Spaziare Vivere Danzare in molti Sensi_ a cura dell'ASL NA1 Centro_ photo Riccardo Sepe Visconti

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SPAZIARE VIVERE DANZARE IN MOLTI S E N S I

a cura dell’ASL NA1 Centro photo Riccardo Sepe Visconti


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e foto di questo fotoreportage si riferiscono alle tre sessioni di lavoro performativo realizzate il pomeriggio del 24 giugno 2021 nelle sale della Collezione Farnese al Museo Archeologico Nazionale di Napoli con un gruppo di preadolescenti, un gruppo di mamme e un gruppo di adolescenti, utenti dell’Unità Operativa di Neuropsichiatria Infantile del Distretto 24 dell’ASL NA 1 Centro, coinvolti in un percorso sperimentale condiviso con il gruppo di ricerca ‘embodied education’ dell’Università ‘Suor Orsola Benincasa’. L’equìpe di Neuropsichiatria del Distretto 24 diretta da Cecilia Cocchiaro e quella di ‘embodied education’ da Maria D’Ambrosio hanno individuato quegli spazi del Museo, dove sono le sculture provenienti dalla Terme di Caracalla, per riconnettersi alla cultura classica che esse celebrano e per proseguire nel lavoro tra corpo e spazio fisico avviato con gli stessi gruppi negli spazi della sede del Distretto nell’intento di progettare insieme ambienti generativi e servizi in grado di dare forma a una pedagogia del sentire. Le foto documentano momenti di un lavoro di ricerca che coinvolge la sfera del sé, della relazione e della possibilità di comunicazione mediata dalla sfera multisensoriale e cinetica, nell’ipotesi di attivare le sue potenzialità trasformative e trasfigurative. Le immagini si riferiscono ad un pomeriggio, ma rendono pubblico un lavoro di osservazione ricerca e sperimentazione avviata già da marzo 2021 dall’Unità Operativa di Neuropsichiatria Infantile del Distretto 24 dell’ASL NA 1 Centro in attuazione dell’accordo inter-istituzionale sottoscritto nell’agosto 2020 dall’ASL NA 1 Centro e l’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli con l’intento di sperimentare la metodologia embodied per prototipare un servizio ad alta integrazione socio-sanitaria. L’accordo, sottoscritto dal Direttore Generale dell’ASL NA 1 Centro, Ciro Verdoliva, e dal Rettore dell’Università Suor Orsola Benincasa, Lucio d’Alessandro, vede collaborare la Direzione della Salute Mentale, diretta prima da Fedele Maurano e ora da Luisa Russo, attraverso la Neuropsichiatria infantile e nello specifico l’unità territoriale del Distretto 24 diretta da Cecilia Cocchiaro, con il gruppo di ricerca ‘embodied education’ diretto da Maria D’Ambrosio. Nella cornice dell’accordo opera anche Sara Diamare con l’Unità Operativa Qualità e Umanizzazione e i suoi Salotti del Benessere. Le foto sono una prima traccia della collaborazione inter-istituzionale e della sperimentazione che proseguirà e che sin dall’avvio sceglie di aprire la Sanità pubblica al territorio per intercettare risorse significative che vengono dalle altre Istituzioni che saranno chiamate a costruire insieme

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una sanità di prossimità cui partecipa la comunità, in un’ottica sempre meno assistenziale e sempre più proattiva. Il modello di riferimento integrato è quindi di tipo biopsicosociale e può rappresentare un modalità di prendersi cura e di promuovere il benessere. Le foto provano a rendere visibile un lavoro che utilizza la pratica danzante come metodologia fondata su una qualità pedagogica, e quindi trasformativa, dell’azione. Questo lavoro e la sua metodologia di matrice pedagogica introdotta dal gruppo ‘embodied education’ dell’Università Suor Orsola Benincasa si ricollegano alla visione e alla strategia della Salute Mentale e della ASL Napoli 1 Centro nel suo insieme, utilizzate per programmare il progetto PASS (Percorso di Adozione Scolastica e Sociale) attivo da numerosi anni sul territorio della Napoli 1 Centro e caratterizzato dalla facilitazione di percorsi inclusivi nei contesti di vita di bambini e adolescenti con disturbo del neurosviluppo e delle relative famiglie e innovare attraverso una curvatura sociale e territoriale le risposte ai disturbi dello spettro autistico in Regione Campania. Le foto al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, aperto a questa prima esperienza grazie alla condivisione del suo Direttore Paolo Giulierini e dei suoi servizi educativi con Angela Rita Vocciante, provano a dare corpo ad un’idea differente di Sanità sulla quale la Regione Campania è a lavoro con il diretto coinvolgimento del suo Presidente Vincenzo De Luca perché la Salute Pubblica possa essere un terreno nel quale mettere insieme innovazione qualità e umanizzazione. Per questo i saperi e le professionalità coinvolte sono differenti e tenute insieme da una comune strategia che riconosce in ‘embodied education’ la necessità di una ricerca in grado di operare sulla ‘realtà’, di riconfigurare spazi interventi servizi in grado di rispondere concretamente al diritto alla salute e all’educazione, insieme, perché sono alla base della vita della città e dei suoi cittadini.

