deve essere applicato sul viso, se non sotto stretto controllo medico. OVIXAN non deve essere utilizzato per lunghi periodi di tempo (più di 3 settimane) o su zone estese (oltre il 20% della superficie corporea). Nei bambini, la superficie corporea da trattare non deve superare il 10%. Popolazione pediatrica - Bambini al di sotto dei 6 anni: OVIXAN è un glucocorticoide potente (gruppo III) e di solito il suo impiego non è raccomandato in bambini di età inferiore ai 6 anni, poiché non sono presenti dati relativi alla sicurezza (vedere paragrafo 4.4). Modo di somministrazione Uso topico. 4.3 Controindicazioni Ipersensibilità al principio attivo (mometasone furoato), ad altri corticosteroidi o ad uno qualsiasi degli eccipienti elencati al paragrafo 6.1. OVIXAN è controindicato nei pazienti con rosacea facciale, acne volgare, atrofia cutanea, dermatite periorale, prurito perianale e genitale, eruzione da pannolino, infezioni batteriche (per es. impetigine), infezioni virali (per es. herpes simplex, herpes zoster e varicella) ed infezioni micotiche (per es. candidosi o dermatofitosi), tubercolosi, sifilide o reazioni post-vaccinali. OVIXAN non deve essere applicato sulle ferite o sulla cute ulcerata. 4.4 Avvertenze speciali e precauzioni di impiego In caso di irritazione o sensibilizzazione con l’uso di OVIXAN, il trattamento deve essere sospeso e deve essere istituita una terapia adeguata. OVIXAN crema contiene propilenglicole, che può causare irritazioni cutanee, e alcool cetostearilico, che può causare reazioni cutanee a livello locale (per es. dermatiti da contatto). I glucocorticoidi possono alterare l’aspetto di alcune lesioni, rendendo difficile una diagnosi adeguata ed eventualmente rallentando il processo di guarigione. Se si sviluppa un’infezione, è necessario ricorrere all’uso di un adeguato agente antibatterico o antimicotico. Se non si verifica una risposta alla terapia in tempi brevi, la somministrazione del corticosteroide deve essere sospesa fino a quando l’infezione non è sufficientemente sotto controllo. Assorbimento sistemico L’assorbimento sistemico di corticosteroidi topici può produrre una soppressione reversibile dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (asse HPA), con la possibile instaurazione di un’insufficienza corticosurrenalica dopo la sospensione del trattamento. In alcuni pazienti, l’assorbimento sistemico di corticosteroidi topici può anche causare, durante il trattamento, la comparsa di una sintomatologia da sindrome di Cushing, iperglicemia e glicosuria. In caso di applicazione di steroidi topici su zone cutanee estese o su zone con medicazione occlusiva è necessario esaminare periodicamente i pazienti per verificare la presenza di una soppressione dell’asse HPA.
La tossicità locale e sistemica è un evento comune, particolarmente in seguito a un uso prolungato e continuo su zone estese di cute lesionata, nelle pieghe cutanee e in caso di medicazioni occlusive con polietilene. Non devono essere utilizzate medicazioni occlusive per le applicazioni sul viso. In caso di applicazioni sul viso, la terapia deve essere limitata a 5 giorni. Deve essere evitato il trattamento prolungato e continuo in qualsiasi paziente, indipendentemente dall’età. Psoriasi L’uso di steroidi topici nella psoriasi può risultare rischioso per diverse ragioni, quali il verificarsi di recidive da rimbalzo secondarie allo sviluppo di una tolleranza, il rischio di psoriasi pustolosa localizzata e lo sviluppo di tossicità locale o sistemica dovuta a un deterioramento