Aprile 2020

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Poste Italiane SpA - Spedizione in AP - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46), art. 1, comma 1, LO/MI. Euro 9,00

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Volume 39 numero 4

30 aprile 2020

Rivista fondata da Franco Panizon nel 1982 Rivista di formazione e di aggiornamento professionale del pediatra e del medico di medicina generale, realizzata in collaborazione con l’Associazione Culturale Pediatri

www.medicoebambino.com

CORONAVIRUS Editoriali

Su la maschera: è un ordine! Ciao nonno Danni collaterali

Il graffio

L’attesa

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News box

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Covid-19 e bambini: le due facce di una diversa medaglia

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Aggiornamento

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Farmacoriflessioni Appunti di Neuropsichiatria Problemi speciali Ricerca

ISSN 1591-3090

Oltre lo Specchio PAGINE ELETTRONICHE

Covid-19 e risposta immune Farmaci, sperimentazioni, registri, nei tempi dell’emergenza del coronavirus Covid-19 e salute mentale in età evolutiva: l’urgenza di darsi da fare Il bambino con eccesso di crescita tra variabilità clinica ed eterogeneità genetica La profilassi della malattia reumatica in Italia 100 anni di cure neonatali: l’esperienza trentina ALLATTAMENTO E INFEZIONE DA SARS-COV-2


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Direttore responsabile Federico Marchetti

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Coordinamento scientifico Egidio Barbi, Irene Berti, Irene Bruno, Sara Lega, Giorgio Longo, Paola Rodari, Giorgio Tamburlini, Alessandro Ventura

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RECORDATI Recordati

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SAKURA Aluneb

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e-mail: redazione@medicoebambino.com

La Rivista è recensita in EMBASE, Google Scholar e Scopus

Comitato editoriale Antonio Addis Dipartimento Epidemiologia, Servizio Sanitario Regionale del Lazio • Raffaele Badolato Clinica Pediatrica, Università di Brescia • Sara Carucci Clinica di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, AO “G. Brotzu”, Cagliari • Rosario Cavallo Pediatra di famiglia, Salice Salentino (Lecce) • Mario Cutrone Unità Semplice di Dermatologia Pediatrica, Ospedale dell’Angelo, Mestre (Venezia) • Luciano de Seta UOC di Pediatria e Patologia Neonatale, Ospedale San Paolo, Napoli • Massimo Fontana Pediatra, Milano • Fabrizio Fusco Pediatra di famiglia, Vicenza • Luigi Greco Dipartimento di Pediatria, Università Federico II, Napoli • Giuseppe Magazzù Clinica Pediatrica, Università di Messina • Giuseppe Maggiore Dipartimento di Scienze Mediche-Pediatria, Università di Ferrara • Vitalia Murgia Pediatra di famiglia, Mogliano Veneto (Treviso) • Angelo Selicorni UOC di Pediatria, Presidio San Fermo, ASST Lariana, Como • Enrico Valletta UO di Pediatria, AUSL Forlì • Federica Zanetto Presidente ACP, Milano Redazione Emanuela Di Benedetto, Elisa Martecchini, Francesca Strami Abbonamenti Patrizia Pellaschiar Rivista mensile edita da Medico e Bambino sas, via Santa Caterina 3, 34122 Trieste Redazione: via Santa Caterina 3 - Trieste • tel. 040 3728911 • fax 040 7606590 redazione@medicoebambino.com Abbonamenti: via Santa Caterina 3 - Trieste • tel. 040 3726126 • fax 040 7606590 abbonamenti@medicoebambino.com Pubblicità e marketing: Quickline sas, via Santa Caterina 3, Trieste ombretta.bolis@gmail.com • servizioesecutivo@quickline.it Videoimpaginazione: Quickline sas, via Santa Caterina 3, Trieste Stampa: Starprint s.r.l. - via Amilcare Ponchielli, 51 - 24125 Bergamo N. repertorio ROC: 017934 d.d. 7/2/2009 Abbonamento annuale: ordinario: 90,00 euro • soci Ass. Culturale Pediatri: 70,00 euro • specializzandi: 35,00 euro • infermieri: 35,00 euro • estero (Europa): 135,00 euro. Costo di un numero: 9,00 euro • numero arretrato: 11,00 euro. Importo da versarsi sul c/c postale n. 36018893 intestato a Medico e Bambino sas, via Santa Caterina 3, 34122 Trieste • IBAN IT 51 V 07601 02200 000036018893. La fattura viene rilasciata solo su richiesta esplicita all’atto del pagamento. L’IVA è considerata nel prezzo di vendita ed è assolta dall’Editore ai sensi dell’art. 74, comma 1, lettera c, DPR 26/10/1972 n. 633. Abbonamento online: http://www.medicoebambino.com, cliccando su “Abbonati” Registrazione del Tribunale di Milano n. 364 del 3/10/1981 Poste Italiane SpA - Spedizione in AP - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/2/2004 n. 46), art. 1, comma 1, LO/MI Resi postali: c/o Ufficio di Milano Roserio - CMP Roserio MI2 Testata volontariamente sottoposta a certificazione di tiratura e diffusione in conformità al Regolamento CSST - Certificazione Editoria Specializzata e Tecnica CERTIFICAZIONE EDITORIA SPECIALIZZATA E TECNICA

A member of IFABC International Federation of Audit Bureaux of Circulations

Per il periodo 1/1/2019 - 31/12/2019 Periodicità: Mensile Tiratura media: 6000 copie Diffusione media: 5144 copie Certificato CSST n. 2019-3047 del 24/2/2020 Società di revisione: Fausto Vitucci

Informativa I dati sono trattati elettronicamente e utilizzati dall’Editore “Medico e Bambino” per la spedizione della presente pubblicazione e di altro materiale medicoscientifico. Ai sensi dell’art. 7 D.Lgs. 196/2003 è possibile in qualsiasi momento e gratuitamente consultare, modificare e cancellare i dati o semplicemente opporsi al loro utilizzo scrivendo a: Medico e Bambino, via Santa Caterina 3, 34122 Trieste. abbonamenti@medicoebambino.com


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Editoriali

210 Su la maschera: è un ordine! G. Longo L’utilizzo delle “mascherine” è una delle misure chiave nel contenimento dell’epidemia da Covid-19. Ce ne siamo accorti tardi! 211 Ciao nonno G. Tamburlini La comunicazione della morte dei nonni ai nipoti era già ardua. Ora, nell’epidemia, lo è diventata ancora di più. Ma occorre farlo, trovare un modo per salutare, e poi ricordare. 212 Danni collaterali E. Barbi, A. Apicella Le visite in Pronto Soccorso sono diminuite dal 70% al 90%, ma sono stati ricoverati bambini in condizioni gravi. Il rischio di una emergenza sanitaria che andrebbe in tutti i modi evitata.

213 La pagina gialla a cura di Alessandro Ventura Goccioline del contagio e mascherine; FANS e polmonite; anticorpo monoclonale e ipercolesterolemia familiare; complicanza coronarica della malattia di Kawasaki; terapia dell’emangioma infantile; la Medicina dei grandi numeri: la tubercolosi.

215 Il graffio a cura di Alessandro Ventura L’attesa.

215 Lettere Giù le mani dai bambini; in memoria di Carlo Urbani e di tanti operatori sanitari; Covid-19: incidenza, sintomi e immunità; Covid-19: famiglie e bambini con bisogni speciali. News box a cura di Federico Marchetti

219 Covid-19 e bambini: le due facce di una diversa medaglia F. Marchetti, C. Guiducci Si tratta ora di spostare l’attenzione dell’impatto della crisi sanitaria sulle famiglie e su bambini e adolescenti. In modo particolare sulle famiglie, per diversi motivi, più fragili.

222 Come eravamo L’Italia ai tempi della Spagnola Aggiornamento

223 Covid-19 e risposta immune S. Volpi, S. Naviglio, A. Tommasini Conoscere la fisiopatologia del Covid-19 per un migliore approccio terapeutico, focalizzato alle diverse fasi dell’infezione.

Farmacoriflessioni

232 Farmaci, sperimentazioni, registri, nei tempi dell’emergenza del coronavirus M. Fontana, G. Zuin, A. Addis, F. Marchetti Come la pandemia ci costringe a ripensare l’utilità della sperimentazione clinica e ciò che è essenziale perché sia efficace per la buona pratica clinica. Per non procedere in ordine sparso.

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Appunti di Neuropsichiatria

237 Covid-19 e salute mentale in età evolutiva: l’urgenza di darsi da fare G. Abbracciavento, M. Cognigni, G. Riccio, M. Carrozzi Ognuno di noi dovrebbe prenderne atto impegnandosi a dare una risposta operativa personale prima ancora che istituzionale.

241 Pagine elettroniche SIN: allattamento e infezione da SARS-CoV-2. Problemi speciali

243 Il bambino con eccesso di crescita tra variabilità clinica ed eterogeneità genetica G. Serra, M. Schierz, V. Antona, C.F. Giardina, M. Giuffrè, E. Piro, G. Corsello Grandi progressi conoscitivi e implicazioni operative. Quando prenderli in considerazione e cosa fare nella pratica?

Ricerca

249 La profilassi della malattia reumatica in Italia A. Taddio, R. Pillon, S. Pastore, et al. Negli ultimi 60 anni la terapia e la profilassi sono rimaste invariate. Una ricerca sul campo, questa, che ci dice che è forse il tempo di riconsiderare l’approccio alla malattia reumatica.

Osservatorio

253 Cartoline dalla scienza

a cura del Science Centre Immaginario Scientifico Ricostruzione 3D da microscopia crio-elettronica.

254 Cartoline dal mondo: le voci dei bambini a cura di Giorgio Tamburlini Che cos’è che in aria vola?

255 Casi indimenticabili L’iperostosi corticale infantile; una polmonite complicata che è una malattia di Kawasaki.

262 Dermo mail a cura di Irene Berti Manifestazioni acrali di tipo ischemico/vasculitico e Covid-19? Oltre lo Specchio

263 100 anni di cure neonatali: l’esperienza trentina D. Pedrotti Un’esperienza che ha cambiato, come modello italiano e internazionale, la storia della Neonatologia. Una Neonatologia dal volto umano.

269 Bianca BLOB a cura di Paola Rodari Emergenza coronavirus: effetti collaterali.

Pagine elettroniche - www.medicoebambino.com

Ricerca • Intossicazione acuta da cannabinoidi in età pediatrica (E. Ponticiello, L. Ruggiero, A. Bonadies, P. Marzuillo, M. Rosa, V. Tipo) Casi contributivi • Insolita associazione di malattia di Kawasaki e sclerosi tuberosa in un lattante (R. Oliveto) Pediatria per immagini • MER… avigliosamente Scompare: Mild Encephalitis/encephalopathy with Reversible Splenial lesion (S. Ventresca, C. Guiducci, S. Tagliani, S. Dal Bo, P. Ricciardelli, P. Cenni, F. Marchetti) Il punto su... • Allattamento e infezione da SARS-CoV-2 (SIN, R. Davanzo, F. Mosca) Casi indimenticabili • Iperemesi da cannabinoidi: se la conosci la riconosci (P. Elefante) • Poco reattivo... con la coccarda (A. Imperatore, G. Buzzo) • Idronefrosi intermittente, dolore addominale e vomito: non è vomito ciclico! (M. Palazzo, F. Pugliese, L. Caponi) I poster degli specializzandi • “Occhio al gatto”; la toxoplasmosi retinica (V. Migliarino) • Mauro e la sua febbre che non se ne va mai (V. Del Volgo) • Mal di cuore (V. Moressa) • Implementazione dell’analisi dell’esoma nella pratica clinica: uno studio di fattibilità (A. Aversano) Striscia... la notizia a cura di M.V. Abate


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Editoriali

Editoriali

SU LA MASCHERA: È UN ORDINE! Nelle misure per la contenzione dell’epidemia da Coronavirus l’utilizzo delle “mascherine” andrebbe fortemente raccomandato, ripreso, ripetuto, “gridato” con forza, auspicabilmente reso obbligatorio per legge in quanto rappresenta per questa infezione una delle misure chiave nel contenimento dell’epidemia. Ma perché questo presidio fondamentale di prevenzione diventi realmente efficace è importante che sia adottato da tutti e perché questo succeda è essenziale capire, e far capire, i meccanismi di trasmissione del coronavirus e il perché della sua rapidissima diffusione malgrado tutte le pesanti misure di contenimento già introdotte. La poderosa ricerca scientifica sul Covid-19 ci permette oggi di comprendere meglio i meccanismi, in parte singolari e peculiari, con i quali si diffonde l’infezione e questo ci permette di migliorare i nostri comportamenti di contrasto. Tre sono gli aspetti più rilevanti nella propagazione dell’epidemia. 1. Il primo è che il coronavirus, pur causando molti morti (anziani e/o defedati in particolare), ha un ventaglio di forme cliniche molto ampio: i gravi rappresentano soltanto la punta dell’iceberg; i più hanno sintomi simil-influenzali, ma la maggior parte (è stato stimato che può arrivare fino al 90% degli infetti!) non ha alcun sintomo, o solo sintomi lievi, o lievissimi, tanto da non attirare nemmeno la loro attenzione, né impedirne le normali attività di vita e/o di lavoro (nel morbillo ogni infettato, se non già immune, si ammala ed esprime la malattia in pieno). Con il coronavirus questi “infettati sani”, o paucisintomatici, sono perlopiù persone giovani, o comunque in età lavorativa. Si è calcolato che l’80% delle infezioni conclamate (quelle che richiedono terapie e ricovero) sono legate a contatti con questi che potremmo chiamare “contagiatori sani” (incolpevoli, ignari, ma pur sempre “contagiatori”). Senza dimenticare che a contagiare sono anche i pazienti qualche giorno prima di avvertire i primi sintomi e per tempi non ancora ben definiti anche dopo avvenuta la guarigione1. 2. La seconda caratteristica peculiare del Covid-19, anche questa singolare rispetto ad altri virus più comuni, è quella di poter sopravvivere molto a lungo (giorni!) su oggetti contaminati. Questo rende possibile contrarre l’infezione anche per contatti indiretti che sono certamente più difficili da prevedere e da evitare2. 3. Infine, come gli altri coronavirus, il Covid-19 si trasmette attraverso le goccioline (droplet) emesse con il respiro, la tosse, gli starnuti, o il semplice parlare. Questo però può succedere soltanto nei contatti ravvicinati (entro una distanza interpersonale di circa 1,8 metri)3,4. Questo dato è molto importante perché il contagio da coronavirus non avviene per via aerea semplice (sic!) come invece succede con altri virus più contagiosi come quello del morbillo e della varicella, che, sospesi nell’aria, possono infettare anche a distanza e per i quali non è necessario il “faccia a faccia”. Per sintetizzare usando una metafora bellica, il coronavirus ha ideato una strategia di guerra micidiale che prevede di tenere nascosta e non indentificabile una parte rilevante del suo

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TUTTI CON LA MASCHERINA “CHIRURGICA” (o fatta in casa)

Proteggiamo noi stessi

Proteggiamo gli altri

La maggior parte delle persone infette da coronavirus sono senza sintomi, ma in grado di infettare gli altri. Bisogna pertanto essere consapevoli che potenzialmente siamo tutti infetti, ma anche che, indossando la mascherina, viene bloccata in modo pressoché totale la possibilità di contagiare. Pertanto, per la salute di tutti, ogni persona che esce di casa ed entra in luogo pubblico dovrebbe farlo dopo aver indossato la mascherina. Come, e a maggior ragione, dovrebbero averla le persone che per lavoro sono a contatto con il pubblico: uffici, forze dell’ordine, ma specialmente addetti alla vendita di alimentari, farmacisti, giornalai ecc. Consigliamo la visione del video: https://youtu.be/xsKfvETXDvg.

esercito (gli infetti senza sintomi: i “contagiatori sani”) in modo che possano girare liberamente tra le fila nemiche (i luoghi pubblici) diffondendo il virus con le goccioline respiratorie e contaminando così maniglie delle porte, degli autobus, dei carrelli dei supermercati, ma anche alimenti vari, frutta e verdura con o senza contenitore sigillato. Goccioline infette sparse potenzialmente su ogni cosa, come fossero mine anti-uomo pronte a infettare l’incauto passante. Se pensiamo soltanto all’alta frequentazione dei supermercati comprendiamo che è statisticamente impossibile che quanto detto non succeda quotidianamente (da qui la ben nota e fondamentale raccomandazione di lavarsi bene le mani dopo essere rientrati a casa e di non toccarsi viso, bocca e occhi prima di averle lavate). Questo oggi ci è dato di sapere e su queste evidenze dovremmo adattare le nostre contromisure per evitare l’infezione e rendere più efficace il contenimento dell’epidemia. Ma tutto questo ci fa anche comprendere perché lo sforzo senza precedenti adottato per limitare la diffusione del virus e che trova nel “tutti a casa” la misura più restrittiva non abbia dato i risultati sperati. Il “tutti a casa” ha infatti una inevitabile e prevedibile falla, tanto grossa quanto gravemente sottovalutata, quella di consentire a tutti di uscire per “situazioni di necessità” (al supermercato, in farmacia, dal tabaccaio, giornalaio ecc.) senza l’obbligo di mascherina. Non posso pensare che si sia trattato di una semplice (se fosse così: gravissima) dimenticanza di chi ci governa, mentre immagino che il motivo sia semplicemente la mancanza di mascherine in commercio. Ma se anche così fosse si tratterebbe di una colpa grave perché bastava comunicare alla gente che, ai fini del non diffondere il virus, un foulard da legare dietro la testa a coprire naso e bocca fa lo stesso servizio della mascherina, se non meglio, come pure una sciarpa, o quello che sia (vedi mascherina di stoffa fai da te). E questo proprio per il tipo di trasmissione del coronavirus che, come detto, avviene attraverso goccioline respiratorie che, per quanto piccole, sono comunque sempre sufficientemente grossolane da essere bloc-

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Editoriali

Editoriali

cate da qualsiasi “fazzoletto” di stoffa, o carta (sic!), o da quello che sia (basta che sia!). In questo immagino anche il numero di soluzioni “fai da te” che sarebbero spuntate immediatamente sui social e che avrebbero avuto anche il grande effetto positivo di stemperare e raffreddare l’angosciata attesa delle tanto promesse “mascherine per tutti”.

4. Gruppo di lavoro ISS Prevenzione e controllo delle Infezioni. Indicazioni ad interim per un utilizzo razionale delle protezioni per infezione da SARS-CoV-2 nelle attività sanitarie e sociosanitarie (assistenza a soggetti affetti da Covid-19) nell’attuale scenario emergenziale SARS-CoV-2. Versione del 28 marzo 2020. Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2020 (Rapporto ISS Covid-19, n.2/ 2020 Rev.).

Comunque sia, anche in attesa delle mascherine, sarebbe oltremodo urgente (oltre che facilmente fattibile) avviare una campagna di educazione sanitaria da trasmettere e diffondere in modo martellante a tutta la popolazione. Questo perché il primo passo propedeutico all’obiettivo “quando fuori casa tutti con la mascherina” è quello di far comprendere queste elementari nozioni di Igiene pubblica in modo da ribaltare l’erronea convinzione di chi (e sono la maggioranza) vede nella mascherina (confondendo quella semplice, di uso comune, con quella professionale dei sanitari che operano nei reparti con pazienti affetti da Covid-19) soltanto un modo per difendere se stesso dall’infezione, invece che consideralo uno dei presidi più importanti per non diffondere l’infezione.

CIAO NONNO

Si tratta in altre parole di far comprendere bene alla gente che nessuno è, a priori, esente da infezione e che tutti, anche chi si sente in piena forma, forte e sano, potrebbero essere inconsapevolmente un veicolo di Covid-19, un “contagiatore sano”. Una banalità, ma con un valore preventivo straordinario per interrompere la catena dei contagi. Lo slogan deve diventare: tutti con la mascherina per non infettare gli altri, non, o non solo, per non infettarsi. Purtroppo questo è stato, e continua a essere, l’equivoco di base che caratterizza oggi la confusione mediatica relativa alle mascherine. Spiegare con chiarezza questi aspetti dovrebbe portare a un altro importante risultato, quello di indurre la gente stessa a riprendere, rimproverare e, perché no, a isolare le persone senza mascherina (i potenziali “contagiatori”). In altre parole far diventare tutti guardiani della salute di tutti, anche senza scomodare la Polizia. Ma servirebbe anche a sensibilizzare e porre più attenzione sul lavarsi le mani, sciacquare la merce acquistata ecc. L’ho fatta lunga, ma questo della “mascherina obbligatoria per tutti” rappresenta un vero e proprio “uovo di Colombo”: è la più semplice misura da adottare e probabilmente una delle più efficaci. Sorprende che nessuno tra chi di dovere l’abbia ancora detto con la necessaria fermezza e non sia stata ancora inserita tra le misure più urgenti da adottare..

Mentre scriviamo sono arrivate a diecimila le vittime dell’epidemia, senza contare i non contati. Nella loro stragrande maggioranza sono nonni, e qualche bisnonno. Nella loro grande maggioranza se ne sono andati da soli, senza lo sguardo o la mano di qualche familiare, al massimo quella di un infermiere o di un medico. Il più delle volte già sedati. Già fa molto male pensarlo. Ma per un nonno o una nonna che se ne va, ci sono uno o più nipoti che non ce l’hanno più. Ma lo sanno, l’hanno saputo? E come? Niente cerimonie, niente funerali, niente visite in camera mortuaria o almeno un saluto a qualcuno, qualcosa che contenga o che rappresenti chi è scomparso. Quali parole hanno sentito, i nipoti? Chi gliele ha dette? Con quale forza? Abbiamo nascosto la morte per decenni, cacciata nella foresta buia, esorcizzata, come qualcosa di cui non si può parlare. Abbiamo raccontato storie più o meno verosimili, a volte per nulla, per spiegare la scomparsa di un congiunto o di un amico ai nostri bambini. La celebrazione della morte ha coinciso per millenni con le massime espressioni della civiltà umana. L’accompagnamento dei defunti ha creato linguaggi, religioni, musiche, arti, manufatti che ancora restano, per i contemporanei, che li visitano ammirati. Ma la morte, questo supremo passaggio che li aveva creati, è scomparsa. Relegata, oggi, agli schermi, ai videogiochi, disumanizzata. E spesso nascosta: “è troppo piccolo”; “non vorrei che soffrisse”; “non so cosa dire”; “aspettiamo”. Comprensibile. Ma ai bambini bisogna parlare. Se non fanno domande a noi, se le fanno da soli. Spesso attribuiscono a se stessi la responsabilità di quanto è accaduto. Coltivano pesi, e ne manifestano i segni. Certo, dipende dall’età del bambino:all’inizio è un viaggio, un sonno, insomma una cosa reversibile. Poi, con gli anni, diventa irreversibile. Comincia a corrispondere a un’idea, quella di una cosa definitiva, che non torna. La comunicazione della morte era già ardua. Ora, nell’epidemia, lo è diventata ancora di più. Come parlarne se ne mancano il corpo testimone, o i suoi simboli, o le sue cerimonie? Ma occorre farlo, trovare un modo, creare una qualche cerimonia, per poter salutare, e poi ricordare. È difficile, è dura, ma troviamo,

Giorgio Longo

Bibliografia 1. Li R, Pei S, Chen B, et al. Substantial undocumented infection facilitates the rapid dissemination of novel coronavirus (SARS-CoV-2). Science 2020 Mar 16 [Epub ahead of print]. 2. van Doremalen N, Bushmaker T, Morris DH, et al. Aerosol and surface stability of SARS-CoV-2 as compared with SARS-CoV-1. N Engl J Med 2020 Mar 17 [Epub ahead of print]. 3. Giacomet V. Stracuzzi M, Rubinacci V, Zuccotti GV. SARS-CoV-2: quali implicazioni nella polazione pediatrica. Medico e Bambino 2020;39(2):93-6.

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Editoriali

Editoriali

intanto, le parole. E poi i segni, i disegni, gli oggetti, i suoni, per ricordare. E poi ancora, quando tutto si sarà calmato, ritroveremo anche i luoghi. Della morte, e della sua celebrazione, abbiamo bisogno, noi grandi come i piccoli. La sua presenza è necessaria alla vita, per darle forma, senso, direzione. Salutiamo il nonno? Sì. Ciao nonno. Ciao nonna. Giorgio Tamburlini DANNI COLLATERALI Siamo in piena emergenza pandemia, mille morti circa al giorno. È come se ogni giorno ci fosse il terremoto del Friuli del 1976, per i più vecchi della Regione che hanno memoria. Siamo chiusi in casa, le attività di routine, non urgenti, anche mediche, sono sospese per limitare il contagio. Il contesto emotivo è facile da capire, siamo tutti spaventati, chi è vecchio è giustamente molto più coinvolto, chi è giovane si preoccupa delle persone a cui vuole bene. C’è un risvolto sociale che diventerà sempre più pesante nelle settimane, altrettanto drammatico nella sua inevitabilità: chi ha un lavoro occasionale o precario, o lavora nei Servizi che saranno chiusi per mesi (ristorazione, turismo…), non ha stipendio o rischia di averne sempre meno. Tutto inevitabile, tutti giusti i provvedimenti presi, è una calamità naturale e punto. Oppure, come dice qualcuno: “è come in tempo di guerra”. Vero, tanto che, come in tempo di guerra, cominciamo a contare i danni collaterali e i danni del “fuoco amico”. Di cosa stiamo parlando? L’attività dei nostri Pronto Soccorso (PS) e dei nostri ambulatori di famiglia è scesa in maniera drammatica, grosso modo dal 70% al 90%, misurata con numeri certi, con un trend in ulteriore calo. È giusto, non si viene in PS o in ambulatorio per niente, e i contatti vanno limitati al massimo per evitare il contagio. E poi è vero, non ci sono più i traumi, le infezioni con le scuole chiuse calano, una quota certa delle visite era inutile e serviva solo a sedare ansie inconsistenti. Però purtroppo le malattie ci sono ancora, i bambini si ammalano di tumore, epilessia, diabete, appendicite, stenosi pilorica, rare ma ancora presenti infezioni, malattie autoimmuni. E poi cosa succede ai bambini più fragili, ai cerebropatici gravi, ai bambini con patologia neuro-muscolare cronica, agli immunodepressi e a tutti i bambini con patologia cronica severa se il livello di cure, monitoraggio, attenzione e prevenzione si abbassa? Cosa succede se un atteggiamento sacrosanto di distanziamento fisico viene male interpretato, se l’accesso in PS diventa un’ultima spiaggia, se si pensa che “il pediatra di famiglia non visita più i bambini”?

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Succede che resta a casa anche un bambino che ha la febbre da giorni, che vomita ripetutamente o che è polipnoico. Succede che viene portato in PS in extremis e che finisce in Rianimazione, o addirittura muore, ovviamente mai di Covid. I dati di una nostra recente sorveglianza fatta “al volo”, via mail, con vari PS italiani sono eclatanti: nell’ultima settimana le visite sono crollate praticamente dell’80-90% ma, non solo la percentuale di ricoveri per urgenze vere è ovviamente aumentata, sono invece arrivati bambini gravissimi. Solo per dare la misura: stenosi pilorica con vomito da giorni tenuta a casa come gastroenterite che arriva in shock gravissimo da disidratazione, due casi di chetoacidosi diabetica con polipnea, uno interpretato come “respiro ansioso” che arrivano entrambi con 6,8 di pH nello stesso ospedale e finiscono direttamente in Rianimazione, 3 bambini sindromici gravi arrivano in ritardo per difficoltà ad avere una valutazione domiciliare per storie di ematemesi, scarsa reattività e febbre da molti giorni e muoiono in ospedale, una lattantina febbrile nord-africana arriva in PS dopo 7 giorni di febbrone in shock settico per uro-sepsi, un bambino con leucemia all’esordio che decede per piastrinopenia gravissima. Una casistica di una dozzina di casi, di cui metà ricoverati in Terapia Intensiva e un terzo deceduti. In metà dei casi le famiglie avevano avuto un contatto con il Sistema Sanitario, ma o la valutazione domiciliare non era stata fattibile o l’accesso in PS era stato scoraggiato per un malinteso sulla gravità dei sintomi o forse, infine, per tutti i casi, le cose non hanno funzionato per la paura di far contrarre al bambino l’infezione. La tragedia dell’infezione da Covid non finirà presto, purtroppo. In questa guerra, per quanto riguarda i bambini, il “fuoco amico” rischia di fare ben più danni del nemico stesso. Lo stiamo già facendo, ma forse è utile ripeterlo a noi stessi: sta a noi pediatri dare i messaggi appropriati, creare il clima giusto, continuare ancor più a educare il genitore a riconoscere i campanelli di allarme, dire chiaramente che questa infezione non è più pericolosa di altre in età pediatrica e che qualsiasi bambino che sta male o che “non convince” deve essere comunque sempre visitato, senza paura alcuna. Ancora di più è il momento di prendersi cura dei pazienti con malattia cronica complessa, telefonare, scrivere mail, usare videochiamate come se fosse telemedicina, tenere un contatto per far sentire che ci siamo per qualsiasi dubbio. Se ricordiamo bene, nel romanzo La peste, di Camus, il dottor Rieux spiega al suo amico Rambert che l’unica cosa decente che si possa fare in una epidemia è essere un uomo onesto. Quando questi gli chiede: “cos’è l’onestà?”, gli risponde: “non so cosa sia in generale, ma nel mio caso è fare il mio mestiere”. Egidio Barbi IRCCS Materno-Infantile “Burlo Garofolo”, Trieste Andrea Apicella AORN Santobono Pausilipon, Napoli

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La pagina gialla a cura di Alessandro Ventura

Goccioline del contagio e mascherine. Diciamocelo: non ce n’era bisogno. Ma adesso la prova, anche visiva, ci viene data dal N Engl J Med: in un esperimento le cui bellissime immagini potete godervi liberamente sul sito www.nejm.org. Ebbene sì! Quando parliamo, soprattutto pronunciando le consonanti dentali, spargiamo nell’aria un aerosol di goccioline, potenziali vettori di infezioni virali. Ma tenendo una qualsiasi mascherina davanti alla bocca nessuna emissione è registrabile dal complesso meccanismo a luce laser con cui è stato condotto l’esperimento (Anfinrud P, et al. N Engl J Med 2020 Apr 15 [Epub ahead of print]). Nell’esperimento in questione, le goccioline aerosolizzate emesse con la parola risultano più piccole di quelle emesse con i colpi di tosse o con gli starnuti, e in questo senso ancor più pericolose per il contagio perché destinate a rimanere più a lungo sospese nell’aria e a depositarsi su superfici a “portata di mano”. Di fatto si tratta della scoperta dell’acqua calda. Una ovvietà che, come scritto da Giorgio Longo in questo numero (Su la Maschera: è un ordine, pag. 210), avrebbe imposto un messaggio chiaro fin dall’inizio, del tipo: “se tutti indossiamo la mascherina (o una sciarpa) davanti a naso e bocca ci difendiamo reciprocamente dal contagio”. Viene difficile accettare che su questo punto la presa di posizione delle istituzioni sanitarie, e di conseguenza l’informazione che abbiamo ricevuto, sia stata titubante, incerta, contraddittoria (mentre al contempo ci è stato continuamente ripetuto di starnutire nella piega del gomito…). Oltretutto, come rimarcato da un bellissimo editoriale del Lancet, l’informazione che porti all’uso consapevole della mascherina per fermare il contagio, rappresenta forse il mezzo più efficace per far sì che tutti si sentano protagonisti nella lotta all’epidemia, facendo leva e valorizzando i sentimenti che più aiutano un popolo nei momenti difficili: l’altruismo e la solidarietà (Cheng KK, et al. Lancet, published online April 16 2020 [Epub ahead of print]). FANS e polmonite: più no che sì. La domanda a cui provano a dare risposta gli Autori della metanalisi (7 studi: tre retrospettivi, tre prospettici, due randomizzati controllati) riguar-

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da la possibile associazione tra uso di FANS (ibuprofene nella fattispecie) nelle infezioni delle basse vie respiratorie e aumentato rischio di complicanze (l’empiema, ad esempio, o la polmonite necrotizzante) (Skehin K, et al. Arch Dis Child 2020;105(4):40810). La domanda appare giustificata dalla ben nota azione antibatterica della febbre stessa (e dal conseguente possibile danno del sopprimerla) e anche dall’evidenza in studi ex vivo di un effetto attenuante dei FANS sulla attivazione leucocitaria e, più in generale, su tutta la cascata citochinica infiammatoria: strumenti questi, entrambi, di ottimizzazione della risposta immune innata. Le evidenze raccolte, con tutti i loro limiti e con diversa potenza, sono concordi nel dirci di sì: il rischio di complicanze come l’empiema sembra maggiore se viene usato l’ibuprofene (i meno numerosi studi in questo senso eseguiti con il paracetamolo giungono invece a conclusioni contraddittorie tra di loro). E sì, sembrerebbe ragionevole non utilizzare l’ibuprofene nei bambini con infezioni delle basse vie respiratorie. Ma gli stessi Autori della metanalisi non si sentono, alla fine, di esprimere sicurezze assolute e attribuiscono a queste stesse evidenze il misero punteggio di C. Soprattutto perché il complesso degli studi analizzati (tranne forse uno) non sembrano rassicurare da un errore primordiale (protopathic bias): quello che siano stati più frequentemente trattati con ibuprofene (e a più alte dosi) proprio i casi già più gravi in partenza e per questo più altamente febbrili. Bah, difficile (e forse sbagliato) esprimere un parere conclusivo. Ma intanto, forse, se proprio vogliamo usare un antipiretico saremo almeno giustificati a scegliere un’alternativa ai FANS (paracetamolo). Abbasso il colesterolo: ma come? L’ipercolesterolemia familiare eterozigote è caratterizzata da elevati livelli di colesterolo LDL fin dall’età pediatrica ed è associata a un significativo rischio di mortalità precoce per eventi cardiovascolari. Tanto vero è tutto questo che lo screening genetico della malattia è considerato opportuno in maniera biunivoca: in tutti i figli degli adulti diagnosticati (per poter, al caso, mettere in atto tempestivamente, fin dagli otto-dieci anni la terapia con le statine) così co-

me anche in tutti i genitori di bambini in cui per qualche motivo, magari fortuito, si sia giunti alla diagnosi (per utilizzare eventualmente al meglio lo spazio temporale residuo per un intervento terapeutico efficace). Tra le terapie che hanno rivoluzionato l’approccio terapeutico all’ipercolesterolemia familiare nei pazienti più gravi e meno responsivi alle statine c’è l’anticorpo monoclonale contro una proteina (PCSK9) sintetizzata dal fegato la cui funzione è quella di degradare il recettore epatico dell’LDL e quindi di aumentarne la concentrazione e la tossicità vascolare. Questa terapia, in grado di ridurre di più del 50% l’LDL, ha lo svantaggio di dover essere somministrata bisettimanalmente e poco si addice, anche per il costo, a trattamenti di lunga durata. Viene ora proposta una terapia molecolare, basata sulla somministrazione molto distanziata (giorni 1-90-270-450, in pratica 4 dosi in un anno e mezzo) di micro-RNA interferenti con la sintesi stessa di PCSK9 (Raal FJ, et al.; ORION-9 Investigators. N Engl J Med 2020 Mar 18 [Epub ahead of print]). Bene. Questo trattamento eseguito sottocute in 482 adulti con ipercolesterolemia familiare si è dimostrato efficace a ridurre i livelli di LDL di circa il 50% in maniera stabile fino a un mese dopo la sospensione del farmaco, con il 65% dei casi che rimaneva a livelli di LDL inferiori a 100 mg% (!). Sì, è vero, parliamo di adulti. Ma parliamo anche di una condizione genetica già evidente e quindi attenuabile fin dall’età pediatrica. E parliamo soprattutto di uno dei tanti modelli di terapia molecolare (oligonucleotidi e simili) che stanno aprendo strade che mai avremmo sperato di percorrere. Dobbiamo conoscerle bene queste strade, seguirne lo sviluppo con interesse e attenzione da ognuna delle nostre diverse postazioni di lavoro. Anche e soprattutto per vigilare e avere sicurezza che siano strade cui tutti possano avere accesso. Kawasaki… a tappe. Un terzo dei casi di malattia di Kawasaki, lo si sa e lo si dice, sviluppa una dilatazione coronarica più o meno grave che può esitare in aneurisma gigante permanente o andare incontro a trombosi. Si sa e si dice anche che l’utilizzo tempestivo delle immunoglobuline endovena (IvIgG) riduce

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La pagina gialla questo rischio al 5%: con il limite, oggi ben verificato, che una quota variabile di bambini mostrano resistenza alla terapia e necessitano di un secondo ciclo di IvIgG e/o di una terapia antinfiammatoria di seconda linea. Quello che è meno chiaro, e che sarebbe utile sapere per non lasciare alcun paziente senza le cure più opportune, sono i tempi e le modalità di sviluppo (le tappe appunto) della eventuale complicanza coronarica della malattia. Uno studio retrospettivo su una casistica di 231 casi di malattia di Kawasaki diagnosticati presso un Centro pediatrico delle isole Hawaii (tutti trattati con IvIgG entro il decimo giorno di febbre, il 28% dei quali ha sviluppato nel tempo almeno una alterazione coronarica) richiama la nostra attenzione sull’ampio lasso di tempo in cui le lesioni coronariche possono comparire dopo l’inizio della febbre e quindi sulle più corrette modalità del follow-up ecocardiografico di questi pazienti (Ma S, et al. J Pediatr 2020;218:72-7). La comparsa delle alterazioni coronariche all’ecocardiografia avviene mediamente all’undicesimo giorno di malattia (inteso come giorno dall’esordio della febbre). Nella esperienza degli Autori il 10% dei casi con ecocardiografia negativa al momento della diagnosi, ha sviluppato in seguito un’alterazione coronarica documentata all’ecocardiografia, documentabile tra la seconda e la terza settimana di malattia. È proprio tra questi casi con sviluppo tardivo delle alterazioni coronariche che c’è la più alta concentrazione di lattanti di età inferiore ai sei mesi e il più alto rischio di esiti a distanza (trombosi, aneurisma gigante persistente, miocardiopatia ischemica). Poiché tutti i casi con esiti permanenti avevano alterazioni coronariche evidenti all’ecocardiografia eseguita nella terza settimana di malattia, gli Autori concludono che, come del resto già suggerito da molte linee guida, l’esecuzione di un secondo ecocardiogramma tra il giorno 15 e 21 dall’esordio della febbre è irrinunciabile. Forse lo sapevamo già, ma questa casistica ha l’autorevolezza per venire a confermarcelo.

canti nella cura dell’emangioma infantile ha poco più di dieci anni e ha radicalmente mutato il nostro approccio terapeutico al problema. L’azione del farmaco si ritiene mediata dal suo legame inibitorio con i recettori beta-adrenergici, di cui i vasi dell’emangioma infantile sono molto ricchi, con conseguente vasocostrizione (ecco l’impallidimento evidente già dopo le prime dosi) e inibizione dei fattori di crescita vascolare (VEGF, BFGF e altri ancora). Agli stessi recettori beta-1 e beta-2adrenergici si legano peraltro anche le catecolamine attivanti, stimolando (come dimostrato da studi in vitro) la vasodilatazione e la crescita dell’emangioma. Uno studio “per caso” ci dà prova eclatante della reale rilevanza clinica di tutto ciò (Knöpfel N, et al. Pediatrics 2020; 145(3):e20191942). Si tratta di un bambino che era stato trattato con successo quasi completo per un emangioma molto voluminoso al dorso all’età di 6 mesi (era residuata solo una chiazza piana rosata). Quando all’età di 23 mesi, 10 mesi dopo la sospensione del propranololo, ricevette un trattamento endovenoso con un beta-2-stimolante (salbutamolo) per una gravissima crisi broncostruttiva, non solo la chiazza in sede del pregresso emangioma riprese colore (vasodilatazione) ma, come ben documentato dalla sequenza fotografica, aumentò di volume e spessore (angiogenesi) per poi tornare al punto di partenza in un paio di mesi dalla sospensione della terapia beta-adrenergica. La cosa, ci ricordano gli Autori, non deve meravigliarci poi tanto visto che la densità di recettori beta-adrenergici rimane molto elevata anche nell’emangioma involuto. Come non entusiasmarsi almeno un po’ per una prova così convincente in vivo (la prima secondo gli Autori) della regolazione catecolaminica della crescita dell’emangioma e al contempo del significato patogenetico della terapia betabloccante che utilizziamo di routine? E come non chiedersi se qualcosa del genere non sia accaduto anche in qualche nostro paziente senza che noi ci facessimo caso?

