Poste Italiane SpA - Spedizione in AP - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46), art. 1, comma 1, LO/MI. Euro 9,00
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Volume 39 numero 7
30 settembre 2020
Rivista fondata da Franco Panizon nel 1982 Rivista di formazione e di aggiornamento professionale del pediatra e del medico di medicina generale, realizzata in collaborazione con l’Associazione Culturale Pediatri
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FOCUS RACHITISMI 2020: FACILI E DIFFICILI • Vitamina D e rachitismo carenziale • Rachitismo ipofosforemico X-linked
Editoriali
SARS-CoV-2 e Pediatria: riorganizzare le modalità di lavoro e la comunicazione, ma come? Obesità nell’età evolutiva: oltre lo stigma
Il graffio
Agenda Italia… e uomini-agenda
Consensus Ricerca
ISSN 1591-3090
L’esperienza che insegna
PAGINE ELETTRONICHE
Consensus sulla lotta allo stigma nell’obesità Profilo psicopatologico e di rischio psicosociale in madri adolescenti e di giovane età nel postpartum La diagnosi e la gestione del prolasso rettale
SARS-COV-2 E PEDIATRIA TERRITORIALE: ARMAGEDDON O STIMOLO PER RIORGANIZZARE IL NOSTRO MODO DI LAVORARE? MALFORMAZIONE ANGIODISPLASTICA E USO DEL SIROLIMUS
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La Rivista è recensita in EMBASE, Google Scholar e Scopus Direttore responsabile Federico Marchetti Coordinamento scientifico Egidio Barbi, Irene Berti, Irene Bruno, Sara Lega, Giorgio Longo, Paola Rodari, Giorgio Tamburlini, Alessandro Ventura Comitato editoriale Antonio Addis Dipartimento Epidemiologia, Servizio Sanitario Regionale del Lazio • Raffaele Badolato Clinica Pediatrica, Università di Brescia • Sara Carucci Clinica di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, AO “G. Brotzu”, Cagliari • Rosario Cavallo Pediatra di famiglia, Salice Salentino (Lecce) • Mario Cutrone Unità Semplice di Dermatologia Pediatrica, Ospedale dell’Angelo, Mestre (Venezia) • Luciano de Seta UOC di Pediatria e Patologia Neonatale, Ospedale San Paolo, Napoli • Massimo Fontana Pediatra, Milano • Fabrizio Fusco Pediatra di famiglia, Vicenza • Luigi Greco Dipartimento di Pediatria, Università Federico II, Napoli • Giuseppe Magazzù Clinica Pediatrica, Università di Messina • Giuseppe Maggiore Dipartimento di Scienze Mediche-Pediatria, Università di Ferrara • Vitalia Murgia Pediatra di famiglia, Mogliano Veneto (Treviso) • Angelo Selicorni UOC di Pediatria, Presidio San Fermo, ASST Lariana, Como • Enrico Valletta UO di Pediatria, AUSL Forlì • Federica Zanetto Presidente ACP, Milano Redazione Emanuela Di Benedetto, Elisa Martecchini, Francesca Strami Abbonamenti Patrizia Pellaschiar Rivista mensile edita da Medico e Bambino sas, via Santa Caterina 3, 34122 Trieste Redazione: via Santa Caterina 3 - Trieste • tel. 040 3728911 • fax 040 7606590 redazione@medicoebambino.com Abbonamenti: via Santa Caterina 3 - Trieste • tel. 040 3726126 • fax 040 7606590 abbonamenti@medicoebambino.com Pubblicità e marketing: Quickline sas, via Santa Caterina 3, Trieste ombretta.bolis@gmail.com • servizioesecutivo@quickline.it Videoimpaginazione: Quickline sas, via Santa Caterina 3, Trieste Stampa: Starprint s.r.l. - via Amilcare Ponchielli, 51 - 24125 Bergamo N. repertorio ROC: 017934 d.d. 7/2/2009 Abbonamento annuale: ordinario: 90,00 euro • soci Ass. Culturale Pediatri: 70,00 euro • specializzandi: 35,00 euro • infermieri: 35,00 euro • estero (Europa): 135,00 euro. Costo di un numero: 9,00 euro • numero arretrato: 11,00 euro. Importo da versarsi sul c/c postale n. 36018893 intestato a Medico e Bambino sas, via Santa Caterina 3, 34122 Trieste • IBAN IT 51 V 07601 02200 000036018893. La fattura viene rilasciata solo su richiesta esplicita all’atto del pagamento. L’IVA è considerata nel prezzo di vendita ed è assolta dall’Editore ai sensi dell’art. 74, comma 1, lettera c, DPR 26/10/1972 n. 633. Abbonamento online: http://www.medicoebambino.com, cliccando su “Abbonati” Registrazione del Tribunale di Milano n. 364 del 3/10/1981 Poste Italiane SpA - Spedizione in AP - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/2/2004 n. 46), art. 1, comma 1, LO/MI Resi postali: c/o Ufficio di Milano Roserio - CMP Roserio MI2 Testata volontariamente sottoposta a certificazione di tiratura e diffusione in conformità al Regolamento CSST - Certificazione Editoria Specializzata e Tecnica CERTIFICAZIONE EDITORIA SPECIALIZZATA E TECNICA A member of IFABC International Federation of Audit Bureaux of Circulations
Per il periodo 1/1/2019 - 31/12/2019 Periodicità: Mensile Tiratura media: 6000 copie Diffusione media: 5144 copie Certificato CSST n. 2019-3047 del 24/2/2020 Società di revisione: Fausto Vitucci
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Volume 39
numero 7
Editoriali
414 SARS-CoV-2 e Pediatria: riorganizzare le modalità di lavoro e la comunicazione, ma come? F. Marchetti
La ricerca dei pediatri di famiglia della bergamasca sul vissuto clinico e assistenziale in corso di infezione da Covid-19 (pag. 445) pone importanti riflessioni sulla necessaria riorganizzazione delle attività lavorative. Si pensa che “nulla potrà essere come prima”, ma con quale complessiva programmazione? Alcuni spunti che parlano di comunicazione-relazione e ridefinizione di ruoli e funzioni.
415 Obesità nell’età evolutiva: oltre lo stigma R. Tanas, V. Calcaterra, C.V. Carletti, G. Tornese, S. Bernasconi
Un problema sotto gli occhi di tutti: eppure c’è un complessivo disinvestimento dei servizi di Sanità pubblica. Un pericoloso paradosso a cui porre urgentemente rimedio, a partire dai principi di una recente Consensus (pag. 437).
417 La pagina gialla a cura di Alessandro Ventura Non solo di Covid uccide il Covid…; il controverso rapporto tra allergia alle proteine del latte vaccino e sintomi aspecifici del lattante; atresia delle vie biliari: guai sbagliare (vedi Lettere, pag. 421); vaccinazione antipneumococcica e future strategie vaccinali; anoressia nervosa e osteoporosi.
419 Il graffio a cura di Alessandro Ventura Agenda Italia… e uomini-agenda.
30 settembre 2020
Consensus
437 Consensus sulla lotta allo stigma nell’obesità R. Tanas, R. Lera, F. Baggiani, G. Caggese, G. Tornese, L. Busetto
La Consensus nasce per porre fine alle discriminazioni. L’obiettivo finale è quello di trattare le persone con sovrappesoobesità con dignità e rispetto. Ricerca
445 Profilo psicopatologico e di rischio psicosociale in madri adolescenti e di giovane età nel postpartum A. Albizzati, E. Ierardi, M. Moioli, C. Riva Crugnola
Il pediatra deve porre particolare attenzione a queste situazioni cercando di favorire la genitorialità, evidenziando i segnali di rischio del bambino al fine di intervenire precocemente. L’esperienza che insegna
453 La diagnosi e la gestione del prolasso rettale S. Ventresca, M. Bacchini, G. Graziani, F. Marchetti
Evenienza complessivamente rara, ma che spaventa molto i genitori, il bambino e lo stesso pediatra. Quali le cause? Come comportarsi nella pratica? Cosa dire in merito alla storia naturale? Osservatorio
459 Cartoline dalla scienza
a cura del Science Centre Immaginario Scientifico
Microscopia di localizzazione a ultrasuoni.
419 Lettere La riapertura delle scuole e il lavoro (difficile ma non impossibile) del pediatra; idrossiclorochina e Covid alla luce delle evidenze; le possibili applicazioni della telemedicina; un protocollo operativo per la diagnosi precoce dell’atresia delle vie biliari.
424 Quiz di autovalutazione FOCUS
425 RACHITISMI 2020: FACILI E DIFFICILI E. Barbi
426 Vitamina D e rachitismo carenziale A. Agrusti, S. Contorno, I. Bruno, G. Gortani, E. Barbi
430 Rachitismo ipofosforemico X-linked
L. Lucchetti, D. Fintini, M. Cappa, F. Emma
Il rachitismo carenziale deve essere in primis prevenuto e, quando sfugge, tempestivamente diagnosticato e correttamente trattato. Poi esistono rachitismi genetici più rari con progressi importanti sulla conoscenza dei meccanismi che li determinano e sulle terapie rivoluzionarie che sono già disponibili. Questo Focus è la somma di tutte queste informazioni.
460 Cartoline dal mondo: le voci dei bambini a cura di Giorgio Tamburlini
I bambini e la poesia.
461 Casi indimenticabili Tre storie di richiamo e approfondimento agli articoli di questo numero di Medico e Bambino: la craniostenosi e il rachitismo ipofosfatemico X-linked; prolasso rettale e fibrosi cistica; un ittero neonatale colestatico da atresia delle vie biliari. Il quarto caso parla di “bier spots”.
465 Pagine elettroniche Il confronto delle attività dei pediatri di famiglia della bergamasca tra il periodo di lockdown e quello dell’anno precedente. I risultati e il vissuto emozionale possono essere da stimolo per la ridefinizione di un nuovo ruolo del pediatra? (vedi Editoriale).
469 Dermo mail a cura di Irene Berti Psoriasi; lichen striato. 473 Bianca BLOB a cura di Paola Rodari Relazioni familiari; nascite.
Pagine elettroniche - www.medicoebambino.com
Ricerca • SARS-CoV-2 e Pediatria territoriale: Armageddon o stimolo per riorganizzare il nostro modo di lavorare? (I. Bonicelli, R. Carrozzo, M. Bacchini, M. Altobelli, C. Caldiani, N. Pellegrini, A. Vitali, D. Mariani) Casi contributivi • Diarrea ematica nel bambino… pensa alla sindrome emolitico-uremica! (R. Letizia, G. Maiorino, M.E. Di Cicco, G.I. Baroncelli, E. De Marco, D. Peroni) Pediatria per l’ospedale • Le cadute del neonato in ospedale: da un caso clinico all’operatività (C. Figliuolo, T. Faillace, F. Forte, V. Targiani, C. Di Lucca, A. Derosa, N. Cicchetti, G. Cinalli, G. Mirone, R. Davanzo) Casi indimenticabili • Malformazione angiodisplastica e uso del sirolimus (A.M.C. Galimberti, S. Pastore, G. Ventura, E. Cattaruzzi)• Torcicollo resistente (A. Filpo) • Torcicollo ricorrente (D. Pittarello) I poster degli specializzandi • Dexmedetomidina intranasale come sedazione procedurale del prematuro per risonanza magnetica cerebrale (F. Cossovel) • Una cefalea insidiosa (M. Ficara, V. Cenciarelli, P. Bergonzini, L. Iughetti) • Sindrome dello spettro autistico: il vomito rivelatore (A. Velkoski) Striscia... la notizia a cura di M.V. Abate
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Editoriali
Editoriali
SARS-COV-2 E PEDIATRIA: RIORGANIZZARE LE MODALITÀ DI LAVORO E LA COMUNICAZIONE, MA COME? L’importante lavoro dei pediatri di famiglia (PdF) della bergamasca sul vissuto clinico e assistenziale dell’infezione da SARSCoV-2 nel territorio italiano più colpito dalla pandemia1 (in sintesi riportato a pag. 465) pone molte riflessioni che vanno oltre, come gli Autori del lavoro giustamente sottolineano, quello che è stato il contesto di assistenza nei mesi terribili che sono stati affrontati dai PdF (come dai medici di Medicina generale MMG) oltre che da quelli ospedalieri. Di fatto è oramai chiaro che l’infezione ha colpito relativamente poco l’età pediatrica e adolescenziale2,3 e che l’effetto secondario della pandemia, in estrema sintesi, è stata la riduzione (in diversi casi dimostratamente rischiosa) degli accessi nei Pronto Soccorso (PS) pediatrici4,5, ma anche del numero delle visite e dei controlli ambulatoriali, come la ricerca dimostra in modo atteso, ma con una documentazione epidemiologica chiara e inequivocabile1. Gli Autori del lavoro evidenziano che le forme di assistenza sono cambiate, con un maggiore accesso alla comunicazione online (messaggi, e-mail, video). Aspetti che si sono resi evidenti anche in contesti più specialistici della Pediatria, come quelli deputati alla cura dei bambini e delle famiglie con bisogni speciali6. Non sappiamo quanto queste modalità di assistenza corrispondano a una altrettanto efficace qualità percepita e documentata negli indicatori di salute, tra cui anche il vissuto familiare che deriva da questa esperienza. Quello che sappiamo è che l’uso di messaggi, e-mail, non rappresenta un sistema compiuto di “relazione”. Occorre avere affinato competenze a riguardo e strutturato una relazione di cura; la comunicazione esclusivamente scritta, senza queste, potrebbe risultare impositiva, in quanto si tratterebbe di un ascolto/lettura passiva delle informazioni ricevute. In molti dicono che quanto è successo dovrà portare necessariamente a una riorganizzazione dell’assistenza. È verosimile che molte visite e controlli nella Pediatria ambulatoriale e ospedaliera (come accessi di PS) siano inutili o ridondanti, ma si tratterebbe di capire allora quali dovrebbero essere le funzioni complessive dei servizi deputati alle Cure primarie. I bilanci di salute sono un caposaldo dell’assistenza, ma rivolto a quali obiettivi? Siamo sicuri che la ridondanza di alcune informazioni (rivolte ad esempio alla prevenzione, ai prime mille giorni di vita, a supporto della cronicità, per riportare solo alcuni esempi) non sia necessaria per un migliore impatto utile per raggiungere determinati risultati? Aspetto difficile da esplicitare e documentare, ma è noto che i processi di comunicazione nella loro complessità hanno tante variabili di cui tenere conto: aspetti verbali ma anche non verbali che determino di fatto una “relazione”7. La costruzione di una relazione di buona qualità presuppone innanzitutto una modalità di rapporto nella quale le parti coinvolte sono disposte a costruire insieme qualcosa, condividendo quello che sono, che provano, che sanno e pensano relativamente a ciò che le ha portate a incontrarsi, pur tenendo conto dei rispettivi ruoli e responsabilità. Questo significa che le parti si riconoscono, concedendo l’una all’altra il rispetto e la considerazione che desiderano a loro volta ricevere7, e che nel caso della Pediatria possono far prendere le decisioni migliori per il benessere di neonati, bambini e adolescenti. A nostro avviso, volendo sottolineare solo alcuni degli aspetti potenziali di una nuova modalità di assistenza, resta da chiedersi se “la differenziazione di ruoli e funzioni” all’interno delle singole realtà assistenziali e nella famosa integrazione ospedale414
territorio non possano davvero essere messe in conto come indubbie potenzialità. Per riportare alcuni esempi: nell’ambito della Pediatria di gruppo non può essere immaginato che la teleassistenza, integrata a quella di prossimità, sia appannaggio di gruppi professionali che dedicano parte delle loro attività a svolgere queste funzioni? Ad esempio sui pazienti cronici, con una democratica, partecipe e utile diffusione di strumenti tecnologici e valutativi? Essendo consapevoli che un’assistenza di questo tipo può correre il rischio di creare problemi di inadempienze, disparità e marginalizzazione che andrebbero puntualmente verificati8. E non si potrebbe immaginare che le figure infermieristiche (che sono state scarsamente utilizzate dai PdF in questo periodo come la ricerca documenta chiaramente)1 possano trovare un ruolo, da sempre auspicato e mai realizzato in pieno, come figure case-manager della complessità di determinate categorie di pazienti ad alto carico assistenziale che risulterebbero essere “facili” da individuare?9,10. Il case management ha una lunga storia di forte impatto sulla tradizione dei Servizi sanitari esteri, e in Italia questa storia è decisamente più recente e poco sperimentata in ambito pediatrico. Certo, non basta la semplice comunicazione a distanza (anche se utile nel capire i bisogni), ma se si immagina una professionalizzazione di questo modello di assistenza si tratterebbe di capire a chi è affidato, con quali modalità e corresponsabilità e come debba integrarsi con un progetto di cura fatto di necessaria prossimità. Gli esperti dell’assistenza integrata ci dicono che i modelli organizzativi più funzionali sono quelli a rete, o per gruppi di lavoro, che garantirebbero una possibile risposta efficace per superare le debolezze dell’organizzazione piramidale-gerarchica o di singoli professionisti separati dal contesto, permettendo di: a) accelerare i flussi informativi; b) ridurre il peso della burocratizzazione; c) decentrare compiti e responsabilità, aumentando flessibilità e dinamismo dei sistemi; d) garantire integrazione e multidisciplinarietà di conoscenze, competenze, tecniche e pratiche; e) creare forti relazioni personali e professionali per favorire il raggiungimento degli obiettivi. Ma per fare questo occorre scommettere su formazione, capacità, competenza e verifiche puntuali, superando ruoli e funzioni assegnate in modo burocratico o strettamente contrattuale. Saremo capaci di farlo, visto che tutti pensiamo che quanto si è verificato con la pandemia non potrà che vederci diversi rispetto a prima? Ovviamente in meglio, si spera. Oggi la sensazione diffusa è che gli imprevisti che si sono verificati dovuti al lockdown possono avere generato un nuovo modo del prendersi “cura”, ma che risulterebbe in ogni caso parziale o incompleto se non vissuto come una vera progettualità. Si potrebbe pensare che destinare del tempo per creare una relazione e comunicare con il paziente o con i colleghi sia “tempo sprecato”, in un’attività in cui il carico di lavoro è sempre più oneroso e la corsa “contro il tempo” è di fatto uno dei problemi più frequenti e scoraggianti. Tuttavia, ove la comunicazione sia di qualità, sostenuta cioè da solide competenze relazionali, rappresenta, al contrario, un pilastro fondamentale per la pratica professionale e per l’erogazione di un progetto di cura efficace, appropriato, sicuro ed efficiente. Non è un caso che il Codice Deontologico della professione medica e infermieristica affermi che “Il tempo della comunicazione (va considerato) quale tempo di cura”. A questo, a tutto questo, sarà in qualche modo impossibile rinunciare. Si tratterebbe ora di capire quali possano essere i migliori modelli di organizzazione di rete. Tenendo in considerazione che all’assioma “non esiste un’assistenza qualificata Medico e Bambino 7/2020
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Editoriali
Editoriali
ospedaliera senza una qualificata assistenza territoriale e viceversa” è arrivato il tempo di dare un contenuto organizzativo, diffuso, partecipe e di cui rendere conto. Con la prospettiva di chi ha ancora tanto da fare rispetto a ciò che è stato già fatto: caratteristica che non dipende dagli anni che passano, ma di chi resta sempre con lo sguardo rivolto in alto e di chi ha messo il piede sul primo piolo della scala. Il dibattito è aperto. Bibliografia 1. Bonicelli I, Carrozzo R, Bacchini M, et al. SARS-CoV-2 e Pediatria territoriale: Armageddon o stimolo per riorganizzare il nostro modo di lavorare? Medico e Bambino Pagine Elettroniche 2020;23(7):174-9. 2. Parri N, Magistà AM, Marchetti F, et al. Characteristic of Covid-19 infection in pediatric patients: early findings from two Italian Pediatric Research Networks. Eur J Pediatr 2020;179(8):1315-23. 3. Garazzino S, Montagnani C, Donà D, et al. Multicentre Italian study of SARS-CoV-2 infection in children and adolescents, preliminary data as at 10 April 2020. Euro Surveill 2020;25(18):2000600. 4. Ciofi Degli Atti ML, Campana A, Muda AO, et al. Facing SARS-CoV2 pandemic at a Covid-19 regional children’s hospital in Italy. Pediatr Infect Dis J 2020;39(9):e221-5. 5. Cella A, Marchetti F, Iughetti L, et al. Italian Covid-19 epidemic: effects on paediatric emergency attendance - a survey in the Emilia Romagna region. BMJ Paediatr Open 2020;4(1):e000742. 6. Tajè S, Canali G, Russo M, et al. La disabilità al tempo del Covid19. Medico e Bambino pagine elettroniche 2020;23(26):143-5. 7. Ministero della Salute. Comunicazione e perfomance professionale: metodi e strumenti. Elementi teorici della comunicazione. Maggio 2015. 8. Michelle W. Katzow MW, Steinway C, Jan S. Telemedicine and health disparities during Covid-19. Pediatrics 2020;146(2): 0e20201586. 9. Nardini C. Il valore irrinunciabile dell’infermiere. Medico e Bambino 2019;38(8):539-40. 10. Ciofi D, Ciolini G. Cosa ci ha insegnato il COVID-19. La voce degli infermieri. Pediatria 2020;10(7-8):24-5.
Federico Marchetti OBESITÀ NELL’ETÀ EVOLUTIVA: OLTRE LO STIGMA L’eccesso di peso dei bambini è un problema di salute ormai evidente anche a insegnanti e genitori, oltre che ai medici: in adolescenza un ragazzo italiano su cinque è in sovrappeso o con obesità, secondo i dati della sorveglianza HBSC (Health Behaviour in School-aged Children - https://www.epicentro.iss.it/ hbsc/indagine-2018). Il problema è diventato così frequente che non vi si dà più peso. I nostri occhi si sono così abituati all’eccesso ponderale che questo è realmente percepito solo quando si superano certi livelli o scatta la derisione; eppure gli studi clinici suggeriscono che quasi il 50% dei bambini con obesità ha un’ipertensione, il 29% una dislipidemia, il 44% una steatosi epatica e il 74% eccede del 5% il grasso dei muscoli. Quasi tutti questi bambini sono dunque a rischio di gravi complicanze cardiovascolari, endocrinologiche, ortopediche e psicologiche che possono essere manifeste già in età pediatrica: è pertanto necessario eseguire interventi precoci di prevenzione e di cura. L’Ufficio Regionale per l’Europa della World Health Organization (WHO) ha recentemente pubblicato un report sulle azioni e anche sulle mancanze dei vari Stati nell’applicazione dei suoi progetti di contenimento all’obesità, evidenziando anche quanto sia scarso l’interesse generale per migliorare la situazione1. In effetti, anche le segnalazioni che si ricevono da varie zone del nostro Paese sono sconfortanti: chiusura degli ambulatori dedicati all’obesità, per trasferimento o pensionamento del responsabile (e conseguente carenza di personale), mancato o molto ritardato rinnovo di borse di studio per costituire e mantenere team dedicati, che avevano garantito cure efficienti ed efficaci. Medico e Bambino 7/2020
L’attenzione giustamente riservata a patologie affini per percorsi diagnostici terapeutici e assistenziali (PDTA) e investimenti (quali diabete o anoressia) sembra svanire per una condizione nettamente più prevalente come l’obesità. Delusione, sfiducia e demotivazioni sono la naturale conseguenza di queste situazioni sia nei pazienti che nei professionisti più impegnati. Sembra che la classe medica, che pure affronta da sempre con coraggio qualunque malattia, anche considerata inguaribile, di fronte a questo tema si sia arresa. In particolare, non si notano diffuse iniziative di aggiornamento per proporre terapie “non giudicanti” e atteggiamenti anti-stigma, come suggeriscono le recenti linee guida europee per le Cure primarie2. Le prevenzioni primaria e secondaria dell’obesità dovrebbero essere di competenza del medico di Medicina generale (MMG) e del pediatra di famiglia (PdF)3. Ciò presuppone un processo di formazione iniziale e successivo sostegno da parte degli specialisti. Questo aspetto è di particolare importanza perché negli ultimi anni è maturato a livello internazionale un nuovo modello di approccio che si basa su alcuni punti fondamentali tra cui: 1. Passare da obiettivi irrealizzabili di guarigione a obiettivi condivisibili di miglioramento della salute globale (se ne parla da lungo tempo, ma il messaggio non sembra recepito)4. 2. Evidenziare e prevenire lo stigma diffuso sul peso (di questo aspetto si parla sempre più insistentemente e universalmente solo da alcuni anni)5. La derisione sul peso, sostenuta dalla ricerca di una magrezza irreale, a simboleggiare emozioni e sogni più affascinanti della dura e povera realtà, promossa da movimenti artistici della fine del XIX secolo dopo la nascita della fotografia, sta crescendo e prevalendo su quella relativa a una appartenenza etnica, religiosa e sessuale. Lo stigma non favorisce una sana consapevolezza del peso e quindi una crescita della motivazione alla cura, ma aumenta depressione e ansia, riduce l’autostima e la self-efficacy, crea vergogna, che isola e paralizza. Insomma ostacola la cura, togliendo a curanti e curati la sensazione di potercela fare. Nel tentativo di aumentare il livello di allerta generale sul tema obesità, il WHO sembra piuttosto favorire lo stigma senza riuscire a migliorare l’offerta di cure. Finora le strategie proposte ai professionisti sanitari per l’obesità sono state “l’educazione nutrizionale dei bambini” per prevenire e “la prescrizione di una buona dieta” per curare. Ricercatori esperti e adolescenti in rete ci allertano che ciò non solo è insufficiente, ma potenzialmente pericoloso. L’educazione nutrizionale è un campo che conosciamo ancora poco. “Educare” è una parola cui spesso si danno significati troppo riduttivi: non è “far conoscere e apprendere le azioni giuste, dare regole precise su campi così ampi e personali come cosa mangiare e quanto muoversi”, ma “far scoprire come scegliere il meglio per se stessi e sentirsi bene”. Curare con la prescrizione e la dieta senza modificare l’ambiente familiare è fallimentare. Educare bambini e adolescenti è assolutamente insufficiente, è invece necessaria un’educazione delle famiglie, perché tutti si sostengano vicendevolmente nel cambiamento7. Nell’adolescenza, periodo cui si dovrebbe favorire lo sviluppo all’autonomia, pensare di intervenire con prescrizioni è un controsenso8. La famiglia ci prova e fallisce, il pediatra ci prova e fallisce, lo specialista o addirittura il team ci provano e falliscono. Questa catena di fallimenti crea sensi di colpa che alla fine si scaricano sui bambini/ragazzi. Deriderli con commenti sul corpo o rim415
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Editoriali
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proveri sui comportamenti, anche se fatti a fin di bene, procura un danno enorme. La derisione extra-familiare nell’infanzia si dimentica, quella dei genitori no. Frasi come: “Lo sai che tu questo non lo puoi mangiare!”, “Non vedi che i pantaloni non ti stanno più!”, “Questo l’ho comprato solo per tuo fratello!” certamente non fanno star bene i ragazzi, non li aiutano a crescere e non migliorano i loro comportamenti alimentari. In adolescenza affermazioni sulla dieta o “sapere di avere una mamma a dieta”9 favoriscono comportamenti alimentari insani (introdurre poche calorie, per esempio meno di 900 al giorno, con pasti ipocalorici pronti o saltare i pasti) o altamente pericolosi (digiunare, vomitare e usare farmaci per dimagrire) arrivando a causare disturbi del comportamento alimentare (DCA). Lo stigma su corpo e peso, con tutte le sue conseguenze negative, attualmente adottato in modo continuo e precoce da tutti, viene potenziato da fenomeni di introiezione e nuoce prima e più delle pur numerose e ben note complicanze organiche dell’obesità10. Proprio i genitori già stigmatizzati sul peso sono quelli che usano parlare ai bambini e ragazzi in modo da perpetuare lo stigma e favorirne la sua introiezione11. Purtroppo anche i medici e i pediatri cadono frequentemente nella trappola della derisione12. Sentendosi impotenti di fronte all’obesità, cercano di ottenere un cambiamento colpevolizzando i genitori e richiamando le possibili complicanze cardiache e metaboliche a cui espongono i loro figli. Ma se una svolta si realizza, non è quella che si vorrebbe. Infatti, la derisione e la colpevolizzazione riducono l’autostima e l’autoefficacia, causano tristezza e isolamento, aumentano il “mangiare per emozioni” e le perdite di controllo alimentare. Eppure l’alternativa esiste: ritrovare la misura negli obiettivi e fare da modello, condividendo le difficoltà ed evitando la derisione. Questo metodo dovrebbe pertanto essere adottato da genitori, insegnanti, politici, pediatri e da tutti gli altri operatori sanitari, anziché farsi intrappolare dal circolo vizioso che dal fallimento terapeutico porta allo stigma, al rifiuto di una formazione professionale aggiornata e quindi alla negazione di cure adeguate. Per essere operativi, i Centri sopravvissuti aderenti al Gruppo di Studio sull’Obesità della Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica (SIEPD) hanno proposto un questionario da far compilare ai genitori e agli adolescenti su come chiamare questa malattia per motivarli e non deriderli13. Moltissime e inattese sono state le adesioni da ogni parte d’Italia! In sintesi, 10 mosse vincenti che possono essere adottate dai Sistemi Sanitari14: 1. Partire da una valutazione accurata della situazione ponderale fatta dal pediatra con le carte del WHO. 2. Non parlare di peso né di chilogrammi né di peso o BMI ideale, né all’inizio né durante il percorso e spostare l’obiettivo dal peso e dal corpo alla buona salute e alla socialità, insomma alla qualità della vita. 3. Fare da modello e cercare di migliorare lo stile di vita alimentare e motorio delle famiglie a piccoli passi. 4. Evitare le diete: unico obiettivo in ambito nutrizionale sia la vera dieta mediterranea (mangiare con parsimonia a orari regolari, preferire frutta fresca, verdura, semi, più olio di oliva, bere acqua, ridurre carni rosse e cibi dolci, e muoversi con piacere). Lo stile di vita sano e attivo fa bene a tutti, di ogni peso ed età. 5. Consigliare l’uso di un contapassi per valutare l’attività fisica e aumentarla piacevolmente. Gestire/ridurre l’uso de-
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gli strumenti elettronici per tutti i familiari, proteggendo l’orario dei pasti e il momento di andare a letto. Proteggere la qualità e quantità del sonno. Cercare eventuali episodi di derisione in famiglia e a scuola e cercare soluzioni per ridurli. Costruire percorsi educativi di miglioramento centrati sull’empowerment delle famiglie e sulla comunicazione non deridente con la famiglia e fra i suoi membri, per aumentare la loro auto-efficacia, curando la loro autoderisione e vergogna. Sostenere i piccoli risultati raggiunti già nelle intenzioni di cambiare e poi nei cambiamenti dei comportamenti di ciascun familiare. Non cercare risultati immediati. Non sostenere un’eccessiva preoccupazione per il cibo, il peso e le forme e se la si evidenzia, contrastarla.
Bibliografia 1. World Health Organization Regional Office for Europe. Mapping the health system response to childhood obesity in the WHO European Region. An overview and country perspectives 2019. 2. Durrer Schutz D, Busetto L, Dicker D, et al. European practical and patient-centred guidelines for adult obesity management in Primary Care. Obes Facts 2019;12:40-66. 3. Chamay-Weber C, Farpour-Lambert NJ, Saunders Gasser C, Martin XE, Gal C, Maggio AB. Obesity management in adolescents: comparison of a low-intensity face-to-face therapy provided by a trained paediatrician with an intensive multidisciplinary group therapy. Obes Facts 2016;9:112-20. 4. Rudolf MC, Krom AJ, Cole TJ. How good are BMI charts for monitoring children’s attempts at obesity reduction? Arch Dis Child 2012;97: 418-22. 5. Dietz WH, Baur LA, Hall K, et al. Management of obesity: improvement of health-care training and systems for prevention and care. Lancet 2015;385:2521-33. 6. Rees RW, Caird J, Dickson K, Vigurs C, Thomas J. ‘It’s on your conscience all the time’: a systematic review of qualitative studies examining views on obesity among young people aged 12-18 years in the UK. BMJ Open 2014;4:e004404. 7. Moxley E, Habtzghi D, Klinkhamer N, Wang H, Donnelly S, Dykhuizen J. Prevention and Treatment of Pediatric Obesity: A Strategy Involving Children, Adolescents and the Family for Improved Body Composition. J Pediatr Nurs 2019;45:13-19. 8. Ludwig DS. Weight loss strategies for adolescents: a 14-year-old struggling to lose weight. JAMA 2012;307:498-508. 9. Neumark-Sztainer D, Bauer KW, Friend S, Hannan PJ, Story M, Berge JM. Family weight talk and dieting: how much do they matter for body dissatisfaction and disordered eating behaviors in adolescent girls? J Adolesc Health 2010;47:270-6 10. Puhl RM, Suh Y. Health consequences of weight stigma: implications for obesity prevention and treatment. Curr Obes Rep 2015;4: 182-190. 11. Pearl RL, Wadden TA, Shaw Tronieri J, et al. Sociocultural and Familial Factors Associated with Weight Bias Internalization. Obes Facts 2018;11:157-64. 12. Tanas R, Begona BG, Caggese G, Baggiani F, Valerio G, Corsello G. Professional Stigma on Weight in the Pediatric Care in Italy and Andalusia: Recognize it to Successfully Treat Obesity. J Obes Ther 2017; 1:1 13. Tanas R, S. Bernasconi S, Marsella M, Corsello G. What’s the Name: the weight stigma and the battle against obesity. Commentary submitted to Italian Journal of Pediatrics. 14. Tanas R, Caggese G, Lera R. Il pediatra e l’obesità: riprova e vinci in 5 mosse. Quaderni acp 2020;271:4-11.
