Cartabiancauno

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Autorizzazione del Tribunale di Firenze n° 5834 del 07/04/2011

numero uno aprile 2011

carta bianca 01

carta bianca

RIVISTA DI LINGUA E CULTURA ITALIANA

note sulla (non-)politica linguistica dell’italiano Massimo Vedovelli

ser docente en las escuelas bilingües Fanny Cativa

il Risorgimento delle donne Pietro Niegle

Italia da leggere. Intervista ad Alfonso Berardinelli Alejandro Patat

tradurre la cucina Anna Collia letture e visioni: Ferroni / Ghirri / Palermo / Serianni / Trifone / Vedovelli

dove va l’italiano? Massimo Arcangeli

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Comitato di Redazione Cecilia Casini – Brasile Manuela Derosas – Messico Francesca Gallina – Italia Silvia Giugni – Italia Mariano Pérez Carrasco – Argentina Nora Sforza – Argentina Analía Soria – Argentina Paolo Torresan – Brasile Lucia Wataghin – Brasile

Direttore scientifico Alejandro Patat - Argentina / Italia Direttore responsabile Massimo Naddeo

Progetto grafico e impaginazione Cecilia Ricci ISSN: 2239-0855 Autorizzazione del Tribunale di Firenze n° 5834 del 07/04/2011

Editore © 2011 Alma Edizioni Viale dei Cadorna, 44 50129 Firenze, Italia www.almaedizioni.it cartabianca@almaedizioni.it cartabianca è realizzato in collaborazione con Editorial sb Yapeyú 283 Buenos Aires, Argentina editorial@editorialsb.com.ar

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nasce cartabianca

A

partire dal primo incontro nel 2010 con Massimo Naddeo, responsabile della casa editrice fiorentina Alma, e Andrés Carlos Telesca, della casa editrice argentina sb, l’idea di mettere in piedi una rivista di lingua e cultura italiana destinata al pubblico latinoamericano, mi è apparsa davvero audace. Nell’era di Internet e dell’informazione a portata di mano all’istante, una rivista cartacea può sembrare anacronistica ma, nello stesso tempo, può diventare una grande sfida. Su tre grandi obiettivi ci siamo messi subito d’accordo. Primo, creare uno strumento di divulgazione (con un forte sostegno nella produzione scientifica) in grado di mettere in collegamento tutti gli attori che operano nell’ambito della ricerca e dell’insegnamento dell’italiano in America Latina. Secondo, favorire la costituzione di un comitato scientifico e di un comitato di redazione misto, cioè, italo-latinoamericano, per evitare qualsiasi visione unilaterale dei problemi legati alla lingua e alla cultura italiana e per non perdere di vista le specificità delle lingue e delle culture latinoamericane. Terzo, pubblicare contenuti di alto livello, che possano permettere a chi li legge, di aprirsi nuove strade, aggiornarsi, perfezionare le proprie competenze, apprendere cose nuove. Ed è così che, costituito il gruppo internazionale, con colleghi argentini, brasiliani, italiani e messicani (nella speranza che con il tempo altri si aggregheranno), è nata cartabianca. Il titolo è già un programma: rimanere uno spazio libero di incontro e

di scambio sui dibattiti e sulle idee che circolano nel nostro ambito di lavoro. La rivista, che uscirà con frequenza semestrale, è composta di tre grandi aree: 1) questioni relative alla lingua italiana, nella loro dimensione teorica e nella loro dimensione applicativa; 2) problematiche specifiche della cultura italiana, intesa come vasto sistema pluriforme che va dalla letteratura alla storia, dal cinema al fumetto; 3) l’incontro tra il mondo italiano e quello latinoamericano. Una vasta gamma di sezioni (dall’articolo all’intervista, dalla recensione alla fotografia) dovrebbe soddisfare il pubblico, dal quale a partire da oggi ci aspettiamo osservazioni, suggerimenti e richieste. Mi auguro che quanto ci siamo proposti diventi una realtà. c Alejandro Patat Roma, aprile 2011

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Comitato Scientifico Betãnia Amoroso – Brasile Massimo Arcangeli – Italia Hugo Beccacece – Argentina Alfonso Berardinelli – Italia Anna Ciliberti – Italia Maria Pia Lamberti – Messico Angela Di Tullio – Argentina Patricia H. Franzoni – Argentina Luca Serianni – Italia Massimo Vedovelli – Italia

editoriale

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sezione lingue in uso

Un breve elenco delle parole, i sintagmi e le espressioni legati al campo semantico della “fine”.

4-6

Massimo Vedovelli

Massimo Vedovelli, rettore dell’Università per Stranieri di Siena e il più esperto teorico della politica linguistica in Italia, spiega come l’Italia abbia finora disatteso l’elaborazione di una forte strategia organica di diffusione dell’italiano entro i propri confini e nel mondo. Da tale visione critica emerge una puntuale ricognizione di tutti i fattori che con urgenza dovrebbero far parte di una vera e sistematica politica linguistica dell’italiano.

tradurre la cucina Anna Colia

Osservazioni sulla recente versione brasiliana del famoso manuale di cucina di Pellegrino Artusi, vero capolavoro linguistico e socio-culturale dell’Italia unita.

il Risorgimento delle donne Pietro Neglie

7-9

Sandra Tarquinio

ser docente en las escuelas bilingües

14-15

sezione cultura e società

sezione in aula la natura delle scuole bilingui

sezione traduzioni

Contributo dello storico dell’università di Trieste ai festeggiamenti per i 150 anni della nascita dello Stato italiano. Come ben ricorda l’autore, tale omaggio non può prescindere dalla riflessione attorno al ruolo esercitato dalle donne nel processo di unificazione del paese.

Fanny Cativa

sezione il fumetto

Una breve spiegazione sulle scuole bilingui, firmata da Sandra Tarquinio, direttrice didattica della circoscrizione consolare di Córdoba (Argentina), nella quale si afferma come esse siano e saranno in parte il focus principale degli interventi statali italiani nel mondo. L’articolo è accompagnato da una relazione di Fanny Cativa sulla sua esperienza d’insegnamento come docente di scienze in una scuola bilingue.

soldati del Papa Michele Petrucci

16-19

note sulla (non-)politica linguistica dell’italiano

sezione in primo piano

13

infine, comparazione fra lo spagnolo e l’italiano

20-21

indice

In questa sezione si presenta un breve fumetto su uno dei tanti aspetti delle lotte risorgimentali, scritto e disegnato da un autore tra i più interessanti del panorama italiano.

sezione conversazioni Alejandro Patat Uno dei più influenti e anticonformisti critici italiani ci offre una mappa utilissima per sapere quali siano gli autori ed i libri più rilevanti degli ultimi anni.

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10-12

Italia da leggere. Intervista ad Alfonso Berardinelli

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Con la sezione “viceversa” inauguriamo uno spazio al quale teniamo tanto: la pubblicazione di frammenti dei grandi autori latinoamericani sull’Italia e degli italiani sull’America Latina. In questo numero, è stato scelto un breve brano dell’autobiografia di Fernando Vallejo, colombiano, che descrive in modo ironico ma fortemente emotivo il suo primo incontro con Roma.

una riflessione internazionale sull’insegnamento apprendimento dell’italiano. Dialogo con i curatori Redazione di Roma

ripensare l’italiano Francesca Gallina

ricorrere alla lingua materna degli studenti

scattare la realtà

Alejandro Patat La sezione “profili” – che intende offrire una breve raffigurazione dei grandi intellettuali italiani contemporanei – si sofferma sulla produzione saggistica e narrativa di Claudio Magris e analizza il ruolo di Trieste nella cultura di ieri e di oggi.

sguardo ironico e amaro sulla disgregazione (linguistica) italiana Sara Gobbini

la patria in mostra

27-28

Alejandro Patat

In questo spazio, dedicato all’evocazione doverosa del fenomeno migratorio, Rafael Sozzi ricostruisce la storia dell’arrivo di suo nonno in Brasile per questioni anche sentimentali. Si profila così uno sguardo poliedrico sulla immigrazione, molte volte vincolata ad immagini e ad idee stereotipate.

29-35

sezione foto

40-41 42 43 44

45

Francesco Feola

Rafael Sozzi

Lisa Beltramo

il lungo percorso della grammatica italiana per stranieri

sezione angolo della memoria dalla Lombardia al Brasile

l’italiano in aula

40

24-26

Claudio Magris: la cultura di frontiera

Andrea Felici

38-39

≠ ≠ ≠

Paolo Torresan

sezione profili

36-37

Fernando Vallejo

22-23

los caminos a Roma

sezione letture e visioni

≠ ≠

sezione viceversa

indice

Oltre al commento ad una mostra, un numero nutrito di recensioni, firmate perlopiù da dottorandi dell’Università per Stranieri di Perugia e di Siena, che mettono in luce quanto di più rilevante sia stato scritto negli ultimi mesi in Italia ma anche in America Latina nell’ambito dell’italianistica. In questo numero vengono analizzati libri di Paolo Torresan e Manuela Derosas, Massimo Vedovelli, Luigi Ghirri, Luca Serianni, Pietro Trifone e Massimo Palermo.

Nel dossier – lo spazio più ampio di approfondimento scientifico della rivista – Massimo Arcangeli, direttore scientifico del PLIDA a Roma e docente di Storia della lingua italiana all’Università di Cagliari, affronta non senza ironia la questione spinosa del “destino” della lingua italiana alle prese con l’inglese e con i linguaggi dell’informatica. Gli esempi di cui si avvale per distinguere diverse nuove tipologie dell’italiano sono davvero illuminanti.

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Tutta l’informazione sulle attività formative, certificazioni, congressi, incontri, progetti di ricerca e altro in Italia e in America Latina.

sezione immagini

46-47

Massimo Arcangeli

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dove va l’italiano?

dossier

Una fotografia suggestiva di un angolo di Buenos Aires, che vuole richiamare l’attenzione su quegli spazi dell’italianità, più o meno contaminati, più o meno risemantizzati, che ormai fanno parte delle vaste geografie del Nuovo Mondo.

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in primo piano

note sulla (non-)politica linguistica dell’italiano Massimo Vedovelli Siena

U

Massimo Vedovelli, rettore dell’Università per Stranieri di Siena, pone il problema dell’assenza storica (e anche attuale) di una autentica politica linguistica dell’italiano in Italia e all’estero, mettendo in evidenza gli obiettivi essenziali cui l’Italia dovrebbe puntare.

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na rivista come quella che, partendo con questo numero, ospita il presente contributo, non può non scontrarsi con le questioni che legano in modo complesso, intricato, a volte nascosto ma fortemente presente i quadri teoretici e metodologici dell’educazione linguistica e della linguistica educativa da un lato, e della politica linguistica dall’altro: la prima, in una normale situazione di rapporto fra ambiti intrinsecamente diversi ma entrambi centrati sull’attenzione allo sviluppo culturale degli individui e della collettività, dovrebbe fornire riferimenti e linee guida alla seconda. Ma per la situazione italiana, per la situazione dell’italiano in Italia e nel mondo le cose non sempre stanno così e non sempre i rapporti fra i due ambiti si sviluppano entro un quadro di trasparente reciproco rispetto. Di conseguenza, l’uno e l’altro appaiono, storicamente, separati, a volte in conflitto, non infrequentemente in un atteggiamento di reciproca indifferenza: né per gli individui e i loro progetti di crescita culturale, né per le società e per i loro meccanismi comunicativi, espressivi, identitari da tale situazione possono derivare effetti positivi. La tesi che qui proponiamo è che, in realtà, una politica istituzionale di diffusione dell’italiano non sia esistita, se con tale espressione si fa riferimento a un’azione strategica, che raccolga il sentire di un popolo, di una società civile, i valori fondanti, la sua identità, da un lato; e dall’altro sap-

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pia identificare i punti critici delle sue dinamiche comunicative, espressive, linguistiche, e di conseguenza sappia definire obiettivi di sviluppo della società che consentano di superare tali criticità, e che si attuino con coerenza e impegno, riconoscendo la centralità sociale di tale materia anche tramite l’investimento delle necessarie risorse. E infine, dato che l’Italia fa parte dell’Unione Europea, e della più ampia comunità che si raccoglie nel Consiglio d’Europa, un’azione che sappia mettersi in sintonia con le scelte che a livello comunitario sovranazionale definiscono la politica linguistica europea. Quali e quanti sono stati gli atti normativi prodotti dalle nostre istituzioni e ascrivibili alla nozione di ‘politica linguistica’? Dopo i luminosi articoli della nostra Costituzione sul diritto all’espressione linguistica, poche cose: una legge sulle minoranze linguistiche (l. 482/1999); la l. 153/1971 per gli emigrati italiani all’estero; la l. 401/1990 sugli Istituti Italiani di Cultura all’estero; la l. 17/1992, sulle due Università per Stranieri di Perugia e Siena; le leggi che determinavano i bei programmi per le scuole medie (1979) e elementari (1985); e poi, i recenti atti che limitano l’insegnamento delle lingue straniere nella scuola dell’obbligo (di fatto, una sola lingua, l’inglese) o che propongono le classi-ponte per i figli degli immigrati stranieri. Poco altro esiste a livello normativo. Basta per poter parlare di una politica linguistica nel senso che abbiamo

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ogni possibile azione di politica linguistica non può darsi pensando all’italiano e all’Italia come collocati entro un vuoto contestuale: esiste il mercato globale delle lingue; esiste una politica linguistica sovranazionale, per lo meno risalente alle Istituzioni comunitarie europee. Finora non è stata fatta nessuna riflessione su come l’italiano sia potuto diventare la quarta/quinta lingua più studiata al mondo e la seconda lingua più visibile nella comunicazione sociale dei panorami linguistici urbani nel mondo, sui competitori nel mondo globale, sui punti di criticità da superare rapidamente, sulla mancanza di risorse investite sulla materia, sullo svilimento della posizione della nostra lingua entro le istituzioni comunitarie. Non esiste inoltre nessuna consapevolezza del fatto che per i giovani e giovanissimi discendenti dei nostri emigrati l’italiano è ora solo una lingua straniera, da scegliere – per apprenderla – fra altre lingue straniere. Chi scrive ritiene che le posizioni conquistate dall’italiano entro il mercato globale delle lingue nei due decenni appena passati siano oggi messe a rischio proprio dalla non-politica linguistica italiana che si concretizza in posizioni antiquate, di impronta linguistica nazionalistica, di fatto antieuropee. Dalla constatazione della mancanza di una vera e propria politica culturale di diffusione della lingua italiana deriviamo una ipotesi: la diffusione della nostra lingua

La tesi che qui proponiamo è che, in realtà, una politica istituzionale di diffusione dell’italiano non sia esistita.

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indicato? Basta quel poco a sostenere la presenza della lingua italiana in quello che viene chiamato il mercato globale delle lingue? Noi riteniamo di no. Questi vari atti sono stati prodotti dalle nostre istituzioni, e dunque sembrano parti di un progetto di politica linguistica. Eppure, ci rimane difficile poter guardare all’azione di governo in materia linguistica messa in atto oggi o anche nel passato riconducendola ai tratti pertinenti che conformano l’idea di una ‘politica linguistica’ di progettualità di sviluppo, di sistematicità, di piena sintonia con il corpo sociale e di capacità di raccolta e di analisi dei suoi bisogni. Li chiameremo, allora, atti di non-politica linguistica. La non-politica linguistica che ne deriva è creata, allora, fuori di un quadro generale di riferimento, e diventa il luogo delle azioni ‘dal basso’, come soluzione alle criticità e come effettiva risposta a bisogni concretamente emergenti nella società, oppure riconducibili a quel livello istituzionale intermedio dove prevalgono la logica burocratica e l’ideologia ‘uno Stato – una nazione – una lingua’. In questo secondo caso ci troviamo davanti a azioni prive di coerenza concretizzate in circolari, note interpretative, disposizioni, oppure a scelte fatte senza alcuna logica di trasparenza e senza attenzione né alle leggi esistenti né ai principi fondanti della società. Ci troviamo di fronte a variabilità e fluttuazione di progetto; a iniziative di immagine e di poca sostanza; a inspiegabili sostegni forniti a soggetti non tanto impegnati nella materia per ruolo istituzionale, ma considerati utili strumenti di una logica politica; a imposizioni dirigistiche e centralistiche di linee al di fuori di un confronto con i soggetti rappresentativi e accreditati che operano sulla materia. Infine, ci troviamo di fronte a azioni in controtendenza rispetto alla politica linguistica delle istituzioni europee. Le scelte che le istituzioni italiane stanno compiendo ci spingono a porre una questione, dal momento che oggi

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Una efficace politica linguistica collegata ai processi economici deve sviluppare una adeguata azione che rivalorizzi i tratti positivi della nostra identità linguistico-culturale.

Una efficace politica linguistica collegata ai processi economici deve sviluppare una adeguata azione che rivalorizzi i tratti positivi della nostra identità linguistico-culturale: la qualità, la creatività, i valori estetici, l’espressività, la polifonicità delle voci nell’unità si dovranno ancora legare alle forme solari di vita, alla generosità nell’accoglienza, alla capacità di produzione e diffusione di prodotti ad alta concentrazione degli elementi positivi della nostra identità, che gli stranieri attendono. I nostri ceti dirigenti devono impegnarsi a far sì che ciò accada: altrimenti, ne sconterà la società italiana e la presenza della nostra lingua-cultura nel mondo. Anche la promozione di una vera e propria industria della lingua italiana deve rientrare negli obiettivi dello sviluppo economico, sociale, culturale del Paese. Una industria della lingua presuppone un ceto imprenditoriale consapevole del ruolo della lingua-cultura italiana per la presenza internazionale del sistema economico italiano. Riteniamo che ciò richieda un cambio culturale nell’imprenditoria, che la metta in grado di cogliere il valore – anche economico – dell’investimento nel settore linguistico, dove occorre creare imprese per le tecnologie avanzate applicate alla didattica linguistica e nuovi profili professionali. Senza una forte industria della lingua italiana saremo sempre al traino delle industrie delle lingue presenti e forti negli altri Paesi, non daremo opportunità di lavoro a tanti giovani con alti livelli di formazione, non contribuiremo allo sviluppo del nostro sistema economico-produttivo. c

Anche la promozione di una vera e propria industria della lingua italiana deve rientrare negli obiettivi dello sviluppo economico, sociale, culturale del Paese.