Terapia dell’emangioma infantile. Una significativa controprova. La scoperta dell’efficacia dei betabloc-

Repetita juvant? In uno scenario in cui domina ciò che è “piccolo” (la Medicina dei geni e delle molecole,

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il trattamento individualizzato di singoli pazienti), vediamo ogni tanto ricomparire la Medicina del “grande” (grandi numeri, grandi gruppi di ricercatori, screening e studi su intere popolazioni, necessità e utilità di grandi studi epidemiologici). Ne è esempio drammatico la pandemia di Covid-19, ma non solo. Perché, in generale, le “grandi” malattie trasmissibili (AIDS, malaria, tubercolosi), pur se in diminuzione, occupano ancora i primi posti a livello mondiale tra le cause di morte. Peculiare è il caso della tubercolosi, i cui casi pediatrici sono in gran parte conseguenza di un contatto con un adulto infetto, ma le cui strategie per un riconoscimento precoce e una precoce profilassi farmacologica poggiano ancora su studi che risalgono agli anni ’50. Di recente, tuttavia, a opera di un gruppo di ricercatori americani, è uscito sul Lancet uno studio di grande importanza epidemiologica che ci aiuta a fare un punto aggiornato sull’argomento (Martinez L, et al. Lancet 2020;395 (10228):973-84). Si tratta in pratica di una revisione sistematica con metanalisi degli studi che hanno indagato lo sviluppo della malattia in bambini e adolescenti (< 19 anni) che avevano almeno un contatto familiare adulto affetto da tubercolosi. Gli end-point principali erano il rischio di comparsa di TBC (stratificato per età, regione geografica, comorbidità ecc.) e l’efficacia della terapia preventiva e/o della vaccinazione con BCG nel modificare questo rischio. Dopo aver analizzato 46 studi di coorte, condotti in 34 Paesi (7 europei), per più di 420.000 anni-paziente (media = 10,5), gli Autori concludono che qualsiasi tipo di profilassi anti-tubercolare (isoniazide per 6 mesi o 9 mesi, isoniazide e rifampicina per tre mesi, solo rifampicina per tre mesi) risulta avere una efficacia superiore al 60% nel prevenire la comparsa di malattia nei due anni successivi al contagio e che questa efficacia è tanto migliore quanto più precocemente la profilassi stessa è viene instaurata. Sapevamo già tutto? Probabilmente sì, però il vederlo confermato dai “grandi” numeri (che vogliono dire ampi range di età, di etnia, e di condizioni socio-economiche) è sempre confortante (a cura di Massimo Fontana).

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Lettere

Lettere Le lettere sono sempre gradite, e vengono sempre pubblicate. Si prega solo una ragionevole concisione, cercando di non superare le 3000 battute. Qualche taglio editoriale e qualche intervento di editing che non alteri il senso della lettera saranno, a volte, inevitabili.

IL GRAFFIO

L’attesa

In questi giorni nefasti, profanati da troppe parole, tutti, credo proprio tutti, viviamo il sentimento dell’attesa: della fine dell’epidemia, della ripresa della “normalità”, della possibilità di sperimentare quello che il mondo sarà (tra un mese, tra due mesi, tra un anno, tra due anni…). Certo, le ferite che segnano questa attesa, l’impellenza e le prospettive da cui questa è pervasa, sono terribilmente diverse per ognuno e danno a ognuno un conforto o una trepidazione diversa nell’immaginare il futuro. Ma, chi più chi meno, siamo tutti un po’ sostenuti dal pensiero (dalla fantasia?) che superato il male potremmo forse far (ri)nascere un mondo migliore. Spesso, durante le ultime belle giornate, ho visto e mi sono fermato a osservare dal mio giardino le persone sedute sui terrazzini o affacciate alle finestre. E mi sono sorpreso a fantasticare sui loro pensieri, sul loro desiderio del “dopo”: sulla diversa intensità dell’attesa, appunto, che il loro sguardo, rivolto allo spazio, rivelava. Un’atmosfera impenetrabile, quella dell’attesa, espressa in maniera sublime nello splendido dipinto di Vittore Carpaccio “Due dame veneziane”. Forse non la più famosa delle sue opere (solo di recente, tra l’altro, è stata scoperta la reciproca appartenenza delle due parti che la compongono, tuttora esposte in due diversi musei); certamente però la più engmatica: dove l’attesa, sospesa nell’aria, si materializza nella fissità pensosa degli sguardi e nei simboli (i cani) che l’attesa stessa rappresentano. E, trasferendoci l’inquietudine di quello che verrà, ci trascina a riflettere e a perderci nel significato delle cose e dei valori della vita. Vi invito a perdervi in questo incanto. Perdersi nella bellezza aiuta a immaginare e a desiderare cose belle. E così facendo aiuta anche a immaginarsi e volersi migliori. È semplicemente così che dovremmo essere, migliori appunto, perché quello che verrà dopo la tragedia sia realmente desiderabile. Alessandro Ventura

Giù le mani dai bambini: sì, e senza ideologia Rispondo volentieri all’articolo pubblicato su Medico e Bambino di marzo scorso, con oggetto il rischio di derive “ideologiche” nell’approccio al disagio mentale dei bambini, e più specificatamente nel trattamento dell’ADHD, la sindrome dei bambini troppo agitati e distratti. Mi si permetta un pur breve inquadramento dello scenario che stiamo vivendo, perché senza un’analisi del contesto è impossibile comprendere qualunque fenomeno. Ovunque nel mondo cresce il numero di minori sottoposti a terapie con psicofarmaci, sia nel caso dei bambini iperattivi e troppo “distratti” a scuola, che nel caso -

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opposto - degli adolescenti “depressi”: inoltre, l’abbassamento dell’età media di prescrivibilità delle molecole psicoattive ha consolidato negli anni un business da oltre 20 miliardi di dollari all’anno, tra Europa e Stati Uniti. Quello che doveva essere per qualcuno “un problema solo americano”, interessa invece ora anche il nostro Continente, nonostante la massiccia somministrazione precoce di questi prodotti farmaceutici su cervelli ancora in via di sviluppo non sia considerata eticamente e clinicamente opportuna da non pochi rappresentanti della comunità scientifica, tanto meno come “soluzione di prima linea” per i problemi e disagi dei minori. Il marketing del farmaco si fa sempre

più aggressivo, ed è forse questo il vero problema, che interferisce anche con l’autonomia della classe medica: l’infanzia rappresenta un nuovo e molto redditizio segmento di business per le multinazionali farmaceutiche, le quali finanziano circa l’80% della ricerca mondiale, e - se è vero che ci salvano la vita con molti prodotti utili - è altrettanto vero che, ad esempio, tendono a non pubblicare mai le ricerche scientifiche con esito negativo, così da non nuocere al profilo commerciale dei propri brevetti, coma ha dimostrato ad esempio il caso clamoroso della paroxetina, molecola antidepressiva della Glaxo venduta come “sicura” grazie alla pubblicazione di studi scientifici alterati, e che invece era inefficace e anche pericolosa, dal momento che poteva stimo-

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lare idee suicidarie sui ragazzini, al punto che la casa farmaceutica ha dovuto ammettere le proprie colpe e pagare una multa miliardaria. Mentre qualche ostinato - forse eterodiretto, o carente di onestà intellettuale - continua a negare l’evidenza, sostenendo che non vi è stato negli anni un incremento delle diagnosi e della prescrizione e vendita di psicofarmaci, le Aziende dal canto loro sono più schiette, e parlano serenamente di mercato globale e miliardario degli psicofarmaci per bambini, pubblicando ricerche di mercato entusiaste sulla profittabilità di questo business, come è evidente leggendo l’analisi di fine 2019 sul sito MarketWatch, che parla senza timidezza, con riferimento anche ai farmaci per l’ADHD, di “profittabilità di un mercato redditizio e in espansione”. Niente di nuovo, ma trattasi di elementi da non trascurare nell’orientare le nostre scelte di salute e di cura. Veniamo al dunque, circa il Vostro Editoriale: è interessante notare come chi denuncia il rischio di “approccio ideologico” sia colui che ne vittima per primo, dal momento che applica al proprio ragionamento un elemento enormemente distorsivo, ovvero che il farmaco - di per sé da non demonizzare come strumento terapeutico, e ci mancherebbe - sarebbe invece l’unica cura possibile (e tutto il resto, quindi, “ideologia”). Peccato che sia proprio la Scienza, grazie al metodo scientifico, a evidenziarci esattamente l’opposto. È infatti scientificamente provato, e confermato da più di una metanalisi gold standard, che lo psicofarmaco non è mai di per sé, da solo, una soluzione, dal momento che si limita a intervenire sui sintomi, raramente li risolve, e non migliora il rendimento scolastico (senza considerare il problema degli effetti collaterali e iatrogeni). Esiste un “modello italiano” al trattamento dei problemi di comportamento dei minori, modello che con la sua rete di protezione ha permesso di “contenere” le prescrizioni improprie di questi discussi prodotti farmaceutici, ben illustrato dall’appello pubblicato sul sito delle Associazioni noprofit della Rete Sostenibilità e Salute; appello purtroppo caduto fin ora inascoltato dalla nostra mediocre classe politica, dal momento che nessun investimento per consolidare e rafforzare questo modello italiano è stato previsto nella manovra Finanziaria approvata l’autunno scorso. Come non essere d’accordo quindi con chi denuncia il pericolo della mancata presa in carico dei bambini iperattivi? Rispondo: ma chi ha mai sostenuto che non debbano essere presi in carico? L’imperativo però può essere uno solo: prudenza e applicazione del principio di precauzione, perché - ad esempio - la scuola non deve diventare l’anticamera dell’ASL. La domanda che

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dovremmo innanzitutto porci è la seguente: che tipo di risposta noi adulti siamo disposti a dare ai problemi dei più piccoli? Sedare il sintomo e basta, risolvendo il problema solo fintanto che il “distributore automatico di pillole” fa il proprio lavoro? Oppure indagare i motivi profondi del disagio, mettendoci noi stessi in discussione, e nel contempo difendendo un modello di intervento e di tutela, quello italiano, che ha garantito fino a oggi il contenimento del preoccupante e rischioso fenomeno dell’iper-medicalizzazione dei più piccoli? O vogliamo a tutti i costi trovare certezza di una diagnosi e della soluzione “facile” di una pastiglia miracolosa, piuttosto che doverci mettere noi stessi in discussione? Enrico Nonnis, dirigente di Neuropsichiatria infantile e membro di Psichiatria Democratica, ha affermato in una recente intervista concessa a un quotidiano nazionale: “A oggi, vi è incertezza che gli strumenti approntati dall’Istituto Superiore di Sanità per garantire piena appropriatezza prescrittiva in tema di somministrazione di psicofarmaci ai minori possano continuare a esistere, e tanto meno che possa essere esteso come strumento di monitoraggio ad altri disturbi dell’età pediatrica, e ciò è davvero preoccupante”. È casomai su questo aspetto vitale che l’attenzione di tutti noi dovrebbe soffermarsi. Concludo quindi questa breve analisi con la medesima frase del vostro articolo di marzo: “Giù le mani dai bambini, ovvero non lasciamone nemmeno uno a morire sull’onda di un ideologia e di credo”, in particolare il credo di chi pretende di avere la soluzione in tasca - quasi sempre farmacologica - e, per citare un grande pediatra americano, Bill Carey, primario di Pediatria all’Ospedale di Philadelphia, pretende altresì di spacciare per cura delle “soluzioni facili a problemi complessi”. Luca Poma Professore di Scienze della Comunicazione, Università LUMSA, Roma Portavoce del Comitato nazionale “Giù le Mani dai Bambini” e-mail: l.poma@lumsa.it

Ringrazio il prof. Poma per la lettera e le precisazioni, capisco che non è un medico, né un pediatra in particolare. In questo senso, rispetto alla sua affermazione «nonostante la massiccia somministrazione precoce di questi prodotti farmaceutici su cervelli ancora in via di sviluppo non sia considerata eticamente e clinicamente opportuna da non pochi rappresentanti della comunità scientifica, tanto meno come “soluzione di prima linea” per i problemi e disagi dei minori» lo rassicuro pienamente sul fatto che:

1. non vi è in Italia alcuna “massiccia somministrazione” di prodotti farmaceutici regolarmente prescritti dai pediatri, altro è l’automedicazione e tutta la “Medicina alternativa” a cui i nostri bambini sono largamente e inutilmente sottoposti al di fuori di ogni controllo di evidenza scientifica; 2. “i cervelli ancora in via di sviluppo”, come ogni organo di un bambino in via di sviluppo, possono e debbano essere trattati quando le evidenze scientifiche lo giustificano, per il bene del paziente, che si tratti di una leucemia, così come di una ADHD; 3. l’Editoriale non propone in alcun modo “una soluzione di prima linea” farmacologica per i problemi e i disagi dei minori. Giù le mani dai bambini, appunto...! Egidio Barbi

In memoria di Carlo Urbani e di tanti operatori sanitari che non ci sono più Noi umani del terzo millennio, iperconnesi, ipertecnologici, così capaci di controllare tutto, così convinti che nulla ci possa nascondere segreti, siamo stati improvvisamente artigliati da un nemico subdolo, preciso come un cecchino, che si insinua in ogni angolo della Terra, infiltrandolo come una metastasi inarrestabile, derubandoci delle nostre certezze e costringendoci a rielaborare un nuovo concetto di quotidianità. La scienza, di fronte al nemico, alza la testa, lavora alacremente per forgiare le armi giuste che la facciano trionfare. Ma la scienza ha i suoi tempi e nell’attesa muoiono migliaia e migliaia di pazienti e muoiono insieme a loro medici e infermieri. A memoria recente non si ricorda alcun evento che abbia falcidiato così tante vite tra gli operatori sanitari. Una carneficina compiuta in risposta al senso del dovere, all’osservanza di quello che è il fine del nostro mestiere: la cura dell’altro. Ai media piace tanto ricordare medici e infermieri definendoli eroi, una retorica che ci può essere risparmiata: medici e infermieri non sono eroi, sono persone abituate a un lavoro di cura e assistenza, di cui la nostra società aveva perso il valore, affascinata da professionalità alle quali si può francamente rinunciare. Ci voleva il dramma, la paura improvvisa che la salute collettiva potesse essere compromessa per renderne tutti consapevoli. E allora via ad acclamare medici e infermieri, gli unici che possono assistere e attraversare la spessa cortina di solitudine e lucida sofferenza che avvolge tragicamente il paziente

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affetto da Covid-19, offrendogli una vicinanza nella quale è custodito il sentimento vero della pietas. Quella pietas di cui molti si sono dimenticati, fagocitati dall’indifferenza di fronte a tante tragedie umane, che però riguardavano l’altro, il diverso, tragedie troppo lontane dalla comoda realtà del “primo mondo” per coinvolgerlo. In memoria dei tanti colleghi deceduti non si può non rivolgere un pensiero a Carlo Urbani, mio corregionale, morto di SARS nel 2003. Carlo Urbani era un infettivologo, che dopo aver lavorato per 10 anni nel reparto di Malattie Infettive di Macerata decide di lasciare l’Italia con la sua famiglia arruolandosi nell’esercito umanitario di Medici senza Frontiere, di cui è stato presidente della sezione italiana dal 1999. Inoltre ha rivestito il ruolo di consulente dell’OMS per le malattie parassitarie. Una vita, la sua, dedicata alla cura dei più deboli, degli ultimi, che sono tali solo per chi si sente primo, pur non essendolo. Nel 2000 si trasferisce ad Hanoi in Vietnam ed è qui che che identifica e classifica la SARS, intuendo immediatamente l’elevato grado di contagiosità della patologia. Si impegna quindi per ottenere dalle Autorità locali l’adozione di misure di quarantena per arginarne la diffusione. Realizza inoltre un piano anti-pandemie, che l’OMS ha eletto come protocollo internazionale. Il 29 marzo, all’età di 47 anni, muore lui stesso di SARS e fino alla fine conferma la sua generosità estrema e la sua attenzione alla cura dell’altro chiedendo ai colleghi che lo assistono di prelevare, dopo la sua morte, il tessuto polmonare, per contribuire ancora una volta alla ricerca. Da una lettera di Carlo Urbani:

Per me vivere all’estero deve essere una testimonianza di barriere abbattute. Se sto in Vietnam, pur se continuo a sognare i miei dolci colli e i saporiti salumi delle Marche, mi piace mangiare vietnamita, essere loro ospite quando capita, scoprire i loro costumi e cultura, e a questo abituare i miei figli. Con loro devo dire che sono proprio contento. Io come sto? Mah, in generale sento che ho raggiunto la mia leggenda personale. Nella vita credo di aver saputo distinguere gli indizi che mi hanno guidato fino a qui e per arrivarci ho anche accettato di affrontare burrasche e scogli, ma ora non chiederei di meglio dalla vita. Ringrazio Dio per la tanta generosità nei miei confronti e mi sforzo di sdebitarmi lasciando che i miei talenti producano germogli e piante. Vorrei comunque fare di meglio, non nel lavoro, dove do tanto, ma con gli affetti più prossimi. So quanto Giuliana, Tommaso, Luca e Maddalena abbiano un dannato bisogno di me. D’altra parte ognuno di loro è per me parte essenziale della vita e a volte, soprattutto al rientro dai numerosi viaggi avrei voglia di guardarli e toccarli per ore per sentirli miei, per far sentire loro il mio affetto. Mi capita di fare viaggi “sul terreno”, come si dice in gergo. Li trovo l’essenza del mio lavoro, sento l’odore della povertà e delle privazioni che alimenta come benzina il fuoco che anima la mia passione”.

“Nella vita sono sempre più esigente, la superficialità mi è divenuta intollerabile, l’indifferenza mi fa diventare quasi violento. Si dice in genere che non esiste mai una situazione con il bianco e il nero ben distinti, ma che si può trovare della ragione e del torto ovunque... io invece per una dolorosa passione e romanticismo continuo a credere che si possa dire questo è sbagliato o questo fa schifo, senza titubare. Occorre saper distinguere dove sta il bene e dove si annida il male. Le altre letture più equilibrate e moderate mi sembrano sempre più gravi ipocrisie. A tutto si tenta di trovare giustificazione, sia nei fatti gravi che nel quotidiano. Io invece sto con quelli che dicono che l’Afghanistan non si bombarda, che il morto americano vale esattamente quanto l’ignoto pastorello afgano o iracheno. Lo stesso vale per Israele e gli abusi commessi in Palestina. Serpeggia un sentimento così fastidioso di razzismo, paura-rifiuto del diverso, superiorità sociale.

Bambini e infezione da Covid-19: incidenza, sintomi e immunità

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Carlo Urbani 19 ottobre 1956 - 29 marzo 2003 Anna Grazia Ruggeri Pediatra di famiglia, Matelica (Macerata) e-mail: annagraziaruggeri@gmail.com

Negli ultimi due numeri di Medico e Bambino abbiamo letto alcuni articoli riguardanti i vari aspetti dell’infezione da Covid-19, e faccio riferimento in particolare al News box del dott. Marchetti (Medico e Bambino 2020;39(3)151-3) che dell’articolo “Covid-19 e risposta immune” di questo numero (pag. 223) (on line first, sul sito di Medico e Bambino). Partendo dal News box sembra di capire che, dai dati epidemiologici cinesi, che sono i più numerosi di cui disponiamo al momento, l’incidenza dell’infezione da Covid-19 è più bassa nelle varie età pediatriche rispetto all’adulto, arrivando a quantificare una presenza dell’infezione in età pediatrica ci circa il 2%. Questo fa sorgere una domanda: l’incidenza è realmente così bassa in Pediatria oppure visto che la sintomatologia è riferibile nella maggior par-

te dei casi a una banale “virosi respiratoria” non sono sprecate forze diagnostiche tipo tamponi e sierologia per evidenziarla? Che non siano i bambini trovati positivi al Covid-19 in realtà una punta di un iceberg? Spesso capita di vedere famiglie in cui un genitore è positivo al Covid-19 e i figli presentano segni di lieve infezione delle vie aeree con o senza febbricola, ma i tamponi dei figli sono negativi. Questa impressione è stata da me condivisa anche con colleghi pediatri che lavorano in altre zone della Toscana (chiaramente impressione personale e tutta da verificare). Se pensiamo a come i bambini si difendono dai virus (magistralmente descritto nell’articolo “Covid-19 e risposta immune”) di fronte al contatto con il Covid-19 è plausibile pensare che i bambini abbiano un’attivazione più pronta e costante dell’immunità innata rispetto ad altre età della vita con produzione di interferone e altre citochine che consente loro una difesa naturale contro i virus impedendo da un lato l’infezione e dall’altro l’attivazione del successivo repertorio dell’immunità adattativa con produzione di immunità umorale e cellulomediata specifica? Come a dire che i bambini, pur venendo in contatto con questo virus, riescono a non infettarsi difendendosi solo con l’immunità innata e se ricerchiamo la prova dell’avvenuto contatto con il virus, gli anticorpi non li troviamo. Mi scuso se le mie riflessioni possono sembrare troppo banali o semplicistiche Paolo Bonazza Pediatra di famiglia, Grosseto e-mail: paolo.bonazza@email.it

Le riflessioni al contrario sono assolutamente pertinenti. Il dato del 2% (che si conferma anche dalle recenti reportistiche italiane e dai primi dati pediatrici degli Stati Uniti, vedi News Box di questo mese, pag. 219) si riferisce alla percentuale di casi in età pediatrica rispetto ai totali, e risente indubbiamente anche del numero di tamponi eseguiti. Se la popolazione pediatrica è 1/5 della totale dovremmo aspettarci il 20% e quindi è un decimo dell’atteso. Non c’è motivo reale per pensare che i bambini contraggano l’infezione meno degli adulti o degli anziani. Come per l’influenza, anche per il Covid19 ci sarà un momento in cui, con indagini sierologiche (attendibili) a campione e metodologie epidemiologiche, si potrà stimare la probabile dimensione del contagio. Non è noto su quale popolazione di bambini ed adolescenti sia stato eseguito il numero dei tamponi: come screening in tutti i casi con genitori positivi o solo sui casi con minima o più importante sintomatologia? A domicilio anche in caso di quadri asintomatici? O in ospedale in caso di sintomatologia sospetta per infezione?

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Il discorso sulla attendibilità del tampone con metodica PCR ci porta lontano nel dare un giudizio finale sulla sensibilità generale, in modo particolare in età pediatrica. Alcune esperienze locali ci portano a dire che se un genitore è positivo in molti casi (non in tutti) lo è anche il figlio, nel rispetto delle tempistiche giuste e del metodo di esecuzione del test (il tampone nasofaringeo sembra ad esempio più attendibile di quello orofaringeo). Ma, come giustamente sottolineato dal dott. Bonazza, andrebbero raccolti e documentati i casi in cui il test è risultato negativo anche a fronte di un’alta probabilità di positività (bambino con genitore/i positivi). Di certo la maggioranza dei casi in età pediatrica e adolescenziale è di fatto asintomatica o paucisintomatica, come confermato dall’esperienza anche statunitense e dai primi dati italiani (vedi News Box pag. 219). La quota di asintomatici o paucisintomatici

sembra essere tanto più ampia quanto più giovane è il soggetto. Quindi è lecito attendersi nei bambini una percentuale di contagi simile agli adulti, ma una percentuale di sintomatici molto minore. Tutto questo, al netto di manifestazioni atipiche che vengono segnalate sempre più frequentemente in probabile relazione con l’infezione da Covid-19 in età pediatrica-adolescenziale, in soggetti che non avevamo presentato sintomi febbrili o respiratori. Ci riferiamo ad esempio alle lesioni acro-ischemiche alle estremità (vedi Dermo mail di questo mese, pag. 262), a decorso benigno, che sembrerebbero rappresentare una manifestazione infiammatoria tardiva, che comparirebbe in alcuni soggetti quando il tampone è ormai negativo e gli anticorpi sono in corso di valutazione nella loro positività o meno (non c’è ancora una risposta univoca) . Sulla sensibilità delle sierologia le cose

sono ancora più nebulose e arriveremo, si spera, a capire. Di fatto non sappiamo ancora abbastanza degli anticorpi. C’è anche qualche dubbio che gli anticorpi siano l’unico indicatore di protezione (lo si può stabilire più facilmente in un vaccino, dove si può studiare se gli anticorpi costituiscano correlato o surrogato di protezione). Non è altrettanto semplice nelle infezioni selvagge. A oggi, di fatto, gli anticorpi costituiscono uno strumento per una stima epidemiologica approssimativa. Ma urge che si diano indicazioni nazionali su test da utilizzare e su relativa stima di sensibilità e specificità. Poi sarà importante studiare anche l’immunità cellulare, ma questo aspetto ci porterebbe molto lontano in valutazioni e ipotesi. Alcuni quesiti più urgenti richiedono immediate risposte. Siamo sicuri che arriveremo a capire. Alberto Tommasini, Federico Marchetti

CORONAVIRUS: FAMIGLIE E BAMBINI CON BISOGNI SPECIALI IO SONO L’ALTRO Paolo resta a casa perché il suo sistema immunitario non gli permette di affrontare la più banale delle infezioni. Sara non può andare a correre al parco perché non ha avuto la fortuna di nascere con la capacità di camminare, Giovanni non respira da solo e Andrea non può tossire senza una macchina grande quanto uno stereo. Antonio ha bisogno di assistenza infermieristica h24, Roberta non riesce a muovere neanche una mano senza il lavoro dei fisioterapisti e Salvatore, che ha un solo polmone e non può rischiare di essere contagiato dai compagni di scuola, deve prendere lezioni a casa. E c’è sempre un Luigi che ha bisogno di tutte queste cose messe assieme. Questi bambini non possono stare da soli e hanno bisogno continuo di ricevere assistenza e supporto, ma soprattutto coraggio ed empatia da chi gli sta vicino. Non poter stare soli e provare a non sentirsi soli: ci sono le Associazioni, le campagne pubblicitarie, gli slogan, le Giornate dedicate e i cantanti che fanno da testimonial. Questi bambini hanno dei genitori che spesso perdono il lavoro per poter stare a casa con loro. Queste famiglie spesso sono costrette a casa per mesi, per anni, e allora devono trovare la forza e la creatività per riempire le lunghe giornate, mentre gli altri continuano a correre e non hanno tempo per chi è più lento. Queste famiglie esercitano obbligatoriamente una virtù dimenticata che è la pazienza, perché attendono per anni la notizia di una cura

miracolosa per il proprio figlio. E abitano in una nuvola chiamata speranza che questa cura funzioni davvero. Ci sono genitori che in queste condizioni amano ancor di più il proprio bambino perché il significato di ogni singolo giorno passato insieme, in attesa di quella fine che prematuramente arriverà, diventa il senso di una vita intera. Questi nostri bambini fragili restano a casa da sempre, spiando i ragazzi giocare fuori “al ritmo balordo del loro cuore malato”. Per questi bambini e queste famiglie non è cambiato molto, continuano la loro vita di sempre, con la sola eccezione di non poter fare le visite di follow-up e le terapie domiciliari. La speranza, che deve diventare impegno, è che quando l’emergenza coronavirus finirà rivedremo con occhi diversi le esigenze e i diritti di chi va costantemente aiutato, curato e sostenuto. Come dice una canzone di Niccolò Fabi: “quelli che vedi sono solo i miei vestiti, adesso vacci a fare un giro e poi mi dici”. Claudio Cherchi UOC di Broncopneumologia, Dipartimento Pediatrico Universitario Ospedaliero, Ospedale Pediatrico “Bambino Gesù”, IRCCS e-mail: claudio.cherchi@opbg.net

PARAMETRI VITALI Ogni cosa in questi giorni appare stravolta, ogni piccolo passo fatto, ogni piccola meta raggiunta è frutto di un pensiero che accompagna anche le cose che consideriamo più familiari nella quotidianità del nostro “saper fare”. È buffo pensare come i parametri vitali per noi sanitari siano da sempre la pressione e la frequenza di questo o quello. Inizio a pensare che i parametri vitali siano altro. Che vitale sia ben altro. Oggi è la ricchezza di stare accanto ai nostri cari, sono l’importanza di stringere la mano ai nostri pazienti... ma parlo di quella stretta con il contatto della pelle, di un abbraccio, di poter regalare il nostro sorriso e non che si possa leggere solo dagli occhi al di là di una mascherina. Sono lo sforzo di un ascolto più profondo per capire da una voce al telefono se le cose vanno bene, e se vanno bene davvero, sono l’incontro e la condivisione della quotidianità anche più intima attraverso una videochiamata per dire “ci siamo, nonostante tutto”. È la sensazione di essere catapultati nelle quotidianità dei pazienti

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ad alta complessità che seguiamo, le nostre paure di oggi sono le loro paure di ieri. Avendo a che fare con il coronavirus abbiamo sentito il disagio di stare accanto a qualcuno che starnutiva, che non si lava le mani, o che non rispetta le più piccole raccomandazioni, beh abbiamo sperimentato quello che loro vivono sempre. Improvvisamente tutto ci porta a una condizione di vulnerabilità, siamo più umani e la nostra divisa non ci serve più da corazza per proteggerci da tanta Vita. È cambiato il modo di vivere la cura che fino ad oggi ci è appartenuto e chissà cosa resterà nel nostro modo di essere professionisti domani, io voglio credere che ne usciremo professionisti migliori. Chiara Nardini Infermiera case manager delle Cronicità pediatriche UOC di Pediatria e Neonatologia Ospedale di Ravenna, AUSL della Romagna e-mail: chiara.nardini@auslromagna.it


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A CURA DI FEDERICO MARCHETTI

COVID-19 E BAMBINI: LE DUE FACCE DI UNA DIVERSA MEDAGLIA

SEGNI O SINTOMI DELL’INFEZIONE DA COVID-19 NEI BAMBINI E NEGLI ADULTI IN USA Segno/sintomo Febbre Tosse Dispnea Mialgie Rinite Faringodinia Cefalea Nausea, vomito Dolore addominale Diarrea

Bambini

Adulti

163 (56%) 158 (54%) 39 (13%) 66 (23%) 21 (7,2%) 71 (24%) 81 (28%) 31 (11%) 17 (5,8%) 37 (13%)

7794 (71%) 8775 (80%) 4674 (43%) 6713 (61%) 757 (6,9%) 3795 (35%) 6335 (58%) 1746 (16%) 1329 (12%) 3353 (31%)

Tabella I. Da voce bibliografica 2, modificata.