della funzione di barriera propria della cute. Se il farmaco viene utilizzato per la psoriasi, è importante tenere sotto stretta osservazione il paziente. Interruzione del trattamento Come con tutti i glucocorticoidi topici potenti, si deve evitare l’interruzione improvvisa del trattamento. Quando si interrompe un trattamento topico prolungato con glucocorticoidi potenti, si può verificare un fenomeno di “rimbalzo”, che assume la forma di una dermatite caratterizzata da intenso rossore, dolore pungente e bruciore. Queste manifestazioni possono essere prevenute riducendo il trattamento gradualmente, per esempio proseguendo la terapia in modo intermittente prima di sospenderla del tutto. Disturbi visivi OVIXAN non dece essere applicato sulle palpebre, onde evitare il rischio potenziale di glaucoma simplex o cataratta subcapsulare. OVIXAN preparazioni per via topica non sono destinati ad un uso oftalmico. Con l’uso di corticosteroidi sistemici e topici possono essere riferiti disturbi visivi. Se un paziente si presenta con sintomi come visione offuscata o altri disturbi visivi è necessario considerare l’invio a un oculista per la valutazione delle possibili cause che possono includere cataratta, glaucoma o malattie rare come la corioretinopatia sierosa centrale (CFCR), che sono state segnalate dopo l’uso di corticosteroidi sistemici e topici. Popolazione pediatrica Usare con cautela nei bambini. Gli effetti indesiderati segnalati durante l’uso sistemico di corticosteroidi, inclusa l’inibizione della corteccia surrenale, possono verificarsi anche con l’uso locale, in particolar modo nei bambini. I bambini possono risultare più sensibili all’influenza dei glucocorticoidi topici sul sistema ipotalamo-ipofisi-surrene (asse HPA) e alla sindrome di Cushing rispetto agli adulti, in quanto la loro superficie cutanea è maggiore in relazione al peso corporeo. Il trattamento cronico con glucocorticoidi può influenzare la crescita e lo sviluppo dei bambini (vedere paragrafo 4.8). Non utilizzare medicazioni occlusive nel trattamento di pazienti in età pediatrica. La sicurezza e l’efficacia del mometasone furoato nei pazienti pediatrici di età inferiore ai 2 anni non sono ancora state stabilite; pertanto, l’impiego di OVIXAN in questa fascia di età non è raccomandato. 4.5 Interazioni con altri medicinali ed altre forme di interazione Non sono stati condotti studi di interazione. 4.6 Fertilità, gravidanza e allattamento Gravidanza I corticosteroidi attraversano la placenta. Non sono disponibili dati clinici relativi all’uso di mometasone furoato in gravidanza. La somministrazione orale di mometasone furoato in studi sugli animali ha evidenziato degli effetti teratogeni; vedere paragrafo 5.3. Non sono noti i rischi potenziali sull’uomo. Sebbene l’esposizione sistemica sia limitata, le creme a base di mometasone furoato devono essere utilizzate in gravidanza dopo un’attenta valutazione dei rischi e dei benefici. Per il trattamento in gravidanza di superfici cutanee estese per periodi di tempo prolungati è necessario prescrivere corticosteroidi di bassa potenza. Allattamento Non è stato accertato che il mometasone furoato passi nel latte materno. Il mometasone furoato deve essere somministrato alle madri in allattamento solo dopo un’attenta valutazione dei rischi e dei benefici. OVIXAN non deve essere applicato sul seno né sulle zone cutanee adiacenti durante l’allattamento. Fertilità Nessun effetto noto. 4.7 Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchinari Non pertinente.