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LA VISIONE

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redo che rispettare le differenze, sostenere i percorsi di autonomia e dunque di libertà, rendere protagonisti i soggetti più fragili delle loro decisioni di vita attuando processi reali di recovery, privilegiare la relazione terapeutica e lo sviluppo di un ruolo attivo delle persone nel fronteggiare disagi e sofferenze proprie e del proprio contesto familiare e sociale, rappresentano principi imprescindibili che ci devono guidare sempre nel nostro lavoro. In altre parole, l’etica, la clinica e, aggiungerei la politica, devono viaggiare sempre di pari passo per garantire i diritti di cittadinanza a tutti, in particolare a chi è in situazione di sofferenza e di svantaggio e per promuovere concretamente una salute mentale di comunità. Nel Dipartimento di Salute Mentale di Napoli ci sono gruppi di operatori, che con la loro professionalità e la loro umanità hanno costruito percorsi virtuosi, buone prassi che prevedono il coinvolgimento attivo degli utenti e dei loro familiari che possono e devono essere sottolineate e portate all’esterno, condivise con altre simili in Italia e all’estero. Mi batterò con forza per contrastare fenomeni di stigmatizzazione, di emarginazione e di abbandono e dimenticanza nei confronti di persone con sofferenza psichica, di ogni età, di ogni provenienza, di ogni cultura. Da psicoanalista mi piace ricordare quanto diceva Franco Basaglia: «Per poter veramente affrontare la ‘malattia’, dovremmo poterla incontrare fuori dalle istituzioni, intendendo con ciò non soltanto fuori dall’istituzione psichiatrica, ma fuori da ogni altra istituzione la cui funzione è quella di etichettare, codificare e fissare in ruoli congelati coloro che vi appartengono”. In questa direzione, auguro a tutti noi competenza coraggio e passione! Luisa Russo, direttrice del Dipartimento di Salute Mentale e della Neuropsichiatria dell’Età evolutiva dell’ASL NA1 Centro

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LA METODOLOGIA EMBODIED e lo SPAZIO TRANSIZIONALE del NONPI24 “che rapporto intrattiene lo spazio geometrico, o meglio gli spazi geometrici, con lo spazio della nostra esperienza, con quello della fisica e con lo spazio metafisico, cioè con lo spazio reale?” (Bolyai, J., La scienza assoluta dello spazio, a cura di R. Pettoello, Edizioni Melquiades)