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iniziale dell’epidemia venivano testati e ospedalizzati per Covid-19 tutti i bambini che avevano avuto contatti con persone positive al virus; successivamente, essendosi diffusa l’infezione molto rapidamente, venivano testati solo i bambini con sintomi più severi che necessitavano di ricovero o bambini con comorbidità che erano più a rischio di complicanze. Covid-19 e bambini: il rischio della povertà educativa Molte Nazioni in corso di pandemia hanno deciso di chiudere le scuole. Questa è apparentemente una misura di buon senso come parte di una politica di distanziamento sociale per abbassare il tasso di trasmissione del virus. L’UNESCO stima che almeno 138 Paesi abbiamo istituito la chiusura delle scuole a livello nazionale e diversi altri Paesi abbiano istituito chiusure a livello regionale o locale. Con oltre il 90% degli studenti a livello mondiale (più di 1,5 miliardi di giovani) al momento fuori dal contesto educativo, risulta chiaro che la maggior minaccia da Covid-19 per i bambini e adolescenti non è di certo quella strettamente clinica5,6. Sebbene il dibattito scientifico sia ancora in corso riguardo la reale efficacia della chiusura delle scuole sulla trasmissione del virus7, il fatto che le scuole restino chiuse per un lungo periodo di tempo può avere conseguenze sociali e di salute dannose per quei bambini che vivono in condizioni di povertà. Inoltre è da considerare che le esistenti diseguaglianze sociali sono destinate ad aumentare5,6. Esistono due modi attraverso i quali la chiusura delle scuole colpirà i bambini poveri negli USA e in Europa5: • Il primo è l’impatto della chiusura delle scuole nel determinare una minore disponibilità del cibo per i bambini poveri. Per molti studenti, infatti, che vivono in povertà, le scuole non sono solo un posto in cui imparare, ma anche un posto 250

Unità di Terapia Intensiva Ospedalizzati Non ospedalizzati

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L’infezione nei bambini (USA, Madrid e Italia) Nel momento in cui scriviamo, a un mese di distanza dal precedente aggiornamento sulla pandemia da Covid-19 nei bambini1, i dati disponibili (anche se incompleti e in continua evoluzione) dagli Stati Uniti2, da Madrid3 e anche dall’Italia4 ci dicono sempre più chiaramente che: • L’incidenza da Covid-19 è più bassa nei bambini (a conferma dei dati cinesi)1,2,4, anche se risente del numero dei tamponi eseguiti. • In Italia i casi diagnosticati dai Laboratori di riferimento regionali riportano che complessivamente l’1,7% riguarda le fasce di età 0-9 anni (0,7%) e 10-19 anni (1,0%)4. • Il 90% dei casi in età pediatrica sono asintomatici o con sintomatologia lieve-moderata. Nei casi sintomatici le manifestazioni cliniche sono meno presenti rispetto all’adulto (meno presenza di febbre, di tosse, raramente dispnea) (Tabella I)2. • Pochi sono i casi che richiedono una ospedalizzazione e riguardano prevalentemente la fascia di età < 1 anno che è a maggiore rischio di avere una malattia respiratoria più impegnativa (Figura 1)2. • Sempre dall’esperienza statunitense2, ma anche da quella spagnola3 e italiana (lavoro in fase di revisione) i casi pediatrici diagnosticati e in alcuni casi ricoverati hanno più frequentemente una condizione sottostante di comorbidità. Dal rapporto del CDC (Centers for Disease Control and Prevention) statunitense dei 345 casi pediatrici di cui era nota l’anamnesi riguardo la presenza di comorbidità, 80 (23%) ne avevano almeno una2. Di questi 40 (50%) avevano patologie polmonari croniche (in primis l’asma), 25 problemi cardiovascolari, 10 una condizione di immunodepressione2. Tra i 295 casi di cui era disponibile sia l’informazione sull’ospedalizzazione che sulla presenza di malattie sottostanti, 28/37 pazienti ospedalizzati (inclusi i 6 casi ricoverati in terapia intensiva) avevano una o più malattie2. Tra i 258 pazienti non ospedalizzati, 30 (12%) avevano una comorbidità2. • Interessante l’esperienza riportata nella città di Madrid3 dove inizialmente il 60% dei bambini è stato ricoverato, ma questa percentuale così elevata era legata al fatto che nella fase

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Figura 1. Distribuzione per fascia di età del tasso di ospedalizzazione per Covid-19 nei bambini statunitensi.

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in cui mangiare in modo sano. Numerose evidenze mostrano come il pranzo a scuola è associato a migliori performance accademiche, mentre la precarietà del cibo (dieta irregolare o non sana) può determinare una basso rendimento scolastico e rischi sostanziali per la salute fisica e il benessere mentale5. Il numero di bambini che possono avere questa possibile carenza alimentare è considerevole. I dati EUROSTAT, ci dicono che il 6,6% delle famiglie con bambini in Europa (il 5,5% nel Regno Unito) non possono permettersi un pasto con carne, pesce o verdure ogni giorno. Stime comparabili negli USA suggeriscono che il 14% delle famiglie con bambini aveva una precarietà di cibo nel 2018. • Il secondo meccanismo dell’impatto della chiusura delle scuole sui bambini poveri riguarda i fattori non scolastici, considerati come fonte primaria di diseguaglianza negli obiettivi educazionali5. Il gap in capacità matematiche e letterarie tra bambini di famiglie con basso o alto background socio-economico spesso si accentua durante i periodi di vacanza da scuola5. Le vacanze estive in molte scuole americane contribuiscono a una perdita negli obiettivi accademici equivalenti a un mese di educazione per i bambini con stato socio-economico basso; effetto che non è osservato nei bambini con alto stato socio-economico5. Le vacanze estive sono anche associate a una regressione mentale e di benessere nei bambini e negli adolescenti5. Sebbene l’attuale chiusura delle scuole differisca dalle vacanze estive in quanto la formazione dovrebbe continuare digitalmente, questo amplierà le distanze di apprendimento tra i bambini con famiglie di basso ceto sociale rispetto alle altre5. I bambini che vivono in famiglie povere sono spesso in condizioni che rendono difficile la scuola da casa. Gli ambienti di apprendimento online tipicamente richiedono computer e un collegamento a internet affidabile, che spesso le famiglie più povere non hanno. In Europa il 5%, vive in case dove non esiste un luogo adatto per fare i compiti e il 6,9% non dispone di accesso a internet. Inoltre il 10,2% dei bambini vive in case non adeguatamente riscaldate e il 5% non ha accesso a libri adeguati per la loro età5. In Italia gli ultimi dati ISTAT disponibili parlano di un 42% dei minori che vive una condizione di sovraffollamento delle proprie abitazioni e di un 7% di bambini e adolescenti vittima di un grave disagio abitativo. È in questa case, con famiglie in condizioni economiche ulteriormente peggiorate, che i bambini e gli adolescenti cercano uno spazio per studiare e concentrarsi. Negli USA si stima che il 2,5% degli studenti di scuole pubbliche non viva in residenze stabili. A New York, epicentro

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dell’epidemia di Covid-19 in America, uno studente su 10 è senzatetto oppure ha serie instabilità abitative5. Al contrario di quello che avverrà per i bambini provenienti da famiglie benestanti, in cui l’apprendimento proseguirà senza grossi impedimenti, i bambini provenienti da ceti sociali più bassi è probabile che trovino difficoltà per riuscire a effettuare i compiti richiesti e seguire i corsi online proprio a causa delle loro precarie condizioni domestiche5. In Italia hanno interrotto la scuola 9.040.000 bambini e ragazzi e oltre un milione di bimbi dei nidi e dei Servizi educativi della prima infanzia, e la didattica a distanza non sta raggiungendo tutti. Secondo il Ministero dell’Istruzione, infatti, mancano all’appello oltre 500mila studenti, il 6% della popolazione scolastica: sono soprattutto studenti che vivono in famiglie con maggiori difficoltà socio-economiche e culturali. Oltre alle sfide educazionali, tuttavia, le famiglie più disagiate avranno un’ulteriore minaccia, la recessione economica che seguirà a questa pandemia e che aumenterà il livello di povertà nei bambini più disagiati, con conseguenze dannose a lungo termine sulla salute, sul benessere e sugli obiettivi di apprendimento5. I legislatori, gli amministratori e i dirigenti scolastici si trovano davanti a due sfide: 1. La prima è attuale e riguarda la fornitura di cibo ai bambini poveri e la risposta ai loro bisogni educativi di questi mesi. Da una parte continuare a fornire pasti scolastici è essenziale per prevenire questo tipo di diseguaglianza sociale. Gli insegnanti dovrebbero anche considerare come adattare i lori materiali e strumenti di insegnamento per gli studenti senza accesso a internet, senza computer o senza un luogo adatto per studiare5. 2. La seconda è immediatamente successiva ed è quella che dovranno affrontare cessata la fase acuta della pandemia in vista del rientro scolastico. Da un lato bisognerebbe garantire un’educazione mirata e materiali di supporto a bambini di famiglie povere per iniziare a ridurre il gap di apprendimento che probabilmente si sarà verificato. D’altra parte bisognerebbe garantire un supporto alle famiglie povere per prevenire il peggioramento della situazione economica. Senza tali azioni l’attuale crisi sanitaria diventerà una crisi sociale che avrà conseguenze a lungo termine, soprattutto in quei bambini provenienti da famiglie povere5. Un editoriale pubblicato su Lancet Child Adolesc Health focalizza anch’esso l’attenzione sui rischi della chiusura delle scuole6. Durante l’epidemia Ebola nell’Ovest dell’Africa, con la chiusura delle scuole si sono evidenziati picchi di tassi di manodopera giovanile, incuria, abusi sessuali e gravidanze in età adolescenziale, e molti bambini non sono mai tornati a scuola. Molti bambini, come conseguenza della chiusura delle scuole, soffriranno la mancanza di assistenza sociale fornita dal contesto scolastico, come ad esempio i pasti gratis o l’acqua pulita, non potranno usufruire dei Servizi di vaccinazione e dei Servizi di salute mentale messi a disposizione dalle scuole6. I bambini costretti a casa difficilmente raggiungeranno i 60 minuti al giorno di attività fisica da moderata a vigorosa, consigliati dall’OMS. Tutto questo mette a rischio non solo il benessere fisico e mentale di bambini e adolescenti, ma aumenta il rischio di consolidare abitudini pericolose, come incre-

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news box mentare il tempo davanti allo schermo e mangiare in modo non salutare, con le note conseguenze negative che ne potrebbero derivare6. Per gli adolescenti, la chiusura delle scuole e il distanziamento sociale possono avere conseguenze particolarmente importanti6. Durante l’adolescenza i giovani iniziano a dare la priorità ad altri legami oltre a quello con i genitori. L’interruzione di questi rapporti può mettere alla prova il loro benessere. Gli adolescenti e i bambini più grandi potrebbero soffrire con maggiore frequenza di ansia, nel momento in cui tentano di capire la pandemia e le conseguenze su di loro, sui loro familiari e amici6. Le Istituzioni di Salute pubblica devono dare priorità a Piani nazionali volti a identificare il come e quando riaprire le scuole, considerando anche misure alternative come orario ridotto o lezioni scaglionate. Molti bambini avranno probabilmente bisogno di un supporto nel ritornare alla vita normale, specialmente quelli che hanno vissuto esperienze di lutto6. Nel frattempo, la pandemia offre un’opportunità per persone giovani di sviluppare e di affinare la loro resilienza e la loro adattabilità, e apprezzare il valore della responsabilità sociale e dei propri sacrifici per la protezione delle persone più vulnerabili6. È fondamentale valorizzare le esperienze dei giovani durante questa crisi globale, comunicare e ascoltare le loro soluzioni creative per far fronte al problema e incoraggiarli nell’utilizzare le loro capacità per creare una società più robusta, interessata ai problemi e unita quando la pandemia finirà e affronteremo un mondo di fatto cambiato6. Un ultimo punto critico riguarda specifiche fasce di popolazione di bambini con problemi di apprendimento e/o disabilità8 che hanno interrotto nella stragrande maggioranza dei casi qualsiasi forma di sostegno. Commento Sino a questo momento il mondo della pediatria, anche italiano, ha prestato la massima attenzione a quello che poteva essere l’impatto in termini di salute fisica della infezione da Covid-19. Ora i dati disponibili1-4, anche se parziali, ci dicono che l’età pediatrica e adolescenziale è “risparmiata” nella severità dall’infezione, che i casi ospedalizzati sono relativamente pochi (senza rilevanti complicanze e da valutare se in modo appropriato o meno) e che l’attenzione sanitaria pediatrica deve essere rivolta in modo particolare ai bambini piccoli e a quelli con comorbidità (come per tutta le infezioni virali con prevalenti manifestazioni respiratorie). Quando riportato dal CDC americano2 in merito a un rischio di diffusione del contagio da parte dei bambini, in quanto asintomatici, nella realtà italiana non ha al momento, stando l’attuale fase dell’epidemia, alcuna ragione per essere sostenuto, tenendo conto del periodo lungo di quarantena che stiamo vivendo in modo capillare e i tempi di incubazione e di contagiosità dell’infezione. Si tratta ora di spostare l’attenzione verso l’altra faccia della medaglia che ci riguarda profondamente e che è quello dell’impatto sulle famiglie e sui bambini e adolescenti della crisi sanitaria. In Italia vivono circa 6 milioni di famiglie con figli under-18 e 10 milioni di bambini e adolescenti. Circa un quarto delle famiglie italiane ha minori in casa e una persona su sei nella popolazione è minorenne. Molti Organismi e Associazioni si sono già mossi con delle richieste formali rivolte alle Istituzioni politiche, con la definizione di alcuni

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punti prioritari di intervento, molto concreti9,10. Ad esempio L’Alleanza per l’Infanzia10 chiede che a ogni livello (nazionale, regionale e locale) venga adottata una doppia logica di intervento, che guardi all’immediato, ma nel contempo si ponga anche obiettivi di medio termine. Essa dovrebbe prevedere un rafforzamento dell’intervento pubblico lungo cinque linee di azione: 1. Sostegno economico alle famiglie con figli. 2. Sostegno al sistema integrato di educazione e istruzione per i bambini dalla nascita ai sei anni. 3. Sostegno al sistema scolastico, anche in un’ottica di maggiore inclusione e supporto degli studenti appartenenti ai gruppi più vulnerabili. 4. Rafforzamento del sistema integrato di Servizi socio-educativi e socio-assistenziali a livello locale. 5. Rafforzamento delle misure di conciliazione tra famiglia e lavoro. Nei punti 2 e 3 va data particolare attenzione ai minori con disabilità e bisogni educativi speciali che hanno dovuto sospendere le attività di sostegno e riabilitative. Tutti interventi che hanno da sempre grande rilievo, ma che in questo momento sono ancora più prioritari. A noi, come comunità di pediatri e come singoli, compete di agire come sentinelle delle singole situazioni con maggiore difficoltà e disagio, a partire dai bambini fragili, più vulnerabili, per diverse cause8. Non esiste più una dimensione strettamente sanitaria del nostro lavoro, ma socio-sanitaria e territoriale, caso per caso, che ci deve vedere da subito protagonisti con ragionevolezza e con impegno concreto8. Federico Marchetti1, Claudia Guiducci1,2 UOC di Pediatria e Neonatologia, Ospedale di Ravenna, AUSL della Romagna 2 Scuola di Specializzazione in Pediatria, Università di Ferrara 1

Bibliografia 1. Guiducci C, Marchetti F. Covid-19 e bambini: il punto dalla letteratura al 18 marzo. Medico e Bambino 2020;39(3):151-3. 2. CDC Covid-19 Response Team. Coronavirus disease 2019 in children - United States, February 12 - April 2, 2020. MMWR Morb Mortal Wkly Rep 2020;69(14):422-6. 3. Tagarro A, Epalza C, Santos M, et al. Screening and severity of coronavirus disease 2019 (Covid-19) in children in Madrid, Spain. JAMA Pediatr 2020 Apr 8 [Epub ahead of print]. 4. Task force Covid-19 del Dipartimento Malattie Infettive e Servizio di Informatica, Istituto Superiore di Sanità. Epidemia Covid-19, aggiornamento nazionale: 9 aprile 2020. 5. Van Lancker W, Parolin Z. Covid-19, school closures, and child poverty: a social crisis in the making. Lancet Public Health 2020 Apr 7 [Epub ahead of print]. 6. The Lancet Child Adolescent Health. Pandemic school closures: risks and opportunities. Lancet Child Adolesc Health 2020 Apr 8 [Epub ahead of print]. 7. Viner RM, Russell SJ, Croker H, et al. School closure and management practices during coronavirus outbreaks including Covid-19: a rapid systematic review. Lancet Child Adolesc Health 2020 Apr 6 [Epub ahead of print]. 8. Abbracciavento G, Cognini M, Riccio G, Carrozzi M. Covid-19 e salute mentale in età evolutiva: l’urgenza di darsi da fare. Medico e Bambino 2020;39(4)237-40. 9. Save the Children. Emergenza coronavirus: un milione di bambini in più rischiano di cadere in povertà assoluta. https://www.savethechildren.it/press/coronavirus-un-milione-di-bambini-più-rischiano-di-cadere-povertà-assoluta. 10. Alleanza per l’Infanzia. Mettere bambini e ragazzi al centro delle politiche per il superamento dell’emergenza coronavirus. https://www.alleanzainfanzia.it.

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COME ERAVAMO L’Italia ai tempi della Spagnola

Fase due: oggi... come un secolo fa

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Covid-19 e risposta immune Tra debolezze in difesa ed errori in attacco STEFANO VOLPI1,2, SAMUELE NAVIGLIO3, ALBERTO TOMMASINI3,4

IRCCS “G. Gaslini”, Genova; 2Università di Genova; 3IRCCS Materno-Infantile “Burlo Garofolo”, Trieste; 4Università di Trieste

1

Conoscere la fisiopatologia del Covid-19 per pensare a un migliore approccio terapeutico, focalizzato alle diverse fasi dell’infezione con particolare attenzione alle fasi precoci.

I

n questi giorni ci stiamo forse finalmente avvicinando al picco di contagiati relativamente all’epidemia da virus SARS-CoV-2, di cui si è parlato anche su Medico e Bambino1-3. In questo periodo si sono accumulate grandi quantità di informazioni, talora raccolte in modo un po’ frettoloso e di difficile interpretazione. Abbiamo per questo voluto fare il punto su quanto è noto a oggi sui rapporti tra virus e sistema immune e su come queste conoscenze possano aiutare a comprendere differenze di gravità dell’infezione, come ad esempio quelle correlate all’età, e come possano guidarci in un uso razionale delle terapie. UN PO’ PIÙ GRAVE DELL’INFLUENZA?

La letalità stimata in base a diverse osservazioni e modelli che non stiamo qui a riassumere oscilla dallo 0,5 al 3% circa, con valori in Italia che saranno più probabilmente tra l’1 e il 2%, versus quella intorno allo 0,1% dell’influenza. La variabilità dei dati diffusi dalla stampa in diversi Paesi è influenzata da una molteplicità di fattori: la percentuale di casi asintomatici e paucisintomatici, il numero di tamponi eseguiti, la modalità di attribuzione dei decessi all’infezione, la fase dell’epidemia e la densità di soggetti conta-

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COVID-19 AND IMMUNE RESPONSE: WEAK DEFENCES AND SELF-HARMS (Medico e Bambino 2020;39:223-231)

Key words Covid-19, SARS-CoV-2, Immune repertoire, Haemophagocytic lymphohistiocytosis, Cytokine storm, Pneumonia Summary Covid-19 outbreak is about to reach the peak of infected people in Italy. Huge amount of data is being published on this epidemic in all medical journals, with especial concern on severe cases. Unfortunately, most reports are just descriptive and only a few controlled clinical trials are available to unravel the disease pathology and the best therapeutic option. For this reason, the aim of the present paper is to give an update on what is currently known about the immune response to the SARS-CoV-2 virus, focusing on the possible weakness of adaptive immunity and excesses of inflammation.

gianti, la distribuzione per età della popolazione esposta e la struttura sociale del Paese che determina quali età verranno esposte maggiormente (almeno all’inizio). Guardando solo i contesti in cui la popolazione sia stata estesamente valutata nel suo complesso (navi da crociera, piccoli paesi come Vo’ Euganeo e Nembro, o comunità come in Corea del Sud), si può stimare la letalità dell’infezione in Italia su valori dell’12% dei contagiati. Partendo da questo dato possiamo stimare indirettamente quanti soggetti siano stati finora colpiti dall’epidemia. Infatti, se consideriamo in base a un’ipotesi conservativa una letalità reale dell’1%, potremmo

stimare che ai circa 8mila decessi al 26 marzo corrisponderà una popolazione di circa 800mila soggetti contagiati. A questo punto avremo già pareggiato la mortalità dell’influenza (NB: la mortalità, diversamente dalla letalità, non è riferita ai soli contagiati, ma all’intera popolazione del Paese), e certamente la sopravanzeremo nelle settimane successive, ma con circa un decimo di soggetti ammalati rispetto ai circa 8 milioni che si ammalano ogni anno di influenza. Un confronto tra i diversi virus, infine, non può non tenere in considerazione l’esistenza dell’immunità crociata tra i diversi virus influenzali degli anni precedenti, che non ci lascia quasi mai scoperti, e

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soprattutto il ruolo che ha la vaccinazione nel proteggere le popolazioni a rischio. Inoltre, come vedremo più avanti, il fatto che l’infezione si associ tipicamente a polmonite richiede in genere un rilevante impegno di cure sanitarie, che come stiamo vedendo non è facile da garantire. Quindi, di fatto, il Covid-19, nella nostra popolazione, appare almeno in un ordine 10 più pericoloso dell’influenza e, se non bastasse, sembra anche essere un poco più contagioso (Figura 1) 4. Ai casi letali dobbiamo aggiungere l’elevata percentuale di pazienti che richiedono cure intensive, nonché l’impatto indiretto su chi in questo periodo ne avrebbe necessità per altri motivi medici e se ne trova escluso. Quindi cercate di stare a casa. COVID-19 E IMMUNOLOGIA

Fatte queste premesse, ci sono alcune domande che potrebbero beneficiarsi di una prospettiva di lettura immunologica: 1. Perché questa infezione è più grave dell’influenza? 2. Perché colpisce di più proporzionalmente all’età (dimentichiamoci la differenza tra bambini e adulti: il gradiente di letalità attraversa l’intero arco della vita)? 3. Come fa il pipistrello, che sembra costituire il serbatoio del virus, a non ammalarsi? 4. Perché nei casi più gravi vengono proposti farmaci reumatologici? 5. Ma è vero che ci si può riammalare? Domanda #4. Perché nei casi più gravi vengono proposti farmaci reumatologici?

Cominciamo a tentare di rispondere partendo dalla quarta domanda con una considerazione storica: l’idea che le manifestazioni (febbre, rash ecc.) di alcune infezioni dipendano più dalla risposta immunitaria che dall’effetto citopatico del virus nasce poco più di un secolo fa, quando Von Pirquet, partendo dall’analogia clinica tra forme virali e la malattia da siero, introduce il concetto che a “pathogenic agent causes signs of illness in the organism

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Indice di letalità (scala logaritmica) 100%

Aviaria

50

MERS

20 10 5

Ebola

Vaiolo

Più letale

SARS

Influenza spagnola Nuovo coronavirus La maggior parte delle stime pongono l’indice di letalità al di sotto del 3% e il numero di contagi tra 2 e 4

2 1 Influenza stagionale

0,1

Pandemia influenzale del 2009 0

1

Trasmissione più veloce

Morbillo

Poliomielite Varicella

Raffreddore 5

10

15

Media delle persone infettate da ciascun soggetto ammalato

Figura 1. Rappresentazione grafica dell’impatto di diverse infezioni sulla base dell’indice di letalità (fatality rate, sulle ordinate) e dell’indice di contagiosità (numero medio di persone contagiate da ciascun soggetto affetto). Le stime correnti per Covid-19 pongono la letalità tra 0,7 e 3% e l’indice di contagiosità intorno a 2,5 (da voce bibliografica 4, modificata).

only when modified by the presence of antibodies; the incubation time is thus the time which elapses before the formation of antibody ”, e definisce come allergia una qualsiasi manifestazione patologica generata dal sistema immunitario nell’intento di rispondere a uno stimolo. Oggi, quando ci riferiamo a queste reazioni, parliamo più in generale di immunopatologia piuttosto che di allergia (che ha assunto un senso più limitativo). Inoltre, sappiamo che non sono solo gli anticorpi, ma anche le reazioni cellulari e la produzione di citochine a svolgere un ruolo nella genesi dei sintomi che accompagnano la risposta immune, talora con la produzione di significativi danni d’organo. In alcuni casi, infatti, la risposta è eccessiva, apparentemente iperimmune, tanto da condizionare il decorso della malattia ancor più dello stimolo originario. C’è un altro punto storico che è opportuno ricordare, prima di procedere con l’analisi dell’immunità al SARSCoV-2: negli ultimi 30 anni, attraverso lo studio di alcune immunodeficienze mendeliane, ci siamo resi conto, sempre meglio, che una iper-risposta del sistema immunitario, responsabile di autoimmunità o infiammazione, può essere in realtà la conseguenza di un difetto relativo di alcune componenti

o funzioni del sistema immune5. L’esempio più chiaro è quello dei difetti della funzione citotossica dei linfociti e delle cellule natural killer : in questi casi, il sistema immunitario tende a rispondere a infezioni virali con una iperattivazione vicaria di altri strumenti, tra cui citochine infiammatorie come gli interferoni, e varie citochine infiammatorie. La reazione che si produce prende il nome di linfoistiocitosi emofagocitica (HLH)6,7. Forse stiamo andando un po’ fuori tema, ma quello che dobbiamo sapere è che in corso di una HLH può essere più importante (o almeno altrettanto importante) curare l’infiammazione rispetto all’infezione. Lo stesso vale per altri tipi di reazioni iperimmuni che possono accompagnare, e aggravare, infezioni di vario genere, che rientrano nell’ambito delle cosiddette sindromi infiammatorie iperferritinemiche (di cui l’HLH, ma anche la sepsi grave fanno parte)8,9. Nel caso del Covid-19, tuttavia, si aggiunge a questo quadro sistemico il dato specifico dell’infiammazione polmonare potenzialmente severa di per sé, con tutto quello che ne consegue. La sfida che il medico ha davanti è quella di limitare i danni immunitari senza ostacolare la clearance del virus o meglio ancora facilitandola con farmaci antivirali.

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Covid-19 e risposta immune

La descrizione della reazione infiammatoria che accompagna l’aggravamento dell’infezione da Covid-19 richiama per molti aspetti le sindromi infiammatorie iperferritinemiche e per questo non ci deve stupire la proposta, nei casi gravi, di utilizzare farmaci reumatologici10,11. Tuttavia, seppur si dimostrassero efficaci, resta da considerare che il numero dei pazienti gravi è talmente elevato da richiedere disponibilità di farmaci biologici in quantità difficilmente raggiungibili anche per un Paese quale l’Italia. Una risorsa terapeutica potenziale e diffusamente disponibile per trattare l’infiammazione è rappresentata dallo steroide, farmaco cardine per il trattamento delle sindromi iperferritinemiche e già utilizzato per le precedenti epidemie da SARSCoV e MERS (Middle-East Respiratory Syndrome) con risultati clinici in alcuni casi incoraggianti ma con evidenza di aumento della carica virale12,13. L’utilizzo è indicato nelle linee guida cinesi per questa epidemia da SARS-CoV-2. Tuttavia, la mancanza di trial clinici randomizzati nelle infezioni da coronavirus, il potenziale effetto sulla carica virale e la mancanza di chiare indicazioni sulla tempistica (il più presto possibile una volta instaurata la fase infiammatoria come nelle sindromi iperferritinemiche, piuttosto che tardivamente nella fase di tempesta citochinica una volta che il paziente è intubato?) e sul dosaggio (1-2 mg/kg? boli?) spiegano la reticenza al suo utilizzo, anche se i risultati di uno studio che descriveva una ampia casistica di SARS a Hong Kong suggerivano una buona risposta ai boli di cortisone, più evidente nei pazienti che avevano elevati valori di PCR14. Reazioni di questo tipo sono state chiamate in causa anche per spiegare l’elevata mortalità di altre infezioni virali, come quelle sostenute dalle pandemie influenzali, dal Dengue virus e da Ebola15,18. Fattori intrinseci all’agente infettivo (virulenza, elevata carica, diversità rispetto ad altri patogeni verso i quali potrebbe esserci memoria immunitaria) possono interagire con fattori propri dell’ospite (maturazione immune, assetto immunitario, varianti genetiche17, patologie concomitanti,

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farmaci) favorendo solo in alcuni individui una reazione iper-infiammatoria, che altro non rappresenterebbe che la conseguenza di una relativa incapacità del sistema immunitario di dominare l’infezione sul nascere. Fatte queste considerazioni, torniamo alle prime due domande, per capire come siamo arrivati a questo punto. Domanda #1. Perché questa infezione è più grave di un’influenza?

L’elevata letalità del SARS-CoV-2 potrebbe essere spiegata in parte dall’assenza di una risposta protettiva crociata verso virus simili endemici (diversamente dall’influenza stagionale) e, ovviamente, dalla mancata disponibilità di un vaccino per proteggere i soggetti più vulnerabili. In effetti, un aumento di letalità è stato rilevato anche nelle pandemie influenzali che si sono succedute nel corso della Storia. Da notare che, in alcune di queste, l’età esposta al maggiore aumento di mortalità è stata quella dei giovani

adulti, di solito immune alle epidemie stagionali19 (Tabella I). Sia per la spagnola (1918) sia per la “suina” (2009) la spiegazione è stata che i bambini hanno un sistema immunitario fatto per fronteggiare la novità più che sfruttare la memoria, mentre in entrambi i casi gli anziani avrebbero avuto una lontana memoria crociata verso virus simili che i giovani non avevano mai incontrato. Oltre a queste considerazioni, ci sono elementi che suggeriscono che questo virus possa essere anche intrinsecamente più insidioso di quelli delle pandemie influenzali, sia per il tropismo particolare che presenta verso le cellule alveolari, sia per la possibilità che abbia una diretta azione a discapito dei linfociti. Il Box 1 riporta in dettaglio alcuni di questi aspetti20-27. Domanda #2. Perché colpisce di più proporzionalmente all’età?

È bene sottolineare che la suscettibilità all’infezione mostra un gradien-

DECESSI DA PANDEMIA A(pH1N1) DEL 2009 IN USA SU 100.000 ABITANTI Decessi Mediana (range) pH1N1

Media (range) dal 1990 al 1999

0-17

1,7 (1,2-2,5)

0,2 (0,03-0,4)

18-64

5,0 (3,6-7,3)

0,4 (0,07-1,0)

65+

4,2 (3,0-6,1)

22,1 (3,8-54,1)

Tutti

4,1 (2,9-6,0)

3,1 (0,5-7,6)

Età (anni)

Tabella I. Dati paragonati con la media delle influenze stagionali degli anni precedenti. Da voce bibliografica 19, modificata. Box 1 - FISIOPATOLOGIA DELL’INFEZIONE POLMONARE DA PARTE DEL SARS-CoV-2 La principale modalità di infezione cellulare da parte del SARS-CoV-2 è costituita dal legame ai recettori ACE2, abbondanti nelle cellule alveolari del polmone20-22. Per questo motivo, l’infezione da SARS-CoV-2 è primariamente una polmonite, mentre i virus influenzali hanno un tropismo più diffuso con principale coinvolgimento delle vie aeree superiori. Inoltre, almeno per il precedente SARS-CoV è stata dimostrata la capacità di infettare monociti - macrofagi e cellule dendritiche, causandone l’attivazione con conseguente secrezione di citochine infiammatorie23,24. L’aggravamento clinico dell’infezione da Covid-19 è associato a riduzione della conta linfocitaria25,26. È possibile che questo sia un effetto indiretto legato alla produzione di citochine antivirali, come accade in molti altri tipi di virosi. Tuttavia, per il SARS-CoV-1, che ha un’elevata omologia con il SARS-CoV-2, e che allo stesso modo infetta attraverso il legame con i recettori ACE-2, è stata dimostrata la possibilità di un’infezione diretta dei linfociti26. In questo senso, si è detto che il SARS-CoV-1 potrebbe situarsi a metà strada tra un comune virus respiratorio e un virus linfotropo come l’HIV.

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Fascia di età

Fascia di età

>=90

> 20

80-89 70-79

15-19

60-69 10-14

50-59 40-49

5-9

30-39 20-29

1-4

10-19

<1

0-9 0%

5%

10%

15%

20%

25%

30%

Figura 2. Letalità da Covid-19 in diverse fasce di età. Dati del 22 marzo 2020, fonte ISS Epicentro.

te di letalità continuo in tutte le età (Figura 2). Non si tratta quindi di una diversità tra bambini e adulti, ma di un gradiente continuo in tutte le età dai prima anni alla quarta età. In realtà, non è l’unico virus a mostrare questo comportamento. Anche la varicella, ad esempio, tolto il primo anno di vita, appare tanto più grave quanto più la si contrae in età adulta (anche se l’evento è reso relativamente raro grazie alla tendenza a sviluppare la malattia in giovane età e al ricorso sempre più diffuso alla vaccinazione) (Figura 3) 28. E lo stesso vale, come si è visto prima, per le pandemie con virus troppo nuovi per avere un’immunità crociata protettiva negli adulti19. Per il Covid-19, sono state formulate diverse ipotesi per spiegare la minore suscettibilità dei bambini e l’andamento più benigno dell’infezione fino alla sua risoluzione: • I bambini hanno meno comorbidità e non fumano. È certamente un motivo, ma sicuramente non l’unico e probabilmente non il principale. Si ritiene che il fumo incida sulla severità dell’infezione sia per il danneggiamento della funzione polmonare sia per l’effetto di induzione di una maggiore espresso del recettore ACE2, con la conseguenza dell’aumento della carica infettante le cellule alveolari29. • I bambini potrebbero avere una minore densità dei recettori ACE2 nel polmone, ma non sembra un’ipotesi confermata da evidenze. • Gli anziani presentano una risposta immunologica difettiva 30 e una con-

226

0

0,5

1

1,5

2

2,5

Figura 3. Letalità della varicella (decessi su 10.000 casi) suddivisa per età in era pre-vaccinale (1990-1994). Da voce bibliografica 28, modificata.

dizione di infiammazione cronica sottostante che potrebbe spiegare la maggior suscettibilità all’infezione e la risposta infiammatoria non controllata31. • I bambini hanno un sistema immunitario innato (neutrofili, linfociti NK, cellule plasmacitoidi dendritiche) che presenta una ridotta attivazione o funzionalità, probabilmente ciò è dovuto alla pressione selettiva che ha spinto verso un equilibrio tra ospite e parassita: nelle prime settimane e nei primi mesi di vita avviene la colonizzazione da parte dei miliardi di organismi simbionti che contribuiscono a formare il microbiota, verso cui non dev’essere generata una risposta immune32. Tuttavia, questa condizione vale, come detto, per i primi mesi di vita quando i linfociti appaiono più polarizzati verso il sottotipo Th2, e non si prolunga per anni nell’età adulta. • I bambini rispetto agli adulti presentano percentuali maggiori di linfociti T e B regolatori 33,34 coinvolti nella tolleranza immunologica o in risposte immunitarie meno infiammatorie, ma di nuovo queste differenze valgono solo per le prime fasi della vita e non giustificherebbero il progressivo aumento del rischio presente anche nell’età adulta. Queste ipotesi hanno tutte qualche base scientifica e qualche debolezza, anche perché forse rispondono al quesito sbagliato o a un quesito parziale: cosa condiziona che un sog-

getto abbia una fase di aggravamento con tempesta citochinica e un altro non la abbia, concentrandosi sulla reazione infiammatoria, ma perdendo di vista la cinetica del virus nelle sue prime fasi. Infatti, non bisogna dimenticare che, come dicevamo all’inizio per la domanda #4, la tempesta citochinica può essere la conseguenza di un precedente fallimento del sistema immunitario nel bloccare per tempo l’infezione. Dovremo quindi concentrarci sulla cinetica precoce dell’infezione, che purtroppo conosciamo molto poco nell’uomo, peggio rispetto alle fasi tardive complicate, che sono state studiate molto più assiduamente. Questo aspetto è stato recentemente analizzato in una review collaborativa italo-cinese35. Nella cinetica precoce, come in ogni infezione, ci sono tre fattori determinanti: la carica virale, l’immunità naturale e l’immunità adattativa, ovvero il numero di potenziali linfociti in grado di riconoscere il virus e bloccare l’infezione. 1. Carica virale. L’importanza della carica virale è suggerita dall’evidenza che i giovani deceduti appartenevano spesso a categorie esposte a un maggior carico infettivo (personale sanitario, impiegati di uffici in relazione con il pubblico ecc.). Qualcosa di simile accade anche per altre infezioni come ad esempio la tubercolosi36. Come detto sopra, l’aumento di carica virale può essere favorito anche da una

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Covid-19 e risposta immune

maggior densità di recettore ACE2, riscontrata nel sesso maschile e nei fumatori29. Perché sia importante la carica virale ha probabilmente a che fare con l’equilibrio nella risposta immunitaria adattativa che viene a crearsi da parte dell’organismo (vedi prossimo punto). 2. Attivazione dell’immunità naturale. Per le infezioni virali, questa attivazione dipende principalmente dal riconoscimento degli acidi nucleici virali negli endosomi o nel citoplasma della cellula da particolari sensori, per lo più appartenenti alla famiglia dei toll-like receptor. Questa attivazione porta alla produzione di interferoni in tutte le cellule infettate e alla produzione di altre citochine infiammatorie nelle cellule del sistema immunitario. È stato dimostrato come uno dei meccanismi centrali della patogenesi delle forme gravi di SARS sia dipendente dall’intensità e dalla tempistica della risposta interferonica37. Il virus produce diverse proteine che bloccano la risposta interferonica favorendo la propria sopravvivenza nell’organismo. Se la risposta immunitaria è efficiente e il virus viene comunque controllato nelle prime fasi, la risposta interferonica iniziale non raggiunge livelli dannosi. Se invece il virus non viene contenuto si determina un danno cellulare a carico degli pneumociti con conseguente massiccio rilascio di chemochine che prelude a un importante afflusso di cellule infiammatorie (neutrofili e soprattutto macrofagi) e a una risposta interferonica tardiva molto intensa che si accompagna alla forma grave di SARS. Tuttavia, è già stato sottolineato come almeno nei primi mesi di vita la funzionalità del sistema immunitario innato sia difettiva. Nonostante ciò non sono segnalati decorsi severi o fatali nei neonati infetti o nei lattanti, suggerendo che siano sufficienti bassi livelli di attivazione di questa linea di risposta immunitaria per promuovere l’organizzazione della successiva immunità adattativa.