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e cultura nel mondo, nel mercato globale delle lingue, si è svolta entro una dialettica fra soggetti diversi, istituzionali e di altra natura, che hanno creato un sistema plurimo, a ‘geometria variabile’, meno potente dei sistemi che sorreggono la diffusione di altre lingue dal destino internazionale: meno potente perché meno dotato di risorse; perché meno inquadrato nei termini di una politica fondata su una identità di popolo isomorfa alla identità linguistica oggetto dell’opera di diffusione. Si tratta di una politica meno potente, certo, ma più spontanea, più capace di adattarsi alle diverse situazioni: solo così si spiega il successo che ancora oggi, nonostante tutto, ha la nostra lingua nel mondo. Ciò è potuto avvenire perché, trascinata dal periodo di espansione del mercato globale delle lingue – culture – società – economie, l’offerta formativa per la lingua italiana è stata capace di individuare le sacche di pubblico marginale (ma complessivamente di non inconsistente dimensione quantitativa), vario e diversificato, con specifici bisogni e attese. Ciò è potuto avvenire perché la lingua italiana e la sua offerta formativa hanno saputo tenere in equilibrio la rendita di capitale culturale data dall’essere la lingua di una secolare tradizione intellettuale e di un inesauribile patrimonio storico-artistico-letterario-musicale-paesistico da un lato, l’innovazione e la capacità di rispondere alle esigenze nuove di pubblici nuovi, dall’altro. Lasciata la diffusione dell’italiano sostanzialmente al libero gioco del mercato delle lingue e sostenuta da risorse non comparabili con quelle messe in gioco da altre realtà statali, la nostra lingua rischia di vedere limitato il suo potenziale di diffusione. Confidare nella rendita di capitale costituita dal legame fra la lingua italiana e la nostra tradizione storico-culturale non basta per competere nell’attuale fase di rapporto fra i sistemi lingua-cultura-società-economia. Non ci si può permettere l’assenza di una politica culturale di diffusione linguistica che non si appoggi sull’idea di una rete plurima di soggetti, a ‘geometria variabile’, ciascuno messo in grado di svolgere la propria missione. Una politica centralistica e dirigistica ostacolerebbe i liberi commerci e la conseguente diffusione della nostra lingua.

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in aula

la natura delle scuole bilingui Sandra Tarquinio Roma

L

e scuole italiane all’estero, secondo la loro diversa natura giuridica, si distinguono in statali, paritarie, private legalmente riconosciute, private con presa d’atto. Nel mondo sono 295, di cui 183 costituiscono la rete scolastica vera e propria mentre 112 sono scuole bilingui o a carattere internazionale. Altra tipologia sono invece le scuole europee, 13 istituzioni intergovernative funzionanti nell’Unione Europea e organizzate con sezioni linguistiche in riferimento alle lingue parlate in Europa. Delle prime 295 scuole, la maggior parte si concentra in Europa (152) e nelle Americhe (97); seguono il Mediterraneo e Medio Oriente (30), l’Africa Sub-sahariana (14), l’Asia e l’Oceania (2). La presenza di studenti stranieri in queste scuole è dell’80% rispetto ai cittadini italiani. Le finalità prevalenti delle istituzioni scolastiche italiane all’estero sono la promozione e diffusione della lingua e cultura italiana negli ambienti stranieri e il mantenimento dell’identità culturale dei discendenti dei connazionali e dei cittadini di origine italiana, anche di seconda e terza generazione. La formula biculturale e bilingue, sia nelle scuole italiane sia in quelle straniere con sezioni italiane, rappresenta senza dubbio il futuro degli interventi della politica scolastica italiana. In tale ottica, già a partire dagli anni

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‘90, sono state avviate iniziative non solo nelle scuole italiane, ma anche e soprattutto nelle scuole straniere di vari paesi europei; tali iniziative si sono concentrate nell’Europa centro-orientale e nei Balcani ove, a seguito di accordi culturali conclusi o in via di definizione, si è dato vita a istituzioni bilingui riconosciute sia dalle autorità locali sia da quelle italiane; oggi ne contiamo 44. Ulteriori iniziative sono previste anche in altri Paesi. La notevole quantità d’investimenti economici e culturali che queste scuole comportano, testimoniano non solo l’esigenza di diffondere la lingua e la cultura italiana nel mondo, bensì l’importanza di proporre un modello culturale capace di coniugare lingue e saperi nel progetto di formazione di un cittadino che sia quanto più capace di integrare codici diversi, per ampliare i propri spazi comunicativi e orientarsi nel mondo complesso e dinamico del terzo millennio. Il termine “bilingue”, dunque, è riferito non solo alle scuole che hanno questa natura giuridica, ma anche alle scuole paritarie, che sono stutturate sul doppio curricolo: quello italiano e quello del paese ospitante e pertanto, sono anche “biculturali”.

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Sandra Tarquinio, dirigente scolastica della circoscrizione consolare di Córdoba (Argentina), sostiene che le scuole bilingui e biculturali all’estero saranno il perno dei futuri investimenti italiani.

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ser docente en las escuelas bilingües Fanny Cativa Córdoba (Argentina)

Saberes y experiencias

S

er docente en una escuela bilingüe aporta a la vida profesional un cúmulo de saberes y experiencias:

• Antes que nada, invita a reflexionar acerca de la propia práctica y estimula el trabajo en equipo con docentes, autoridades de la escuela e instituciones italianas (las distintas direcciones didácticas operativas en los consulados) e investigadores de diferentes universidades de Italia. • Brinda la posibilidad de adquirir un esquema de trabajo que articula las competencias y los saberes de manera vertical y horizontal. • Enriquece la propia experiencia didáctica con la novedad de la inclusión de los padres en el proceso de enseñanza-aprendizaje, a través de los “consejeros” (consiglieri). • Y favorece el acercamiento a la lengua y la cultura italiana a toda la comunidad educativa.

El método

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En cuanto mi experiencia – de la que intento dejar un breve testimonio – la práctica docente en las escuelas bilingües ha tenido el siguiente desarrollo: el primer paso fue descubrir cómo empezar a comprender la vocación y la profesionalidad del docente bilingüe. Al principio era un horizonte inexplorado y se presentaba como un nuevo camino por recorrer: había que abandonar viejas seguridades y dejarse cuestionar por lo que aún no se conocía. Hoy no se puede menos que reconocer que la escuela bilingüe y su dinámica aportan nuevos aires, ideas, conocimientos y hasta valores y afectos culturales. La escuela bilingüe es sobre todo un acercamiento a un método nuevo: el método CLIL, en el cual la lengua es el

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vehículo para la adquisición del saber disciplinario, que, en mi caso, son las ciencias naturales. En segundo lugar, la búsqueda profesional de la integración entre el método CLIL y el método propio de cada disciplina. En cuanto a la formación de los alumnos, pude comprobar a lo largo del desenvolvimiento de las clases bilingües cómo los alumnos desarrrollan nuevas competencias y, por lo tanto, fortifican el proceso de construcción del saber, adquiriendo los conceptos en otra lengua sin mayores problemas. A su vez, el inevitable trabajo con el rigor disciplinario los lleva a manejar el lenguaje, tanto escrito como oral, teniendo en cuenta la formalidad que cada materia impone. Ciencias/lengua italiana se complementan positivamente y cada alumno desarrolla dicho proceso a lo largo de su etapa escolar, según sus propias capacidades. Veamos un ejemplo. Los alumnos de prima media, en clase de ciencias naturales, luego de experimentar sobre las transformaciones

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Energia Turbina

Acqua Potenziale

Cinetica

Potenziale

Cinetica

Una vez construido el esquema, se les pidió que agregaran las palabras que faltaban para construir oraciones que explicarán lo que sucedió en el laboratorio.

dell’

Acqua è

Potenziale

L’ Energia si trasmette alla

della

Turbina è

si trasforma in

Cinetica

Potenziale

si trasforma in

Cinetica

Una vez escritas las palabras se extrajeron las frases: 1. L’energia dell’acqua è potenziale. 2. L’energia dell’acqua si trasforma in cinetica. 3. L’ energia dell’acqua si trasmette alla turbina. Y así continuaron escribiendo nuevas oraciones, utilizando conceptos nuevos aprendidos en lengua italiana. Finalmente redactaron un texto con coherencia y cohesión a partir de las frases: L’energia potenziale dell’acqua si trasforma in cinetica. Questa energia si trasmette dall’acqua alla turbina e l’energia potenziale della turbina si trasforma in cinetica. Con este trabajo previo se introdujo la ley de conservación de la energía. Luego trabajaron el material de estudio, aplicando la lectura comprensiva, sin problema alguno, ni de lengua ni de contenido. Esta es la complementación positiva que se da en cada clase bilingüe: de la experimentación directa a la lengua, de la lengua a la reflexión

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científica, utilizando los elementos de gramática. Se logra así el avance en el aprendizaje de la lengua en contexto y, a la vez, utilizando la lengua como vehículo para la adquisición del saber disciplinar. Enumeraremos ahora otras experiencias muy positivas de la escuela bilingüe, que podemos rescatar, sin intentar profundizarlas: • Elaboración del diagnóstico del inicio del año de manera dinámica y motivante, tomando en cuenta que la escuela bilingüe busca desarrollar competencias y no solo contenidos. • Uso de modelos (en lenguaje científico) o transcodificación (en lenguaje CLIL) para explicar lo que no se ve; en este caso la disposición de las moléculas en cada uno de los estados de la materia. • Experimentación, observación directa, en permanente aprendizaje cooperativo. • Registro de datos, toma de apuntes de lo que se observa, uso de tablas, y construcción de gráficos a partir de los datos registrados. • Acceso al léxico específico (microlingua científica), ejercitación permanente de la oralidad (con todas sus especificidades fonético-fonológicas, morfosintácticas, semánticas y discursivas). • Elaboración de conclusiones por escrito, que den cuenta de la experimentación. • Producción de multimedia (pps – movimaker) tomando fotos de las experiencias realizadas y presentación de lo producido a la clase, como formas motivantes y alentadoras de evaluación de los alumnos. • Desarrollo de la competencia en italiano con palabras específicas de cada unidad didáctica para fijar términos por parte de los alumnos y evaluarlos por parte del docente. • Y en la actualidad, implementación de nuevos materiales de trabajo y estudio únicos, pensados para la escuela bilingüe, con actividades interdisciplinarias. Material elaborado con ayuda de expertos, secuenciado, experimentado y perfeccionado luego de ser utilizado por alumnos de 7 escuelas de Córdoba. Se trata de la colección Scubi, que contempla cada disciplina y la aborda desde la metodología CLIL, con un soporte de ayuda y formación para el docente. Scubi, además de desarrollar competencias y saberes, ayuda a evaluar su alcance. En definitiva, una experiencia más que motivante, enriquecedora y positiva, ésta de ser docente en una escuela bilingüe!, o al menos… estar aprendiendo a serlo. c

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y las transferencias de la energía, construyendo un modelo de turbina hidroeléctrica, tuvieron que expresar de manera oral cómo funcionaba la misma y qué transformaciones y transferencias de la energía identificaban. Una vez en el aula se les solicitó que construyeran en el pizarrón el siguiente esquema.

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conversazioni

Italia da leggere Alejandro Patat Roma

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egli ultimi anni Alfonso Berardinelli, nato a Roma nel 1943, si è trasformato nell’intellettuale più scomodo dell’Italia odierna. Difficilmente catalogabile – né di destra né di sinistra –, non usa mezzi termini ogni volta che analizza o critica la cultura e la società. La sua opera si è affermata tra gli scrittori giovani, che lo considerano, forse, uno dei pochi punti di riferimento dell’Italia d’oggi. Ma, in realtà, al di fuori di quell’apparenza di enfant terrible, si cela un uomo coltissimo, sensibilissimo, amante della conversazione e della compagnia.

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Tu sei uno dei pochi critici letterari che negli ultimi anni ha dato indicazioni precise su che cosa leggere e che cosa non leggere. In Italia la scena letteraria è cambiata così come, credo, sia cambiata dappertutto. Se prima avevamo una decina di romanzieri, saggisti e poeti, adesso ne abbiamo molte decine, anzi centinaia. C’è stata una mutazione: tutti scrivono. Purtroppo scrivono abbastanza bene, al punto che pubblicano con editori importanti e ricevono premi che una volta erano importanti. Cosa deve fare la critica?

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Alfonso Berardinelli, uno dei più prestigiosi critici letterari e della cultura, segnala le letture fondamentali d’oggi e riflette sulla difficoltà degli italiani di comprendere il presente e di comprende se stessi.

Selezionare è diventato un compito crudele e antisociale. Non è possibile, per esempio, dire che un narratore di successo non vale molto. Così, per evitare conflitti i critici sono diventati benevoli verso gli autori in attività, e allora la critica stessa ha perso prestigio. Potresti indicare quali sono, secondo te, le letture contemporanee, se non imprescindibili, almeno importanti o interessanti: Io, per esempio, ho l’impressione che la saggistica ha prodotto opere più solide rispetto alla narrativa. Basti pensare a Cesare Garboli, Claudio Magris, Piergiorgio Bellocchio, Roberto Calasso, Giorgio Agamben, Carlo Ginzburg. Nel campo della poesia, senza voler essere femminista, è necessario affermare che le donne hanno prodotto i migliori libri degli ultimi anni, creando addirittura un nuovo stile poetico: più teatrale, più comunicativo, più elaborato tecnicamente e più consapevole del rapporto tra lingua parlata e lingua scritta. Lo si vede in Patrizia Cavalli, Bianca Tarozzi, Anna Maria Carpi e Patrizia Valduga. I romanzieri, come ho detto, disinibiti da una politica editoriale interessata

sfrenatamente a produrre best-seller, si sono moltiplicati fino all’assurdo. Sono talmente tanti, che pochi critici riescono a leggerli per farsene un’idea. Si tratta di libri di un’unica stagione, che in pochi mesi si dimenticano. Il successo internazionale di alcuni autori italiani, invece, è sconcertante e mi lascia perplesso. Noi italiani siamo abituati al fatto che gli stranieri preferiscano il nostro lato pittoresco e tipico, il lato comico e buffonesco, la caricatura: Umberto Eco, Dario Fo, Roberto Benigni, Alessandro Baricco. Che peccato! Dato che hai scritto un bellissimo libro dal titolo Autoritratto italiano, potresti fare un tuo autoritratto per chi non ti conosce? Per molto tempo ho avuto il problema di capire che tipo di scrittore fossi io stesso. Da giovane, logicamente, pensai al romanzo. Più tardi, per ragioni intellettuali, mi sembrò che la poesia avesse nel mondo d’oggi più chance: forma breve, concentrata, manipolabile. Allora, cominciai come poeta, ma mi resi conto velocemente che il mio interesse per la poesia era strano. La poesia per me non era tanto uno strumento formale, bensì

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converzasioni

E alla fine come hai risolto il problema della tua identità come scrittore? Cosa ero io? (si domanda sorridendo Berardinelli, felice di ricordare la controversia giovanile.) Scrivendo poesia non ero completamente me stesso. Il linguaggio poetico mi spingeva all’autocensura. Si trattava di scoprire quale fosse il mio proprio genere letterario. In fondo, i versi non mi avevano mai visitato spontaneamente, semmai, i pensieri o gli aforismi, Cioè, nessun gioco formale che non fosse motivato da una passione o da una curiosità semantica e dialettica. Compresi che non ero un critico letterario puro, ma uno che riflette prima e dopo aver letto un libro, e che usa i libri, non per capirli, ma per capire se stesso e il mondo che lo circonda. Cioè, passai al saggio. In effetti, nel tuo libro La forma del saggio sostieni che il saggio è un genere che consiste nella demolizione del pensiero degli altri per la costruzione di un proprio pensiero. Anzi, hai scritto anche che il saggista è un visionario del pensiero che rimane sempre deluso. Quali sono i libri che ti hanno formato e che non ti hanno deluso? In principio fu l’epica (e sorride compiaciuto della sua ironia): Tolstoi e Dostoievski, letti tra i tredici e i sedici anni, gli autori che più di ogni altro hanno influenzato la mia vita. Certo

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che erano letterariamente inimitabili. Compresi presto che la modernità si orientava verso la sintesi. Preferii le forme brevi. Durante alcuni anni lessi Hemingway, Fitzgerald, Faulkner, Lorca, Machado, Eliot, Camus. Ora comprendo che quello che mi attraeva era lo scrittore o il poeta che non distinguono molto tra pensiero e metafora, letteratura e filosofia. E quali sono i libri scritti da te che hai amato o che ami di più? Con i miei libri ho avuto sempre un rapporto problematico. La maggior parte di essi sono un insieme di saggi occasionali legati spesso, a volte troppo, al contesto italiano. Naturalmente, la mia speranza è che siano perfettamente comprensibili anche per quei lettori che sanno molto poco o quasi nulla dell’Italia. Ma è una speranza piena di dubbi. Sono consapevole che non potrò avere il destino di Dante,

che cantò le lodi di Dio, scrivendo la cronaca della società del suo tempo. Non posso illudermi che i miei saggi abbiano la forza comunicativa di Karl Kraus o di George Orwell. Eppure, anche se i libri miei che preferisco, per la sua vivacità e aggressività stilistica sono Cactus, Stili dell’estremismo. Critica del pensiero essenziale (2003) ed il più politico Nel paese dei balocchi. La politica vista da chi non la fa (2001), mi rendo conto che il pubblico preferisce i miei saggi letterari o accademici. Hai sempre privilegiato il saggio e la poesia. Alla fine, però, ti sei occupato anche del romanzo, quando hai contribuito al vasto progetto della casa editrice Einaudi di costruire una mappa universale sul romanzo. Nel corso del tempo, imparai che i generi letterari erano importantissimi e sono stati importantissimi, non solo

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la “storia eroica” di quei misantropi inflessibili, che per più di un secolo sono stati i poeti. Avevano sfidato la società e il pubblico, non volevano essere capiti da tutti. Questo mi piaceva, mi piaceva moltissimo. Solo che, dopo aver pubblicato il mio primo e unico libro di poesie, vidi che non mi ci identificavo in assoluto, che io non ero esattamente un poeta, ma uno che “pensava” la poesia anziché crearla.