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a connessione tra corpo e spazio è il focus attraverso cui fa ricerca l’equìpe del gruppo ‘embodied education’ perché anche in ambiente sanitario la cura e la progettazione degli spazi chiamino in gioco la sfera percettiva cinetica e comunicativa, cioè la co-esistenza corporea del cognitivo, per riconfigurare spazi e interventi come ‘ambienti sensibili’ in grado di attivare un processo partecipato di progettazione e offerta di servizi ad alta integrazione sociosanitaria ad uso del territorio e della sua comunità di riferimento. Il lavoro del gruppo ‘embodied education’ apre a quella che Mauro Ceruti chiama epistemologia ecologica per rintracciare le basi neurofisiologiche della relazione e della comunicazione incarnate dalle reti neuronali e dal loro principio di interconnessione. Si tratta di lavorare nutrendo la plasticità del sistema nervoso e quindi le sue potenzialità trasformative utilizzando le pratiche performative come metodologia attiva e generativa di nuovi ambienti e nuova cognizione possibile. La fenomenologia di Maurice Merlau-Ponty ci guida in una indagine sulla natura topologica dello spazio che mobilita il toccamento come possibilità/necessità di percorrerlo sapendo che “queste esperienze non combaciano mai esattamente, […], se fra di esse c’è sempre un ‘mosso’, uno ‘scarto’, […] perchè […] io provo, tante volte quante lo voglio, la transizione e la metamorfosi da una delle esperienze all’altra”. Come con Gilles Deleuze ci muoviamo in una logica del senso e dei “corpi che agiscono e patiscono”, chiamando le Arti a farsi ambiente organicamente perturbante nel quale si sta tra agire e patire e si generano mescolanze. “Nei corpi, nella profondità dei corpi, vi sono mescolanze: un corpo penetra un altro e coesiste con esso in tutte le sue parti, come la goccia di vino nel mare, o come il fuoco nel ferro”. E in nome di quella perturbanza abbiamo iniziato a vivere gli spazi del Distretto 24 fino ad estenderci a quelli delle sale della Collezione Farnese del Museo Archeologico Nazionale

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di Napoli. Vivere gli spazi ha significato attraversarli e s-muovere/rivivere il corpo attraverso l’arte performativa per incorporare delle Muse la corale e multiforme dimensione po(i)etica che restituisce allo spazio la sua dimensione plastica e al corpo la sua tattilità, generando quella che Jean-Luc Nancy chiama operazione infinita del mettersi in opera, che è del corpo che s’apre, si espone e si fa teatro (Nancy, 2010). Pelle e respiro sono le strutture portanti del paradigma tattile e cinetico utilizzato per ripensare le categorie di spazio e di corpo. Lo spazio e il corpo nella sua plastica spazialità trovano una loro realtà fusionale grazie ad un impianto teorico-pratico che guarda alla necessità di co-esistere e di generare organici “accoppiamenti strutturali” per dirla con Humberto Maturana e Francisco Varela. Progettare una nuova tipologia di servizio significa introdurre altre pratiche dell’abitare lo spazio, agire, percorrerlo, farne esperienza, secondo una modalità non predefinita per sconfinare negli ambienti generativi propri della performance live e della sua etica/estetica rizomatica. La qualità del vivente e del suo ambiente diventano questione originaria di cui ci torniamo ad occupare con una cura particolare per restituire valore pedagogico e politico allo spazio e a ciò di cui diviene ‘scena’, perché le questioni della forma e del suo processo trasformativo riguardano e nutrono il processo stesso del vivere che può diventare operoso se orientato a quella che con Hannah Arendt chiamiamo Vita Activa.

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CON - TEMPORANEA - MENTE

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el NONPI 24 l’emergenza Covid-19 ci ha costretto a riflessioni che riguardavano molte dimensioni del nostro lavoro, una di esse riguardava proprio la dialettica tra interno ed esterno e tra vicinanze e distanza nella relazione.

La dialettica tra gli spazi, nel periodo di piena emergenza, è stata sostenuta prevalentemente da remoto. Questo ha consentito la creazione di ponti tra “la nostra casetta” (il Servizio) e le case dei piccoli utenti, facendoci arrivare tra le loro mura producendo così nuove e diverse vicinanze. Difatti, inizialmente nei genitori si avvertiva disagio, paura e panico per l’inadeguatezza percepita nell’affrontare “isolati” le difficoltà loro e dei propri figli; ma poi, proprio grazie agli interventi effettuati tramite telefonate e videochiamate frequenti si è riusciti a riorganizzare la relazione di aiuto. Le nuove modalità di intervento messe in campo dai diversi operatori, in base alle proprie specifiche competenze, ha reso possibile la creazione di nuovi spazi operativi basati sulla comunicazione a distanza. Attraverso un monitoraggio costante, in poco tempo si è assistito ad una graduale trasformazione del ruolo genitoriale, arricchitosi di ulteriori competenze, sviluppate dall’aver esperito una nuova quotidianità nella relazione con i propri figli. L’ansia e il senso di inadeguatezza hanno lasciato così il posto a toni più rassicuranti e atteggiamenti fiduciosi, che hanno consentito un continuo scambio interattivo sugli eventuali progressi e/o miglioramenti, testimoniati anche da video che avevano come protagonisti i nostri piccoli utenti e le loro sfide quotidiane. Questa modalità di supporto a distanza ha visto emergere la possibilità di uno spazio intermedio, da remoto, che ha reso possibile la continuità terapeutica minacciata da un blocco drastico degli incontri precedentemente programmati con le famiglie, i bambini e i ragazzi del NONPI. Suggerendo modalità di intervento ai genitori ed essendo sempre reperibili al servizio per qualsiasi tipo di emergenza vissuta, si è riusciti ad affrontare, così, l’impasse iniziale della Fase 1 ed arrivare coesi e preparati alla Fase 2.