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4.8 Effetti indesiderati Gli eventi avversi sono presentati in base alla classificazione per sistemi e organi secondo MedDRA all’interno di ciascuna categoria di frequenza e in ordine decrescente di gravità: Molto comune (≥1/10); Comune (≥1/100, <1/10); Non comune (≥1/1.000, <1/100); Raro (≥1/10.000, <1/1.000); Molto raro (<1/10.000) Non nota (la frequenza non può essere definita sulla base dei dati disponibili). Gli eventi avversi segnalati durante la somministrazione di glucocorticoidi per uso topico comprendono: Eventi avversi correlati al trattamento e segnalati in base alla classificazione per sistemi e organi e alla frequenza Infezioni ed infestazioni Non nota
Infezioni secondarie, foruncolosi
Molto raro
Follicolite
Patologie del sistema nervoso Non nota
Parestesie
Molto raro
Sensazione di bruciore
Patologie dell’occhio Non nota
Visione, offuscata (vedere anche il paragrafo 4.4)
Patologie vascolari Molto raro
Telangectasia
Patologie della cute e del tessuto sottocutaneo Non nota
Molto raro
Dermatite allergica da contatto, dermatite periorale, ipopigmentazione, ipertricosi, strie, macerazione della cute, miliaria, reazioni acneiformi, atrofia cutanea locale, irritazione, dermatite simile a rosacea papulosa (facciale), sensibilità capillare (ecchimosi), xerosi, ipersensibilità (al mometasone) Prurito
Patologie sistemiche e condizioni relative alla sede di somministrazione Non nota
Dolore in corrispondenza della sede di applicazione, reazioni in corrispondenza della sede di applicazione
Un aumento del rischio di effetti sistemici e di eventi avversi localizzati si verifica in caso di somministrazione frequente, trattamento di zone estese o trattamento prolungato, nonché in caso di trattamento di aree intertriginose o con medicazioni occlusive. Casi di ipo- o iperpigmentazione sono stati segnalati raramente in relazione con altri farmaci cortisonici e possono pertanto verificarsi con il mometasone furoato. Eventi avversi segnalati durante terapie con glucocorticoidi per via sistemica, compresa l’insufficienza surrenalica, possono verificarsi anche con corticosteroidi ad uso topico. Il trattamento di psoriasi diffusa o l’improvvisa sospensione di una terapia prolungata con un corticosteroide potente può indurre una psoriasi pustolosa o eritrodermica. Il riacutizzarsi di un eczema può essere considerata come un fenomeno di rimbalzo a seguito della brusca interruzione del trattamento. Popolazione pediatrica I pazienti pediatrici possono essere maggiormente soggetti alla sindrome di Cushing e alla soppressione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene indotta da glucocorticoidi rispetto ai pazienti in età matura, a causa del rapporto maggiore tra superficie cutanea e peso corporeo. La terapia cronica con glucocorticoidi può interferire con la crescita e lo sviluppo dei bambini. Sono stati segnalati casi di ipertensione endocranica in pazienti pediatrici sottoposti a terapia con glucocorticoidi topici. Le manifestazioni di un’ipertensione endocranica sono: protrusione delle fontanelle, cefalea e papilledema bilaterale. Segnalazione delle reazioni avverse sospette La segnalazione delle reazioni avverse sospette che si verificano dopo l’autorizzazione del medicinale è importante, in quanto permette un monitoraggio continuo del rapporto beneficio/rischio del medicinale. Agli operatori sanitari è richiesto di segnalare qualsiasi reazione avversa sospetta tramite il sistema nazionale di segnalazione all’indirizzo www.aifa.gov.it/content/segnalazioni-reazioni-avverse. 4.9 Sovradosaggio Un uso eccessivamente prolungato di glucocorticoidi topici può sopprimere la funzione dell’asse HPA e dare luogo a un’insufficienza secondaria della corteccia surrenale. In caso di soppressione dell’asse HPA, è necessario ridurre il numero di applicazioni o sospendere il trattamento, osservando le cautele del caso in queste situazioni. Il contenuto di steroidi in ciascun contenitore è così ridotto da comportare una tossicità minima o nulla nell’improbabile ipotesi di un’ingestione orale accidentale.
5. PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE 5.1 Proprietà farmacodinamiche Categoria farmacoterapeutica: corticosteroidi, preparati dermatologici; corticosteroidi, non associati. Codice ATC: D07AC13 Meccanismo d’azione ed effetti farmacodinamici Il mometasone furoato è un glucocorticoide potente del gruppo III. Il principio attivo, mometasone furoato, è un glucocorticoide di sintesi non florurato con un estere furoato in posizione 17. Come nel caso di altri corticosteroidi per uso topico, il mometasone furoato ha effetti antinfiammatori, antiprurito ed antiallergici. Efficacia e sicurezza clinica Uno studio della durata di 6 settimane e condotto su 58 pazienti affetti da psoriasi ha messo a confronto OVIXAN 1MG/G CREMA (emulsione O/A) con Elocon® 0,1% crema (emulsione A/O); il confronto è stato effettuato anche sui veicoli utilizzati per le due formulazioni. Le preparazioni sono state applicate secondo uno schema randomizzato, su lesioni accoppiate sullo stesso soggetto. Le formulazioni sono state applicate ogni giorno per 3 settimane, quindi a giorni alterni per 1 settimana e successivamente 2 due volte alla settimana per 2 settimane. I risultati hanno dimostrato che OVIXAN 1MG/G CREMA è almeno altrettanto efficace (non inferiore) di Elocon 0,1% crema in termini di punteggio TSS (Total Severity Sign). 5.2 Proprietà farmacocinetiche Assorbimento I risultati degli studi condotti sull’assorbimento percutaneo dimostrano un assorbimento sistemico inferiore all’1%. 5.3 Dati preclinici di sicurezza I dati preclinici non rivelano rischi particolari per l’uomo sulla base di studi convenzionali di safety toxicology, genotossicità e cancerogenicità (somministrazione per via nasale) del mometasone furoato, oltre a quanto già noto per i glucocorticoidi. Studi sulla somministrazione orale di corticosteroidi negli animali hanno evidenziato tossicità della riproduzione (palatoschisi, malformazioni scheletriche). 6. INFORMAZIONI FARMACEUTICHE 6.1 Elenco degli eccipienti Olio di cocco raffinato, Acido stearico, Alcool cetostearilico, Macrogol stearato, Glicerolo monostearato 40-55, Propilenglicole, Sodio citrato (per la regolazione del pH), Acido citrico anidro (per la regolazione del pH), Acqua purificata. 6.2 Incompatibilità Non pertinente. 6.3 Periodo di validità 3 anni. 6.4 Precauzioni particolari per la conservazione Questo medicinale non richiede alcuna condizione particolare di conservazione. 6.5 Natura e contenuto del contenitore Tubo di plastica di polietilene laminato in alluminio con tappo a vite bianco in polipropilene. Confezioni: Tubi contenenti 15 g, 30 g, 35 g, 70 g, 90 g o 100 g di crema. È possibile che non tutte le confezioni siano commercializzate. 6.6 Precauzioni particolari per lo smaltimento Nessuna istruzione particolare. 7. TITOLARE DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO ABIOGEN PHARMA S.p.A. - Via Meucci, 36 - Ospedaletto - PISA - Italia 8. NUMERO(I) DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO 043604014 - “1 MG/G CREMA” 1 TUBO IN PE/AL/PE DA 15 G 043604026 - “1 MG/G CREMA” 1 TUBO IN PE/AL/PE DA 30 G 043604040 - “1 MG/G CREMA” 1 TUBO IN PE/AL/PE DA 35 G 043604053 - “1 MG/G CREMA” 1 TUBO IN PE/AL/PE DA 70 G 043604065 - “1 MG/G CREMA” 1 TUBO IN PE/AL/PE DA 90 G 043604038 - “1 MG/G CREMA” 1 TUBO IN PE/AL/PE DA 100 G 9. DATA DELLA PRIMA AUTORIZZAZIONE/RINNOVO DELL’AUTORIZZAZIONE 30/04/2015 - 18/11/2017 10. DATA DI REVISIONE DEL TESTO 12/2017
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DOMENICA
Ogni giorno ha la sua
SABATO
VENERDÌ
GIOVEDÌ
MERCOLEDÌ
Volume 39 numero 9
30 novembre 2020
Rivista fondata da Franco Panizon nel 1982 Rivista di formazione e di aggiornamento professionale del pediatra e del medico di medicina generale, realizzata in collaborazione con l’Associazione Culturale Pediatri
www.medicoebambino.com
Editoriali
Lasciate ogni speranza voi che non sperimentate: il Recovery collaborative group e il Recovery fund Al nido, oggi più che mai
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Disabilità, patologie croniche complesse e bisogni inevasi: quali prospettive? Contraccezione in adolescenza La granulomatosi eosinofilica con poliangioite: dalla pelle al cuore
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Farmacoriflessioni
Otite media acuta: le abitudini difficili a perdersi e l’aderenza alle linee guida
L’esperienza che insegna L’angolo degli specializzandi
ISSN 1591-3090
è l’integratore alimentare di vitamina D3 in forma di caramella gommosa da 600 U.I. per i bambini dai 4 anni in su. La vitamina D è necessaria per la normale crescita e lo sviluppo osseo nei bambini e contribuisce alla normale funzione del sistema immunitario.
Tumulti di San Martino
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