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3. Numero di potenziali linfociti anti-virali. La possibilità di rispondere ai più disparati antigeni mai incontrati in precedenza dipende dalla capacità da parte del sistema immunitario di generare una enorme varietà di recettori (recettori dei linfociti T e anticorpi), di espandere le cellule con i recettori più utili in seguito all’incontro dell’antigene e di conservarne memoria. Questo è un processo fortemente correlato con l’età. Più piccoli sono i bambini, più ampio è il loro repertorio di diversità dei recettori, maggiore la possibilità di trovare cloni utili a riconoscere antigeni mai visti (perché non c’è stato ancora il tempo di vederli). In un bambino piccolo, cambia poco che si tratti dell’influenza stagionale, della “suina” o del coronavirus. Dopo ciascuna di queste infezioni, il bambino aggiungerà un po’ di cloni al suo repertorio di memoria pronti per un successivo incontro con l’antigene. Più va avanti l’età e più la risposta immunitaria si gioverà di questa memoria, perché in fondo i patogeni che girano nell’ambiente

si assomigliano tutti un po’. Il declino del repertorio non è ineluttabile, ma è l’altra faccia della medaglia della stimolazione da successive infezioni durante la vita ed è in qualche modo in equilibrio con queste38. Tuttavia, il repertorio di recettori sufficiente per aggredire un patogeno nuovo per il sistema immunitario con rapidità (cioè prima che questo si sia riprodotto diffusamente) si riduce progressivamente. L’analisi dell’età media dei linfociti periferici nell’adulto mostra un progressivo invecchiamento di questi, descritto anche come immunosenescenza39. Questo è probabilmente uno dei motivi per cui l’adulto è più suscettibile a sviluppare in modo grave la varicella, ove non l’abbia contratta in precedenza, e così altre infezioni a rapida evoluzione per cui non disponga di memoria. In effetti, la linfopenia CD4 (idiopatica, iatrogena o in HIV) è una nota condizione di suscettibilità a infezione grave da vari virus come la varicella e il West Nile Disease virus40-42. Nel Box 2 si riportano alcuni dei meccanismi presunti che stanno alla base

Box 2 - LINFOCITI A RECENTE DERIVAZIONE TIMICA COME INDICATORI DEL REPERTORIO LINFOCITARIO NELLE DIVERSE ETÀ IMPLICAZIONI PER LA RISPOSTA AL SARS-CoV-2 È possibile che similmente la maggior gravità nell’adulto di alcune pandemie influenzali (come la spagnola o la “suina”) sia legata al fatto che virus con antigeni nuovi non danno modo al sistema immunitario di sfruttare il proprio repertorio di memoria, ma chiamano in causa la rapidità di selezionare e amplificare cellule vergini, o come si dice naïve. I correlati dell’ampio repertorio linfocitario naïve dei bambini sono costituiti dalle dimensioni timiche, che si riducono progressivamente nelle decadi successive o, a livello di cellule del sangue, dalla quota di linfociti con marcatori di recente differenziamento timico (RTE, identificabili attraverso metodiche di immunocitometria o di biologia molecolare)43-45. Moltiplicando la conta linfocitaria per la quota di linfociti RTE è possibile stimare, per quanto grossolanamente, che un bambino di 5 anni ha un repertorio 5-10 volte più ampio rispetto a un cinquantenne e più di 20 volte maggiore rispetto a un ottantenne: nella cinetica di un’infezione, avere un repertorio più ampio cui attingere significa arrivare, per espansione cellulare, ad avere una numerosità di cellule protettive con giorni di anticipo rispetto ai soggetti più anziani. Vuol dire, teoricamente, poter bloccare il virus prima che l’infezione sia diffusa. Anche il cinquantenne potrebbe essere ancora in grado di avere un rapporto vantaggioso, ma potremmo ipotizzare che questo non sia sufficiente nel caso che la carica virale sia stata particolarmente elevata (come sembrerebbe avvenire nelle categorie a rischio), perché la cinetica linfociti/virus sarebbe un fatto reciproco. Chi arriva prima vince. Tanto più che, direttamente o indirettamente, il virus si rende poi responsabile di una linfopenia in un circolo vizioso che vede la produzione vicariante di citochine infiammatorie. È interessante notare che nei casi a evoluzione grave è stata riscontrata un’aumentata percentuale dei linfociti T naïve verosimilmente sostenuta da un’aumentata produzione di IL-7, il che potrebbe sembrare in contrasto con quanto appena detto10,46. Tuttavia, è possibile che l’effetto soppressivo del virus si sviluppi maggiormente sulle cellule memoria, conducendo a un tentativo di compenso immunitario con la produzione omeostatica di nuove cellule naïve.

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Figura 4. Modello di cinetica dell’infezione virale con diverso outcome in base al repertorio immunitario di partenza. Fase III: questa fase si manifesta con elementi di gravità solo in una minoranza di soggetti contagiati.

del presunto meccanismo virale che attiva l’ampio repertorio linfocitario naïve dei bambini43-46. Il bilancio tra effetti antivirali della risposta immune e danno infiammatorio può diventare letale. Per questo vengono proposte terapie antinfiammatorie e, laddove il sistema immune può fare ormai poco, farmaci con possibile azione antivirale. La Figura 4 schematizza un possibile modello della cinetica dell’infezione virale nel giovane e nell’anziano. Questo modello, per quanto plausibile sulla base di dati scientifici diretti e analogie, non ha ancora una chiara conferma nella pratica, anche perché non esistono studi che abbiano valutato lo stato immune dei pazienti prima di ammalarsi. In possibile parziale contrasto con questa ipotesi sembrano i dati preliminari secondo cui alcuni soggetti sottoposti a immunosoppressione in seguito a trapianto hanno contratto l’infezione con un decorso clinico banale46. Si tratta tuttavia di soli 3 bambini di cui non sono specificate le caratteristiche in termini di età, farmaci assunti e stato immunitario. È possibile che i farmaci immunosoppressivi assunti non fossero sufficienti a contrastare gli effetti “protettivi” della giovane età. Esiste però anche la possibilità opposta: che questi pazienti siano stati avvantaggiati nella seconda fase dell’infezione, riducendo l’intensità della tempesta citochinica associata ad ARDS (Acute Respiratory Distress Syn-

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drome), proprio grazie ai farmaci immunosoppressori (alcuni dei quali, come la ciclosporina, fanno parte del trattamento standard delle HLH). A ogni modo, questa pandemia ci ha ricordato quanto il sistema immunitario si sia selezionato sotto spinte evolutive di milioni di anni per far sopravvivere il giovane fino circa all’età fertile, mentre l’invecchiamento, secondo la definizione di Hayflick47, risulta essere ancora un “artefatto del progresso”. Domanda #3. Come fa il pipistrello, che sembra costituire il serbatoio del virus, a non ammalarsi?

Questa domanda non ha utilità solo naturalistica. Capire come il pipistrello affronta l’infezione senza soccombervi può essere utile a identificare strategie utili per trattare le forme più gravi nell’uomo. Una peculiarità infatti dei pipistrelli è la capacità di fare da reservoir per diversi virus filogeneticamente molto simili a virus poi diventati endemici o pandemici nell’uomo. Tra questi vi sono il virus dell’influenza A48, il virus Ebola49 e i coronavirus SARS-CoV50 e MERS51. Dati preliminari lasciano supporre che anche questo SARS-CoV2 sia derivato da un virus che infetta il pipistrello52. Ma cosa rende il pipistrello un ospite ideale per queste infezioni virali? E perché l’animale non ha la peggio? Sostanzialmente per la coesistenza di due condizioni. La prima è rappresentata dalla presenza di una risposta di tipo immunità innata, trami-

te la produzione di diversi interferoni, sebbene in misura minore rispetto all’uomo53. Questa risposta innata “ridotta” è comunque sufficiente a mettere in moto l’immunità adattativa senza provocare tuttavia un eccesso di infiammazione. In tal modo l’infezione, pur durando più a lungo, può essere controllata senza un eccessivo danno infiammatorio. La seconda è rappresentata dalla minor infiammazione che accompagna queste infezioni virali. I meccanismi di questa mancata attivazione della cascata infiammatoria sono riportati nel Box 3 54-57. Domanda #5. Ma è vero che ci si può riammalare?

Questo aspetto appare al momento molto controverso. Da una parte ci sono alcune segnalazioni, per lo più dalla stampa, di pazienti risultati positivi a distanza di diversi giorni rispetto alla guarigione, definita come presenza di 2 tamponi negativi consecutivi. Tuttavia, è stato anche detto che questo potrebbe rappresentare un falso negativo dei tamponi precedenti (i tamponi infatti non sembrano possedere una sensibilità assoluta, anzi), oppure essere dovuti al fatto che i guariti clinicamente continuino a eliminare un po’ di virus comunque dalle vie respiratorie per diverso tempo pur essendo di fatto guariti (segnalato anche un mese). I casi segnalati quindi non sarebbero delle vere reinfezioni. È vero anche, tuttavia, che i coronavirus in generale, ad esempio quelli associati al comune raffreddore, non sembrano

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Covid-19 e risposta immune

Box 3 - FATTORI IMMUNOLOGICI ASSOCIATI ALLA RIDOTTA VIRULENZA DEI VIRUS NEI PIPISTRELLI, PROBABILE SERBATOIO DEL SARS-CoV-2 È dovuta sostanzialmente alla ridotta attivazione delle vie di segnale a valle dei recettori per i nucleotidi virali, tra cui una ridotta attivazione della via dell’interferone di tipo I (interferone alfa e beta) dovuta a una mutazione della proteina STING54, e a una ridotta attivazione dell’inflammasoma NLRP3 responsabile della secrezione di IL-1β, una delle principali citochine infiammatorie55. Infine, vi è una ridotta espressione della citochina TNFa a causa di una variante della regione del promotore del gene e una aumentata espressione sulle cellule NK di molecole inibitorie56. Tutte queste caratteristiche fanno supporre che per diversi tipi di virus, tra cui i coronavirus, ciò che permette al pipistrello di sopravvivere un tempo sufficientemente lungo per controllare l’infezione sia di fatto una ridotta risposta infiammatoria del sistema immunitario, coerente con l’ipotesi che alcuni componenti chiave del sistema immunitario nei pipistrelli si siano coevoluti con i virus verso uno stato di rispettiva tolleranza e avirulenza. Infine, ciò che potrebbe essere estremamente importante per la pandemia in corso, è la caratteristica dei SARS-CoV di attivare tramite una proteina virale direttamente NLRP3 e quindi la secrezione di IL-1β, citochina chiave nello sviluppo di sindromi infiammatorie quali la sindrome da attivazione macrofagica57.

dare un’immunità persistente, ma in questo caso il sistema immunitario potrebbe essere stimolato solo marginalmente data la superficialità dell’infezione. Di fatto, studi nei pazienti guariti dalla SARS hanno mostrato che l’infezione era associata alla comparsa di anticorpi contro la proteina spike necessaria per l’adesione del virus alle cellule, e che questi anticorpi erano protettivi. Purtroppo, questa risposta tendeva a ridursi dopo un anno. Viceversa la presenza di cellule T di memoria contro il virus è stata dimostrata fino a 6 anni dopo, e possono avere un ruolo protettivo importante, specialmente se residua una popolazione T mucosale specifica58. Non è però possibile dire se questo sarà veramente protettivo nel tempo, non abbiamo dati. Di fatto potrà servire a pensare alle strategie per eventuali vaccini. QUALI SONO LE PROSPETTIVE TERAPEUTICHE?

I cardini della terapia sono certamente il supporto respiratorio e il controllo dei parametri vitali. È buona pratica, nei casi più gravi, aggiungere un trattamento antibiotico empirico per protegge da sovrainfezioni batteriche. Antivirali

Hanno lo scopo di bloccare la rapida e ovviamente deleteria replicazione virale. Possono essere analoghi di nucleotidi o inibitori delle proteasi. Alcuni

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nomi che sono stati usati includono la ribavirina (non sembra avere una particolare efficacia, di fatto è stata usata poco), la combinazione lopinavir/ritonavir (parziale efficacia in vitro e un recente trial cinese mostra uno scarso effetto clinico complessivo nel pazienti trattati)59, remdesivir (ottima efficacia in vitro, in attesa di risultati dei trial clinici in corso)60; favipiravir (farmaco giapponese per il quale sarebbero emersi dati, ancora poco controllati, di un’efficacia clinica). È in corso una sperimentazione clinica in Italia. Pro: sono la più ovvia terapia causale, ma potrebbero avere un’efficacia limitata alle prime fasi della malattia, quando prevale il danno virale diretto. Contro: potrebbero non agire sui meccanismi centrali della fase grave della malattia, che abbiamo visto essere in buona parte infiammatori. Interferoni

Un difficile equilibrio. Sono molecole centrali della risposta immunitaria antivirale e come abbiamo visto potrebbero avere un effetto diverso a seconda della fase dell’infezione in cui vengono dati, da utile a peggiorativo37. Di fatto, il loro utilizzo non pare aver dato grossi risultati visto che sembra fossero molto usati nell’epidemia cinese, specie per via inalatoria, ma non sembrerebbero essere stati riproposti.

Clorochina e idrossiclorochina

Farmaci antimalarici e immunomodulanti, potrebbero svolgere un’azione a diversi livelli. Modificano il pH

dei lisosomi cellulari e inibiscono la diffusione del virus, con un effetto antivirale diretto dimostrato in vitro, con maggior potenza soprattutto per l’idrossiclorochina60. Inoltre, inibiscono l’azione degli interferoni e questo potrebbe aiutare la modulazione dell’eccesso di risposta che abbiamo visto essere implicato nella patogenesi delle forme gravi. Pro: sono farmaci usati da lungo tempo, maneggevoli e con pochi e noti effetti collaterali. Finora abbiamo i solamente i risultati di due piccoli studi clinici, uno francese e uno cinese: il primo troverebbe un’efficacia del farmaco da solo o in associazione all’azitromicina (antibiotico dotato anche di un effetto antinfiammatorio polmonare - attenzione che entrambi allungano il QT) nel favorire la clearance del virus, mentre il secondo non mostrerebbe benefici dalla terapia. Contro: non è chiaro se stiano veramente portando alla svolta terapeutica che è stata propagandata da alcuni. L’efficacia potrebbe essere maggiore nelle fasi iniziali ma non si può dire. Anche in altre infezioni virali era stato rilevato un effetto in vitro che non era seguito poi però da beneficio nel modello animale. È necessario valutarne l’effetto in trial controllati. Giudizio: sospeso. Ma di fatto sono entrati nei protocolli di trattamento empirico di molti ospedali, da soli o in associazione ad azitromicina, per cui appare difficile non considerarli in un eventuale paziente reale. Senza robusti dati clinici tuttavia non si può dire niente. Farmaci ad azione antinfiammatoria

Come abbiamo visto, una parte fondamentale della patogenesi della forma grave di Covid-19 è sostenuta da una iperattivazione dell’infiammazione in cui il virus svolge un ruolo che potrebbe essere non più centrale o addirittura in calo. I corticosteroidi possono essere di qualche efficacia in questi casi, ma non ci sono studi conclusivi in riguardo e c’è qualche preoccupazione riguardo al rischio che prolunghi il tempo di clearance virale, come avveniva anche se solo

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MESSAGGI CHIAVE

❏ L’assenza di immunità crociata di memoria e il tropismo polmonare rendono il Covid-19 molto più grave di un’influenza stagionale. ❏ La fisiologica riduzione del repertorio immunitario con l’età è tra le cause associate a un peggiore decorso nell’anziano. ❏ La valutazione della cinetica dell’infezione ci impone una maggiore attenzione alle fasi iniziali, quando potrebbero avere maggior efficacia l’avvio di un trattamento antivirale e forse anche antinfiammatorio (antimalarici, cortisone). ❏ Diversi farmaci, dal cortisone a farmaci biologici, possono avere un ruolo per bloccare la tempesta citochinica che accompagna l’aggravamento dell’infezione in alcuni soggetti. ❏ Sono tuttavia necessarie conferme sul versante terapeutico dalle diverse sperimentazioni cliniche in corso.

marginalmente nella SARS50. Sempre nella SARS, l’esperienza di Hong Kong su un’ampia casistica mostra una migliore evoluzione per i soggetti trattati con boli di cortisone rispetto a quelli che ricevevano dosi standard14. Più recentemente, nei casi più gravi di Covid-19, la presenza di una tempesta citochinica ha portato all’utilizzo, e poi alla sperimentazione clinica, del tocilizumab, anticorpo monoclonale anti-IL-6 che è già stato utilizzato nelle cytokine release syndrome osservate, ad esempio nelle terapie cellulari con CAR-T per la leucemia. I risultati, stando almeno alle notizie della stampa, sarebbero favorevoli, tuttavia la sperimentazione è in corso (è stato anticipato un report con dati apparentemente molto buoni su un primo gruppo di 21 pazienti61). Di fatto vengono utilizzati nei pazienti tendenzialmente più gravi, anche se potrebbe essere invece più utile usarli in una fase un po’ più precoce, quando il danno polmonare non è ancora troppo severo. Non è tuttavia l’unica via percorribile. È stato dimostrato per esempio che i topi knockout per il

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recettore del TNF sono protetti dalla forma grave della malattia, e che la neutralizzazione del TNF in vivo risulta anche protettiva62. Questo potrebbe far pensare all’utilizzo di farmaci biologici come etanercept o infliximab. Similarmente abbiamo visto che è stata descritta nei coronavirus un’attivazione dell’inflammosoma con rilascio di IL-1β per cui anche l’utilizzo di farmaci anti-IL-1 come anakinra appare potenzialmente di interesse. Un discorso a parte potrebbe meritare infine una modulazione multi-citochinica che includa anche la risposta interferonica. Gli inibitori Janus kinasi (JAK inibitori), usati anch’essi nelle patologie reumatologiche, potrebbero avere il vantaggio di bloccare contemporaneamente diverse citochine tra cui IL-6 e gli interferoni, anche se l’effetto di un’inibizione così ampia potrebbe essere di non facile previsione, forse non necessariamente favorevole63. CONCLUSIONI

Dobbiamo riconoscere che ci mancano ancora molti tasselli per comprendere approfonditamente la patogenesi dell’infezione da SARSCoV-2. Futuri studi dovranno valutare l’intera cinetica dell’infezione per identificare i fattori associati alla progressione dell’infezione, all’effetto citopatico diretto del virus e al danno causato dall’intensa infiammazione polmonare. Comprendere questi fattori potrà aiutare a limitare i danni infiammatori, permettendo un’assistenza respiratoria adeguata finché la reazione immune e/o i farmaci antivirali non abbiano condotto alla clearance del virus. Nel corso del prossimo anno, si riuscirà forse a identificare qualche antivirale più efficace, anche sulla base della chimica computazionale, grazie alla recente descrizione della struttura molecolare di proteasi virali, e a sviluppare vaccini protettivi. Fino a quel momento, dobbiamo impegnarci a limitare quanto più possibile la diffusione del contagio e curare al meglio i malati.

Indirizzo per corrispondenza: Alberto Tommasini e-mail: alberto.tommasini@burlo.trieste.it

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Farmacoriflessioni

Farmaci, sperimentazioni, registri, nei tempi dell’emergenza del coronavirus MASSIMO FONTANA1, GIOVANNA ZUIN1, ANTONIO ADDIS2, FEDERICO MARCHETTI3

Clinica Pediatrica, Università di Milano-Bicocca; Fondazione Monza Brianza per il Bambino e la sua Mamma Dipartimento di Epidemiologia del Servizio Sanitario Regionale, Regione Lazio, Roma 3 UOC di Pediatria e Neonatologia, Ospedale di Ravenna, AUSL della Romagna 1 2

Come la pandemia da Covid-19 ci costringe a ripensare l’utilità della sperimentazione clinica e di ciò che è essenziale perché sia efficace per la buona pratica clinica.

T

utti (o quasi) conosciamo il trial clinico, cioè lo strumento che la Comunità scientifica si è data per valutare l’effetto di un intervento (per lo più un farmaco anziché un altro o solo placebo, una procedura organizzativa, un tipo di intervento chirurgico, un esame strumentale ecc.) in pazienti in cui si ritiene necessario/desiderabile ottenere una modificazione del loro stato. Di fatto, il trial clinico è, allo stato attuale, il miglior “ombrello” che abbiamo a disposizione per difenderci da una ricerca non orientata ai reali bisogni dei pazienti.

DRUGS, CLINICAL TRIALS AND REGISTERS IN THE TIMES OF THE CORONAVIRUS EMERGENCY (Medico e Bambino 2020;39:232-236)

Key words Covid-19, Emergency phase, Clinical trials, Treatment

I PUNTI DEBOLI DEI TRIAL

Summary Covid-19 is forcing medical doctors to deal with the urgent need to find clinical answers in an area where, unfortunately, there are still therapies with no evidence of efficacy and safety. In any case, they must make decisions and face the dilemma of immediately using any therapeutic options that has some plausibility of treatment or instead making clinical trial. However, the latter require formal steps and procedures. How do medical doctors understand which of these are essential and necessary? Is it really important to register the new clinical trials on the official platforms? Is this an unnecessary bureaucratic passage that can be avoided during the emergency phase? The present article tries to answer these questions by also addressing other critical issues related to clinical trials at a time when the good rules of clinical research must not be an obstacle to accessing the best available treatments.

Non tutti, invece, conoscono i possibili punti deboli di questo strumento 1. Tra questi spicca il cosiddetto “bias di pubblicazione”, cioè il fenomeno per cui un trial sperimentale che riesce a ottenere un risultato “positivo” (ad esempio, la superiorità di un farmaco rispetto a un altro, o al placebo) può avere maggiori probabilità di essere pubblicato rispetto a un trial con risultati “negativi” (es. nessuna differenza fra i trattamenti sperimentati). Le cause di questa selezione sono molteplici, alcune sono “fisiologiche” e in buona fede (è probabile che l’Editor della Rivista giudichi più “ap-

petibile” un trial positivo rispetto a uno negativo - ricordate?: “un cane che morde un uomo non è una notizia, ma un uomo che morde un cane…”), ma altre possono essere francamente fraudolente. Infatti, dopo aver visto 2, 3, 4, trial positivi di un farmaco e nessuno, o quasi, negativo, il lettore (cioè tutti noi) si convince della superiorità di quel farmaco, ricavandone un’indicazione clinica distorta. Ne consegue che lo sponsor del farmaco ha tutto l’interesse a veder pubblicati i trial positivi, lasciando invece nel cassetto quelli negativi.

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IL SIGNIFICATO DELLA REGISTRAZIONE

Nel tempo, la Comunità scientifica ha messo in atto diverse contromisure per contrastare il bias di pubblicazione. Una delle più interessanti ed efficaci è il cosiddetto “obbligo di registrazione” del trial, vale a dire l’obbligo di dare comunicazione a un’Agenzia indipendente della “intenzione” di condurre quel trial. Questa comunicazione deve essere fatta prima dell’inizio del trial e deve contenere tutti gli elementi necessari a valutare il trial stesso (disegno sperimentale, fi-

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Farmaci, sperimentazioni, registri, nei tempi dell’emergenza del coronavirus

nanziamenti ecc.), nonché il tempo previsto per la conclusione, trascorso il quale il trial viene etichettato come CON o SENZA risultati, ma comunque “non rimane nel cassetto”. La Tabella I riporta il panorama che riguarda la sperimentazione clinica su determinati principi attivi di uso comune nella pratica clinica pediatrica. L’importanza di questa registrazione va anche oltre il solo bias di pubblicazione. Infatti, presso l’Agenzia viene a costituirsi un database di pubblico accesso (“Registro”) che può consentire, ad esempio, a chi progetta un trial di verificare se sono in corso o si sono conclusi trial simili, oppure a gruppi di pazienti interessati (es. portatori di malattie rare) di venire a conoscenza di progetti di studi che possono riguardarli. Di fatto, oggi la registrazione ha assunto un’importanza che supera gli aspetti “organizzativi” per entrare invece in quelli “etici”. Risale almeno al 2005 la dichiarazione con cui gli Editor delle 11 principali Riviste biomediche concordano di non accettare per la pubblicazione alcun trial che non sia stato in precedenza registrato2,3; e probabilmente tale trial non sarebbe preso in considerazione neppure dai Comitati Etici a cui viene proposto. L’intera materia è comunque in evoluzione. Un recente lavoro ha analizzato gli oltre 300.000 trial registrati nel più grande database del mondo (www.ClinicalTrials.gov - gratuito e di utilizzo molto semplice) estraendone 4209 4. Di questi, però, meno della metà rispetta la normativa prevista dalla FDA (la ben nota Food and Drug Administration a cui è in carico la gestione del database per conto del NIH - National Institute of Health). Le maggiori criticità sembrano concentrarsi nel rispetto dei tempi prefissati per la presentazione dei risultati (di norma un anno dalla conclusione del trial ). Pur essendo previste multe “salate” per i ritardatari, non sembra che la loro efficacia sia ottimale, e probabilmente spetta al lettore (cioè a tutti noi, se crediamo nella loro utilità per valutare la ricerca scientifica) sostenere i Registri, e il miglior modo per farlo è utilizzarli spesso.

Medico e Bambino 4/2020

PROPORZIONE DI TRIAL REGISTRATI IN BAMBINI (TRIAL “DI INTERVENTO”), RELATIVI AD ALCUNE MOLECOLE DI USO COMUNE, PER I QUALI VENGONO PRESENTATI I RISULTATI Molecola

N. trial totali

N. trial CON risultati

% trial CON risultati

Albuterolo

88

30

34,1%

Amoxicillina

64

3

4,7%

Ceftriaxone

28

2

7,1%

FANS

43

10

23,3%

Probiotici

317

18

5,7%

Steroidi

308

53

17,2%

46.557

6876

14,8%

Tutti

Tabella I. Elaborazione da www.ClinicalTrials.gov - marzo 2020.

Una registrazione a tutela del paziente?

Domanda forse un po’ retorica e anche un po’ scontata. La dimostrazione provata di quello che facciamo è la migliore garanzia per il bene del paziente; dove non esistono certezze, i dubbi e le perplessità (che fanno parte del nostro lavoro quotidiano) andrebbero sempre esplicitati, non inseguendo chimere di benessere o superiorità di un trattamento rispetto a un altro che non esistono o che sono riportate in studi che non hanno sufficiente dignità scientifica o, peggio ancora, che hanno un evidente conflitto di interessi3.

UN TRIAL IN EMERGENZA: IL TEMPO DEL CORONAVIRUS

L’attuale pandemia da Covid-19 è entrata con effetti devastanti nel mondo della pubblicazione biomedica, dei trial, e della valutazione “tra pari”. Si sta infatti producendo in tempi rapidissimi una quantità enorme di pubblicazioni. Cercando la voce “Covid19” in PubMed (al 26 marzo) troviamo più di 1500 pubblicazioni, nessuna delle quali è etichettata come clinical trial (più di 200 sono Letters, 130 Editorial, 77 Review ecc.), mentre ClinicalTrials.gov segnala 178 clinical trial (63 condotti in Cina), gran parte dei quali non è però ancora conclusa. In tempi di emergenza (che in termini di sperimentazioni su popolazioni di pazienti non hanno precedenti

nella Storia) ci si chiede cosa sia giusto fare, quali siano le regole da seguire e con che modalità. Ci si chiede se mentre muoiono pazienti si è nella condizione di condurre una sperimentazione. Le conoscenze non possono attendere, le decisioni sulle scelte terapeutiche da adottare (fare o non fare) sono di ora, e non appartengono ai tempi necessari per la registrazione di un protocollo, e poi magari per la sua pubblicazione e poi per l’approvazione da parte di Comitati Etici. Eppure alcune regole, anche in emergenza, a completa tutela dei pazienti, devono essere proposte, condivise e adottate. È forse comprensibile che saltino i Registri internazionali? La pandemia si sta muovendo a ondate e quello che conosco ora può essere di aiuto per il momento successivo dell’epidemia in un’altra Nazione. Ma quello che conosciamo, e da sempre, nella metodologia di lavoro dovrebbe essere sempre rispettato per essere sicuri che un determinato trattamento sia efficace e privo di sostanziali rischi. Nell’immaginario collettivo la terapia sperimentale non rappresenta una speranza di cura ma è diventata “la cura” che occorre fare. Non avendo educato né i pazienti né gli operatori alla gestione dell’incertezza ed essendo cresciuti tutti a forza di annunci memorabili di una Medicina che fino a ieri si presentava come “precisa”, è molto complicato ora dire “non so”, e per questo abbiamo bisogno di studiare e sperimentare.

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Farmacoriflessioni

Per intenderci vogliamo riportare alcuni esempi. Su questo numero di Medico e Bambino 5 (pag. 223) si discutono tutti i meccanismi patogenetici della infezione da Covid-19 e si ipotizzano i possibili trattamenti al momento noti, come ipotesi di lavoro e di studio. Si tratta di capire, appunto, come dimostrarli nella loro presunta efficacia. Si parla di farmaci antivirali nella fase iniziale dell’infezione, di clorochina-idrossiclorochina (con diversi meccanismi di azione), di antinfiammatori (dal cortisone agli inibitori della interleuchina 1 e 6, per arrivare agli inibitori dell’interferone-gamma). Con delle conclusioni basate attualmente sull’incertezza. E ragionando su queste ipotesi che peso possiamo dare al lavoro francese6 che, su una piccola coorte di pazienti, ci dice su end-point surrogati che l’azitromicina in associazione all’idrossiclorochina è in grado di favorire la clearance virale? In tempi non di emergenza chiunque di noi avrebbe voluto valutare la dimostrazione di efficacia di questa associazione farmacologica in uno studio formale, comparativo, per capire se i pazienti trattati stiano effettivamente meglio. Di fatto, questa associazione farmacologica, anche nella realtà italiana, è attualmente prescritta (a domicilio) per il trattamento della infezione da Covid-19. NON C’È TEMPO PER CAPIRE E SPERIMENTARE?

Queste situazioni di emergenza ci pongono sempre di fronte al dilemma riassumibile nel “non c’è tempo per sperimentare”. Eppure, senza un metodo rigoroso da seguire, in queste situazioni di incertezze, nessun medico potrà sentirsi sicuro di quello che propone e nessun paziente critico potrà avere la garanzia di non essere esposto a rischi inutili, e senza una prospettiva reale di ottenere, in un tempo ragionevole, risposte valide. E senza una sperimentazione pragmatica si continuerà a discutere e a lungo se il cortisone serve, in che fase dell’infezione, per quali pazienti, anche a fronte dei risultati della larga coorte cine-

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se che avrebbero dimostrato l’efficacia dello steroide in un sottogruppo di pazienti in fase avanzata di malattia7. E se si arriverà a dimostrare che serve l’inibitore di una interleuchina come potremmo immaginare che il cortisone (inibitore non di una, ma di diverse interleuchine) non possa essere preso in considerazione in determinati sottogruppi di pazienti con infezione da Covid-19? Se guardiamo alcune linee guida regionali che arrivano sui tavoli dei medici a ondate (senza una vera e partecipe linea di indirizzo nazionale) si legge al contrario, e in una riga, che sul cortisone non c’è alcuna dimostrazione di efficacia e che il suo utilizzo non è consigliato. Invece una sperimentazione (circa l’unica pubblicata al momento sul Covid-19) è stata condotta dai cinesi su una delle associazioni di antivirali proposte e ci dice che, rispetto al gruppo di controllo, “nessun beneficio è stato osservato con il trattamento con lopinavir-ritonavir al di fuori delle cure standard”8. E il richiamo è sempre lo stesso: “prove future in pazienti con malattia grave possono aiutare a confermare o escludere la possibilità di un beneficio terapeutico”. Il trial però ci dice anche che la mortalità (esito secondario per la quale lo studio non era stato dimensionato) pur non risultando significativamente diversa rispetto al controllo mostrava un chiaro trend a favore del trattamento. È stata inoltre osservata anche una tendenza verso la riduzione della permanenza in Unità di Terapia Intensiva a favore dell’associazione. Aspetti che fanno ipotizzare (e quindi sono da dimostrare) che un farmaco antivirale (ma si tratta di capire magari quale, e questo richiede necessariamente un confronto!) possa dare un benefico all’inizio della malattia e non sui pazienti che stanno già male5, come sembrerebbero suggerire, anche in questo caso, i risultati di uno studio di coorte non controllato su un numero limitato di pazienti9. ALLORA CHE FARE?

In queste ore, ogni medico al letto del paziente, ma anche nei trattamenti

domiciliari, sta decidendo empiricamente cosa fare, e non può fare a meno di farlo. La sua “esperienza personale” (o quella di gruppo) sono offuscate dall’emergenza che toglie il fiato, che non dà il tempo di discutere e condividere. E questo inevitabilmente crea anche delle divergenze nell’approccio che viene seguito nei singoli ospedali, nelle diverse realtà territoriali. Eppure, sotto il versante (anche) della sperimentazione molto si sta facendo, “saltando” in parte alcune regole che sono comunque necessarie per le ragioni dette; si sta cercando di renderle più snelle, più orientate a “sinossi” di lavoro, più che a protocolli di pagine e pagine. Una sinossi che ci dice, in tempi rapidi, ma ben ponderati, cosa ci prefiggiamo di dimostrare, come vogliamo dimostrarlo, con chi, rispetto a cosa. Presumibilmente ogni Nazione si sta muovendo o si muoverà in questa direzione e l’Italia lo sta facendo in modo egregio attraverso l’attività dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA)10. Sul sito di quest’ultima è infatti possibile rintracciare in modo trasparente le sperimentazioni che via via si stanno mettendo in campo per curare o prevenire l’infezione da Covid-19 (Tabella II). IL FUTURO È ADESSO

Finita l’emergenza ci si chiederà cosa è servito, quali sono state le risultanze del lavoro che è stato fatto. Ci si chiederà, ad esempio, se l’emergenza Covid-19 non potrà definire in modo più chiaro e utile il ruolo dell’AIFA (e di altre strutture formali deputate alla ricerca) quale Ente regolatorio e tecnico-scientifico con una nuova funzione strategica nel promuovere la ricerca e nel ripensare le sperimentazioni cliniche. Velocità, semplificazione, essenzialità potrebbero essere alcune parole chiave. Ma anche una funzione capace di favorire una ricerca la più possibile orientata a essere davvero utile alla pratica clinica, partendo da rilevanti quesiti che non hanno ancora risposte11. Nel necessario ripensamento

Medico e Bambino 4/2020


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Farmaci, sperimentazioni, registri, nei tempi dell’emergenza del coronavirus

del nostro Servizio Sanitario Nazionale occorrerà anche riflettere sul bisogno di una ricerca clinica pubblica, che possa prendersi cura di quesiti scientifici forse poco commerciali, ma che questa emergenza ha reso chiari e prioritari. Ora, tuttavia, non è tempo per ipotizzare le scelte giuste o sbagliate e non parliamo solo di farmaci e di sperimentazioni. Ma ora è anche il tempo per non vivere il furore della conoscenza, del farmaco miracoloso, della pubblicazione in anteprima che ha basi poco solide nel favorire una conoscenza immediatamente trasferibile al letto del paziente.