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Dalla Fase 2 ad oggi abbiamo sperimentato un nuovo spazio/ambiente di accoglienza e di incontro al NONPI, reso necessario anche dalla presenza di stanze che non rispondono alle richieste ministeriali relative alle misure di sicurezza da adottare. Lo spazio che abbiamo scelto per l’incontro è uno “spazio intermedio” quello della sala d’attesa che, al contrario delle stanze del servizio, è ampia, anche se meno connotata come luogo di visita. La sala d’attesa “vuota”, non essendo presente uno spazio strutturato per l’accoglienza della famiglia e del bambino, ha favorito uno scambio spontaneo con la famiglia, riempiendosi di volta in volta del vissuto raccontato dai genitori e delle emozioni che ne scaturivano, delle dinamiche relazionali che via via si attivavano, del movimento spontaneo e guidato del bambino e della sua attività ludica. Durante quest’ultima i giochi utilizzati dai bambini erano quelli personali portati da casa, per poi predisporne, successivamente, altri programmati dall’equipe in relazione alla conoscenza del bambino. Alla fine di ogni incontro sono stati proposti fogli e colori per attività libera e guidata di espressione grafica. In questo nuovo spazio, privo di disegni attaccati al muro, privo di strumenti, senza giochi, mi sono sentito inizialmente disarmato ed ho sperimentato un’ansia del fare “senza strumenti”. Quest’ansia però, è rapidamente svanita, grazie anche al grande lavoro d’equipe, siamo passati dal “non avere strumenti” a diventare noi stessi i principali strumenti per i bambini e la famiglia. (Umberto Pompa neuropsicomotricista) Per noi operatori iniziare un metodo di osservazione in un setting diverso da quello abituale è stata una “messa alla prova”. L’assenza di scrivania, quasi sempre presente nelle stanze dei medici ha accorciato le distanze, esponendoci, eliminando quel muro che ci divideva dai genitori e dal paziente stesso. (Ylenia Scatola educatrice professionale) La spazio intermedio della sala d’attesa sembra aver consentito, come uno “spazio transizionale”, l’accesso ad una dimensione più creativa e dinamica osservativa e relazionale, nella quale tutti hanno occupato uno spazio non strutturato, non connotato da ruoli rigidi, in cui si sono potute attivare relazioni di maggiore condivisione e autenticità. Per gli adolescenti con ritiro sociale sono stati programmati e organizzati incontri domiciliari o in aree esterne.

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Alcuni adolescenti hanno visto nella ripresa della partecipazione fisica (attivata dall’incontro) il completamento della partecipazione emotiva tenutasi costante per tutto il periodo del lock-down, con telefonate che non solo rispecchiavano i programmati incontri settimanali, ma erano anche più frequenti, essendo gli operatori a continua reperibilità (in orario di servizio) operando, così, anche sull’urgenza e nell’immediatezza. Al tempo stesso, si sono costruiti e programmati incontri domiciliari ed esterni (per il post-Covid) con gli adolescenti per reinserirli in un contesto sociale e riavvicinarli al contatto emotivo con l’altro, affinché sia possibile una ricostruzione del Sé attraverso lo sguardo altrui. (Giacinta Della Gatta educatrice professionale) Pur colpiti dagli effetti del trauma collettivo generato dall’epidemia e dal blocco, il nucleo è riuscito attraverso la condivisione dell’esperienza a sviluppare un sentimento di coesione e di solidarietà interna (tra gli operatori) ed esterna (con l’utenza) che ha consentito la nascita di un pensiero trasformativo che si è attualizzato nella ricerca di nuove modalità di intervento. Riprendendo il discorso della dialettica degli spazi tra interno ed esterno, tra vicinanza e distanza, i ponti costruiti attraverso la modalità da remoto e gli spazi intermedi grazie al lavoro trasformativo condiviso dagli operatori e dagli utenti, hanno comportato il passaggio da un distanziamento sociale imposto ad una vicinanza relazionale scelta. Ed è proprio tale vicinanza relazionale “il” punto di partenza per il nostro lavoro in continuo divenire.