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La tua tesi sul romanzo è assai originale. Puoi sintetizzarla? Nel saggio che ho scritto sul romanzo ho voluto fare un lavoro un po’ audace: definire il romanzo da Cervantes a Kafka come una serie di esperimenti, nei quali si produce l’incontro tra personaggio e realtà esterna. All’inizio, in Cervantes, la realtà è visibile e ovvia, e la follia sognatrice del protagonista urta contro la realtà. In Kafka, invece, la realtà è diventata insidiosa, inafferrabile e invisibile: coincide con una legge misteriosa e crudele che nessuno conosce, ma davanti alla quale tutti soccombono. La situazione si è capovolta, ma il problema rimane, perché, nonostante le sue metamorfosi, il destino del romanzo è sempre quello di far incontrare il personaggio con la realtà.

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i dardi di Berardinelli

per me, ma per la letteratura della cosiddetta “seconda modernità” o postmodernità. Negare o ridurre a zero i generi era stata una delle utopie estremiste della modernità e, soprattutto, delle avanguardie. In realtà, se un autore non riesce a focalizzare qual è il suo unico genere letterario o almeno quello in cui è più forte, corre il rischio di sbagliare troppo. La tarda modernità, dagli anni cinquanta agli anni sessanta del Novecento, ci aveva abituati a credere che si poteva scrivere un romanzo senza saper narrare, senza la passione né l’ossessione per la narrazione, oppure che si potevano scrivere poesie senza quel riscaldamento emotivo o visionario che costringe la lingua ad uscire dalla sua quotidianità puramente comunicativa per farla ballare in una specie di stato di ebbrezza.... Perciò, dopo essermi soffermato troppo a lungo sulla poesia e sul saggio, tornai alcuni anni fa all’amore della prima gioventù: il romanzo.

l’accademico “Dicesi accademico colui per il quale un’affermazione evidente e vera è meno vera e meno evidente se non è accompagnata da note a piè di pagina.” (“Lessico. Accademico. Complessità. Genio e Genius, Semiologia”, in «Diario», a. I. n. 1, giugno 1985) sulla bruttezza “Bruttezza? Be’, anche nel paese della bellezza, nel paese nel quale si concentra il massimo di bellezza artistica prodotta dall’Homo sapiens sapiens, cioè in Italia, il brutto non manca. Brutti, spesso raccapriccianti i giocattoli dei bambini. Brutte le scuole: dentro cui si passa nella noia e nell’angustia gran parte della vita fra i sei e i diciotto anni. Brutte, irreali e stralunate le chiese costruite negli ultimi

E quest’ultima appare sempre imprevedibile, irrazionale e praticamente ingovernabile, sia in Cervantes che in Kafka. Ovviamente, quando dico realtà non penso in assoluto alla poetica specifica del realismo, che è uno dei tanti modi di capire la realtà. Il nome di Kafka dovrebbe chiarire le idee. Anche quando la realtà è un mistero, è sempre qualcosa che costringe l’individuo a uscire da sé e a sentire che c’è qualcosa che trascende o colpisce la sua coscienza soggettiva.

Ho l’impressione che la saggistica ha prodotto opere più solide rispetto alla narrativa

due secoli. Brutti i francobolli italiani: senza dubbio i più brutti del mondo.” (“Sulla bruttezza”, «Liberal», ottobre 1996). il calcio “Che cos’è il calcio? A sentire i più competenti e appassionati, quelli che tendono a farne una filosofia, un punto di vista sul mondo e infine lo specchio dell’intera realtà, il calcio non è qualcosa: è tutto.” (“Il Calcio”, «Panorama», 13 luglio 2000). l’intellettuale militante “Personalmente non mi sento un intellettuale come categoria, ceto, gruppo sociale. Quando ci si schiera, ci si militarizza e si smette di considerare che l’avversario potrebbe anche avere ragione.” (Che intellettuale sei?, nottetempo, Roma, 2011, p. 13).

In molti libri hai parlato della perplessità del riconoscersi italiani. Cosa comporta oggi essere italiano? Noi italiani non sappiamo più cosa fare: se dimenticarci di essere italiani, sperando quindi di essere più comprensibili e meno caratteristici, oppure, se affrontare con coraggio quello che siamo. Se accettassimo questa seconda opzione, probabilmente produrremmo un grande romanzo postmoderno che finalmente ci rappresenti in modo veritiero e crudele. Siamo in attesa da tanti anni dell’autore che si dimostri in grado di farlo. Ma la speranza è corta... Il problema è che abbiamo una storia talmente lunga e complessa che siamo costretti a dimenticarla. Per eccesso di passato siamo diventati semibarbari senza memoria. c

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lingue in uso

infine

per una comparazione tra lo spagnolo e l’italiano

español

italiano

Todo terminará / acabará como habíamos previsto.

Tutto finirà come avevamo previsto.

Acabará por odiarlo. / Terminará odiándolo.

Finirà per odiarlo.

Acabo de recibir una mala noticia. (Argentina: Recién recibí una mala noticia.)

Ho appena ricevuto una cattiva notizia.

Esa es su obra más acabada. (más perfecta)

Quella è la sua opera più compiuta.

Es un hombre acabado. (fracasado)

È un uomo finito.

¡Acabáramos! (Cuando se entiende por fin algo que no se entendía.)

Finalmente ho capito!!

¡Basta, se acabó!

Basta, è finita!

Muerto el perro, se acabó la rabia.

Morto il cane, finita la rabbia.

De tantos disgustos, acabó con él.

Con tutti quei dispiaceri ha finito per ucciderlo.

¡Cuánto quisiera una casa en el fin del mundo!

Quanto vorrei una casa alla fine del mondo!

Al fin y al cabo, no era tan complicado. / En fin de cuentas, no era tan complicado.

Alla fine / In fin dei conti.

¡Por fin juntos! / ¡Al fin juntos!

Finalmente insieme!

En fin, ¿qué te pidieron?

Insomma, che cosa ti hanno chiesto?

Es necesario poner fin a esa discusión.

Bisogna mettere / porre fine a questa discussione.

Ocurrió al final de la guerra

È successo alla fine della guerra.

Tuvo un final trágico. (Un desenlace.)

Ha avuto una fine tragica.

Lo explicamos a fin de que todos comprendieran el porqué.

Lo abbiamo spiegato affinché tutti comprendessero il perché.

No sé cuál es la finalidad de este encuentro / el fin de este encuentro.

Non so quale sia la finalità / il fine di quest’incontro.

Llegamos al término / al final del viaje.

Siamo arrivati al termine / alla fine del viaggio.

El trabajo deberá presentarse en el término de diez días.

Il lavoro dovrà essere presentato entro dieci giorni.

En último término, buscaremos ayuda.

In ultima istanza, cercheremo aiuto.

Llevar a término / a cabo una caso.

Portare a compimento / a termine una cosa.

En conclusión.

In conclusione / Infine.

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Si presenta qui un breve schema delle divergenze morfosintattiche e semantiche delle parole, dei sintagmi e delle espressioni legati al campo semantico “fine”.

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traduzioni

tradurre la cucina Anna Colia Siena

È appena uscita in Brasile la prima traduzione in portoghese del famoso manuale di cucina di Artusi, pubblicato in Italia nel 1891. Si afferma nel mondo la tradizione culinaria italiana.

U

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scito nel 2009 in Brasile, A Ciência na Cozinha e a Arte de Comer Bem è la traduzione in portoghese della quattordicesima edizione della Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene di Pellegrino Artusi (Forlimpopoli 1820 – Firenze 1911). Il celebre testo di cucina, pubblicato nel 1891 dopo diverse difficoltà e opinioni di dotti ed editori che gli pronosticavano poca fortuna, fu invece ripubblicato per quindici volte fino al 1911 e innumerevoli altre nei decenni successivi, e ad oggi è stato tradotto in inglese, olandese, portoghese, spagnolo e tedesco (probabilmente lo si potrà presto leggere anche in giapponese e in russo). Lo studioso Piero Camporesi, che ne curò l’edizione einaudiana del 1970, affermò che «La Scienza in cucina» ha fatto «per l’unificazione nazionale più di quanto non siano riusciti a fare i Promessi sposi». Artusi, infatti, che di professione non fece il cuoco, scegliendo «voci del volgare toscano» (più specificamente fiorentino) fra i tanti altri geosinonimi e quindi varietà linguistiche esistenti, contribuì in maniera significativa col suo ricettario, destinato ad entrare nelle case italiane e ad essere consultato quotidianamente dalle massaie, alla formazione di un’identità

Ricetta n. 194. Crescente Che linguaggio strano si parla nella dotta Bologna! I tappeti (da terra) li chiamano i panni; i fiaschi, i fiaschetti (di vino), zucche, zucchette; le animelle, i latti. Dicono zigàre per piangere, e ad una donna malsana, brutta ed uggiosa, che si direbbe una calìa o una scamonea, danno il nome di sagoma. Nelle trattorie poi trovate la trifola, la costata alla fiorentina ed altre siffatte cose da spiritare i cani. Fu là, io credo, che s’inventarono le batterie per significare le corse di gara a baroccino o a sediolo e dove si era trovato il vocabolo zona per indicare una corsa in tranvai. Quando sentii la prima volta nominare la crescente, credei si parlasse della luna; si trattava invece della schiacciata, o focaccia, o pasta fritta comune che tutti conoscono e sanno fare, con la sola differenza che i Bolognesi, per renderla più tenera e digeribile, nell’intridere coll’acqua diaccia e il sale, aggiungono un poco di lardo. Pare che la stiacciata gonfi se la gettate in padella coll’unto a bollore, fuori del fuoco. Sono per altro i Bolognesi gente attiva, industriosa, affabile e cordiale e però, tanto con gli uomini che con le donne, si parla volentieri, perché piace la loro franca conversazione. Codesta, se io avessi a giudicare, è la vera educazione e civiltà di un popolo, non quella di certe città i cui abitanti son di un carattere del tutto diverso. Il Boccaccio in una delle sue novelle, parlando delle donne bolognesi, esclama: “O singolar dolcezza del sangue bolognese! quanto se’ tu sempre stata da commendare in così fatti casi! (casi d’amore) mai di lagrime né di sospir fosti vaga; e continuamente a’ prieghi pieghevole e agli amorosi desiderii arrendevol fosti; se io avesse degne lodi da commendarti, mai sazia non se ne vedrebbe la voce mia”.

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linguistica nazionale, uniformando il lessico culinario italiano. La traduzione, ideata e approntata da Anabela Cristina Costa da Silva Ferreira e rivista in ultima battuta da Marusca Oliva Bertolozzi e da Jessia Picichelli de Arruda Sampaio, ripropone in portoghese, in chiave linguisticamente ammodernata, le 790 ricette del famoso trattato in cui l’autore, rendendolo ancora più “gustoso”, dissemina commenti, descrizioni di momenti di vita passata, citazioni letterarie, proverbi e riferimenti alla terra d’origine. Il testo portoghese, pensato in primis per riannodare i fili delle identità emiliano-romagnole sparse sul vasto territorio brasiliano, soddisfa gli emigrati che potranno cimentarsi in cucina seguendo, altra cosa in cui Artusi fu innovativo, le indicazioni precise della quantità degli ingredienti basate su un numero di persone finalmente ragionevole. Inoltre, osservando il valore che la tradizione ha attribuito al cibo proposto da Artusi (ricordiamo che un numero significativo di ricette fu inviato all’autore dalle sue lettrici), potranno facilmente, avendo origini italiane, riscoprire e tornare a condividere un patrimonio culinario comune. Più difficile, invece, sarà per i lusofoni, a causa dell’ammodernamento linguistico e della rarefazione della presenza delle varianti, riscoprire il valore di alcune scelte lessicali artusiane che portano in sé motivazioni linguistiche non solo formali, ma anche personali e culturali. Un ottimo esempio che, senza bisogno di commenti, ci parla della complessità del panorama linguistico italiano e della consapevolezza che ne aveva Artusi è la ricetta n. 194 della Crescente (vedi riquadro), in cui si può assaporare il gusto artusiano per la buona lingua e per le ricette della sua terra d’origine. c Il libro in portoghese: P. Artusi, A Ciência na Cozinha e a Arte de Comer Bem, Consulta degli Emiliano-Romagnoli nel mondo, Regione EmiliaRomagna, Comune di Forlimpopoli, Provincia di Forlì-Cesena e Associazione Emiliano Romagnola Bandeirante di Salto e Itu in Brasile, 2009. Il libro in italiano. L’edizione di riferimento della traduzione è on-line ed è scaricabile in pdf: http://www.casartusi.it/web/casa_artusi/scienza_ in_cucina.

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Receita n. 194. Crescente Que língua estranha se fala na erudita Bolonha! Os tapetes (do chão) são chamados panni; os garrafões (para o vinho), zucche, zucchette; as moelas, latti. Dizem zigàre para chorar, e a uma mulher doentia, feia e tediosa, que poderia se dizer uma pessoa doentia ou aborrecida, dão o nome de sagoma. Nas cantinas encontra-se a trifola, a chuleta à moda fiorentina e outras coisas desse tipo que deixam os cachorros endiabrados. Foi lá, creio eu, que inventaram as batterie para indicar as competições com carroças e onde encontraram o termo zona para indicar uma corrida de bonde. Quando ouvi falar pela primeira vez em crescente, achava que falassem da lua; ao contrário, era a schiacciata, ou focaccia, ou a massa frita comum que todos conhecem e sabem preparar, com a única diferença de que os bolonheses, para que a massa fique macia e mais digestível, ao misturar a farinha com água fria e sal, adicionam um pouco de banha. Parece que a schiacciata cresça melhor se colocada na frigideira, com a gordura já fervendo, ao lado do fogo e ñao em cima dele. Além disso, os bolonheses são pessoas, ativas, trabalhadoras, amáveis e cordiais, e è um prazer conversar tanto com os homens como com as mulheres, porque gostam de uma boa conversa. Se eu tivesse de avaliar, esta é a verdadeira educação e civilização de um povo, não como a de outras cidades onde os habitantes possuem um caráter totalmente diferente. O poeta Boccaccio (1313-1375), em uma das suas novelas, falando das mulheres bolonhesas, disse: “O singolar dolcezza del sangue bolognese! quanto se’ tu sempre stata da commendare in così fatti casi! (casi d’amore) mai di lagrime né di sospir fosti vaga; e continuamente a’ prieghi pieghevole e agli amorosi desiderii arrendevol fosti; se io avesse degne lodi da commendarti, mai sazia non se ne vedrebbe la voce mia.” [Ó extraordinária doçura do sangue bolonhês! Quanto você foi sempre doce, para entregar casos assim! (casos de amor), quanto a lágrimas e a suspiros você jamais foi incerta; e você se dobrou continuamente a preces, e aos desejos amorosos você se rendeu; se eu tivesse que louvá-la dignamente, jamais a minha voz se veria apagada.]

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cultura e società

il Risorgimento delle donne Pietro Niegle Trieste

L’Italia celebra quest’anno i 150 anni dell’unità. Lo storico Pietro Neglie, professore di Storia contemporanea all’Università di Trieste, sottolinea il ruolo delle donne nel processo d’unificazione dello Stato italiano.

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L

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’Italia celebra questo anno il 150° anniversario della sua unità. È però necessario rammentare che l’unificazione del paese avvenne a più riprese. Quella del 1861, dunque, è la tappa iniziale, benché ufficiale, che segna la fine della divisione in tanti stati, prevalentemente sotto il controllo austriaco. Nel 1866 si combatté la terza guerra di Indipendenza, grazie alla quale diventarono italiane “le Venezie”, fatta eccezione per Trieste e Trento. Nel 1870, invece, grazie alla iniziativa dell’esercito italiano, che approfittò dell’impegno francese in Alsazia contro la Prussia, fu conquistata Roma e si pose fine al potere temporale del Papa. Questo anniversario è una data importante, che cade in un momento segnato –ancor più che nel passato– da un impoverimento del sentimento nazionale, delle ragioni dello stare insieme. Non è il caso, ora, di addentrarsi nelle questioni politiche più rilevanti del giorno d’oggi; mentre invece è opportuna una rievocazione che non sia solo la ripetizione di

stanchi slogan patriottici. Questo mi sembra il modo migliore per ripensare a quei giorni, a ciò che significarono e che, ancora, possono significare. E per confermare l’intenzione di procedere in modo difforme dalle altre iniziative in onore del Risorgimento, ci dedicheremo ad un aspetto particolare, cioè al contributo e al ruolo delle donne. Un Risorgimento al femminile, dunque? Quello raccontato fino ad oggi è un Risorgimento tutto al maschile, fatto da martiri ed eroi; la storiografia, infatti, sembra aver reso invisibili le donne del Risorgimento, così come potrei dire ha fatto per le donne della Resistenza. In genere si è parlato di loro solo come “la moglie di…” oppure “la figlia, o la madre di…”. Invece un vero universo al femminile ha costellato e persino contrassegnato il Risorgimento: donne con ruoli diversi, che hanno profuso il loro impegno in tante maniere ed hanno pagato prezzi altissimi. Non intendo certo bilanciare con una lettura tutta al femminile la tradizionale

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Adelaide Ristori

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Il clima politico-culturale dell’Italia pre-unitaria

La contessa di Castiglione

interpretazione al maschile, ma solo offrire con ciò una lettura completa del fenomeno e, dunque, dei suoi protagonisti. Uomini e donne. Dei primi, solo di loro, si è parlato finora, dunque adesso occorre quanto meno far conoscere al grande pubblico l’importanza e la varietà del contributo delle donne. Il Risorgimento è stato un fatto élitario, sia nell’indirizzo, sia nei programmi e nella partecipazione. In alcune circostanze sono stati coinvolti elementi della borghesia e più raramente del popolo, pertanto la quantità e la qualità della partecipazione femminile non può certo essere relegata ai margini, come questione storicamente infondata. Anzi, per le esponenti dell’aristocrazia e della grande borghesia non si può certo parlare di contributo inesistente o superficiale senza commettere un falso storico. Le donne parteciparono in mille modi differenti, che sintetizzerò per offrire uno spaccato di quella realtà, di quei tempi: mille modi che sono poco conosciuti dal grande pubblico.