Rita Tanas Pediatra endocrinologo, Ferrara Valeria Calcaterra Pediatria, IRCCS Policlinico “S. Matteo”, Università di Pavia Claudia Veronica Carletti, Gianluca Tornese IRCCS Materno-Infantile “Burlo Garofolo”, Trieste Sergio Bernasconi Microbiome Research Hub, Università di Parma
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Non di solo Covid uccide il Covid… I danni indiretti dell’epidemia di SARS-CoV-2 per la salute e per la vita dei bambini più poveri e più fragili sono già stati puntualmente rimarcati sulle nostre pagine (Marchetti F. Medico e Bambino Pagine Elettroniche 2020;23(6):115-7; Tamburlini G. Medico e Bambino 2020;39(6):3467), in particolare per quel che riguarda le conseguenze della chiusura delle scuole, dell’interruzione delle cure di supporto ai bambini con malattia cronica o con disabilità, della segregazione domestica in famiglie dove si agisce la violenza. Nei Paesi più poveri, dove l’emergenza comporta una sottrazione delle risorse (non di rado assoluta) destinata all’assistenza perinatale e ai Servizi di prevenzione e supporto e sicurezza nutrizionale, le conseguenze indirette di una epidemia pesano inesorabilmente anche sulla mortalità materno-infantile. Era già accaduto durante l’epidemia di Ebola nel 2014, e non sorprende che accada ora per la pandemia in atto. Le stime che a questo proposito sono state elaborate (ipotizzando per 188 Paesi a reddito medio-basso tre diversi scenari, in cui la copertura delle cure essenziali materno infantili viene ridotta del 10%, 25% e 50%) prevedono, in un periodo di sei mesi, un imponente aumento della mortalità materno-infantile, pari a un numero assoluto di morti in eccesso rispetto all’atteso compreso tra 253.500 e 1.157.000 per quanto riguarda i bambini e tra 12.200 e 56.700 per quanto riguarda le mamme (Robertson T, et al. Lancet Glob Health 2020;8(7):e901-8). Nell’aumento della mortalità infantile il peso maggiore lo ha la malnutrizione conseguente agli effetti socioeconomici dell’epidemia assieme alla riduzione della disponibilità di cure di base (antibiotici per la polmonite, soluzione reidratante per la diarrea, assistenza neonatale). Nell’aumento della mortalità materna pesano in maniera determinante soprattutto la restrizione della disponibilità di farmaci uterotonici, antibiotici e anticonvulsivanti, oltre che una minore attenzione agli aspetti igienici del parto. Come rimarcano gli Autori l’obiettivo dello studio non è quello, gelidamente epidemiologico, di fare delle previsioni, ma piuttosto quello di dare informazioni utili a re-indirizzare gli interventi e le risorse dirottate
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dall’epidemia in atto. Un modo di agire e di far valere le evidenze scientifiche che dovrebbe guidare anche le scelte del nostro Paese. “Deve avere qualcosa”. Se un lattante piange troppo, rigurgita, è irritabile, rifiuta il pasto, ha scariche molli o frequenti pur crescendo bene è difficile negare allo stremato genitore che quel lattante abbia qualcosa. E la causa di questo qualcosa viene perlopiù identificata dal genitore stesso, ma spesso anche dal medico, nel latte vaccino che quello stesso lattante sta assumendo: sia direttamente come formula adattata sia anche indirettamente attraverso il seno materno. È stato stimato che per questa ragione il 15-20% dei lattanti (e/o delle loro mamme) subisce importanti modificazioni dietetiche. Questa quota sembra in continuo aumento, almeno nei Paesi anglosassoni: in Inghilterra, ad esempio, tra il 2008 e il 2018 il consumo di formule a base di idrolisati spinti o di aminoacidi singoli è più che raddoppiato (da poco più di 4 milioni di litri/anno a circa 11, con un costo circa quadruplicato, da 15 a 60 milioni di sterline/anno). Al contempo la letteratura ci dice che (al di fuori del contesto clinico dell’allergia IgE-mediata, dove di regola la successione degli eventi clinici non lascia dubbi) solo l’1% dei lattanti in cui è stata sospettata un’allergia alle proteine del latte vaccino (APLV) vede poi confermata la diagnosi quando si esegue un test di provocazione orale (TPO). Viene quindi da chiedersi quali siano le basi scientifiche per questi interventi. È quanto si è chiesto un gruppo di ricercatori, facenti capo all’Imperial College di Londra (Munblit D, et al. JAMA Pediatr 2020 Apr 13 [e-pub ahead of print]) che ha analizzato le linee guida (LG) per l’APLV pubblicate tra il 2012 e 2019 riguardanti la letteratura relativa al rapporto tra APLV e sintomi comuni del lattante sia allattato al biberon che al seno materno. Gli Autori concludono sottolineando che, sebbene l’APLV rappresenti una entità realmente esistente, la sua prevalenza è di gran lunga minore di quanto comunemente stimato, e che è del tutto raro un rapporto di causa/effetto fra sintomi comuni (come quelli per cui le mamme ritengono che il lattante abbia qualcosa) e APLV. Ciononostante, sette su nove
LG raccomandano, a fronte di questi disturbi, una stretta esclusione di latte e derivati, sia per il lattante che, al caso, per la madre nutrice. Quest’ultimo intervento, che viene suggerito da tutte le LG analizzate, appare particolarmente discutibile stante che concentrazioni immunologicamente attive di latte vaccino sono presenti nel latte materno in meno del 2% delle donne che assumono giornalmente più di mezzo litro di latte. Da ultimo, e questo sì che è un commento pesante, viene segnalato che tra tutti i 77 Autori delle 9 LG, 62 hanno riportato un conflitto di interessi con Aziende produttrici di alimenti per l’infanzia… (a cura di Massimo Fontana). Atresia biliare: guai sbagliare. Dell’atresia biliare tutti sappiamo tutto: che si tratta di una malattia grave, che è tuttora l’indicazione più frequente al trapianto epatico in età pediatrica, che le probabilità di sopravvivenza a lungo termine con il fegato nativo sono fortemente correlate con la precocità della diagnosi e dell’intervento (porto-entero-stomia alla Kasai prima dei 60 giorni, meglio ancora se prima dei 30), che non si tratta di una malformazione congenita ma piuttosto di una anomalia in divenire in epoca perinatale, che molti casi possono essere asintomatici alla nascita, che un modo efficace per ottimizzare la tempestività della diagnosi è quello di valorizzare sempre e comunque la persistenza di un ittero neonatale dopo i 25 giorni di vita e di dosare sempre (sempre e comunque) in questi casi la bilirubina diretta (che dopo questa età deve essere inferiore a 0,9 mg%) (vedi anche le Lettere, pag. 421). Ma, per quanto sembri impossibile, ancora oggi, anche nel nostro Paese la diagnosi e l’intervento di Kasai vengono fatti in ritardo, dopo il tempo utile, in più della metà dei casi. L’importanza di guardare il colore delle feci del neonato prima della dimissione e al controllo del primo mese è indiscutibile: ma non basta e ancora una volta è evidente che qualcosa non funziona, che l’esame non viene sempre fatto o non viene correttamente interpretato, né dai genitori né dai pediatri… Uno studio svolto nella città cinese di Shenzen, riprendendo la strada percorsa con relativo successo in Giappone, a Taiwan e anche in Ca-
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La pagina gialla nada, ha valutato e confermato l’efficacia di un intervento di screening basato sulla distribuzione alle puerpere di una carta per il raffronto cromatico delle feci e sulla raccomandazione di riportare a osservazione del pediatra di riferimento i bambini il colore delle cui feci era indicato dalla tabella cromatica come a rischio (Zheng J, et al. Arch Dis Child 2020; 105(8):720-723). Anche se non vengono estrapolati i dati sulla sensibilità e specificità del test, nei due anni dopo l’introduzione di questo screening, rispetto ai due anni che lo hanno preceduto, si è assistito a una riduzione dell’età media alla diagnosi da 81 a 56 giorni, a un aumento dell’8% (dal 47% al 54%) dei casi senza ittero e con fegato nativo all’età di due anni e anche a un significativo aumento della quota di famiglie che hanno accettato di sottoporre il bambino alla Kasai (dal 68% all’84%) (questo del rifiuto dell’intervento e di affrontare le cure di una malattia cronica è peraltro un problema specificamente cinese). Nell’editoriale che accompagna l’articolo si rimarca come, nonostante il miglioramento delle cose, l’età alla diagnosi dopo lo screening attraverso l’esame delle feci con raffronto colorimetrico rimanga ancora insostenibilmente alta. Di certo il modo migliore per intercettare tempestivamente tutti i casi di atresia biliare rimane ancora il dosaggio ematico della bilirubina totale ai neonati (esame che pur più invasivo e costoso dell’ispezione fecale e certamente gravato da una specificità non ottimale ha, oltretutto, la plusvalenza di intercettare precocemente anche altre malattie biliari geneticamente indotte) (McKiernan PJ. Arch Dis Child 2020;105(8):709-10). Stanti le difficoltà di attuare questo screening, l’intervento più efficace e irrinunciabile perché facilmente praticabile è quello attuabile dal pediatra e dalle Pediatrie e Neonatologie di riferimento attraverso il puntuale dosaggio della bilirubina diretta in ogni lattante ancora itterico ai 25 giorni: bene o anche benissimo che stia. È ora di cambiare. Parliamo (ancora…!) della vaccinazione antipneumococcica e dell’esortazione a cambiare radicalmente la strategia vaccinale lanciata dall’editorialista del Lancet Infectious Disease (Klugman KP, Rodgers GL. 2020; S1473-3099(20)
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30513-2) a commento di due articoli usciti sullo stesso numero della rivista. Il primo di questi (Ouldali N, et al. Lancet Infect Dis 2020; S1473-3099 (20)30165-1) è uno studio prospettico sull’incidenza della meningite e delle altre malattie invasive da pneumococco (PID) in Francia condotto dal 2001 al 2017 (250 ospedali, 75.903 pazienti di cui il 50% adulti over-65 e il 6% bambini di età inferiore a 2 anni). Con l’avvento del vaccino antipneumoccico, PCV7 sostituito dal 2010 col PCV13, è stata registrata inizialmente una progressiva riduzione di ogni tipo di PID a tutte le età. Peraltro, tra il 2014 e la fine del 2017, a causa dell’emergere di ceppi di rimpiazzo (principalmente i sierotipi 24F nei bambini e 12F, 22F, 9N e 8 negli adulti) e, analogamente a quanto già registrato in altri Paese d’Europa come Germania, Inghilterra, Galles e Svezia, si è assistito a un rebound dell’incidenza delle PID (sia meningiti che di altro tipo) con un aumento di quasi il 100% dei casi nei bambini sotto i due anni di età (da 0,93 a 1,73 per centomila/ mese) e di circa il 30% nei soggetti di età superiore a 65 anni (da 1,54 a 2,08 per centomila/mese). Il secondo studio (Desmet S, et al. Lancet Infect Dis 2020;S1473-3099 (20)30173-0), basato sulla sorveglianza epidemiologica della PID in Belgio tra il 2004 e il 2018, anni in cui in quella nazione si è successivamente passati dal PCV7 al PCV13 al PCV13 associato al PCV10, al solo PCV10, mette in evidenza una progressiva riduzione delle PID dopo l’introduzione dei vaccini coniugati, ma documenta un significativo aumento dei casi pediatrici negli ultimi due anni in prevalenza dovuto all’emergere di un ceppo 19A (contenuto nel PCV-10), geneticamente mutato rispetto a quello che circolava negli anni precedenti. Se è chiaro che, come rimarca l’editorialista, urge un vaccino antipneumococcico globale non basato sui sierotipi (al quale sembra si stia lavorando ma senza investire troppo), la realtà delle cose (la ricerca e la sperimentazione che si sta portando avanti) sono purtroppo ancora in piena contraddizione con le evidenze che emergono: e stanno per uscire i vaccini 15, 20 e 24-valenti (tutti e tre tra l’altro privi del ceppo 24F che nello studio francese, come in quello precedente del Regno Unito, appare essere quello più implica-
to nel riemergere delle PID in età pediatrica) così come un, ancora più potente, vaccino 30-valente. Mah, va tu a capire il perché di tanta stolida ostinazione. Anoressia nervosa, osteoporosi ed estrogenoterapia. Tra i tanti guai che l’anoressia nervosa comporta per la giovane adolescente ci sono anche (forse un po’ da tutti sottovalutate se non proprio dimenticate) l’osteopenia e l’osteoporosi: dovute di certo a ragioni di introito nutrizionale di calcio, ma anche alla carenza di estrogeni di causa ipotalamica che la malattia comporta, sempre palesata dall’amenorrea secondaria. Si tratta di una faccenda seria, anche perché è proprio durante l’adolescenza che si raggiunge il picco di massa ossea: che si accumula cioè nell’osso tutto il calcio di cui si dispone poi durante la vita. Di fronte quindi a un’adolescente anoressica, con amenorrea secondaria perdurante da un paio d’anni e in cui l’osteoporosi sia già evidente alla densitometria ossea, è giusto aggiungere la terapia estrogenica all’intervento psicoterapico e nutrizionale? Una piccola metanalisi (9 studi) pubblicata nella rubrica Archimedes degli Archives of Disease in Childhood (Zadeh P, Etheridge L. 2020;105(8):798802) lascia più dubbi che certezze: sostanzialmente non ci sono evidenze di efficacia dell’etinilestradiolo per os (anzi c’è il rischio che gli alti livelli di estrogeni inibiscano del tutto in queste pazienti la produzione di IgF1 e peggiorino la situazione), mentre c’è qualche evidenza favorevole per l’uso di preparati transdermici (estradiolo), preparati questi che quindi potrebbe valere la pena utilizzare nei casi più gravi e disperati. Il circo dei… probiotici. Ero incerto se raccontarvelo. Ma nella corrispondenza del Lancet, a modello della qualità e importanza scientifica degli oltre 41mila contributi apparsi in letteratura tra marzo e ferragosto in argomento Covid-19..., c’è chi si affanna a portare evidenze su quanto sia diverso il microbioma dei casi infetti e su quanto sia efficace e opportuna (SÌ, avete letto bene: opportuna) la co-terapia con probiotici nei pazienti gravi (Lancet Gastroenterol Hepatol 2020;5:644–5, e ancora peggio 2020; 5:720-1).
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Lettere
Lettere Le lettere sono sempre gradite, e vengono sempre pubblicate. Si prega solo una ragionevole concisione, cercando di non superare le 3000 battute. Qualche taglio editoriale e qualche intervento di editing che non alteri il senso della lettera saranno, a volte, inevitabili.
IL GRAFFIO
Agenda Italia... e uomini-agenda
C’è una storiella che negli ultimi mesi è girata molto su WhatsApp, metafora e parodia del “sistema Italia”: quella di una squadra di canoa composta da un solo rematore e da sette capitani. Squadra che, dopo una sonora sconfitta e sentito un comitato di esperti istituito ad hoc, viene completamente rinnovata… sostituendo tre dei sette capitani con due coordinatori e un supervisore capo e lasciando comunque da solo il povero rematore. Se è vero che in questa rappresentazione dell’Italia ognuno di noi può riconoscere aspetti della realtà che lo circonda, è vero anche che le straordinarie risorse che abbiamo ora disponibili per riprenderci dalla catastrofe Covid e la libertà di scegliere come investirle rappresentano un’occasione imperdibile per rifondare e riorganizzare il funzionamento di strutture portanti della società come la Scuola e la Sanità. Con il rischio però, al contempo, che le tante risorse e la troppa libertà che ci vengono date esitino per l’ennesima volta in sprechi e malinvestimenti, finendo col rinforzare tutte le attuali storture del sistema. Questo rischio appare, con il passare dei giorni, più concreto di quanto si potesse temere. Per la scuola ci si limita a parlare (e a vantarsi acriticamente) delle questionabili misure adottate per la prevenzione del contagio (banchi monoposto) e sull’importanza della distanza tra rima buccale e rima buccale dei ragazzi, mentre poco o nulla si è discusso, ipotizzato e fatto per la costruzione di nuove scuole, tantomeno nelle aree più disagiate e bisognose (cosa che poteva essere fatta anche in tempo reale, ci fossero state soltanto la dovuta sensibilità e la buona intenzione, come è stato per il famoso ospedale degli Alpini di Bergamo…). E mentre si continua a tacere sull’urgenza di investire risorse per la riqualificazione dei docenti e l’adeguamento dei loro stipendi all’importanza del loro ruolo, si invocano nuove posizioni per formatori, operatori di rete e coordinatori (ecco che si riaffaccia la realtà rappresentata dalla storiella…), non si sa se facenti parte integrante dell’Istituzione o paralleli a questa. E si prospetta anche, udite udite, il ritorno del medico scolastico (o comunque di pediatri in un ruolo di supporto alla comunità scolastica ancora più indefinito e quindi inevitabilmente intralciante per chi già opera per lo sviluppo e la salute del bambino). Per quanto riguarda la Sanità, si parla sempre molto della necessità di aumentare i posti letto, senza specificare però che qualificazione questi debbano avere: e sarebbe proprio una catastrofe demagogica riaprire, sic et simpliciter, quei reparti e quegli ospedali che, sì!, andavano proprio chiusi. Perché, ce lo dimostra in qualche modo l’epidemia stessa, quando
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sopravvivono sono destinati inesorabilmente a fare danno. E, ancora, si proclama, ma solo e sempre genericamente, l’urgenza di potenziare la Medicina e la Pediatria territoriale: di cui l’epidemia Covid ha mostrato sì la ricchezza di valori, di bravure e di coraggio, ma ha anche messo in luce le debolezze, le incongruenze e in qualche modo anche la futilità (non si può, non sarebbe etico, rinunciare a riflettere ad esempio sulla caduta verticale delle attività ambulatoriali e di Pronto Soccorso della Pediatria di famiglia e ospedaliera durante le fasi più calde dell’epidemia). Non si dibatte con il dovuto coraggio, liberi dal ricatto di interessi sindacali e di categoria, sulla necessità (urgenza) di integrare la Medicina e la Pediatria di famiglia nel Sistema Sanitario Nazionale (magari per gradi, iniziando dalle nuove generazioni di specialisti) (vedi anche G. Remuzzi. “La sanità (NON) è in vendita”, Laterza editore e diversi altri interventi sull’argomento sul Corriere della Sera dello stesso Autore). Integrazione che rappresenta un primo e imprescindibile passo per riformulare, come è necessario, gli obiettivi della Pediatria stessa. E per immaginare anche, tra l’altro, una Pediatria di territorio e ospedaliera agita, laddove ce ne sia la necessità e l’occasione, in maniera integrata e interscambiabile da pediatri capaci di alternarsi nelle due funzioni: resi in questo modo efficacemente partecipi degli stessi obiettivi, forti delle esperienze e delle risorse condivise e, alla fine, più gratificati professionalmente. Se è dunque vero, come è vero, che il momento ci offre una inattesa occasione di riflessione e di ripianificazione, non dovremmo permettere che questa stessa occasione, carica come è anche di significati etici, venga soffocata dalla demagogia e da semplificazioni tanto egoistiche quanto strumentali. Né, al momento delle scelte, dovremmo farci sorprendere vilmente disattenti ai bisogni e alle priorità reali (che sono, in particolare per quanto riguarda noi pediatri, i bisogni e le priorità che riguardano la salute e lo sviluppo dei bambini - intendo di tutti i bambini). Tutti facciano quindi mente locale e diano il loro contributo al dibattito. E nessuno cali la guardia. Non vorremmo che l’agenda degli esperti che programmeranno la distribuzione delle risorse e la destinazione degli investimenti prevedesse pochi interventi strutturali sui sistemi (quegli interventi coraggiosi che possono veramente cambiare le cose) e, come nella vignetta, troppe figure sovrastrutturali, troppi uomini-agenda che, come abbiamo già potuto verificare nel sistema attuale, costituiscono una dispendiosa calamità: non di rado causa di intralcio e umiliazione per ogni professionista che non vede l’ora di far bene il proprio lavoro. Alessandro Ventura
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La riapertura delle scuole e il lavoro del pediatra Svolgo attività di pediatra di famiglia da più di 14 anni; prima ho lavorato 18 anni in un ospedale pediatrico ruotando tra reparto di degenza, patologia sub-intensiva neonatale, Pronto Soccorso (PS) pediatrico e, nei primi 4 anni di carriera, anche 2 turni al mese di PS generale (unico medico di notte) nell’ospedale zonale dove avevo iniziato a lavorare. Ero quindi abituato a gestire situazioni anche complesse in vari ambiti. Ora sono un pediatra di famiglia che lavora singolarmente in una zona rurale collinare senza segretaria né personale di studio. Durante il lockdown per Covid-19 ho sono andato tutti i giorni nel mio ambulatorio, ho fatto tutte le vaccinazioni che avevo in programma, sia del ciclo primario che le altre se i genitori volevano effettuarle (non ho particolari differenze di coperture vaccinali rispetto a un anno fa), visitato tutti quelli che me ne hanno fatto richiesta, febbrili e non, certo: mascherina, camice che cambiavo giornalmente, lavaggio ossessivo mani, viste ogni 25-30 minuti in modo da distanziarle. Non ho lavorato tanto, ma sono stato sempre aperto, ho prolungato un po’ gli orari degli ambulatori per evitare assembramenti. Tra i miei 900 assistiti circa 40 hanno fatto il tampone per Covid-19, tutti risultati negativi, anche figli di chi era risultato positivo. Ora siamo alla ripresa della nostra attività postvacanze estive sia con i campi scuola che con il temuto rientro a scuola. Il mio disorientamento deriva da come affrontare/certificare la partecipazione ai campi estivi e alle attività scolastiche. Mi spiego meglio. L’acceso a queste attività prevede che il bambino stia bene, se lamenta disturbi, non solo respiratori ma anche cefalea, gastroenterite o altro, le insegnanti chiedono la visita del pediatra. Si deve richiede tampone per Covid-19 a ogni bambino che ha disturbi di qualsiasi tipo, respiratori e non? In caso di febbre anche con esame obiettivo, negativo sempre il tampone prima di riammettere in comunità? Oppure durante una seduta ambulatoriale di autunno-inverno, in cui mediamente tra 10-15 bambini chiamano per febbre e/o disturbi respiratori, che devo fare? Tamponi a tutti loro? Se un bambino ha disturbi banali, che in 2-3 giorni si risolvono alla visita, si riammette a scuola senza tampone? Le varie ordinanze regionali e ministeriali, i suggerimenti del nostro sindacato dei pediatri di famiglia, discorsi vari tra colleghi pediatri non fanno altro che aumentare la mia confusione. Per questo scrivo alla Redazione di Medico e Bambino come un tempo avrei chiesto aiuto al mio primario quando mi trovavo ad affrontare casi complicati, per avere una
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parola di conforto per poter continuare a lavorare affrontando i vari problemi con correttezza, prendendomi le mie responsabilità, insomma mettendoci la faccia come ho sempre fatto fino a ora. Grazie dell’attenzione Paolo Bonazza Roccastrada (Grosseto) e-mail: paolo.bonazza@email.it
Grazie dott. Bonazza per la sua bella testimonianza di lavoro (si percepisce quanto ci metta la faccia e il cuore) e per i dubbi che riporta ai quali non è semplice rispondere. Il 21 agosto sono state pubblicate le attese linee di indirizzo Ministero Salute/ISS/Pubblica Istruzione con le “Indicazioni operative per la gestione di casi e focolai di SARS-CoV2 nelle scuole e nei Servizi educativi dell’infanzia” 1. In realtà il documento non dà indicazioni precise e cogenti nei casi illustrati. Nel testo pare di evincere che si lasci ai pediatri di famiglia/medici di Medicina generale un margine di flessibilità sull’esecuzione del tampone, così come ai Dipartimenti di Prevenzione e alle Autorità scolastiche sull’adozione di provvedimenti di quarantena. Opportunamente, a nostro avviso, perché, come i pediatri sanno bene, le decisioni in merito non possono non tenere conto di elementi contestuali (clinici, ma anche epidemiologici e soprattutto della situazione del singolo bambino e della sua famiglia) 2. Su questo rinviamo a una nota prodotta dal Centro per la Salute del Bambino (https://tinyurl.com/y5sm7vtm) e all’esperienza dei pediatri di famiglia di Bergamo, pubblicata sulle Pagine Elettroniche di Medico e Bambino3 (riportata in sintesi a pag. 465) dove si possono trovare alcune proposte relative ai quesiti posti. Una cosa riteniamo imprescindibile anche nel nostro ruolo di pediatri in questa fase delicata: quella di favorire al massimo la ripresa della scuola (come è stato per alcune esperienze dei Centri estivi, anche se in un contesto molto più complesso), rassicurando gli insegnanti, i genitori e i bambini, stando al loro fianco, organizzando la migliore assistenza possibile in linea con il documento del Ministero della Salute/ISS, adattato ai contesti territoriali e individuali. La scuola è istituzione fondamentale della comunità, deputato non solo all’apprendimento, ma alla socialità, al confronto, alla relazione, all’impegno civile. L’impresa è quella di garantire il presente, oltre che il futuro, di una intera generazione4. Bibliografia 1. Gruppo di Lavoro ISS, Ministero della Salute, Ministero dell’Istruzione, INAIL, Fondazione Bruno Kessler, Regione Emilia-Romagna, Regione Veneto. Indicazioni operative per la gestione
di casi e focolai di SARS-CoV-2 nelle scuole e nei servizi educativi dell’infanzia. http://istruzioneer.gov.it/wp-content/uploads/2020/08/Rapporto-ISS-COVID-58_Scuole_21_8_2020.pdf. 2. Rajmil L. Role of children in the transmission of the Covid-19 pandemic: a rapid scoping review. BMJ Paediatrics Open 2020;4:e000722. 3. Bonicelli I, Carrozzo R, Bacchini M, et al. SARS-CoV-2 e Pediatria territoriale: Armageddon o stimolo per riorganizzare il nostro modo di lavorare? Medico e Bambino Pagine Elettroniche 2020;23(7):174-9. 4. Tamburlini G. Il rischio e l’impresa. Medico e Bambino 2020;39(6):346-7.
Federico Marchetti, Giorgio Tamburlini
Covid-19: perché è meglio dimenticarsi dell’idrossiclorochina Negli ultimi decenni numerosi trial clinici hanno valutato l’efficacia dell’idrossiclorochina come antivirale. Il farmaco, risultato efficace in vitro contro i virus SARS-CoV-1 e MERS, è stato utilizzato durante la pandemia da SARS-CoV-2. Studi condotti in vitro hanno evidenziato la capacità dell’idrossiclorochina di inibire la replicazione del virus, impedendone l’internalizzazione nella cellula mediata dal recettore ACE-2. È evidente che l’uso del farmaco seguisse un certo razionale e che, in un periodo critico come quello di una pandemia, siano state vagliate tutte le opzioni terapeutiche ritenute valide. Tuttavia, bisogna essere consapevoli che la dimostrazione di un’azione di una sostanza in vitro non è sufficiente a predirne un’efficacia in vivo, e che riporre fiducia nell’utilizzo di un farmaco non sostenuto da sufficienti evidenze può interferire con altre scelte terapeutiche che potrebbero essere più razionali. Basandosi su studi pionieristici cinesi1, il farmaco è stato progressivamente introdotto nei protocolli terapeutici di tutto il mondo, compresa l’Italia, sia per il trattamento della fase acuta di malattia che come possibile terapia profilattica pre e postesposizione. I risultati preliminari pubblicati sembravano promettenti, ma in fase più avanzata, a una attenta rivalutazione, l’idrossiclorochina non è risultata efficace in vivo contro il SARS-CoV-2. Uno studio clinico randomizzato non ha mostrato differenze tra chi aveva assunto idrossiclorochina a scopo preventivo e chi aveva assunto placebo: il 12% dei trattati vs 14% dei controlli era positivo al tampone per SARS-CoV-22. Un altro studio retrospettivo ha valutato l’efficacia dell’idrossiclorochina e dell’eventuale combinazione con azitromicina in pazienti ospedalizzati senza ottenere effetti terapeutici3. I dati preliminari dello studio RECOVERY (Randomised Evaluation of COVid19 thERapY) potrebbero essere conclusivi
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riguardo alla mancanza di efficacia dell’idrossiclorochina nel trattamento dei pazienti affetti da Covid-19 con polmonite: non sono state osservate differenze rispetto al trattamento standard né in termini di mortalità né di durata del ricovero. Lo studio ORCHID (Outcomes Related to Covid-19 treated with Hydroxychloroquine among In-patients with symptomatic Disease) ha dimostrato che non c’era un reale beneficio nel trattamento con idrossiclorochina dei pazienti ospedalizzati e per tale motivo è stato interrotto. Il SOLIDARITY trial che valuta le diverse terapie attualmente disponibili, ha messo a confronto gruppi di pazienti trattati con varie combinazioni terapeutiche: il braccio che utilizzava idrossiclorochina è stato interrotto in quanto non c’è stato alcun vantaggio in termini di mortalità rispetto al trattamento comune standard previsto. I dati sul trattamento nei bambini con Covid-19 sono limitati a studi retrospettivi. È in corso un trial clinico spagnolo in cui è stata utilizzata l’idrossiclorochina su 29 pazienti pediatrici, senza alcun riscontro di efficacia; restiamo in attesa dei risultati conclusivi4. I dati finora pubblicati, quindi, non supportano l’idrossiclorochina come farmaco per la terapia e/o profilassi dell’infezione da SARS-CoV-2. Scopo di questa lettera è ribadire ulteriormente di non utilizzare, vieppiù in età pediatrica, l’idrossiclorochina, sia come terapia profilattica pre- e postesposizione, sia come farmaco della fase acuta nella gestione dell’infezione da SARS-CoV-2.
Bibliografia 1. Chen J, Liu D, Liu P, et al. A pilot study of hydroxychloroquine in treatment of patients with moderate Covid-19. J Zhejiang Univ (Med Sci) 2020;49(2):215-9. 2. Boulware DR, Pullen MF, Bangdiwala AS, et al. A Randomized trial of hydroxychloroquine as postexposure prophylaxis for Covid-19. N Engl J Med 2020, Jun 3:1-9. 3. Rosenberg ES, Dufort EM, Udo T, et al. Association of treatment with hydroxychloroquine or azithromycin with in-hospital mortality in patients with Covid-19 in New York State. JAMA 2020;323(24):2493-502. 4. Cortés GR, García-Salido A, Pascual DR, Barrio MS, De Carlos Vincente JC. A multicenter national survey of children with SARS-CoV-2 infection admitted to Spanish Pediatric Intensive Care Units. Intensive Care Med 2020 Jun 22:1-3.
Flavio Quarantiello UOC di Pediatria e Adolescentologia AORN San Pio, Benevento Maria Laura Pennacchio, Alfredo Diana Scusola di Specializzazione in Pediatria, AOU “Federico II”, Napoli e-mail: flavio.quarantiello@gmail.com
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1630: è una grande scoperta l’estratto di china, la polvere dei gesuiti! Un vero toccasana per le febbri malariche che affliggono da qualche millennio le aree paludose d’Europa. Tanto che nel 1712 un medico modenese, Francesco Torti, classifica le febbri come sensibili o resistenti al chinino. È un equivoco, in realtà il farmaco non cura la febbre, ma l’infezione dal protozoo che la provoca. E i meccanismi che lo rendono tossico sui protozoi non agiscono ugualmente sui virus. Ciononostante, dall’800 la clorochina e i suoi derivati vengono sistematicamente utilizzati di fronte a pandemie virali: a cominciare dalla Spagnola, tanto che sul Resto del Carlino del 13 ottobre 1918 si poteva leggere che il prezzo del chinino da 10 compresse era salito da 2 a 50 cent. Già allora, a dire la verità, autorevoli medici negavano l’efficacia del farmaco e ne denunciavano l’inutile spreco, ma tanta era la disperazione che il chinino continuava a essere usato diffusamente, in una maniera che oggi descriveremmo, con terminologia social, come “virale”. Dimenticata la Spagnola, la clorochina viene ancora proposta anni dopo nel tentativo di combattere l’influenza Asiatica, anche qui, solo in base alla caratteristica febbrile dell’influenza. Successivamente, il farmaco è proposto per l’HIV la SARS, l’influenza aviaria, l’infezione da Zika virus e infine oggi per il Covid-19. Questa volta, però, ci sono dati che dimostrano una qualche azione antivirale in vitro. È vero, ma l’effetto su cellule non può essere un presupposto sufficiente per un impiego diffuso di un farmaco nella realtà. Qualcuno dirà che l’idrossiclorochina è anche un buon antinfiammatorio, e che può essere utile a combattere la tempesta citochinica che si sviluppa in alcuni soggetti con infezione Covid-19. Bisognerebbe diffidare dei farmaci che fanno troppe cose, l’argomento è contradditorio: uno dei meccanismi antinfiammatori è quello di ridurre l’infiammazione interferonica, ma questa azione può ridurre di conseguenza anche la risposta antivirale. Scegliere il meccanismo che più ci piace e dimenticare quello che ci può essere scomodo è un processo mentale ingannevole, per quanto umano. D’altra parte, andando a vedere la letteratura scientifica (o anche YouTube), viene il dubbio che alcuni dei più accaniti sostenitori degli effetti benefici antivirali degli antimalarici siano medici troppo innamorati di quell’idea semplice che nel 1712 aveva indotto Francesco Torti a dividere le febbri in resistenti o responsive al chinino. Forse troppo semplice per i giorni nostri. Alberto Tommasini Clinica Pediatrica, IRCCS Materno-Infantile “Burlo Garofolo”, Università di Trieste e-mail: alberto.tommasini@burlo.trieste.it
Allattamento al seno e diagnosi di atresia delle vie biliari Nell’ambito delle numerose cause di colestasi neonatale preme soprattutto fare diagnosi tempestiva di atresia delle vie biliari (AVB), patologia certamente rara (in Europa: 1 caso su 15-20.000 nati1) la cui prognosi risulta migliore se il bambino viene operato di porto-entero-anastomosi secondo Kasai entro il primo mese. La diagnosi di AVB viene però fatta raramente prima dei 30-45 giorni2 e l’età media di esecuzione della Kasai a livello internazionale in Francia3, come nel Regno Unito e in Canada4 risulta conseguentemente compresa fra i 55 e i 65 giorni di vita. Schede che riportano il colore delle feci consegnate ai genitori nel Punto Nascita possono consentire di segnalare le feci schiarite per scarso drenaggio bilio-enterale. Si tratta di uno screening utile, ma non sufficiente, avendo una specificità ottima, ma una sensibilità limitata al 76 %5. L’acolia fecale infatti non si associa sempre alla colestasi o forse non viene rilevata. La possibilità di comparare il colore delle feci del proprio neonato può essere fornito anche da applicazioni dedicate scaricate su smartphone 6. Di recente il gruppo di Harpavat e Schneider ha messo a punto un nuovo programma di screening dell’AVB7. L’esecuzione universale della bilirubina diretta (BD) a 60 ore di vita seguita dalla conferma della positività a 2 settimane, consentirebbe di fare diagnosi precoce di AVB e di abbassare l’età media di esecuzione della Kasai da 56 a 36 giorni7. Lo screening si intendeva come positivo quando la BD a 2 settimane risultava superiore a quella a 60 ore di vita oppure superava 1 mg/dl. È stato valutato tuttavia che questa modalità di screening risulta meno economica rispetto al programma di screening con le carte colorimetriche delle feci8. La nozione che l’ittero da latte materno possa durare (a dire il vero con lenta regressione) anche fino ai 3 mesi di vita, non consente di trascurare una diagnosi differenziale che includa in particolare la colestasi. In presenza di ittero, se sospettiamo una colestasi (in particolare da AVB) non vanno comunque trascurati i classici e sempre validi segni clinici dell’acolia fecale e della presenza di urine scure. Il problema irrisolto della diagnosi precoce dell’atresia delle vie biliari ha indotto le Società di Gastroenterologia, Epatologia e Nutrizione Pediatrica Europea (ESPGHAN) e Nordamericana (NASPGHAN) a raccomandare un prelievo per tutti i neonati che a 2 settimane di vita sono itterici6. Il criterio vale nel neonato a termine, allattato artificialmente, che a 2 settimane non
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dovrebbe avere una bilirubinemia diretta > 1 mg/dl e tantomeno essere itterico. Per i bambini allattati al seno, invece, le stesse ESPGHAN e NASPGHAN prevedono un’opzione alternativa 9. Se l’esame obiettivo è, ittero a parte, negativo e se non c’è acolia fecale o emissione di urine scure, la decisione di fare il prelievo per bilirubina totale e diretta è presa a 3 settimane. Si evita così di sottoporre a prelievo ematico un gran numero di bambini, visto che Maisels e coll. documentano come a 2 e a 4 settimane di vita rispettivamente il 52% e il 34% degli allattati al seno abbia una bilirubinemia totale > 5 mg/dl, anche se questo ittero non risulta sempre riconoscibile e/o riconosciuto10. Lo schema operativo della Figura 1 segue le linee guida succitate9 e consente di ridurre l’eccesso di prelievi per bilirubina totale (BT) e BD negli allattati al seno. Se c’è persistenza di ittero a 3 settimane di vita in un bambino allattato al seno si procede a esecuzione di BT e BD, inevitabilmente associate ad alcuni altri esami di minima, quali transaminasi e, per valutare un’eventuale anemia/emolisi, emocromo e conta dei reticolociti. Presupposti per l’applicazione operativa di questo approccio sono ovviamente la disponibilità del neonatologo e/o del pediatra a rivalutare quantomeno clinicamente il neonato e la previsione di un’adeguata compliance da parte della famiglia.
Esecuzione di BD nell’ittero neonatale protratto
A 3 settimane di vita nel neonato allattato al seno
A 2 settimane di vita nel neonato allattato con formula
Figura 1. Schema operativo per il neonato con ittero protratto.
Bibliografia 1. Chardot C, Buet C, Serinet MO, et al. Improving outcomes of biliary atresia: French national series 1986-2009. J Hepatol 2013;58(6):1209-17. 2. Harpavat S, Lupo PJ, Liwanag L, et al. Factors influencing time-to-diagnosis of biliary atresia. J Pediatr Gastroenterol Nutr 2018;66(6):850-6. 3. Chardot C, Buet C, Serinet MO, et al. Improving outcomes of biliary atresia: French National Series 1986-2009. J Hepatol 2013;58(6):1209-17.