Loro, i nostri pazienti, ci chiedono di essere ragionevoli, informativi, di vivere l’assistenza fatta non solo di farmaci, di tecnologia, ma anche di parole, di amore: quello che nelle corsie ogni giorno si sta cercando con fatica di garantire. I pazienti (anche quelli a domicilio) e i familiari (compresi i genitori dei bambini e adolescenti con infezione, spesso asintomatica o paucisintomatica) hanno bisogno di avere rassicurazione e informazioni giuste, e i farmaci sono una parte della storia che accompagna l’infezione da Covid-1912. E noi come pediatri, non invasi da questa tragedia e con ancora minore conoscenze nella gestione farmacolo-

gica dei pochi casi gravi descritti in letteratura13,14, non possiamo che essere solidali, richiamando (se possibile, con garbo) la Comunità medica e scientifica a dei principi che rappresentano il migliore “ombrello” (da cui siamo partiti) che abbiamo per garantire in primis la salute dei genitori, dei nonni e anche dei nostri bambini: una ragionevole e pragmatica sperimentazione clinica che, mentre viene “scelta” con sufficiente rigore, potrà dirci, giorno dopo giorno, di tutti i progressi e conoscenze che dobbiamo ancora acquisire sull’infezione da Covid-19; magari ancora prima che finisca, speriamo il prima possibile.

SPERIMENTAZIONI CLINICHE SU COVID-19 PRESENTI NEL REGISTRO DELL’AIFA Studio

Promotore

Data autorizzazione

Documenti

A phase 3 randomized study to evaluate the safety and antiviral activity of remdesivir (GS-5734™) in participants with moderate Covid-19 compared to standard of care treatment (GS-US-540-5774 Study)

Gilead Sciences, Inc

11/03/2020

https://www.aifa.gov.it/ documents/20142/1131319/ GS-US-540-5774_documenti.zip

A phase 3 randomized study to evaluate the safety and antiviral activity of remdesivir (GS-5734™) in participants with severe Covid-19 (GS-US-540-5773 Study)

Gilead Sciences, Inc

11/03/2020

https://www.aifa.gov.it/ documents/20142/1131319/ GS-US-540-5773_documenti.zip

Multicenter study on the efficacy and tolerability of tocilizumab in the treatment of patients with Covid-19 pneumonia (TOCIVID-19)

Istituto Nazionale Tumori, IRCCS, Fondazione G. Pascale, Napoli

22/03/2020

https://www.aifa.gov.it/ documents/20142/1131319/ TOCIVID-19_documenti.zip

A phase 2/3, randomized, open-label, parallel group, 3-arm, multicenter study investigating the efficacy and safety of intravenous administrations of emapalumab, an anti-interferon gamma monoclonal antibody, and anakinra, an interleukin-1 receptor antagonist, versus standard of care, in reducing hyper-inflammation and respiratory distress in patients with SARS-CoV-2 infection (Sobi.IMMUNO-101)

SOBI

25/03/2020

https://www.aifa.gov.it/ documents/20142/1131319/ Sobi.IMMUNO-01_documenti.zip

An adaptive phase 2/3, randomized, double-blind, placebo controlled study assessing efficacy and safety of sarilumab for hospitalized patients with Covid-19 (Sarilumab Covid-19)

Sanofi-Aventis Recherche & Développement

26/03/2020

https://www.aifa.gov.it/ documents/20142/1131319/ Sarilumab_documenti.zip

Uno studio randomizzato multicentrico in aperto per valutare l’efficacia della somministrazione precoce del tocilizumab in pazienti affetti da polmonite da Covid-19-19 (RCT-TCZ-COVID-19)

Azienda Unità Sanitaria Locale, IRCCS di Reggio Emilia

27/03/2020

https://www.aifa.gov.it/ documents/20142/1131319/ RCT-TCZ-COVID19_documenti.zip

Tabella II. Aggiornamento al 27 marzo 2020.

Medico e Bambino 4/2020

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Farmacoriflessioni

MESSAGGI CHIAVE

❏ L’emergenza Covid-19 ci pone di fronte all’urgenza di trovare risposte cliniche in un ambito in cui purtroppo non abbiamo ancora prove di efficacia e sicurezza di nuove terapie. ❏ Il medico deve in ogni caso prendere delle decisioni e confrontarsi con il dilemma di adoperare subito qualsiasi opzione terapeutica che ha una qualche plausibilità di cura o invece fare delle sperimentazioni cliniche. ❏ Queste ultime richiedono però dei passaggi formali e delle adeguate procedure metodologiche. ❏ Come facciamo a capire quali di questi studi sono essenziali e imprescindibili? È necessario registrare i clinical trial nelle piattaforme ufficiali? Si tratta di un inutile passaggio burocratico che possiamo evitare durante la fase di emergenza? ❏ Si discute di alcune criticità legate alla sperimentazione, in un momento in cui le buone regole della ricerca clinica non devono rappresentare un ostacolo all’accesso alle migliori cure disponibili, a vantaggio e a difesa del paziente.

Indirizzo per corrispondenza: Federico Marchetti e-mail: federico.marchetti@auslromagna.it

Bibliografia 1. Chalmers I, Glasziou P. Avoidable waste in the production and reporting of research evidence. Lancet 2009;374(9683):86-9. 2. Dresser R. Clinical trial registration and the ICMJE. JAMA 2005;293(2):157. 3. Marchetti F, Lazzerini M. La registrazione degli studi clinici: una garanzia a tutela dei pazienti? Medico e Bambino 2005;24(6):348. 4. DeVito NJ, Bacon S, Goldacre B. Compliance with legal requirement to report clinical trial results on ClinicalTrials.gov: a cohort study. Lancet 2020;395(10221):361-9. 5. Volpi S, Naviglio S, Tommasini A. Covid-19 e riposta immune. Tra debolezze in difesa e

errori in attacco. Medico e Bambino 2020;39(4):223-31. 6. Gautret P, Lagier JC, Parola P, et al. Hydroxychloroquine and azithromycin as a treatment of COVID-19: results of an open-label non-randomized clinical trial. Int J Antimicrob Agents 2020 Mar 20:105949 [Epub ahead of print]. 7. Wu C, Chen X, Cai Y, et al. Risk factors associated with acute respiratory distress syndrome and death in patients with coronavirus disease 2019 pneumonia in Wuhan, China. JAMA Intern Med 2020 Mar 1 [Epub ahead of print]. 8. Cao B, Wang Y, Wen D, et al. Trial of lopinavir-ritonavir in adults hospitalized with severe Covid-19. N Engl J Med 2020 Mar 18 [Epub ahead of print]. 9. Wu J, Li W, Shi X, et al. Early antiviral treatment contributes to alleviate the severity and improve the prognosis of patients with novel coronavirus disease (COVID-19). J Intern Med 2020 Mar 27 [Epub ahead of print]. 10. AIFA. Sperimentazioni cliniche - Covid19. https://www.aifa.gov.it/sperimentazionicliniche-covid-19. 11. Addis A. Governare la ricerca medicoscientifica è un investimento per il Servizio Sanitario Nazionale. Medico e Bambino 2012;31(4):211-2. 12. Greenhalgh T, Koh GCH, Car J. Covid-19: a remote assessment in Primary Care. BMJ 2020 Mar 25;368:m1182. 13. Guiducci C, Marchetti F. Covid-19 e bambini: il punto dalla letteratura al 18 marzo. Medico e Bambino 2020;39(3):151-3. 14. Sinha IP, Harwood R, Semple MG, et al. Covid-19 infection in children. Lancet Respir Med 2020, Mar 27 [Epub ahead of print].

Le giornate di Medico e Bambino in programma a Treviso il 15-16 maggio 2020 sono RIMANDATE (come le Olimpiadi...) esattamente di un anno...

Treviso, 14-15 maggio 2021 Al Congresso saranno assegnati i crediti formativi ECM

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Appunti di Neuropsichiatria

Covid-19 e salute mentale in età evolutiva: l’urgenza di darsi da fare GIUSEPPE ABBRACCIAVENTO1, MARTA COGNIGNI2, GUGLIELMO RICCIO2, MARCO CARROZZI1

SC di Neuropsichiatria Infantile, IRCCS Materno-Infantile “Burlo Garofolo”, Trieste Università di Trieste

1 2

Giorno dopo giorno emerge la drammatica realtà clinica degli effetti devastanti sulla salute mentale (e più in generale sulla salute) di bambini e adolescenti conseguenti ai mutamenti sociali che la tempesta Covid-19 si sta portando dietro, in modo particolare per le categorie che, per problemi di salute, sono più fragili e con minori protezioni. Ognuno di noi, pediatra o neuropsichiatra che sia, dovrebbe prenderne atto impegnandosi a dare una risposta operativa personale prima ancora che istituzionale. È di questa urgenza che questo articolo ci fa prendere coscienza, con ampia visione generale ma anche con l’esemplificazione concreta di quello che ognuno di noi potrebbe fare, come singolo medico dell’età evolutiva e come partecipe alla difesa di un Servizio Sanitario Nazionale efficiente e adeguato a rispondere in tempo reale ai bisogni di salute indotti dalla crisi in atto.

GIORNO –2 DAL DPCM #IORESTOACASA

D., un ragazzo di 15 anni in terapia antidepressiva con inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina in condizioni stabili da circa tre mesi, scrive: «Buonasera dottore, in questi giorni mi sento male. Le chiedo se posso venire, avrei bisogno di parlare. Spero di non disturbarla. Grazie». GIORNO 2 DAL DPCM #IORESTOACASA

C. di 9 anni arriva in Pronto Soccorso (PS) per difficoltà respiratorie. Dice ai medici: «Non riesco a far entrare l’aria nei polmoni». I genitori riferiscono che le difficoltà respiratorie si evidenziano a riposo e si risolvono spontaneamente se distratto in attività di suo interesse. L’esame obiettivo è negativo, mentre la visita neuropsichiatrica evidenzia ansia libera e paure ipocondriache. C. al termine della visita dice: «Ho paura del coronavirus, mi sento male quando sento la tv e devo spegnerla o andare in un’altra stanza perché non ce la faccio più a sentire queste cose sul virus». Medico e Bambino 4/2020

COVID-19 EMERGENCY AND MENTAL HEALTH: INTENSIVE AND COORDINATED STEP-UP INTERVENTIONS (Medico e Bambino 2020;39:237-240)

Key words Mental health, Public health, Coronavirus, Psychiatry, Adolescent, Child Summary The coronavirus outbreak has shocked health systems worldwide. It is a serious situation that will pervade the entire population in their bodies and minds. Long-term implications on mental health will persist even when the outbreak will have worn off. Children, adolescents and parents are more susceptible to the impact of quarantine and isolation conditions as well as exposure to traumatic events. There is an urgent need to manage the mental health emergency in a way that is proportionate and coherent with the new and unexpected crisis condition. To respond to this mental health crisis, it will be necessary to develop and test emergency intervention strategies in public health, based on intensive and coordinated step-up interventions, aimed at the whole population, whilst paying greater attention to risk groups and specific mental health needs.

La diagnosi alla dimissione è di sighing dispnea. GIORNO 7 DAL DPCM #IORESTOACASA

G. di 17 anni, seguita da anni dalla Neuropsichiatria Infantile (NPI) per tratti di personalità borderline associati a disturbo della condotta e sintomatologia depressiva, in terapia neurolettica, giunge in PS accompagnata dalle

Forze dell’Ordine, in stato alterato di coscienza. Precedentemente, a ottobre 2019, giungeva in PS in seguito a dichiarata intenzionalità suicidaria. Da allora risultava stabile senza necessità di altri accessi in PS. Nell’ultimo accesso la ragazza spiega di aver assunto vari farmaci a scopo suicidario dopo essere scappata di casa. Da circa 10 giorni ha sospeso l’attività scolastica e ha interrotto l’attività terapeutica di gruppo che svolgeva presso il Servizio territoriale.

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Appunti di Neuropsichiatria

GIORNO 20 DAL DPCM #IORESTOACASA

UNA CONDIZIONE ESTREMA DI DISAGIO

Una sera, vengo chiamato dalla pediatra di M., di 13 anni. «M. si è buttata dalla finestra, è in PS. Ha fatto un salto di 4 metri, ma per fortuna non si è fatta nulla, quando è stata soccorsa diceva che voleva morire». M. è una ragazzina seguita da un Servizio di NPI privato convenzionato, per disabilità intellettiva lieve e disturbo oppositivo provocatorio. Avevo incontrato la ragazza a gennaio, su richiesta della famiglia per una “second opinion” in merito alla terapia farmacologica (due neurolettici a dosaggio molto basso). La famiglia mi diceva: «Non siamo seguiti da nessuno; dove ci hanno prescritto la terapia non hanno da tempo neuropsichiatri e pertanto nessuno controlla la terapia di M., vorremmo una presa in carico». Formalizzo un invio alla struttura di Neuropsichiatria territoriale pubblica di riferimento e nel frattempo adeguo il trattamento con una monoterapia a dosaggio terapeutico con risconto di un miglioramento delle condotte esternalizzanti sino all’episodio che ha condotto M. in PS.

Stiamo iniziando a confrontarci con una condizione estrema di disagio psicologico che con il tempo produrrà maggiore pressione su bambini, adolescenti e genitori: sintomi somatici, paura estrema di ammalarsi, ridotta concentrazione, umore deflesso, mancanza di energia, rabbia e aggressività, abuso di alcol, tabacco e sostanze, insorgenza di disturbi psichiatrici come il disturbo post-traumatico da stress, disturbi ansiosi, fobie, disturbi dell’umore, suicidalità e disturbi del pensiero1-5. D’ora in avanti dovremo confrontarci con il severo trauma che avrà pervaso tutta la popolazione, grandi e piccoli. L’impatto psicologico dell’isolamento e della quarantena prolungate si andrà a sommare all’altissimo numero di vite umane perdute a causa dell’emergenza pandemica: genitori, nonni, parenti, amici, figure di riferimento6-10. Le nostre preoccupazioni dovranno andare oltre il solo il corpo ferito, e ancora oltre le indelebili cicatrici nella mente. L’humus della società dovrà essere gelosamente preservato. Da una parte la memoria della senilità e la produttività dell’età adulta, dall’altra la mente vivace del bambino e il genio dell’adolescente. Ogni misura elaborata in questo contesto ad altissimo potenziale distruttivo deve prevedere interventi trasversali finalizzati alla salute dell’intera collettività. Come dire che si dovrebbe cominciare a parlare, non solo di Salute pubblica, ma anche e soprattutto di Salute della civiltà. Un approccio integrato, dove misure straordinarie di Sanità pubblica si associano a misure altrettanto straordinarie di salute mentale sull’età evolutiva, rappresenta un obiettivo cruciale e urgente da raggiungere per meglio gestire la situazione di emergenza e per arginare e controllare la diffusione dell’epidemia.

GIORNO 28 DAL DPCM #IORESTOACASA

Il papà di F, bambina con ritardo di sviluppo che ha da varie settimane sospeso la frequenza dell’asilo nido e della terapia riabilitativa, scrive: «Buongiorno dottore, spero tutto bene. Sono il papà di F., la bimba in osservazione da voi al “Burlo”. La bimba sta bene, ma sta soffrendo la mancanza del nido. Al nido stava facendo degli ottimi progressi grazie all’interazione con altri bambini e all’ottimo personale presente. Ho paura che una parte di questi progressi vadano vanificati dal prolungato stop del nido. Le scrivo per chiederle se può consigliarmi delle attività da farle fare a casa, che possano in qualche modo aiutarla a progredire sopperendo alla mancanza del nido. La ringrazio, Cordiali saluti».

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LA RISPOSTA SANITARIA

La risposta sanitaria all’epidemia da Covid-19 deve quindi articolarsi

con interventi multidisciplinari finalizzati a preservare e sostenere la salute fisica e mentale degli individui6,9,11. Le realtà di Cina e Corea del Sud, dove è stato già superato il picco di contagi, suggeriscono interventi mirati di salute mentale, con interventi centralizzati e coordinati. Il 26 gennaio 2020 il Governo cinese, in risposta all’emergenza per l’epidemia da Covid-19, ha prodotto delle linee guida che enfatizzano la priorità di un tempestivo intervento di supporto psicologico coordinato a livello nazionale per il controllo complessivo dell’epidemia12. In Corea del Sud, il National Trauma Center, istituito direttamente dal Governo centrale e attivo dal 2018, svolge attività di promozione di salute mentale e di interventi di emergenza per sostegno psicologico e psichiatrico in risposta a situazioni di crisi o catastrofi nazionali13. Valutando nel dettaglio gli interventi di salute mentale da attuare, questi possono essere rivolti all’intera popolazione attraverso una stratificazione dei bisogni e dei sistemi di supporto, come riportato nella Figura 1, che riflette gli interventi di salute mentale proposti in contesti e situazioni di emergenza14,15. Sono quindi necessari interventi di promozione di salute mentale rivolti all’intera popolazione; campagne di resilienza con interventi non specialistici rivolti alla popolazione a rischio, ad esempio coinvolgendo i pediatri di famiglia e i medici di Medicina generale; e infine interventi specialistici neuropsichiatrici che possono avere una gradualità variabile in base alle specifiche condizioni e ai bisogni. Programmare e coordinare questa tipologia di misure sull’intero territorio nazionale o su territorio regionale, coerentemente con quella che è la diffusione dell’epidemia, non può che avvenire per mezzo di un gruppo di lavoro dedicato e in stretto contatto con gli Apparati istituzionali. In altri termini think globally, act locally 16. Sebbene siamo consapevoli che tale proposta evochi l’immagine di pesanti ingranaggi burocratici statali, talvolta poco operativi e non tempesti-

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Covid-19 e salute mentale in età evolutiva : l’urgenza di darsi da fare

Servizi terapeutici gestiti da specialisti di salute mentale (psichiatra, psicologo). Supporto di salute mentale da parte del medico di base. Supporto emotivo da parte degli operatori sociali. Supporto di salute mentale da parte del medico di base. Supporto emotivo da parte degli operatori sociali. Promozioni dei servizi di base sicuri, socialmente appropriati e rispettosi della dignità personale.

Supporto specialistico Supporto non specialistico individuale

Rafforzamento dei supporti alla comunità e alle famiglie Supporto sociale su servizi di base e sicurezza

Figura 1. Interventi di salute mentale: strategie dei bisogni e dei sistemi di supportoDa voce bibliografica 14, modificata.

vi, l’auspicio è che una tale condizione richiami a movimenti di reale spirito di apertura, confronto e cooperazione tra professionisti e settori che operano nell’ambito dell’età evolutiva. UNA SFIDA PER LA COMUNITÀ SCIENTIFICA E ASSISTENZIALE

Un’emergenza di questa portata rappresenta una sfida per la comunità scientifica, che in questo momento storico è chiamata a perfezionare le proprie competenze e abitudini a favore del bene comune. Ci sembra quindi urgente e doverosa l’istituzione di un Tavolo di lavoro tecnico per pianificare strategie di sostegno alla salute mentale nell’età evolutiva. Tavolo di lavoro i cui obiettivi primari dovrebbero essere ad esempio: • la centralizzazione e il coordinamento di interventi di salute mentale nell’età evolutiva; • la cooperazione con realtà sociali, civili, Società scientifiche e Istituzioni che operano nell’ambito dell’età evolutiva; • l’individuazione di indicatori di monitoraggio clinico utili a orientare gli interventi nel corso dell’evoluzione dell’epidemia; • la creazione di programmi di resilienza e promozione della salute mentale nell’età evolutiva;

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• la pianificazione degli interventi sanitari sulla base di una stratificazione del rischio clinico e dei relativi bisogni assistenziali; • la diffusione delle linee di indirizzo per servizi ambulatoriali e ospedalieri che operano nell’ambito dell’età evolutiva. EMERGENZA AL TEMPO DEL CORONAVIRUS: DALLA PRATICA ALLA PRATICA

Certamente, pur rimanendo il piano proposto irrinunciabile, c’è bisogno anche di qualcosa di più diretto, più immediatamente applicabile, più consono a rispondere, caso per caso, all’urgenza della situazione. Invitiamo quindi chi opera nell’ambito della Neuropsichiatria, e più genericamente in quello dell’età evolutiva, anche a una riflessione in questo senso. L’esperienza che i medici delle diverse specialità stanno vivendo in questi giorni in Italia possono essere assai disparate in base al territorio e all’ambito professionale. Se da una parte c’è chi si trova a sostenere turni massacranti per carenza di personale, dall’altra parte esistono Servizi paralizzati, con attività ordinaria ridotta al minimo e non sempre propensa a una pratica clinica da remoto (telefono, videochiamate, chat, mail ). In questa condizione di estrema necessità, che certamente avrà (e già ha)

un impatto drammatico su tanti nostri pazienti, è necessario immaginare un nuovo modo di adoperarsi nella pratica quotidiana. Per quanto riguarda l’età evolutiva dovremmo impegnarci a non perdere di vista i nostri pazienti. Dovremmo rianalizzarli e ordinarli intanto per rischio clinico, considerando: condizioni psicosociali, patologie croniche, patologie neuropsichiatriche, malattie rare, condizioni di monogenitorialità, disabilità e altre patologie gravi in famiglia, pazienti in quarantena, pazienti in condizioni di isolamento o condizioni dove vi sono state recenti perdite. E dovremmo quindi contattarli. Le chat, le telefonate o le videochiamate, potrebbero prevedere una durata breve, il tempo necessario a creare un minimo stato di interesse per l’altro. Ascoltare con interesse è una soluzione alla distanza. Farsi raccontare come viene trascorsa la giornata dai figli e dai genitori, com’è composta la casa, come ci si divide gli spazi, quali routine sono state adottate. Quali sono i punti di forza e quelli di criticità rispetto alle loro condizioni di vita. Se ci sono da dare consigli bisognerà poi interessarsi sull’evoluzione delle cose: è infatti utile darsi sempre un appuntamento per non perdere poi quella situazione. Nel parlare con gli adolescenti non è necessario imporsi, basta proporsi con interesse. E proprio come si fa con gli adulti, si fanno le stesse domande, con lo stesso grado di interesse. Com’è la camera, come trascorre la giornata, quale record raggiunto in ore di cellulare utilizzato, ci sono difficoltà di convivenza con gli adulti, quali applicazioni sul cellulare o sul computer vengono utilizzate, e magari farsele spiegare per imparare qualcosa. Ci preme sottolineare che questo stile di colloquio dev’essere visto come una chiacchierata, non come una psicoterapia. È un’occasione per il genitore o per il figlio per poter chiedere un consiglio, un aiuto o per stringere un legame più forte con il proprio pediatra di riferimento; dall’altra parte vale lo stesso. Nella nostra pratica spesso i buoni consigli ci vengono dati dai pazienti adolescenti. Infine, è anche possibile che questa situazione di chiusura e isolamento esa-

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Appunti di Neuropsichiatria

cerbi conflittualità già presenti, o possa facilitare lo sviluppo di psicopatologie o situazioni di rischio. In tal caso, bisognerà prestare attenzione ai messaggi non sempre molto chiari che nascondono una richiesta di aiuto per cui è poi necessario “inviare” il caso agli specialisti della salute mentale o se necessario segnalare a chi di competenza. Rimandiamo alle linee guida prodotte dalla Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza che ben indirizzano il neuropsichiatra nell’ambito del suo lavoro all’interno dei Servizi territoriali, ospedalieri o riabilitativi. Alcune indicazioni potrebbero risultare di estrema utilità anche per altri professionisti sanitari che operano nell’ambito dell’età evolutiva17. MESSAGGI CHIAVE ❏ Una calamità di tale portata (quella della pandemia da coronavirus), che coinvolge l’intera popolazione e destabilizza in modo così perturbante i comparti sanitari, sociali ed economici del Paese, rappresenta una condizione di emergenza mai vissuta prima. ❏ In tale situazione sono prevedibili implicazioni a lungo termine sulla salute mentale di bambini, adolescenti e genitori, maggiormente suscettibili all’impatto delle condizioni di quarantena e isolamento. ❏ È pertanto urgente elaborare misure di intervento nell’ambito della salute mentale dell’età evolutiva. ❏ A tal fine proponiamo l’istituzione di un Gruppo multidisciplinare di coordinamento centrale, nazionale o regionale, che possa orientare gli interventi di salute mentale, predisponendo progetti e programmi coerentemente ai bisogni della popolazione e all’andamento della diffusione dell’epidemia sul territorio nazionale. ❏ È altresì fondamentale che ogni operatore sanitario che lavora nell’ambito della Neuropsichiatria, e più genericamente in quello dell’età evolutiva, si adoperi da subito per stabilire un contatto con le situazioni più presumibilmente problematiche, quelle che richiedono un ascolto, un confronto, che inizialmente può e deve avvenire anche a distanza.

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CONCLUSIONI

In questa condizione di incertezza e precarietà nessuno può esimersi dal riflettere sul proprio ruolo in difesa dei pazienti, della propria professionalità e dell’adeguatezza del nostro Sistema Sanitario Nazionale (SSN). Se da una parte l’emergenza in atto esaspererà la condizione di precarietà del SSN, dall’altra potrebbe rappresentare un fertile spazio per ricostruire un senso collettivo di dignità etica e professionale. Siamo quindi certi che la costituzione di un Gruppo di lavoro multidisciplinare possa rappresentare l’occasione per creare un nuovo terreno di negoziazione con la classe dirigente e un crescente spirito di cooperazione tra tutti gli operatori che lavorano nell’ambito dell’età evolutiva. Così come siamo certi che a questo Tavolo di lavoro ognuno di noi saprà portare il contributo di impegno, creatività e passione professionale che questa drammatica emergenza gli ha avrà dato occasione di sperimentare.

“… Ho sentito neonati piangere con voce di colomba E vecchi con i denti rotti attoniti senza amore Capisco la tua domanda, uomo, si è senza speranza e abbandonati? Entra - disse lei - Ti darò riparo dalla tempesta” Bob Dylan “Shelter from the storm” - 1974

Indirizzo per corrispondenza: Giuseppe Abbracciavento e-mail: g.abbracciavento@gmail.com

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Anno XXIII Numero 4

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Queste pagine rappresentano la finestra su “Medico e Bambino” cartaceo dei contributi originali delle pagine elettroniche. I testi in extenso sono pubblicati on line.

Il punto su... ALLATTAMENTO E INFEZIONE DA SARS-COV-2 Indicazioni ad interim della Società Italiana di Neonatologia Riccardo Davanzo1,2, Fabio Mosca3 con la collaborazione di Guido Moro4, Massimo Agosti5, Fabrizio Sandri6 1 Istituto Materno-Infantile IRCCS “Burlo Garofolo”, Trieste 2 Tavolo Tecnico sull’Allattamento del Ministero della Salute 3 Neonatologia e Terapia Intensiva Neonatale, Fondazione IRCCS “Cà Granda” Ospedale Maggiore Policlinico, Università di Milano 4 Associazione Italiana delle Banche del Latte Umano Donato 5 Neonatologia e Terapia Intensiva Neonatale, Ospedale del Ponte, Varese 6 Neonatologia e Terapia Intensiva Neonatale, Ospedale Maggiore, Bologna Indirizzo per corrispondenza: riccardo.davanzo@gmail.com

IL NEONATO DI MADRE COVID-19: INDICAZIONI DALLA SIN

La SIN ha fornito un orientamento sulla gestione complessiva del figlio di donna Covid-19 con una serie di materiali accessibili dal proprio sito internet (www.sin-neonatologia.it/indicazioni-sin), con la newsletter SINInforma (marzo 2020 - www.sin-neonatologia.it/pdf/SIN_ INFORMA_n78_speciale_covid19.pdf) e con delle linee di indirizzo sull’allattamento. Queste ultime hanno ricevuto l’endorsement della Union of European Neonatal and Perinatal Societies (UENPS) e sono state pubblicate sulla rivista Maternal and Child Nutrition (Davanzo R, et al. 2020 Apr 3 [Epub ahead of print]), ricevendo a livello internazionale un’ottima accoglienza e venendo citate, in questa fase pandemica così critica per gli USA, dal New York Times come contraltare alle linee guida dell’American Academy of Pediatrics, ritenute penalizzanti per la relazione madre-bambino e l’avvio dell’allattamento al seno. In attesa che una survey nazionale della SIN fornisca dati precisi sull’applicazione effettiva di queste linee di indirizzo, molti neonatologi e pediatri hanno finora fornito dei feed-back informali positivi. Presidente: prof Fabio Mosca

Riccardo Davanzo e Fabio Mosca

Avviso - Le indicazioni contenute in questa versione aggiornata restano comunque suscettibili di future variazioni sulla base del progressivo acquisire di conoscenze sull’epidemia da SARS-CoV-2, sulla sua trasmissione perinatale e sulle caratteristiche cliniche dei casi di infezione neonatale da SARS-CoV-2. Premesse - Un aspetto particolare dell’attuale emergenza sanitaria dell’infezione da COVID-19 è rappresentato dalla gestione delle gravide infette e dalla possibile trasmissione materno-infantile dell’infezione, prima, durante e dopo il parto. Sorge quindi anche il dubbio sulla sicurezza della gestione congiunta puerpera-neonato e dell’allattamento al seno, che sono oggetto del presente documento.

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Tutela dell’allattamento e integrazione con le misure igienico-sanitarie • Si riconosce all’allattamento e all’uso del latte materno un importante impatto positivo sulla salute materno-infantile, con ulteriori benefici a livello familiare, sociale, economico. • In caso di infezione materna da SARS-CoV-2 il latte materno, in analogia ad altre note infezioni virali a trasmissione respiratoria, non va a priori inteso come veicolo di trasmissione. Infatti, a tutt’oggi, non ci sono studi epidemiologici che documentino l’esistenza di questo rischio, peraltro avente una limitata plausibilità biologica. L’indicazione precauzionale di non consentire l’allattamento al seno, suggerita da alcuni Autori, non considera appieno i benefici ampiamente documentati del latte materno. • L’attuale epidemia di SARS-CoV-2 impone tuttavia lo sforzo di coniugare la promozione dell’allattamento con un corretto approccio igienico-sanitario, che limiti il contagio per via aerea e per contatto con le secrezioni respiratorie dei pazienti infetti (comprese le puerpere). • In analogia a quanto documentato per l’infezione da SARSCoV, è possibile che anche gli anticorpi specifici contro il SARS- CoV-2 possano entro pochi giorni dall’inizio della malattia passare dalla madre con Covid-19 al lattante, auspicabilmente modulando l’espressione clinica dell’infezione infantile. • Un approccio che preveda nella puerpera positiva SARSCoV-2 la routinaria separazione del neonato non è solo un’interferenza nella relazione madre bambino, ma potrebbe rappresentare un intervento tardivo rispetto a un contagio già avvenuto in fase pre-sintomatica. Indicazioni della SIN sulla gestione di madre e neonato in corso di epidemia di SARS-CoV-2 Le indicazioni di seguito elencate e schematizzate nella Tabella I sono coerenti con quanto attualmente raccomandato da fonti quali WHO, UNICEF, CDC, ISS, ISUOG, RCOG e ABM. • Ogni qualvolta possibile, l’opzione da privilegiare è quella della gestione congiunta di madre e bambino, ai fini di facilitare l’interazione e l’avvio dell’allattamento (Tabella I). Questa scelta è fattibile quando una puerpera precedentemente identificata come SARS-CoV-2 positiva sia asintomatica o paucisintomatica o in via di guarigione o quando una puerpera asintomatica o paucisintomatica sia probanda per SARS-CoV-2. • Qualora la madre abbia un’infezione respiratoria pienamente sintomatica (febbre, tosse, secrezioni respiratorie) e con compromissione dello stato generale, madre e bambino vengono transitoriamente separati, in attesa della risposta del test di laboratorio (RNA-PCR) per coronavirus. Se il test risulta positivo, madre e bambino continuano a essere gestiti separatamente; se il test invece risulta negativo, è applicabile il rooming-in per madre-bambino, compatibilmente con le condizioni materne. • La decisione se separare o meno madre e bambino va comunque presa per ogni singola coppia, tenendo conto del consenso informato della madre, della situazione logistica dell’ospedale ed eventualmente anche della situazione epidemiologica locale relativa alla diffusione del SARS-CoV-2.

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PAGINE ELETTRONICHE

INDICAZIONI SULLA GESTIONE MADRE-NEONATO IN PERIODO PERINATALE Stato della madre

Esecuzione nella madre del test RNA-PCR per SARS-CoV-2 su tampone faringeo Già eseguito

Esecuzione nel neonato del test RNA-PCR per SARS-CoV-2 su tampone faringeo Sì

Isolamento della madre*

Gestione del neonato durante la degenza*

Consiglio per l’allattamento al seno

Misure di prevenzione sul contagio madre-bambino**

Sì, in area dedicata del puerperio

In regime di rooming-in, ma in area isolata e dedicata del puerperio

Mamma asintomatica o paucisintomatica SARS-CoV-2 in corso di accertamento

Solo se test materno positivo

Sì, in area dedicata del puerperio in attesa del risultato del test di laboratorio

In regime di rooming-in, ma in area isolata e dedicata del puerperio, quantomeno fino al risultato del test di laboratorio

Mamma con sintomi da infezione respiratoria con compromissione dello stato generale con SARS-CoV-2 positivo o in corso di accertamento

Sì o già in corso

Solo se test materno positivo

Sì, in area dedicata del puerperio in attesa del risultato del test di laboratorio

Neonato separato dalla madre e isolato almeno fino al risultato del test di laboratorio. È accolto in area dedicata della Neonatologia (se asintomatico) o della UTIN (se con patologia respiratoria) con possibilità di isolamento

No; uso del latte spremuto° Non è indicata pastorizzazione

Mamma asintomatica o paucisintomatica nota per essere SARS- CoV-2 positiva

*In aggiunta adeguate misure di protezione da parte del personale sanitario, secondo le indicazioni ministeriali. **Séparé o tenda, mascherina facciale alla mamma quando allatta o è in intimo contatto col neonato, lavaggio accurato delle mani prima e dopo aver toccato il bambino, sistemazione della culletta del bambino a distanza di 2 metri dalla testa della madre, sospensione delle visite di parenti e amici. È sufficiente l’impiego di mascherine facciali chirurgiche, mentre non è necessaria una mascherina FFP2 o FFP3 (Radonovich 2019; UENPS 2020). °Il latte fresco della madre va estratto con tiralatte manuale o elettrico dedicato. La madre dovrebbe lavarsi sempre le mani prima di toccare le bottigliette e tutte le componenti del tiralatte, seguendo le raccomandazioni per un lavaggio appropriato del tiralatte dopo ogni utilizzo.