Ma prima di passare ad una sommaria ricostruzione del contributo delle donne, ritengo di dover spendere qualche parola sul periodo in generale, sul clima politico e culturale che accompagna il Risorgimento italiano. Il clima di fiducia nel futuro aveva preso il sopravvento con l’Illuminismo; la cultura di allora postulava la supremazia della ragione, e ciò faceva ben sperare nei cambiamenti sociali che la ragione riteneva necessari perché naturali. L’idea di giustizia che si afferma in quel periodo nasceva dalla considerazione che tutti gli uomini nascono liberi. Quelle idee tennero a battesimo la Rivoluzione francese, con i suoi ideali di uguaglianza, libertà e fraternità. L’eco di quelle parole così affascinanti, che prefiguravano un mondo più giusto e più bello, si sparse in tutta l’Europa. E oltre che diffondersi per mezzo dei libri, degli articoli, dell’opera di artisti e intellettuali, si trasmisero attraverso le armate napoleoniche, in quegli anni dominatrici nel mondo. I paesi conquistati non si piegavano solo alla forza delle armi, ma anche a quella dei princìpi universali che le armate portavano con sé. Alla fine del Settecento, Napoleone giunse in Italia, proclamò la Seconda Repubblica Cisalpina e deliberò la nascita della Repubblica Italiana con Milano capitale. In quegli anni ci fu in pratica una vera semina degli ideali liberali, che formò la base

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Quello raccontato fino ad oggi è un Risorgimento tutto al maschile, fatto da martiri ed eroi; la storiografia, infatti, sembra aver reso invisibili le donne del Risorgimento, così come potrei dire ha fatto per le donne della Resistenza.

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culturale su cui poggiò il progetto e il sogno dell’indipendenza, accarezzato in primo luogo dall’aristocrazia lombarda e dai primi segmenti della grande borghesia agraria. La sconfitta di Napoleone e il Congresso di Vienna, che fu organizzato per ridisegnare i confini dei paesi europei, rimettere sul trono i legittimi regnanti e ripristinare l’ordine, abolì tutte quelle riforme e perseguì chiunque inseguisse l’ideale della libertà e dell’indipendenza. In Italia, tali sentimenti si tradussero pian piano in un progetto, inizialmente portato avanti da una società segreta, la Carboneria, che perseguiva l’ideale nazionale e rivendicava una monarchia Costituzionale. Ma la presenza di una efficace rete di spie, di un esercito vigile e pronto ad intervenire, di una polizia molto attiva ed efficiente rese il compito di quella ristretta élite molto difficile. Alcuni degli ostacoli maggiori erano lo scarso livello teorico e organizzativo dei patrioti, la debole e limitata coscienza nazionale, l’insufficiente coinvolgimento della classe dirigente e la sua arretratezza economica e sociale.

La partecipazione e il ruolo delle donne A partire da quegli anni, sino alla conclusione del Risorgimento, la presenza delle donne fu cospicua e apportò un contributo concreto ed efficace sia in termini di partecipazione diretta, sia sotto forma di attività volta a sensibilizzare le classi dirigenti, promuovere e diffondere gli ideali patriottici. Donne che riuscirono a coniugare la famiglia con l’amor di patria, e portarono la politica nella loro vita quotidiana, con o senza uomini al loro

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Donne che riuscirono a coniugare la famiglia con l’amor di patria, e portarono la politica nella loro vita quotidiana, con o senza uomini al loro fianco.

paese era il punto d’arrivo del movimento indipendentista, ma allo stesso tempo era il punto di partenza per coloro che volevano costruire un’Italia nuova, libera non solo dall’oppressione dello straniero, ma libera anche dalla miseria e dall’ignoranza. Un paese unito anche culturalmente, socialmente, economicamente. Elena Casati, rappresentante dell’alta borghesia agraria lombarda, finanzia generosamente le imprese organizzate da Giuseppe Mazzini e, dopo aver visto da vicino la povertà e la miseria dell’Italia, capisce quanto sia importante la cultura, quanto serva per migliorare l’esistenza, dunque lavora assiduamente per creare un sistema di istruzione pubblico. E come lei, sostenitrice della centralità della cultura, incontriamo Adelaide Ristori, attrice friulana che contribuì a creare un sentimento patriottico condiviso, una comunanza di ideali e sentimenti senza i quali il movimento indipendentista non avrebbe avuto né forza né anima. La poetessa abruzzese Giannina Milli, dopo aver collaborato, come tante altre, a far nascere un sentimento patriottico, si prodigò come ispettrice scolastica nell’organizzazione della cultura in un paese in cui l’analfabetismo toccava in alcune zone più dell’80 per cento della popolazione. Come tacere di personaggi leggendari come la Contessa di Castiglione, che mise la bellezza e la seduzione al servizio della Patria? Ebbe il compito di conquistare con le sue grazie l’Imperatore francese, Napoleone III, e influenzare la sua politica verso l’Italia. Oppure la principessa di Belgioioso, che con la

sua azione si caratterizza come combattente attiva (organizza un battaglione di napoletani che partecipano alle cinque giornate di Milano, nel 1848), diventa la prima direttrice di un giornale (L’Ausonio) in Europa, inventa e allestisce un servizio sanitario, antenato del corpo delle Crocerossine. Impossibile non fare cenno a Olimpia Rossi Savio e Adelaide Bono Cairoli: la loro coerenza, il loro sentire con responsabilità il senso del dovere di liberare il paese, le spinse ad educare i figli ai valori patriottici. Adelaide perse nelle guerre risorgimentali 4 figli su 5, Olimpia 2 su 3. Insignite da Garibaldi dell’appellativo di “Madri della Patria”, soffrirono la pena più grande e contro natura che una donna possa provare: seppellire i propri figli. Eppure di fronte alla pietà umana di chi cercava di offrire consolazione, Adelaide rispose che l’immenso dolore di una donna, di una famiglia, è nulla di fronte a quello di un paese privato della sua libertà. Non possiamo tacere nemmeno le brigantesse: eroine passionali e crudeli, libere ed indipendenti spesso anche in campo sessuale, furono fiere combattenti per l’indipendenza del Sud. Il brigantaggio femminile fu una forma di ribellione allo straniero e alla condizione di soggezione delle donne; un momento tragico di protagonismo per il riscatto economico e sociale del Mezzogiorno. Dimenticare questo, o considerarlo marginale –come è stato finora– è un’offesa che il paese ha fatto a se stesso. Ed ora vuole riparare restituendo una dignità ed un onore per niente retorici. c

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fianco. Anzi, talvolta gli uomini sono presenti nella loro vita come autorità, come simbolo della loro sottomissione stabilita dalla legge. Ma molto più spesso, nel caso delle donne protagoniste del Risorgimento, il legame che le unisce ai loro mariti è l’amore reciproco e l’amore per la patria, per l’indipendenza e la libertà. Dunque la presenza e il ruolo svolto dalle donne non è certo marginale; pensiamo a eroi passati alla storia per esser stati processati e giustiziati dopo aver partecipato ad un moto rivoluzionario. O a coloro che dalle prigioni imperiali hanno scritto pagine importanti, assurte a simbolo della lotta all’oppressore. Moltissime donne hanno svolto le stesse funzioni, hanno corso gli stessi rischi e pagato allo stesso modo degli uomini. Donne che hanno combattuto con le armi in mano, come Rosalia Montmasson, povera donna del popolo, compagna e moglie di Francesco Crispi –futuro presidente del Consiglio–, unica donna che partecipò alla spedizione dei Mille. O come Antonietta De Pace, figlia di una nobile e un borghese e figlia della terra di Puglia, che per partecipare ai moti del 1848 si travestì da uomo; poi venne arrestata e due anni di duro carcere non la piegarono, non la spinsero a rivelare nulla dei suoi compatrioti e dell’attività cospirativa. La brasiliana Anita Garibaldi è forse la più nota fra le donne combattenti; al fianco di Garibaldi partecipò a molte spedizioni e iniziative, fino alla morte per stenti e malattia, in fuga dal nemico. La forza delle armi era necessaria in quel contesto, ma ciò che avrebbe dato senso e un seguito alle iniziative armate era la consapevolezza del bene primario dell’indipendenza e la nascita di una coscienza nazionale. L’unificazione di fatto e giuridica del

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il fumetto

soldati del Papa un fumetto di Michele Petrucci

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Nella pagina accanto si presenta un testo di Michele Petrucci, nato a Pesaro nel 1973, autore e disegnatore di vari fumetti, tra cui il recente Il brigante Grossi e la sua miserabile banda. Una cronaca disegnata (Tunué. Editori dell’immaginario, Latina, 2010), nel quale affronta la storia del brigante Terenzio Grossi nell’Italia risorgimentale. Soldati del Papa è stato pubblicato su «Il manifesto» nel mese di gennaio 2011 e gentilmente concesso a cartabianca dall’autore. c Vedi il blog di Michele Petrucci http://michelepetrucci.blogspot.com/

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a quando Italo Calvino e Umberto Eco, nei lontani anni sessanta, confessarono la loro passione per il fumetto, ormai considerato alla pari della grande letteratura, il genere ha guadagnato sempre più terreno e prestigio. Anzi, c’è chi addirittura sostiene che le grandi novità narrative contemporanee sono da cercarsi nei fumetti. Molte le qualità del genere: una ricca, articolata e complessa ricerca espressiva tra parola e immagine; una sempre più evidente voglia di approfondimenti tematici (sono ormai frequenti i fumetti di grande spessore psicologico e metafisico); un impegno palese con la realtà e una marcata vocazione alla narrazione storica. Chi volesse conoscere l’Italia d’oggi e di ieri farebbe bene ad addentrarsi nel fumetto. E soprattutto nella larga produzione delle cosiddette “graphic novels”, in cui si intrecciano tradizione e innovazione.

C’è chi addirittura sostiene che le grandi novità narrative contemporanee sono da cercarsi nei fumetti.

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Š Michele Petrucci / il manifesto


viceversa

los caminos a Roma

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En 1985, el escritor colombiano Fernando Vallejo publica la segunda parte de su monumental biografía, en que describe su primer viaje a Roma, en los años sesenta, para estudiar cine. En una prosa billante, irónica, desacralizadora y pirotécnica (en que se mezclan castellano e italiano), Vallejo ofrece su particular e inolvidable visión sudamericana de la Ciudad Eterna.

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celta la paz latina, la voluntad de César, la gloria del Imperio, hacia allá, más allá, el remoto más allá, rumbo al sol meridional o rumbo al tope del septentrión, la bruma del fin del mundo, la última Tule. No. Ni por esas rutas llegué ni por esas puertas entré. Llegué en un mísero avión de Aitalia que aterrizó sin contratiempos, en el aeropuerto de Fiumicino. El cónsul de Colombia, Gonzalo Bula, vino con su ancha sonrisa a recibirme: ¿Y por qué te dio por venirte a estudiar cine? –me preguntó. Hombre –le contesté–, porque la literatura al lado de la imagen vale un carajo. Y por mis ojos de beneplácito, complacientes, el íntimo regocijo desbordándoseme del alma. [...] Y luego, un vértigo, un torbellino. Calles, puentes, fuentes, rampas, pla-

Y por mis ojos de beneplácito, complacientes, el íntimo regocijo desbordándoseme del alma. [...]

zas, plazoletas, callejones, mausoleos, galerías, obeliscos, palacios, estatuas, cúpulas, pórticos, anfiteatros, escalinatas, terrazas, y por entre un bullicio enloquecido, un hormigueo de carritos zigzagueantes como animalitos rastreros, insectos, cucarachitas veloces de caparazones multicolores, rojas, verdes, azules, amarillas, frágiles, de latón, cajitas rodantes de mentolín. ¿Qué son? ¿Cómo se llaman? Son los Fiat. ¡Fiat lux! Y cuando mis ojos devotos, deslumbrados, se llenaban de esa magnificencia arquitectónica, de ese fervor de piedra antigua y venerable, de esa embriaguez de mármoles, un perro alza la pata y orina contra una columnata espléndida. Pshhhhh.... A las cinco llegábamos a la Casa dello Studente en el Campo della Farnesina. Se despidió el cónsul, partió, y me quedé solo con mi destino. La hora que va desde las cinco a la puesta del sol de ese veintiuno de marzo lo puedo revivir instante por instante pese a los años trasncurridos. Dejé mi equipaje en mi cuarto y volví a salir, al exterior abierto, espléndido, lleno de savia nueva de la primavera. Por el cielo plácido uccellini vanno in giro. Fanno la loro passeggiata vespertina. Empecé a caminar lo largo del río, en el sentido en que bajan sus aguas impacientes, presurosas, atropellándose por llegar al mar. Su prisa cotrastaba con mi paso calmado. [...] Aguas del Tíber que vienen hasta mí cruzando las edades a bañar mi corazón... Sobre el río y los puentes se puso el sol. Se acabó la carrera loca de los instantes, de los años, ahí, en una bola roja, el ocaso, il tramonto, la vida irremediablemente vivida, marchita, tramontata per sempre. Il primo giorno di nostro incontro. Roma, mi amor. c

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migo, todos los caminos llevan a Roma. Así ha sido siempre y así siempre será. Por algo es la capital del Imperio. Quien vive en Biblos, en Treveris, en Hispania, Lusitania, Germania, en Medellín o Envigado está fregado: vive en la periferia. Y yo nací para brillar en el mero centro, el centro mismo de la estrella de donde irradian los infinitos rayos a alumbrar, compasivos, la barriada. Por ello mi viaje a la ciudad eterna. No llegué, sin embargo, en el carro de la guerra, cónsul yo, Caius Marius victorioso, vencedor de cimbros y teutones que vuelve del Piamonte con su alada legión y en el puño el águila de plata. Ni llegué por el viejo Tíber desde el mar Tirreno en trirreme, en alegre barcaza impulsada por cien remeros egipcios (que me dio mi amante Cleopatra) y el viento de la fama. Hiératico yo mientras corta mi quilla, mi proa las ondas.... No, así tampoco. Ni por la Via Appia bajo un arco de triunfo digamos, doble o sencillo, entre cobre, bronce o hierro, chispas, brillos, látigos de auriga, trompeteros, cascos de caballos y seis mil de los hombres de Espartaco adornándome el camino a lado y lado, crucificados. O como teas encendidos en la noche crepitante seis mil cristianos. No, qué va. Ni entré por la muralla Aurelia, por la Porta Pia, caballero cruzado con cota de malla de vuelta de Jerusalén, en mula cansada, o mejor en brioso corcel sobre Oriente y Occidente, la Edad antigua y la moderna, a caballo de la Historia. No, ni por la Via Aurelia, ni por la Via Salaria, ni por la Via Tuscolana, ni por la Porta Latina, ni por la Portese, ni por la del Santo Espíritu de donde parten esas anchas, largas, famosas calzadas empedradas de eternidades a llevar de tumbo en tumbo, de siglo en siglo, en el carro

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profili

Claudio Magris: la cultura di frontiera Alejandro Patat Siena

Per molti lettori, Claudio Magris (Trieste, 1939) è un germanista che ha diffuso in Italia molti dei grandi scrittori mitteleuropei. Ma per la stragrande maggioranza dei “suoi” lettori, Magris è lo scrittore contemporaneo che, forse più di ogni altro, è riuscito a dialogare con la cultura europea (e anche latinoamericana) a partire da una solida padronanza della lingua e della tradizione letteraria italiana.

Il mondo austroungarico

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ei primi libri di saggi (Il mito asburgico nella letteratura austriaca moderna, 1963; Lontano da dove. Joseph Roth e la tradizione ebraico-orientale, 1971; e L’altra ragione. Tre saggi su Hoffmann, 1978) Magris il germanista affronta l’universo asburgico tra fine Ottocento e primo Novecento e, in particolare, il peso degli ebrei nella definizione della cultura cosiddetta mitteleuropea. Gli autori analizzati sono molti: Schnitzler, Hofmansthal, Kraus, Rilke, Roth, Musil, Hoffmann ecc. Ne emerge un quadro complesso, che descrive come in Europa nasca e si sviluppi una visione ironica e disincantata del mondo, percepito nella sua piena dissoluzione e nel suo definitivo disfacimento. Rappresentante ideale di tale visione è il

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noto romanzo di Musil, L’uomo senza qualità, nel quale si narra la vita interiore di Ulrich, più propenso al pensiero intimistico che all’azione. Il romanzo starebbe a testimoniare la crisi dell’ideologia borghese fondata sul fare e l’accrescersi della figura dell’inetto, lo stesso Ulrich, che non solo si sente incapace di modificare il corso delle cose, ma non trova proprio alcuna motivazione che lo spinga ad agire. Come spiega Magris, la figura dell’inetto arriva in Italia dalla frontiera dell’impero, la plurilingue e multiculturale città di Trieste, dove Italo Svevo comporrà i suoi famosi personaggi Alfonso Nitti, Emilio Brentani e Zeno Cosini. Tutti e tre sono legati soprattutto dall’incapacità di superare la propria inerzia e la propria inadattabilità alla società in cui vivono. Si può affermare senza dubbio che il filone della cultura austroungarica sarà fondamentale nella letteratura di Magris, sia nei saggi, sia negli articoli giornalistici, sia nei romanzi. Da una parte, tutta la sua scrittura è impregnata di dubbi, d’incertezze, di perplessità. L’idea stessa di un’esistenza corrosa dalla precarietà, dall’instabilità, dalla permanente trasformazione dell’essere e dei significati, è la cifra del suo pensiero. Dall’altra, nel 1986, lo scrittore triestino pubblica Danubio, un romanzo nel quale si racconta un viaggio attraverso il noto fiume europeo e attraverso la cultura cui esso è a contatto. Le città che Magris “visita”, navigando per il Danubio, sono Vienna, Bratislava, Budapest e Belgrado, tra tante altre. Ma rispetto ai suoi primi libri, lo stile di Magris è cambiato: Danubio non è un saggio critico costruito in funzione d’una tesi da dimostrare. Il pensiero del protagonista che viaggia (l’alter ego dell’autore) scorre da una parte all’altra, evoca, ricorda, appunta, segnala. La narrazione si fa vaga e digressiva come il fiume che descrive ad ogni sosta. L’autore si toglie il vestito dello studioso per indossare quello dello scrittore. Danubio pone Magris al centro dell’attenzione del pubblico internazionale.