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4. Butler AE, Schreiber RA, Yanchar N, Emil S, Laberge JM; Canadian Biliary Atresia Registry. The Canadian Biliary Atresia Registry: Improving the care of Canadian infants with biliary atresia. Paediatr Child Health 2016;21(3):131-4. 5. Gu YH, Koji Yokoyama K, Koichi Mizuta K, et al. Stool color card screening for early detection of biliary atresia and long-term native liver survival: a 19-year cohort study in Japan. J Pediatr 2015;166(4):897-902.e1. 6. Franciscovich A, Vaidya D, Doyle J, et al. PoopMD, a Mobile Health Application, accurately identifies infant acholic stools. PLoS One 2015;10(7):e0132270. 7. Harpavat S, Garcia-Prats JA, Anaya C, et al. Diagnostic yield of newborn screening for biliary atresia using direct or conjugated bilirubin measurements. JAMA 2020;323(12):1141-50. 8. Masucci L, Schreiber RA, Kaczorowski J, et al. Universal screening of newborns for biliary atresia: cost-effectiveness of alternative strategies. J Med Screen 2019;26(3):113-9. 9. Fawaz R, Baumann U, Ekong U, et al. Guideline for the evaluation of cholestatic jaundice in infants: joint recommendations of the North American Society for Pediatric Gastroenterology, Hepatology, and Nutrition Pediatr Gastroenterol Nutr 2017;64(1):154-68. 10. Maisels MJ, Clune S, Coleman K, Gendelman B, Kendall A, McManus S, Smyth M. The natural history of jaundice in predominantly breastfed infants. Pediatrics 2014;134(2):e340-5.
Riccardo Davanzo IRCCS Materno-Infantile “Burlo Garofolo” Trieste e-mail: riccardo.davanzo@gmail.com
Difficile non condividere le preoccupazioni di Riccardo Davanzo sull’impasse che, da anni, molte Nazioni con un efficiente Sistema Sanitario Nazionale e un’eccellente sensibilità culturale pediatrica “soffrono” nel non riuscire a ridurre significativamente l’età all’intervento di Kasai nei neonati/lattanti con atresia biliare (AVB) . Questa riduzione permetterebbe di ridurre egualmente significativamente il numero dei trapianti di fegato in età pediatrica, dato che l’AVB ne è la principale causa 1. Il problema del “cronico” ritardo diagnostico sta certamente nel fatto che il neonato/lattante con AVB, nel periodo “critico” utile per i migliori risultati dell’intervento di Kasai, e cioè nei primi due mesi di vita, appare in buona salute, con una buona crescita in peso e con un ittero generalmente di modesta entità, che di solito “sfuma”, senza risolversi, a partire dal periodo neonatale e comunque senza rilevanti elementi di allarme. Certamente a un’attenta osservazione le feci diventano progressivamente sempre più decolorate fino all’acolia, e le urine (normalmente incolori a questa età della vita) si colorano progressivamente. Tuttavia, le urine, spesso emesse insieme alle feci”, le “verniciano”, dando una falsa impressione di feci sostanzialmente colorate. Quindi, anche se si è storicamente sempre insistito sulla osservazione delle feci nel neonato itterico quale elemento critico nel sospetto diagnostico di ogni colestasi, i scarsi risultati storici di questa strategia legati anche alla
documentata difficoltà per familiari e medici di identificare efficacemente una decolorazione delle feci 2 devono far pensare a una metodologia più efficace. Questo “gap” culturale per il pediatra (specialmente in un Paese come il nostro in cui l’assistenza pediatrica è affidata esclusivamente allo specialista in Pediatria) potrebbe essere risolto dalla tecnologia, tramite specifiche applicazioni da utilizzare sugli smartphone, e questa è certamente una via da perseguire per facilitare e velocizzare la valutazione del neonato presso un Centro specializzato3. Tuttavia riteniamo, anche in base a specifiche linee guida nazionali in corso di definitiva approvazione in ambito SIGENP (Società Italiana di Gastroenterologia ed Epatologia Pediatrica), che un prelievo venoso sistematico, eseguito a ogni neonato itterico valutato dal pediatra alla terza settimana di vita, rappresenti l’unica possibile opzione per diagnosticare precocemente una colestasi e conseguentemente attivare una rapida riflessione diagnostica sulla possibilità di una AVB. Questo, indipendentemente dal fatto che il neonato sia allattato al seno o meno, anche se ovviamente è l’ittero da latte materno il più potente “competitor” diagnostico rispetto alla colestasi, in un neonato itterico; questo perché un’ulteriore distinzione del tempo dell’indagine tra neonati nutriti al seno o con formula riteniamo possa solo ostacolare la strategia diagnostica proposta. Quindi, se il pediatra, esaminando un neonato tra il 16° e il 21° giorno di vita (quindi orientando in tal senso il primo bilancio di salute), si accorge che il neonato è itterico (e di questo non possiamo dubitare che succeda!) dovrà spiegare ai familiari la necessità e i motivi che impongano l’effettuazione un prelievo venoso (quindi da una vena periferica e non più da sangue capillare), per poter dosare la bilirubina diretta che, se superiore o eguale a 1 mg/dl, definirà la presenza di una colestasi. Questo indipendentemente dalla tipologia di alimentazione del neonato, che comunque auspichiamo fortemente che a questa età sia basata esclusivamente sul latte materno. Se invece la bilirubina diretta fosse < 1 mg/dl, come poi sarà per la stragrande maggioranza dei neonati, saremo certi che, indipendentemente dal colore delle feci, il neonato non sia colestatico e che il suo ittero a bilirubina indiretta sia verosimilmente da latte materno o comunque, nel caso sia nutrito con una formula, un ittero che non necessiti della attivazione rapida di procedure diagnostiche anche invasive al fine di diagnosticare o escludere una AVB. Il neonato colestatico andrà prontamente riferito a un Centro pediatrico con specifiche competenze di Epatologia e di Chirurgia epatobiliare, collegato a un programma di trapianto di fegato: la riuscita dell’intervento di
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Kasai e del trapianto di fegato, se necessario, sono infatti direttamente dipendenti dall’esperienza e dal volume di attività del Centro di riferimento.
Bibliografia 1. Serinet MO, Wildhaber BE, Broué P, et al.Impact of age at Kasai operation on its results in late childhood and adolescence: a rational basis for biliary atresia screening. Pediatrics 2009; 123:1280-6. 2. Witt M, Lindeboom J, Wijnja C, et al Early Detection of Neonatal Cholestasis: Inadequate assessment of stool color by parents and primary healthcare doctors. Eur J Pediatr Surg 2016;26:67-73. 3. Hoshino E, Hayashi K, Suzuki M, et al. An iPhone application using a novel stool color detection algorithm for biliary atresia screening. Pediatr Surg Int 2017;33:1115-21.
Giuseppe Maggiore, Claudia Della Corte, Marco Spada Epatologia e Clinica dei Trapianti e Chirurgia Epatobiliopancreatica e dei Trapianti Addominali, IRCCS Ospedale Pediatrico “Bambino Gesù”, Roma e-mail: giuseppe.maggiore@opbg.net
Le possibili applicazioni della telemedicina Abbiamo letto con interesse l’Editoriale “Telemedicina al tempo del coronavirus” pubblicato sul mese di marzo1. Gli Autori sottolineano, a titolo di esempio, come questa tipologia di approccio possa consentire di continuare a seguire il paziente diabetico anche in condizioni di difficile accesso ai Servizi (come quelle che stiamo attraversando) con la normale attività di followup grazie a tecnologie di monitoraggio sviluppate specificamente. Gli ultimi 15 anni hanno visto la comparsa nel tempo di un’ampia gamma di sensoristica in grado di fornire a distanza tutta una serie di parametri vitali (cardiorespiratori e non solo) che rendono possibile un’ospedalizzazione a domicilio di pazienti prima destinati a ricovero vita natural durante. Le citate linee di indirizzo della Conferenza Stato-Regioni rispecchiano quindi il concetto della telemedicina come grande opportunità di gestione della patologia cronica. Peraltro, non solo le patologie croniche possono avvantaggiarsi di una valutazione
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effettuata a distanza nello spazio e nel tempo. Pensiamo ad esempio a tutte quelle situazioni in cui il lattante/bambino presenti dei comportamenti transitori nel tempo, e quindi difficilmente riscontrabili nel corso della visita in ambulatorio. In tutte le ALTE (Apparent Life Threatening Event, rinominate recentemente BRUE, Brief Resolved Unexplained Event) recidivanti, che sono anche quelle a maggior rischio di seria patologia sottostante, la video-audioregistrazione domiciliare può fornire degli elementi decisivi per la diagnosi, e dal 2015 fa ufficialmente parte delle proposte operative per l’ALTE emesse dalla Regione Piemonte2. Il medesimo paradigma è applicabile a molte altre situazioni che si verificano, ad esempio, nel sonno, dall’addormentamento al risveglio: respirazione rumorosa del lattante, movimenti anomali, pavor, sonnambulismo fino ai primi sospetti di narcolessia. In tutte le situazioni descritte, da quasi 20 anni abbiamo imparato a utilizzare le informazioni raccolte (allora) con una videocamera: sfruttando poi la comparsa di strumenti miniaturizzati (la videocamera all’interno del telefono) e poi ancora con la comparsa degli smartphone, abbiamo la possibilità di una diffusione in tempo reale dei dati per quasi tutta la popolazione. Non si tratta, come nella patologia cronica, di servirsi di strumenti dedicati allo scopo, ma di utilizzare intelligentemente gli oggetti che sono già a disposizione. Oggi possiamo condividere in tempo reale con una mamma molte cose del suo bambino: come si muove (o non si muove), come respira (i movimenti toracoaddominali, i rientramenti, i rumori che produce da tranquillo o nel pianto, la frequenza respiratoria misurata quando dorme), persino a quanto batte il cuore (ci sono smartwatch precisi come saturimetri). La qualità fotografica produce delle immagini della cute che hanno poco da invidiare alla visione diretta. Come ben sottolineato nell’Editoriale, vanno ancora affrontati tutta una serie di problemi di natura prettamente tecnicogiuridico-amministrativa, come ad esempio tracciabilità della prestazione anche ai fini di una rendicontazione, ma anche e soprattutto privacy, responsabilità professionale ecc. In un momento di emergenza sanitaria come quello che stiamo vivendo, in cui la visita del bambino può anche rappresentare una condizione a elevato rischio per il professionista, è forse venuto il tempo di
pensare a un utilizzo sistematico delle tecnologie che usiamo tutti i giorni per effettuare una visita telematica che aiuti a trattare a distanza le patologie più comuni, e a isolare le patologie più serie e meritevoli di immediato trattamento e magari anche di ospedalizzazione3-9. È stata fatta una proposta operativa in tal senso agli Organi competenti regionali, e vedremo se avrà uno sviluppo.
Bibliografia 1. Tornese G, Scaramuzza A, Schiaffini R. Telemedicina ai tempi del coronavirus. Medico e Bambino 2020;39(3):142-3. 2. Vigo A, Noce S, Ravaglia A. Per una corretta gestione del bambino con ALTE. Medico e Bambino 2015;34(5):292-7. 3. Siew L, Hsiao A, McCarthy P, Agarwal A, Lee E, Chen L. Reliability of telemedicine in the assessment of seriously ill children. Pediatrics 2016;137(3):e20150712. 4. Freeman B, Mayne S, Localio AR, Luberti A, Zorc JJ, Fiks AG. Using video from mobile phones to improve pediatric phone triage in an underserved population. Telemedicine and ehealth 2017;23(2):130-6. 5. Alam M, Banwell C, Olsen A, Lokuge K. Patients’ and doctors’ perceptions of a mobile phone-based consultation Service for maternal, neonatal, and infant health care in Bangladesh: a mixed-methods study. JMIR Mhealth Uhealth 2019;7(4):e11842. 6. Kobayashi H, Sado T. Satisfaction of a new telephone consultation service for prenatal and postnatal health care. J Obstet Gynaecol Res 2019;45(7):1376-81. 7. Chan J, Raju SC, Topol E. Towards a tricorder for diagnosing paediatric conditions. The Lancet 2019;394(10202):907. 8. Kim JW, Friedman J, Clark S, et al. Implementation of a Pediatric Emergency telemedicine program. Pediatric Emergency Care 2020;36 (2):e104. 9. Haddad RN, Sakr C, Khabbaz L, Azouri H, Eid B. Telephone consultation and prescription in Pediatrics: contributing factors and impact on clinical outcomes. Front Pediatr 2020;7:515.
Alessandro Vigo SC di Pediatria e Neonatologia, Ospedale di Ivrea (Torino) già responsabile del Centro per la Medicina del Sonno Pediatrica e per la SIDS, Ospedale Infantile “Regina Margherita”, Città della Salute e della Scienza di Torino, 1
Giulia Costagliola Scuola di Specializzazione in Pediatria Università di Torino e-mail: avigo@aslto4.piemonte.it
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Gli articoli devono avere una dimensione massima di 20.000 battute (3000 parole circa), bibliografia, abstract e box di approfondimento esclusi. Per la rubrica iconografica: 6000 battute al massimo (900 parole circa). Per i casi clinici contributivi: 13.000 battute al massimo (2000 parole circa). Le Lettere vengono, nella maggioranza dei casi, accettate e pubblicate quanto prima. Le dimensioni non devono superare le 3000 battute (500 parole), con al massimo 5 referenze. T UTTI
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1. Titolo in italiano e in inglese. 2. Nome per esteso, cognome e qualifica di tutti gli Autori (professione, Istituto di appartenenza). 3. Riassunto/Abstract in italiano e in inglese (al massimo 2000 battute, pari a 300 parole circa). Nelle ricerche e nelle revisioni, l’abstract va strutturato in: Razionale (o Background), Obiettivi, Materiali e Metodi, Risultati, Conclusioni. Per i casi clinici contributivi l’abstract deve avere 1000 battute al massimo (150 parole circa). 4. Parole chiave (da 3 a 5) in italiano e inglese. 5. Indirizzo e-mail per la corrispondenza. 6. Figure e Tabelle se opportune. Per le figure è necessaria la didascalia. Per le tabelle il titolo. Per entrambe il riferimento nel testo e, se opportuno, la fonte. Tutte le figure vanno inviate separate dal testo in formato digitale ad alta risoluzione. Immagini di qualità non idonea possono venir omesse, previa comunicazione all’Autore. Se fosse necessario pubblicare immagini riconoscibili del paziente, l’Autore deve richiedere il consenso informato alla pubblicazione al paziente o alla famiglia compilando l’apposito modulo. 7. Bibliografia: va redatta in ordine di citazione (non alfabetico), secondo numerazione araba (1,2, …). Il numero d’ordine di citazione va indicato in apice nel testo, senza ipertesto e senza parentesi. Gli Autori vanno citati tutti quando non superano il numero di 6. In caso contrario citare i primi 3, seguiti dall’abbreviazione et al. A seguire, nell’ordine, il titolo dell’articolo o del libro, il nome della rivista secondo le abbreviazioni internazionali, l’anno, il volume, la prima e l’ultima pagina del testo. Il font da utilizzare è Times, grandezza 12, interlinea 1,5. Gli articoli non rispondenti ai requisiti verranno restituiti agli Autori prima di essere valutati. Tutti gli articoli pubblicati sono citabili e sono validi a tutti gli effetti come pubblicazioni. Redazione di Medico e Bambino Via Santa Caterina, 3 - 34122 Trieste Tel 040 3728911 - Fax 040 7606590 redazione@medicoebambino.com
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Quiz di autovalutazione La lettura di una Rivista medica è apprendimento attivo o passivo? Può essere l’uno o l’altro. PQRST è una ricetta per una lettura attiva. P STA PER PREVIEW (prelettura veloce, uno sguardo d’insieme al testo). Q STA PER QUESTION (cosa so già? cosa vorrei sapere?). R STA PER READ (lettura attenta). S STA PER STATE (bilancio delle conoscenze DOPO la lettura). T STA PER TEST (controllo, quiz). Vi proponiamo di testarvi con questi quiz PRIMA E DOPO. Se rispondete a 9 (70%), siete bravi; se rispondete a tutti, vuol dire che i quiz sono troppo facili, almeno per voi; se, a meno di 7 (50%), sono troppo difficili. Oppure dovete rimettere in discussione le vostre conoscenze. LETTERE - ITTERO NEONATALE E ATRESIA DELLE VIE BILIARI 1. Il metodo migliore per intercettare i casi di atresia delle vie biliare è quello di: a) Usare delle carte colorimetriche delle feci, che vengono consegnate alla nascita ai genitori; b) Consigliare la visione colorimetrica utilizzando speciali applicazioni disponibili e utilizzabili con smartphone; c) In caso di persistenza dell’ittero, dosare la bilirubina diretta a 3 settimane di vita nel neonato allattato al seno. 2. A 3 settimane di vita, qual è il valore di bilirubina diretta già indicativo di colestasi? a) > 0,5 mg/dl; b) > 1 mg/dl; c) > 1,5 mg/dl; d) > 2,0 mg/dl. 3. In caso di diagnosi di atresia delle vie biliari, l’intervento di elezione è di porto-entero-anastomosi secondo Kasai, che andrebbe eseguito per garantire una buona prognosi preferibilmente entro: a) I primi 2 mesi di vita (meglio nel primo mese); b) I primi 3 mesi di vita; c) I primi 5 mesi. FOCUS - RACHITISMI 2020: FACILI E DIFFICILI 4. Convenzionalmente si definisce deficit di vitamina D la condizione in cui il valore della 25(OH)D risulta inferiore a: a) 10 ng/ml; b) 20 ng/ml; c) 30 ng/ml. 5. Quali delle seguenti condizioni sono a documentato possibile rischio di deficit di vitamina D? a) Asma bronchiale; b) Eczema atopico; c) Obesità; d) Trattamento con farmaci antiepilettici; e) Celiachia; f) Tutte e tre le condizioni c), d), e). 6. La grave carenza di vitamina D può essere causa di scompenso cardiaco Vero/Falso 7. I bambini con paralisi cerebrale infantile sono a maggiore rischio di carenza di vitamina D Vero/Falso 8. In un bambino di 2 anni con rachitismo carenziale in fase di attacco, quale dei seguenti schemi di somministrazione giornaliera della vitamina D3 è corretto? a) 1000 UI/die (400-1000 UI/die) per 4-6 settimane; b) 6000/UI/die (2000-6000 UI/die) per 4-6 settimane; c) 6000/UI/die (2000-6000 UI/die) per 2 settimane.
Risposte
9. Quale delle seguenti affermazioni sul rachitismo ipofosforemico X-linked è errata? a) L’incidenza presunta è di circa 2-5 casi ogni 100.000 nati vivi; b) Clinicamente interessa solo i maschi; c) È causata da una mutazione a carico del gene PHEX; d) La diagnosi di solito avviene dopo l’anno di età. 10. Da un punto di vista biochimico, alla diagnosi il rachitismo ipofosforemico Xlinked si caratterizza di solito per: a) Ipocalcemia, fosforo normale, normali livelli di 25(OH)D, paratormone aumentato; b) Ipocalcemia, ipofosforemia, bassi livelli di 25(OH)D, paratormone normale; c) Ipofosforemia, normali livelli di 25(OH)D, paratormone normale. 11. Il trattamento convenzionale del rachitismo ipofosforemico consiste nella somministrazione di: a) Calcio e vitamina D; b) Sali di fosfato e vitamina D attivata; c) Calcio e sali di fosfato. 12. Il burosumab, anticorpo monoclonale diretto contro FGF23, è stato recentemente proposto per il trattamento del rachitismo ipofosforemico X- linked . Il suo utilizzo al momento: a) Non è previsto, in quanto sono ancora in corso studi di fase 1; b) È stato autorizzato dagli Enti regolatori, ma solo al di sopra dei 5 anni di età (sino a fusione delle cartilagini di accrescimento); c) È stato autorizzato dagli Enti regolatori in bambini tra 1-12 anni (sino a fusione delle cartilagini di accrescimento). L’ESPERIENZA CHE INSEGNA PROLASSO RETTALE 13. Quale delle seguenti affermazioni sul prolasso rettale è errata? a) Si verifica nei primi 4 anni di età del bambino e tende tipicamente a recidivare; b) È sempre possibile identificare una causa unica determinante il prolasso rettale; c) In circa un caso su 10 è presente una condizione anatomica neurologica sottostante predisponente (in particolare neurologica: spina bifida occulta, mielomeningocele); d) In caso di prolasso rettale bisogna pensare anche alla fibrosi cistica. 14. Il trattamento del prolasso rettale di solito non è conservativo e richiede quasi sempre un intervento chirurgico Vero/Falso
LETTERE 1=c; 2=b; 3=a; FOCUS 4=b; 5=f; 6=Vero; 7=Vero; 8=b; 9=b; 10=c; 11=b; 12=c; L’ESPERIENZA CHE INSEGNA 13=b; 14=Falso.
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RACHITISMI 2020: FACILI E DIFFICILI
“Il rachitismo” , o meglio, “i rachitismi”: perché un Focus? Il rachitismo carenziale è una patologia che ha una sua concreta diffusione nel nostro Paese, in particolare nelle categorie a rischio, ma non solo, con manifestazioni cliniche che possono essere variabili e sfumate, andando da quadri iperacuti, perfino a rischio di vita (convulsioni e cardiomiopatia con scompenso), a forme molto più subdole con alterazioni somatiche ossee a insorgenza progressiva. La conoscenza delle possibili modalità di esordio meno note (ad esempio la miopatia), della precisa identificazione delle molteplici categorie a rischio, dei dosaggi adeguati di supplementazione in funzione degli specifici fattori di rischio è patrimonio culturale comune di ogni pediatra, ma merita certamente una messa a punto pragmatica, concreta e facilmente fruibile come quella offerta dall’articolo di Agrusti e coll. D’altro canto esistono anche “i rachitismi”, certamente più rari , ma necessariamente da “avere in testa” per una diagnosi tempestiva in casi selezionati, di cui il rachitismo ipofosforemico resta il modello a maggiore prevalenza e di importante esemplarità didattica e concettuale. In questo senso il secondo articolo del Focus, di Lucchetti e coll., è una lettura preziosa che spazia dai segni clinici che dovremmo tutti conoscere per una identificazione precoce, a una esauriente spiegazione dei meccanismi molecolari. La parte finale dell’articolo, focalizzata sul trattamento, spazia dai trucchi del mestiere, utilissimi a ogni pediatra che ha in cariMedico e Bambino 7/2020
co un bambino con questa diagnosi, anche per interagire al meglio con il Centro di riferimento, agli sviluppi ormai concreti della terapia con burosumab, con una spiegazione nitida del meccanismo biologico . Negli ultimi anni abbiamo assistito alla pubblicazione una letteratura a mio avviso francamente imbarazzante e illeggibile, che ha salvato molte più carriere di ricercatori che vite di pazienti, sul presunto ruolo di ipotetici deficit di vitamina D in pressocché ogni patologia dello scibile medico, che ha generato in concreto un outcome impressionante di prelievi inutili di livelli ematici di vitamina D in bambini sani. Questi due lavori sono l’esatto opposto: si parte dalla clinica e dai bisogni reali per arrivare a informazioni concrete e fruibili immediatamente. Buona lettura. Egidio Barbi
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Focus
Vitamina D e rachitismo carenziale ANNA AGRUSTI1, SARAH CONTORNO1, IRENE BRUNO2, GIULIA GORTANI2, EGIDIO BARBI1,2
Università di Trieste, 2IRCCS Materno-Infantile “Burlo Garofolo”, Trieste
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VITAMIN D DEFICIENCY RICKETS (Medico e Bambino 2020;38:426-429)
Key words Myopathy, Vitamin D deficiency, Rickets Summary Mouhamed, a 7-year-old boy of African origin, presented with progressive fatigue and difficulty in walking. He was never treated with vitamin D supplementation. The evaluation of his calcium-phosphorus metabolism revealed a myopathy related to severe rickets. Therefore, he was treated with high-dose vitamin D3 and myopathy and fatigue progressively resolved. Vitamin D plays a crucial role in the calcium-phosphorus metabolism, by acting on enterocytes, osteoclasts and renal tubule. Vitamin D deficiency is defined when the 25OHD value is less than 20 ng/ml. In order to guarantee the assumption of the minimum daily dose of vitamin D, it is recommended to start vitamin D3 supplementation in all newborns and infants in their first year of life, regardless of the feeding modality. Exposure to the sun is essential for the activation of vitamin D, so dark-skinned children and mothers or those little exposed to the sun should start vitamin D3 supplementation. Vitamin D3 should also be supplemented in children with cerebral palsy and in patients treated with anti-epileptic drugs. Other conditions at risk of vitamin D deficiency are inflammatory bowel disease, celiac disease, cystic fibrosis, obesity, liver failure, cholestasis and vegetarian or vegan diets. Classic signs of rickets are the rickety rosary, the widening of the wrist and the arching of the tibia. Severe hypocalcaemia secondary to vitamin D deficiency can occur with dilated cardiomyopathy or convulsions, especially in dark-skinned infants. Vitamin D deficiency should be considered in children with progressive myopathy or muscular weakness, especially in dark-skinned ones or in those poorly exposed to the sun for cultural or religious reasons.
CASO CLINICO Conosciamo Mouhamed, bambino di 7 anni di origine africana, nell’ambulatorio di Malattie Rare, dove giunge per approfondimenti diagnostici nel sospetto di una miopatia. Mouhamed ha regolarmente acquisito le tappe di sviluppo psico-motorio ma dall’età di quattro anni i genitori hanno notato affaticamento dopo l’attività fisica e difficoltà nella deambulazione, aspetti che sono peggiorati nell’ultimo periodo: ci riferisce con disagio che quando corre è costretto a fermarsi prima dei suoi compagni, motivo per cui ha progressivamente ridotto la partecipazione alle attività di gioco. Non lamenta crampi notturni e solo saltuariamente presenta dolore muscolare. I genitori negano consanguineità e familiarità per miopatie, le sorelle minori sono in buona salute. Ci viene inoltre riferito
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che il piccolo, così come le sorelline, non ha mai assunto vitamina D. Alla visita emerge un marcato valgismo delle ginocchia e una netta difficoltà nella corsa e negli accovacciamenti. La stazione eretta in appoggio monopodalico evoca uno sforzo eccessivo, condizione riferibile a instabilità del cingolo pelvico. La manovra di Gowers è negativa e non vi è pseudoipertrofia dei polpacci; i riflessi osteo-tendinei risultano normoelicitabili, non si rilevano retrazioni tendinee né iperlassità legamentosa. Considerando l’etnia del bambino e il fatto che non assuma alcuna supplementazione, nell’ambito degli esami di inquadramento delle miopatie decidiamo di escludere una carenza di vitamina D. Le indagini laboratoristiche mostrano: calcemia 8,02 mg/dl (valori normali 8,5-10,5 mg/dl), fosforemia 3,34 mg/dl (valori normali 3,96-6,13 mg/dl), 25-idrossivitamina D
4,2 ng/ml (valore desiderabile 13-51 ng/ml), fosfatasi alcalina 2113 U/l (valori normali fino a 381 U/l), paratormone (PTH) 500 pg/ml (valori normali 11-53 pg/ml) e creatin-fosfochinasi (CPK) 244 U/l (valori normali fino 195 U/l). Alla luce di questi dati, valorizzando il marcato incremento della fosfatasi alcalina a fronte di un aumento limitato delle CPK e considerando il valgismo riscontrato alla valutazione clinica, richiediamo una radiografia degli arti inferiori. Le immagini radiologiche confermano lo spiccato valgismo delle ginocchia e mostrano slargamento “a coppa” delle metafisi distale del femore e prossimale della tibia con aumento dello spazio diafisario (Figura 1), aspetti presenti in forma più lieve anche a livello della metafisi femorale prossimale. L’ecocardiografia risulta nella norma. Tali reperti sono altamente suggestivi di rachitismo severo vitamina D-dipendente, condizione che può comportare una marcata miopatia con modesto rialzo delle CPK, come riscontrato in Mouhamed. Avviamo la supplementazione di vitamina D3 ad alti dosaggi per via orale (6000 UI/die) associata alla somministrazione di 1000 mg di calcio (pari a 33 mg/kg/die) per evitare la hungry bone syndrome e a distanza di tre settimane si assiste a un lieve miglioramento clinico e alla normalizzazione della calcemia e della vitamina D. I valori di calcio, fosforo, fosfatasi alcalina, vitamina D e CPK dopo circa tre mesi di terapia risultano normalizzati. Il quadro clinico è notevolmente migliorato in sei mesi e si è com-
Figura 1. Radiografia degli arti inferiori che mostra il valgismo bilaterale delle ginocchia e lo slargamento a coppa delle metafisi distali del femore e prossimali della tibia, con aumento dello spazio fisario.
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Rachitismi 2020: facili e difficili
pletamente risolto dopo circa un anno di terapia. Oggi Mouhamed si sente più forte, riesce a correre e a fare le scale. Considerato il rischio elevato di rachitismo carenziale, abbiamo avviato la supplementazione di vitamina D anche nella mamma e nelle sorelline di Mouhamed, senza eseguire esami. DISCUSSIONE Nonostante si tratti di un’entità clinica ben descritta in letteratura, la miopatia prossimale da carenza di vitamina D viene raramente presa in considerazione nell’iter diagnostico delle miopatie metaboliche: eppure, debolezza muscolare e mialgia vengono riportate da circa il 30% dei pazienti con deficit di vitamina D e nei lattanti tale carenza si può manifestare con ipotonia e ritardo nell’acquisizione delle tappe di sviluppo motorio1,2. Non sono del tutto chiari i meccanismi con cui la vitamina D influenzi la funzionalità del muscolo: si ipotizza che essa favorisca l’uptake del calcio nelle cellule, il trasporto del fosfato e il metabolismo dei fosfolipidi, oltre a indurre la proliferazione e la differenziazione dei mioblasti. Modelli murini knock-out per il gene del recettore della vitamina D sembrano sviluppare fibre muscolari più piccole rispetto a topi wild-type 3. Nelle biopsie muscolari dei soggetti con miopatia in osteomalacia, inoltre, si è riscontrata atrofia delle fibre muscolari4. Dal momento che la miopatia da rachitismo carenziale risulta reversibile dopo l’avvio delle supplementazioni di vitamina D e calcio, riteniamo importante considerare questa condizione come ipotesi diagnostica nell’inquadramento delle sospette miopatie, soprattutto nei soggetti a rischio di carenza (pelle scura, ridotta esposizione solare per ragioni socio-culturali e religiose). VITAMINA D E RACHITISMO CARENZIALE: OTTO PUNTUALIZZAZIONI Cos’è la vitamina D? La forma biologicamente attiva della vitamina D è la 1,25-idrossivitamina D (1,25(OH)2D) o calcitriolo. Circa l’80% della 1,25(OH)2D deriva dalla vitamina D3 (colecalciferolo), un precursore inattivo sintetizzato a partire dal 7-deidrocolesterolo presente nella cute umana grazie all’effetto delle radiazioni ultraviolette B (UVB) e del calore della pelle. Il rimanente 20% dei precursori della vitami-
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na D viene assunto attraverso gli alimenti (soprattutto pesce, carne rossa, uova e prodotti caseari). Nel fegato avviene la prima idrossilazione dei pre-ormoni, con la sintesi di 25-idrossivitamina D - 25(OH)D; la 25(OH)D raggiunge il rene dove si verifica una seconda idrossilazione dando origine alla forma attiva 1,25(OH)2D5. La principale attività della 1,25(OH)2D è rappresentata dalla stimolazione dell’assorbimento di calcio e fosforo da parte degli enterociti. In sinergia con le attività del PTH, promuove la maturazione degli osteoclasti permettendo la mobilitazione di calcio e fosforo dal tessuto osseo e a livello del tubulo renale stimola il reuptake del calcio e l’escrezione del fosforo. Quali sono i soggetti più a rischio di carenza di vitamina D? Convenzionalmente si definisce deficit di vitamina D la condizione in cui il valore della 25(OH)D risulta inferiore a 20 ng/ml6-8. I neonati e i bambini sotto l’anno di vita sono a rischio di sviluppare carenza di vitamina D dal momento che vengono esposti poco al sole e sono nutriti principalmente con latte materno e formulazioni di latte artificiale, alimenti che non garantiscono l’apporto adeguato di vitamina D. Un’altra categoria di soggetti a rischio è rappresentata dai bambini di pelle scura: la melanina, infatti, riduce l’assorbimento dei raggi UVB necessari per la produzione di vitamina D attiva9,10. Dal momento che la mineralizzazione dell’osso fetale si verifica durante il terzo trimestre di gravidanza, i neonati pretermine non raggiungono la fase di vita intrauterina durante la quale si realizza il maggior apporto di calcio, fosforo e vitamina D e possono dunque sviluppare osteopenia. Anche la gravidanza rappresenta una condizione a rischio: le riserve di vitamina D del feto necessarie allo sviluppo del tessuto osseo, infatti, dipendono esclusivamente dall’intake materno. Uno studio italiano ha riscontrato valori di vitamina D post-partum inferiori nelle madri immigrate provenienti da Paesi africani, asiatici e medio-orientali rispetto alle madri italiane; questa differenza si rifletteva anche nei valori di 25(OH)D misurati nei neonati11. Ci possono essere rachitismi secondari ad altre condizioni? La carenza di vitamina D si riscontra frequentemente nei bambini che presentano condizioni cliniche di malassorbimento intestinale o insufficienza pancreatica esocrina. Fino al 70% dei bambi-
ni celiaci presenta una carenza di vitamina D al momento della diagnosi, con conseguente rischio di sviluppare osteopenia, osteoporosi e fratture: si consiglia dunque di dosare la 25(OH)D al momento della diagnosi di celiachia, avviando subito la dieta priva di glutine e trattando i soggetti carenti, monitorando il valore di 25(OH)D nel follow-up annuale8,12. Anche nei bambini con malattia infiammatoria cronica intestinale (morbo di Crohn e rettocolite ulcerosa) si riscontra spesso una carenza di vitamina D, che va dunque ricercata alla diagnosi e durante il follow-up6,8. I bambini affetti da fibrosi cistica presentano un’insufficienza pancreatica esocrina che determina una carenza di vitamine liposolubili. Posta la diagnosi di fibrosi cistica, risulta dunque indicato avviare la supplementazione di vitamina D3, il cui dosaggio di partenza dipende dall’età ed è aumentabile al fine di mantenere valori di 25(OH)D superiori a 30 ng/ml: fino a 12 mesi di vita la dose di partenza è pari a 400-500 UI/die (aumentabile fino a 2000 UI/die), da uno a 10 anni di vita la dose è pari a 800-1000 UI/die (aumentabile fino a 2000 UI/die) e dopo i 10 anni è di 10.000 UI/die13. Altre condizioni che espongono al rischio di deficit di vitamina D sono l’obesità, l’insufficienza epatica, la colestasi, le diete vegetariane o vegane e le terapie croniche con corticosteroidi, anticonvulsivanti e antifungini6. I soggetti con paralisi cerebrale infantile presentano un elevato rischio di carenza di vitamina D, secondaria a diversi fattori: sono bambini che non passano molto tempo all’aperto, si muovono poco, hanno spesso uno stato nutrizionale inadeguato e frequentemente assumono farmaci anti-epilettici14. In questi pazienti la supplementazione con vitamina D3 va dunque avviata a un dosaggio di 800-1000 UI di vitamina D315. Quali sono i segni clinici di rachitismo? La carenza di vitamina D determina un difetto della mineralizzazione della cartilagine di accrescimento e dell’osso in formazione. Il rachitismo tipicamente esordisce tra i tre mesi e i tre anni di vita, quando la crescita ossea e la richiesta di calcio sono più elevate. Dal momento che le alterazioni sono dovute alla mancata mineralizzazione dell’osso in fase di accrescimento, i segni clinici più precoci compaiono nelle sedi che vanno incontro a un rapido turnover, come l’avambraccio, gli arti inferiore e le articolazioni costocondrali. Le
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Focus alterazioni scheletriche comprendono ritardata chiusura delle fontanelle, bozze frontali, consistenza molle delle ossa occipitali e parietali (craniotabe), slargamento della giunzione costocondrale (rosario rachitico), formazione del solco di Harrison tra torace e addome, slargamento del polso, incurvamento di radio, ulna, tibia e femore. I segni radiologici più precoci sono lo slargamento del piatto epifisario delle ossa lunghe, che nel tempo assume una forma a coppa; l’interfaccia epifisi-metafisi si presenta radiotrasparente mentre a carico delle diafisi si può apprezzare un assottigliamento della corticale e un incurvamento dell’asse dell’osso9.10. Cosa ci si può aspettare di “strano”? Ovvero: quando il rachitismo colpisce al cuore Nei lattanti, una severa ipocalcemia da rachitismo carenziale può manifestarsi con convulsioni generalizzate, tetania o spasmi infantili16. Inoltre, l’ipocalcemia nei lattanti può alterare la contrazione muscolare con conseguente sviluppo di miocardiopatia dilatativa: questa condizione è legata alla carenza del calcio ionizzato, che gioca un ruolo fondamentale nel meccanismo di accoppiamento eccitazione-contrazione del muscolo miocardico17. In letteratura sono descritti diversi casi di bambini di colore o asiatici con rachitismo carenziale misconosciuto e non supplementati con vitamina D che hanno sviluppato scompenso cardiaco congestizio o shock cardiogeno. Il quadro clinico in questi bambini è caratterizzato da grave ipocalcemia, aumento della fosfatasi alcalina, cardiomegalia alla radiografia del torace e riduzione della frazione di eiezione all’ecocardiografia. Nei casi riportati, a seguito dell’infusione del calcio e della somministrazione di vitamina D, in aggiunta alla terapia di supporto con inotropi e diuretici, il quadro acuto si è rapidamente risolto e la funzionalità cardiaca si è normalizzata nei mesi successivi16-20. Alla luce del possibile coinvolgimento cardiaco, risulta dunque fondamentale eseguire un’ecocardiografia nei bambini a rischio di rachitismo carenziale che si presentano con astenia marcata. In alcuni casi, inoltre, il rachitismo si può manifestare con debolezza muscolare, anche in assenza di un incremento importante delle CPK, che si traduce in ipomobilità complessiva, impaccio motorio o difficoltà nella deambulazione, quest’ultima legata anche alla coesistenza delle deformità ossee21.