• In caso di separazione del neonato dalla madre, si raccomanda l’uso del latte materno fresco spremuto. Non è indicata la pastorizzazione del latte materno. • In caso di puerpera SARS-CoV-2 positiva, vanno sempre seguite rigorose misure per prevenire l’eventuale trasmissione dell’infezione con le secrezioni respiratorie o per contatto con le secrezioni respiratorie. Vanno quindi tutelati il bambino, gli altri pazienti ospedalizzati e il personale sanitario. • La compatibilità dell’allattamento al seno con farmaci eventualmente somministrati alla donna con Covid-19 va valutata caso per caso. • Una puerpera con Covid-19 paucisintomatica e con figlio sano SARS-CoV-2 negativo va dimessa dall’ospedale in maniera appropriata. La dimissione precoce anche a 48 ore dal parto si può rendere necessaria se il contesto ospedalie-

ro è caratterizzato da sovraccarico assistenziale. È però di norma raccomandato un periodo di sorveglianza in ospedale di una settimana, con ripetizione della RT-PCR sul neonato contestualmente alla dimissione. • Una volta rientrata a casa la mamma può, in base alle proprie condizioni generali e al proprio desiderio, continuare l’allattamento al seno e/o l’uso del latte materno. • È consigliabile effettuare un controllo clinico del neonato a 14 giorni di vita con ripetizione della RT-PCR. Potranno essere sospesi i controlli neonatologici qualora un ultimo test a 28 giorni di vita risulti negativo.

La versione full text dell’articolo è disponibile online.

Le pagine elettroniche (pagine verdi) riportano la sintesi di alcuni dei contributi che compaiono per esteso sul sito web della rivista (www.medicoebambino.com). Il sommario delle pagine elettroniche è riportato a pag. 209. Nella Ricerca di questo mese si parla di intossicazione da cannabinoidi con la documentazione di una percentuale non trascurabile di casi. Gli operatori dovrebbero contemplare questa intossicazione nella diagnostica differenziale delle alterazioni dello stato di coscienza. La malattia di Kawasaki è una vasculite a eziologia sconosciuta, a patogenesi verosimilmente multifattoriale: nel Caso contributivo la malattia in un lattante affetto da sclerosi tuberosa e con coprocoltura positiva per rotavirus. Nella Pediatria per immagini una diagnosi di MERS (Mild Encephalitis/encephalopathy with Reversibile Splenial lesion) tipo I, in corso di infezione da influenza B. La Società Italiana di Neonatologia (SIN) ha fornito importanti linee di indirizzo sulla gestione complessiva del neonato di donna Covid-19, con particolare attenzione all’allattamento al seno, le trovate sul Punto su.... Casi indimenticabili: sindrome da iperemesi da cannabinoidi, intussuscezione intestinale, idronefrosi intermittente. Poster degli specializzandi: toxoplasmosi retinica, sospetto di una sindrome autoinfiammatoria, miocardite di probabile natura virale, implementazione dell’analisi dell’esoma nella pratica clinica.

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Problemi speciali

Il bambino con eccesso di crescita tra variabilità clinica ed eterogeneità genetica GREGORIO SERRA, MANDY SCHIERZ, VINCENZO ANTONA, CALOGERO FABIO GIARDINA*, MARIO GIUFFRÈ, ETTORE PIRO, GIOVANNI CORSELLO

Dipartimento di Promozione della Salute, Materno-Infantile, di Medicina Interna e Specialistica di Eccellenza “G. D’Alessandro”, Università di Palermo *UOC di Neonatologia e Terapia Intensiva Neonatale, AO Ospedali Riuniti Villa Sofia-Cervello, Palermo

Un capitolo con grandi progressi conoscitivi e implicazioni pratiche. È necessario che il pediatra prenda in considerazione le diagnosi di sindromi con iperaccrescimento, soprattutto se l’eccesso di crescita si associa a malformazioni, alterazioni del neurosviluppo e facies peculiare. A questi bambini devono essere garantite la diagnosi genetica precoce e una gestione clinica adeguata e individualizzata.

U

n eccesso di crescita, sia nel neonato sia nel bambino, può essere generalizzato o localizzato e distrettuale, quando è confinato a una o più regioni corporee1. Numerosi fattori genetici, epigenetici, endocrini e metabolici regolano i processi di crescita2. L’apporto di nutrienti e di ossigeno durante la gravidanza e l’esposizione intrauterina a fattori esogeni hanno effetti decisivi sulla crescita fetale3,4. Quando l’iperaccrescimento dipende da uno squilibrio metabolico (ad esempio in nati da madre con diabete non compensato) o è di natura costituzionale, l’overgrowth può costituire l’unico elemento clinico rilevante. In presenza di alterazioni genetiche o epigenetiche, l’iperaccrescimento si può associare a note dismorfiche, disabilità neuromotoria o intellettiva e a disturbi comportamentali. Difetti molecolari del ciclo cellulare che riguardano solo cellule somatiche, insorti durante le divisioni mitotiche post-zigotiche, possono determinare un eccesso di proliferazione in un singolo tessuto2. Simili eventi molecolari a carico di cellule germinali possono rendersi responsabili di overgrowth generalizzato o di restrizione della crescita fetale5. I geni interessati possono essere oncogeni, anti-oncogeni o geni di

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THE CHILD WITH OVERGROWTH BETWEEN CLINICAL VARIABILITY AND GENETIC HETEROGENEITY (Medico e Bambino 2020;39:243-248)

Key words Segmental overgrowth syndrome, Next generation sequencing, Oncological surveillance, Genotype-phenotype correlation Summary Either in the newborn or in the child overgrowth can be generalized or localized if it is limited to one or more body regions. When overgrowth depends on a metabolic imbalance, or it is constitutional, the excessive growth can be the only clinical sign. In most cases genomic or epigenetic alterations, which affect factors involved in cell proliferation and/or regulation of gene expression (observed also in tumours), are related to overgrowth syndromes, in which excess growth may be associated with dysmorphic features, neuromotor/intellectual disabilities and behavioural disorders. These rare conditions are characterized by clinical and molecular overlap. The paper describes the cases of three patients with localized overgrowth, in which a detailed evaluation of the phenotype, appropriately integrated by next generation sequencing (NGS) techniques, led to the genetic diagnosis of segmental overgrowth syndrome. Many patients with a previous clinical diagnosis of overgrowth syndrome are now framed in the context of segmental overgrowth syndromes associated with PIK3CA, whose identification may be obtained by extending molecular analyses to somatic cells. The paediatrician has to take into consideration these syndromes to guarantee an early genetic diagnosis and the appropriate clinical management to these patients (including reproductive counselling to the family, follow-up and oncological surveillance). NGS techniques improved the understanding of the molecular basis of some of these conditions, as well as the identification of the role of new genes and mechanisms, whose study may help to reduce the number of patients for which a genetic diagnosis related with the phenotype is not yet possible.

vie di segnale (ad esempio pathway PI3K-AKT-mTOR), nonché alterazioni epigenetiche (anomalie nella metilazione del DNA/acetilazione di istoni,

espressione di microRNA/processazione di mRNA). Tali alterazioni si possono osservare anche in corso di tumori6,7.

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Problemi speciali

CASI CLINICI Paziente 1

Neonato di sesso maschile, con genitori sani, non consanguinei, di provenienza maghrebina. Secondogenito, nato alla 38a settimana di gestazione da taglio cesareo elettivo. Alla nascita: peso 4450 g (> 3 DS), lunghezza 51 cm (73° centile), circonferenza cranica 37 cm (> 2 DS), Apgar 2/8. Sottoposto a manovre rianimatorie alla nascita, indi assistito mediante ventilazione meccanica a pressione positiva continua nasale per la prima settimana di vita. Regolare la successiva evoluzione clinica. All’esame obiettivo effettuato in 14a giornata di vita si osservano: iperaccrescimento generalizzato, cute sovrabbondante al vertice con ispessimento fibrolipomatoso e aspetto di cutis verticis gyrata, note dismorfiche (narici antiverse, padiglioni auricolari accartocciati e ruotati posteriormente, teletelia, solchi plantari profondi) (Figura 1), ipotonia assiale. Esami ematochimici, funzionalità tiroidea, visita oculistica ed eco-addome: nella norma. Eco-cardio: displasia e stenosi di grado lieve-moderato (gradiente max 25 mmHg) della valvola polmonare, seno coronarico lievemente dilatato. RM dell’encefalo: ampliamento degli spazi liquorali periencefalici in sede fronto-temporale sinistra, con minore sviluppo del lobo temporale e frontale, e maggiore ampiezza dei ventricoli. Ipoplasia del verme cerebellare e del corpo calloso. Marcato ispessimento fibrolipomatoso dei tessuti molli subgaleali in sede

A

occipito-parietale sinistra e al vertice. Test di sequenziamento per un pannello di geni per overgrowth e RASopatie privo di alterazioni. Nel sospetto di sindrome di Proteus è stata condotta anche l’analisi molecolare del gene AKT1, che è risultata nella norma. Alla luce dell’esito negativo delle indagini genetiche condotte su sangue periferico, dovrà essere effettuato il sequenziamento genico su DNA estratto da fibroblasti di cute, prelevata attraverso biopsia sulla lesione occipito-parietale sinistra. Paziente 2

Neonato di sesso maschile. Genitori sani, non consanguinei. Secondogenito, nato a 39 settimane di gestazione da parto spontaneo. Alla nascita: peso 3950 g (92° centile), lunghezza 52 cm (83° centile), circonferenza cranica 35,2 cm (66° centile), Apgar 8/9/10. Regolare adattamento alla vita extrauterina ed evoluzione clinica postnatale. All’età di 5 mesi presenta una emiipertrofia destra (lunghezza emisoma destro 71 cm, sinistro 69 cm). Il restante esame obiettivo mostra: peso 9,080 kg (> 2 DS), lunghezza 69 cm (90° centile), circonferenza cranica 44 cm (80° centile). Facies rotondeggiante, piccolo angioma in sede frontale. Macroglossia. Intaccatura del padiglione auricolare a livello dell’elice sinistro. Diastasi dei muscoli retti addominali e tumefazione sottocostale paramediana destra (Figura 2). Esami ematochimici, funzionalità tiroidea, eco-cardio e addome: nella norma. Eco-tessuti molli: in corrispondenza

B

Figura 1. Paziente 1, cute sovrabbondante al vertice con ispessimento fibrolipomatoso e aspetto di cutis verticis gyrata (A); padiglioni auricolari accartocciati e ruotati posteriormente (B).

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della regione sottocostale paramediana destra formazione sottocutanea, ipoecogena, disomogenea, ovalare a margini sfumati, non vascolarizzata all’integrazione color-doppler, al di sopra del muscolo retto, di cm 4,7 x 0,7, di natura fibrolipomatosa, successivamente confermata all’esame istologico. Per il sospetto di sindrome di Beckwith-Wiedemann (BWS) ha eseguito ricerca di microdelezioni/microduplicazioni e analisi dello stato di metilazione della regione 11p15, mediante Methylation-Specific Multiplex Ligation-dependent Probe Amplification (MS-MLPA), che non ha rilevato riarrangiamenti e/o difetti dello stato di metilazione. Il sequenziamento delle regioni esoniche e introniche adiacenti di 3 geni (PIK3CA, PTEN e AKT1) del pathway PI3K/AKT/ mTOR ha identificato, nel DNA estratto da biopsia sottocutanea sulla lesione in sede sottocostale, la mutazione c.552T>A; p.Asn184Lys nell’esone 6 del gene Phosphatase and TENsin homolog (PTEN). Tale variante, in etero-

Figura 2. Paziente 2, emi-ipertrofia destra; fibrolipoma in sede sottocostale paramediana destra.

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Il bambino con eccesso di crescita tra variabilità clinica ed eterogeneità genetica

zigosi, è presente in mosaico con una frequenza del 5%, ed è assente su leucociti di sangue periferico. Il dosaggio seriato dei marker tumorali (alfa-fetoproteina e beta-HCG) è risultato nella norma. Il follow-up clinico nel primo anno di vita non ha mostrato anomalie. La lesione si è dimostrata invariata al monitoraggio ecografico. Paziente 3

Neonato di sesso maschile. Genitori sani, non consanguinei. Primogenito, nato alla 36a settimana di gestazione da taglio cesareo di emergenza per alterazioni cardiotocografiche. Alla nascita: peso 3000 g (76° centile), Apgar 6/7. È sottoposto a manovre rianimatorie e assistito mediante supporto ventilatorio nei primi due giorni di vita. Regolare la successiva evoluzione clinica. All’esame obiettivo si osserva ipertrofia cutanea spiraliforme del cuoio capelluto, al vertice e in regione sottonucale mediana, con presenza di capelli nei solchi ma non sulle pieghe rilevate. Non sono rilevate altre anomalie o dismorfismi. Esami ematochimici e funzionalità tiroidea nella norma. Non si evidenziano alterazioni a carico di encefalo, occhio, cuore e organi addominali. Cariotipo 46, XY. Il sequenziamento genico per RASopa-

tie ha evidenziato la mutazione p.Lys170Glu nell’esone 4 del gene SOS Ras/Rac guanine nucleotide exchange factor 1 (SOS1), in eterozigosi. DISCUSSIONE

Quadri clinici a esordio neonatale/ infantile di iperaccrescimento localizzato possono realizzarsi a carico di tutti i distretti corporei8. Possono interessare un emisoma, la regione craniofacciale, gli arti in toto o in alcuni segmenti, e più raramente anche il tronco 9. L’overgrowth può coinvolgere tutte le componenti tessutali di derivazione mesodermica, o solo alcuni tessuti, prevalentemente quello fibroadiposo e la cute sovrastante. L’eccesso di crescita può essere stabile oppure evolutivo, in rapporto al diverso coinvolgimento di geni che regolano i processi di crescita tessutale. In alcuni casi l’iperaccrescimento rientra in un contesto clinico più ampio, espressione di sindromi genetiche con patologie malformative associate all’eccesso di crescita (Tabella I) 2,10. La sindrome di Beckwith-Wiedemann è la più frequente sindrome da iperaccrescimento, con incidenza

di 1:10.500 nati vivi2. La isolated lateralized overgrowth (in precedenza definita emi-iperplasia isolata) è oggi considerata parte dello spettro BWS, condividendone base e meccanismi molecolari11. Un iperaccrescimento generalizzato è descritto in altre sindromi, quali Sotos, Weaver, Perlman, SimpsonGolabi-Behmel e Malan 2. Questi quadri includono anche alterazioni del neurosviluppo. In alcuni casi sono causate da difetti in geni implicati in meccanismi di regolazione epigenetica (metilazione del DNA e/o modificazione istonica), rilevati anche in lesioni cancerose7. Pazienti con mutazioni costituzionali di PTEN possono manifestare fenotipi diversi, inquadrabili nell’ambito delle sindromi tumorali amartomatose12. Queste includono le sindromi di Cowden e Bannayan-Riley-Ruvalcaba. I soggetti affetti presentano macrocefalia con statura normale. Possono manifestare con elevata frequenza poliposi amartomatosa gastrointestinale, tumori mammari, papillomatosi mucocutanea, freckling genitale (lentigginosi punteggiata del pene o della vulva), malformazioni va-

DESCRIZIONE CLINICA E MOLECOLARE DELLE PIÙ FREQUENTI SINDROMI DA IPERACCRESCIMENTO Sindrome Iperaccrescimento generalizzato Sindrome di Beckwith-Wiedemann Sindrome di Simpson-Golabi-Behmel Sindrome di Sotos Sindrome di Weaver Sindrome di Malan Sindrome di Perlman Iperaccrescimento segmentario Sindrome di Beckwith-Wiedemann Sindrome tumorale amartomatosa associata a PTEN Sindromi da iperaccrescimento correlate a PIK3CA Sindrome di Proteus

MIM

Gene o geni

Overgrowth

Macrocefalia

Disabilità intellettiva

#130650 #312870 #117550 #277590 #614753 #267000

IGF2/CDKN1Ca GPC3 NSD1 EZH2 ed EEP NFIX DIS3L2

+ + ++ ++ ++ +

0 0/0 ++ ++ ++ 0/+

0b 0/+ +/++ +/++ +/++ +/++

#130650 #158350 e #153480 #612918, #149000 e #602501 #176920

IGF2 e CDKN1Ca PTEN

+ +/++

0 ++

0b +/++

PIK3CA

+/++

++

+/++

AKT1 e PTEN

+/++

0

0

0 fenotipo assente; + fenotipo lieve; ++ fenotipo grave; +/++ fenotipo da lieve a grave. aIGF2 e CDKN1C sono due geni sottoposti a imprinting localizzati su 11p15.5. Difetti di metilazione, nel centro di imprinting all’interno della regione 11p15.5 (imprinting centre 1 e 2), rappresentano il principale meccanismo molecolare alla base della BWS; besclusi i pazienti con gravi complicanze neonatali (prematurità o ipoglicemia).

Tabella I. Da voce bibliografica 2, modificata.

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Problemi speciali

SINDROMI CON IPERACCRESCIMENTO SEGMENTARIO • Congenital Lipomatous Overgrowth with Vascular, Epidermal and Skeletal anomalies (CLOVES) • Megalencephaly-CAPillary malformation (MCAP) • Sindrome megalencefalia-polimicrogiria-polidattilia postassiale-idrocefalo (MPPH) • Sindrome Klippel-Trenaunay (KTS) • Sindrome di Proteus (PS) • Ipoglicemia ipoinsulinemica con emi-ipertrofia (HIHGHH) • Iperplasia fibroadiposa (IF) • Emi-iperplasia lipomatosi multipla (HHML) • Sindrome megalencefalia

Tabella II

scolari/linfatiche, ritardo dello sviluppo neuromotorio e disturbi dello spettro autistico12. Le sindromi con iperaccrescimento segmentario includono un insieme di condizioni caratterizzate da un overlapping di segni clinici13 (Tabella II). A eccezione della sindrome di Proteus (PS) e dell’ipoglicemia ipoinsulinemica con emi-ipertrofia (HIHGHH) (vedi Tabella II), queste sindromi con iperaccrescimento sono oggi definite PIK3CA correlate (secondo l’acronimo PROS, PIK3CA-Related Overgrowth Spectrum)13. Lo spettro di mutazioni di PIK3CA si è ampliato: diverse mutazioni somatiche sono state identificate in Congenital Lipomatous Overgrowth with Vascular, Epidermal and Skeletal anomalies (CLOVES), Megalencephaly-CAPillary malformation (MCAP) e iperplasia fibroadiposa (IF)14, e difetti del gene PTEN sono stati osservati in soggetti con iperaccrescimento segmentario15. Caratteristiche cliniche specifiche dei pazienti con PROS comprendono alterazioni fibroadipose sottocutanee (lesioni/ ispessimenti fibrolipomatosi), macrocefalia e coinvolgimento del sistema nervoso centrale (SNC) con sviluppo neuromotorio normale14. Sono descritti soggetti affetti da iperplasia fibroadiposa con mutazioni somatiche e germinali di PTEN, che è un regolatore negativo di PI3K16, e iperaccrescimento simmetrico dei tessuti molli e malformazioni vascolari 17. Pertanto, mutazioni di PTEN, interferendo anche epigeneticamente sul pathway di PIK3CA, possono causare quadri fe-

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notipici inclusi nello spettro PROS. La gravità del quadro potrebbe riflettere lo stadio dello sviluppo in cui insorge la mutazione somatica, nel corso della divisione mitotica post-zigotica. Una più lieve espressività dell’iperaccrescimento segmentario può essere correlata con una bassa percentuale di cellule mutate, come quella rilevata nella lesione fibrolipomatosa del paziente 2. L’iperplasia fibroadiposa (IF) è stata descritta per la prima volta nel 201218, ed è inclusa tra le PROS. Queste sindromi sono associate a mutazioni somatiche del gene PIK3CA, coinvolto nel pathway che è condiviso con AKT1. L’IF è caratterizzata da iperaccrescimento segmentario del tessuto fibroadiposo e osseo16. A oggi, oltre 20 mutazioni del gene PIK3CA sono state descritte nelle PROS, e 3 di queste, presenti in mosaico, nella IF19. Il gene codifica la subunità catalitica di PI3K, che è attivata e converte il fosfatidilinositolo-bifosfato in trifosfato. Ciò induce AKT ad avviare i meccanismi cellulari presenti a valle nella cascata molecolare20. Mutazioni in pazienti con PROS possono aversi in mosaico e non essere rilevabili su cellule di sangue periferico, ma soltanto del tessuto iperplasico (ad esempio cutaneo/sottocutaneo, osseo, nervoso, vascolare)14,21. Molti pazienti in cui era stata posta una diagnosi clinica generica di sindrome da iperaccrescimento sono oggi inquadrati nell’ambito di sindromi da iperaccrescimento segmentario associate a PIK3CA13,14. Sebbene queste ultime (tra cui l’iperplasia fibroadiposa e l’emi-ipertrofia lipomatosi multipla) appaiano a volte di-

stinte sul piano clinico, in realtà possono costituire manifestazioni diverse di uno stesso spettro, con un comune assetto molecolare. I test genetici nelle sindromi con iperaccrescimento possono rilevare mutazioni geniche, difetti di metilazione e/o riarrangiamenti cromosomici. Tali test possono essere differenziati e variamente proposti sulla base della presentazione clinica (Tabella III) 2. Le sindromi con iperaccrescimento sono causate, nella maggior parte dei casi, da alterazioni genomiche o epigenetiche a carico di fattori coinvolti nella proliferazione cellulare e/o regolazione dell’espressione genica2,7, il cui studio offre la possibilità di migliorare la comprensione dei meccanismi molecolari che influenzano la crescita cellulare e lo sviluppo dei tumori 1. Anomalie negli stessi geni/pathway responsabili di sindromi da iperaccrescimento sono spesso osservate nelle neoplasie, e possono spiegarne l’aumentato rischio oncogeno2. L’associazione tra sindromi con iperaccrescimento ed oncogenesi è stata descritta in pazienti con BWS22-24, con mutazioni di PTEN o di proteine appartenenti alla famiglia AKT (soprattutto carcinomi, tumori benigni nella PS). In pazienti con PROS sono stati occasionalmente riportati casi di tumore di Wilms o nefroblastomatosi25. Considerata la rilevanza dell’associazione con i tumori, è suggerito un approccio clinico che includa un attento screening oncologico longitudinale (Tabella IV). Dall’analisi dei pazienti descritti emerge che, in neonati e bambini con iperaccrescimento segmentario, l’iter diagnostico deve includere, quando necessario, anche la ricerca di mutazioni di geni coinvolti sia nel pathway di PIK3CA (identificate nel paziente 2), sia di RAS/MAPK (identificate nel paziente 3). Occorre tener presente che tali alterazioni possono aversi anche in mosaico, ed essere pertanto rilevabili soltanto su cellule somatiche del tessuto iperplastico, avendo carattere di dominanza. La possibile correlazione genotipo-fenotipo in pazienti con sindromi genetiche con iperaccrescimento rafforza l’utilità di procedere a indagini su tessuti, oltre che su

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Il bambino con eccesso di crescita tra variabilità clinica ed eterogeneità genetica

STRATEGIA DIAGNOSTICA MOLECOLARE PROPOSTA PER SINDROMI CON IPERACCRESCIMENTO Tipologia dell’eccesso di crescita

Iperaccrescimento generalizzato

Caratteristiche addizionali

Macrocrania, disabilità intellettiva e convulsioni

Diagnosi clinica

Sindrome di Sotos, sindrome di Weaver e sindrome di Malan

Test molecolare di prima istanza

Iperaccrescimento segmentario Macroglossia

Lipomatosi e nevi del tessuto connettivo di tipo cerebriforme

Macrocrania, malformazioni vascolari/capillari, anomalie cerebrali/ scheletriche

PIK3CA - Related Overgrowth Spectrum (PROS)

Capezzoli sovrannumerari e polidattilia

Onfalocele

Sindrome di SimpsonGolabi-Behmel

Spettro della sindrome di Beckwith-Wiedemann

Sindrome di Proteus

Sequenziamento standard o NGS (se NGS, un pannello di geni per sindromi con overgrowth è da preferire. I pazienti possono manifestare fenotipi distinti, pertanto è indicata l’analisi di un singolo gene se è impiegato il sequenziamento standard)

Test di metilazione di 11p15 (sequenziamento di CDKN1C in base alla storia familiare)

NGS su tessuto

Difetto molecolare

Mutazione o delezione di NSD1, EZH2 o NFIX

Iper/ipometilazione di IC1/IC2 e UPD(11)pat

Mutazione di PTEN o AKT1

Test molecolare di seconda istanza

Considera: NGS 1. MLPA o SNP o a-CGH 2. Test di metilazione di 11p15 o sequenziamento dell’esoma

Mutazione o delezione di GPC3

Test di metilazione su tessuto alternativo

Mutazione di PIK3CA

NGS su tessuto alternativo

Tabella III. Da voce bibliografica 2, modificata.

SINDROMI CON IPERACCRESCIMENTO ED ELEVATO RISCHIO DI TUMORI Sindrome di BeckwithWiedemann

PROS Sindrome di Proteus Sindrome tumorale amartomatosa associata a PTEN

Sindrome di Simpson-GolabiBehmel Sindrome di Sotos Sindrome Sotos-like (NFIX) Sindrome di Weaver

Il 5-10% dei bambini affetti va incontro a neoplasie, soprattutto tumore di Wilms ed epatoblastoma. Sono descritti altri tumori: neuroblastoma, carcinoma surrenalico e rabdomiosarcoma. Il rischio oncogeno è maggiore nei primi 8 anni, sebbene sia presente anche successivamente, e nei sottogruppi di pazienti con ipermetilazione di IC1 (28%) e pUPD (16%) rispetto a quelli con ipometilazione di IC2 (2,6%), mutazione di CDKN1C (6,9%) e con difetto molecolare non identificato (6,7%). Leucemia, meningioma, retinoblastoma e tumore di Wilms. Tumori vascolari benigni sono frequenti. Il rischio oncogeno non è noto con precisione. I tumori osservati comprendono: adenomi delle paratiroidi e cistoadenomi ovarici (più frequenti), meningiomi e altri tumori ovarici. Il rischio di tumori mammari è 25-50%, tumore tiroideo (follicolare) circa 10%, ed endometriale 5-10%. Altri tumori benigni includono: lesioni cutanee, polipi amartomatosi intestinali, mastopatia fibrocistica, lipomi, fibromi, angiolipomi, emangiomiolipomi e tumori cerebrali. Tumori maligni comprendono: carcinoma a cellule renali, melanoma e carcinoma colorettale. I tumori descritti sono: tumore di Wilms, epatoblastoma, carcinoma epatocellulare, neuroblastoma surrenalico, gonadoblastoma. Il rischio di tumori è circa il 3%. Sono riportati: teratoma sacrococcigeo, neuroblastoma, ganglioma presacrale, leucemia linfoblastica acuta, retinoblastoma, microcitoma polmonare. 1/9 dei pazienti presenta tumore di Wilms. Ulteriori studi sono necessari per attribuire un ruolo oncogeno a mutazioni di NFIX. Il rischio neoplastico è il 4%, e comprende neuroblastoma, leucemia linfoblastica acuta, tumore ovarico del seno endodermico, teratoma sacrococcigeo e linfoma.

Tabella IV. Da voce bibliografica 9, modificata.

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sangue periferico, come programmato nel paziente 1 al fine di giungere a una diagnosi genomica precisa. CONCLUSIONI

I disordini genetici con iperaccrescimento corporeo, sia generalizzato che distrettuale, sono rare condizioni con overlap clinico e molecolare, in cui l’eterogeneità genetica è anche legata a interazioni epigenetiche. Una dettagliata descrizione clinica è essenziale per il loro inquadramento diagnostico, con particolare attenzione al rilievo di macrocrania e/o altri segni di coinvolgimento del SNC o alterazioni dello sviluppo neuromotorio. La valutazione del fenotipo andrà opportunamente integrata dalle tecniche NGS (Next Generation Sequencing), estese se necessario alle cellule somatiche ai fini di una più attendibile correlazione genotipo-fenotipo2,26. Da un punto di vista pratico, è necessario che il pediatra prenda in considerazione le diagnosi di sindromi con iperaccrescimento, soprattutto se l’eccesso di crescita si associa a malformazioni, alterazioni del neuro-

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Problemi speciali

MESSAGGI CHIAVE

❏ Un eccesso di crescita, sia nel neonato sia nel bambino, può essere generalizzato o localizzato e distrettuale, se confinato a una o più regioni corporee. ❏ Quando l’iperaccrescimento dipende da alterazioni genomiche o epigenetiche, può associarsi a note dismorfiche e alterazioni del sistema nervoso centrale e neuromotorie, anche nell’ambito di sindromi complesse. Queste condizioni sono rare ma eterogenee, e caratterizzate da overlap clinico e molecolare. ❏ Molti soggetti in cui era stata posta una diagnosi clinica di sindrome da iperaccrescimento sono oggi inquadrati nell’ambito di sindromi da iperaccrescimento segmentario associate a PIK3CA, la cui identificazione è possibile talvolta solo estendendo le analisi molecolari alle cellule somatiche. A questi pazienti devono essere garantite la diagnosi genetica precoce e una gestione clinica adeguata e individualizzata (counselling anche riproduttivo alla famiglia, follow-up e sorveglianza oncologica). ❏ Il ricorso alle tecniche Next Generation Sequencing ha favorito la comprensione delle basi molecolari di alcune di queste condizioni, nonché l’individuazione del ruolo di nuovi geni e meccanismi. Ciò può contribuire a ridurre il numero di pazienti in cui non è ancora possibile porre una diagnosi genetica correlata con il fenotipo.

sviluppo e facies peculiare. A questi pazienti devono essere garantite la diagnosi genetica precoce e una gestione clinica adeguata e individualizzata, che includa un appropriato counselling anche riproduttivo alla famiglia (calibrato sulla scorta del risultato del test molecolare), il follow-up e la sorveglianza oncologica. Il ricorso alle tecniche NGS ha favorito la comprensione dei meccanismi molecolari alla base di alcune di queste sindromi,

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nonché l’individuazione del ruolo di nuovi geni e meccanismi coinvolti nell’overgrowth, come ad esempio quelli correlati a mutazione di PIK3CA1. Lo studio di tali geni sui tessuti può contribuire a ridurre il numero di pazienti in cui non è ancora possibile porre una diagnosi genetica correlata con il fenotipo.

Indirizzo per corrispondenza: Giovanni Corsello e-mail: giocors@alice.it

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Ricerca

La profilassi della malattia reumatica in Italia Osservazioni cliniche da uno studio multicentrico retrospettivo ANDREA TADDIO1,2, ROBERTO PILLON1, SERENA PASTORE2, LORENZO MONASTA2, ALBERTO TOMMASINI2, CATERINA DI BATTISTA3, ELISABETTA MASCHERONI1, EMANUELA BERTON2, MARIA CRISTINA MAGGIO4, GABRIELE SIMONINI5, LUCIANA BREDA3, ROLANDO CIMAZ5, DENISE PIRES MARAFON6, LIDIA MELI6, CLAUDIA BRACAGLIA6, FABRIZIO DE BENEDETTI6, ALESSANDRO VENTURA1,2

Università di Trieste; 2IRCCS Materno-Infantile “Burlo Garofolo”, Trieste; 3Dipartimento di Pediatria, Università di Chieti; Dipartimento Universitario ProSaMI “G. D’Alessandro”, Università di Palermo; 5Reumatologia Pediatrica, Ospedale Universitario Pediatrico “Anna Meyer”, Firenze; 6Unità di Reumatologia, Ospedale Pediatrico “Bambino Gesù”, Roma 1 4

Una malattia “antica”, diventata ora piuttosto rara, e in qualche modo dimenticata. Negli ultimi settant’anni la terapia e la profilassi sono rimaste invariate; è forse il momento di riconsiderare l’approccio alla malattia reumatica?

L

a malattia reumatica (MR) è una patologia infiammatoria sistemica scatenata dalla faringite da streptococco di gruppo A. I criteri diagnostici per la MR sono stati recentemente modificati in una versione aggiornata dei criteri di Jones1,2. Con l’unica eccezione del coinvolgimento cardiaco, la maggior parte delle manifestazioni cliniche della MR - quali la corea, l’artrite, le lesioni cutanee - sono benigne e si risolvono nell’arco di settimane o mesi dalla loro comparsa senza lasciare sequele. La cardite è caratterizzata da un’infiammazione della valvola mitrale e/o della valvola aortica con conseguente rigurgito, e va distinta dalla miocardite associata allo streptococco3. La MR e le sue ricadute possono portare a un danno cardiaco valvolare permanente, conosciuto come cardiopatia reumatica, che è ormai sostanzialmente scomparso nei Paesi ad alto reddito, ma rappresenta la più comune causa di malattia cardiaca acquisita nei Paesi in via di sviluppo4. La gestione farmacologica della cardite reumatica attiva si basa sulla somministrazione di farmaci anti-infiammatori sebbene non sia ancora chiara la reale efficacia di aspirina e cortisone nel prevenire il danno valvo-

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CUTE RHEUMATIC FEVER PROPHYLAXIS IN HIGH-INCOME COUNTRIES: CLINICAL OBSERVATIONS FROM AN ITALIAN MULTICENTRE RETROSPECTIVE STUDY (Medico e Bambino 2020;39:249-252)

Key words Acute rheumatic fever, Compliance, Carditis, Prophylaxis, Rheumatic heart disease Summary Objective - The aim of the study is to evaluate the compliance rate to secondary prophylaxis and the presence of Rheumatic Heart Disease (RHD) in a cohort of Italian patients with Acute Rheumatic Fever (ARF). Methods - This is a multicentre retrospective study. Patients were divided into two groups according to the presence or absence at last follow-up of RHD. Clinical features, ARF recurrences and the rate of compliance to secondary prophylaxis were evaluated. Results - wo hundred and ninety patients were enrolled (137 females, 153 males). Carditis at onset was present in 244 patients (84.7%). At the end of follow-up, 173 patients showed RHD. Adherence to secondary prophylaxis was low in 26% of patients. The presence of RHD at follow-up was associated with the presence of carditis and its severity at onset (p = 0.001), but it was not related to secondary prophylaxis adherence (p = NS). No association between prophylaxis adherence and ARF recurrence was found p = NS) nor between ARF recurrence and RHD at the end of follow-up (p = NS). Conclusions - Poor adherence to secondary prophylaxis does not seem to be associated with increased risk of RHD in developed countries. Further studies are needed to confirm the reported data in a larger population.

lare permanente5. La profilassi secondaria è quindi cruciale in questi pazienti per prevenire le ricorrenze di MR6. Tuttavia l’aderenza alla profilassi spesso non è adeguata, soprattutto nelle aeree in cui l’incidenza di MR è maggiore7. Non esistono dati sull’aderenza alla profilassi secondaria e il tasso di car-

diopatia reumatica nei Paesi industrializzati. Con questo studio, abbiamo voluto valutare retrospettivamente l’aderenza alla profilassi secondaria e gli esiti cardiologici a distanza in una popolazione italiana di pazienti con MR seguiti nel tempo per un tempo medio di 4,7 anni.

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Ricerca

MATERIALI E METODI

Abbiamo condotto uno studio di coorte retrospettivo e multicentrico. Sono state analizzate le cartelle cliniche dei pazienti in cui la diagnosi di MR rispettava i criteri diagnostici di Jones del 19928. Sono stati inclusi tutti i pazienti con diagnosi di MR formalizzata fra gennaio 2010 e dicembre 2015 e con l’ultimo follow-up nell’arco del 2017. I pazienti sono stati divisi in due gruppi in base alla presenza o assenza, all’ultimo follow-up, di cardiopatia reumatica secondo i criteri ecocardiografici per la diagnosi di cardiopatia reumatica della World Heart Federation 9,10. Per ciascun paziente sono stati raccolti i seguenti dati: età, sesso, caratteristiche cliniche, trattamento e schema di profilassi suggerito. Sono state analizzate le caratteristiche ecocardiografiche all’esordio e la cardiopatia è stata classificata in lieve, moderata o grave in accordo con le linee guida neozelandesi per la MR11. Il miglioramento o il peggioramento della cardiopatia al termine del follow-up è stato valutato confrontando la gravità della cardiopatia residua con la cardite all’esordio. Sono state registrate le ricorrenze di MR. Infine ai partecipanti è stato chiesto di definire la propria aderenza alla profilassi secondaria in una delle seguenti categorie: bassa aderenza (definita come meno di 12 iniezioni di penicillina all’anno o sospensione della profilassi massimo sei mesi prima del previsto) e buona aderenza (almeno 12 iniezioni di penicillina all’anno).