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“Fin da Eraclito, il fiume è per eccellenza la figura interrogativa dell’identità.” Danubio, Garzanti, Mondadori, 1984

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Nel 1982 Magris aveva pubblicato Itaca e oltre. Trieste, un’identità di frontiera, una acuta riflessione sul ruolo esercitato da Trieste nella conformazione della cultura italiana del Novecento. La città è stata –come si è già detto– sia la porta d’ingresso in Italia di quella visione ironica e distaccata del mondo (cui si accennava prima), e che avrebbe alimentato tutta la filosofia e la letteratura italiana contemporanea, sia la via d’acceso alla psicanalisi e ad una concezione della cultura che fa definitivamente tramontare l’egemonia dell’asse Milano-Firenze-Roma. Gli autori triestini (Carlo Michaelstaedter, Italo Svevo, Umberto Saba, tra i più noti) apportano davvero nuovi temi e contenuti, e anche nuove forme nel dibattito letterario italiano. Trieste è la frontiera che pone in discussione l’idea di un paese monolingue e monoculturale. E, nello stesso tempo, è la frontiera che rafforza l’idea di un’identità nazionale complessa. Magris spalanca le porte in Italia al concetto proficuo del contatto, della contaminazione, della reciproca influenza tra lingue e culture. Con Microcosmi, pubblicato nel 1997 e vincitore del Premio Strega, Magris afferma la sua vocazione strettamente letteraria. Se Danubio spaziava dalla descrizione delle grandi città ex-asburgiche al pensiero fondativo dei grandi autori prima menzionati, Microcosmi si addentra nell’universo triestino e dalmata, tra personaggi minori, vinti dalla Storia, silenziosi e invisibili, imponenti nella loro intimità tragica e, forse per questo, eroica. Anche in Alla cieca (2007), l’ultimo suo romanzo, Magris darà voce ad un uomo anziano che, nella sua narrazione delirante, muta sempre nome e geografia: in lui convergono il recluso, il fuggitivo, il condannato, il prigioniero, il rivoluzionario, il clandestino. In poche parole, i relitti della Storia, gli ultimi e gli abbandonati. Per ultimo, in Lei dunque capirà (2006) appare in chiave autobiografica e con struggente tristezza, la dolorosa esperienza della morte di sua moglie, la scrittrice Marisa Madieri. Magris è l’unico scrittore italiano ad aver ricevuto, nel 2004, il Premio Príncipe de Asturias. c

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“Il peccato originale introduce la morte, che prende possesso della vita, la fa sentire insopportabile in ogni ora che essa arreca al suo trascorrere e costringe a distruggere il tempo della vita, a farlo passare presto, come una malattia; ammazzare il tempo: una forma educata di suicidio.” Microcosmo, Garzanti, Milano, 1997.

Claudio Magris

Trieste, ponte tra l’Italia e l’Europa centrale

“Non c’è viaggio senza che si attraversino frontiere – politiche, linguistiche, sociali, culturali, psicologiche, anche quelle invisibili che separano un quartiere da un altro nella stessa città, quella tra le persone, quelle tortuose che nei nostri inferi sbarrano la strada a noi stessi. Viaggiare non vuol dire soltanto andare dall’altra parte della frontiera, ma anche scoprire di essere sempre dall’altra parte.” L’infinito viaggiare, Mondadori, Milano, 2005.

“E così volevo cambiare la legge, la lingua, la grammatica dei carcerieri. La rivoluzione comincia nella testa, nell’ordine ossia nel disordine dei tuoi pensieri, che mettono tutto a soqquadro e anche te stesso, ti cambiano quella brutta lingua falsa dei carnefici.” Alla cieca, Garzanti, Milano, 2005.

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angolo della memoria

dalla Lombardia al Brasile Rafael Sozzi Siena

I

n letteratura è significativo il numero di protagonisti che realizzano un viaggio. Basti pensare all’Odissea, all’Eneide, ai Lusíadas. Oppure al viaggio attraverso l’Inferno, il Purgatorio e il Paradiso; o più vicini a noi il Grand Tour e i viaggi nelle città e nelle campagne europee. Ma esiste un altro viaggio senza ritorno. Destino, destinazione, partenza, viaggio. Parole che trovano un denominatore comune nel fenomeno della migrazione. Soprattutto, per quanto riguarda la migrazione verso il Nuovo Mondo. Un mondo in tutto e del tutto nuovo, da costruire, da creare. Un mondo nuovo che nella mente

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di un giovane ventisettenne (la cui lettera leggiamo qui) è in puro contrasto con il Vecchio Mondo, in cui guerre, dittatura, morte, sofferenze, privazioni risuonano ancora come un tormento infinito, indimenticabile. Il Nuovo Mondo è vita nuova. È ricostruirsi, è rinascere, è avere un’altra possibilità di compiere il proprio destino. Anzi, di essere protagonista del proprio destino. Studiosi dell’immigrazione italiana in America Latina sottolineano che questo fenomeno, diversamente da altri casi di migrazione italiana, è caratterizzato, soprattutto, per la creazione e costruzione di una nuova identità, per la collaborazione alla

costituzione di nuove nazioni. In un paese come il Brasile, multietnico e multiculturale, gli italiani hanno contribuito, insieme ad altri popoli, a costruire una nazione, una cultura, un’identità. Non per caso è una delle “etnie” più presenti nel territorio brasiliano (si presume che circa 6 milioni sono gli italiani e oriundi residenti nella città di San Paolo e 13 milioni in tutto lo Stato di San Paolo). Nella lettera che proponiamo, è possibile riscontrare un bellissimo esempio di ciò che abbiamo detto sopra: l’emigrazione verso il nuovo, non solo per motivazioni puramente economiche, redditizie, bensì per la possibilità di “concretizzare le proprie

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Nel 1948 un immigrato lombardo scrive al nipote: “vieni in Brasile, ti aspettiamo”. Proponiamo qui la lettera originale che precedette il viaggio senza ritorno di un emigrato italiano. A raccontarci l’episodio è il nipote, Rafael Sozzi, insegnante di lingua e cultura italiana a San Paolo, e che attualmente vive e studia a Siena.

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Destino, destinazione, partenza, viaggio. Parole che trovano un denominatore comune nel fenomeno della migrazione.

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aspirazioni”; di “risolvere quei problemi (problemi d’amore, perché Renzo si era innamorato di una ragazza di origine italiana che viveva a San Paolo) già programmati nel ‘taquino’ (taccuino) della vita”. E quindi, l’occasione di farsi una famiglia, di farsi un patrimonio. Come il Renzo Tramaglino dei Promessi Sposi, che –dopo tutte le sorti subite per compiere il suo destino, cioè ritrovare e sposare Lucia– lascia il suo paesino nella provincia di Lecco per andare a vivere a Bergamo. La lettera è indirizzata, invece, a Renzo Sozzi nel 1948 da parte di suo zio Arturo Pisati, immigrato in Brasile nel 1923. Arturo conferma l’acquisto del biglietto per il viaggio, l’attesa dei parenti ansiosi di conoscere il cugino “italiano”, l’incoraggiamento della decisione di migrare. Renzo lascia Milano con destinazione San Paolo sia per ritrovare colei che gli aveva creato dei “problemi” che per sposarla; e per essere, forse per la prima volta, il protagonista della propria vita, del proprio destino. c

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dove va l’italiano? Massimo Arcangeli Roma

È

trascorso più di un quarto di secolo da quando è stata introdotta la nozione di “italiano dell’uso medio”; non tutti sembrano però essersi accorti dei cambiamenti nel frattempo intervenuti. Alcuni tratti dell’italiano dell’uso medio degli anni Ottanta, ancora ostinatamente o pigramente riproposti tal quali in certe analisi, hanno visto ridimensionata la loro portata “eversiva” o sono stati a tutti gli effetti riassorbiti nello standard. Che ci piaccia o no. C’è chi, più realista del re, ha potuto censurare in anni recenti addirittura come erronea, additandola alla pubblica opinione, la segmentazione dell’enunciato risultante da blande dislocazioni a destra (Non l’ho ancora pagata la bolletta) o a sinistra (La bolletta non l’ho ancora pagata). Chi continua a difendere strenuamente l’oggetto indiretto loro (“Ho detto loro”), agonizzante e non più difendibile. Chi non vuole rassegnarsi al declino di un altro pronome, quello soggetto maschile egli: soppiantato nella maggior parte dei casi da lui, e all’apparenza ancora insostituibile in alcuni usi anaforici, se ne può spesso bellamente fare a meno (“Dante è nato a Firenze nel 1265. Egli è il più grande poeta italiano” → “Dante è nato a Firenze nel 1265. È il più grande poeta italiano). In qualche caso, amplificate dai media, guerre ideologiche, d’assalto o di posizione, combattute in nome di un passato recente non più recuperabile. Non molto diverse da quelle portate contro la nuova creatura partorita dalla per-

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fida Albione: l’anglo-americano veicolare globale, che può rivendicare con sfacciataggine la sua primazia mondiale o presentarsi sotto mentite spoglie. Un’occasione per affrontare brevemente alcune questioni relative al neoitaliano: le sue varietà, la sua ossatura testuale, la consistenza del suo lessico. Fra norma e uso, pratica e grammatica, mondo rappresentato e mondo reale.

2. L’italiano “latente” Lanciare sterili anatemi, bandire inutili crociate, attestarsi su indifendibili posizioni di retroguardia contro l’invasore inglese è un conto, denunciare l’abbondante superamento del livello di guardia della sua presenza è un’altra cosa. Una presenza, in molti casi, non soltanto ben al di sopra della soglia di accettabilità ma, ancor più pericolosamente, dissimulata o occulta. Con 1400 bollini si può avere in regalo un plak control center, mentre ne bastano 550 per un semplice plak control singolo, cioè un normale spazzolino da denti elettrico. Con 550 bollini si può avere un asciugacapelli travel silencio internacional; con 850 un silk-épil supersoft, cioè un depilatore per signora, e, con soli 250 bollini, un rasoio pocket twist.

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1. L’“italiano dell’abuso medio”

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<Lilyth of Asura> bannatemi se avete il coreggio mooood <Bloody Nightmare> BAH IO VADO SU WOW NOTTE A TUTTI…FANCULO PROGRAMMATORI <Lord Elius> TUTTI DIETRO L’ARALDOOOOO <Patty Sailor> chi mi aiuta a fare l’infamiaaaa? ^__^ <Biriffi the Bull> sto giocando con le mie Palle <Lord Elius> TUTTI DIETRO L’ARALDOOOOO <Feanor Shadowmoon> qualcuno ha armor della fow per farsi 1foto nel cerchio? <Gianba the Animal> TUTTI DIETRO ALL?ARALDOOOOO <Lilyth of Asura> modo siete tutti dei tardoni <Feanor Shadowmoon> io sloggo, ciao <Gianba the Animal> ti seguo a ruota, a domani <Belial the Shadow> allora <Belial the Shadow> finisco un quest <Belial the Shadow> chiamo <Belial the Shadow> king <Eva Speedaxe> ma quando fai il pg per pvp…ce lo puoi mettere il pet? <Belial the Shadow> e facciamo pvp? <Belial the Shadow> sì <Eva Speedaxe> basta che metti incanta animale in barra <Ragnar Mutila Corpi> chi fa la missione <Ragnar Mutila Corpi> ? <Dante Crimsomeyes> io <Ragnar Mutila Corpi> posso unirmi? <Ragnar Mutila Corpi> ciao <Dante Crimsomeyes> ciao ^^ <Belial the Shadow> ok <Crociato Mistico> dove si va di bello?? <Dante Crimsomeyes> di brutto vorrai dire <Belial the Shadow> devo passare <Belial the Shadow> in città <Belial the Shadow> compro delle pozioni <Crociato Mistico> si dante l’importante è raccattare qualche soldo <Belial the Shadow> mi aspettate????? <Ragnar Mutila Corpi> muauaua mi avvicino alla tenda ho visto un mio amico <Dante Crimsomeyes> facciamo che ci si vede qui fra mezz’ora? <Eva Speedaxe> io non posso ora stacco ci si vedeeee <Ragnar Mutila Corpi> anke prima io <Belial the Shadow> ok a dopo ciaooo

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Il primo brano è tratto dal sito www.italiasociale.org (di proprietà di Stefano Vernole). È una delle numerose offerte promozionali che le catene di supermercati propongono alla loro clientela, desiderosa di riempire di bollini d’acquisto le apposite tessere (ormai, per lo più, in formato card: Carta Insieme, Carta Club, etc.) per poter ottenere alla fine il tanto sospirato regalo. Non siamo molto distanti da questa parodia del perfetto itanglese, realizzata dall’agenzia di traduzione Agostini Associati: Come potete vedere da questa slide, la nostra unit Food & Beverage ha realizzato un ROI del 30% superiore al benchmark della categoria made in Italy, come da nostra company mission. La service line Fashion della function consulting ha invece supportato il client nella creazione del business plan e nell’advertising della summer collection. Infine la division Pat Food ha raggiunto nel fiscal year 2009 il 20% di market share sui diretti competitor, con grande soddisfazione degli shareholder. Invariata la customer satisfaction. Con il secondo brano atterriamo sull’inesplorato pianeta – linguisticamente parlando – dei giochi virtuali. Il modo del comunicare è una comune chat testuale; il gioco, ispirato al genere fantasy di tradizione medievale, appartiene ai CORPG (Competitive/Cooperative Online Role-Playing Game), una sottocategoria dei Massive Multiplayer Online Role-Playing Game che anziché concentrare tutti i personaggi partecipanti in un unico grande ambiente, come propriamente avviene nei MMORPG, li distribuisce in singole stanze a cui soltanto alcuni di essi possono di volta in volta accedere per portare a termine la loro missione. Nell’esempio riportato i partecipanti sono 11 e i loro nickname ora rinviano all’universo fantasy, con il corredo nomenclatorio di elfi, demoni, divinità nordiche e quant’altro (Feanor Shadowmoon, Lord Elius, Ragnar Mutila Corpi), oppure all’antica demonologia mediterranea o orientale (Lilyth of Asura) o all’immaginario religioso cristiano (Crociato Mistico), ora sono innescati da intenti dissacratori e goliardici (Biriffi the Bull, Gianba

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3. L’italiano “corrente” «Un tempo, i libri si rivolgevano a un numero limitato di persone, sparse su estensioni immense. Ed esse potevano permettersi di essere differenti. Nel mondo c’era molto spazio disponibile, allora. Ma in seguito il mondo si è fatto sempre più gremito di occhi, di gomiti, di bocche. La popolazione si è raddoppiata, triplicata, quadruplicata. Film, radio, riviste, libri si sono tutti livellati su un piano minimo, comune, una specie di norma dietetica universale, se mi intendi. Mi intendi?» «Credo di sì.» «Immagina tu stesso: l’uomo del diciannovesimo secolo coi suoi cavalli, i suoi cani, carri, carrozze, dal moto generale lento. Poi, nel ventesimo secolo, il moto si accelera notevolmente. I libri si

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fanno più brevi e sbrigativi. Riassunti. Scelte. Digesti. Giornali tutti titoli e notizie, le notizie praticamente riassunte nei titoli. Tutto viene ridotto a pastone, a trovata sensazionale, a finale esplosivo.» «Finale esplosivo» e Mildred annuì, approvando. «Le opere dei classici ridotte così da poter essere contenute in quindici minuti di programma radiofonico, poi riassunte ancora in modo da stare in una colonna a stampa, con un tempo di lettura non superiore ai due minuti; per ridursi alla fine a un riassuntino di non più di dieci, dodici righe di dizionario. Ma eran molti coloro presso i quali la conoscenza di Amleto (tu conosci certo questo titolo, Montag) si riduceva al “condensato” d’una pagina in un volume che proclamava: Ora finalmente potete leggere tutti i classici. Non siate inferiori al vostro collega d’ufficio! Capisci? Dalla nursery all’Università e da questa di nuovo alla nursery. Questo l’andamento intellettuale degli ultimi secoli.» «Basta seguire l’evoluzione della stampa popolare: Clic! Pic! Occhio, Bang! Ora, Bing! Là! Qua! Su! Giù! Guarda! Fuori! Sali! Scendi! Uff! Clac! Cic! Eh? Pardon! Etcì! Uh! Grazie! Pim, Pum, Pam! Questo il tenore dei titoli. Sunti dei sunti. Selezioni dei sunti della somma delle somme. Fatti e problemi sociali? una colonna, due frasi, un titolo. Poi, a mezz’aria, tutto svanisce. Il cervello umano rotea in ogni senso così rapidamente, sotto la spinta di editori, sfruttatori, radiospeculatori, che la forza centrifuga scaglia lontano e disperde tutto l’inutile pensiero, buono solo a farti perdere tempo.». Era parte di un dialogo tratto dal fantascientifico Fahrenheit 451 (nella traduzione mondadoriana) di Ray Bradbury. A parlare è il capitano dei vigili del fuoco Beatty, mentre il suo interlocutore e sottoposto, Guy Montag, pronuncia una sola battuta («Credo di sì») e la moglie di questi, Mildred, si limita ad annuire. Nel distopico romanzo di Bradbury viene prefigurato un terrificante futuro in cui la lettura è proibita e squadre di pompieri incaricate di far rispettare la legge ap-

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the Animal), ora si ispirano a certa cinematografia di genere (Bloody Nightmare, che è anche il titolo di un trash-horror che fa il verso ai film della saga di Venerdì 13, e forse anche Belial The Shadow), ora quasi traducono in inglese i soprannomi a cui ci hanno da sempre abituati la fumettistica e la cinematografia western (Eva Speedaxe, cioè ‘ascia veloce’) o richiamano in modo esplicito qualche tratto del loro aspetto, ovviamente nella finzione del personaggio che incarnano (Dante Crimsoneyes, ‘occhi cremisi’). Ma nel dialogo troviamo ancora, in una ibrida mescolanza e accanto a molto altro: a) anglicismi adattati: bannatemi ‘banditemi’ (ingl. to ban); sloggo ‘stacco, vado via’ (cfr. ingl. to log out), evidentemente favorito dall’italiano quasi omofono sloggiare; b) anglicismi non adattati: armor ‘corazza’ (per l’ingl. armour); quest ‘indagine, ricerca’ (o, altrove, ‘compito, incarico’); pet, lett. ‘beniamino, prediletto’, che è un personaggio non giocante controllato dal personaggio di un giocatore (non direttamente dal giocatore, quindi, ma dal computer); c) sigle o acronimi di matrice inglese : pvp (= player versus player); wow (= World of Warcraft). Davvero una lingua di frontiera. Centrifuga e provocatoria, e inequivocabilmente giovanile, inanella una serie di “barbarie” su cui tornerò.