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Quali sono gli esami di laboratorio da richiedere? L’esame essenziale da richiedere nel sospetto clinico di rachitismo è la fosfatasi alcalina ossea, enzima prodotto dagli osteoblasti che aumenta in caso di incremento del turnover osseo e il cui dosaggio è utile anche per monitorare attività di malattia e risposta al trattamento. Il metabolismo calcio-fosforo mostra diverse alterazioni in base allo stadio di gravità del deficit di vitamina D: in un primo momento la riduzione dell’assorbimento intestinale di calcio provoca ipocalcemia isolata, con livelli di fosforo ematico ancora nella norma. L’ipocalcemia stimola l’aumento della produzione di paratormone, che riporta i livelli di calcio in range di normalità; l’iperparatiroidismo secondario all’ipocalcemia può provocare iperfosfaturia (con conseguente ipofosfatemia). Quando l’iperparatiroidismo non riesce più a compensare l’ipocalcemia, compaiono i segni clinici e radiologici di rachitismo. La principale forma circolante di vitamina D è la 25(OH)D che, avendo un’emivita di duetre settimane, rappresenta il miglior marker per valutare le effettive riserve di vitamina D6. Supplementazione di vitamina D: chi, come, quanto e per quanto? Il contenuto di vitamina D nel latte materno è molto basso, mentre nelle formulazioni di latte artificiale è pari a 400 UI/l: nel caso in cui il lattante assuma meno di un litro di latte artificiale ogni giorno, quindi, la dose quotidiana
raccomandata di vitamina D non sarebbe garantita. Per assicurare che tutti i neonati assumano almeno 400 UI al giorno di vitamina D, è indicato avviare la supplementazione di 400 UI al giorno di vitamina D3 per tutto il primo anno di vita9,22. Dopo il primo anno di vita la dose giornaliera di vitamina D raccomandata (600 UI) viene solitamente assunta con la dieta. Nei soggetti di pelle scura e asiatici fino ai 18 anni e nelle donne che allattano vi è indicazione alla supplementazione con vitamina D3, a un dosaggio 400-600 UI/die a seconda degli studi. Volendo, ma forse non è utile se non vi è una indicazione clinica specifica, la dose può essere poi titolata sulla base dei valori di fosfatasi alcalina e 25(OH)D9. Risulta fondamentale ricordare che la supplementazione di vitamina D durante la gravidanza andrebbe proposta a tutte le donne di colore o che per ragioni culturali sono poco esposte ai raggi solari e che sono quindi a rischio di carenza cronica11. Come si tratta il rachitismo carenziale? Qualora si rilevino segni di rachitismo o valori di 25(OH)D inferiori a 20 ng/ml è necessario avviare la terapia sostitutiva con vitamina D3, che può essere condotta secondo due strategie6,8. La prima prevede una somministrazione di vitamina D3 in una singola dose, la cosiddetta stoss therapy (Tabella I) 10, modalità che non è formalmente raccomandata sotto i tre mesi di vita. La seconda strategia è rappresentata dalla sommini-
DOSAGGI DELLA STOSS THERAPY A BASE DI VITAMINA D3 IN BASE ALL’ETÀ Età Sotto i 3 mesi di vita Tra 3 e 12 mesi Tra 1 e 12 anni Dopo i 12 anni
Dosaggio di vitamina D3 Non raccomandata 50.000 UI singola dose 150.000 UI singola dose 300.000 UI singola dose
Tabella I. Da voce bibliografica 10, modificata. TERAPIA GIORNALIERA DEL RACHITISMO CON VITAMINA D3 PER OS Età Sotto un mese di vita Da 1 a 12 mesi Da 1 a 12 anni Dopo i 12 anni
Dosaggio della vitamina D3 per 4-6 settimane 1000 UI/die 2000 UI (1000-2000 UI/die) 6000 UI/die (2000-6000 UI/die) 6000 UI/die
Dosaggio della vitamina D3 mantenimento 400 UI/die 400 UI/die 600 UI/die 600 UI/die
Tabella II. Da voci bibliografiche 10 e 21.
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Rachitismi 2020: facili e difficili
MESSAGGI CHIAVE
❏ Assicurarsi che tutti i bambini di colore o poco esposti al sole assumano regolarmente la supplementazione di vitamina D, così come le loro mamme. ❏ Considerare il deficit di vitamina D nell’inquadramento di un bambino con progressiva miopatia o con debolezza muscolare, soprattutto se di pelle scura o poco esposto al sole per ragioni socio-culturali o religiose. ❏ Pensare all’ipocalcemia in un lattante a rischio di carenza di vitamina D che presenta un quadro di cardiomiopatia dilatativa o convulsioni, soprattutto se di etnia a rischio. ❏ Supplementare la vitamina D nei bambini con paralisi cerebrale infantile e in coloro che assumono farmaci antiepilettici. ❏ Ricordarsi del possibile deficit di vitamina D nei bambini affetti da condizioni di malassorbimento (malattie infiammatorie croniche intestinali, celiachia, fibrosi cistica). ❏ Altre condizioni che espongono al rischio di deficit di vitamina D sono l’obesità, l’insufficienza epatica, la colestasi, le diete vegetariane o vegane.
strazione giornaliera di vitamina D3 per os (Tabella II) 10,21 per 4-6 settimane. In entrambi i casi, contestualmente alla supplementazione di vitamina D, va somministrato anche calcio (da 30 a 50 mg/kg/die o 500 mg di calcio elementare in 2 o 3 dosi), per il rischio di peggioramento dell’ipocalcemia da rapido assorbimento osseo dopo la somministrazione di vitamina D (la cosiddetta hungry bone syndrome). La supplementazione di calcio va proseguita per 2-6 settimane, monitorando i valori di calcemia e caliuria, indipendentemente dalla strategia terapeutica effettuata9. Dal nostro punto di vista, la stoss therapy è risolutiva del problema ed è indicata a fronte di un bambino o di una fa-
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miglia fragili (compliance non garantita, rischio di perdita al follow-up, condizione genetica di base ad alto rischio di rachitismo persistente o recidivante). Altrimenti, di fronte a una famiglia certamente affidabile che possa assicurare un’adeguata compliance al trattamento, è ragionevole scegliere la strategia terapeutica per os a dosi quotidiane. I valori ematici di calcio, fosforo, fosfatasi alcalina, vitamina D e paratormone vanno monitorati dopo quattro settimane dall’avvio della terapia, quindi ogni mese fino alla loro normalizzazione, che in genere si verifica dopo tre mesi di terapia. Le anomalie scheletriche tendono a regredire completamente (anche se a volte lentamente)con la sola terapia medica9.
Indirizzo per corrispondenza: Anna Agrusti e-mail: anna.agrusti88@gmail.com
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Focus
Rachitismo ipofosforemico X-linked LAURA LUCCHETTI1, DANILO FINTINI2, MARCO CAPPA2, FRANCESCO EMMA1
UOC di Nefrologia e Dialisi, Dipartimento Pediatrie Specialistiche, UOC di Endocrinologia, Dipartimento Universitario-Ospedaliero, Ospedale Pediatrico “Bambino Gesù” IRCCS, Roma
1 2
X-LINKED HYPOPHOSPHATEMIA (Medico e Bambino 2020;39:430-436)
Key words X-linked hypophosphatemia, PHEX gene, Vitamin D metabolites, Nephrocalcinosis, Burosumab, FGF23 Summary X-linked hypophosphatemia (XLH) is an X-linked disorder with dominant penetration, caused by mutations in the PHEX gene, which encodes for an endopeptidase that is predominantly expressed in osteoblasts, osteocytes and odontoblasts. PHEX mutations cause increased production of fibroblast growth factor 23 (FGF23) that in turn leads to hypophosphatemia by causing inhibition of the renal phosphate reabsorption and of the synthesis of active 1,25-dihydroxyvitamin D. In children XLH is characterised by rickets, bone pain, physical dysfunction, impaired growth, disproportionate short stature, lowerlimb deformities, pathological fractures, dental malposition and dental abscesses. Although phenotype may be variable in severity, early diagnosis and treatment are critical to improve outcome. Laboratory tests show hypophosphatemia associated with hyperphosphaturia and elevated alkaline phosphatase, while parathormone and calcium levels are normal. For decades, patients have been treated with conventional therapy, including active vitamin D supplementation and fractionated daily doses of oral phosphate salts. However, these therapies rarely normalise the phenotype. More recently, burosumab, a recombinant human IgG1 monoclonal antibody against FGF-23, has been introduced for the treatment of XLH. In phase 2 trials, burosumab has been shown to improve significantly clinical symptoms, as well as biological and radiological signs of rickets.
F
osforo e calcio svolgono un ruolo fondamentale in molte funzioni biologiche (metabolismo energetico, processo di mineralizzazione ossea, fosforilazione di proteine). Il contenuto totale di fosforo nel soggetto adulto è di circa 700-1000 grammi. Di questi, l’85% è nelle ossa, sotto forma di idrossiapatite; meno dell’1% è in circolo nel sangue. Un adulto normale assorbe nel tratto intestinale approssimativamente 1 grammo di fosforo al giorno a valle del duodeno; questo riassorbimento è in larga misura regolato dall’1,25 di-idrossi vitamina D 1,25(OH) 2D. Pari quantità di fosforo vengono eliminate quotidianamente dal rene e marginalmente anche dalle secrezioni intestinali. La fosforemia, pertanto, dipende da un equilibrio dinamico fra riassorbimento intestinale, eliminazione renale e metabolismo osseo1,2.
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I valori di riferimento del fosforo plasmatico variano a seconda dell’età: Valori di riferimento della fosforemia Adulti: 2,8-4,5 mg/dl pari a 1,0-1,5 mmol/l Bambini: 4,0-6,5 mg/dl pari a 1,3-2,1 mmol/l Neonati e lattanti: 4,3-8,5 mg/dl pari a 1,4-2,7 mmol/l
Questo aspetto è particolarmente importante per non sotto-diagnosticare ipofosforemie patologiche nei primi mesi di vita3. Diversi fattori influenzano la fosforemia; questi comprendono il contenuto di fosforo nella dieta e il suo assorbimento intestinale, la vicinanza del prelievo dai pasti, i livelli di alcuni ormoni e della vitamina D.
Nel rene, la maggior parte del fosforo filtrato a livello glomerulare viene riassorbito nel tubulo prossimale sotto forma di fosfato, grazie all’azione dei due trasportatori accoppiati al sodio NPT2a e NPT2c, localizzati a livello della membrana apicale della cellula tubulare. L’espressione in membrana di questi trasportatori, e di conseguenza la capacità del rene di riassorbire i fosfati, è stimolata dall’ipofosforemia e da alcuni ormoni fra i quali l’IGF1, gli ormoni tiroidei e l’insulina, mentre è inibita dal paratormone (PTH) e soprattutto dal Fibroblast Growth Factor 23 (FGF23) (Figura 1) 1. FGF23 è il principale ormone attivato in presenza di iperfosforemia. Per esempio, i livelli di FGF23 possono raggiungere valori molto elevati quando il fosforo si accumula in corso di insufficienza renale cronica, causando effetti dannosi sul sistema cardiovascolare e immunitario. FGF23 è prodotto principalmente a livello degli osteociti. La sua sintesi è modulata dal PTH, dal calcitriolo, e soprattutto dalla fosforemia. A livello tissutale, l’ormone agisce sui principali organi bersaglio (rene e paratiroidi) stimolando recettori specifici (FGFR1/2/3) in associazione al fattore klotho, presente sia in forma solubile che legato alla membrana cellulare (klotho-dependent pathway). La stimolazione del recettore produce la fosforilazione del FGF receptor substrate 2α (FRS2α) e la conseguente attivazione della via di trasduzione del segnale Ras/MAPK. In assenza del fattore klotho, o a concentrazioni molto elevate, l’FGF23 può attivare altri target cellulari tramite il recettore di tipo 4 (FGFR4) che non richiede la presenza di klotho e provoca la fosforilazione della fosfolipasi Cγ (PLCγ) (klotho-independent pathway). Il complesso FGF23-klotho-FGFR determina un ridotto riassorbimento di fosforo a livello renale, inducendo l’internalizzazione dei trasportatori sodio-fosfato; contemporaneamente riduce l’attivazione renale della vitamina D, inibendo la 1-alfa-idrossilasi (codificata dal gene CYP27B1) che produce vitamina D attivata e stimolando la 24-idrossilasi (codificata dal gene CYP24A1) che la degrada (Figura 2). La riduzione dei livelli di 1,25(OH)2D a loro volta riducono il riassorbimento intestinale di fosforo, contribuendo alla riduzione della fosforemia4-10. Pur avendo effetti simili a livello renale, PTH e FGF23 si distinguono per i fattori che ne stimolano la sintesi e la secrezione. L’FGF23 è prodotto principalmente in caso di iperfosforemia, mentre la sintesi di PTH è stimolata principalmen-
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±70%
Iperfosforemia
5-10%
Lume
PTH FGF23
HPO4--
HPO4-±10%
3Na+
2-5%
Sangue
-70 mv
Lla
3Na+
3Na+
Lla
HPO4--
? 2Na+
2Na+ HPO4--
Llc
5-20%
?
Pi
HPO4--
Fosfaturia Figura 1. Riassorbimento dei fosfati nel tubulo renale. Nel rene, la maggior parte del fosforo filtrato a livello glomerulare viene riassorbito nel tubulo prossimale sotto forma di fosfato, grazie all’azione dei due trasportatori accoppiati al sodio NPT2a e NPT2c, localizzati a livello della membrana apicale della cellula tubulare. L’espressione di membrana è inibita dal paratormone (PTH) e soprattutto dal fibroblast growth factor 23 (FGF23).
te dall’ipocalcemia. Contrariamente all’FGF23, inoltre, il PTH stimola il riassorbimento osseo. Questo ha particolare rilevanza per la diagnosi differenziale fra rachitismi carenziali, caratterizzati da livelli elevati di PTH, e rachitismi ipofosforemici. Nel caso di rachitismo carenziale le lesioni rachitiche sono caratterizzate anche da lesioni di riassorbimento sottoperiosteo che sono, invece, assenti quando il rachitismo è secondario a eccesso di FGF23. Spesso, il riassorbimento renale del fosforo viene valutato calcolando l’indice di riassorbimento tubulare del fosforo o TRP (Tubular Reabsorption of Phosphate), che rappresenta la percentuale del fosforo filtrato riassorbita dal rene. Il TRP tuttavia non ha un valore assoluto di normalità. In caso di iperfosforemia per esempio, il TRP è basso perché il rene riduce il riassorbimento di fosforo. All’inverso, in caso di ipofosforemia, la risposta normale del rene è di incrementare il riassorbimento di fosforo e il TRP è > 95%. Per valutare la capacità “assoluta” del rene a riassorbire i fosfati è necessario calcolare la soglia di riassorbimento tubulare del fosforo corretta per il filtrato glomerulare (TmP/ GFR). Questo valore indica il livello di fosforemia al di sotto del quale tutti i fosfati filtrati sono riassorbiti. Nelle patologie caratterizzate da eccesso di FGF23 e nei difetti genetici che alterano l’espressione di NPT2a e NPT2c, il TmP/GFR è basso. Per calcolare il TmP/ GFR, possono essere utilizzati normoMedico e Bambino 7/2020
grammi che richiedono di conoscere i valori del TRP e della fosforemia. In caso di ipofosforemia tuttavia, il TmP/GFR può essere calcolato semplicemente moltiplicando il TRP per la fosforemia tramite le seguenti formule: TPR =
(
1–
PU x CrP
CrU x PP
)
TmP/GFR = PP x TRP I valori di riferimento del riassorbimento tubulare del fosforo corretta per il filtrato glomerulare (TmP/GFR) sono i seguenti: Valori di riferimento del TmP/GFR Adulti: > 2,6 mg/dl pari a > 0,8 mmol/l Bambini: > 2,9 mg/dl pari a > 0,9 mmol/l Neonati e lattanti: > 3,8 mg/dl pari a > 1,2 mmol/l
Il calcolo richiede dunque il dosaggio del fosforo e della creatinina su plasma (P) e campione urinario (U) ottenuti contemporaneamente11. Anche in questo caso i valori di riferimento dipendono dall’età. I RACHITISMI Nel rachitismo carenziale la carenza di vitamina D causa ipocalcemia, che sti-
mola secondariamente la secrezione di PTH. L’ipofosforemia è dovuta dunque a livelli elevati di PTH e alla riduzione del riassorbimento intestinale per carenza di vitamina D. I rachitismi ipofosforemici non carenziali, invece, sono in maggioranza secondari a condizioni che causano una produzione eccessiva di FGF23. In ambedue i casi, le lesioni ossee si caratterizzano per una ridotta mineralizzazione, con accumulo di matrice ossea non mineralizzata o tessuto osteoide12. A livello delle cartilagini di accrescimento questo determina un difetto del fronte di ossificazione che assume un aspetto caratteristico a livello delle metafisi delle ossa lunga. In radiologia convenzionale le metafisi appaiono slargate con aspetto a campana e le epifisi hanno margini irregolari. In qualche mese, le ossa lunga iniziano a deformarsi e acquisiscono un aspetto “a sciabola”. Le ossa a più rapido accrescimento sono maggiormente affette (Figura 3) 13. Nell’adulto, la lesione istologica è uguale e viene denominata osteomalacia. Dal punto di vista clinico, si traduce principalmente in una maggiore fragilità ossea, pseudo-fratture e ritardo di formazione del callo osseo9,12,14-16. IL RACHITISMO IPOFOSFOREMICO X-LINKED (XLH) È la forma più frequente di rachitismo genetico e di iperfosfaturia ereditaria (80% dei casi). L’incidenza presunta è di
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Focus Osteocita
?
+ ? ?
• ⬆ Fosfatasi alcaline • ⬇ TmP/GFR • 25(OH)D nella norma • PTH nella norma • +/- anamnesi familiare positiva Figura 2. Fisiopatologia del rachitismo ipofosforemico X-linked. Il complesso FGF23-klotho-FGFR determina un ridotto riassorbimento di fosforo a livello renale, inducendo l’internalizzazione dei trasportatori sodio-fosforo; contemporaneamente riduce l’attivazione renale della vitamina D, inibendo la 1-alfa-idrossilasi (codificata dal gene CYP27B1) che produce vitamina D attivata e stimolando la 24-idrossilasi (codificata dal gene CYP24A1) che degrada la vitamina D attivata. Inoltre, l’ipersecrezione di FGF23 e le mutazioni del gene PHEX potrebbero anche esercitare un ruolo diretto sul metabolismo osseo.
circa 2-5 casi ogni 100.000 nati vivi, ma dati precisi non sono disponibili a causa della variabilità di espressione del difetto, con quadri poco sintomatici, spesso non diagnosticati. Si trasmette con modalità X-linked a espressione dominante; pertanto le femmine portatrici (emizigoti) sono generalmente sintomatiche quanto i maschi. La malattia è causata da mutazioni a carico del gene PHEX (PHosphate-regolated Endopeptidase homolog X-linked), localizzato a livello del braccio corto del cromosoma X (Xp22.1)9,10,12,17-20. PHEX codifica per un’endopeptidasi cellulare espressa negli osteociti. Le mutazioni causano una perdita di attività enzimatica che, per meccanismi ancora non compresi, provoca la secrezione eccessiva di FGF23 a carico degli osteoblasti21. Dal punto di vista biochimico, la malattia è caratterizzata da ipofosforemia, ridotti livelli di 1,25(OH)2D e aumentati livelli di FGF238,9,16,21. La lesione di rachitismo si traduce in livelli elevati delle fosfatasi alcaline.
Alla diagnosi, salvo carenza associata di vitamina D, i livelli di 25(OH)D sono normali e il PTH non è aumentato, a differenza di quanto si osserva nel rachitismo carenziale4-6,16,22. In assenza di familiarità, la diagnosi viene evocata sulla base delle caratteri-
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stiche cliniche, radiologiche e biochimiche16,18,23. Nei primi mesi di vita, le anomalie più salienti sono generalmente limitate al cranio, con comparsa di bozze frontali prominenti e in alcuni casi deformazioni secondarie a craniosinostosi10,16,24. Più frequentemente, i pazienti vengono diagnosticati dopo il compimento dell’anno di vita contestualmente con l’avvio della deambulazione autonoma.
I sintomi più frequenti sono la bassa statura, il ritardo di acquisizione della marcia, un’andatura anormale a gambe allargate, dovuta a una debolezza dei muscoli dei cingoli, e la presenza di segni classici di rachitismo (varismo o valgismo delle ossa lunghe, talvolta una combinazione delle due precedenti con deformità a “colpo di vento”, slargamento delle metafisi - soprattutto delle ginocchia, dei polsi e delle caviglie -, rosario rachitico) (Figura 3). La ridotta velocità di crescita, più marcata a livello delle ossa lunghe, causa una bassa statura disarmonica; il tronco è di dimensioni normali o solo moderatamente ridotte e la statura seduta è spesso normale. I pazienti hanno un rischio incrementato di fratture e lamentano frequentemente dolori ossei, accentuati da esercizi prolungati9,10,14,22,25,26.
Le anomalie dentali sono anch’esse frequenti. A livello istologico, tutti i pazienti presentano gradi variabili di ipoplasia dello smalto e difetti di mineralizzazione della dentina. Nel 30% dei casi circa, i pazienti sviluppano ascessi dentali e parodontiti, solitamente dopo l’età di 3 anni; inoltre, sono frequenti malposizioni dentali ed eruzioni tardive dovute in gran parte alla deformazione mandibolare. In circa il 15% dei casi è presente una malformazione di Chiari di tipo III, solitamente sotto diagnosticata perché asintomatica. Più raramente, i pazienti possono sviluppare nel tempo stenosi del canale midollare che si manifesta con sintomi neurologici agli arti inferiori, o sordità e vertigini di origine compressiva16. I pazienti adulti hanno generalmente una bassa statura disarmonica e soffrono di osteomalacia. Oltre ai sintomi sopramenzionati, le deformazioni ossee sviluppate durante il periodo di crescita, causano nel tempo osteoartropatie degenerative, spesso molto invalidanti. Molti pazienti soffrono di entesopatie, anch’esse molto dolorose, dovute alla calcificazione progressiva di tendini e ligamenti10,14,16. Lo studio del gene PHEX consente di confermare la diagnosi in circa il 70-90% dei casi18-20. Non vi sono sul gene esoni maggiormente mutati (hot spot). Un nu-
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Figura 3. Esempi di rachitismi ipofosforemici X-linked. Le immagini mostrano le radiografie degli arti inferiori in 3 pazienti di età diverse trattati con terapia convenzionale. Nei rachitismi le metafisi appaiono slargate con aspetto a campana e le epifisi hanno margini irregolari. In qualche mese, le ossa lunga iniziano a deformarsi e acquisiscono un aspetto “sciabolato”. La ridotta mineralizzazione dell’osso con accumulo di matrice ossea non mineralizzata determina un difetto del fronte di ossificazione (da voce bibliografica 13, modificata).
mero significativo di pazienti (10-15%) presenta mutazioni de novo 20. Valutazione dei pazienti Nel corso del tempo, è importante valutare, oltre ai parametri classici di crescita, le distanze intermalleolare e intercondilea, il grado di sciabolatura degli arti inferiori e il dolore osseo. Pur essendo semi-quantitativi, questi parametri consentono di valutare l’efficacia del trattamento nel tempo limitando il ricorso agli esami radiologici2,16,25-28. Le indagini radiologiche vanno sempre eseguite al momento della diagnosi e consentono una valutazione più oggettiva nel tempo anche grazie all’utilizzo di specifiche scale di valutazione29-31. Tuttavia, se si esegue un monitoraggio clinico attento e regolare, durante il periodo di crescita è generalmente sufficiente prescrivere l’esame radiografico delle ossa lunghe ogni 2 anni. Il test più obiettivo per valutare l’impedimento funzionale è la distanza di marcia percorsa in 6 minuti (6minute walk test )16,32. Nei pazienti trattati con terapia convenzionale (vedi terapia) è necessario eseguire un’ecografia renale ogni 2 anni per valutare la comparsa di nefrocalcinosi. Viene inoltre raccomandato di eseguire una ortopanoramica a 5 anni di età e di proseguire il follow-up ortodontico in base alle manifestazioni cliniche (ascessi dentali, parodontiti)16. Gli esami biochimici di monitoraggio comprendono il dosaggio plasmatico di creatinina, calcio, fosforo, fosfatasi alcalina, PTH e, ove possibile, 1,25(OH)2D e nelle urine, il dosaggio di calcio, fosforo e creatinina. Come già menzionato, alla
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diagnosi, il PTH è normale; i livelli di 1,25(OH)2D sono ridotti o inappropriatamente normali per i livelli di fosforemia6,10,16,22,33. I livelli di FGF23 sono quasi sempre elevati in età pediatrica, anche se valori normali non consentono di escludere del tutto la diagnosi; in questi casi, i livelli di FGF23 risultano, comunque, inaspettatamente normali in presenza di ipofosforemia4,16,21,22,34,35. La calciuria all’esordio è in genere normale o ridotta per la ridotta attivazione della vitamina D. Gli esami vengono solitamente ripetuti 2-4 volte all’anno, per aggiustare la terapia. In terapia convenzionale, consentono di sorvegliare la comparsa di ipercalciuria o di iperparatiroidismo secondari rispettivamente alla supplementazione di vitamina D 1-alfa idrossilata e di fosfati16,36. Da notare anche che in terapia convenzionale, la fosforemia non è un bersaglio terapeutico, contrariamente ai pazienti in terapia con burosumab (vedi terapia)16,20,37. Diagnosi differenziale Il rachitismo ipofosforemico X-linked rappresenta la forma genetica più frequente di rachitismo. Tuttavia, esistono forme genetiche ancora più rare, con manifestazioni cliniche simili, ma con diversa ereditarietà. Nelle forme non associate ad altri quadri clinici, la diagnosi generalmente viene posta tramite esame genetico38-40 (Tabella I). Terapia Il trattamento convenzionale del rachitismo ipofosforemico comprende la
somministrazione di sali di fosfato e di vitamina D attivata. Il trattamento deve essere avviato il più precocemente possibile, appena posta la diagnosi, al fine di ottenere un miglior esito in termini di crescita staturale, deformazioni scheletriche, dolori ossei e mineralizzazione dentale10,16,25,33,36,41-43. La dose iniziale di sali di fosfato per os è di 20-60 mg/kg/die in lattanti e bambini e può successivamente essere aumentata senza superare 80 mg/kg/ die per evitare disturbi gastrointestinali. Dal punto di vista farmacocinetico, la fosforemia aumenta e ritorna ai livelli di base dopo 3-5 ore. Per tale motivo, la dose giornaliera deve essere suddivisa in 45 somministrazioni. I sali di fosfato, inoltre, non dovrebbero essere somministrati insieme a cibi ricchi di calcio che ne riducono l’assorbimento. Generalmente, i supplementi di fosforo vengono ridotti nei bambini più grandi e negli adolescenti. In particolare negli adolescenti, può essere utile ridurre la frequenza a 3 somministrazioni al giorno per migliorare la compliance, ma anche perché a questa età i pazienti tendono a sviluppare più rapidamente un iperparatiroidismo secondario16,22,34. La terapia convenzionale comprende inoltre la prescrizione di metaboliti attivi della vitamina D3, per compensare la ridotta attivazione renale. Le due forme più prescritte sono l’1-alfa-idrossi-colecalciferolo (alfa-calcidiolo) e la 1,25(OH)2D (calcitriolo). Nei bambini più piccoli, l’alfa-calcidiolo viene spesso preferito perché è disponibile in soluzione acquosa; la conversione del dosaggio in microgrammi è di 1,5-2 volte il dosaggio di calcitriolo. Queste terapie stimolano l’assorbimento di fosforo a livello intestinale, riducono il rischio di iperparatiroidismo secondario, ma possono causare ipercalciuria e nefrocalcinosi. La dose ottimale varia da paziente a paziente, è più elevata durante i periodi di crescita accelerata e deve essere aggiustata in base ai livelli di fosfatasi alcaline, PTH e calciuria16,44-46. Spesso la dose di partenza è empirica; per esempio 0,25 μg di calcitriolo nei bambini piccoli e 0,50 μg nei bambini in età scolastica. La dose può poi essere progressivamente aumentata fino a 1,5-2 μg al giorno. Salvo rari casi, è improbabile che vi sia un beneficio clinico a dosaggi più elevati, mentre aumenta fortemente il rischio di causare effetti secondari. La prescrizione della terapia convenzionale è nella maggior parte dei casi complicata e richiede continui aggiusta-
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Focus
L’iperparatiroidismo secondario è l’altra principale complicanza della terapia convenzionale. È causato in primo luogo dalla terapia con supplementi di fosforo ed è meno frequente della nefrocalcinosi. Tuttavia, se non riconosciuto, può evolvere rapidamente in iperparatiroidismo terziario, con rischio di ipercalcemia, peggioramento della fosfaturia e sviluppo di lesioni di ossee particolarmente deleterie se sovrapposte a un danno di tipo osteomalacico16,50,51. All’inverso, un eccesso di terapia con vitamina D può sopprimere la secrezione di PTH, in particolare in presenza di livelli molto elevati di FGF23. Questo causa una riduzione eccessiva del turnover osseo e ostacola la crescita44,46. In pratica, i livelli di PTH devono idealmente essere mantenuti entro i margini di normalità, apportando modifiche preventive alla terapia ogni qual volta i valori di PTH si avvicinano troppo ai limiti superiori o inferiori della norma. In passato, diversi pazienti con XLH sono stati sottoposti a paratiroidectomie parziali per trattare iperparatiroidismi terziari16. Questa evenienza è ormai rara, grazie alla standardizzazione delle cure. In alcuni casi, pazienti con iperparatiroidismo terziario sono stati curati con calcimimetici (cinacalcet) off-label 16,52.
linked 9,16,37,53. Tale terapia è stata sviluppata in base a studi sul modello murino Hyp che riproduce il fenotipo umano. In questi topi, l’iniezione di anticorpi antiFGF23 determina la normalizzazione del fosforo sierico e dei livelli di 1,25(OH)2D e un miglioramento significativo delle lesioni ossee53. Questi dati sperimentali sono stati successivamente confermati nell’uomo in studi di fase I/II e poi validati in uno studio pediatrico di fase II in 52 pazienti di età compresa tra 5 e 12 anni37,54-56. Quest’ultimo studio ha dimostrato che il farmaco determina, in poche settimane, la normalizzazione della fosforemia, del TmP/GFR e dei livelli di 1,25(OH)2D9,16,37. Di conseguenza, le fosfatasi alcaline si normalizzano entro 6 mesi nella maggior parte dei pazienti e le lesioni radiologiche di rachitismo migliorano sensibilmente in 12 mesi (Rickets Severity Score - RSS - Radiographic Global Impression of Change - RGI-CI) 16,30,37. La maggior parte dei pazienti, inoltre, riporta una pronta e marcata riduzione dei dolori ossei e un rapido miglioramento delle funzioni motorie, come evidenziato dal 6-minute walk test. L’efficacia del farmaco è risultata maggiore se somministrato ogni 15 giorni, rispetto a una somministrazione mensile. Risultati simili sull’efficacia del farmaco sono stati osservati in un successivo studio di fase II eseguito su 14 pazienti di età compresa tra 1 e 4 anni 57. Il farmaco viene somministrato per via sottocutanea ed è ben tollerato; l’effetto secondario più comune è la comparsa di reazioni cutanee al sito di iniezione, generalmente poco importanti37. Alla luce dei questi risultati, la European Medicines Agency (EMA) e la Food and Drug Administration (FDA) hanno approvato l’utilizzo di burosumab per il trattamento di soggetti con XLH. In Europa il farmaco è stato riconosciuto per il trattamento pediatrico58,59. In Italia, può essere prescritto da professionisti accreditati in bambini fra 1 e 12 anni e può essere proseguito fino a fusione delle cartilagini di accrescimento. La dose iniziale di 0,8 mg/kg ogni 15 giorni è da adattare in funzione della fosforemia9,16. La terapia convenzionale viene sospesa al momento dell’inizio dalla terapia con burosomab. I dati di follow-up a lungo termine non consentono ancora di apprezzare l’effetto della terapia sulla crescita staturale.
Recentemente, il burosumab, un anticorpo monoclonale diretto contro l’FGF23, è stato introdotto nel trattamento del rachitismo ipofosforemico X-
In terapia convenzionale, diversi studi hanno mostrato nei soggetti affetti da XLH effetti positivi della terapia con ormone della crescita, anche se questi ef-
DIAGNOSI DIFFERENZIALE RACHITISMI IPOFOSFOREMICI Rachitismo ipofosforemico AD Rachitismo ipofosforemico AR
Gene FGF23 (mutazione attivante) DMP1 e ENPP1
Rachitismo ipofosforemico ereditario con ipercalciuria
SLC34A3 (NPT2c)
Ipercalcemia idiopatica infantile
SLC3A1 (NPT2a)
Sindrome di Dent
Sindrome di Fanconi
CLCN5
Varie
Manifestazioni cliniche ↓Fosforemia e TmP/GFR ↓1,25(OH)2D ↓Fosforemia e TmP/GFR ↓1,25(OH)2D ↑FGF23 ↓Fosforemia e TmP/GFR ↓/= 1,25(OH)2D ↓/= FGF23 ↓Fosforemia e TmP/GFR ↓/= 1,25(OH)2D ↓/= FGF23 ↓Fosforemia e TmP/GFR ↓1,25(OH)2D ipercalciuria, potassuria, proteinuria basso peso molecolare ↓Fosforemia e TmP/GFR ↓/= 1,25(OH)2D glicosuria, acidosi metabolica severa, proteinuria basso peso molecolare
Tabella I
menti per bilanciare gli effetti terapeutici e i rischi di causare effetti secondari. La terapia viene adeguata in base alla risposta clinica (deformazioni ossee e dolore) e ai valori delle fosfatasi alcalina; lo scopo, infatti, non è normalizzare la fosforemia. Questo richiederebbe dosi di fosfati poco tollerate a livello digestivo, che causerebbero una fosfaturia eccessiva, con conseguente ipercalciuria (il fosforo lega il calcio nel tubulo renale) e ulteriore rischio di nefrocalcinosi. Spesso tuttavia, non è possibile ottenere una normalizzazione delle fosfatasi alcaline; in tal caso, si cerca di ridurre i livelli delle fosfatasi alcaline sotto un valore soglia corrispondente a 1,5 volte il limite superiore per l’età. Nell’adeguare la terapia per ridurre il rischio di effetti secondari, le regole generali sono di ridurre la dose di fosfati in caso di incremento del PTH e ridurre la terapia con vitamina D attivata in caso di ipercalciuria marcata e/o nefrocalcinosi25,33,41,42,47-49. In terapia convenzionale, la nefrocalcinosi viene riportata nel 30-70% dei pazienti41,44-46. Può essere anche utile ridurre la concentrazione urinaria di calcio aumentando l’apporto di liquidi, riducendo gli apporti di sale nella dieta e in alcuni casi tramite supplementi di potassio citrato. Questi tuttavia sono talvolta mal tollerati dal punto di vista digestivo nei bambini che assumono già grandi quantità di fosfati per os16.