(1/288) noduli sottocutanei. Fra i pazienti con cardite il 66% (160/244) presentava una cardite lieve, mentre il 34% (82/244) presentava una cardite moderata o grave. Per quanto riguarda i criteri minori, la febbre era presente nell’81% (234/288) dei pazienti, l’artralgia nel 57% (104/288), l’aumento di VES o PCR nel 34% (97/288), un prolungamento del tratto PR all’ECG nel 36% (104/288), mentre il 9% (25/288) presentava una storia precedente di MR. Alla diagnosi tutti i pazienti sono stati trattati con antibiotici e a tutti i pazienti è stato raccomandato uno schema di profilassi secondaria. Una cardiopatia era presente alla fine del follow-up nel 60% (172/288) dei pazienti: l’82% presentava una cardiopatia lieve, mentre il 18% (31/172) presentava una cardiopatia moderata-grave. Dodici pazienti (4,1%) hanno presentato una ricaduta di MR durante il follow-up. L’aderenza alla profilassi secondaria è risultata bassa nel 26% dei pazienti (75/290) e buona nel 74% (215/290). Fra i pazienti con bassa aderenza alla profilassi 17 pazienti non hanno mai seguito la profilassi, 19 pazienti ricevevano meno di 8 iniezioni all’anno, mentre 39 pazienti ricevevano fra 9 e 11 iniezioni all’anno. La presenza di cardiopatia al followup è risultata associata con la presenza di cardite all’esordio (169/244 vs 3/42, p = 0,001); la gravità della cardiopatia residua è risultata associata con la gravità della cardite all’esordio (288/84 vs 9/169, p = 0,0001), ma non è emersa nessuna associazione con l’aderenza alla profilassi secondaria (133/213 vs

39/75, p = non significativo - NS). L’analisi multivariata conferma questi dati mostrando che, se corretta per l’aderenza alla profilassi, la gravità della cardite all’esordio è un predittore indipendente di cardiopatia al follow-up (p < 0,001). Fra i pazienti con cardite all’esordio, una più alta aderenza alla profilassi è risulta associata a una maggior frequenza di cardiopatia al termine del followup (131/178 vs 38/66, p = 0,019). Fra i pazienti senza cardite all’esordio, non è emersa alcuna differenza nella cardiopatia al follow-up fra i gruppi con buona e bassa aderenza alla profilassi (2/35 vs 0/7, p = NS). Non è emersa alcuna associazione fra l’aderenza alla profilassi e le ricorrenze di MR (6/75 vs 6/125, p = NS) né fra le ricorrenze di MR e la cardiopatia al termine del follow-up. I risultati sono sintetizzati nella Tabella I. Non è stata trovata nessuna differenza fra i gruppi con bassa e buona aderenza al follow-up per quanto riguarda l’età alla diagnosi, la gravità della cardite e la mediana del tempo di follow-up (Tabella II). DISCUSSIONE

Questo è il primo studio sulla prevalenza della cardiopatia reumatica in pazienti con MR in un Paese industrializzato. La frequenza delle manifestazioni cliniche maggiori della MR nella nostra popolazione è sostanzialmente sovrapponibile a quella della letteratura12. A tutti i pazienti è stato somministrato un trattamento antibio-

ASSOCIAZIONE TRA L’ADERENZA DELLA PROFILASSI E GLI OUTCOME

RISULTATI

La coorte consiste di 290 pazienti (139 femmine e 151 maschi) con un’età mediana di 9 anni; il tempo mediano di follow-up è stato di 4 anni e l’età mediana al follow-up era di 14 anni. Due pazienti sono stati esclusi per l’assenza di notizia cliniche sufficienti. All’esordio l’85% (244/288) dei pazienti presentava cardite, 47% (135/ 288) artrite, 22% (53/288) corea, 3,5% (10/288) eritema marginato e 0,4%

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Alta aderenza Bassa aderenza Presenza cardiopatia reumatica, n. (%) 133/213 (62%) 39/75 (52%) Presenza di cardiopatia reumatica 131/178 (74%) 38/66 (58%) nei pazienti con cardite all’esordio, n. (%) Presenza di cardiopatia reumatica 3/35 (8,6%) 0/7 (0%) in pazienti senza cardite all’esordio, n. (%) Peggioramento dell’interessamento 5/157 (3%) 7/38 (18%) cardiaco all’ultimo follow-up, n. (%) Miglioramento dell’interessamento 81/178 (46%) 41/66 (62%) cardiaco all’ultimo follow-up, n. (%) Ricadute di malattia reumatica 6/216 (3%) 6/75 (8%)

p NS 0,019 NS 0,006 0,03 NS

Tabella I. La presenza di cardiopatia reumatica è stata valutata all’ultimo follow-up.

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La profilassi della malattia reumatica in Italia

INFLUENZA DELL’ETÀ ALLA DIAGNOSI, TEMPO MEDIO DI FOLLOW-UP E SEVERITÀ DELLA CARDITE ALL’ESORDIO SULL’OUTCOME Alta aderenza alla Bassa aderenza alla profilassi (215 pazienti) profilassi (75 pazienti) Età alla diagnosi (anni) Tempo medio di follow-up (anni) Severità della cardite all’esordio (assenza/lieve/moderata-severa)

9 (IQR: 7-11) 4 (IQR: 2-6) 37/122/56

8 (IQR: 6-11) 5 (2-11) 7/38/28

p 0,37 0,22 0,245

Tabella II. La presenza di cardiopatia reumatica è stata valutata all’ultimo follow-up (IQR: scarto interquartile).

tico ed è stato prescritto uno schema di profilassi secondaria6. Al termine del follow-up una percentuale significativa dei pazienti (18%) presentava una cardiopatia moderata o grave. L’aderenza alla profilassi secondaria era bassa nel 26% dei pazienti ed è sorprendente notare che il 6% dei pazienti afferma di non aver ricevuto nemmeno una iniezione di penicillina. Inoltre è interessante sottolineare che il 16% dei pazienti ha sospeso il regime di profilassi secondaria prima del termine previsto. Tutti questi dati rimarcano le difficoltà incontrate dalle famiglie dei pazienti con MR nel rispettare le indicazioni dell’American Heart Association sebbene non vi siano dati in letteratura sull’aderenza alla profilassi secondaria nei Paesi ad alto reddito. Nei Paesi a basso reddito l’aderenza alla profilassi secondaria varia dal 35%13 al 93%14, suggerendo che l’aderenza alla profilassi è un problema anche nelle regioni ad alta incidenza di MR, proprio quelle in cui la profilassi è considerata cruciale per prevenire lo sviluppo di cardiopatia reumatica. I nostri dati non hanno mostrato alcuna associazione significativa fra l’aderenza alla profilassi e la cardiopatia reumatica al termine del follow-up. Questo risultato rappresenta una novità. In letteratura una bassa o assente aderenza alla profilassi è stata associata con un aumentato rischio di sviluppare o di peggiorare una cardiopatia reumatica, ma questi dati derivano da studi condotti in Paesi a basso reddito, in particolare in popolazioni indigene native della Nuova Zelanda e dell’Australia, dove l’incidenza di MR è ancora molto alta (> 100/100.000)15 se confrontata con i Paesi occidentali16. Tuttavia le

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raccomandazioni sulla profilassi secondaria sono le stesse nei Paesi ad alto o basso reddito. Questa evidenza nasce da studi randomizzati controllati che sono stati pubblicati più di 40 anni fa1719 , quando l’incidenza di MR era assimilabile a quella che è attualmente alta nei Paesi a basso reddito18,19. La presenza di cardite all’esordio, e la sua gravità, sembrano essere i più rilevanti fattori predittivi di cardiopatia reumatica al termine del follow-up. Questo dato non è sorprendente ed era già stato descritto in passato: Arujo e coll. e Yilazer e coll. hanno dimostrato che una cardite grave all’esordio era un importante fattore prognostico nel lungo termine per cardiopatia reumatica cronica21,22. Fra i pazienti con cardite all’esordio, una bassa aderenza alla profilassi sembra essere associata sia con un miglioramento che con un peggioramento della cardiopatia al termine del followup. È difficile spiegare come una buona aderenza alla profilassi possa causare un peggioramento del danno cardiaco; ipotizziamo che questo risultato sia probabilmente causato dal fatto che solo 12 pazienti hanno mostrato un peggioramento cardiaco al termine del follow-up. Tuttavia questi dati suggeriscono ancora una volta che il danno cardiaco può evolvere in modo indipendente dall’aderenza alla profilassi. Sebbene la presenza di artrite sia stata considerata in passato un fattore protettivo per il coinvolgimento cardiaco21, 3 pazienti su 44 che non presentavano una cardite all’esordio hanno sviluppato una cardiopatia reumatica al termine del follow-up, e tutti riferivano una buona aderenza alla profilassi secondaria.

Infine, anche se le ricorrenze di MR sembrano essere state più frequenti fra i pazienti con bassa aderenza alla profilassi, questa correlazione non raggiunge la significatività statistica, e la ricorrenza di MR non è associata con l’esito cardiologico. La profilassi secondaria è ancora considerata la pietra miliare per prevenire le ricorrenze di MR e la cardiopatia reumatica. Tuttavia è importante sottolineare che l’impatto della MR nei Paesi ad alto reddito si è drammaticamente ridotto nel secolo scorso soprattutto per il miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie e dell’accessibilità alle cure mediche23, più che per la diffusione degli antibiotici; infatti si può dire che l’avvento delle penicillina ha accelerato il declino della MR, ma sicuramente non ne ha segnato l’inizio24. Pertanto il numero di pazienti che devono essere sottoposti a profilassi primaria con penicillina per prevenire un singolo caso di MR è difficilmente calcolabile nei Paesi ad alto reddito. È stato recentemente dimostrato che, fra i pazienti francesi con tonsillite acuta, il costo per prevenire un singolo caso di MR è di 2.196.000 euro e che devono essere trattate 180.000 tonsilliti acute per prevenire un caso di MR25. D’altro canto, l’alta prevalenza di MR nei Paesi a basso reddito riflette probabilmente una combinazione di condizioni di vita caratterizzate da sovraffollamento, povertà socio-economica e difficoltà di accesso alle cure mediche65. In questo contesto vi è sufficiente evidenza a sostegno dell’efficacia anche economica - della profilassi con penicillina nella prevenzione della cardiopatia reumatica. Una revisione della Cochrane si è focalizzata sul ruolo della penicillina per la profilassi secondaria della MR. Sono stati inclusi solo tre studi, per un totale di 1301 pazienti, con l’obiettivo di confrontare la penicillina orale o intramuscolare con un controllo. I risultati dei tre studi hanno mostrato che la penicillina riduce le ricorrenze di MR, ma questi dati erano statisticamente significativi solo in uno dei tre studi in esame27. Gli Autori affermano inoltre che la popolazione di questi studi non era stata adeguatamente randomizzata,

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Ricerca

MESSAGGI CHIAVE ❏ La profilassi secondaria della malattia reumatica non è seguita in maniera adeguata da circa un quarto dei pazienti. ❏ L’adesione alla profilassi non sembra modificare il rischio di danno cardiaco alla fine del follow-up. ❏ La severità dell’interessamento cardiaco all’esordio sembra essere, come è ragionevole immaginare, l’elemento predittivo più importante per la persistenza di un danno cardiaco al termine del follow-up.

causando un possibile bias di selezione, e che questa evidenza è basata su studi di scarsa qualità. Infine, alcuni dati recenti suggeriscono che la MR e la cardite possono essere facilitati o prevenuti da alcuni specifici fattori genetici. È stato dimostrato ad esempio che alcuni polimorfismi del gene FCN2 possono essere considerati come fattore protettivo per lo sviluppo di MR e cardite28. Inoltre, Engel e coll. hanno dimostrato che, fra gemelli omozigoti, il rischio di MR per un individuo il cui co-gemello ha presentato MR è aumentato di più di sei volte rispetto al rischio per gemelli eterozigoti, suggerendo che vi siano dei loci genetici di suscettibilità alla MR29. Questi dati indicano che, almeno nei Paesi ad alto reddito, il background genetico svolge un ruolo importante per lo sviluppo di MR e di cardite. In considerazione della bassa incidenza di MR, uno strumento per predire il rischio genetico sarebbe utile per selezionare il sottogruppo di popolazione a maggior rischio di sviluppare cardite e che maggiormente si gioverebbe della profilassi antibiotica. Ciononostante il nostro studio presenta diversi limiti. È uno studio retrospettivo, e le valutazioni cliniche ed ecocardiografiche sono state valutate su cartelle cliniche. Inoltre l’aderenza alla profilassi secondaria è stata valutata con un questionario, ed è possibile che si stata sovrastimata. È importante sottolineare che i nostri dati non portano ad alcuna conclusione univoca e non suggeriscono di modificare lo

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schema di profilassi secondaria per la MR. Tuttavia riteniamo altresì che i tempi siano maturi per riconsiderare e ristudiare la reale efficacia o quantomeno la modalità della profilassi secondaria nei pazienti con MR che vivono in Paesi industrializzati.

Indirizzo per corrispondenza: Andrea Taddio e-mail: andrea.taddio@burlo.trieste.it

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A CURA DEL SCIENCE CENTRE IMMAGINARIO SCIENTIFICO www.immaginarioscientifico.it

Osser vatorio CARTOLINE DALLA SCIENZA

RICOSTRUZIONE 3D DA MICROSCOPIA CRIO-ELETTRONICA Ricostruzioni 3D delle strutture proteiche che costituiscono il capside di particelle virali a partire da dati ottenuti con microscopia crio-elettronica (cryo-EM). Sulla destra in alto, mappa di densità elettronica del virus di Tulane (TV) colorata secondo la misura del raggio. In basso, un’immagine cryo-EM di un campione purificato (a sinistra) e la rielaborazione in un singolo virione (a destra). Immagini tratte da “Cryo-EM structure of a novel calicivirus, Tulane virus” pubblicato da Guimei Yu, Dongsheng Zhang, Fei Guo, Ming Tan, et al. su PLoS ONE nel marzo 2013. A sinistra, mappa di densità elettronica di un tipo di norovirus murino (wtMNV) con i dettagli delle variazioni conformazionali viste dall’alto (sopra), colorati secondo la scala della misura del raggio visualizzata anche in sezione (sotto). Immagini tratte da “Dynamics in the murine norovirus capsid revealed by high-resolution cryo-EM” pubblicato da Joseph S. Snowden, Daniel L. Hurdiss, Oluwapelumi O. Adeyemi, Neil A. Ranson, Morgan R. Herod, Nicola J. Stonehouse su PloS Biology nel marzo 2020.

T

o rniamo sulla visualizzazione dei virus con la microscopia crio-elettronica non solo per non abbandonare un tema di attualità, ma anche - e soprattutto - perché questa tecnica è diventata, nell’imaging bio-molecolare, almeno altrettanto importante della cristallografia ai raggi X; e viene sempre più utilizzata nello studio sia delle particelle virali sia anche di microstrutture su varie altre scale di grandezza: dagli organelli cellulari alle singole proteine. Tanto che, nel 2017, il Nobel per la chimica è stato assegnato ai tre scienziati - Jacques Dubochet, Joachim Frank e Richard Henderson - che, con le loro scoperte realizzate in campi e tempi diversi, hanno contribuito a mettere a punto vari aspetti di questa tecnica. Medico e Bambino 4/2020

Il grande recente sviluppo della microscopia crio-elettronica non ha solo portato a un considerevole aumento della risoluzione alla quale possono essere ricostruite le strutture proteiche, ma ha anche inaugurato l’attuale era della misura delle densità elettroniche in serie di “istantanee”, in modo da “filmare” il movimento delle proteine. Le figure di questo numero ci permettono di riassumere visivamente alcuni punti chiave. Le due immagini in grigio mostrano come da una rappresentazione di tante particelle sfuocate si possa arrivare all’immagine molto più nitida di una singola particella (in realtà il numero delle particelle di partenza è astronomicamente maggiore). Dal confronto di diversi gruppi di ricostruzioni 2D, grazie an-

che alla conoscenza della dinamica molecolare delle strutture proteiche, si può poi passare alla ricostruzione 3D che possiamo apprezzare nelle due mappe di densità elettronica colorate in base alla distanza di ogni punto dal centro della particella. Le immagini delle proteine del capside viste dall’alto in diverse conformazioni mostrano infine come lo studio della dinamica molecolare possa a sua volta venire illuminato dalle informazioni provenienti dalla microscopia crio-elettronica. In virologia, la possibilità di visualizzare variazioni conformazionali dei capsidi durante i loro cicli di infezione si sta dimostrando particolarmente utile per comprendere, in vista della preparazione di vaccini e farmaci antivirali, il ruolo giocato da queste proteine. 253


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Osser vatorio

CARTOLINE DAL MONDO: LE VOCI DEI BAMBINI

A CURA DI GIORGIO TAMBURLINI

E fin quando quel tipaccio se ne va, dannoso, in giro, caro amico, sai che faccio? Io in casa mi ritiro. È un’idea straordinaria, dato che è chiusa la scuola, fino a che, fuori, nell’aria, quel tipaccio gira e vola.

Che cos’è che in aria vola? C’è qualcosa che non so? Come mai non si va a scuola? Ora ne parliamo un po’.

Non toccare, con le dita, la tua bocca, il naso, gli occhi: non che sia cosa proibita, però è meglio che non tocchi.

Virus porta la corona, ma di certo non è un re, e nemmeno una persona: ma allora, che cos’è?

Quando incontri della gente, rimanete un po’ lontani: si può stare allegramente senza stringersi le mani.

È un tipaccio piccolino, così piccolo che proprio, per vederlo da vicino, devi avere il microscopio.

Baci e abbracci? Non li dare: finché è in giro quel tipaccio, è prudente rimandare ogni bacio e ogni abbraccio.

È un tipetto velenoso, che mai fermo se ne sta: invadente e dispettoso, vuol andarsene qua e là.

C’è qualcuno mascherato, ma non è per Carnevale, e non è un bandito armato che ti vuol fare del male.

È invisibile e leggero e, pericolosamente, microscopico guerriero, vuole entrare nella gente.

È una maschera gentile per filtrare il suo respiro: perché quel tipaccio vile se ne vada meno in giro.

E gli amici, e i parenti? Anche in casa, stando fermo, tu li vedi e li senti: state insieme sullo schermo. Chi si vuole bene, può mantenere una distanza: baci e abbracci adesso no, ma parole in abbondanza. Le parole sono doni, sono semi da mandare, perché sono semi buoni, a chi noi vogliamo amare. Io, tu, e tutta la gente, con prudenza e attenzione, batteremo certamente l’antipatico birbone. E magari, quando avremo superato questa prova, tutti insieme impareremo una vita saggia e nuova.

Di: Roberto Piumini

Ma la gente siamo noi, io, te, e tutte le persone: ma io posso, e anche tu puoi, lasciar fuori quel briccone. Se ti scappa uno starnuto, starnutisci nel tuo braccio: stoppa il volo di quel bruto: tu lo fai, e anch’io lo faccio. Quando esci, appena torni, va’ a lavare le tue mani: ogni volta, tutti i giorni, non solo oggi, anche domani. Lava con acqua e sapone, lava a lungo, e con cura, e così, se c’è, il birbone va giù con la sciacquatura.

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Disegni realizzati dai bambini del “Villaggio per Crescere” di Trieste, ai tempi del coronavirus (grazie a Clara Miani).

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CASI INDIMENTICABILI in Pediatria ambulatoriale

L’iperostosi corticale infantile; una polmonite complicata che è una malattia di Kawasaki. L’IPEROSTOSI CORTICALE INFANTILE (MALATTIA DI CAFFEY)

Marta Minute1, Paola Moras2, Erica Lelio2 UOC di Pediatria, 2UOC di Ortopedia e Traumatologia, PO di Treviso, AULSS2 Marca Trevigiana

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Carlotta, sei giorni, ci viene inviata dalla curante per la comparsa acuta di una tumefazione tibiale destra, calda, rossa e dolente. La telefonata che l’annuncia viene accolta con scarso entusiasmo e forte desiderio che arrivi il cambio turno: un neonato con dolore a una gamba ha sicuramente qualcosa, e difficilmente è qualcosa di buono. Oltre alle classiche osteomieliti e alle fratture (ostetriche e non) non possiamo non pensare al fatto che l’ultimo bimbo con questi sintomi aveva una leucemia mieloide. La piccola arriva ben prima del cambio turno, accompagnata da mamma e nonna materna: ha una anamnesi perinatale muta, è nata da una gravidanza decorsa senza complicazioni e la sua obiettività generale è completamente negativa, a eccezione di una franca tumefazione calda e dolente, con aspetto di edema duro e infiltrato, al versante esterno del terzo medio della gamba destra. Senza perdere tempo Carlotta viene inviata a eseguire la radiografia degli arti, che mostrerà un aspetto dismorfico e procurvato

Figura 1. Radiogrfia dell’arto: aspetto procurvato, disostosi e ispessimento periostale.

UNA POLMONITE TROPPO COMPLICATA

Simone Benvenuto Clinica Pediatrica, IRCCS Materno-Infantile “Burlo Garofolo”, Trieste Una bambina cinese, di 8 anni e mezzo, presenta febbre e tosse da una settimana e da due giorni è in terapia antibiotica orale con amoxicillina per una sospetta faringite. Per il persistere della febbre (con picchi fino a 40,2 °C), il peggioramento della tosse e la comparsa di dolore addominale (bilateralmente in sede ipocondriale) viene portata in Pronto Soccorso. All’esame obiettivo la faringe appare indenne, al torace si auscultano crepitii sparsi a entrambi i campi polmonari, assenti epato- e/o splenomegalia; nel sospetto di una polmonite complicata, si eseguono esami ematici,

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Figura 2. Radiografia di controllo dopo sei mesi.

di entrambe le tibie, con a destra un franco aspetto disostosico, con diffuso ispessimento periostale (Figura 1). Siamo di fronte a un osso displasico e tutti gli accertamenti volti a escludere malformazioni associate risultano negativi, così come sono nella norma indici di flogosi, emocromo e metabolismo calcico. Ad aiutarci a dare un nome al problema di Carlotta, a un paio di giorni dal ricovero, ci pensa la nonna paterna: anche il nonno e il bisnonno hanno avuto lo stesso problema nei primi mesi di vita, completamente risolto. La familiarità è la chiave per la diagnosi: si tratta di una malattia di Caffey (o iperostosi corticale infantile), una patologia autosomica dominante a penetranza incompleta, dipendente da una mutazione a carico del gene COL1A. Clinicamente si presenta con dolore e irritabilità, dovuta all’infiammazione dei tessuti contigui all’osso iperostotico. Le sedi più frequenti sono la mandibola, le scapole, le clavicole e le ossa lunghe, e i sintomi sono tipici dei primi mesi di vita, con andamento autorisolutivo, ma potenzialmente recidivante. Il trattamento con antinfiammatori riduce i sintomi e contribuisce ad accelerare il processo di risoluzione della flogosi locale. Carlotta è stata trattata con ibuprofene per un mese, a scalare, con ottima risposta clinica. La radiografia di controllo a sei mesi di vita ha mostrato un quadro completamente normalizzato (Figura 2).

Rx del torace ed ecografia polmonare. La diagnosi è confermata: a sinistra è presente un addensamento del lobo inferiore, accompagnato da una falda di versamento anecogeno di 18 mm, mentre a destra si riscontra un piccolo addensamento in corrispondenza del campo medio; gli indici di flogosi sono aumentati (VES 43 mm/h, PCR 190 mg/l) e i linfociti ridotti (GB 5620/mm3 di cui 4730/mm3 neutrofili e 690/mm3 linfociti). Avviata la terapia antibiotica iniettiva con ceftriaxone e vancomicina, la bambina viene ricoverata, sfebbrando dopo circa 36 ore (Figura 1). Dopo 4 giorni di apiressia, la febbre si ripresenta con plurimi picchi quotidiani (fino a 39,9 °C) insieme al dolore addominale e a un rialzo degli indici di flogosi (PCR da 85,4 mg/l a 114,2 mg/l). Nel sospetto di una complicazione del quadro polmonitico, la terapia antibiotica iniettiva viene modificata con meropenem e clindamicina, benché Rx ed ecografia polmonari risultino in migliora-

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CASI INDIMENTICABILI in Pediatria ambulatoriale

Figura 1. Curva termica durante il ricovero. Figura 3. Ecocardiogramma transtoracico. Dilatazione della coronaria destra (3,5 mm, Z-score 2,4) e del tronco comune (4 mm, Z-score 2,75). CRITERI CLASSICI* DELLA MALATTIA DI KAWASAKI

Figura 2. TC torace con mezzo di contrasto. Epatizzazione dei segmenti craniali del lobo inferiore di sinistra e necrosi dei segmenti basali posteriori. Il limite tra le due componenti appare sfrangiato proprio in relazione all’alterazione necrotica parenchimale.

mento. Dopo 2 giorni la febbre persiste, e gli esami ematici mostrano un lieve aumento delle transaminasi (AST 77 U/l): si decide di eseguire una TC torace-addome con mezzo di contrasto, nel sospetto di un ascesso polmonare o addominale (Figura 2). I segmenti basali posteriori del polmone sinistro appaiono effettivamente necrotici, ma il dato più inaspettato è una epatomegalia, senza dilatazione o calcolosi delle vie biliari; ripetendo gli esami ematici, il quadro appare quello di una franca epatite colestatica (AST 321 U/l, ALT 148 U/l, GGT 475 U/l, bilirubina totale 1,32 mg/dl). Tre ipotesi sono poste allora in diagnosi differenziale: partendo dall’epatite, si considerano l’eziologia virale (virus di Epstein-Barr, adenovirus) e la tossicità da farmaci; dando invece risalto al binomio febbre persistente con aumento degli indici di flogosi (PCR 160,2 mg/l, VES 120 mm/h) si aggiunge la malattia di Kawasaki. L’ecocardiogramma dirime ogni dubbio, mostrando coronarie dilatate (Z-score tronco comune 2, IVA 2,75, coronaria destra 2,4) (Figura 3). Si pone quindi diagnosi di malattia di Kawasaki atipica insorta su un preesistente quadro di polmonite bilaterale complicata. A posteriori consideriamo: il fattore etnico (l’incidenza in Cina è di 41-51 casi/100.000, contro i 5-10/100.000 in Europa, e i 240/100.000 in Giappone1-3); l’assenza di tutti e 5 i sintomi tipici (Tabella I), che complica la diagnosi, ma non sorprende vista l’età della bambina (sopra i 5 anni le forme atipiche sono più frequenti)4; quanto all’interessamento epatico, in Pediatria l’ittero colestatico febbrile riconosce la malattia di Kawasaki come seconda causa per frequenza, subito dopo l’eziologia virale, seguito dalle più rare forme da tossicità da farmaci (macrolidi, amoxicillina)5,6.

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Febbre persistente da almeno 5 giorni** e presenza di almeno 4 dei seguenti sintomi 1. Alterazioni delle estremità a) In fase acuta: eritema e/o edema del palmo delle mani e/o della pianta dei piedi b) In fase subacuta: desquamazione dei polpastrelli delle dita delle mani e dei piedi entro 2-3 settimane all’esordio 2. Esantema polimorfo 3. Iperemia congiuntivale bilaterale senza secrezione 4. Alterazioni delle labbra e della cavità orale: arrossamento, fessurazioni labiali, lingua a fragola, iperemia del faringe e del cavo orale 5. Linfoadenomegalia laterocervicale (> 1,5 cm diametro), solitamente unilaterale Esclusione di altre malattie con caratteristiche simili *Nei pazienti con febbre da almeno 5 giorni e meno di 4 sintomi principali, la malattia di Kawasaki può essere diagnosticata quando siano identificate alterazioni coronariche tramite ecocardiografia o angiografia. **Nel caso in cui siano presenti 4 o 5 sintomi principali, la diagnosi di malattia di Kawasaki può essere effettuata in quarta giornata. Tabella. Da voce bibliografica 5, modificata.

Si avvia dunque la terapia standard con immunoglobuline endovena ad alte dosi (2 g/kg, in singola infusione di 18 ore) e acido acetilsalicilico (ASA) 100 mg/die (3 mg/kg/die, dosaggio antiaggregante), aggiungendo fin da subito anche il metilprednisolone ev 50 mg/die (1,5 mg/kg/die), in virtù della presenza di aneurismi coronarici. I corticosteroidi sono infatti efficaci solo se somministrati in combinazione con la prima dose di IVIg7, e sono indicati nei pazienti ad alto rischio di resistenza alla terapia standard8,9: età < 1 anno, Kawasaki associata a shock, Kawasaki che si presenta con una sindrome da attivazione macrofagica, aneurismi coronarici all’esordio10. Benché indicata da tutte le linee guida, ci asteniamo dalla somministrazione di ASA a dosaggio antiinfiammatorio (5080 mg/kg/die in 4 somministrazioni, fino allo sfebbramento) perché inefficace, secondo studi recenti11-13, nel miglioramento della prognosi cardiologica.

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CASI INDIMENTICABILI in Pediatria ambulatoriale

La risposta alla terapia è immediata: defervescenza in 24 ore, diminuzione degli indici di flogosi, miglioramento del quadro ecocardiografico. La bambina viene dimessa dopo 5 giorni di terapia con l’indicazione a proseguire la terapia antibiotica orale con amoxicillina + acido clavulanico per 2 settimane, quella corticosteroidea con prednisone per os 25 mg/die per altri 5 giorni con successivo scalo in 10 giorni, e quella antiaggregante con ASA 100 mg/die per 6 settimane totali. Al controllo effettuato a 5 giorni dalla dimissione, gli indici di necrosi epatica, di colestasi, e di flogosi sono tutti diminuiti (AST 28 U/l, ALT 79 U/l, GGT 183 U/l, bilirubina totale 0,45 mg/dl, PCR 2,7 mg/l), in aumento (tipicamente tardivo) le piastrine (711 x 10^3/mm3). In conclusione, l’insegnamento che possiamo trarre da questo caso è: se in un’infezione complicata (o sospetta tale) non trovi la complicanza guarda febbre e indice di flogosi e pensa alla Kawasaki! Bibliografia 1. Giani T, Simonini G, Vannucci G, et al. La sindrome di Kawasaki nel 2013: casi clinici e novità. Medico e Bambino 2013;32:359-66. 2. Du ZD, Zhao D, Du J, et al. Epidemiologic study on Kawasaki disease in Beijing from 2000 through 2004. Pediatr Infect Dis J 2007;26(5):449-51. 3. Nakamura Y, Yashiro M, Uehara R, et al. Epidemiologic features of Kawasaki disease in Japan: results of the 2007-2008 nationwide survey. J Epidemiol 2010;20(4):302-7.

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4. Pellegrin MC, Taddio A, Ventura A, Lepore L. La malattia di Kawasaki, ancora una sfida per il pediatra. Medico e Bambino 2011;30:236-41. 5. Benelli E, Carbogno S, Carucci NS, et al. Kawasaki facile e difficile. Medico e Bambino 2017;36:155-62. 6. Taddio A, Pellegrin MC, Centenari C, Filippeschi IP, Ventura A, Maggiore G. Acute febrile cholestatic jaundice in children: keep in mind Kawasaki disease. J Pediatr Gastroenterol Nutr 2012;55(4):380-3. 7. Chen S, Dong Y, Kiuchi MG, et al. Coronary artery complication in Kawasaki disease and the importance of early intervention: a systematic review and meta-analysis. JAMA Pediatr 2016;170(12):1156-63. 8. Kobayashi T, Saji T, Otani T, et al. Efficacy of immunoglobulin plus prednisolone for prevention of coronary artery abnormalities in severe Kawasaki disease (RAISE study): a randomised, open-label, blinded-endpoints trial. Lancet 2012;379:1613. 9. Marchetti F La fine della questione sull’uso del cortisone nella malattia di Kawasaki? Medico e Bambino pagine elettroniche 2014;17(3). 10. McCrindle BW, Rowley AH, Newburger JW, et al. Diagnosis, treatment, and long-term management of Kawasaki disease: a scientific statement for health professionals from the American Heart Association. Circulation 2017;135:e927. 11. Saulsbury FT. Comparison of high-dose and low-dose aspirin plus intravenous immunoglobulin in the treatment of Kawasaki syndrome. Clin Pediatr 2002;41(8):597-601. 12. Lee G, Lee SE, Hong YM, Sohn S. Is high-dose aspirin necessary in the acute phase of Kawasaki disease? KoreanCirc J 2013;43(3):182-6. 13. Marchetti F, Mambelli L, Pusceddu S. Ha ancora un ruolo l’uso dell’aspirina nella malattia di Kawasaki e, se sì, a quale dosaggio?. Medico e Bambino pagine elettroniche 2014;17(10).

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LE NUOVE GIORNATE PERUGINE DI PEDIATRIA 18-19 Settembre 2020

Hotel Giò • Perugia Centro Congressi

Venerdì 18 settembre Modera A. Ventura 15.00 Perugia Giovani Tre presentazioni per cominciare

FUORI ECM

15.15 Highlights in Reumatologia pediatrica: ovvero flogosi e dolore in Pediatria A. Taddio (25+10)

17.10 Gastroenterologia, Nutrizione pediatrica e dintorni: Primo atto: un dubbio M. Bramuzzo (5+5) 17.25 Tè e pasticcini 17.45

15.50 Pediatria sul campo attraverso i casi • Il caso della dott.ssa L. Sebastiani (3+3) • Il caso della dott.ssa M. Innocente (3+3) 16.10 Radiologia: 10 immagini che il pediatra deve conoscere C. Granata (20+10) 16.40 Ma che fine ha fatto la Minimal Brain Dysfunction? Cosa deve sapere il pediatra S. Vicari (20+10)

Gruppi di Lavoro

• Flogosi e dolore in pediatria: cosa deve sapere e saper fare un pediatra, caso per caso A. Taddio • Pneumologia pediatrica facile e difficile, caso per caso. Dalla polmonite in poi… M. Maschio • Radiologia pediatrica e Pediatria attraverso “i raggi X”: impariamo dai casi, quiz dopo quiz C. Granata, E. Barbi

19.00 Chiusura dei lavori della giornata

SABATO 19 settembre Modera M. Fontana

Modera E. Barbi

9.00 Perugia Giovani Cinque presentazioni per cominciare

FUORI ECM

9.20 Bronchite eosinofila: avete sentito mai? G. Longo (20+10)

14.15 Perugia Giovani Cinque presentazioni per cominciare

FUORI ECM

14.30 Gastroenterologia, Nutrizione pediatrica e dintorni: dalla pratica alla pratica. Terzo atto: un ribaltone M. Bramuzzo (5+5)

9.50 Pediatria sul campo attraverso i casi • Il caso della dott.ssa D. Mariani (3+3) • Il caso del dott. S. Castelli (3+3)

14.40 Il disturbo somatico visto dal pediatra G. Cozzi (25+10)

10.05 Trapianto di fegato 2020: c’è qualcosa che il pediatra non può non sapere? G. Maggiore (20+5) 10.30 Solo un chirurgo può dire di... non operare. Ovvero: tre messaggi di un chirurgo saggio ai pediatri J. Schleef (20+10) 11.00 Ahi che botta! Ovvero: bandierine rosse nel bambino con trauma E. Barbi (20+10)

15.15 Pediatria sul campo attraverso i casi • Il caso del dott. L. Basile (3+3) • Il caso del dott. F. Fusco (3+3) 15.30 Vi ricordate della fibrosi cistica? Ovvero: fatti e misfatti 2020 M. Maschio (20+10)

11.30 Gastroenterologia, Nutrizione pediatrica e dintorni: dalla pratica alla pratica. Secondo atto: una certezza M. Bramuzzo (5+5)

16.00 Ma quanto è difficile chiamare i Carabinieri! Ovvero: il pediatra dalla scena del crimine in poi. Primo tempo: una storia e qualche domanda G. Ventura (10) Secondo tempo: cosa può e deve fare un pediatra e… un carabiniere L. Garofano (20+30 di discusione)

11.40 Coffee break

17.00 Tè e pasticcini

12.00

17.15 Ispirandosi a un anno di Pediatria e NPI e… a Giacomo Leopardi: dialogo tra un islandese (un pediatra) e la natura (un NPI). Ovvero: prove di analisi di realtà senza veli A. Ventura, A. Albizzati

Gruppi di Lavoro

• Asma, allergia e dintorni G. Longo • Cosa deve sapere il pediatra delle urgenze. Caso per caso E. Barbi • A tu per tu col chirurgo: c’è qualcosa che volete sapere? J. Schleef

13.00 Lunch

18.15 Chiusura dei lavori

Quickline s.a.s.