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Lanciare sterili anatemi, bandire inutili crociate, attestarsi su indifendibili posizioni di retroguardia contro l’invasore inglese è un conto, denunciare l’abbondante superamento del livello di guardia della sua presenza è un’altra cosa.

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Anche l’italiano corre. Non facciamo a tempo a registrarne nuove tensioni e nuovi orientamenti che il quadro che lo ritrae è già mutato sotto i nostri occhi di parlanti e scriventi increduli.

piccano il fuoco a intere biblioteche e ne eliminano, imprigionano o rinchiudono in manicomio i sovversivi proprietari. Se non sono loro a togliersi la vita, lasciandosi bruciare con gli amatissimi volumi. Così decide di fare un’anziana donna, e il suo atto sconvolge il pompiere Montag. Anche lui occulta libri, quelli che riesce di tanto in tanto a sottrarre alle fiamme; presa coscienza della torpida ripetitività di gesti e comportamenti a cui tutti soggiacciono, tenta a un certo punto di opporsi a un “sistema” che rende tutti uguali, che lavora per una parvenza di felicità indotta dal bombardamento di immagini e dall’orgia dello stordimento mentale collettivo. Formidabile strumento di controllo governativo è la televisione: onnipresente e interattiva (il copione del personaggio da recitare lo si riceve comodamente a casa), può arrivare a occupare per intero le quattro pareti di una stanza e ottunde le coscienze, tutte invariabilmente uguali come i pensieri, i comportamenti, i valori: non diffonde informazione ma narcotizza, intrattenendo con insulse commedie impersonate da presunti “parenti”, avvenimenti sportivi, spot pubblicitari e quant’altro.

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È arrivato un bastimento giovane carico di… griffe, graffiti, gaffe, vaffa, style, stress, strip, stop, spin, slot, loft, soft, flip, flop, hip, hop, hit, hot, tip, top, gap, trip, trick, trans, trends, test, best, must, cult, suv, suk, suck, slum, punk, pub, hub, sub, club, cool, care, car, change, lounge, loop, look, lock, talk, doc, vip, clip, chip, cheap ’n’ blues off-the-road… … È anche arrivata una gondoleta stracarica – oltre che di biondine e brunette – di chiocciole, coccole, caccole, coke, cock, rock, fuck, remix, report, resort, reset, trolley, delay, display, privé, hard-jazz, dreams & drums, junk-stories, think-tank, talk-tank, talkaway, take-it-back, take-it-easy, think-thank-you, Happy Days, Agnus Days, Opus Days…

Qui siamo dalle parti della scrittura provocatoria e scoppiettante di Alberto Arbasino (La vita bassa, Milano, Adelphi, 2008). Se il visionario Bradbury ha proiettato nel futuro quel che per noi è presente squadernato in tutta evidenza, la scrittura a ruota libera di Arbasino, con quelle parole corporalmente corte o cortissime – molte delle quali, non casualmente, inglesi – incatenate fra loro dal ritmo e dal rimbalzo sonoro, attesta, in un certo senso, l’attualità del futurismo e della sua sfida estetica. Tasselli essenziali di quella sfida, che parve allora velleitaria ai più, e potenti chiavi di lettura della brevità applicata al testo digitale, l’ibridazione e l’ellitticità (/sinteticità), testimoni della più “naturale” predisposizione della testualità “virtuale”, per i condizionamenti esercitati dal mezzo, a recepire la brevità rispetto alla testualità “reale”. Fra le componenti costitutive del testo digitale, nella sua natura di testo ontologicamente breve, l’ibridazione e l’ellitticità sono altrettante categorie della velocità, di esecuzione e di lettura: l’ibridazione in quanto, componenti identitarie a parte, la presenza di tratti non alfabetici (numerici o iconici) è perlopiù manifestazione di un evidente gioco al risparmio; l’ellitticità per la cancellazione di sostanza linguistica. La velocità, attualmente, è addirittura la chiave di volta per interpretare il mondo; oggi, assai spesso, chi vuole resistere alla impressionante rapidità del mondo decelera, o consiglia di rallentare o di abbandonarsi all’ozio come antidoto alla frenesia. Anche l’italiano corre. Non facciamo a tempo a registrarne nuove tensioni e nuovi orientamenti che il quadro che lo ritrae, mentre lo fissiamo per ricopiarne chiari e scuri, pieni e vuoti, superfici e linee perimetrali, è già mutato sotto i nostri occhi di parlanti e scriventi increduli. E se l’italiano digitale, mentre tentiamo vanamente di tenere il passo, ogni volta ci semina, spesso non riusciamo a star dietro nemmeno alla proliferazione degli oggetti verbali nei quali, quotidianamente, incappiamo anche solo oltrepassando la soglia di casa. Cardiofitness, danza baby, funk, fusion conditioning,

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be Addome Glutei), se siamo fortunati, dovremo ricorrere a una scomoda appendice di sigle e abbreviazioni, che però si guarderà bene dall’accogliere TRX; non mancheranno la danza classica e la danza moderna, la danza sacra e la danza del ventre, l’aerobica e magari la zumba, ma del life pump neanche a parlarne; si darà di funk l’accezione musicale, non però quella ginnica; ci saranno stretching, spinning e step, ma il walking, il pancafit® e il fusion conditioning, l’hydrobike guai anche solo a nominarli. Non va meglio con i nomi dei cibi e delle bevande reperibili in un supermercato, come biscotti, pani e paste alimentari. Con le loro fogge più svariate, e altrettante denominazioni, sfuggono spesso a loro volta alle maglie, anche quando fitte o fittissime, dei più gloriosi repertori alfabetici che irreggimentano e condensano il patrimonio lessicale collettivo. Restringiamo il campo d’azione alle paste, e ad al-

(e lasagnette e sagnette), linguine, lumache (e lumachine e lumaconi) maccheroni (alla chitarra) (e maccheroncini), maltagliati, nastrini, orecchiette, paccheri, pansotti, pappardelle, penne (e pennette, pennettine, mezze penne e penne mezzate e mezzane, pennoni e mezzi pennoni, penne a candela), peperini (e pepe bucato), puntine (e puntalette), quadrucci (e quadretti, quadruccini, quadruccini trinati), ravioli, rigatoni (e rigatoncelli), ruote (e rotelline), schiaffoni, sedani (e sedanini), spaghetti (e spaghettini, spaghettoni, spaghetti alla chitarra), stelline (e stellette), strozzapreti, tagliatelle (e tagliatelline), taglierini, tagliolini, tempeste (e tempestine), tonnarelli, tortelli (e tortellini e tortelloni), tortiglioni, trenette, trofie (e trofiette), vermicelli (e vermicellini), zite (o ziti, e poi mezze zite, zite tagliate, mezze zite tagliate, ziti tagliati, zitoni, zitoni tagliati). Fin qui, tutto sommato, nessun problema; qualche alterato, derivato o retroformazione

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cuni fra i maggiori produttori: Barilla, Buitoni, De Cecco, Garofalo, Rana, Voiello. Agnolotti, anelli (e anellini), avemarie, barbine, bavette (e bavettine), bigoli, bombolotti, bucatini, cannelloni, cannolicchi, capellini (spezzati) o capelli d’angelo, cappelletti, cavatelli, chifferi, conchiglie (e conchigliette), corallini, ditali (e ditalini, e ditaloni), eliche (ed elicoidali), farfalle (e farfalline, e farfalloni), fedelini (e fedelini tagliati, e fidelini), fettucce (e fettuccine, e fettuccelle), fiocchi (e fiocchetti), fusilli, garganelli, gnocchi (e gnocchetti, gnocchetti sardi, gnocchetti di zita), gramigna, lancette, lasagne

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gag, gym music, gyrotonic, kinesis, pancafit. Voci e locuzioni inglesi, certo, ma chiunque frequenti una palestra o un centro fitness ha almeno una discreta familiarità con ciascuna di esse, che sono tuttavia assenti un po’ in tutti i dizionari italiani dell’uso corrente, anche nei più aggiornati. Potremo trovarvi chinesiterapia o chinesiologia ma non kinesis, bodybuilding ma non cardiofitness, a(c)quagim ma non a(c) quafit(ness), a(c)quatone, a(c)quawalk o gym music, pilates ma non mat pilates, core board, gyrotonic o gravity; sarà a lemma gag (‘battuta comica’) ma per scovare GAG (Gam-

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(ditale) a parte, tutti i tipi elencati vengono generalmente accolti dai vocabolari italiani. Non così per gli acini di pepe (De Cecco), l’alfabeto (De Cecco), le boccole (Garofalo), i bombardoni (De Cecco), i bricchetti (De Cecco), i calamari (Voiello) e la calamarata (De Cecco), le candele (De Cecco, Garofalo), i canneroni (Voiello), o cannaroni (De Cecco), e i mezzi canneroni (Barilla), le casarecce (Barilla, De Cecco, Garofalo), le castellane (Barilla), le cataneselle (Barilla), i cavatappi (De Cecco), i cellentani (Barilla, Buitoni), le chicche di patate (De Cecco), le chitarrine (Barilla, De Cecco), i corallini (Barilla), i cuoretti (De Cecco), i diavolini (Buitoni, De Cecco), i festonati (De Cecco) e i mezzi festonati (De Cecco), i filini (Barilla, De Cecco), i funghini (Buitoni, De Cecco), i galletti (De Cecco), i gemelli (Barilla, Garofalo), le ghiottole (De Cecco), la grattata (Buitoni) e i grattini (Barilla), le mafalde (Garofalo) e le mafaldine (De Cecco, Voiello), i mezzani (Barilla), le mezze maniche (Barilla, De Cecco, Garofalo, Voiello), le midolline (Bailla), le millerighe (De Cecco), le nocciole (Buitoni), gli occhi di lupo (Garofalo) e quelli di pernice (De Cecco), i perciatellini (Barilli), le pettole (De Cecco), le pipe (Barilla, Buitoni, De Cecco, Voiello), le racchette (De Cecco), le recchitelle ‘orecchiette’ (Buitoni), le reginette (Barilla), i riccioli (Garofalo) e i ricciutelli (Barilla), i risi (Barilla) e i risoni (Barilla), i rombi (De Cecco), i semi di melone (De Cecco, Garofalo), le sigarette (Garofalo), le sorprese (Barilla) e le sorpresine (De Cecco), le spaccatelle (Barilla, De Cecco), gli stortini (De Cecco, Garofalo), gli strangozzi (De Cecco), gli stricchetti (Barilla), le tofe (Voiello) e le tofarelle (Voiello), i torchietti (barilla), le treccine (Barilla), le tripoline (De Cecco) e i tripolini (Buitoni), i trivelli (De Cecco), i troccoli (Barilla), i tronchetti (De Cecco), i tubetti (De Cecco) e i mezzi tubetti (De Cecco), i tufoli (De Cecco) e i mezzi tufoli (De Cecco).

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4. L’italiano “montante” Resistenti all’analisi, e sempre meno in grado di assimilare e riprodurre le tecniche, anche le più elementari, di ragionamento, moltissimi giovani digitalizzati fanno difficoltà a smarcarsi da una logica che non sia semplicemente o crudamente sequenziale. Non comprendono le leggi algoritmiche della ricorsività e dell’annidamento e non riescono a sottrarsi alle insidie dei “loop”, dei vicoli ciechi, delle riprese “ingenue” del già detto. Non sanno procedere ordinatamente “per punti” e non riescono a sviluppare sottoargomenti da un macroargomento, riprendendo il filo del discorso dal punto esatto in cui lo hanno interrotto. Non distinguono tra elementi portanti ed elementi accessori di un testo e non sono in grado di intervenire sul flusso del pensiero “tagliandovi” capitoli e paragrafi. Non usano o non sanno usare i connettivi (dunque, infatti, tuttavia…), che costituiscono la nervatura di una dimostrazione scientifica nel senso più ampio possibile: quello comportato dalla necessità di formulare un’ipotesi o illustrare una tesi tenendo conto di elementi a favore e di argomenti di “rinforzo”, di eventuali obiezioni o punti di difficoltà, di necessarie premesse e altrettanto necessari corollari. Scrivono in un “essemmessese” fittissimo di sigle da fare invidia a quelle in uso presso gli amanuensi medievali: se un tempo erano i T.V.B (Ti Voglio Bene), T.V.T.B (Ti Voglio Tanto Bene), C.B.C.R (Cresci Bene Che Ripasso), annotati su diari e quaderni o riprodotti sui muri cittadini, oggi, nell’era del digito ergo sum, è la legione dei concentrati e dei moncherini verbali: DV 6? MMM, 6 TT PM («Dove sei? Mi manchi molto, sei tutto per me»). I “messaggini”, per il frequente ricorso ad abbreviazioni non proprio “canoniche” se non per l’apparato di emoticon, possono talora far dubitare di avere a che fare con una scrittura alfabetica; non sarà quella iconica della comunicazione in rete ma è pur sempre tanto contratta da sembrare orientata alla simbolizzazione. I tre esempi riportati di seguito, tratti da un corpus di 500 sms allestito per una tesi di laurea triennale di una mia allieva (Federica Fois), confermano questa impressione; i messaggi sono stati inviati, nel corso delle puntate del 27 aprile e del 2 maggio 2005, alla redazione di un programma televisivo musicale (Trl, su MTV) seguito soprattutto da adolescenti: cmq billiejoe puo essere anke bassino x la sua età ma nn certo konta 1. Altezza nn devono esse tt xfetti km i blue anzi i blee! W green dayby serena armstrong

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Fra i giovani e giovanissimi, beninteso, non tutti posseggono i segreti dei nuovi linguaggi. E molti di loro, alla domanda se il futuro dell’italiano passerà per la lingua degli sms, rispondono senz’altro di no. Il breve dialogo seguente è estratto da un sito (http://forum.studentville.it) che dichiara di essere la «community dei teenagers». I partecipanti sono le “capo-corridoio” niceclare, che apre la discussione («cm la vedete?») e hime, le “capoclasse” coccinella2, jessy92 e stafania-1992, il “caposcuola” toto92: <niceclare> ciao!!!mi piace 1 mio compagno di classe k xò è amato da tnt xk è bellissimo e dolcissimo... le mie compagne mi kiedono sx se mi piaccia ma sl 1 lo sa...xk io rx sx di no...xò qd c salutiamo via msn m dice sx tvb o tvttttttttb...spero k lui nn senta tt ciò k dicono in classe xk sn convinte k ne sia cotta e lui nn mi parli+ rx <coccinella2> ti consiglio di scrivere in maniera più chiara..perchè io non è che abbia capito molto..ti piace uno che viene nella tua classe però chi lo sa? e cosa hai intanzione di fare? <hime> Ti dispiacerebbe modificare il messaggio scrivendolo un po’ meno in linguaggio SMS? Io personalmente ho capito poco o niente di quello che c’è scritto ^^“” Sei su internet, non hai un limite di caratteri... <Jessy92> Concordo pienamente con te!!! <toto92> provaci tu..o faglielo capire in modo ke si faccia avanti! <niceclare> scusatemi...allora:mi piace 1 mio compagno, il quale piace a tnt k xò cm me nn confessano il proprio amore...io ho confessato il ftt k mi piace ad

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1 mia compagna,xò ora tt in classe e nelle altre prime della scuola mi kiedono se mi piaccia o meno e io poikè mi vergogno dico di no.ora xò ho paura k lui possa aver capito qlk e mi consideri 1 stupida k gli va dietro...xò quando c parliamo su msn,lui è sempre dolce e carino cn me...e mi dice sempre tvttttb o tvb...xò in classe nn è k faccia federe qst nostra intesa...cioè andiamo d’accordo xò nn mi dice mai tvb... voi k ne pensatE:lo fa sl xk fa piacere k qlk1 t venga dietro o xk mi trova simpatica? <niceclare> scusatemi ancora...xò cercate ank di capire k sn italo-inglese sorry...xxxc <hime> Cavolo, se uno è italo-inglese a maggior ragione scriverebbe italiano più “sciolto” «Sei su internet, non hai un limite di caratteri...». è il rimprovero a niceclare di hime, che tiene ben distinti due modelli di scrittura con cui ha evidentemente familiarità. È consapevole, a suo modo, che un sms e un turno di chat richiedono prestazioni espressive diverse, che sono varietà dell’italiano, non sono la lingua italiana; e tanti giovanissimi come lui, alla domanda se il futuro dell’italiano passerà per la lingua degli sms, risponderebbero senz’altro di no. Le due circostanze, apparentemente in grado di farci ben sperare, fugano i tanti equivoci a proposito del decisivo influsso, sulla lingua dei giovani “barbari”, di presunte ragioni che prevarrebbero ogni volta su quella indotta dal mezzo. Oggi possiamo comporre, è vero, “messaggini” ben più lunghi che in passato, ma quando decidiamo di oltrepassare il limite di “pagina” fissato dai vari operatori telefonici ne paghiamo le conseguenze (economiche). Se tardiamo troppo a rispondere cresce irrefrenabile l’ansia del nostro interlocutore a distanza: “Ci sei?”; “Perché non mi rispondi?”; “Non mi ami più?”. Questa è però, evidentemente, tutta un’altra faccenda. È la rapidità, bellezza. Prendere o lasciare. c

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Guarda Tata..sn su Trl!E presto saremo Imola..GreenDay well be4ever with me!BJ Welcome to MY paradise..by Queen4aDay!Max tv1kdb!TRL torna a kasa c mank!= ) al-gg mand xf,snsnz?è imp.Xilaryan90:si,m va inc, ma t disp se l pò t copio?Xk frs porto 1 magl knDUNK!Rx! Xstefy:av scrittoA meXpadova? Se s m vaDinc!Rx!lleDunk

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Fra i giovani e giovanissimi, beninteso, non tutti posseggono i segreti dei nuovi linguaggi.