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Rachitismi 2020: facili e difficili
MESSAGGI CHIAVE ❏ I livelli ematici di fosforo dipendono da un equilibrio dinamico fra riassorbimento intestinale, eliminazione renale e metabolismo osseo. ❏ Il rachitismo ipofosforemico X-linked (XLH) è la forma più frequente di rachitismo genetico. La malattia è causata da mutazioni a carico del gene PHEX. Le mutazioni di questo gene determinano la secrezione anomala di FGF23 a carico degli osteoblasti. ❏ I pazienti con XLH vengono in genere diagnosticati dopo il compimento dell’anno di vita con l’avvio della deambulazione autonoma. I sintomi più frequenti sono la bassa statura, il ritardo di acquisizione della marcia, un’andatura anormale a gambe allargate e la presenza di segni classici di rachitismo. ❏ Dal punto di vista biochimico, la malattia è caratterizzata da ipofosforemia, ridotti livelli di 1,25(OH)2D, aumentati livelli di FGF23, livelli elevati delle fosfatasi alcaline. Alla diagnosi i livelli di 25(OH)VitD sono normali e il PTH non è aumentato a differenza di quanto si osserva nel rachitismo carenziale.
fetti appaiono moderati in termini di statura definitiva60. L’efficacia dell’ormone della crescita nei bambini trattati con burosumab richiede studi prospettici61. Malgrado la normalizzazione dei livelli di 1,25(OH)2D, diversi bambini presentano livelli ridotti 25(OH)D; in questi soggetti appare logico prescrivere supplementi di vitamina D per alcuni mesi. In alcuni Centri vengono prescritti anche supplementi di calcio. Nella nostra esperienza e opinione, questi possono essere utili in soggetti in fase di crescita accelerata, ma devono essere evitati o interrotti in presenza di ipercalciuria. Infine, recenti studi di fase 3 in soggetti adulti hanno confermato l’efficacia di burosumab nel ridurre il dolore, l’impotenza funzionale, le lesioni ossee e la formazione del callo osseo62,63.
Indirizzo per corrispondenza: Laura Lucchetti e-mail: laura.lucchetti@opbg.net
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❏ Il trattamento convenzionale del rachitismo ipofosforemico consiste nella somministrazione di sali di fosfati e di vitamina D attivata. Lo scopo della terapia non è normalizzare la fosforemia. La dose di fosfati e vitamina D viene adeguata in base alla risposta clinica (deformazioni ossee e dolore) e ai valori di fosfatasi alcalina. ❏ Le due principali complicanze della terapia convenzionale sono la nefrocalcinosi e l’iperparatiroidismo secondario. La terapia convenzionale è nella maggior parte dei casi complicata e richiede continui aggiustamenti per bilanciare gli effetti terapeutici e i rischi di effetti secondari. ❏ Recentemente, nel trattamento del rachitismo ipofosforemico X-linked è stato introdotto un nuovo farmaco, burosumab, un anticorpo monoclonale diretto contro l’FGF23. Diversi studi hanno dimostrato l’efficacia del farmaco nel normalizzare fosforemia, TmP/GFR, livelli di 1,25(OH)2D e fosfatasi alcaline. È stato inoltre osservato un netto miglioramento delle lesioni radiologiche di rachitismo e dei dolori ossei in seguito alla somministrazione del farmaco. Bibliografia
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Consensus
Consensus sulla lotta allo stigma nell’obesità RITA TANAS1, RICCARDO LERA2, FRANCESCO BAGGIANI3, GUIDO CAGGESE4, GIANLUCA TORNESE5, LUCA BUSETTO6
Pediatra endocrinologo, Ferrara; 2Pediatra diabetologo, Alessandria; 3Pedagogista, Greve in Chianti (Firenze) Anestesista rianimatore, Ferrara; 5IRCCS Materno-Infantile “Burlo Garofolo”, Trieste; 6Dipartimento di Medicina, Università di Padova; co-coordinatore della Obesity Management Task Force della European Association for the Study of Obesity 1 4
Le persone affette da obesità affrontano ogni giorno non solo un aumentato rischio di complicanze mediche ma anche una forma di stigma sociale. È indispensabile che i pediatri e tutti gli specialisti che si occupano di bambini e adolescenti con probelmi di peso abbiano un’adeguata formazione anche su questa specifica problematica. La consensus nasce per porre fine alla discriminazione sull’obesità. L’obiettivo finale è quello di trattare le persone con sovrappeso e obesità con dignità e rispetto (vedi anche editoriale, pag. 414).
C
ome tutti i professionisti dell’età evolutiva, anche noi pediatri italiani abbiamo cercato di curare, anzi di “eliminare” l’obesità, prescrivendo diete e stili di vita secondo le raccomandazioni ufficiali; abbiamo inseguito un obiettivo ideale, difficilmente realizzabile, suscitando spesso colpa e vergogna che, non aiutando a costruire un percorso terapeutico efficace, hanno verosimilmente agevolato l’abbandono delle cure; ci siamo rifugiati nella sola prevenzione che, tuttavia, non può risultare vincente perché esclude i tanti bambini e ragazzi già affetti. Dalla revisione dell’attuale letteratura scientifica si evince che lo stigma dell’obesità danneggia non solo i pazienti con eccesso di peso, ma tutta la società e soprattutto noi pediatri, impedendoci di curare con criteri di appropriatezza la “pandemia” dell’obesità. Occorre dunque cambiare la narrazione dell’obesità basata sulla responsabilità personale e, con le evidenze scientifiche attuali, avviare un nuovo approccio da condividere con le famiglie, la scuola, la politica sanitaria, l’industria, i media e i legislatori. Per porre fine allo stigma dell’obesità1, in questo articolo vengono forniti una sintesi e i punti chiave di una recente Consensus pubblicata su Nature Medicine in occasione della Giornata Mondiale dell’Obesità, con la ri-
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HOW TO FIGHT THE OBESITY STIGMA: AN INTERNATIONAL CONSENSUS (Medico e Bambino 2020;39:437-443)
Key words Obesity, Weight stigma, Weight talking, Communication, Consensus Summary People with obesity daily face a pervasive and ubiquitous form of stigma on weight that damages health and reduces the likelihood of receiving adequate care. The stigma is reinforced by outdated ideas on body weight regulation and lack of up-to-date scientific knowledge. The prevailing opinion that obesity is a choice that can be avoided misleads public health policies, confuses messages in the media, undermines access to treatments and compromises research. The stigma is a serious obstacle, therefore tackling it is not only a matter of human rights and social justice, but a way to promote prevention and treatment. A large group of international experts examined the evidence on the causes and consequences of the stigma and developed a Consensus to end it, raising awareness among health workers, politicians and public opinion, encouraging training and facilitating a new narrative on obesity. Successful therapies for all people with obesity can arise from the shared struggle against the stigma.
chiesta non solo di leggerla, ma di agire, cioè di collaborare concretamente all’obiettivo, con la possibilità, peraltro, di apporre anche la propria firma su un apposito sito del King’s College di Londra (www.pledge2endobesitystigma.org). PERCHÉ PARLARE DI STIGMA?
È noto che le persone affette da obesità affrontano non solo un aumentato rischio di gravi complicazioni mediche, ma anche una forma di stigma* sociale (vedi Tabella I per la defi-
nizione dei termini segnati con*) : sono spesso percepite - senza alcuna prova e secondo stereotipi* - come pigre, golose, prive di forza di volontà e autodisciplina; sono esposte alla discriminazione sul peso* nei percorsi di istruzione/formazione, sul posto di lavoro, nelle strutture sanitarie e in generale nella società, a cominciare dalle loro famiglie. Lo stigma dell’obesità non solo causa danni considerevoli individuali fisici e psicologici, ma investe l’intera comunità, esercitando influenze negative sulle politiche di Salute pubblica, riducendo l’accesso ai trattamenti e
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Consensus
DEFINIZIONI Svalutazione sociale e denigrazione degli individui a causa del loro peso corporeo in eccesso; può portare ad atteggiamenti negativi, stereotipi, pregiudizio e discriminazione. Stereotipi basati Includono generalizzazioni secondo cui gli individui sul peso con sovrappeso o obesità sono pigri, golosi, privi di forza di volontà e autodisciplina, incompetenti, non motivati a migliorare la propria salute, non aderenti ai consigli dei sanitari e sono personalmente responsabili del loro elevato peso corporeo. Discriminazione Forme evidenti di pregiudizio basato sul peso e trattamento ingiusto sul peso (comportamenti prevenuti) nei confronti di soggetti con sovrappeso o obesità. Pregiudizio esplicito Atteggiamenti apertamente e consapevolmente ritenuti negativi. Pregiudizio implicito Attribuzioni negative e assunzione di stereotipi non consapevoli e involontarie. Interiorizzazione Si verifica quando gli individui assumono su di sé la colpa dello stigma sul peso e rivolgono a se stessi lo stigma del loro peso; l’interiorizzazione comprende l’accettazione degli stereotipi, l’applicazione di questi stereotipi a se stessi e l’auto svalutazione. Stigma del peso
Tabella I. Da voce bibliografica 1, modificata.
togliendo finanziamenti alla ricerca2. Gli stereotipi*, così come il pregiudizio esplicito* e implicito*, sono diventati pervasivi, universali, persistenti, documentati in tutti i settori sociali e in crescita nonostante l’aumentare della prevalenza dell’obesità. Tra gli adulti con obesità la prevalenza dello stigma subíto aumenta con l’indice di massa corporea (Body Mass Index, BMI) e nel sesso femminile. Moltissimi sperimentano anche l’interiorizzazione dello stigma sul peso*, soprattutto quelli con BMI elevato fin dai primi anni di vita, spesso stigmatizzati dai loro stessi genitori, pure essi oggetto di stigma3. Le evidenze suggeriscono che anche i media ne sono una fonte importante e possono rafforzarlo con immagini, linguaggio e termini che favoriscono l’attribuzione dell’obesità alla responsabilità personale. La discriminazione è segnalata anche tra gli operatori sanitari in tutto il mondo, Italia compresa4. LE CONSEGUENZE DELLO STIGMA SULLA SALUTE
I bambini con sovrappeso/obesità sono spesso esposti a prese in giro e bullismo a scuola5. Rispetto ai normopeso, gli adolescenti con sovrappeso/ obesità sono a maggior rischio di vittimizzazione fisica, verbale e informati-
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ca, esclusione sociale, disturbi della salute mentale e malattie come obesità grave, diabete tipo 2 e malattie cardiovascolari. Gli individui con sovrappeso/obesità discriminati mostrano livelli più elevati di proteina C reattiva e cortisolo nonché maggiore mortalità rispetto ai non discriminati. Lo stigma è particolarmente dannoso anche per la salute mentale, potendosi associare a minore autostima, sintomi depressivi, livelli più elevati di ansia e stress, consumo di sostanze psicotrope, comportamenti alimentari non salutari, fame nervosa e abbuffate compulsive6. Lo stigma porta paradossalmente a un aumento dell’assunzione di cibo e a una riduzione dell’esercizio fisico con peggioramento del BMI7. Qualità delle cure e accesso ai Servizi
È stato dimostrato che i medici offrono meno tempo ed educazione alla salute ai pazienti con obesità rispetto a quelli normopeso e che i pazienti colpiti da discriminazione hanno minor beneficio dai trattamenti e maggiori probabilità di evitare cure future, persino minore aderenza agli screening per le neoplasie. Nei Servizi di Cure Primarie si possono osservare atteggiamenti paternalistici, irrispettosi, sprezzanti, ridotto impegno professionale (attribuzione di tutti i problemi di salute al peso, ipotesi arbitrarie sulle cause del suo aumento)
e ostacoli all’utilizzo dell’assistenza (minore offerta di cure, cattiva relazione medico-paziente, ritardo nell’accesso ai Servizi)8. Terapia chirurgica dell’obesità
Gli individui che perdono peso dopo chirurgia sono a maggior rischio di stigma. Nonostante prove di efficacia ed economicità, in tutto il mondo solo 0,1-2% dei candidati alla chirurgia bariatrica ne beneficia, e negli Stati Uniti solo poche assicurazioni ne garantiscono la copertura.
Sanità pubblica
Studi sulle malattie con modalità di contagio comprensive di giudizio morale (sifilide, AIDS ecc.) dimostrano che lo stigma può interferire con l’impegno pubblico volto a debellarle. Le Organizzazioni di Salute pubblica, inoltre, non hanno compreso il ruolo dello stigma come barriera al trattamento e, anzi, talvolta l’hanno utilizzato come strategia terapeutica, supponendo che la vergogna possa motivare a cambiare. Infine in alcuni messaggi di Sanità pubblica e campagne antiobesità si è favorita la prevenzione come alternativa al trattamento, più costoso e meno efficace. Prevenzione e trattamento, invece, non sono approcci reciprocamente esclusivi, in quanto rivolti a categorie diverse di persone. Discriminazione sul lavoro
Questa discriminazione verso individui con sovrappeso/obesità è comune, soprattutto verso le donne: ricevono salari più bassi, sono considerati meno qualificati ed efficaci, anche lavorando di più, rispetto ai normopeso. Inoltre nelle normative vigenti non esiste protezione dalla discriminazione. Le poche leggi recentemente introdotte in alcuni Paesi si applicano solo se c’è anche disabilità.
Ricerca
Quella sull’obesità è fortemente sotto-finanziata. La convinzione che l’obesità sia dovuta a errati stili di vita implica che le sue cause siano già note e chiarirne i meccanismi eziologici non sia prioritario, facilitando l’allocazione dei finanziamenti ad altri progetti.
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Cause e fattori favorenti lo stigma
Le persone che attribuiscono l’obesità principalmente a fattori controllabili o scelte personali sono più discriminanti di quelle che conoscono la complessità delle sue cause, incluse quelle genetiche, biologiche e ambientali. Questo suggerisce che la narrazione dominante sull’obesità nella comunicazione, nelle campagne di Salute pubblica e nel dialogo politico svolga un ruolo importante nell’espressione dello stigma. L’assenza di leggi contro la discriminazione sul peso può favorirla, dando indirettamente il messaggio che lo stigma sia socialmente accettabile.
Divario tra evidenze scientifiche e narrazione pubblica
L’idea che la causa del sovrappeso/obesità sia nelle colpe individuali deriva dal presupposto che il peso sia interamente sotto il controllo della volontà. Questa ipotesi e i suoi corollari, alcuni dei quali elencati di seguito, sono in contrasto con un corpus importante di evidenze scientifiche sviluppate negli ultimi decenni. 1. Il bilancio calorico. L’espressione “peso corporeo = calorie in entrata - calorie in uscita” fa parte della narrazione pubblica dell’obesità e spesso anche del linguaggio degli operatori sanitari, come se il peso dipendesse solo dalle quantità di cibo consumato e dall’esercizio fisico svolto. Invece, entrambe le variabili dell’equazione dipendono anche da un insieme di fattori al di fuori del controllo volontario. L’energia in entrata dipende dalla quantità di energia assorbita dall’intestino, dagli enzimi digestivi, dagli acidi biliari, dal microbiota, dagli ormoni intestinali e non intestinali, e dai segnali neurali. Il consumo di energia è spiegato dall’attività fisica solo per il 30%, il metabolismo basale ne rappresenta il 60-80% e l’effetto dinamico specifico degli alimenti il 10%. Un potente sistema omeostatico mantiene il peso in un intervallo ben definito e contrasta i tentativi di ridurlo attivando altrettanto potenti risposte biologiche compensa-
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tive durature (aumento dell’appetito e riduzione del metabolismo) che promuovono il recupero già dopo piccoli cali ponderali. 2. L’obesità è causata principalmente da uno stile di vita “sbagliato”. Sebbene questo concetto sembri a tutti ovvio, la situazione è più complessa. Adattamenti metabolici compensativi, infatti, mantengono il dispendio energetico totale relativamente costante tra popolazioni che vivono con i più diversi livelli di attività fisica. Altre possibili cause contribuiscono all’obesità: fattori genetici ed epigenetici, alimentari, alterazioni del sonno e dei ritmi circadiani, stress psicologico, interferenti endocrini, farmaci, fattori intrauterini e inter-generazionali. Il ruolo dominante dei fattori genetici è dimostrato da studi su gemelli e neonati adottati. Mangiare molto e muoversi poco, quando presenti, potrebbero essere sintomi piuttosto che cause dell’obesità. Infine, il fallimento delle strategie di Salute pubblica incentrate su uno stile di vita “corretto” potrebbe bastare da solo a metterne in discussione il ruolo causale. 3. L’obesità è una scelta. Le persone con obesità in genere riconoscono l’obesità come un problema di salute al pari o più grave di altre malattie quali ipertensione, diabete e depressione, per i suoi effetti negativi su qualità e aspettative di vita e sul rischio di complicanze. Non è sensato pensare che l’obesità sia una scelta. 4. L’obesità è una “condizione” e non una “malattia”. La classificazione dell’obesità come malattia ha importanti implicazioni per il trattamento e lo sviluppo di politiche di contrasto dello stigma9. Molte Società mediche e l’Organizzazione Mondiale della Sanità oggi definiscono, a pieno titolo, l’obesità come una malattia. Un argomento utilizzato contro questa etichettatura è che possa ridurre l’adesione a stili di vita più sani.
5. Anche l’obesità grave è guaribile con uno stile di vita “sano”. Neppure questa ipotesi è supportata da prove. Quando la massa grassa diminuisce, il corpo risponde con un ridotto dispendio energetico e cambiamenti nei segnali di fame e sazietà, che ne promuovono il recupero. Mangiare meno e fare più esercizio hanno effetti modesti sul peso nella maggior parte degli individui con obesità grave. LA CONSENSUS PER PORRE FINE ALLA DISCRIMINAZIONE SULL’OBESITÀ
Sebbene sia importante sensibilizzare l’opinione pubblica sulle conseguenze dello stigma, la sola consapevolezza non è sufficiente. Il cambiamento di credenze diffuse e radicate, preconcetti di lunga data e mentalità prevalenti richiede una nuova narrazione pubblica dell’obesità coerente con le moderne conoscenze scientifiche10. Data la pervasività dello stigma sociale, la sua riduzione può essere raggiunta solo attraverso l’impegno concertato di ampi gruppi, inclusi operatori sanitari, ricercatori, media, politici e pazienti. Per attivarlo gli esponenti di 10 Società scientifiche, in conferenza permanente, hanno nominato una Commissione di esperti multidisciplinari di 36 Accademie internazionali, compresi i rappresentanti dei pazienti. Un sottogruppo di tali esperti ha svolto una revisione delle pubblicazioni scientifiche su stigma, pregiudizio, discriminazione del peso e sua legislazione. Un altro sottogruppo ha sviluppato questionari che includevano una serie di dichiarazioni e raccomandazioni al fine di sottoporli a tutti i componenti della Commissione, secondo il metodo Delphi modificato. I risultati di questo iter sono stati presentati al 4° Congresso Mondiale WCITD (World Congress on Interventional Therapies for Type 2 Diabetes), a New York, nell’aprile 2019, per ottenere commenti dagli esperti e dal pubblico. Gli esperti si sono poi incontrati per rivedere, modificare ogni dichiarazione e massimizzare il grado
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IMPEGNO A ELIMINARE IL PREGIUDIZIO SUL PESO E LO STIGMA DELL’OBESITÀ Riconosciamo che: • Gli individui affetti da sovrappeso e obesità affrontano una forma pervasiva di stigma sociale basato sul presupposto, non dimostrato, che il loro peso corporeo derivi principalmente da una mancanza di autodisciplina e dalla responsabilità personale. • Tale rappresentazione non è coerente con le attuali prove scientifiche, che dimostrano che la regolazione del peso corporeo non è interamente sotto il controllo della volontà e che i fattori biologici, genetici e ambientali contribuiscono in modo critico all’obesità. • Il pregiudizio e lo stigma sul peso possono provocare discriminazioni e minare i diritti umani, i diritti sociali e la salute delle persone colpite. • Lo stigma del peso e la discriminazione non possono essere tollerati nelle società moderne. Condanniamo: • L’uso del linguaggio, delle immagini, degli atteggiamenti, delle politiche stigmatizzanti e della discriminazione basata sul peso, ovunque si verifichi. Ci impegniamo a: • Trattare le persone con sovrappeso e obesità con dignità e rispetto. • Astenerci dall’usare un linguaggio stereotipato, immagini e narrazioni che ingiustamente e in modo inesatto descrivano individui con sovrappeso e obesità come pigri, golosi e privi di forza di volontà o autodisciplina. • Incoraggiare e sostenere iniziative educative volte a eradicare il pregiudizio sul peso attraverso la diffusione delle attuali conoscenze su obesità e regolazione del peso corporeo. • Incoraggiare e sostenere iniziative volte a prevenire la discriminazione ponderale nei luoghi di lavoro, istruzione e nelle strutture sanitarie.
Tabella II. Da voce bibliografica 1, modificata.
di consenso. Il documento approvato è sintetizzato nella Tabella II 1. DISCUSSIONE
La Consensus riassume il tema, non nuovo ai pediatri, della derisione e dello stigma sul peso, fenomeni oggi così frequenti da non essere più registrati. È necessario mettersi in ascolto per riuscire a sentire e condividere il dolore di frasi apparentemente banali pronunciate in famiglia, nei negozi o negli ambulatori come: “Quello tu non lo puoi mangiare, è stato comprato per tuo fratello” o “Come ha fatto a ridursi così?” 11. “Ascoltare” questo dolore inferto fin dai 3-4 anni di vita non è facile, tuttavia oggi numerosi articoli raccontano le storie di derisione delle persone con obesità12 e le reazioni dei bambini ai commenti sul loro peso13-16. Per difendersi da questa situazione stressante, bambini e ragazzi mettono in pratica meccanismi di coping di grande ostacolo alla cura del peso: abbandono sco-
STIGMA SUL PESO STRESS
Comportamenti alimentari Abbuffate Aumento dell’apporto calorico Peggiore gestione del peso Disordini alimentari Scarsa motivazione all’esercizio fisico Ridotta attività fisica
Servizi sanitari Ridotta adesione alle cure Minore fiducia nei professionisti Peggiore relazione medico-paziente Rifiuto dei controlli Rifiuto degli screening
Reattività fisiologica Aumento dei livelli di: • cortisolo • PCR • HbA1C • Insulinoresistenza
AUMENTO DEL PESO
Salute psicologica Depressione, ansia Bassa autostima Cattiva immagine corporea Abuso di sostanze Comportamenti suicidiari
Salute fisica/distress Cattivo controllo glicemico Peggiore gestione delle malattie croniche Malattia più severa e meno controllata Minore qualità della vita
Figura 1. Il percorso dallo stigma all’aumento del peso (da voce bibliografica 17, modificata).
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lastico, comportamenti alimentari non salutari o dannosi per la salute, rinuncia all’attività motoria, isolamento e sedentarietà5,6. Affinché possano realizzare un miglioramento della loro salute occorre ridurre lo stress proveniente dalla derisone di genitori, compagni, insegnanti e anche di noi medici, se non siamo attenti nell’accoglierli e nel parlare con loro (Figura 1). La Tabella III, ad esempio, mostra le richieste di
aiuto di 148 adolescenti ospitati in un campus dedicato17. È noto che una buona relazione aumenta l’aderenza terapeutica, soprattutto per le malattie che si presentano come “non gravi” come l’obesità in età evolutiva18. In più, soprattutto i pazienti che prendono peso da piccoli avvertono la derisione anche in assenza di frasi davvero deridenti, con il tempo la accettano e arrivano ad auto-deridersi an-
RICHIESTE DI UN GRUPPO DI RAGAZZI PER AFFRONTARE IL BULLISMO SUL PESO Supporto dei genitori (70,9%) Politiche più forti per il bullismo sul peso (55%) Formazione pratica su come: • reagire a un bullo (49%) • affrontare meglio derisione e bullismo (49%) • segnalare il bullismo a scuola (47%) • cambiare classe (47%) o scuola (29%) Riuscire a: • trascorrere più tempo con gli amici (43%) • conoscere nuovi/diversi amici (41%) • imparare cosa hanno fatto i pari se derisi o bullizzati (40%) • avere un insegnante con cui parlare (37%)
Tabella III. Da voce bibliografica 17, modificata.
Linee guida nebulose
Rifiuto della diagnosi Mancanza di motivazione Mancanza di conoscenze, tecniche e raccomandazioni generali
Problematiche del paziente e della sua famiglia Cambiare comportamenti è difficile
La relazione è fondamentale L’”obesità” è un tema “delicato”, parlarne rischia di danneggiare la relazione
La relazione medico-famiglia-paziente Occorrono nuovi strumenti per un approccio centrato sul paziente
ziché difendersi, subendo così il danno della “interiorizzazione” dello stigma19. Da una revisione della letteratura sui pensieri dei medici nell’affrontare l’eccesso di peso nella routine clinica emerge che, a dispetto delle raccomandazioni, ci sono ancora molti ostacoli relativi a 4 aree (carenze del paziente e del professionista, problemi della relazione medico-paziente e quesiti irrisolti sull’obesità) che esitano in sensazioni di inadeguatezza, sfiducia nei risultati e difficile relazione terapeutica sia per le famiglie che per i professionisti (Figura 2) 20. Uno studio recente, svolto con un questionario online, ha chiesto a circa 1100 operatori sanitari chi ritengono responsabile del mancato counselling sul peso: il 32% si sente l’unico responsabile, solo il 2% attribuisce la responsabilità ai pazienti, mentre il resto pensa di doverla condividere. Quelli che si dichiaravano pienamente responsabili chiedevano più tempo e formazione per migliorare, gli altri maggiore valutazione economica; gli
Non c’è nulla da offrire dal punto di vista medico Mancanza di formazione
Problematiche del sanitario
La “cura” non è remunerativa
Disponibilità limitata di tempo e accesso a programmi di “cura”
Conflitto sulla responsabilità: è un vero problema sanitario?
Problemi aperti sull’obesità I medici mancano di concretezza nella “cura” Il percorso è ostacolato da problemi familiari, culturali e sociali
Figura 2. Le 4 aree problematiche per occuparsi della “cura del peso” nella consultazione clinica: 1. problematiche del paziente; 2. Problematiche del professionista sanitario; 3. problemi nella relazione medico-paziente; 4. problemi aperti sull'obesità (da voce bibliografica 20, modificata).
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RACCOMANDAZIONI PER ELIMINARE LO STIGMA DELL’OBESITÀ NEI VARI SETTORI E GRADO DI CONSENSO Raccomandazioni generali La discriminazione e lo stigma basati sul peso e sull’obesità non dovrebbe essere tollerata nei settori dell’istruzione, dell’assistenza sanitaria o delle politiche pubbliche. Spiegare il divario tra le evidenze scientifiche e la narrazione convenzionale dell’obesità costruita attorno a ipotesi e idee sbagliate non dimostrate può aiutare a ridurre il pregiudizio sul peso e alleviare i suoi numerosi effetti dannosi. La narrazione convenzionale dell’obesità, costruita attorno a presupposti non dimostrati di responsabilità personale e idee sbagliate sulle cause e sui rimedi dell’obesità, provoca danni agli individui e alla società. I media, i politici, gli educatori, gli operatori sanitari, le Istituzioni accademiche, le Agenzie di Sanità pubblica e il Governo devono garantire che i messaggi e le informazioni sull’obesità siano liberi da stigmatizzazione e coerenti con le prove scientifiche moderne. L’obesità dovrebbe essere riconosciuta e trattata come una malattia cronica nell’assistenza sanitaria e nelle politiche pubbliche e socio-sanitarie. Raccomandazioni per i media Chiediamo ai media di produrre ritratti dell’obesità equi, accurati e non stigmatizzanti. È necessario un impegno da parte dei media per cambiare la narrazione dell’obesità.
GdC
Raccomandazioni per l’assistenza sanitaria e la formazione degli operatori sanitari Le Istituzioni accademiche, gli Organismi professionali e le Agenzie di regolamentazione devono garantire che l’insegnamento formale su cause, meccanismi e trattamenti dell’obesità siano integrati nei curricula standard per i tirocinanti medici e per tutti gli altri operatori sanitari. Gli operatori sanitari specializzati nel trattamento dell’obesità dovrebbero svolgere prove sulla pratica clinica senza stigma. Gli organismi professionali dovrebbero incoraggiare, facilitare e sviluppare metodi per certificare la conoscenza dello stigma e dei suoi effetti, insieme ad abilità e pratiche prive di stigma. Data la prevalenza dell’obesità e delle malattie correlate all’obesità, la presenza di infrastrutture adeguate per la cura e la gestione delle persone con obesità, inclusa l’obesità grave, deve essere un requisito standard per l’accreditamento delle strutture mediche e degli ospedali. Raccomandazioni per le Organizzazioni di Salute pubblica Le pratiche e i messaggi di Sanità pubblica non dovrebbero usare approcci stigmatizzanti nelle campagne anti-obesità. Queste pratiche sono oggettivamente dannose e dovrebbero essere vietate. Le Autorità sanitarie pubbliche dovrebbero identificare e revocare le politiche che promuovono lo stigma basato sul peso, e parallelamente aumentare il rigore scientifico nelle politiche pubbliche che si occupano di obesità. Raccomandazioni per la Ricerca La ricerca sull’obesità dovrebbe ricevere finanziamenti pubblici adeguati, commisurati alla prevalenza e all’impatto sulla salute e sulla società. Raccomandazioni per Politiche e Legislazione Dovrebbero esserci politiche forti e chiare per proibire la discriminazione sul peso. Politiche e legislazioni che proibiscano la discriminazione sul peso sono una priorità importante e opportuna per ridurre o eliminare le disuguaglianze dovute al peso.
U A
A
A
U
U
A
U
A A
A U U
Tabella IV. GdC = grado di consenso; U = unanimità; A = accordo ≥ 90%. Da voce bibliografica 1, modificata.
infermieri sono risultati i più empatici e sensibili al problema dello stigma21. Per sostenere il cambiamento dei pediatri italiani abbiamo formulato i seguenti suggerimenti.
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SUGGERIMENTI PER LA PRATICA CLINICA
Alla prima comunicazione: • chiedere ai genitori il permesso di parlare del peso dei figli;
• chiedere se preferiscono cominciare a parlarne senza la loro presenza; • rivolgersi anche ai bambini/ragazzi se presenti, senza escluderli; • chiedere con quale termine vogliono che parliamo del loro peso, per non offenderli; • usare “diminutivi” e “paragoni/ confronti” riduttivi per non farli sentire troppo “soli” e “diversi” dagli altri; • spiegare come leggere le curve di crescita rimanendo propositivi; • spiegare alle famiglie che i bambini possono dimagrire anche aumentando il numero dei chili sulla bilancia. Rivederli a lungo, inizialmente dopo 1-2 mesi, per sostenerli nel percorso ricordando di: • dare loro fiducia nel risultato, non farli mai sentire come un “problema senza soluzioni”; • investire nella relazione, come richiede la gestione delle malattie croniche; chiedere per prima cosa a ogni incontro “come stanno”, “come va in famiglia, a scuola e con gli amici…”; • non occuparsi solo del peso, ma spostare l’obiettivo verso la salute e la qualità di vita; • coinvolgere anche i nonni o i fratelli, se hanno un ruolo importante nella vita familiare. In pratica: è necessario restare sempre rispettosi della loro libertà e sensibili ai loro problemi22. CONCLUSIONI
Lo stigma del peso è dannoso e pervasivo. La narrazione dell’obesità diffusa nei media, nelle campagne di Sanità pubblica, nella politica e persino nella letteratura scientifica che attribuisce la causa dell’obesità principalmente alla responsabilità personale, ha un ruolo importante nell’espressione dello stigma e nel suo mantenimento. I pregiudizi sul peso non solo possono provocare discriminazioni, minare i diritti umani e sociali e la salute delle persone colpite, ma anche
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MESSAGGI CHIAVE
❏ Le persone affette da obesità affrontano quotidianamente non solo un aumentato rischio di gravi complicazioni mediche, ma anche una forma di stigma sociale. Lo stigma sul peso è estremamente diffuso, spesso giudicato socialmente accettabile e addirittura propedeutico nei processi di cura. La letteratura scientifica più recente rovescia le convinzioni presenti nella popolazione generale e nella classe medica evidenziandone le conseguenze sul benessere dei pazienti e sull’intera comunità. ❏ L’idea che la causa dell’obesità sia nelle colpe individuali deriva dal presupposto che il peso sia interamente sotto il controllo della volontà. Un corpus importante di evidenze scientifiche degli ultimi decenni contrasta, invece, alcune delle ipotesi da sempre considerate come veritiere (peso corporeo = calorie in entrata - calorie in uscita; lo stile di vita “sbagliato” è la causa principale; l’obesità è una scelta; ecc.). ❏ La riduzione dello stigma può essere raggiunta solo attraverso l’impegno concertato di ampi gruppi, inclusi operatori scolastici e sanitari, ricercatori, media, industria, politici e pazienti, volto a cambiare la narrazione dell’obesità basata sulla responsabilità personale e avviare un nuovo approccio di cura per le famiglie. ❏ Per ridurre lo stigma e cominciare a “curare” è indispensabile un’adeguata formazione per i pediatri e tutti gli specialisti che, a vario titolo, si occupano di bambini e adolescenti con problemi di peso. ❏ Gli Autori invitano i lettori a condividere questi obiettivi e apporre la propria firma al documento contro lo stigma pubblicato sul sito del King’s College di Londra (www.pledge2endobesitystigma.org).
fuorviare le decisioni politiche e i messaggi di Salute pubblica limitando l’assegnazione di risorse alla ricerca. Evidenziare il divario tra le attuali prove scientifiche e una narrazione dell’obesità tradizionale costruita su presupposti non dimostrati e oggi superati potrebbe ridurre lo stigma e i suoi effetti. Per tale obiettivo occorre un la-
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voro concertato di tutte le parti interessate, che promuova iniziative educative, normative e legali. Questa Consensus allerta gli operatori sanitari, in particolare i pediatri e i medici di famiglia e tutti gli educatori interessati all’età evolutiva, oltre al mondo della politica e al pubblico generale su cause e conseguenze dello stigma; propone inoltre raccomandazioni differenziate per porvi fine (Tabella IV) 1, modificando in modo sostanziale il modo di pensare. Infine c’è un’urgente necessità di formazione specializzata sulla gestione del peso, per promuovere nuove conoscenze e abilità nelle tecniche di cambiamento, affrontando argomenti sensibili senza danneggiare la relazione medico paziente. È necessario che i pediatri acquisiscano abilità realizzabili nella quotidianità e adeguate alle loro competenze per cambiare finalmente l’approccio alla “cura” 23,24. Sono proprio i pediatri che possono aprire la strada a un trattamento rispettoso e non giudicante per il bambino con sovrappeso, poiché già lo adottano verso tutti gli altri piccoli pazienti25.