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Confronti

XXXIII CONFRONTI IN PEDIATRIA

Trieste, 11-12 dicembre 2020

venti venti il cammino della Pediatria tra certezze, dubbi e ribaltoni Giovedì 10 dicembre

16.10 Adolescente 2020: ci sono domande in sala? A. Zuddas, A. Albizzati introduce con un caso D. Sambugaro e uno specializzando

CONFRONTI GIOVANI – fuori ECM

14.00 I Poster specializzandi discussi col professore E. Barbi, G. Maggiore Specializzandi ed Esperti a confronto sui casi: 15.30 Allergia Alimentare L. Badina 16.30 Neuropsichiatria e dintorni S. Carucci 17.30 Il quizzone degli specializzandi

17.00 Coffee break

Venerdì 11 dicembre

8.40 Saluto delle autorità SESSIONE PLENARIA modera A. Ventura 8.50 Tosse: quando è troppa e quando è troppo poca... G. Longo, A. Amaddeo introduce con un caso G. Ventura e uno specializzando 9.40 Dipendenze: da Internet, dai social e... da altri aggeggi A. Skabar, A. Milone introduce con un caso L. Basile e uno specializzando 10.30 Farmaci biologici: cosa deve sapere il pediatra (a cura di specializzandi d’Italia) introduce con un caso P. Pecile 11.30 Coffee break 12.00 SESSIONI PARALLELE · Tutto ciò che può dirci l’emocromo U. Ramenghi, M. Rabusin introduce con un caso M. Innocente e uno specializzando · Il pediatra con l’oro in bocca. Ovvero: il pediatra e la salute orale M. Cadenaro, S. Pizzi introduce con un caso M. Mayer e uno specializzando · Esame delle urine 2020: certezze senza ribaltoni? F. Emma, M. Pennesi introduce con un caso S. Rizza e uno specializzando · Esperienze degli specializzandi a confronto col professore A. Ventura, L. Greco 13.00 Lunch SESSIONE PLENARIA Modera E. Barbi 14.30 Vaccinazioni 2020: come condividere dubbi e certezze G. Corsello, F. Marchetti introduce con un caso D. Ferrara e uno specializzando 15.20 Dermatologia pediatrica attraverso i casi. Ovvero: dubbi e certezze in diretta M. Cutrone, I. Berti introduce con un caso S. Denti e uno specializzando

17.30 SESSIONI PARALLELE · Il bambino con le transaminasi alte G. Maggiore, M. Bramuzzo introduce con un caso A. Ravaglia e uno specializzando · Genetica clinica 2020, caso per caso. Dubbi e certezze, segni clinici che possono sfuggire, scelta degli esami genetici da fare e ipotesi di cura, attraverso i quiz degli esperti (… e le vostre domande) A. Selicorni, F. Faletra introduce con un caso A. Ruggeri e uno specializzando · Pediatria e nutrizione: dal latte materno... agli OGM. Buoni consigli al vaglio delle evidenze G. Di Leo, R. Defez introduce con un caso M. G. Pizzul e uno specializzando · Esperienze degli specializzandi a confronto col professore A. Ventura, M. Fontana 18.30 Fine lavori della giornata

Sabato 12 dicembre

SESSIONE PLENARIA 8.00 Ancora specializzandi alla ribalta fuori ECM Moderati da E. Barbi, G. Maggiore, A. Ventura 8.50 “San cortisone”: dubbi, certezze e ribaltoni, appunto E. Barbi, F. De Benedetti modera G. Maggiore, A. Ventura introduce con un caso S. Castelli e uno specializzando 9.40 Questioni di genere G. Tornese, M. Mosconi Modera G. Maggiore, A. Ventura introduce con un caso F. Marolla e uno specializzando 10.30 Disturbo somatico: più matti... che NPI G. Masi, G. Cozzi Modera A. Albizzati, E. Barbi introduce con un caso D. Mariani e uno specializzando 11.20 Premiazioni degli specializzandi 11.30 Coffee break 12.00 Pediablob G. Longo, E. Barbi, A. Ventura 13.00 Fine lavori

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Durata del corso dal 25/01/2020 al 24/01/2021 Destinatari Professioni Medico Chirurgo Discipline Pediatria, Pediatria di libera scelta ECM A questo corso saranno assegnati 33 crediti formativi ECM Prezzo € 91,50 (€ 75,00 + IVA)

raccolta di spunti e riflessioni in ambito pediatrico internazionale dal 1991 ai giorni nostri Il corso FAD SPUNTI IN PEDIATRIA SULLE PAGINE GIALLE raccolta di spunti e riflessioni in ambito pediatrico internazionale dal 1991 ai giorni nostri si propone di migliorare le conoscenze teoriche e applicative per ottimizzare la cura e la gestione globale del bambino affetto da diverse condizioni patologiche. Si tratta di un’occasione di aggiornamento che riguarda sia problemi clinici di più comune riscontro, sia condizioni patologiche più rare e complesse che il pediatra dovrebbe essere preparato a riconoscere e a gestire. Il corso SPUNTI IN PEDIATRIA SULLE PAGINE GIALLE si basa sulla selezione di articoli di approfondimento della stampa scientifica internazionale, a cura del prof. Alessandro Ventura, professore emerito di Pediatria presso l'Università degli Studi di Trieste e già direttore della Clinica Pediatrica dell'IRCCS Burlo Garofolo di Trieste. Il corso FAD, tratto da La Pagina Gialla, rubrica fissa della rivista scientifica Medico e Bambino, raccoglie diversi spunti e riflessioni in ambito pediatrico internazionale dal 1991 ai giorni nostri, con le conferme e i significativi passi avanti fatti in un quarto di secolo dalla medicina internazionale.

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D ermo m@ il

a cura di Irene Berti

Invio le foto che mi ha mandato la mamma di una mia paziente di 13 anni. Non ha altri sintomi, nemmeno dolore, e io sinceramente non saprei cosa rispondere. In questo periodo ricevo spesso immagini via mail dato che per ovvi motivi le visite sono ridotte al minimo indispensabile. Pediatra, Sassoferrato (Ancona)

Ragazzino di 14 anni che da una settimana presenta queste aree discromiche solo alle dita dei piedi, inizialmente associate a prurito e dolore. Il pediatra ha suggerito crema antimicotica che ha applicato per una settimana fino a ieri. Il prurito e il dolore sono regrediti, restano invariate le lesioni, come si vede nelle foto. Le dita non sono mai diventate bianche prima di viola e la colorazione è fissa, non si modifica con la postura. Non ha altre manifestazioni cutanee. Nega traumi o scarpe costruttive, anzi, essendo a casa non le usa. Non ha avuto infezioni, se non un mese fa una bronchite trattata e risolta con macrolide. Una pediatra ospedaliera, Monfalcone (Gorizia)

Chiedo un parere per un ragazzo di 13 anni, sano, asintomatico, senza febbre, che presenta da alcuni giorni queste lesioni purpuriche alle dita dei piedi e alla pianta dei piedi. Che diagnosi? Un pediatra ospedaliero, Caserta

Come si può capire da questi 3 racconti, nelle ultime settimane sono stati segnalati numerosissimi casi di bambini e adolescenti con manifestazioni acrali di tipo ischemico/vasculitico, più o meno associate ad acrocianosi. Sui Forum di pediatri e dermatologi italiani sono state condivise storie e immagini molto simili tra loro, comparse in soggetti per il resto asintomatici, per lo più adolescenti, provenienti da tutte le aree del Paese. Un’osservazione di un’unicità assoluta, considerata la scarsa prevalenza in Pediatria di quadri simili, come la porpora, l’acrocianosi o l’eritema pernio.

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Difficile non mettere in relazione questa “epidemia” di lesioni cutanee acroposte con l’eccezionale situazione di emergenza che stiamo vivendo a causa della pandemia da SARS-CoV-2. Auspicabilmente a breve saremo in grado di provare, su ampia scala, se c’è una

correlazione tra il Covid-19 e l’acroischemia di cui stiamo parlando. Finora infatti in alcuni casi è stata riscontrata una positività al tampone o una sierologia positiva per coronavirus, ma in altri i test a disposizione sono risultati entrambi negativi, lasciando ancora non pochi dubbi.

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OLTRE

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SPECCHIO

100 ANNI DI CURE NEONATALI: L’ESPERIENZA TRENTINA

DINO PEDROTTI Pediatra, Neonatologo, (Trento)

C

ent’anni fa, finita la Prima Guerra Mondiale, a causa di epidemie e della diffusa povertà il tasso di mortalità infantile era tornato a superare i 200 decessi ogni mille nati: in Trentino, nel primo anno di vita, moriva nel 1920 un bambino su 4. Nel 1919 “un gruppo di pie donne” volle creare a Trento un Ospedale per bambini (come già c’era in una quindicina di città italiane; il primo a Torino nel 1843). All’Ospedalino, come venne affettuosamente chiamato, erano presenti in media 20 bambini nel 1920, 160 nel 1935 (più di metà per tubercolosi!) e fino a 250-300 tra il 1950 e il 1970. Nelle sue corsie pediatri e chirurghi si impegnarono fin dall’inizio a dare più vita e più salute ai bambini. Cinquant’anni dopo, nel 1970, moriva un bambino su 40. Dal 1970, in quella sede, si cominciarono a fare valutazioni di tipo sociale ed epidemiologico e a riorganizzare l’assistenza pediatrica, in rete con il territorio. Come in diverse altre realtà italiane, soprattutto nel Nordest, si arrivò a fine secolo a registrare “tassi svedesi di mortalità infantile” (ora scesi a valori minimi, inferiori al 3 per mille): se cent’anni fa moriva un bambino su 4, oggi ci muore un bambino su 400!

deve morire, l’inetto, il debole, il tarato. Per costoro è inutile opporsi a tale fatale e forse utile selezione naturale. Ma tale premessa è assolutamente errata. Dobbiamo pensare che metà di tutte le morti è da attribuire a errori dietetici, gastroenteriti, sepsi e che il 25% muore per condizioni antigieniche dell’ambiente… E se esseri umani nascono prematuri o di basso peso, facile preda di microrganismi, è perché è mancato un razionale controllo, è per soverchio lavoro, insufficiente nutrimento, abuso di alcool”.

1920. SULLA MORTALITÀ INFANTILE I PRIMI “PERCHÉ?” Un secolo fa la Pediatria si era sviluppata da pochi decenni e un illuminato pediatra trentino, il dottor Carlo D’Anna (Figura 1), aveva scritto già allora parole rivoluzionarie. Riconosceva che “nei secoli addietro si era fatto pochissimo per i bambini. La prima cosa che si impose agli studiosi di problemi sociali furono le impressionanti cifre della mortalità infantile”. E, sul Bollettino dell’Associazione medica tridentina (1923), D’Anna analizzò bene queste cifre. Se da noi moriva nel primo anno di vita un bambino su quattro (e in Austria e Germania uno su tre!), in Svezia ne moriva solo uno su otto. E perché? D’Anna, di fronte a questi dati, rileva che “spesso morivano per grave trascuratezza dell’allattamento naturale… e purtroppo ci sono persone rassegnate e scettiche, per cui nella prima infanzia muore chi

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Figura 1. Il dottor Carlo D’Anna.

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OLTRE

LO

E continuava: “L’allattamento artificiale è ormai da tutti riconosciuto come la causa prima delle malattie intestinali della primissima età. A Berlino nel 1901 morirono 6631 poppanti allattati artificialmente e solo 880 allattati al seno… Nel 1923 morirono 20 lattanti su 100 nutriti con biberon e solo 7 su 100 con latte materno. Da noi la mortalità dei nati illegittimi è di 1/3 superiore; e nei Brefotrofi del Regno raggiunge il 40-50% dei nati. Ecco un’altra statistica: su 1000 morti sotto l’anno, 550 appartenevano alle classi povere, 300 alle classi medie e solo 150 alle classi ricche”. D’Anna elenca in più pagine come dovrebbe essere una assistenza ben organizzata a bambini, madri, famiglie. Negli anni ’20-’30 organizzò Consultori con visite gratuite a bambini poveri e diresse un Istituto per bambini abbandonati.

1968. IDEE NUOVE, ANCHE IN PEDIATRIA; NASCE LA NEONATOLOGIA Negli anni ’60 il mondo intero era scosso dalla ben nota rivoluzione dei giovani contro paternalismi e autoritarismi. Cominciò a scuotersi anche la Pediatria tradizionale, fatta di Scuole e di autorevoli maestri cattedratici; si intensificarono gli scambi internazionali, con valutazioni di risultati sempre più serie. Erano iniziati studi sul polmone del prematuro e si cominciava a ventilare e far sopravvivere neonati sempre più piccoli. Dalle Università italiane si andava negli USA, in Svezia, in Svizzera per studiare le novità della Neonatologia (questa parola nacque a metà degli anni ’60). Anche in un ospedale di periferia si cominciava a capire che c’era parecchio da cambiare nell’assistenza ai bambini più piccoli. All’Ospedalino di Trento era stato costruito sì un nuovo Centro Immaturi per 35 degenti (1966), ma con lo stesso personale del reparto Lattanti. Si alimentavano i preUN SECOLO FA LA NIPIOLOGIA DI CACACE: DA RISCOPRIRE Nel 1930 D’Anna fu vicepresidente al 2° congresso nazionale della Società di Nipiologia, che si tenne a Bolzano. Presidente era Ernesto Cacace, che nel 1905 aveva fondato questa “Scienza della prima età, cioè dell’età in cui non si parla” (nèpios in greco è l’infante, il bambino che non parla, da no-èpos). “È lo studio integrale del lattante da tutti i punti di vista: biologico, psicologico, antropologico, clinico, igienico, giuridico, storico, sociologico, pedagogico”. Questi nove aggettivi erano stati messi in grande evidenza anche da D’Anna; ma non sarebbe male che fossero tuttora valorizzati dalla Pediatria e scritti sulla copertina di ogni rivista pediatrica... Secondo Cacace c’era bisogno di “una branca scientifica speciale, perché speciale è lo studio del bambino lattante, il quale ha caratteristiche proprie e una personalità che lo distingue notevolmente dal bambino degli altri periodi dell’infanzia”. Sull’argomento nipio e Nipiologia abbiamo già discusso su Medico e Bambino1. La Nipiologia di Cacace (che tra il 1920 e il 1950 si era diffusa anche a livello mondiale) è stata cancellata e dimenticata da 40 anni. Nell’Ospedale di Ravenna c’è ancora una vecchia insegna: Sezione di Nipiologia (ma nessuno sa oggi cosa significhi…). Poco è rimasto anche della vecchia Puericultura che - secondo D’Anna - doveva essere “la Scienza dell’allevamento razionale del bambino”. Cinquant’anni fa era nata la Neonatologia, una nuova branca pediatrica più moderna, più tecnica e più invasiva: valorizzava molto la terapia intensiva, ma non sempre i nove aggettivi di Cacace e di D’Anna…

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SPECCHIO

Figura 2. Neonato distrofico.

maturi con vecchie formule… Dominava, ad esempio, la regola storica di Finkelstein: “dose giornaliera di latte = giorni di vita meno 1 x 40 (a 5 giorni: 4 x 40 = 160 g)”. I prematuri morivano per “debolezza vitale”, per “distrofia” (Figura 2) e soprattutto per infezioni: moriva un neonato ogni settimana e chi frequentava il cimitero di Trento vedeva file annuali di 50-60 piccole croci, con nomi ben noti: anche lì c’era un piccolo reparto dell’Ospedalino. I neonati trentini nascevano allora in ben 14 Punti Nascita e la stessa Sala Parto di Trento era a più di due chilometri di distanza. Il 40% dei neonati ricoverati veniva portato dal padre, spesso addirittura in taxi. Il piccolo veniva messo in una “scatola” con oblò, boule di acqua calda e una piccola bombola di ossigeno; nella “scatola” si inserivano perfino due gemelli! Le regole del Centro e di tutto l’Ospedalino erano le stesse del 1920: i genitori potevano vedere il figlio dalla vetrata e solo due volte alla settimana. Solo un 5% di madri portava ogni giorno latte materno per il figlio.

LE PRIME STRATEGIE, LO “SPIRITO DIPARTIMENTALE” Non avevamo informazioni su riviste pediatriche o sulla stampa. Un libro-denuncia fu Non sparate agli uccellini di Rosaia e Zacutti2, ricchissimo di dati e di confronti internazionali. I tassi europei di mortalità infantile vedevano la Svezia al top (sul 10 per mille); Italia e Portogallo, con dati attorno al 30 per mille, erano fanalini di coda. D’Anna nel 1920 aveva rilevate le stesse differenze! Le prime ricerche sul Bollettino mensile ISTAT confermavano i numeri negativi, con impressionanti differenze tra varie Province. A Milano nei primi anni ’70 l’ostetrico G. Battista Candiani e il pediatra Antonio Marini organizzavano i primi convegni di aggiornamento, con richiami alla necessità di lavorare “in modo dipartimentale”. Ettore Rossi di Berna dava precise e serie indicazioni e Iolanda Minoli aveva importato dalla Finlandia una visione olistica, dal personale al latte materno. Caricati da queste esperienze, nel 1972 studiammo con gli ostetrici di Trento la geografia della nostra Provincia, che aveva netti confini e 7mila nati all’anno (ne nascevano meno di 300 all’anno in 10 sedi su 14!): bisognava cominciare a dialogare e a mettersi d’accordo con tutti…

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LO

Scrivemmo a venti responsabili ostetrici e pediatri e avvenne una cosa insperata: tutti i ci diedero risposte precise a trenta domande specifiche su madri e neonati nati in tutto l’anno 1973. Nel 1974 avevamo a disposizione trenta pagine di tabelle, di dati analitici di ogni punto nascita e di esiti dopo il ricovero di ogni bambino (Bollettino Ordine dei Medici Trento, 2/1974). Il dialogo con ostetrici, ostetriche, pediatri, anestesisti delle periferie continuò poi per tre decenni, con incontri e con frequenti aggiornamenti e relazioni. La Provincia di Trento, unica in Italia, non volle applicare la legge Mariotti (1968) che prevedeva reparti di Pediatria in ogni Punto Nascita, anche piccolo. Nel 1979 Franco Panizon la criticò molto nel libro Il bambino, l’ospedale, il pediatra3. Per questo fatto, in Trentino i pediatri ospedalieri erano quasi la metà rispetto al resto d’Italia. Fino al 2010 il 30% dei neonati trentini nacque quindi in ospedali senza Pediatra: la Neonatologia di Trento garantiva presenza di personale ai parti previsti a rischio e aggiornamento di locali ostetriche e anestesisti, trasporti organizzati, visite ogni due giorni ai neonati sani (anche negli ospedali a 30-45 km di distanza) e audit perinatali ogni sei mesi. Gli ostetrici, con vero “spirito dipartimentale”, collaborarono in modo molto positivo, inviando a Trento sempre più parti a rischio: dal 45% dei nati pretermine con peso molto basso alla nascita (Very Low Birth Weight, VLBW) (1970) al 90% (1980) e al 97% (1995)! Il “trasporto in utero” - come ben si sa - è fondamentale per garantire sopravvivenza; ma per attuarlo bene è fondamentale la collaborazione con il Centro di Neonatologia.

DIPARTIMENTO MATERNO-INFANTILE E RUOLO DELLA NEONATOLOGIA Un “Dipartimento Materno-Infantile” venne ufficializzato da noi nel 1992, ma nella pratica lo avevamo inventato già da due decenni. Lo si immaginava come il timpano di un tempio greco, sorretto da quattro colonne: organizzazione, epidemiologia, efficienza, “umanesimo”: al centro, sull’altare, si metteva la persona-neonato, il neonato più piccolo, il Nipio… (Figura 3). Per noi la Neonatologia era il più logico perno di comunicazione tra ostetrici a monte e Specialità pediatriche a valle. Se si affida il coordinamento del Dipartimento a ostetrici o pediatri (come succede in qualche Azienda sanitaria), si svuota - secondo noi - il significato più profondo di questa istituzione. Fu fondamentale aver organizzato fin dal 1972 un servizio di trasporto assistito da ogni sede: in media più di un trasporto al giorno, per vent’anni! Lo scarso personale del Centro si mise a disposizione a qualunque ora, in turni volontari, senza assicurazione… Fu anche fondamentale aver accolto le mamme (sei letti nel reparto) e aver organizzatao una Banca del Latte (spesso salvavita!): i più piccoli (VLBW) vennero dimessi con latte materno dal 5% iniziale al 50% dopo 20 anni (80% dopo 30 anni!). La mortalità dei VLBW crollò dal 75% (1970) al 5% (1990) (Figura 4). Avendo sempre la Svezia come punto di riferimento, il rapporto tra i tassi di

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SPECCHIO

Figura 3

mortalità infantile per mille nati “Trentino/Svezia” passò da 30/10 (1970) a 9,5/7 (1980) a 5,2/5,7 (1990); negli stessi anni in Italia si passava da 30 a 15 all’8 per mille (Figura 5). Nel 1979 la Provincia impose una scheda neonatale per ogni parto e ogni 5-10 anni si elaborarono rapporti dettagliati su ogni aspetto dell’assistenza perinatale (Il Neonato Trentino - 1-6). Il territorio era molto omogeneo: i nati residenti e i nati presenti coincidevano al 98-99%. Si teneva conto delle schede ISTAT dei morti trentini fuori Provincia; si consideravano anche i nati con Apgar > 0 di 20-23 settimane (secondo indicazioni OMS 4 ). Per vent’anni i numeri venivano valutati appoggiandoci alla Neonatologia di Udine: su queste basi partecipammo alla nascita del Gruppo di Studio italiano di Neonatologia (Cefalù, 1982) e portammo i nostri dati ai primi congressi internazionali di Epidemiologia perinatale. Eravamo coscienti di essere pediatri provinciali con modeste risorse, guidati dai problemi dei singoli bambini più che da linee guida; pur essendo un po’ fuori dalla “accademia ufficiale”, nella nostra originale ricerca abbiamo potuto contare sul sostegno di autorevoli Colleghi in ogni Regione d’Italia, interessati alle nostre idee. Tra questi mi piace citare almeno Rodolfo Bracci, Giovanni Bucci, Bernardo Concolino, Claudio Fabris, Dino Gaburro, Franco Macagno, Antonio Marini, Marcello Orzalesi, Franco Zacchello,… Semplificare una Terapia Intensiva si può, ma solo se si controllano poi i risultati in modo ossessivo (così si diceva…), non certo con semplicismo. Chi vuole (e può) usare alla lettera linee guida può anche non fare verifiche: “ha fatto il massimo” (e non ha rischi legali!). Ne abbiamo discusso nel 1997 a Trento in un convegno nazionale su “Ottimizzazione delle cure intensive neonatali”, anche con interlocutori stranieri.

IL “LATO UMANO”: PERSONALE, FAMIGLIE, VOLONTARIATO Nel 1900 la “persona” del più piccolo bambino era così poco considerata che, in una Mostra internazionale titolata Infant incubators, fino a tre prema-

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OLTRE

LO

turi (ovviamente morenti) venivano messi ogni giorno nella “macchina incubatrice”, per far vedere come questa funzionava… (Figura 6).

1990

1970 Decessi 75%

Decessi 5%

Handicap 5%

Handicap 5%

Vivi e sani 20%

Vivi e sani 90%

Figura 4. Mortalità dei nati pretermine con peso molto basso alla nascita nel 1970 e venti anni dopo (1990).

35 30 25 Trentino

20

Svezia

15

Italia

10 5 0

1970

1980

1990

2000

SPECCHIO

2010

Figura 5. Mortalità Infantile dal 1970 al 2010 in Trentino, Svezia e in Italia.

Nel 1924 la vedova di Cesare Battisti, giornalista, visitò il nuovo Ospedalino di Trento ma, anziché “vedere mammine chine sui loro paffuti angioletti”, vide una bimba che “da mane a sera con ininterrotta nenia invocava ‘mamma, bimba’: cioè ‘vieni a prendere la tua bambina’… ”. Anche cinquanta anni dopo i genitori dei lattanti entravano solo due ore in due giorni alla settimana e vedevano il figlio dai vetri… (Figura 7). Queste erano le regole dell’Ospedalino fino agli anni ’70. In Neonatologia la collaborazione genitori-personale è stata invece intensa fin dai primi anni ’70. I genitori erano presenti in reparto e a incontri settimanali. Dal 1981 al 2012 venne diffuso in Provincia un libro di Puericultura in 80mila copie e in 14 edizioni (Bambini sani e felici). Nel 1985 si arrivò alla costituzione della prima Associazione italiana in appoggio alla Neonatologia: ANT, Amici della Neonatologia Trentina, con un periodico che da trent’anni è diffuso in tremila copie. Il personale ha lavorato in modo encomiabile e appassionato. Dopo 30-40 anni, in occasione della Mostra del Centenario dell’Ospedalino a fine 2019, più di 30 infermiere si sono messe “in rete” e sono tornate a “lavorare in turni”, ricordando tempi passati e atmosfera costruttiva attorno al Neonato (“nelle foto avevamo quasi sempre un bambino da

TERAPIA “DIS-INTENSIVA” NEONATALE E RISULTATI Il termine fu coniato assieme a Carlo Corchia in un articolo su Quaderni acp (1/2014), dopo che Giuseppe De Nisi aveva elaborato confronti tra interventi e risultati di cure a VLBW in Trentino (anni 2006-2010), in 850 Centri mondiali e in 80 italiani, nell’ambito del VON Vermont Oxford Network (2010)5. Dati analitici sono riportati in Il neonato trentino 6 (pagg. 81-83; Az. Servizi Sanitari Trento, 2014). Nella Tabella si riportano qui confronti tra dati di Trento, “Mondo VON” e Italia (tra parentesi le odds ratio, con alta significatività).

Numero di VLBW (< 1500 g) Problemi respiratori gravi Ventilazione Ossigeno a 28 giorni Ossigeno a 36 settimane Enterocolite necrotizzante Emorragia cerebrale Retinopatia Retinopatia 3-4 - cecità Deceduti Dimessi con latte materno

TRENTO (2006-2010) 267 54% 40% 11% 7% 1% 10% 13% 2% 8% 88%

“MONDO VON” 54.983 74% 63% 47% 31% 6% 26% 33% 7% 14% 45%

(2010) (0,42) (0,40) (0,14) (0,18) (0,24) (0,33) (0,30) (0,24) (0,52) (9,15)

ITALIA 3994 75% 53% 32% 17% 4% 22% 24% 5% 12% 63%

(2010) (0,40) (0,60) (0,27) (0,40) (0,37) (0,42) (0,47) (0,35) (0,63) (4,39)

Alla base c’era una filosofia di semplificazione ragionata, non diversa da quella della total quality applicata nelle grandi aziende: avere i migliori risultati (efficacia), con i minori esiti negativi, con il gradimento dell’utente (il lato umano, la care), usando minori risorse (efficienza). De Nisi documentò anche (1997) che la sopravvivenza di un neonato di 1000 grammi costava a Trento tre volte meno rispetto ad altri Centri mondiali. Il personale pediatrico era la metà rispetto a medie nazionali e gli interventi erano nettamente ridotti (trasfusioni, radiografie, antibiotici...); decine di bambini erano dimessi con ossigenoterapia e poi controllati a casa, in accordo con i Servizi del territorio (home therapy), sempre con interventi in volontariato. Geremia Gios, direttore della Facoltà di Economia di Trento, scrisse sul Trentino del 20 febbraio 2003 (Il miracolo dei neonati) che la chiave del successo di questo sistema sta “in alcuni elementi molto semplici, spesso sottovalutati, fuori dalla cultura dell’immagine e dell’apparire: obiettivi condivisi, partecipazione attiva di tutti, ricerca di innovazione non fine a se stessa, regole di comportamento definite e rispettate (‘tutti insieme’, scambi di notizie sostanziali, senza magnificare il Centro…), relazioni stabili e non burocratiche… Tutti princìpi che sarebbero da trasferire nella nostra attività quotidiana”. Questi dati sono stati discussi anche nell’ambito del Gruppo di Studio di Storia della Società Italiana di Pediatria il 3 marzo 2018 a Roma e pubblicati sul libro di Luigi Cataldi La Neonatologia in Italia 6.

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LO

Figura 6. Macchina incubatrice (inizi del Novecento).

SPECCHIO

Figura 7. I neonati oltre il vetro.

coccolare... come se fosse nostro figlio; che fantastica storia... eravamo come una famiglia; eravamo idealiste... ma ha funzionato...”). Nel 1989 furono emanati nel mondo i Diritti di ogni bambino: il bambino più piccolo non era più “oggetto di proprietà, oggetto di cure”, ma “soggetto titolare dei massimi diritti”. In Trentino avevamo già cercato di assicurargli i suoi tre diritti esistenziali: miglior sopravvivenza, coccole e latte di mamma (in Provincia il 97% alla nascita dal 1995, il 50% a sei mesi), formazione di genitori responsabili. Il Nipio con i suoi diritti era la “guida” che orientava medici, infermieri, genitori… (Figura 8). Dal 2006 ANT ospita sei mamme di neonati ricoverati in un alloggio. Nel 2004 ha svolto una intensa campagna nazionale contro i prezzi esosi dei latti in polvere (ridotti poi di tre volte, a livelli europei!). Dal 1998 interviene con due-tre progetti all’anno a favore dei neonati di Stati poveri del Sud-Est asiatico.

Indirizzo per corrispondenza Dino Pedrotti e-mail: dinopedrotti@libero.it

Bibliografia: 1. Pedrotti D. Nipiologia, “Cervello trino”, etica nipiocentrica. Medico e Bambino 2016;35(2):129-31. 2. Rosaia L, Zacutti A. Non sparate agli uccellini. Milano: Rizzoli editore, 1972. 3. Panizon F, Tamburlini G, Ventura A. Il bambino, l’ospedale, il pediatra. Milano: Longanesi editore, 1979. 4. Pedrotti D. I nati vivi di età gestazionale inferiore a 26

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Figura 8. Il “Nipio” in mano.

ANT, Amici della Neonatologia Trentina, in occasione di una Mostra sul centenario della nascita dell’Ospedalino, ha edito un libro di storia, filosofia e numeri di 128 pagine 7 : C’era una volta… l’Ospedalino di Trento - Storie di bambini e di mamme, di cure, di speranze e di vita. Riporta documentazioni e commenti sul ruolo del Bambino nella società trentina nell’ultimo secolo. È disponibile su richiesta (con indirizzo) a: neonatologiatrentina@libero.it. settimane sono “aborti” o “neonati?”. Riv Ital Ped1982;8: 241-2. 5. De Nisi G, Berti M, Malossi R, Pederzini F, Pedrotti A, Valente A. Comparison of neonatal intensive care: Trento area versus Vermont Oxford Network. Ital J Pediatr 2009;35(1):5. 6. Cataldi L. La Neonatologia in Italia. Roma: Antonio Delfino editore, 2018. 7. Pedrotti D. C’era una volta… l’Ospedalino di Trento. Trento: ANT, 2019.

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a cura di Paola Rodari

Emergenza coronavirus: effetti collaterali L’APPELLO

I bambini maltrattati chiusi in casa: «Ora un piano per gestire emergenze come queste» L’appello delle case famiglia: «Va creato un luogo protetto per loro. Ora massima allerta anche sul piano sociale: denunciate i casi sospetti» (da: Corriere della Sera, 3 aprile 2020)

Allarme Cismai: «Troppi bambini ora sono più invisibili. Serve decreto per l’infanzia maltrattata»

Dietro le porte chiuse delle case ci sono tanti, troppi bambini che rischiano di diventare invisibili Rischiano di diventare vittime due volte, prima di un genitore violento o di una condizione di povertà e poi di una solitudine troppo silenziosa che li riporta indietro (da: Il Messaggero, 23 marzo 2020)

Carceri, Covid-19: quei 55 bambini con meno di 3 anni dietro le sbarre con le mamme detenute I rischi di contagio paventati dal sindacato di Polizia Penitenziaria Le proposte dell’Associazione “A Roma Insieme-Leda Colombini” (da: la Repubblica, 31 marzo 2020)

Grecia, bambini migranti non accompagnati: “Basta con la detenzione nell’emergenza-virus” La nuova campagna per proteggerli di Human Rights Watch (da: la Repubblica, 15 aprile 2020)

“Siamo bloccati in città dal virus. Ci hanno offerto vitto e alloggio”

Famiglia siciliana con un !iglio operato al cuore al Sant’Orsola “Siamo stati aiutati e seguiti dalla onlus Piccoli grandi cuori” (da: il Resto del Carlino, 15 aprile 2020)

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269-270 Bianca aprile.qxp_201-202 Bianca marzo 22/04/20 13:09 Pagina 270

bianca BLOB Emergenza coronavirus: effetti collaterali EMERGENZA CORONAVIRUS

Puglia. Domestiche, badanti e baby sitter: «boom» di assunzioni Sono aumentate anche le famiglie pugliesi che regolarizzano chi lavora presso le loro abitazioni per paura dei controlli in atto (da: la Gazzetta del Mezzogiorno, 21 marzo 2020)

L’EMERGENZA

Rana: stipendio maggiorato del 25% 400 euro per la baby sitter. Gli incentivi ai dipendenti (da: Corriere della Sera, 23 marzo 2020)

IL PROTOCOLLO DEI PEDIATRI ONCOLOGI

Epidemia di Covid-19 e bambini malati di tumore, così si sono organizzati gli ospedali italiani Assicurare a tutti i pazienti pediatrici la prosecuzione delle cure ed evitare che le dif!icoltà causate dall’emergenza coronavirus compromettano terapie e guarigione (da: Corriere della Sera, 14 aprile 2020)

Pasqua in casa

Giocare con i bambini riduce lo stress e aumenta la resistenza psicologica degli adulti In questo periodo di quarantena forzata il gioco può essere la chiave per allontanare lo stress e produrre più ossitocina. Per i bambini ma soprattutto per gli adulti. Lo evidenzia una recente ricerca che ha passato in esame oltre 100 studi accademici nell’ambito delle Neuroscienze e della Psicologia comportamentale (da: la Repubblica, 11 aprile 2020)

Fonti fornite da:

Maria Cristina Bertogna, Fabrizio Fusco, Andrea Guala, Andrea Lambertini, Gabriella Palla, Lucio Piermarini, Claudio Ughi


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Volume 39 numero 4

30 aprile 2020

Rivista fondata da Franco Panizon nel 1982 Rivista di formazione e di aggiornamento professionale del pediatra e del medico di medicina generale, realizzata in collaborazione con l’Associazione Culturale Pediatri

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