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letture e visioni

una riflessione internazionale sull’insegnamento/apprendimento dell’italiano Un nuovo manuale di glottodidattica, nato dalla collaborazione di esperti di tutto il mondo. Pubblicato da Alma/Sb International, è una notevole esperienza editoriale italo-latinoamericana nel campo dell’insegnamento delle lingue.

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ta per uscire, in una coedizione Alma/ Sb International, la raccolta in spagnolo Didáctica de las lenguasculturas. Nuevas Perspectivas, curata da Manuela Derosas e Paolo Torresan. Sedici studiosi, di diversi paesi, hanno unito le forze per definire, ciascuno nel suo ambito di competenza, alcune prospettive circa l’insegnamento delle lingue e delle culture. Ne esce un quadro ricco da un punto di vista teorico e molto utile per la formazione: numerose sono le indicazioni pratiche; molti gli esempi indirizzati alla didattica dell’italiano; il linguaggio è preciso e di facile accesso. Una breve scorsa ai contributi ci rende consapevoli della varietà dei temi trattati nel libro. Paolo E. Balboni (Università Ca’ Foscari, Venezia) chiarisce perché il termine “glottodidattica” non si sovrappone a quello di “linguistica applicata”. Maria Simona Morosin, collaboratrice dell’Università della Califonia, compone un rapido affresco delle implicazioni che le neuroscienze offrono oggi a chi si occupa di didattica delle lingue. Più calato sul versante psicologico, è invece il contributo del curatore, Paolo Torresan (Universidade do Estado do Rio de

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Janeiro), che ruota attorno a concetti cari alla psicopedagogia e qui proficuamente declinati all’aula di lingue in termini di mete educative: individualizzazione, personalizzazione e riconoscimento. Attorno al nodo lingua-cultura ruotano due articoli, quello della curatrice, Manuela Derosas (Universidad Nacional Autónoma de México), e quello di Mario Rinvolucri, esperto di metodologia operante in un centro per la formazione degli insegnanti di inglese, Pilgrims (Canterbury). Alcuni contributi sono concentrati su questioni che hanno attinenza con la linguistica. Così è per i saggi degli studiosi italiani Elena Nuzzo (Università di Bergamo), Stefania Ferrari (Università di Verona), Matteo Santipolo (Università di Padova) e Carolina di Siervi (Università di Bologna). Più concentrate sull’educazione delle competenze sono le osservazioni di didattica del lessico di Mario Cardona (Università di Bari), da un lato, e quelle di didattica della fonetica, da parte, invece, di Mariassunta Simionato (Università Ca’ Foscari, Venezia) e di María Emilia Pandolfi (Instituto Superior del Profesorado “Joaquín V. González”, Buenos Aires).

>> Manuela Derosas, Paolo Torresan (editores), Didáctica de las lenguasculturas. Nuevas Perspectivas, Sb International / Alma, Buenos Aires / Firenze, 2011. 320 pp.

Concerne, poi, la didattica delle abilità il saggio di Elisabetta Santoro (Universidade do São Paulo), dedicato ad una tra le figure più controverse della recente storia della glottodidattica: Stephen Krashen. Seguono due saggi che hanno a che fare con l’errore, firmati da Graziano Serragiotto (Università Ca’ Foscari, Venezia) e Paolo Torresan. Con Chaz Pugliese (ParisTech, Parigi) e con Mark Almond (Christ Church University, Canterbury) prende vita il lato “divergente” della raccolta. Il primo tratta, in senso ampio, il tema della creatività nell’aula di lingua, mentre Almond fornisce suggerimenti utili a chi, in particolare, voglia unire teatro ed insegnamento linguistico.

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Manuela Derosas

Come è nato questo progetto plurinazionale, che si regge su un triangolo che coinvolge Europa (Italia, Francia, Inghilterra), Stati Uniti e America Latina (Messico, Brasile, Argentina)? Paolo Torresan: Nuevas Perspectivas è un intreccio di esperienze e riflessioni di esperti che operano in contesti culturali diversi, che parlano di diversi contenuti, con sensibilità diverse. Non si tratta di una prospettiva che un paese, per esempio, esporta in un altro, o di prospettive parallele, senza punti di incontro; punti di contatto ce ne sono, e quello che si legge in un saggio spesso trapassa in un altro; il testo vanta una vocazione polifonica, sotto la regia di due curatori la cui esperienza è a cavallo tra i continenti. E non è un caso nemmeno che il libro nasca come coedizione italo-argentina. Manuela Derosas: Il desiderio che ci ha mosso nel momento in cui abbiamo iniziato a definire il progetto era che l’impulso a questa riflessione pluridimensionale partisse da un altro lato del globo. Paolo lavora ora in Brasile, io lavoro in Messico: a volte la sensazione è di avere fra le mani opere di altissimo valore scientifico che provengono sempre dalla stessa “parte

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di mondo”. Non mi è mai capitato di vedere un testo di glottodidattica prodotto in Messico che raggiungesse il mercato italiano, per fare un esempio. Perché? Credo che le risposte siano molteplici, a me interessa sottolinearne una: una certa vocazione monodirezionale della riflessione scientifica. Il libro dunque è un nuovo manuale di glottodidattica? A chi è rivolto? Paolo: Sì, è un manuale di glottodidattica, e lo dichiaro pur nella consapevolezza che non è esaustivo; per esempio non accenniamo alle tecnologie o alla lingua veicolare. Diciamo che nonostante la mole (trecento pagine), non è stato possibile dire di tutto: abbiamo scelto una serie di argomenti che riteniamo importanti per la formazione dell’insegnante e su cui in tempi recenti si sono aperte prospettive interessanti. Manuela: “Nuovo” manuale di glottodidattica nel senso che copre molti aspetti della didattica delle lingueculture, ma nel quale viene rispettata la pluralità di voci, visioni, esperienze, di prospettive, per l’appunto, come diceva Paolo poc’anzi. I destinatari sono gli insegnanti, i futuri insegnanti, tanto di italiano quanto di altre lingue, purché leggano lo spagnolo. Vale perciò sia come testo da adottare nei corsi di formazione di insegnanti e futuri insegnanti, sia come volume per l’autoformazione. Ci potete raccontare qualcosa sul neologismo presente nel titolo: lenguas-culturas? Paolo: L’esperta di cultura è Manuela. Io mi limito a dire che ciò che c’è di nuovo nei manuali è una sen-

sibilità a cogliere la cultura nei testi che si propongono agli studenti, se non addirittura nella lingua, rispetto alle sezioni di “civiltà” dei manuali di vecchia data, con informazioni avulse da quelle di cui si è trattato nel corso dell’unità didattica (per esempio: l’unità ruota attorno ai saluti e alle presentazioni, mentre la sezione di civiltà è sulla storia d’Italia). Manuela: Il neologismo ha già un certo numero di anni. Kramsch (1989) parla di linguaculture, Byram e Morgan (1993) di language-and-culture, così anche Agar (1994) languaculture e Galisson (1994) langue-culture. Ciò a voler sottolineare la consapevolezza che imparare una lingua significa avvicinarsi e scoprire una nuova cultura, che non si può relegare la cultura alla classica sezione di “civiltà”, come diceva Paolo, che occorre mettere in atto un approccio realmente integrato. Noi abbiamo deciso di tradurre in spagnolo questo concetto mediante lenguasculturas, con l’intenzione di ribadire che in un momento di definizione e legittimazione come quello che attualmente affronta la didattica, consideriamo fondamentale dichiarare apertamente (ed evidentemente mettere in atto) l’indissociabilità di questi due elementi. Insomma, niente di nuovo, ma è forse arrivato il momento di una presa di posizione cosciente, anche in una chiave che io chiamo “etica”: cosa significa oggi, nel mondo globalizzato/mondializzato, imparare una lingua? Cosa significa insegnarla? c

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Redazione Roma

Paolo Torresan

dialogo con i curatori

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ripensare l’italiano A quasi dieci anni dalla pubblicazione della versione del 2001 del Quadro comune europeo di riferimento per le lingue del Consiglio d’Europa è uscita una nuova edizione del volume di Massimo Vedovelli, che mette in luce gli aspetti essenziali del quadro teorico-metodologico per l’italiano L2, in sintonia con la politica linguistica dell’Unione Europea.

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uesta nuova edizione di Guida all’italiano per stranieri (pubblicata per la prima volta nel 2002) si colloca in un quadro dell’italiano per stranieri che ha subito nel corso degli ultimi anni profondi cambiamenti, come testimoniano non solo le consapevoli percezioni di quanti sul campo lavorano quotidianamente per la diffusione dell’italiano L2, ma come rileva anche il più recente e ampio studio sulla condizione dell’italiano diffuso nel mondo, Italiano 2000, diretto da Tullio De Mauro e commissionato dal Ministero degli Affari Esteri. Tale ricerca ha messo in evidenza il fatto che l’italiano si colloca al quarto/quinto posto tra le lingue più studiate al mondo ed è studiato non solo in virtù del suo essere lingua di cultura, ma anche della sua spendibilità sociale e del suo valore strumentale, che hanno ampliato notevolmente le motivazioni e i pubblici di apprendenti stranieri che si accostano allo studio dell’italiano in Italia e nel mondo. A tale ricostruzione della situazione dell’italiano nel mondo si aggiunge, come prontamente rileva Vedovelli nella prefazione al volume, l’attuale condizione dell’italiano come lingua maggiormente presente dopo l’inglese, nei panorami linguistici urbani, ovvero nelle insegne, nei menu, nella pubblicità, rendendosi visibile al mondo e veicolando una serie di

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valori culturali e identitari che fanno leva sulla nostra lingua e cultura. La Guida si propone dunque di ricostruire la prospettiva europea di politica linguistica, le sollecitazioni che derivano dai cambiamenti del settore dell’italiano L2 nel mondo e in Italia, l’allargamento dei punti di riferimento oltre il Quadro ai più recenti documenti emanati dall’UE, ovvero la Sfida salutare - Come la molteplicità delle lingue potrebbe rafforzare l’Europa. Si tratta del più recente documento di politica linguistica promosso dalla Commissione Europea, che insieme al Quadro costituisce un punto di riferimento irrinunciabile nella ricostruzione della condizione dell’italiano per stranieri. La nuova edizione della Guida ripropone alcuni dei temi sui quali si

compiti) e il collegamento tra i processi di sviluppo della competenza linguistico-comunicativa individuati dalla linguistica acquisizionale con una didattica che, tenendo conto di tali processi, diventi pertanto una didattica acquisizionale. Per Vedovelli l’articolazione in livelli del continuum di apprendimento (dall’A1 al C2) assume particolare rilevanza, fornendo l’opportunità di costruire delle certificazioni di competenza di italiano L2 con un sistema di riferimento comune per valutare e confrontare i livelli di competenza. Vedovelli non si limita però a presentare i descrittori dei livelli, ma propone una riflessione più ampia sull’evoluzione degli stadi del continuum di apprendimento nella dialettica tra linguistica acquisizionale, glottodi-

Il plurilinguismo, come pienamente coglie Vedovelli, non è solamente una condizione dell’esistente, ma rappresenta una sfida per la scuola e la società. era soffermata anche la prima edizione: l’analisi e l’interpretazione dei concetti chiave del Quadro comune europeo, (l’approccio pragmaticolinguistico, le competenze generali e la competenza linguistico-comunicativa, le abilità e le attività linguistiche, i domini, le strategie e i

dattica e didattica acquisizionale, che oggi rappresenta una delle più rilevanti sfide per coloro che si occupano di apprendimento e insegnamento dell’italiano L2. Uno dei capitoli centrali della Guida è dedicato al ruolo che il Quadro attribuisce al testo nei processi di ap-

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anche nella sua versione per bambini stranieri, e la griglia di analisi dei materiali didattici per l’italiano L2. Infine tra gli strumenti di riferimento utili ai docenti di italiano L2 sono indicati siti, associazioni di insegnanti e studiosi, centri universitari, riviste che in Italia e nel mondo sono coinvolti nella ricerca e nella formazione nel settore dell’italiano L2. Un nuovo interessante capitolo è quello dedicato alla gestione della classe plurilingue in contesto migratorio secondo i principi della linguistica educativa. Si tratta di un’integrazione alla prima edizione di particolare rilievo perché pone questioni di estrema attualità, ma anche per le riflessioni e le risposte che tenta di dare a tali questioni. Le sfide del plurilinguismo e dell’interculturalità nella classe plurilingue, infatti, costituiscono un’opportunità per tutte le componenti della classe, non solo per quelle straniere, per accedere a un universo dei linguaggi e delle lingue più ampio. L’italiano non è solo una lingua in contatto con le lingue immigrate, ma si pone come lingua di contatto, come strumento di creazione di identità e perciò come lingua identitaria. Nonostante parte della normativa italiana sembri andare in direzioni diverse rispetto alle considerazioni di Vedovelli e soprattutto rispetto alle politiche linguistiche dell’Unione europea, la scuola italiana rimane comunque impegnata nell’accoglienza e nell’integrazione degli alunni stranieri in una prospettiva plurilingue. L’ultimo documento europeo in materia, Una sfida salutare, si propone appunto di interpretare la diversità linguistica europea come una sfida, confermando l’approccio fortemente plurilingue del Quadro e proponendo una condizione di trilinguismo per tutti i cittadini europei, facendo del

plurilinguismo un elemento di valore dell’identità comunitaria. La Guida si chiude con vari interrogativi che costituiscono un invito alla riflessione: come stanno evolvendo le concrete applicazioni delle linee indicate al nostro sistema scolastico in materia linguistica a fronte anche delle indicazioni che vengono invece dalle istanze comunitarie? In che modo sta evolvendo la politica linguistica per la scuola e la società italiana plurilingue sul piano normativo e su quello concreto di chi quotidianamente si trova a dover cogliere la sfida della diversità linguistica nella scuola come nella società? Il plurilinguismo, come pienamente coglie Vedovelli, non è solamente una condizione dell’esistente, ma rappresenta una sfida per la scuola e la società, un obiettivo continuamente oggetto di impegno a livello individuale e collettivo, e allo stesso tempo un impulso all’arricchimento della persona e della società. Francesca Gallina

>> Vedovelli M., Guida all’italiano per stranieri. Dal Quadro comune europeo per le lingue alla Sfida salutare, Carocci, Roma, nuova edizione, 2010. 280 pp.

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prendimento/insegnamento di una lingua, con un risvolto pratico immediato nell’illustrazione dei criteri per la selezione dei testi a fini didattici. Qui troviamo una novità rispetto alla prima edizione: innanzitutto viene rilevato come le proposte del Quadro sul testo sono state nel frattempo accolte nell’ambito della didattica linguistica, inoltre Vedovelli riconosce un ulteriore passaggio epocale nella linguistica educativa degli ultimi dieci anni nell’Italia divenuta ormai un contesto migratorio complesso e articolato. Secondo l’autore, infatti, si è verificata una “svolta testuale” a causa della crisi del concetto di “autenticità del testo” messo in discussione dal Quadro e della crescente presenza di alunni e studenti immigrati in contesto scolastico, che hanno fatto sì che si ponesse la questione della gestione del testo in contesti formativi plurilingui. La questione verte intorno all’esigenza degli alunni di origine straniera di affrontare lo studio delle materie scolastiche in italiano e dei relativi testi disciplinari e al trattamento dei testi in funzione dell’adattamento, della semplificazione e della facilitazione linguistica per renderli usufruibili anche a chi ha una competenza solo iniziale in italiano. Nella seconda parte della Guida sono riprese le tematiche già affrontate nella prima edizione: la gestione della comunicazione didattica ai fini dello sviluppo della competenza linguistico-comunicativa, posta al centro della didattica, le riflessioni intorno all’unità didattica o ‘unità di lavoro’ strutturata attorno a un testo, ovvero all’unità fondamentale della comunicazione. Vengono riproposti alcuni strumenti di grande utilità per i docenti di italiano a stranieri sulla base dei principi centrali dell’educazione linguistica: il Glotto-kit per valutare il profilo linguistico individuale,

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ricorrere alla lingua materna degli studenti Roberta Ferroni indaga sull’uso della lingua materna degli allievi in un’aula L2 e lo trasforma in strategia didattica e strumento di apprendimento.

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he cosa accade quando l’insegnante di lingua viene meno ad uno dei patti stabiliti con i suoi studenti e si rivolge alla classe ricorrendo alla loro lingua materna? Quando e perché si verifica questo fenomeno conosciuto come code-switching? È possibile rinunciare alla propria lingua materna o invece possiamo utilizzarla quando opportuno? Attraverso l’analisi della conversazione che esamina il modo in cui i parlanti interagiscono e negoziano un significato comune, l’autrice indaga e descrive parte dei risultati di osservazioni effettuate in classi di italiano LS presso l’Università di San Paolo (Brasile). L’obiettivo è quello di presentare e descrivere l’esistenza della commutazione di codice tra lingua target (italiano) e L1 (portoghese-brasiliano) nell’interazione tra insegnante e allievi, durante lo svolgimento delle lezioni di italiano. Dopo essersi soffermata sull’ampia letteratura di riferimento, l’autrice illustra le motivazioni che l’hanno portata a vedere in questo fenomeno una strategia di apprendimento e uno strumento per la didattica, e che finisce per rappresentare così un valore aggiunto al repertorio di risorse comunicative dell’insegnante. Il tipo di cambiamento di lingua utilizzato come risorsa comunicativa è il più diffuso nelle trascrizioni

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presenti in questo lavoro. Questo tipo di code-switching corrisponde ad una deficienza lessicale nella competenza linguistica dell’allievo. Ma lo scopo della presente ricerca è anche quello di analizzare il contesto discorsivo dell’alternanza di codice tra LS e LM e le sequenze in cui questo fenomeno avviene. L’autrice mostra che le alternanze linguistiche non sono casuali, ma tempestive e puntuali, in quanto vengono usate dall’insegnante come strategie di contestualizzazione o come segnale discorsivo per attirare l’attenzione degli studenti o per marcare dei cambiamenti nell’attività didattica in corso. Per concludere, questo studio si configura come una sorta di ponte

tra il mondo della didattica della lingua italiana come lingua straniera e quello della ricerca in ambito accademico, ponte necessario ma piuttosto raro, che l’autrice dimostra di saper costruire con maturità scientifica e con padronanza delle problematiche proprie della realtà di una o più classi di lingua straniera. Paolo Torresan

>> Roberta Ferroni, A comutação de código na sala de língua, Humanitas, São Paulo, 2010. 108 pp.

scattare la realtà È uscito in Italia un volume che raccoglie le lezioni di fotografia di Luigi Ghirri (1943-1992), attente all’universo artistico di Giorgio Morandi.