Indirizzo per corrispondenza: Rita Tanas e-mail: tanas.rita@gmail.com
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Profilo psicopatologico e di rischio psicosociale in madri adolescenti e di giovane età nel postpartum ALESSANDRO ALBIZZATI1, ELENA IERARDI2, MARGHERITA MOIOLI3, CRISTINA RIVA CRUGNOLA2
UONPIA Territoriale e Psicopatologia dell’Età Evolutiva, ASST “Santi Paolo e Carlo”, Milano Dipartimento di Psicologia, Università “Milano-Bicocca” 3 UO di Neuropsichiatria infantile, ASST “Santi Paolo e Carlo”, Milano 1 2
Le madri adolescenti e le giovani madri sono a rischio per il loro stato di salute mentale con possibili conseguenze negative sullo sviluppo del bambino. Sono i risultati di questa significativa ricerca su 104 adolescenti-madri nella città di Milano. Risultati che confermano le esperienze note pubblicate in letteratura. Il contributo della rete di supporto nell’ambito di una gravidanza in adolescenza è fondamentale, così come lo è quello del pediatra che deve porre una particolare attenzione a queste situazioni, cercando di favorire al massino la genitorialità e cercando di evidenziare i segnali di rischio del bambino, al fine di intervenire precocemente.
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osa, 16 anni, rimane incinta dopo il primo rapporto sessuale con un ragazzo conosciuto in discoteca. Pensava che fosse il ragazzo perfetto, ma una volta scoperta la gravidanza lui ha interrotto i contatti, mettendo in dubbio che potesse essere il padre. La ragazza racconta che si era fidata di lui quando le aveva detto che ci sarebbero stati pochi rischi di rimanere incinta. Magra e minuta, scopre della gravidanza solo al quinto mese, quando effettua un controllo in ospedale per un dolore al fianco. Abita in un bilocale con la madre e altri due fratelli più piccoli di 9 e 4 anni; con il padre non ha più contatti. Anche la madre ha avuto Rosa quando era ancora adolescente e non avrebbe voluto questo futuro per sua figlia. Rosa ha interrotto gli studi perché non le piace andare a scuola e non ha cercato un lavoro. Rosa ha un tono dell’umore deflesso, parla poco, con un eloquio semplice, e manifesta stati di ansia rispetto al parto. Non ha in mente la futura bambina, che descrive come se fosse una bambolina: “quando nascerà le comprerò tanti vestitini così sarà sempre bellissima quasi come una bambola”.
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PSYCHOPATHOLOGICAL AND PSYCHOSOCIAL RISK PROFILE OF ADOLESCENTS AND YOUNG MOTHERS IN THE POST-PARTUM PERIOD (Medico e Bambino 2020;39:445-451)
Key words Motherhood in adolescence, Psychopathology, Risk factor Summary Background - Motherhood in adolescence is associated with numerous risk factors that could have a negative effect on the well-being of the mother, on her parenting skills and on the relationship with her child. Aims - To assess the psychopathological profile and psychosocial risk factors of 104 adolescent and young mothers (age range 13-21) who were recruited at the Child Neuropsychiatric Unit of ASST “Santi Paolo and Carlo” Hospital (Milan, Italy). Materials and method - 3 months after giving birth, mothers filled in a personal data sheet; maternal attachment models and reflective functioning were evaluated with Adult Attachment Interview and the presence of maternal adverse childhood experiences were analysed with CECA. Depressive risk with EPDS, anxiety risk with STAI-Y and parenting stress with PSI-SF were also assessed. Results - 75% of mothers have a low socio-economic level and 80% have low levels of education. In 79% of the cases, the mothers do not work and 50% of them interrupted their studies. Pregnancy is mostly not desired (76%) and the majority of them have a family history of parenthood in adolescence. On a psychopathological level, depressive and anxious risks are high. Most adolescent and young mothers have an insecure attachment model with low reflective functioning; moreover, 51% of the mothers have experienced at least one adverse childhood experience and adverse experiences are often cumulative. Conclusion - The study shows a high-risk psychopathological and psychosocial profile of motherhood in adolescence, which can have an effect on the mother's health, affecting her ability to interact and build an adequate relationship with her child. It is therefore important to implement early interventions to support the child-adolescent mother relationship from the earliest phases, promoting maternal mentalization and sensitivity.
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Una volta nata la bambina, il tono dell’umore rimane basso con un rischio di depressione postpartum e un forte stress percepito nel fare il genitore. Non sa come occuparsi della bambina, si lamenta spesso che non dorme di notte “perché la bambina si sveglia dopo 6 ore”, non essendo consapevole di quali bisogni ha un neonato, e delega spesso il compito di consolare la bambina alla propria madre. La bambina fa fatica a consolarsi ed è particolarmente irritabile.
Il caso di Rosa è esemplificativo della condizione della maternità in adolescenza, caratterizzata da una molteplicità di fattori di rischio connessi tra di loro. Provenienza da contesti sociali economici svantaggiati, interruzione degli studi, assenza del partner e storia di genitorialità in adolescenza hanno un effetto negativo sulla salute mentale della madre e sulla qualità del parenting. È quindi fondamentale effettuare interventi precoci per sostenere i due minori a rischio. INTRODUZIONE
La maternità in adolescenza costituisce una sfida evolutiva complessa in quanto le madri adolescenti e le giovani madri, affrontando la nascita del loro bambino, si trovano a confrontarsi con un doppio processo di transizione: da una parte quello concernente il passaggio dall’adolescenza alla giovane età adulta, con il completamento dell’individuazione dalle figure genitoriali iniziato nell’adolescenza1, dall’altra parte quello riguardante il passaggio alla genitorialità, implicante un investimento affettivo sul futuro neonato. Nell’affrontare i due compiti la giovane madre può facilmente sentirsi in conflitto tra il desiderio di soddisfare i propri crescenti bisogni di autonomia e di self-definition e quello di prendersi cura dei bisogni e dei desideri del figlio2,3. Il grado con cui le madri adolescenti risolvono il processo di transizione alla giovane età adulta influenza la qualità della loro relazione con il bambino1, determinando, se tale pro446
cesso non è stato sufficientemente affrontato, un elevato rischio di maltrattamento di quest’ultimo4. La letteratura internazionale suggerisce che l’impatto negativo della gravidanza in adolescenza non sia legato solo all’età materna, ma anche ai numerosi fattori di rischio sociali, psicologici individuali e relazionali, economici e ambientali spesso associati a essa in maniera interdipendente5. Tra i numerosi fattori di rischio, i principali riguardano: lo status socio-economico svantaggiato6, bassi livelli di istruzione e difficoltà scolastiche7, mancanza di supporto sociale, una famiglia di origine multiproblematica con assenza del padre8, esperienze infantili avverse con storie di abuso e maltrattamento infantile9 e presenza di storia genitoriale in giovane età10. Secondo tale letteratura, le madri adolescenti mostrano inoltre bassi livelli di autostima11, alti livelli di depressione12, percepiscono più stress genitoriale e distress emotivo13, vivono in condizione di povertà, hanno relazioni affettive instabili, un maggiore rischio di diventare un genitore single 14 e hanno più probabilità di abusare di sostanze15. Molto elevata è anche la frequenza di esperienze avverse infantili di maltrattamento fisico, sessuale ed emotivo: le madri adolescenti hanno infatti con maggiore frequenza storie di abuso rispetto alle madri adulte16,17 e rispetto alle adolescenti non madri18, con conseguente aumento del rischio di maltrattamento e di comportamenti violenti nei confronti del figlio19. La provenienza da contesti familiari multiproblematici e l’elevata presenza di storie di maltrattamenti nelle madri adolescenti facilitano anche un alto rischio di sviluppare modelli di attaccamento insicuro e irrisolti/disorganizzati3,20. Questa condizione psicologica di potenziale conflitto e di rischio, relativa alla maternità in giovane età, ha un impatto rilevante sulla relazione che la giovane madre intrattiene con il bambino fin dai primi mesi, influenzando le sue modalità di parenting. In generale le madri adolescenti appaiono in difficoltà a comprendere i bisogni dei loro bambini, mostrano bassa disponibilità emotiva21,22 e scarsa mind-mindedness 23,24, adottano
comportamenti intrusivi e ostili3,25 e hanno difficoltà a regolare le emozioni proprie e del bambino, in particolare di tipo negativo, con scarsa sintonizzazione affettiva2. Tutti gli aspetti di rischio delineati per la maternità in giovane età portano ad avere, con maggior probabilità, uno sviluppo problematico sia per il bambino sia per il benessere della madre. Inoltre nel caso della maternità di giovanissime adolescenti, così come esemplificato nel caso di Rosa, i minori a rischio sono due: l’adolescente non ancora matura nell’acquisizione del ruolo genitoriale e il bambino appena nato. Con questo studio abbiamo voluto delineare il profilo psicopatologico e di rischio psicosociale delle madri adolescenti e delle giovani madri fino a 21 anni in un campione relativo alla città di Milano. Nello specifico sono stati indagati, oltre alle caratteristiche sociodemografiche, i rischi di ansia e depressione materna, il distress genitoriale, la presenza di esperienze avverse nella storia materna, la funzione riflessiva e i modelli di attaccamento materno. POPOLAZIONE E METODI
Centoquattro madri adolescenti e giovani madri, tra i 13 e 21 anni, sono state reclutate presso il SAGA (Servizio di Accompagnamento alla Genitorialità in Adolescenza) all’interno dell’UO di Neuropsichiatria infantile dell’ASST “Santi Paolo e Carlo” di Milano. Di queste, 72 madri hanno effettuato la valutazione con l’Adult Attachment Interview (AAI), mentre la batteria completa dei test è stata effettuata da 37 madri. I criteri di inclusione per la ricerca sono stati: comprensione della lingua italiana, range di età tra i 13 e 21 anni, assenza di psicopatologia materna, madri primipare. I criteri di esclusione includono prematurità e parto gemellare. Procedura
A 2 mesi di vita del bambino, durante un incontro iniziale con la madre, è Medico e Bambino 7/2020
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stata compilata una scheda anamnestica, che ha indagato lo status socio-economico, la relazione con il padre del bambino e il livello di istruzione. A 3 mesi, è stata somministrata alla madre l’AAI26 per classificare il modello di attaccamento a cui è stato anche applicato il Childhood Experience of Care and Abuse system (CECA)27 per codificare le esperienze avverse materne infantili e la scala della funzione riflessiva28. Sono stati inoltre somministrati la Edinburgh Postnatal Depression Scale (EPDS)29 per valutare il rischio depressivo, lo State Trait Anxiety Scale (STAIY)30 per valutare il rischio di ansia e il Parenting Stress Index - Short Form (PSI-SF)31 per il distress genitoriale. STRUMENTI
Adult Attachment Interview L’AAI26 è un’intervista semistrutturata che valuta lo stato della mente dell’adulto in riferimento all’attaccamento e all’esperienza infantile vissuta con le principali figure di attaccamento. La classificazione dell’intervista avviene attraverso un’analisi contenutistica degli “stati della mente” circa l’attaccamento espressi dagli intervistati32. La classificazione si basa su 5 categorie: • Sicuro/Autonomo (F): valorizzano le relazioni di attaccamento, descrivendo in modo coerente le esperienze passate. • Distanziante (Ds): idealizzano uno o entrambi i genitori, mostrando difficoltà a ricordare specifici episodi dell’infanzia, e/o mostrano svalutazione delle figure di attaccamento. • Preoccupato (E): caratterizzati da relazioni ancora invischiate con le figure di attaccamento nell’infanzia e con stati mentali interni presenti di rabbia, paura o passività. • Non risolto/disorganizzato (U): con lutti o/e traumi non risolti, indicati da confusione e disorientamento nel discorso. • Non classificabile (CC). La scala della funzione riflessiva
La scala della funzione riflessiva
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(Reflective Functioning, RF)28 applicata all’AAI permette di valutare la capacità di mentalizzazione dell’intervistato, intesa come la capacità di dare un significato alle proprie e altrui esperienze in termini di stati mentali ed emozioni. La valutazione della funzione riflessiva avviene attraverso una scala da -1 a 9. La categoria Negative RF (-1) comprende i soggetti ostili che rifiutano ogni tentativo da parte dell’intervistatore di iniziare una qualche riflessione. La categoria Lacking of RF (1) comprende i trascritti in cui la funzione riflessiva è totalmente o quasi totalmente assente. La categoria Questionable or Low RF (3) comprende i trascritti contenenti alcune evidenze della consapevolezza degli stati mentali anche se a un livello piuttosto rudimentale. La categoria Ordinary RF (5) è quella più comune; il soggetto possiede un qualche tipo di modello della mente delle figure di attaccamento e della propria mente che è relativamente coerente anche se semplice. La categoria Marked RF (7) si riferisce a quei soggetti che mostrano una consapevolezza della natura degli stati mentali per tutta l’intervista. La categoria Exceptional RF (9) riguarda i trascritti che sono eccezionalmente sofisticati ed elaborati. Depressione
La Edinburgh Postnatal Depression Scale (EPDS)29 è un questionario selfreport di 10 item che valuta la depressione postpartum; il cut-off utilizzato per definire una possibile depressione è ≥ 9 e ≤ 13 range subclinico e ≥ 13 range clinico. Ansia
Lo State Trait Anxiety Scale (STAIY)30 è un questionario self-report utilizzato per valutare l’ansia di stato, che riguarda l’ansia in uno specifico momento e l’ansia di tratto, che riguarda più una caratteristica stabile di personalità. Il cut-off per l’ansia di stato è ≥ 39 e per l’ansia di tratto è ≥ 42. Stress genitoriale
Il Parenting Stress Index - Short Form (PSI-SF)31 è un questionario selfreport per l’identificazione precoce dei fattori che possono compromettere il
normale sviluppo del bambino, in particolare lo stress genitoriale. È costituito da 4 scale: • distress genitoriale : livello di distress del genitore, derivante da fattori personali collegati al ruolo genitoriale; • interazione genitore-bambino disfunzionale : focalizzato sulla percezione del genitore del figlio come non rispondente alle proprie aspettative; • bambino difficile : centrato su alcune caratteristiche del bambino, che lo rendono facile o difficile da gestire e che originano dal suo temperamento; • stress totale : il cut-off per lo stress totale è l’85° percentile. Esperienze infantili avverse
Il sistema di codifica Childhood Experience of Care and Abuse (CECA)27 è usato per valutare le esperienze avverse infantili avvenute prima dei 17 anni. Le scale principali sono. • Antipathy : misura l’ostilità, la freddezza e il rifiuto nei confronti del bambino. • Neglect : indica la mancanza di cura, interesse verso le attività scolastiche e le amicizie del bambino. • Abuso fisico: include ogni tipo di violenza fisica verso il bambino. • Abuso psicologico . include l’umiliazione, l’installazione del terrore, la deprivazione dei bisogni primari del bambino, il rifiuto estremo. • Abuso sessuale : include ogni contatto fisico o approccio di tipo sessuale da parte di un adulto verso il bambino. Ogni aspetto è valutato su una scala di grado di severità a 4 punti (1 = marcato, 2 = moderato, 3 = lieve, 4 = nessuno). Inoltre, le scale vengono dicotomizzate in severità (marcato/moderato) e non severità (lieve/nessuno). Un indicatore totale delle esperienze avverse infantili è determinato dalla somma delle scale che hanno punteggio marcato o moderato. Infine, oltre alle scale principali, sono previste delle scale secondarie che includono: la perdita di un genitore, il controllo genitoriale, conflitto tra genitori, violenza tra genitori, role reversal e disturbo mentale del genitore.
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ANALISI DEI DATI
Per le caratteristiche socio-demografiche e le variabili indagate sono state analizzate le frequenze e le percentuali. Per le associazioni tra le variabili è stata utilizzata la correlazione r di Pearson tramite il programma Statistical Package for Social Science (SPSS ). RISULTATI Caratteristiche socio-demografiche
Nella Tabella I sono presentati i fattori di rischio delle madri adolescenti e giovani madri. Si può notare che nella maggior parte dei casi provengono da un contesto socio-economico basso, hanno un basso livello di istruzione e nella metà dei casi non lavorano e non frequentano la scuola. Inoltre, quasi tutte le madri hanno una storia di genitorialità in adolescenza e in un terzo dei casi non hanno un partner, e anche quando il partner è presente nel 30% dei casi la relazione è instabile. Più del 70% delle ragazze vive con i propri genitori.
Rischio psicopatologico
Per quanto riguarda il rischio depressivo, il 25,8% delle madri è a rischio depressione nel range subclinico e il 5,4% nel range clinico. Rispetto al rischio di ansia, il 29% è a rischio di ansia di stato e il 29,9% è a rischio di ansia di tratto. La depressione è correlata in modo significativamente positivo all’ansia di stato (r = 0,44; p = 0,015) e all’ansia di tratto (r = 0,40; p = 0,028). L’ansia di stato e l’ansia di tratto sono correlate in modo positivo e significativo (r = 0,69; p = 0,000).
Distress genitoriale
Il 16% delle madri adolescenti percepisce un forte stress genitoriale. Lo stress genitoriale non è correlato a depressione (r = 0,42; p = 0,08), ansia di stato (r = 0,31; p = 0,23) e ansia di tratto (r = -0,07; p = 0,77).
Attaccamento materno e funzione riflessiva
Il 37,1% delle madri adolescenti e delle giovani madri ha un modello di attaccamento sicuro mentre il 62,9%
CARATTERISTICHE SOCIO-DEMOGRAFICHE DELLA POPOLAZIONE OGGETTO DELLO STUDIO Madri Età media (DS; range) Stato civile Nubile Sposata Assenza del partner Situazione abitativa Con il partner Con i genitori Istruzione Elementare Media inferiore Qualifica professionale Diploma Interruzione degli studi Livello socio-economico Basso Medio Alto Storia di genitorialità in giovane età Condizione lavorativa Lavora Non lavora Gravidanza non desiderata
Tabella I
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18,26 (2,04; 13-21) 72% 28% 36% 27,5% 72,5% 0% 50% 29,3% 20,7% 50% 75% 20% 5% 93% 20,2% 79,8% 76%
ha un modello di attaccamento di tipo insicuro di cui: 11 hanno un attaccamento insicuro/preoccupato, 16 un attaccamento insicuro/distanziante, 13 un attaccamento insicuro/disorganizzato e 4 sono non classificabili. Il punteggio medio della funzione riflessiva è 2,74 (DS = 1,61) che rientra nel range di bassa funzione riflessiva. Esperienze infantili avverse
Il 51,4% delle madri adolescenti ha vissuto almeno un’esperienza avversa infantile moderata o grave di neglect, antipathy, abuso sessuale, fisico e psicologico. Più nel dettaglio, il 23,5% ha vissuto un’esperienza avversa, il 16,2% ha vissuto due esperienze avverse infantili, il 6% ha vissuto 3 esperienze avverse infantili, il 4,4% ha vissuto 4 esperienze avverse e il 4,4% 5 esperienze avverse infantili. Rispetto alle scale primarie del CECA, quelle con maggior frequenza sono: 14,7% antipathy materna, 40,3% neglect paterno e 26,5 neglect materno. Se consideriamo anche le scale secondarie del CECA troviamo che il 32,4% ha vissuto in una situazione di conflittualità familiare, il 16,2% di violenza tra genitori, il 20,6% di un disturbo mentale di un genitore e il 48,6% il divorzio dei genitori. DISCUSSIONE
In questo studio è stato delineato il profilo psicopatologico e di rischio psicosociale delle madri adolescenti e di giovane età in un campione nella città di Milano. Numerose sono le problematicità riscontrate, con un quadro complesso e caratterizzato da molteplici fattori di rischio associati tra loro. Le madri adolescenti e le giovani madri provengono infatti quasi tutte da un contesto socio-economico svantaggiato, hanno un basso livello di istruzione con frequenti difficoltà scolastiche. Abbandonando la scuola precocemente, fanno anche fatica a trovare un lavoro rientrando nella categoria dei neet, giovani che non studiano e non lavorano. La letteratura indica che un basso status socio-eco-
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nomico (SES) è il principale fattore di rischio per il benessere della madre, lo sviluppo del bambino e la loro relazione; genitori provenienti da un basso contesto sociale rispetto a genitori con elevato livello socio-economico sono meno responsivi, più ritirati e aggressivi nei confronti dei loro bambini33, i quali hanno più problematiche psicopatologiche di bambini con genitori con alto SES34. Anche il contesto familiare appare multiproblematico: le madri adolescenti tendono a vivere con i propri genitori, a loro volta genitori in età precoce in quasi tutti i casi, e frequentemente non hanno un partner o hanno una relazione instabile con il padre del bambino. Nel 76% dei casi la gravidanza non è desiderata e spesso è vissuta come un tentativo di risoluzione dei conflitti presenti nel contesto familiare35. Rispetto al profilo psicopatologico, troviamo che il 25% delle giovani madri del nostro campione è a rischio per depressione, percentuale circa due volte maggiore rispetto alle madri adulte di campioni non clinici36. Inoltre, è anche elevato il rischio di ansia di stato e di tratto (29%); depressione e ansia sono altamente correlate tra loro indicando una comorbilità dei due disturbi nel periodo perinatale come evidenziato da numerosi studi37,38. Depressione e ansia materna hanno un effetto negativo sulla qualità di parenting : le madri depresse e ansiose appaiono più distaccate emotivamente oppure più intrusive nella relazione con il bambino. La depressione postpartum e l’ansia materna possono anche portare a conseguenze negative per il bambino a breve e lungo termine nello sviluppo di psicopatologie38,39. Inoltre, il 16% delle giovani madri del nostro studio percepisce un forte stress nell’esercitare il ruolo di genitore; la percezione di un forte stress nel ruolo di caregiver potrebbe avere effetti negativi sulla qualità del parenting e sulla disponibilità emotiva nei confronti del bambino. Dal punto di vista psicologico, più del 60% delle madri adolescenti e giovani madri ha un attaccamento insicu-
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ro e meno del 40% ha un attaccamento sicuro, distribuzione simile a quelle dei campioni clinici e campioni a rischio40; anche la funzione riflessiva risulta bassa, indicando una difficoltà nelle capacità di mentalizzazione. Modelli di attaccamento insicuri e bassa riflessività materna sono associati a una scarsa sensibilità materna nei primi anni di vita del bambino e predicono spesso un attaccamento insicuro del bambino, che diventa un fattore di rischio per lo sviluppo di problematiche esternalizzanti e internalizzanti41,42. Infine più della metà delle madri adolescenti ha vissuto almeno un’esperienza avversa infantile prima dei 17 anni, confermando i vari studi in letteratura che indicano un’elevata frequenza di eventi avversi subiti dalle madri adolescenti rispetto alle madri adulte9,17,43. Le esperienze avverse di maltrattamento e abuso hanno un effetto negativo e predicono molte condizioni di rischio per la genitorialità, in particolare povertà familiare, psicopatologia e maternità in adolescenza18. Inoltre le madri adolescenti che hanno vissuto esperienze di maltrattamento e neglect sono a rischio per la perpetuazione di tali comportamenti (condotte aggressive, ostili e maltrattamenti) nei confronti dei bambini, portando a una trasmissione intergenerazionale del trauma tra madre e figlio44.
CONCLUSIONI E IMPLICAZIONI PRATICHE PER IL PEDIATRA
Nonostante alcuni limiti (come la numerosità non elevata dei partecipanti che hanno completato i test e la natura self-report del questionario sul rischio psicopatologico), questo studio ci permette qualche sottolineatura e qualche messaggio pratico anche per il pediatra. Le madri adolescenti e le giovani madri sono da considerarsi un campione ad alto rischio, connotate da una storia multiproblematica con molteplici fattori di rischio associati tra loro. Come si può notare anche nel caso descritto di Rosa, 16 anni, e della sua bambina, il rischio psicopatologico e i fattori di rischio psicosociali che connotato la maternità in adolescenza non solo hanno un impatto negativo sul benessere materno ma possono portare anche a delle conseguenze negative nella relazione madre-figlio e per lo sviluppo neuropsicologico e socio-emotivo del bambino. I segnali di rischio che il bambino può dare in questo senso sono riassunti nella Tabella II e spetta al pediatra ricercarli e valorizzarli nel giusto modo, per prevenire conseguenze negative anche gravi nelle età successive (abbandono scolastico, uso di sostanze, psicopatologia, gravidanze precoci, vittime e autori di bullismo ecc.)45,46. Per poter prevenire e/o intervenire
INDICATORI DI RISCHIO PER LO SVILUPPO DEL BAMBINO 0-3 anni • Inconsolabilità e irritabilità • Disturbi del sonno • Disregolazione emotiva • Scarsi segnali interattivi • Ritardo nel linguaggio (povera lallazione fino al mutismo selettivo) • Disturbo dell’alimentazione (svezzamento troppo precoce, rifiuto del cibo) • Ipotono o ipertono • Attaccamento insicuro • Comportamenti disorganizzati • Rischio di shacking baby syndrome
3-6 anni • Inconsolabilità e irritabilità • Disturbi del sonno • Disregolazione emotiva • Atteggiamenti provocatori, rabbia e di sfida • Ritardo nel linguaggio (scarsa produzione verbale e povertà di vocabolario) • Disturbo dell’alimentazione (rapporto alterato con il cibo e con il momento del pasto) • Iperattività psicomotoria, scarsa attenzione all’attività svolta • Comportamenti disorganizzati
Tabella II
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MESSAGGI CHIAVE ❏ La maternità in adolescenza è una condizione di rischio per il benessere della madre, la relazione madre-bambino. ❏ Le madri adolescenti hanno una storia multiproblematica con molteplici fattori di rischio associati tra loro. ❏ Numerose sono anche le conseguenze negative nello sviluppo neurospicologico e socio-emotivo del bambino. ❏ I pediatri dovrebbero riconoscere i segnali di rischio del bambino al fine poter intervenire preocemente.
precocemente sui sintomi e sui segnali di rischio manifestati dal bambino, sarebbe utile che i pediatri inviassero i genitori in età adolescenziale o giovane età e i loro bambini a strutture che attuino interventi dedicati e specializzati, coordinandosi in un’ottica di lavoro multidisciplinare con neuropsichiatri infantili, psicologi, neuropsicomotricisti, ginecologi e ostetrici. Un esempio di un programma di intervento specializzato che si interfaccia con i pediatri ospedalieri e di famiglia è PRERAYMI (Promoting Responsiveness, Emotion Regulation and Attachment in Young Mothers and Infants) 3,47, un intervento attuato presso il Servizio SAGA dell’ASST “Santi Paolo e Carlo” che fornisce un supporto ai genitori adolescenti dalle prime fasi della gravidanza fino ai due anni di vita del bambino. L’obiettivo è quello di intervenire sui vari aspetti di criticità soprattutto per migliorare la sensibilità materna, le capacità di mentalizzazione nel pensare il proprio bambino, per supportare la relazione genitori-bambino e prevenire maltrattamenti e abusi sul figlio.
Indirizzo per corrispondenza: Alessandro Albizzati e-mail: alessandro.albizzati@asst-santipaolocarlo.it
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TINDALIZZATI
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L’esperienza che insegna
La diagnosi e la gestione del prolasso rettale A partire dalla descrizione di un caso clinico SILVIA VENTRESCA1,2, MICOL BACCHINI1,2, GIULIA GRAZIANI1, FEDERICO MARCHETTI1
UOC di Pediatria e Neonatologia, Ospedale di Ravenna, AUSL della Romagna Scuola di Specializzazione in Pediatria, Università di Ferrara
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Evenienza complessivamente rara, ma che spaventa molto i genitori, il bambino (che di solito ha un’età inferiore ai 4 anni) e lo stesso pediatra. Esistono delle cause predisponenti? Come comportarsi nella pratica? Qual è la storia naturale del prolasso che va conosciuta per condividerla con i genitori? Un articolo completo e coinvolgente a partire dall’esperienza vissuta con un bambino con una storia di prolassi che ricorrono.
B
ambino di 3 anni giunto alla nostra attenzione per prolasso rettale recidivante. All’età di 2 anni la mamma ha tentato di togliere il pannolino. Nonostante il controllo sfinterico raggiunto, il bambino richiedeva però il posizionamento del pannolino nel momento in cui avvertiva lo stimolo per l’evacuazione. Si è pensato ragionevolmente che ci fosse una difficoltà nella defecazione da stipsi ed è stata iniziata terapia con macrogol (0,8 mg/kg), senza tuttavia sostanziali modifiche nel comportamento del bambino, che rifiutava di sedersi sul water nonostante fossero stati adottati gli accorgimenti per un adeguato toilet training. Non riferita encopresi. Qualche mese dopo, mentre era seduto sul vasino, ha presentato un primo episodio di prolasso rettale (Figura 1), ridotto manualmente in Pronto Soccorso (PS). Dopo tale episodio il bambino ha continuato a evacuare spontaneamente, ma sempre mantenendo la posizione ortostatica, con rifiuto assoluto del water o del vasino. La settimana successiva, per recidiva di prolasso, veniva nuovamente condotto in PS dove si praticava nuova riduzione manuale. Dopo circa 10 giorni ha presentato un nuovo episodio di prolasso rettale a domicilio, ridottosi però spontaneamente prima dell’arrivo in PS.
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DIAGNOSIS AND MANGEMENT OF RECTAL PROLAPSE (Medico e Bambino 2020;39:453-457)
Key words Rectal prolapse, Children, Management Summary Rectal prolapse is an overall rare occurrence in children in the first 4 years of age. It typically tends to relapse. In the majority of cases it is not possible to highlight a single cause that determines prolapse, even if it is more frequent in children who suffer from constipation. In about 1 in 10 cases there is an underlying predisposing anatomical-neurological condition (in particular neurological: myelomenigocele, spina bifida occulta). A predisposing cause that must always be considered and excluded is cystic fibrosis, even in the age of newborn screening. Rectal prolapse management is conservative in most cases. Behavioural measures (correct toilet training, good hydration, diet rich in fibres) and the use of the macrogol laxative are fundamental. The prolapse that does not resolve spontaneously must be reduced manually by instructing the family on the technique to be used. In 90% of cases the natural history of rectal prolapse is favourable, with complete resolution within the first 4 years of age. After this age, it occurs more rarely. Surgery is rarely indicated. The current techniques that have a large consensus are sclerotherapy and laparoscopic rectopexy. The paper reports the management of recurrent rectal prolapse in a 3-year-old boy.
LA DEFINIZIONE DI PROLASSO RETTALE E LE POSSIBILI CAUSE
Figura 1. Presentazione clinica di prolasso rettale nel nostro bambino.
Il prolasso rettale è una protrusione parziale o completa delle mucose del retto attraverso lo sfintere anale esterno. È una condizione di raro riscontro in età pediatrica e, quando presente, è maggiormente osservata nei primi quattro anni di vita, con più alta incidenza nel primo anno di vita1,2. Tale condizioni tende a risolversi spontaneamente tra i 3 e i 5 anni, età in cui il sacro giunge alla sua conformazione
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L’esperienza che insegna
ANATOMIA DEL PROLASSO RETTALE • Il decorso verticale del retto lungo la superficie dell’osso sacro e del coccige • La posizione del retto è posta più in basso rispetto agli altri organi pelvici • Il colon sigmoide è la porzione anatomica intestinale dotata di maggior mobilità • La mucosa del retto ridondante è attaccata solo parzialmente alla muscolatura sottostante • L’assenza delle valvole di Houston (pieghe prominenti della mucosa che forniscono l’integrità strutturale al retto) in circa il 75% dei bambini di età < 1 anno.
Tabella I CONDIZIONI FAVORENTI IL PROLASSO RETTALE Aumento della pressione intra-addominale
Stipsi cronica con sforzo alla defecazione Tosse persistente (pertosse, fibrosi cistica)
Gastroenteriti infettive
Infezioni batteriche: Clostridium difficile, Salmonella, Shigella, Escherichia coli Parassitosi: giardiasi, amebiasi, trichiuriasi
Malnutrizione
Deprivazione calorico-proteica
Anomalie neurologiche
Spina bifida occulta, meningocele
Malformazioni anorettali
Ano imperforato Morbo di Hirschsprung
Altro
Fibrosi cistica Malattia celiaca Sindrome di Ehlers-Danlos Abuso sessuale
Tabella II
adulta e il lume anale si orienta posteriormente. I prolassi rettali che persistono o compaiono dopo i 4 anni di età tendono di solito a cronicizzare1. L’anatomia del retto e l’immaturità delle strutture osteo-muscolari della regione pelvica, caratteristiche della prima/seconda infanzia, sono sicuramente il principale fattore scatenante il prolasso rettale in questa fascia di età (Tabella I). La maggior parte dei prolassi rettali in età pediatrica è di natura idiopatica 2. Esistono alcune condizioni che possono favorirne l’insorgenza. La stipsi cronica è da considerarsi sicuramente tra le principali responsabili del quadro in quanto, provocando un costante aumento della pressione intra-addominale, facilita la fuoriuscita del retto dall’ano. Inoltre, è noto che il prolasso rettale può rappresentare una delle manifestazioni gastroenterologiche della fibrosi cistica (FC). La prevalenza del prolasso rettale nei pazienti con FC è attorno al 20% e spesso la sua presentazione si ha prima della diagnosi di malattia. Le cause favorenti nei casi di bambini con FC so-
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no la presenza di feci dense, il ridotto tono muscolare e l’aumentata pressione intraddominale secondaria all’iperinflazione polmonare3. Con il potenziamento dello screening neonatale per la FC, i pazienti ricevono la diagnosi precocemente e quindi prima che si sviluppino le manifestazioni cliniche della malattia. Recenti casistiche sulle cause di prolasso rettale riportano che negli anni, dopo l’adozione dello screening di popolazione per la FC, il prolasso rettale sia sempre meno presente in questo gruppo di pazienti4. Tuttavia, in caso di prolasso rettale (in particolare ma non solo in un bambino piccolo che non ha stipsi), la diagnosi di FC va sempre valorizzata e cercata sino alla sicura esclusione eseguendo il test del sudore (e se necessario la genetica)5. Le gastroenteriti infettive sono un’altra possibile causa scatenante. Le patologie neurologiche (spina bifida occulta e meningocele) e le anomalie anatomiche (ano imperforato, malattia di Hirschsprung) determinano una riduzione del tono sfinteriale e vanno considerate nella diagnosi differenzia-
le delle cause sottostanti un prolasso, anche se generalmente vengono diagnosticate precocemente dopo la nascita. Altre condizioni associate sono la sindrome di Ehlers-Danlos e le diverse collagenopatie che determinano lassità dei tessuti di sostegno del pavimento pelvico, comportando maggiore suscettibilità al prolasso del retto. In letteratura sono stati descritti alcuni casi che riportano l’associazione tra prolasso rettale, ritardo mentale e in particolare disturbo dello spettro autistico. Nei bambini autistici il prolasso rettale comparirebbe più precocemente rispetto ai bambini con solo ritardo mentale6. In questi rari casi secondari descritti, il prolasso è di fatto un problema accessorio rispetto al quadro generale della patologia. Sebbene l’associazione tra prolasso rettale e malattia celiaca non sia frequentemente descritta, questa potrebbe essere considerata nell’approccio diagnostico-terapeutico al problema7. Nei contesti socio-economici più poveri, l’incidenza del prolasso rettale è maggiore, per la presenza di condizioni favorenti quali la malnutrizione e la maggiore incidenza di gastroenteriti8. In particolare, l’ipoprotidemia determina edema della mucosa rettale e riduzione della componente adiposa ischio-rettale che funge da sostegno anatomico. In un recente lavoro di Cares e coll.4, sono state analizzate le principali cause determinanti il prolasso rettale. È stata valutata una coorte di 158 pazienti tra 0 e 18 anni; in questi, l’età media di insorgenza del prolasso era di 3 anni. Quello che si ricava dal lavoro è che la stipsi era la principale causa concomitante riscontrata (55% dei casi), i prolassi idiopatici erano il 17% (di cui il 26% associati a fattori stressanti sociali), le gastroenteriti rappresentavano la causa sottostante nel 7% di tutti i prolassi rettali e le anomalie neurologiche e anatomiche il 10%. La FC rientrava tra le cause meno frequentemente riscontrate (3% dei casi, tutti nati prima del 2007, anno in cui si è iniziato a potenziare lo screening neonatale). La Tabella II riporta le condizioni che possono associarsi al prolasso ret-
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La diagnosi e la gestione del prolasso rettale
ulcerarsi e provocare sanguinamento e, nei casi più gravi, la mucosa prolassata, diventando congesta ed edematosa, rende molto più difficile la manovra di riduzione. COSA FARE NELLA PRATICA?