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Parte I i bambini

“Con le mie mani posso afferrare il mio pensiero, autistico e... lanciarlo a te”.

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“guardo le mie mani che raffigurano la coscienza dell’autismo. In tal modo tutti la possono raggiungere e, dunque, toccare”...

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“Sono pieno di rabbia e non so come buttarla fuori… mi muovo, ti tocco, guardami… ascoltami”

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e ti vengo a cercare

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“ rappresentare l’esperienza legando e sciogliendo fili… tessendoli poi in un’unica trama

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“la tessitura... ”


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Parte II le madri

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“guardare al passato e... riscoprirsi nel presente”

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“intrecci arcaici con avvicinamenti ed allontanamenti”...


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“ le mani si cercano e si… incontrano”

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“ I rizomi”...


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“ Le Radici”...




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“tornare indietro a rotolare e strisciare”...

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”per guardare in alto”...


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“e farci sostenere”


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Parte III le adolescenti

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“alcuni le chiamano paranoie, altri ossessioni, ma per me sono solo certezze”

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L’ insostenibile bellezza del corpo

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IL GRUPPO DI LAVORO La Neuropsichiatria Infantile del Distretto 24: Cecilia Cocchiaro con Ylenia Scatola, Giacinta Della Gatta, Umberto Pompa, Angela Terminiello, Livia Savarese, Caterina Saccà, Marina Mastrosimone, Giuseppina Testa, Maria Buongiovanni , Maria Pia Correale, Fabio Cedrola, Laura Di Maro, Lucia Fortunato, Noemi Cammarota, Francesca Gioia............... Embodied education: Maria D’Ambrosio con Maria Cristina De Miranda, Vincenzo Pennella, Nicola Gabriele, Maria Rosaria Di Tota, Alessandra Asuni, Agata Spina, Noemi Saltalamacchia, Matteo Vinti. L’intero Gruppo di lavoro ringrazia, Riccardo Sepe Visconti per il coinvolgimento emotivo mostrato e la condivisione delle esperienze oltre che per la sua grande professionalità nel realizzare questi scatti.

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i chiamo Riccardo Sepe Visconti, sono napoletano, nato nel 1962 e da molti anni fotografo e faccio il raccontatore. Per comporre questo libro ho fatto leva su tre punti di forza: la passione professionale di tutti gli operatori del Dipartimento di Neuropsichiatria dell’Età evolutiva, diretto dalla dr.ssa Luisa Russo (che è stata molto contagiosa); la scrutabilità delle emozioni impossibili da dissimulare; la complessità delle architetture psichiche. Ho provato a raccogliere frammenti di questi tre aspetti e con essi ho montato un mio racconto, scenico - accompagnato dai testi che mi ha fornito l’equìpe di Neuropsichiatria del Distretto 24. La grande fortuna è stata poter assistere ad una sessione di lavoro sulla comunicazione corporea fatto dalla docente dell’Università Suor Orsola Benincasa, prof.ssa Maria D’Ambrosio; tale lavoro si è svolto all’interno della imponente Galleria Farnese del museo MANN di Napoli, diretto dal dr. Paolo Giulierini - che lavora costantemente per aprirsi alla città e a quanti operano per migliorare la vita dei suoi abitanti - e sotto la partecipata supervisione della dr.ssa Cecilia Cocchiaro, responsabile del Nucleo Operativo di Neuropsichiatria Infantile n°24. Tutto questo, naturalmente, è possibile perché l’ASL NA1 Centro, diretta dall’ing. Ciro Verdoliva, mi ha affidato l’incarico di raccogliere questi documenti.

Nota: Tutte le immagini contenute in questa pubblicazione sono state scattate da me, eccetto quest’ultima foto del libro - il mio ritratto - che mi è stato fatto da Luigi, un ragazzo seguito dal Distretto 30, che durante la mia prima missione fotografica effettuata per il Dipartimento di Salute Mentale, volle aiutarmi a scattare alcune immagini, dimostrando di possedere un talento naturale per la fotografia.

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