Figura 2. Anatomia del prolasso rettale.
tale che tuttavia, è importante ribadirlo, nella maggioranza dei casi non ha una condizione sottostante predisponente chiaramente determinante, se non quella appunto della stipsi. Sono i casi idiopatici di prolasso in un bambino che sta bene e cresce bene2. COME SI PRESENTA IL PROLASSO RETTALE?
Parliamo di prolasso rettale, quindi, quando ci troviamo di fronte a una massa che sporge dal canale anale, di colore rosso brillante fino al rosso scuro (Figure 1 e 2). Il retto prolassato può essere lungo fino a 10-12 cm e viene tipicamente rilevato dai genitori che portano urgentemente il bambino all’attenzione del medico. Si verifica solitamente durante la defecazione, situazione che determina un aumento della pressione intra-addominale. La riduzione del prolasso può verificarsi spontaneamente o può richiedere la riduzione manuale, che in alcuni casi recidivanti viene fatta spontaneamente da parte del paziente (evenienza rara nei bambini piccoli). Il prolasso è di solito una condizione non dolorosa, ma alla luce della sua presentazione clinica può provocare discomfort nel bambino. Talvolta può
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Di fronte a un bambino con prolasso rettale la valutazione iniziale dovrebbe prevedere l’esclusione dei principali fattori predisponenti, iniziando dalle condizioni a prognosi più sfavorevole. La valutazione della regione sacrale è mirata alla ricerca di segni suggestivi di spina bifida occulta asintomatica, che può essere sospettata da un’ipertricosi e un’iperpigmentazione cutanea, o di meningocele, in cui l’estroflessione di dura madre e aracnoide attraverso il varco della schisi da chiusura incompleta vertebrale formerebbe una tumefazione sottocutanea simil-cistica. La valutazione clinica della FC è ancora giustificata in tutti i bambini che presentano prolasso rettale, per il possibile rischio di rari falsi negativi dello screening neonatale di popolazione. La gestione del prolasso rettale è conservativa nella maggior parte dei casi, in primis nei casi in cui il fattore scatenante è correggibile. Ai fini di una corretta gestione è necessario indagare la durata e la frequenza degli episodi e la lunghezza della protrusione rettale. Fondamentali risultano essere le misure igienico-comportamentali: un corretto toilet training, una buona idratazione e una dieta ricca in fibre favoriscono la regolarizzazione dell’alvo riducendo quindi il rischio che il bambino avverta la necessità di spingere in modo eccessivo durante la defecazione. È sempre ragionevole, anche in assenza di una storia orientativa di chiara stipsi, pensare all’utilizzo del lassativo macrogol (al dosaggio 0,5-1 g/kg/die fino a un massimo di 2 g/kg/die), che aiuta ad ammorbidire le feci prevenendo la stitichezza e di conseguenza lo sforzo nella evacuazione che favorisce l’aumento della pressione intra-addominale. Di fronte a un prolasso che non ha avuto una risoluzione spontanea, la riduzione manuale deve essere intra-
presa il prima possibile. Un retto prolassato e non ridotto, infatti, subirà l’irritazione da parte degli indumenti intimi del bambino causando sanguinamento con rischio di ulcerazione, congestione e maggiore difficoltà al riposizionamento. Un metodo di facile riduzione, possibile da mettere in atto anche a domicilio, dopo corretta istruzione dei genitori, consiste nel coprire un dito con carta igienica, introdurlo nel lume della massa e premerlo delicatamente nel retto del paziente. Il dito va poi subito rimosso in modo che la carta igienica resti ad aderire alla mucosa permettendo il rilascio del dito (Figura 3). La carta, una volta ammorbidita, verrà espulsa2.
Figura 3. Manovra di riduzione del prolasso rettale. Nel riquadro A è riportata la posizione che deve assumere il bambino. Nel riquadro B la visione e il contenimento del prolasso. Nel riquadro C il dito indice (ricoperto di carta igienica) deve spingere rapidamente la parte prolassata sino al completo riposizionamento. Il dito va poi subito rimosso in modo che la carta igienica resti ad aderire alla mucosa permettendo il rilascio del dito.
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L’esperienza che insegna
Una curiosità da considerare: una tecnica utilizzata da molti anni in ambito veterinario per ridurre facilmente il prolasso rettale è quella di applicare dello zucchero granulato da tavola direttamente sulla superficie mucosa della porzione di retto prolassata. Lo zucchero viene rapidamente assorbito, provocando una riduzione dell’edema e permettendo alla mucosa rettale prolassata di essere facilmente ricollocata manualmente attraverso lo sfintere anale9. QUAL È LA STORIA NATURALE?
La prognosi del prolasso rettale, strettamente dipendente dall’eziologia sottostante, è favorevole nella stragrande maggioranza dei casi: circa il 90% dei bambini che sviluppano un prolasso rettale tra i nove mesi e i tre anni di età risponde al trattamento conservativo e non richiede alcun tipo di intervento chirurgico. Le recidive si osservano raramente dopo i sei anni di età. Il restante 10% dei bambini con prolasso rettale va incontro a recidive che possono persistere nell’età adulta10. I bambini che presentano un prolasso rettale dopo i quattro anni possono presentare difetti neurologici o muscoloscheletrici della pelvi e hanno meno probabilità di rispondere a misure conservative. Questi bambini dovrebbero essere candidati all’intervento chirurgico.
• ulcerazione mucosale con sanguinamento; • fallimento della riduzione manuale. Possono essere impiegati diversi approcci chirurgici. Non è indicata una vera e propria metodica che rappresenti il gold standard del trattamento. In una recente revisione della letteratura sulla gestione chirurgica del prolasso rettale12 sono state analizzate le diverse strategie terapeutiche possibili e tra queste la scleroterapia, con il suo alto tasso di successo e il basso rischio di complicanze e ricorrenze, viene raccomandata come intervento di prima linea nei prolassi rettali pediatrici complicati. La rettopessi laparoscopica (resezione del tratto di retto prolassato, seguito dalla fissazione), alla luce della semplicità e dell’efficacia dell’intervento, è raccomandata nei casi di prolasso rettale persistente o ricorrente. La resezione intestinale dovrebbe essere riservata ai pazienti con megacolon o megaretto in cui scleroterapia e rettopessi non sono sufficienti. In accordo con le evidenze di questa revisione sistematica, l’American Pediatric Surgical Association indica l’iniezione sottomucosale di soluzioni sclerosanti come l’approccio da preferire in prima linea nei prolassi rettali pediatrici, seguita dalla rettopessi laparoscopica13. Anche nella casistica di Ca-
res e coll. la procedura chirurgica più utilizzata è risultata essere la scleroterapia1. In conclusione quindi, sebbene siano riportate varie strategie terapeutiche chirurgiche per il trattamento del prolasso rettale, la scleroterapia e la rettopessi laparoscopica attualmente risultano essere le tecniche più sicure per l’alto successo, con bassi tassi di complicanze12,13. TORNANDO AL NOSTRO CASO…
L’approccio iniziale ha previsto l’esecuzione di una Rx diretta all’addome per valutare la presenza e il grado della stipsi. Tale indagine ci ha permesso di osservare l’abbondante materiale fecale presente nel colon destro e in sede rettale. Durante l’osservazione non ha mai lamentato addominalgia e, per migliorare la stipsi, è stata aumentata la posologia di macrogol a 1,5 g/kg/die, con indicazione di portare il dosaggio fino a 2 g/kg/die in modo da facilitare l’evacuazione. Alla luce della negatività degli esami eseguiti (celiachia e profilo tiroideo negativo, obiettività clinica negativa per lassità legamentosa o anomalie della regione sacrale, test del sudore negativo), abbiamo concluso che gli episodi di prolasso rettale del
MESSAGGI PRATICI
QUANDO PENSARE ALLA CHIRURGIA?
Inizialmente mai o quasi mai, per le ragioni dette in merito alla storia naturale del problema (90% dei casi con risoluzione spontanea) e a una frequenza di recidive non particolarmente elevata che si riduce nel tempo, e in ogni caso facilmente gestibile anche a domicilio. Va considerata in determinate circostanze, ma solo dopo avere verificato che tutte le raccomandazioni per una buona gestione medica siano state adottate11: • prolasso che non rientra spontaneamente e che richiede continue riduzioni manuali;
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L’insegnamento del caso ✔ Il prolasso rettale è un’evenienza complessivamente rara in età pediatrica, che si verifica nei primi 4 anni di età del bambino. Tende tipicamente a recidivare. ✔ Nella maggioranza dei casi non è possibile evidenziare una causa unica determinante il prolasso, anche se è più frequente nei bambini che hanno la stipsi. ✔ In circa 1 caso su 10 è presente una condizione anatomica-neurologica sottostante predisponente (in particolare neurologica: mielomenigocele, spina bifida occulta). Una causa che occorre pensare ed escludere sempre è la fibrosi cistica, anche in epoca di screening di popolazione. ✔ La gestione del prolasso rettale è conservativa nella maggior parte dei casi. Fondamentali risultano essere le misure igienico-comportamentali (corretto toilet training, una buona idratazione, dieta ricca in fibre) e l’uso del lassativo macrogol. ✔ Il prolasso che non si risolve spontaneamente va ridotto manualmente con una semplice manovra: coprire un dito con carta igienica, introdurlo nel lume della massa e premerlo delicatamente nel retto del paziente. ✔ Nel 90% dei casi la storia naturale del prolasso rettale è favorevole, con completa risoluzione entro i prima 4 anni di età. Dopo questa età è più difficile che avvenga. ✔ La chirurgia è indicata raramente. Le tecniche attuali che hanno un largo consenso sono la scleroterapia e rettopessi laparoscopica.
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La diagnosi e la gestione del prolasso rettale
nostro paziente fossero favoriti dalla stitichezza. Abbiamo quindi optato per l’approccio conservativo con indicazione a proseguire la terapia lassativa e mettere in atto le procedure di toilet training (con rinforzi comportamentali) e le misure igienico-comportamentali, spiegate alla mamma con l’ausilio di materiale visivo informativo. Al momento non abbiamo più osservato recidive di prolasso rettale a distanza di due mesi dall’adozione di questi accorgimenti. Difficile da capire se l’atteggiamento iniziale del bambino di evacuare in piedi, non volendo mai mettersi seduto, dipendesse da un atteggiamento ritentivo (da stipsi) oppure da una involontaria consapevolezza di evitare in questo modo il prolasso rettale che poteva verificarsi più facilmente nella posizione seduta. È ragionevole pensare che le due condizioni siano di fatte associate.
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Indirizzo per corrispondenza: Federico Marchetti e-mail: federico.marchetti@auslromagna.it
Bibliografia 1. Cares K, El-Baba M. Rectal Prolapse in children: significance and management. Curr Gastroenterol Rep 2016;18(5):22. 2. Kliegman RM, Stanton BMD, St. Gene J, Schor NF. Nelson Textbook of pediatrics, 21th ed. 2020;2:2060-1. 3. Minute M, Zanelli E. Uno e un solo pensiero. Medico e Bambino pagine elettroniche 2014;17(1). 4. Cares K, Klein M, Thomas R, El-Baba M. Rectal prolapse in children: an update to causes, clinical presentation, and management. J Pediatr Gastroenterol Nutr 2020;70 (2):243-6. 5. El-Chammas KI, Rumman N, Goh VL, Quintero D, Goday PS. Rectal prolapse and cystic fibrosis. J Pediatr Gastroenterol Nutr
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FAD
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A CURA DEL SCIENCE CENTRE IMMAGINARIO SCIENTIFICO www.immaginarioscientifico.it
Osser vatorio CARTOLINE DALLA SCIENZA
MICROSCOPIA DI LOCALIZZAZIONE A ULTRASUONI Vascolarizzazione del cervello di topo visualizzata in microscopia di localizzazione a ultrasuoni (ULM) con il sistema di imaging ultraveloce a ultrasuoni della sezione Functional Ultrasound Imaging del Boston University Neurophotonics Center (bu.edu/neurophotonics). In alto a destra, la stessa immagine con la mappatura delle velocità (i colori codificano per le velocità del flusso ematico, indicate nella legenda in mm/s).
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a conoscenza dei limiti delle diverse tecniche di indagine del corpo umano fa sempre più parte del sapere medico, e bisogna tenersi aggiornati sui rapidi cambiamenti di questo panorama. Abbiamo già parlato delle nuove tecniche di microscopia che, attraverso la ripetuta localizzazione di singole molecole, permettono di superare il limite fisico della lunghez-
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za d’onda della luce visibile (novembre 2015). La microscopia di localizzazione a ultrasuoni (ULM) è un analogo acustico di quelle tecnologie ottiche, pensato per superare il limite della risoluzione di cui l’ecografia soffre a causa della lunghezza dell’onda acustica. L’ULM utilizza un agente di contrasto che consiste in milioni di bollicine di un diametro
inferiore a 10 µm. Grazie a uno scanner ultra-veloce multi-canale, centinaia di migliaia di localizzazioni di queste microbolle possono essere registrate in memoria e formare un’immagine della vascolarizzazione e del flusso ematico del tessuto in esame con una risoluzione di ~10 µm, su piani che possono raggiungere una profondità di circa 15 mm.
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Osser vatorio
CARTOLINE DAL MONDO: LE VOCI DEI BAMBINI
A CURA DI GIORGIO TAMBURLINI
La poesia pare una cosa difficile, da adulti, SUL M se non altro per la scelta delle parole. Non è ONTE così. I bambini se la cavano benissimo, già C’ERA Quattr o da piccoli. Ecco alcuni esempi, con e senza a cento cavalli alle fa ld rime. Le poesie di Camilla, Federico, Pigi e scalavo metri c’era u e del monte , n bison , scalav Paola sono tratte da: http://www.poesiate, oeau alla mia n m creativa.it/bambini.htm, quelle di AlessanO LIBERI c e rto pun In cima eta io ero g CHE VOLAN LI EL C t C o U iu dro e Luca da: https://www.milkbook.it/liquesto al monte c’er nto. a scritt monte bro-di-poesie-dei-bambini/. o volare o e chi n Uccelli, che aman on lo r si chiama Pac : rati, is e lo co petta è Le come aquiloni un inca ano, tr Scritta en qu paro p no ace. da Pigi, nell’arcobale in ando le ca q . a u do p a lan p n vo e , d na com volando di un sa si d ntan piuto 6 o aveva lorati anni Quegli aquiloni co liberi. che lette lone ivert o o lan on fan re d che nell’aria vo o no ’oro Le sog 9 anni un paro nar Scritta da Paola, a l q e È i un uad d bam O IEL che o di ro d ipingo bin C m i. IL no, fan ille i em no cea no. n o o ’ l l o e Luc rim tter zion me ulca iste a a. e e i o co a del v omo tr r r dio u fra cen azz la lav e un u e. n i si è i m . me ed ng elo Il ci sso co igio co o e pia n’azion ambino r L’ULTIM è ro lo è g cissim ome u di un b A STELL a e A min Il ci va velo lba è c ascita a a si illu i a n ’ e b l l a h b In quel cielo l a c vit i ra sfumato me me elo l’ultima ste Il ci ure co ero co pieno d ella sua lla è un picco opp lo è n attivo enti d sera. confuso dal lo e primo segn cristallo Il ci omo c ti mom ato di ale di luce. L’aurora risc r l hiarata dal n u u in ce lo stel b e l’alone lu ni rò il cie nare ormai arlume mattiniero e 0 an p 1 nel ciel non a e , VIT biancheggia rico com A più. Ogn Il sole anco ede F ra assonnat i a un’a mare e ad o fa sboccia sulla sua bo t t i r n re cc Sc diet ima na d ogni e finalmente a un grosso sbadiglio ro il ab s illumina la ci d suon conde isso elle Le nuvole so tt b o no birichine à. ianc C’è e nascondo he orm no la grand c’è u un’anim e pure ai fisso e palla infuo cata. c’è u n’anima a dovun onde. La rugiada sdraiata sui che n’anima anche que ca pare l’ultim qu va q a stella nel mpi N essu ga in qu ualunqu i cielo. Dalle case n a lche e o pu risc la vi t il fumo lieve aldate della campagn che a in fon ò imped sì. a dei camini si il paesaggio ma f non si p do al cu ire è inargenta espande ovunque, a tan u o to da una le o n ggera luce ar to r ò sentir re ipingo umo gentea. d Le voci dei e e l S o critta r bambini, pe re. Le pa ela r il freddo, spariscono d a e Pigi, t dai parchi e sulla stro cuor a 12 d L’ultima ste o lla è diventa ai giardini! n anni . l e e r i d ta ormai n un’orma pic e e v as cola assai, e uor c o o n r i o f u r t p se n’è torn nos più ata a casa fa nel ciel non si vede più Poi il a sempre finito cendo cucù llo t o n . dive che hann o al cerve po Scritta da C n o a o amilla, a 9 a s p c as il r do nni ore p o a tutto u c l a n d o pia ltro e pian ssano ad a on è n a poi p il mondo é . h c o t n a fi color stato ndro Alessa
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CASI INDIMENTICABILI in Pediatria ambulatoriale
I primi tre casi sono di richiamo e approfondimento agli articoli di questo numero di Medico e Bambino: craniostenosi e rachitismo ipofosfatemico X-linked; prolasso rettale e fibrosi cistica; ittero neonatale colestatico da atresia delle vie biliari. Il quarto è un interessante caso sulle poco conosciute “bier spots”. RACHITISMO IPOFOSFATEMICO X-LINKED E CRANIOSTENOSI
Abbiamo conosciuto Giulia e Sara (nomi di fantasia) all’età di 7 anni, quando sono venute in visita presso il nostro ambulatorio per la presa in carico. Sono due gemelle omozigoti affette da rachitismo ipofosfatemico diagnosticato all’età di 2 anni, entrambe con la stessa mutazione del gene PHEX sull’introne 21. Giulia è stata sottoposta all’intervento chirurgico per craniosinostosi all’età di 8 mesi. Entrambe presentavano un importante varismo agli arti inferiori che è progressivamente migliorato dopo l’avvio delle terapia con soluzione di Joulie e vitamina D. Durante la nostra visita le due gemelle erano in buone condizioni generali, Giulia presentava un varismo tibiale più marcato rispetto alla sorella, entrambe avevano una clinodattilia del quinto dito delle mani e una sindattilia del terzo e quarto dito dei piedi. Per un lieve strabismo abbiamo deciso di inviare Giulia a una visita oculistica che ha rilevato un papilledema bilaterale, suggestivo di un’aumentata pressione intracranica. Il nostro sospetto è stato poi confermato dalla RM dell’encefalo, che mostrava le tonsille cerebellari erniate di 12 mm e una contestuale erniazione della giunzione bulbo-midollare. L’apice del dente dell’epistrofeo raggiungeva quasi il clivus occipitale e improntava il bulbo, e non era più visibile il fisiologico film di liquor che circondava il tronco encefalico con le tonsille cerebellari erniate al forame magno. La TC preintervento mostrava una fusione completa della sutura sagittale legata alla scafocefalia. Giulia è stata sottoposta a un intervento di plastica parietale che ha ridotto l’entità dell’erniazione da 12 mm a 6 mm e ha ridotto l’erniazione della giunzione bulbo-midollare, con conseguente ripristino di un flusso adeguato di liquor nello spazio tra dente dell’epistrofeo e tronco encefalico. In considerazione del fatto che Giulia era completamente asintomatica, abbiamo deciso di sottoporre anche la sorella alla visita oculistica: Sara presentava il medesimo quadro ed è stata quindi sottoposta al suo primo intervento per la craniostenosi.
essere asintomatica, come per le nostre pazienti Giulia e Sara; anche Phillip Jasezuk e coll. descrivono due pazienti senza sintomi, ma con evidenza di papilledema all’esame oftalmologico e alterazioni della forma del cranio4. Gli Autori suggeriscono di prestare particolare attenzione alle misure antropometriche in tutti i pazienti con rachitismo ipofosfatemico X-linked e, in caso di alterazione delle stesse, come circonferenza cranica, indice cefalico, elevazione ossea sopra la fontanella anteriore, o ancora in caso di anomala forma del cranio o segni e sintomi di ipertensione endocranica, di sottoporre i pazienti a una TC del cranio4. Nel nostro caso l’esame oftalmologico si è rivelato un elemento utile nella ricerca di segni indiretti di ipertensione endocranica nei pazienti asintomatici. Già nel 1966 Willis e coll. raccomandavano di ricercare la craniostenosi in bambini affetti dalla suddetta patologia genetica con una radiografia del cranio ogni 2 anni durante l’età evolutiva finché i pazienti fossero asintomatici5. Le attuali linee guida per la diagnosi e gestione del rachitismo ipofosfatemico X-linked raccomandano, nella valutazione iniziale e in corso di follow-up, un’accurata ricerca di eventuali segni di craniostenosi o ipertensione endocranica e, inoltre, in tutti i pazienti sintomatici (alterata forma del cranio, vomito o cefalea persistente), l’esecuzione di una RM dell’encefalo e/o spinale per escludere una craniostenosi, una malformazione di Chiari tipo 1 o una siringomielia. In accordo con quanto suggerito dalle suddette linee guida, riteniamo che in età pediatrica l’esame più adeguato per seguire nel tempo questi bambini sia la RM dell’encefalo, esame facilmente realizzabile, non operatore-dipendente, riproducibile e ripetibile essendo privo di radiazioni ionizzanti. Per studiare il cranio evitando eccessive radiazioni mediante Rx o TC, viene consigliato l’utilizzo di una particolare sequenza in RM, la black bone sequence che permette un elevato contrasto di immagine tra osso e tessuti molli6. Il rachitismo ipofosfatemico X-linked è stato inoltre descritto come la causa metabolica più frequente di craniostenosi. In associazione a questa patologia la craniostenosi si presenta raramente prima dei 18 mesi di età e questo è legato al fatto che bassi livelli di fosfato plasmatico si sviluppano intorno ai 6-12 mesi7. Dobbiamo quindi pensare al rachitismo ipofosfatemico X-linked in tutte le craniostenosi a presentazione tardiva.
Cosa ci insegna questo caso Questo caso ci insegna che la craniostenosi deve sempre essere considerata come una possibile complicanza del rachitismo ipofosfatemico X-linked e che, potendo, è necessario proseguire il follow-up anche dopo l’intervento chirurgico1. L’associazione tra craniostenosi e rachitismo ipofosfatemico è nota fin dal 1951, quando è stata descritta per la prima volta da Imerslund2. Tale associazione non è affatto infrequente, infatti secondo la revisione di Currarino 13 su 24 pazienti con rachitismo ipofosfatemico X-linked presentano craniostenosi3. Secondo una case series multicentrica retrospettiva di 20 anni, con casistica di 10 pazienti con diagnosi di rachitismo, di cui 5 affetti dalla forma legata al cromosoma X e gli altri rappresentati da casi familiari autosomico-dominanti o secondari all’uso di antiacidi, elementi utili per diagnosticare la craniostenosi associata a questa patologia sono l’anomala forma del cranio, frequenti episodi di cefalea, papilledema e strabismo1. Tuttavia la craniostenosi può anche
Bibliografia 1. Vega RA, Opalak C, Harshbarger RJ, et al. Hypophosphatemic rickets and craniosynostosis: a multicenter case series. J Neurosurg Pediatr 2016;17 (6):694-700. 2. lmerslund O. Craniostenosis and vitamin D resistant rickets. Acta Pediat 1951;40:449. 3. Currarino G. Sagittal synostosis in X-linked hypophosphatemic rickets and related diseases. Pediatr Radiol 2007;37(8):805-12. 4. Jaszczuk P, Rogers GF, Guzman R, Proctor MR. X-linked hypophosphatemic rickets and sagittal craniosynostosis: three patients requiring operative cranial expansion: case series and literature review. Child Nerv Syst 2016; 32:887-91. 5. Willis FR, Beattie TJ. Craniosynostosis in X-linked hypophosphatemic rickets. J Paediatr Child Health 1997;33:78-9. 6. Haffner D, Emma F, Eastwood DM, et al. Clinical practice recommendations for the diagnosis and management of X-linked hypophosphataemia. Nat Rev Nephrol 2019;15(7):435-55. 7. Murthy AS. X-linked hypophosphatemic rickets and craniosynostosis. The Journal of Craniofacial Surgery 2009;20:22.
Vanessa Migliarino*, Andrea Magnolato IRCCS Materno-Infantile “Burlo Garofolo”, Trieste *Scuola di Specializzazione in Pediatria, Università di Trieste
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CASI INDIMENTICABILI in Pediatria ambulatoriale
UN PROLASSO NELL’AMBULATORIO... “SBAGLIATO”
Alessandro Daidone Scuola di Specializzazione in Pediatria, IRCCS Materno-Infantile “Burlo Garofolo”, Trieste Una bambina di un anno e 8 mesi viene portata presso il nostro ambulatorio di Gastroenterologia per la comparsa, una settimana prima, di un prolasso rettale ridotto manualmente in un ospedale periferico. Nata a termine, parto vaginale, non problemi perinatali. Peso alla nascita 3,330 kg. Latte di formula da subito, svezzamento avviato ai 6 mesi di vita con buona tolleranza. Sviluppo psicomotorio nella norma. Chiediamo alla madre se la bambina è stitica, ma ci viene riferito che evacua circa 4 volte al giorno feci morbide, oleose, mai sangue né muco. Alla visita la bambina si presenta in ottime
UN ITTERO NEONATALE COLESTATICO: SEMAFORO VERDE!
condizioni generali, rosea ed eupnoica. Obiettività toracica nella norma. Addome trattabile. Orifizio anale indenne, senza evidenza di ragadi. Peso 10,8 kg (25° centile), altezza 83,3 cm (50° centile). Prolasso rettale e steatorrea sono tra le indicazioni gastrointestinali all’esecuzione del test del sudore e, come ci insegnano già da studenti, questi segni devono far pensare alla fibrosi cistica come prima ipotesi. Pertanto la bambina viene sottoposta a test del sudore, risultato positivo (Na 83 mEq/l e Cl 100 mEq/l), poi confermato dalla genetica. Come dimostra uno studio condotto da Stern e coll., prima che venisse attuato lo screening neonatale per la fibrosi cistica, 112 su 605 fibrocistici (18,5%) avevano avuto un prolasso rettale e, tra questi, in 48 pazienti, il prolasso era stato il primo segno clinico di malattia. Take home message Prolasso rettale e steatorrea: pensa alla fibrosi cistica e fai il test del sudore.
UOC di Neonatologia, IRCCS Materno-Infantile “Burlo Garofolo”, Trieste
una colangiografia intraoperatoria per confermare la diagnosi. Il chirurgo ha riscontrato la completa atrofia delle vie biliari extraepatiche con evidenza di un residuo fibroso della colecisti, configurando un quadro di atresia delle vie biliari di tipo 3 per cui, dopo aver asportato i residui fibrosi delle vie biliari extraepatiche, è stata eseguita una porto-entero-anastomosi secondo Kasai.
Neonato nato a 41+5 settimane di età gestazionale da parto vaginale spontaneo, con perinatalità nella norma. In terza giornata di vita, per comparsa di ittero con valori di bilirubinemia elevati, ha eseguito un ciclo di fototerapia di 24 ore. Viene quindi dimesso in allattamento materno esclusivo. Il controllo in settima giornata evidenzia valori di bilirubinemia nuovamente molto elevati: bilirubina totale 20 mg/dl, viene quindi eseguita valutazione della bilirubina diretta che risulta elevata (5 mg/dl). Per tale motivo il bambino viene inviato presso il nostro Centro dove vengono eseguiti approfondimenti diagnostici: agli esami ematici emerge un quadro di colestasi, con la frazione di bilirubinemia diretta aumentata fino a un valore di 5,1 mg/dl pari al 35% della bilirubina totale, anche le gamma-GT sono aumentate fino al valore di 392 UI/l, così come i sali biliar; AST e ALT invece risultano nella norma durante i primi giorni di ricovero. Obiettivamente il bambino appariva in ottime condizioni generali, con cute itterica e restante obiettività negativa. Le feci e le urine erano sempre di aspetto del tutto normale durante le prime due settimane di vita. Ci siamo quindi trovati di fronte a un quadro di ittero neonatale colestatico con valori di bilirubina diretta in aumento, che per definizione è un riscontro patologico che va sempre indagato opportunamente e considerato un’atresia delle vie biliari fino a prova contraria. È stata eseguita un’ecografia dell’addome focalizzata alle vie biliari che, ripetuta in due occasioni, confermava la mancata visualizzazione della colecisti. Questo reperto, assieme alla negatività delle indagini per escludere le altre cause di colestasi neonatale (sierologie TORCH e virus epatotropi, deficit di alfa1-antitripsina, sindrome di Alagille, fibrosi cistica), poneva il forte sospetto di atresia delle vie biliari. In accordo con il gastroenterologo e il chirurgo, a 14 giorni di vita il bambino è stato quindi portato in sala operatoria per eseguire
L’atresia delle vie biliari (AVB) è una patologia fibro-obliterativa delle vie biliari extraepatiche idiopatica e progressiva. Ha un’incidenza di circa 1/10.000-1/20.000 nati vivi e costituisce la prima causa di trapianto di fegato in età pediatrica. Si presenta tipicamente in bambini a termine, sani e con ottima crescita, con un ittero colestatico accompagnato da feci acoliche e urine ipercromiche. Agli esami del sangue si evidenzia un rialzo della frazione diretta della bilirubina oltre i 2 mg/dl, con un rialzo delle gammaGT e le transaminasi possono essere mosse o moderatamente elevate. La diagnosi di AVB può avvalersi dell’ecografia, che può evidenziare alterazioni tipiche come la mancata visualizzazione della colecisti o il triangular cord sign; può avvalersi anche della biopsia epatica, che è utile per escludere altre cause di epatite colestatica quali la sindrome di Alagille e il deficit di alfa-1-antitripsina. La diagnosi definitiva si pone però con la colangiografia intraoperatoria che, una volta confermata, pone indicazione alla terapia di prima linea che è costituita dall’intervento chirurgico di epatoporto-entero-anastomosi secondo Kasai. È di vitale importanza mantenere alto il sospetto e fare diagnosi quanto prima perché tanto più è precoce l’intervento chirurgico (preferenzialmente entro i 60 giorni di vita) tanto più la probabilità di successo aumenta e la necessità di trapianto di fegato si riduce. Nel nostro Centro lo screening dell’AVB viene effettuato consegnando, alla dimissione dal Nido, un foglio con la colorimetria delle feci del neonato in modo da individuare precocemente un’eventuale comparsa di feci ipo-acoliche e di portare il bambino all’attenzione del medico quanto prima. Per quanto riguarda il nostro caso, non vi era stata alcuna storia di feci ipocoliche e siamo giunti alla diagnosi grazie a un dosaggio della bilirubina diretta fatto quasi “per scrupolo”. Questo caso è stato per noi indimenticabile perché un riscontro laboratoristico occasionale ha permesso la pronta diagnosi e il trattamento di una patologia molto severa, massimizzando quindi l’outcome e minimizzando il rischio di trapianto di fegato.
Francesco Maria Risso
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A TUTTA BIER SPOTS
Fiorenza Panin Azienda Ospedaliera Universitaria Meyer, Firenze Un undicenne giunge nell’ambulatorio di Dermatologia pediatrica. L’appuntamento è stato atteso a lungo dalla madre, che appare molto preuccupata: il bambino presenta, da un anno, discromie puntiformi sul dorso delle mani e sugli avambracci. Tali lesioni sono state trattate precedentemente con steroidi topici e antimicotici senza alcun risultato. All’anamnesi emerge che il bambino è seguito da dietiste per obesità, per il resto è tutto negativo. Le lesioni appaiono più accentuate quando il bambino tiene le braccia in posizione declive o quando preme con le mani contro una superficie. Bollicine bianche... Bollicine di bi... bi... birra? No, “bier spots”. Rappresentano una rara tipologia di screzio vascolare, spesso confuso con discromie cutanee. Colpisce maggiormente le femmine, tendenzialmente i giovani adulti, ed esiste solo un report prima dei 12 anni. L’interessamento è prevalentemente a carico (in ordine di frequenza) di arti superiori, arti inferiori e tronco. La patogenesi non è nota. Alcuni Autori ritengono che siano causate da una risposta fisiologica di piccoli vasi cutanei a una ipertensione venosa o, forse, sono dovute a ipossia tissutale come risultato di vasocostrizione di piccoli vasi. Studi di velocitometria Doppler dimostrano che nelle aree rosse c’è una relativa vasodilatazione, mentre nelle aree più chiare si ha costrizione. Tali manifestazioni sono generalmente provocate o accentuate quando l’arto affetto è posto in una posizione “pendente” o mettendo un laccio attorno all’arto. Le lesioni non sono più visibili alla diascopia (come un nevo anemico), con elevazione dell’arto o dopo la rimozione del laccio. Nella maggior parte delle circostanze le bier spots sono idiopatiche, auto-limitanti e non richiedono trattamento. Nonostante tutto è necessario, per evitare inutili trattamenti/distress psicologici, fare diagnosi differenziale dalle: • macule ipopigmentate della vitiligo; • pitiriasi alba; • ipopigmentazione postinfiammatoria; • pitiriasi versicolor; • nevo anemico/ipocromatico.
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Sono descritte associazioni con: • scleroderma renal crisis; • gravidanza; • coartazione/ipoplasia aortica; • alopecia areata; • sindrome di Peutz-Jeghers; • tachicardia; • iperidrosi palmare. Infine, è descritto che possono essere la manifestazione cutanea del linfedema degli arti inferiori.
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Anno XXIII Numero 7
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Queste pagine rappresentano la finestra su “Medico e Bambino” cartaceo dei contributi originali delle pagine elettroniche. I testi in extenso sono pubblicati on line.
Ricerca SARS-COV-2 E PEDIATRIA TERRITORIALE: ARMAGEDDON O STIMOLO PER RIORGANIZZARE IL NOSTRO MODO DI LAVORARE? Irene Bonicelli, Romeo Carrozzo, Marzia Bacchini, Monica Altobelli, Chiara Caldiani, Nicoletta Pellegrini, Alberto Vitali, Danila Mariani Pediatri di famiglia, ATS Bergamo Indirizzo per corrispondenza: pediatra.bonicelli@gmail.com
SARS-COV-2 AND PAEDIATRIC PRIMARY CARE: ARMAGEDDON OR A CHALLENGE TO REORGANIZE FAMILY PAEDIATRICIANS’ WORK?
Key words Covid-19, Sars-CoV-2, Paediatric primary care Summary Bergamo and its surrounding province were deeply involved in the Covid-19 outbreak in Italy, with more than 14,000 people infected by SARS-CoV-2 by July 2020. The lockdown procedures enacted by the Italian Government to restrain the spreading of the infection limited the access to Primary Care units during the pandemic. Data from 88 family paediatricians working in the province of Bergamo in the period 25th February - 3rd May 2020 were collected and compared with those of the same time interval in 2019 showing a reduced number of accesses during the SARS-CoV-2 pandemic that led to a decreased employment of diagnostic self-help procedures and drug prescriptions, but also to a significant reduction in the number of medical interventions for preventive medicine, such as periodic health care assessments and recommended hip-echography in newborns. Also a significant increase in the number of interactions with families by remote communication tools, such as video calls, e-mails and WhatsApp messages, was reported. The paper describes some initiatives that involved the entire paediatric community of Bergamo and aimed to strengthen mutual help and improve the quality of paediatric care. It also reports some of the medical and personal issues that paediatricians faced in Val Seriana, the most deeply struck region, underlying that their noticeable experience was precious during the pandemic.
Secondo i dati della Protezione Civile e dell’ISTAT la provincia di Bergamo è stata fra quelle che hanno presentato un maggior numero di soggetti infetti da Sars-CoV-2. La Val Seriana è stata fra le zone della bergamasca maggiormente colpite da Covid19. Il progetto “A POIS”, Attività Pediatri Orobici e Impatto Sars-CoV-2, organizzato da un Gruppo di lavoro di pediatri di famiglia (PdF), si è proposto di esplorare/misurare l’impatto della pandemia sulle attività e le modalità di lavoro dei PdF stessi. Obiettivi - Gli obiettivi del progetto sono stati così definiti: 1) Obiettivo primario: misurare le differenze quantitative nelle prestazioni erogate da parte dei PdF della provincia di Bergamo durante la fase-1 dell’emergenza Sars-CoV-2 nell’anno 2020 (Y-2020) rispetto allo stesso periodo dell’anno 2019 (Y-2019);
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CONFRONTO DELLE PRESTAZIONI (2019 VS 2020) Y-2019 Y-2020 Delta Visite Campione PdF* (n) 87 88 Numero medio/PdF 637 181 –71,6% Numero totale 55.426 15.955 Bilanci salute Campione PdF* (n) 87 88 Numero medio/PdF 103 45 –56% Numero totale 8983 3995 Prestazioni di particolare impegno professionale** Campione PdF* (n) 86 87 Numero medio/PdF 58 17 –71% Numero totale 4997 1437 *I rimanenti PdF hanno risposto “non so”, oppure il dato non era valutabile; **sono state considerate soltanto PCR, stick urine e tampone faringeo.
Tabella I
2) Obiettivi secondari: 2a) misurare l’impatto di Sars-CoV-2 sulle modalità di comunicazione dei PdF con le famiglie; 2b) misurare le differenze quantitative nelle prestazioni erogate in aree con differenti prevalenze dei contagi, in particolare confrontando la Val Seriana con il resto della provincia. Metodi e risultati - A tutti i PdF della provincia di BG è stato chiesto via e-mail di compilare un questionario (Q) costituito da 26 domande. Unitamente al Q è stata inviata la sinossi del progetto, chiedendo la formale richiesta di adesione allo stesso. Molte delle domande facevano esplicito riferimento al confronto Y-2020 vs Y-2019 nello specifico periodo di lockdown SARS-CoV-2. Il periodo di riferimento è stato definito come l’intervallo fra il 24 febbraio e il 3 maggio (47 giorni lavorativi Y2019, 48 Y-2020). Per l’analisi dei risultati sono stati utilizzati indici statistici descrittivi (medie, indici di variabilità). Sono stati invitati n = 127 PdF alla compilazione del Q. Il tasso di ritorno dei Q correttamente compilati è stato pari a 88/127 (69%) (Tabella, disponibile online). Il confronto fra le prestazioni effettuate nel periodo di lockdown ha evidenziato una riduzione consistente nel Y-2020 vs Y-2019 (Tabella I). Le prestazioni di prevenzione in scadenza nel periodo di riferimento, ma non effettuate, ribadiscono il medesimo messaggio (Tabella II). Analizzando le prescrizioni farmacologiche nei periodi di riferimento (numero di confezioni prescritte in fascia A), è emerso una riduzione dei farmaci totali del 39,6% e degli antibiotici del 53,8% (Tabella III). Tuttavia è risultato un aumento della prescrizione di antibiotici rapportata al numero delle visite effettuate in ambulatorio nel Y-2020 (Figura disponibile online). Quanto all’utilizzo degli strumenti telematici, i PdF hanno dichiarato, nel confronto Y-2020 vs Y-2019, di avere incrementa-
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CONFRONTO DELLE PRESTAZIONI DI PREVENZIONE (2019 VS 2020) Y-2019 Y-2020 Delta Ecografie (anche programmate e non effettuate) Campione PdF* (n) 74 78 Numero medio/PdF 0,7 4,6 +557% Numero totale 51 362 Bilanci di salute in scadenza e non effettuati Campione PdF* (n) 68 78 Numero medio/PdF 14 35 +150% Numero totale 1243 2755 *i rimanenti PdF hanno risposto “non so”, oppure il dato non era valutabile.
Tabella II
CONFRONTO DELLE PRESCRIZIONI FARMACOLOGICHE (2019 VS 2020) Campione PdF* (n) Tutti i farmaci Solo antibiotici
Y-2019 82 35.029 15.291
Y-2020 84 21.137 7056
Delta –39,6% –53,8%
–10,3 33,4% 43,7% Antibiotici/tutti i farmaci (rapporto sui totali) *i rimanenti PdF hanno risposto “non so”, oppure dato non valutabile.
Tabella II
to l’uso di quelli già adottati (66%) o di averne introdotto di nuovi (32%). Un elemento caratteristico del lockdown è rappresentato dalle peculiari modalità di comunicazione con le famiglie. La distribuzione dei PdF rispetto al tema degli strumenti di comunicazione evidenzia un incremento significativo dei PdF che hanno fatto uso di WhatsApp, collegamenti video ed email nel Y-2020 vs Y-2019 (Figura 1). Un’informazione altrettanto rilevante riguarda il personale che opera nello studio medico durante il periodo di lockdown (rispetto ai periodi di normale attività). La figura dell’infermiere di studio medico è scarsamente rappresentata (solo il 27% dei PdF ne fa uso), mentre la figura di segreteria è più rappresentata (presente in circa 2/3 degli studi PdF). I PdF che hanno risposto segnalano durante il lockdown un’importante riduzione nell’utilizzo di entrambe le figure: infermiere 22/24 (92%), segreteria 46/58 (79%). Discussione - La situazione sanitaria e le disposizioni regionali in materia di accesso agli studi medici a seguito di SARS-CoV2 hanno modificato le modalità di assistenza nelle Cure primarie. Il campione di Q raccolti garantisce una copertura significativa del territorio (69% dei PdF) e una buona rappresentanza di tutte le aree; esso è quindi sufficientemente robusto e in grado di descrivere in modo efficace la risposta dell’intera provincia. Si è osservata una riduzione importante nel numero di visite (-71,6% di visite totali, -56% bilanci di salute) e di prestazioni di self-help in studio (-71%). La diminuzione delle visite per acuti e la minore prescrizioni di farmaci in fascia A e, nello specifico, di antibiotici, può essere
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messa in relazione con la riduzione della patologia, in particolar modo riferita al tratto respiratorio, verosimilmente legata alla sospensione della frequenza di comunità. Anche il timore di contrarre l’infezione presso gli ambulatori di Medicina di base e la Delibera Regionale, che impediva l’accesso agli studi territoriali per i pazienti sintomatici, hanno giocato un ruolo nel ridurre gli accessi. È verosimile che la riduzione del lavoro di prevenzione possa avere un impatto non irrilevante sulla salute della comunità pediatrica bergamasca. Se consideriamo un’incidenza di displasia dell’anca pari a 2-3 su 1000 nati vivi, è atteso che la mancata esecuzione della ecografia delle anche nella popolazione dei lattanti bergamaschi durante il periodo di lockdown determini l’occorrenza di un nuovo caso di displasia dell’anca non identificato fra gli assistiti dei PdF che hanno risposto alla domanda. Di più difficile valutazione è l’impatto sulla salute della mancata esecuzione di un numero rilevante di bilanci di salute, che comunque potrà essere oggetto di successivi studi. La riduzione osservata nella prescrizione dei farmaci in fascia A, ancora più significativa nel segmento antibiotici, non corrispondeva alla percezione dei PdF di aver prescritto più antibiotici (non potendo visitare direttamente, ma solo tramite contatti telematici, l’impressione era di essere stati più cauti nella scelta della prescrizione antibiotica). Tuttavia comparando il rapporto “n. confezioni antibiotico/visite totali” sui due anni, si evidenzia un aumento nella prescrizione antibiotica rispetto alle visite effettuate nel Y-2020. L’aumento della prescrizione di antibiotici rapportata al numero delle visite effettuate in ambulatorio nel Y-2020, può essere attribuibile sia al minor ricorso alla visita ambulatoriale per patologie e sintomi di lieve entità sia al maggior ricorso alla via telematica di prescrizione. L’analisi degli strumenti impiegati per comunicare con le famiglie ci ha mostrato una generalizzata tendenza da parte dei PdF a cercare nuovi strumenti per supplire alla carenza della visita. Per mantenere il proprio ruolo di referenti di famiglia, i PdF sono stati costretti a sostituire le classiche modalità di diagnostica e supporto alle famiglie introducendo l’utilizzo di WhatsApp, e-mail e contatti video. Si aprono nuove prospettive nell’immaginare modelli organizzativi più flessibili per gestire la Medicina territoriale. Ad esempio si potrebbero definire protocolli sicuri in cui i nuovi strumenti possano avere un ruolo nel rispondere alle nuove richieste delle famiglie (consulti per la gestione domestica di patologie non gravi, orari più ampi di contattabilità di personale con competenze specialistiche in Pediatria ecc.). Il minore impiego del personale di studio è verosimilmente da attribuirsi a più fattori: a) meno visite in studio; b) maggiore necessità di contatto diretto medico-paziente per triage telefonico e supporto operativo alle famiglie. Fra i limiti dello studio segnaliamo la natura retrospettiva di questa indagine territoriale. Nuove iniziative - Di fronte allo tsunami che ci travolgeva abbiamo messo in atto alcune iniziative per cercare di rispondere ai nuovi scenari. Di seguito ne elenchiamo alcune: 1) reperimento dei dispositivi di protezione individuale (DPI); 2) come PdF, non potendo visitare in studio i bambini con sintomatologia simil-influenzale, abbiamo organizzato le Unità Speciali di Continuità Assistenziale Pediatriche (USCAp) per poter visitare i nostri pazienti in isolamento. Hanno aderito 63 su 127 PdF; di questi 63, 23 hanno dato la propria disponibilità a offrire lo stesso servizio a pazienti anche non propri, nelle aree della Val Seriana, Val Brembana e Bergamo città; 3) gruppo di lavoro per interfaccia con referenti ospedalieri. La pandemia Covid ha sottolineato la necessità di una rete
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Figura 1. Pediatri di famiglia e modalità di comunicazione con le famiglie nel periodo di lockdown.
ospedale-territorio. Si è costituito un gruppo di lavoro che ha iniziato a programmare incontri periodici con i colleghi ospedalieri; 4) l’ambizione è quella di proseguire con ulteriori lavori in grado di fotografare la realtà bergamasca, al fine di dare risposte operative a nuovi scenari. Quello che i dati non dicono - Al di là del puro dato quantitativo relativo alla nostra attività, noi pediatri di famiglia della Val Seriana, abbiamo vissuto un’esperienza professionale e umana drammaticamente unica. Accanto allo smarrimento iniziale, la paura ha investito sia i numerosi fra noi che, nelle prime settimane, si sono purtroppo ammalati, sia i pochi che sono rimasti a sostituire gli assenti, nella speranza di non cadere vittima del Covid. I pediatri colpiti da Covid, alcuni con sintomi seri, per quanto loro possibile hanno continuato a sostenere le famiglie dei loro assistiti: quasi tutte hanno avuto almeno un malato in famiglia, molte sono state travolte dal lutto. Prima ancora che pediatri, molti di noi si sono riscoperti “Medici”. Abbiamo ascoltato solitudini e pianti e offerto indicazioni cliniche, anche con ufficiale teleassistenza medica ai comuni li-
Caso indimenticabile MALFORMAZIONE ANGIODISPLASTICA E USO DEL SIROLIMUS Anna Maria Chiara Galimberti1, Serena Pastore1, Giovanna Ventura1, Elisabetta Cattaruzzi2 1 Clinica Pediatrica, 2Radiologia, IRCCS Materno-Infantile “Burlo Garofolo”, Trieste Indirizzo per corrispondenza: annamachigalimberti@gmail.com
Ragazzo di 13 anni che come tanti coetanei ama giocare a calcio. Quando lo conosciamo i suoi occhi (e quelli della mamma) sono carichi di preoccupazione perché da più di 4 anni non riesce più a giocare a pallone. E neanche a sedersi. E neanche a correre.
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mitrofi, gestendo, in piena responsabilità personale, casi severi meritevoli di ospedalizzazione in periodo “normale”. Alcuni di noi si sono messi a disposizione non solo dei bambini ma anche di adulti e intere famiglie, malati e soli abbandonati al proprio domicilio, ponendosi a fianco dei medici di Medicina generale, così duramente coinvolti, rimasti operativi. Il sottile filo che prima univa ciascuno di noi, è diventato una tela, robusta e protettiva. Ci siamo quotidianamente sostenuti, malati e sani, a non mollare, siamo stati solidali e aperti al confronto continuo per uniformarci e migliorare professionalmente. Abbiamo assistito a un’iniziale vera e propria metamorfosi positiva da cui, per ora, e speriamo sempre più, si sprigiona, non solo rammarico per l’isolamento subito dal medico territoriale, ma soprattutto energia per un ruolo assistenziale nuovo che, speriamo, venga colto e perseguito da tutti.
Ringraziamenti - Dall’intero gruppo di lavoro del progetto A POIS un sentito ringraziamento a tutti gli 88 pediatri di famiglia contributori (elenco disponibile online). Si ringrazia SiMPeF per il ruolo di promotore. Si ringrazia infine Roberto Buzzetti per i preziosi consigli in fase di elaborazione dei dati.
La colpa è di una malformazione vascolare angiodisplastica che si è sviluppata nel muscolo vasto mediale della coscia. La malformazione causa dolore e gonfiore al ginocchio con facile affaticabilità e impossibilità a flettere completamente l’arto. Sono stati precedentemente tentati due interventi terapeutici di scleroterapia, senza nessun beneficio. Nel tempo il ragazzo sviluppa una progressiva ipotrofia muscolare omolaterale a causa della scarsa mobilità del ginocchio e una sempre maggiore incapacità ad affrontare diverse attività quotidiane. Cosa fare? Ritentare con la scleroterapia? Intervenire chirurgicamente? La malformazione è rifornita da troppi vasi afferenti e così ben anastomizzati tra di loro per poter essere trattata con la sola scleroterapia. L’intervento chirurgico sarebbe demolitivo: bisognerebbe rimuovere una porzione di muscolo tanto estesa da
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determinare un esito certamente invalidante sul ginocchio del ragazzo. La letteratura riporta sempre più casi di malformazioni vascolari in età pediatrica trattate efficacemente con il sirolimus, farmaco che svolge un’azione anti-proliferativa grazie all’inibizione di mTOR. Decidiamo quindi di dargli una chance e avviamo la terapia con 1 mg al giorno di sirolimus, rivendendolo in ambulatorio ogni due mesi per controllare la clinica, l’emocromo, la creatinina, la sirolemia e le transaminasi. Dopo solo sei mesi di terapia con sirolimus il miglioramento clinico è impressionante! Osserviamo una riduzione volumetrica misurabile della tumefazione e un netto miglioramento funzionale della flessione del ginocchio. Il ragazzo è di nuovo in grado di giocare a calcio, di correre e di sedersi senza dolore! Non abbiamo registrato effetti collaterali. Per monitorare la risposta clinica alla terapia è stato utilizzato uno score specifico che indaga la qualità di vita dei bambini con malformazioni vascolari (la versione olandese di Infantile Haemangioma Quality of Life, D-IH-QoL). Il nostro ragazzo è passato da un punteggio di partenza di 55/116 a uno di 5/116 dopo soli 6 mesi di terapia. Anche la risonanza magnetica di controllo ha mostrato una riduzione dell’edema e un aspetto meno compatto della malformazione vascolare (Figura 1). Tuttavia il miglioramento radiologico non è stato altrettanto eclatante e soddisfacente se confrontato con quello clinico. Ma noi siamo felici lo stesso, perché alla fine quello che conta è che il ragazzo adesso può correre!
Figura 1. RM del paziente a confronto (anni 2015 e 2018). a. Proiezioni assiali in STIR a confronto. b. Proiezioni coronali in STIR a confronto. Le immagini mostrano un’importante riduzione delle lacune vascolari nel tempo.
Il caso è indimenticabile perché ci ha permesso di osservare concretamente l’efficacia clinica del sirolimus nel trattamento delle malformazioni vascolari.
La versione full text degli articoli è disponibile on line
Le pagine elettroniche (pagine verdi) riportano la sintesi di alcuni dei contributi che compaiono per esteso sul sito web della rivista (www.medicoebambino.com). Il sommario delle pagine elettroniche è riportato a pag. 413. La provincia di Bergamo è stata tra quelle maggiormente colpite in Italia dall’epidemia da SARS-CoV-2. Nella Ricerca sono stati raccolti i dati relativi all’attività ambulatoriale di 88 pediatri operanti in provincia di Bergamo durante il periodo 25 febbraio - 3 maggio 2020, e confrontati con quelli dell’analogo periodo del 2019, per esplorare/misurare l’impatto della pandemia sulle attività e le modalità di lavoro dei pediatri di famiglia. Il Caso contributivo conferma l’importanza di una diagnosi precoce della sindrome emolitico-uremica per migliorare la prognosi e ridurre la frequenza delle complicanze. Le cadute del neonato rappresentano un aspetto particolare della sicurezza del reparto di Maternità, problematica di recente sottolineata anche dalla Società Italiana di Neonatologia: se ne parla in Pediatria per l’ospedale. Nei Casi indimenticabili: l’efficacia clinica del sirolimus nel trattamento delle malformazioni vascolari e due tipi di torcicollo... uno resistente (granuloma eosinofilo) e uno ricorrente (sarcoma di Ewing/tumore neuroectodermico primitivo extraosseo). Nei Poster degli specializzandi: la dexmedetomidina intranasale, un farmaco sicuro per la sedazione procedurale nel neonato ex prematuro; una cefalea che nasconde uno pseudotumor cerebri; un vomito rivelatore di un disturbo dello spettro autistico. Vi aspettiamo anche online!
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D ermo m@ il
a cura di Irene Berti
Ragazzo di 17 anni. Da circa 2 mesi presenta un’eruzione cutanea con interessamento della regione perioculare destra, dell’ala nasale destra e in parte del cuoio capelluto. Provata applicazione di un collirio cortisonico/antibiotico endo-oculare con miglioramento transitorio e di un cortisonico in crema sulla pelle, con regressione e successiva recidiva. Hanno un cane. Nonna materna con storia di psoriasi. Negati altri sintomi, in particolare non dolori articolari. Tinea o psoriasi? Una pediatra di famiglia
Non mi sembra proprio una tinea, forse l’area circolare in corrispondenza dell’ala del naso, ma la regione perioculare e l’attaccatura dei capelli orientano molto per una psoriasi. Questo giustificherebbe anche la regressione con lo steroide topico, seppur seguita da recidiva. Per psoriasi localizzate non c’è indicazione a fare di più rispetto all’applicazione di un cortisonico topico eventualmente associato a calcipotriolo in fase acuta ed emollienti nel mantenimento.
Bambino di quasi 3 anni. Da circa 3 mesi presenta una lesione eritematosa e leggermente rilevata a decorso lineare, che dalla regione glutea destra si porta lungo l’arto inferiore destro fino al cavo popliteo per riprendere sul polpaccio. Non ha prurito. Ho prescritto uno steroide locale senza beneficio. Non familiarità per malattie cutanee. Non saprei proprio orientarmi, non mi sembra un eczema ma nemmeno una fitofotodermatite, che potrebbe avere un decorso simile ma sarebbe regredita più in fretta.
Dura a lungo (anche molti mesi, a volte anni), si caratterizzata inizialmente per la presenza di pupulette non pruriginose, leggermente arrossate che si schiariscono e si appiattiscono, fino a lasciare una stria piana ipocromica. Alla fine la risoluzione è comunque completa, senza esiti cicatriziali.
Di solito non sono necessarie terapie, anche perché nulla è efficace nel modificarne la storia naturale. Nei casi in cui si apprezzi infiammazione (ad es. da sfregamento o grattamento), può essere applicato uno steroide locale al bisogno.
Un pediatra
Il quadro, per aspetto e andamento, orienta verso un lichen striato, dermatosi a carattere autorisolutivo, di tipo infiammatorio-immunologico, scatenata verosimilmente da un evento esterno non precisato (virus?). Il decorso lineare lungo le linee di Blaschko, che può essere anche “a banda”, come si osserva in questo bambino a livello del polpaccio destro, è molto caratteristico.
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PUBBLiREDAZiONALE
PROBIOTICI IN ETÀ PEDIATRICA:
EVIDENZE NELLA PREVENZIONE DELLA DIARREA DA ANTIBIOTICO L’equilibrio della flora batterica intestinale è di fondamentale importanza per il benessere dell’organismo, a tutte le età, dal primo giorno di vita. La mancanza di equilibrio tra le varie forme
Abiflor Baby in breve
batteriche che colonizzano il nostro intestino può facilitare
• Grazie all’azione sinergica dei 2 ceppi Lactobacillus reuteri LRE02
l’ingresso di batteri patogeni e portare a una condizione di
(200 milioni di cellule vive) e Lactobacillus rhamnosus LR04 (1
disbiosi, in particolare in seguito a disturbi intestinali e dopo
miliar do di cellule vive), Abiflor baby® è u�le per favorire l’eubiosi
terapie antibiotiche.
fin dal primo giorno di vita. In par�colare, è indicato in caso di
La diarrea da antibiotico insorge, a seconda dell’età, in 1 caso
gastroenteri� acute, coliche, s�psi, dischezia e disbiosi associata a
ogni 3-5 bambini trattati in ambulatorio dal pediatra di famiglia.
terapia an�bio�ca.
Molte società scientifiche (l’ESPGHAN, l’Accademia Americana di
• Con�ene ceppi ba�erici microincapsula�. La microincapsulazio-
Pediatria) raccomandano l’uso di specifici probiotici durante la
ne è una par�colare tecnologia di rives�mento delle cellule ba�eri-
terapia antibiotica per la prevenzione della diarrea da antibiotico,
che che incrementa la resistenza dei microrganismi probio�ci
soprattutto in bambini di età inferiore a 2 anni.
durante il transito gastro-duodenale, consentendo loro di arrivare
Oggi abbiamo a disposizione formulazioni sempre più innova�ve
vivi e a�vi fino all’intes�no, con una resa 5 volte superiore.
di ceppi probio�ci seleziona� che hanno dimostrato una specifi-
• Il prodo�o è “allergen-free”: garan�sce l’esclusione totale di
ca attività di contrasto sulla disbiosi causata dagli an�bio�ci.*
sostanze potenzialmente allergizzan�, come proteine del la�e
Tra questi Abiflor Baby® rappresenta una assoluta innovazione
vaccino e della soia, glu�ne, e l’assenza di fru�osio e saccarosio
nel mondo dei probiotici. Esso associa 2 ceppi ba�erici apparte-
(intolleranza ereditaria al fru�osio), aspe�o di notevole importanza
nen� alle “famiglie”più u�lizzate e più studiate in pediatria:
per tu� i bambini e in par�colare nel la�ante.
Lactobacillus reuteri LRE02 (DSM 23878) e Lactobacillus rhamno-
• Garan�sce la vitalità di tu� i ceppi
sus LR04 (DSM 16605) hanno dimostrato di avere effetti immu-
contenu� fino alla data di scadenza.
nomodulatori e/o immunos�molan� e vengono spesso u�lizza� come coadiuvan� nella cura di gastroenteri� acute, per la prevenzione e la cura delle coliche infan�li, della s�psi e della disbiosi
I ceppi sono termostabili, pertanto non necessita di par�colari condizioni di conservazione.
associata a terapia an�bio�ca. Proprio questi due ceppi, in virtù delle loro peculiarità, sono stati scelti per l’avvio di un nuovo studio volto a indagarne l’efficacia
• Posologia: per bambini da 0 a 3 anni 5 gocce/die.
nel prevenire la diarrea da an�bio�co, la diarrea nosocomiale e le recidive di mala�a. L’importante studio scientifico, randomizzato, in corso, coinvolge circa 10.000 bambini su tutto il territorio nazionale e ha come oggetto di indagine due condizioni particolarmente diffuse in età pediatrica: la diarrea da antibiotico e quella nosocomiale che varia dal 5 al 11%, a seconda delle casisti-
La linea ABI Probiotici di Aurora Biofarma
che proprie dei vari Paesi europei”. Oggi la conoscenza più approfondita dei singoli ceppi di batteri
Ogni organo, dall’intes�no allo stomaco, ha il suo microbiota: i
probiotici, delle loro peculiari caratteristiche e della possibilità di
probio�ci della linea ABI (Aurora Biofarma Innova�on), nata dalla
associarli per creare utili sinergie sta aprendo la strada a quella
ricerca di Aurora Biofarma, agiscono per competenza d’organo con
che è la tecnologia applicata alla medicina, per un approccio alla
azione ceppo-specifica, andando a competere esa�amente con i
patologia e al paziente sempre più personalizzato.
microrganismi patogeni da comba�ere, diversi a seconda del disturbo e dell’organo su cui intervenire.
*Preidis GA, Weizman AV, Kashyap PC, Sadeghirad B, Morgan RL. AGA Technical Review on the Role of Probio�cs in the Management of Gastrointes�nal Disorders. Gastroenterology 2020.
Per saperne di più, visita il sito www.abiprobiotici.it
XXXIII CONFRONTI IN PEDIATRIA
Trieste, 11-12 dicembre 2020 TRIESTE CONVENTION CENTER MAGAZZINO 28 PORTO VECCHIO (TS)
Confronti
venti venti il cammino della Pediatria tra certezze, dubbi e ribaltoni CONFRONTI SI PARTE!!! SONO APERTE LE ISCRIZIONI!!! Giovedì 10 dicembre
16.10 Adolescente 2020: ci sono domande in sala? A. Zuddas, A. Albizzati introduce con un caso D. Sambugaro e uno specializzando
CONFRONTI GIOVANI – fuori ECM
14.00 I Poster specializzandi discussi col professore E. Barbi, G. Maggiore Specializzandi ed Esperti a confronto sui casi: 15.30 Allergia Alimentare L. Badina 16.30 Neuropsichiatria e dintorni S. Carucci 17.30 Il quizzone degli specializzandi
17.00 Coffee break
8.40 Saluto delle autorità SESSIONE PLENARIA modera A. Ventura 8.50 Tosse: quando è troppa e quando è troppo poca... G. Longo, A. Amaddeo introduce con un caso G. Ventura e uno specializzando 9.40 Dipendenze: da Internet, dai social e... da altri aggeggi A. Skabar, A. Milone introduce con un caso L. Basile e uno specializzando 10.30 Farmaci biologici: cosa deve sapere il pediatra (a cura di specializzandi d’Italia) introduce con un caso P. Pecile
17.30 SESSIONI PARALLELE · Il bambino con le transaminasi alte G. Maggiore, M. Bramuzzo introduce con un caso A. Ravaglia e uno specializzando · Genetica clinica 2020, caso per caso. Dubbi e certezze, segni clinici che possono sfuggire, scelta degli esami genetici da fare e ipotesi di cura, attraverso i quiz degli esperti (… e le vostre domande) A. Selicorni, F. Faletra introduce con un caso A. Ruggeri e uno specializzando · Pediatria e nutrizione: dal latte materno... agli OGM. Buoni consigli al vaglio delle evidenze G. Di Leo, R. Defez introduce con un caso M. G. Pizzul e uno specializzando
11.30 Coffee break
18.30 Fine lavori della giornata
Venerdì 11 dicembre
12.00 SESSIONI PARALLELE · Tutto ciò che può dirci l’emocromo U. Ramenghi, M. Rabusin introduce con un caso M. Innocente e uno specializzando · Il pediatra con l’oro in bocca. Ovvero: il pediatra e la salute orale M. Cadenaro, S. Pizzi introduce con un caso M. Mayer e uno specializzando · Esame delle urine 2020: certezze senza ribaltoni? F. Emma, M. Pennesi introduce con un caso S. Rizza e uno specializzando 13.00 Lunch SESSIONE PLENARIA Modera E. Barbi 14.30 Vaccinazioni 2020: come condividere dubbi e certezze G. Corsello, F. Marchetti introduce con un caso D. Ferrara e uno specializzando 15.20 Dermatologia pediatrica attraverso i casi. Ovvero: dubbi e certezze in diretta M. Cutrone, I. Berti introduce con un caso S. Denti e uno specializzando
Sabato 12 dicembre
SESSIONE PLENARIA 8.00 Ancora specializzandi alla ribalta fuori ECM Moderati da E. Barbi, G. Maggiore, A. Ventura 8.50 “San cortisone”: dubbi, certezze e ribaltoni, appunto E. Barbi, F. De Benedetti modera G. Maggiore, A. Ventura introduce con un caso S. Castelli e uno specializzando 9.40 Questioni di genere G. Tornese, M. Mosconi Modera G. Maggiore, A. Ventura introduce con un caso F. Marolla e uno specializzando 10.30 Disturbo somatico: più matti... che NPI G. Masi, G. Cozzi Modera A. Albizzati, E. Barbi introduce con un caso D. Mariani e uno specializzando 11.20 Premiazioni degli specializzandi 11.30 Coffee break 12.00 Pediablob G. Longo, E. Barbi, A. Ventura 13.00 Fine lavori
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FAD news CONFRONTI
FAD VIDEO
IN PEDIATRIA 2019
Il corso FAD “Confronti in Pediatria 2019” propone una serie di confronti tra esperti in diversi settori della Pediatria. Un'occasione di aggiornamento che riguarda sia problemi clinici di più comune riscontro, sia condizioni patologiche più rare e complesse che potrebbero presentarsi ai pediatri. Il corso “Confronti in Pediatria 2019” si basa su 12 confronti tra esperti riguardanti le seguenti tematiche: Allergologia, Gastroenterologia, Ortopedia, Ginecologia, solo per citarne alcuni. I confronti proposti sono vividi, veri e propri scambi preziosi tra addetti ai lavori. A rendere il tutto molto frizzante e scorrevole, la modalità di fruizione: ai discenti saranno proposti 12 video di dibattito tra esperti, introdotti e moderati a loro volta da colleghi pediatri registrati nell’ambito di un evento di interesse nazionale, Confronti in Pediatria, dove anche la platea partecipa con spunti interessanti. Durata del corso dal 15/06/2020 al 14/06/2021 Destinatari Professioni Medico Chirurgo Discipline Pediatria, Pediatria di libera scelta ECM A questo corso saranno assegnati 10 crediti formativi ECM Prezzo € 122,00 (€ 100,00 + IVA) Organizzazione del corso Il corso FAD “Confronti in Pediaria 2019” è composto da 12 video di dibattito e confronto tra medici specialisti che trattano argomenti relativi alle più diverse e interessanti aree specialistiche legate alla Pediatria. Indice del corso • Asma e dintorni: Troppe linee guida… per essere vere • La droga fa male, la droga… ”fa bene”: evidenze, linee guida, contraddizioni nelle scelte di “liberalizzazione” • Mal di testa, mal di pancia, mal di denti, mal di ossa…: un approccio pratico con e oltre le linee guida • Una celiachia, tante linee guida: per la diagnosi, per la dieta senza glutine, per accompagnare il bambino che diventa adulto • Ortopedia pediatrica: praticaccia, consulenze o linee guida? • Ginecologia pediatrica e contraccezione nell’adolescente: scienza, coscienza e linee guida • Trauma cranico: più linee guida che… botte in testa • Farmaci in dermatologia pediatrica: antibiotici, cortisone e che altro? Tra linee guida e buoni consigli • Nutrizione, Gastroenterologia ed Epatologia pediatrica. Oltre le linee guida: 10 domande per iniziare a… • Psicofarmaci in pediatria: chi ci (linea) guida? • La personalizzazione delle cure: miti e realtà. Cosa deve sapere un pediatra “normale”: la parola agli specializzandi italiani • Il sonno dei giusti. Cosa deve sapere e saper fare il pediatra nei disturbi del sonno del bambinoe dell’adolescente: partiamo dalle raccomandazioni e dalle linee guida
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bianca BLOB
a cura di Paola Rodari
Relazioni familiari
A 8 anni ferma il padre mentre picchia un senegalese: “Qui c’è posto per tutti” L’uomo lo voleva allontanare dalla spiaggia
(da: Corriere della Sera, 8 agosto 2020)
“È armato, vuole ucciderci tutti” A dodici anni fa arrestare il padre Torino, tragedia evitata dalla telefonata ai Carabinieri L’uomo perseguitava la moglie (da: La Stampa, 28 luglio 2020)
NOTTE DI TERRORE A ROZZANO
Minaccia di buttare i tre figli da 20 metri
Temeva che i Servizi sociali glieli togliessero: postino bloccato dal blitz dell’Arma (da: il Giornale, 11 giugno 2020)
La mamma va al festino a base di coca e lascia i figli da soli per il weekend La donna, un’infermiera, denunciata per abbandono di minori La scoperta dopo il ricovero per un malore (da: Corriere della Sera, 9 giugno 2020)
Le ragazze, entrambe minorenni, vivono in una struttura protetta da cui hanno scritto una lettera: “Ci vogliono dividere a tutti i costi”
Due figlie allontanate da mamma e papà “Sarebbe stato meglio non denunciarlo”
(da: La Stampa, 28 luglio 2020)
Medico e Bambino 7/2020
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bianca BLOB Nascite
Coesi ma senza futuro: l’Italia vuole più !igli (ma ne perderà 10mila) ISTAT: ascensore sociale fermo. Atteso un forte calo delle nascite, però c’è desiderio di famiglia
(da: il Giornale, 4 luglio 2020)
DIRITTI UMANI
Donne uigure sterilizzate a forza: così Pechino cancella un popolo
Il Rapporto: per limitare le nascite tra la minoranza mussulmana imposti aborti e contraccettivi Il parlamento UE: genocidio (da: La Stampa, 2 luglio 2020)
I casi come quello di Bari sono 400 all’anno
Neonato abbandonato in chiesa “Mamma e papà ti amano sempre” Il piccolo lasciato nella culla termica allestita dal parroco per accogliere i bambini che i genitori non possono tenere. Nel biglietto anche l’indicazione del nome: Luigi
(da: Libero, 21 luglio 2020)
IL RACCONTO
In fila per essere madre Pechino ordina alle donne quando rimanere incinte Nella Repubblica Popolare sempre più aziende pianificano le nascite dei figli delle loro dipendenti. “Se non accetti paghi una multa” Crescono mobbing, minacce e licenziamenti. Rivolta sui social (da: La Stampa, 18 luglio 2020)
Fonti fornite da:
Maria Cristina Bertogna, Fabrizio Fusco, Andrea Guala, Andrea Lambertini, Gabriella Palla, Lucio Piermarini, Claudio Ughi
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0-3 ANNI
Il probiotico per llâ&#x20AC;&#x2122;â&#x20AC;&#x2122;equilibrio librio della flora baatterica intestinale del bammbino, sin dal primo giornno di vita Microrganismi probiotici microin M ncapsulati, u utili a favorire il corretto equilibrrio della fllora batterica intestinale
Poste Italiane SpA - Spedizione in AP - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46), art. 1, comma 1, LO/MI. Euro 9,00
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Volume 39 numero 7
30 settembre 2020
Rivista fondata da Franco Panizon nel 1982 Rivista di formazione e di aggiornamento professionale del pediatra e del medico di medicina generale, realizzata in collaborazione con l’Associazione Culturale Pediatri
www.medicoebambino.com
FOCUS RACHITISMI 2020: FACILI E DIFFICILI • Vitamina D e rachitismo carenziale • Rachitismo ipofosforemico X-linked
Editoriali
SARS-CoV2 e pediatria: riorganizzare le modalità di lavoro e la comunicazione, ma come? Obesità nell’età evolutiva: oltre lo stigma
Il graffio
Lo sceriffo di Londra
Consensus Ricerca
ISSN 1591-3090
L’esperienza che insegna
PAGINE ELETTRONICHE
Consensus sulla lotta allo stigma nell’obesità Profilo psicopatologico e di rischio psicosociale in madri adolescenti e di giovane età nel postpartum La diagnosi e la gestione del prolasso rettale
SARS-COV-2 E PEDIATRIA TERRITORIALE: ARMAGEDDON O STIMOLO PER RIORGANIZZARE IL NOSTRO MODO DI LAVORARE? MALFORMAZIONE ANGIODISPLASTICA E USO DEL SIROLIMUS