«L

a fotografia non è un problema, la fotografia è un enigma, perché il problema ha una soluzione e l’enigma è un problema che non ha soluzione». In questo pensiero di Massimo Cacciari, «probabilmente un gioco di parole per non definire»

piuttosto che una dichiarazione esaustiva, Luigi Ghirri riconosceva pienamente la propria indole artistica. Nasce da questa idea, di un rapporto enigmatico tra realtà degli oggetti e loro rappresentazione, il carattere introspettivo che accompagna tutta la

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«Non si puliva mai gli occhiali, viveva con le lenti appannate», raccontava sua moglie, «e io non so come facesse a fotografare». A volte, al rientro dai suoi giri in macchina alla ricerca di soggetti, confidava agli amici: «Ho fatto delle foto bellissime!». E, alla richiesta di cosa avesse fotografato, rispondeva: «Mah, non mi ricordo, devo vederle». Sono, probabilmente, aneddoti come questi che riescono a illustrare fedelmente l’approccio trasognato, surreale e riflessivo di Luigi Ghirri alla pratica della rappresentazione fotografica. Lezioni di fotografia concentra nelle sue pagine una summa esaustiva del pensiero dell’artista. I saggi contenuti nel libro sono le trascrizioni delle lezioni tenute da Ghirri all’Università del Progetto di Reggio Emilia tra 1989 e il 1990. Oltre che un manuale sulle tecniche di fotografia, il libro si rivela inaspettatamente un compendio di etica della percezione e della riproduzione dello spazio nella sua multiformità: si affrontano riflessioni teoriche inerenti il significato del linguaggio fotografico in rapporto alle altre forme d’arte; si ragiona sulla storia della fotografia, sul ruolo del fotografo nel mondo contempo-

raneo. Si spazia dalle considerazioni personali sulla valenza della raffigurazione agli aspetti più tecnici della pratica fotografica: la corretta postura da utilizzare, l’uso della luce e del colore, la trasparenza, la grafica editoriale. Tutto sviluppato nel tono antiaccademico, volutamente semplice e diretto utilizzato da Ghirri con gli studenti di Reggio Emilia, e ora riproposto in questo specifico percorso a puntate. È un testo rivolto, in definitiva, non solo agli amanti della fotografia, ma a tutti coloro che, nella veste di semplici consumatori, desiderano avvicinarsi al genere o intendono approfondire aspetti che abbracciano universalmente il mondo dell’arte. Andrea Felici

>> Luigi Ghirri, Lezioni di fotografia, a cura di Bruno Bizzarri e Paolo Barbaro. Con uno scritto biografico di Gianni Celati, Quodlibet, Macerata, 2010. 264 pp. + 155 illustrazioni a colori

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produzione dell’artista: sempre disinteressato al quotidiano più epico; sempre teso a una continua ricerca di dialogo con gli oggetti più semplici (dai posaceneri, ai giocattoli per bambini, ai pezzi di carta straccia) e con lo spazio circostante, come nei suoi paesaggi sereni e pacatamente irreali. Si pensi a Giorgio Morandi, che dedicò la propria esistenza alla rappresentazione degli stessi oggetti ordinari che affollavano il suo studio a Bologna, affrontandoli e scomponendoli nelle più disparate visioni pittoriche. L’opera di Ghirri, in fondo, non sembra allontanarsi molto dal dialogo con la materia del pittore bolognese: l’obiettivo della macchina, per lui, diventa a tutti gli effetti un passe-partout metafisico, un mezzo ideale per raggiungere un equilibrio impossibile tra interiorità e dimensione spaziale. L’accostamento a Morandi non è casuale: negli ultimi anni della sua vita, Ghirri dedicò numerosi scatti allo studio bolognese del pittore. «Sembrava» –scrive Gianni Celati nello scritto biografico conclusivo al volume– «che ogni giorno partisse per andare a scuola. O che andasse a imparare qualcosa». Nato nel 1943 a Scandiano, nel cuore della provincia emiliana, duttile lettore (sfogliava, come afferma Celati, di tutto: libri sull’arte, sull’architettura, sull’urbanistica, testi poetici e filosofici), appassionato di musica (che sempre lo accompagnava negli appostamenti fotografici), di cinema, di architettura, si autodefiniva certamente fotografo, ma intendeva il termine come attributo polivalente, trasversale, interdisciplinare.

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l’italiano in aula Lo studioso Luca Serianni, docente di Storia della lingua italiana all’Università La Sapienza di Roma, accademico dei Lincei e della Crusca e linguista apprezzato a livello internazionale, ragiona sull’insegnamento dell’italiano a scuola e sulla sua portata formativa.

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ggi pare indispensabile promuovere – anche da parte dei non addetti ai lavori – un’accurata riflessione sull’insegnamento dell’italiano nella scuola, tanto più attuale in quanto correlata alle recenti revisioni dei programmi per i licei introdotte dal ministro Gelmini nell’ambito della riforma della scuola. E proprio questa è stata l’occasione istituzionale che ha sollecitato il noto linguista – coinvolto nei primi mesi del 2010 come consulente tecnico nella stesura dei nuovi programmi – ad affrontare un tema così articolato e arroventato da non poche polemiche e resistenze, rinunciando ad analisi e soluzioni sistematiche. Con il rischio, tuttavia, di lasciare sullo sfondo alcune delle problematiche centrali con cui gli insegnanti si devono misurare nel loro complesso esercizio professionale. Il tema del volume, un pamphlet dal taglio agile e dallo stile piano, è ben delineato nel titolo: L’ora d’italiano; il sottotitolo amplia l’orizzonte argomentativo, estendendolo a scuola e materie umanistiche. Il discorso (declinato in nove capitoli) s’irradia a partire dalle riflessioni sul rapporto tra studi umanisti-

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ci e studi scientifici rispettivamente nell’ambito della ricerca (capitolo 1) e in quello della scuola (capitolo 2), per giungere alla constatazione secondo cui l’avanzata della cultura scientifica sta generando un ridimensionamento delle discipline (e della forma mentis) di stampo umanistico, reso evidente non solo dalla riduzione del monte ore di italiano nel liceo classico e dall’accantonamento del latino nel liceo scientifico (il nuovo indirizzo di Scienze applicate prevede addirittura l’abolizione della materia a vantaggio dell’informatica e delle scienze naturali), ma anche dalla «marginalizzazione del liceo classico» rispetto a quello scientifico, che attira un numero crescente di allievi disincantati e disaffezionati – chiosa Serianni – nei confronti dei rigori improduttivi delle materie classiche. Nel capitolo 3 viene presentata una disamina del latino, asse portante della cultura umanistica dall’Unità a oggi, con la messa in discussione di alcuni punti-cardine (l’attualità del latino rispetto all’orizzonte culturale dell’uomo contemporaneo nonché la sua significatività come «componente importante del cittadino europeo occidentale che si voglia considerare cólto», la necessità di stornare dalla prassi didattica la versione scritta destoricizzata e decontestualizzata, il riconoscimento dell’importanza del rapporto tra lingua e cultura), mentre i capitoli centrali del libro indagano a tutto campo lo stato dell’italiano nelle scuole, avvalendosi di riflessioni e suggerimenti operativi; molti i punti (e gli spunti) rivolti alla didattica dell’italiano, in particolare intorno alla competenza nella lettura e nella scrittura:

l’invito a potenziare nelle lezioni del biennio le tecniche di scrittura controllata, prima di tutto il riassunto – inteso come strumento didattico adatto a sviluppare nei discenti le strategie di sintesi e di gerarchizzazione informativa del testo – ma anche il componimento argomentativo (sottoposto cioè a precisi vincoli testuali e pragmatici) in alternativa all’ormai desueto tema tradizionale; l’utilizzo dei test fattoriali per verificare le competenze lessicali, semantiche e sintattiche così come quelle testuali; la critica all’impostazione strutturale delle grammatiche scolastiche. Per ultimo, Serianni si sofferma sulla didattica della letteratura, promuovendo la lettura diretta e consapevole dei testi classici nella loro ricchezza linguistico-culturale. Le ragioni sono anche extraletterarie: essi soli possono «garantire una coscienza identitaria», alimentando il senso e la memoria «del nostro stare insieme, nonostante tutto». Lisa Beltramo

>> Luca Serianni, L’ora d’italiano. Scuola e materie umanistiche, Laterza, BariRoma, 2010. 124 pp.

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sguardo ironico e amaro sulla disgregazione (linguistica) italiana

L

’Italia che il libro dipinge a colori vivi è quella postunitaria, più che unita, unificata. Protagonista e oggetto del processo di unificazione è il popolo italiano, nemico di se stesso: a far da contrappunto alle parole più o meno stereotipate della disunione (terrone e polentone, sudici e baluba), spiccano le riflessioni di alcuni grandi uomini che hanno contribuito consapevolmente e problematicamente all’unificazione (D’Azeglio, Tommaseo, Mameli). Sia la storia dell’Italia che quella della sua lingua, come si sa, affondano però le radici ben più all’indietro: non è un caso se in questa prospettiva dichiaratamente vivace e non troppo tecnica l’unico sguardo spinto oltre la siepe leopardiana si posa sulla figura di Dante e sull’acceso spirito di parte del medioevo comunale. A testimoniare alcuni tratti identitari degli italiani alla base della disunione linguistica e sociale concorrono, oltre al «glossarietto dell’italiano disunito» coi suoi stereotipi discriminatori ora a base sociale, ora geografica, anche i riferimenti letterari che punteggiano il testo senza appesantirlo (su tutti il Principe di Machiavelli e la metafora del Gattopardo ma anche il pasoliniano «bel paese dove il no suona» che

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precedentemente ed in forma au-

tocento quando l’analfabetismo e i dialetti arginano l’avanzata di una lingua comune, negli ultimi decenni sono gli stessi dialetti ad essere italianizzati mentre l’italiano medio si allontana dal modello letterario. Quasi che i due poli convergano verso l’italiano regionale. Eppure la cifra del testo, il suo scatto polemico, mette il lettore in guardia da facili conclusioni: non solo la nozione di italiano medio non rende conto della pluralità di livelli d’uso della lingua, ma rischia di mettere in secondo piano l’inadeguatezza della competenza linguistica delle nuove generazioni. A dover essere tutelato è più l’italiano di matrice letteraria che il dialetto, che non è morto per nulla.

dà il titolo al capitolo). Il secondo capitolo è infatti dedicato all’indagine su Dante, «il padre della faziosità italiana», e dimostra come nel suo spirito polemico e profondamente critico risieda in realtà un’istanza morale. Lo spazio e l’approfondimento dedicati a Dante fanno il paio con la denuncia dell’esigenza di onestà intellettuale e di tensione morale che emergono dal procedere disteso del libro. Scorrendo i rapidi tratteggi di storia italiana, verrebbe da dire “malastoria italiana”, è facile infatti cogliere l’amarezza e lo scatto polemico che animano la penna di Trifone, che non risparmia neanche la storia più recente. Già il titolo fa presagire, richiamandone un altro e col doppio e antitetico valore dell’aggettivo «disunita», il gioco di specchi che si rintraccia nel testo: storia e lingua (lingua e società è il caso di dire), unificazione e disunione, faziosità e cerchiobottismo («termine che dovrebbe alludere alla pilatesca ambiguità di chi tiene il piede in due scarpe»). Ed è proprio nei titoli dei capitoli che la vivacità e l’amarezza si condensano. Dal terzo capitolo la riflessione si concentra sulla lingua: se «un popolo di poeti e di analfabeti» abita l’Italia dell’Ot-

>> Pietro Trifone, Storia linguistica dell’Italia disunita, il Mulino, Bologna, 2010. 208 pp.

genei (o che per le meno non si sen-

zie al quale il lavoro si rende più4/24/11

Sara Gobbini

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La Storia linguistica dell’Italia disunita di Pietro Trifone, uscito alla vigilia delle celebrazioni dell’unità nazionale, non richiama solo provocatoriamente la Storia linguistica dell’Italia unita di Tullio De Mauro, ma condivide con essa l’intima relazione tra fatti linguistici e tessuto sociale della Nazione.

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il lungo percorso della grammatica italiana per stranieri Un nuovo libro sulla storia della grammatica italiana che finalmente colma più di una lacuna.

N

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egli ultimi quindici anni le grammatiche di italiano per stranieri sono state oggetto di diversi studi: U. Gorini, P. Silvestri, G. Mattarucco e L. Pizzoli si sono occupati rispettivamente delle grammatiche per germanofoni, per ispanofoni, per francofoni e per anglofoni, mentre altri studiosi hanno messo in luce ulteriori aspetti dell’insegnamento dell’italiano agli stranieri. Mancava però uno sguardo d’insieme capace di abbracciare il lungo percorso che dal Rinascimento arriva fino ai giorni nostri. A colmare la lacuna ci hanno pensato Massimo Palermo e Danilo Poggiogalli, due linguisti particolarmente attenti ai temi della grammatica e della didattica. Il volume prende le mosse dalla fine del ’400, da quando, cioè, viene riconosciuto che anche le diverse lingue nazionali, al pari delle lingue classiche, possono essere soggette a una descrizione grammaticale: nascono così le prime grammatiche delle lingue europee. Sulla loro scia, a partire dalla prima metà del ’500 si diffondono opere destinate all’insegnamento delle lingue al di fuori dei confini nazionali. Si tratta di grammatiche scritte nella lingua degli apprendenti oppure in latino; queste ultime, che avevano il vantaggio di non essere legate ai confini geogra-

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fici, si diffusero soprattutto in quelle aree linguistiche in cui il numero dei potenziali lettori non era tale da giustificare un testo nella lingua locale. Non era certo questo il rischio dell’italiano, che godeva di un prestigio culturale dovuto agli artisti e ai letterati che operavano in patria e fuori. Le prime grammatiche italiane per stranieri escono in Francia nel 1549 e in Inghilterra nel 1550; per quelle in spagnolo e in tedesco bisognerà aspettare più a lungo, rispettivamente il 1596 e il 1616. Intanto, nel 1567 era uscita la grammatica in latino di Scipione Lentulo, che di edizione in edizione arriverà fino alla metà del secolo successivo. Ma chi sono gli autori di questi manuali? Almeno fino all’Ottocento sono per lo più dei parlanti nativi; generalmente si tratta di insegnanti, ma non mancano gli autori che provengono da altri campi, come nel caso del medico e filosofo Lodewijk Mejer. Nel corso dell’Ottocento la situazione cambia: con l’istituzione delle cattedre universitarie di lingue, infatti, l’insegnamento si professionalizza e di conseguenza i manuali vengono scritti da grammatici di professione che applicano i metodi appresi nell’accademia, primo fra tutti quel-

lo grammaticale-traduttivo. Ma è nel Novecento che si assiste al maggior numero di trasformazioni, legate a diversi fattori: la massiccia emigrazione italiana all’estero, la diffusione di scuole e istituti italiani di cultura nel mondo, e da ultimo il fatto che l’Italia sia diventata meta di percorsi migratori, comportano, tra le altre cose, la comparsa di manuali che differiscono nei metodi, nei contenuti e nei modelli di lingua proposti. Si tratta, come si vede, di un quadro estremamente variegato, che gli autori delineano con grande chiarezza. E in quest’ottica si colloca la ricca antologia, che comprende 53 brani, tratti da 23 diverse grammatiche e ottimamente commentati. Francesco Feola

>> Massimo Palermo / Danilo Poggiogalli, Grammatiche di italiano per stranieri dal ’500 a oggi. Profilo storico e antologia, Pacini, Pisa, 2010, 256 pp.

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il naufragio dell’eroe Una mostra con gli scritti autografi di Ippolito Nievo, insieme ad alcuni oggetti della sua famiglia, sono parte delle celebrazioni per i 150 anni dell’unità d’Italia.

portava in Italia non solo documenti di quell’amministrazione già difficilissima della Sicilia, ma anche una visione disincantata di quanto aveva visto e udito dopo tanti sacrifici per l’unità d’Italia. n anno di celebrazioni per l’unità nove anni, Antiafrodisiaco per l’amor Nel suo ultimo romanzo, Il cimitedi Italia. E non precisamente di platonico, un vero gioiello ironico e ro di Praga, Umberto Eco ha immesfesteggiamenti. Un nutrtito numero distaccato sulla sua esperienza eroso Nievo nella storia. Il protagonista di eventi evocano l’anno dell’unifi- tica con Matilde Ferarri. La grafia – è Simone Simonini, un falsario, un cazione: concerti, spettacoli, rassegne come ha fatto notare Simone Casini, esperto truffatore, una spia, un mercinematografiche e teatrali, mostre di ottimo curatore dei romanzi nieviacenario. Eco ha immaginato Simonini ogni tipo (dalla pittura del Risorgi- ni – è “minuta, regolare, limpida, e premeditare e portare a compimento mento alla bandiera italiana), conve- molto bella”. E anche quella è il segno la morte di Nievo, per evitare che gni, conferenze, dibattiti. troppe informazioni lasciassero Se me lo consentite, nella val’isola o, meglio, affinché tutte langa di tutti questi eventi (che quelle informazioni non raggiunsono organizzati certamente olgessero mai il continente. Non è tre il confine dell’Italia stessa), la prima volta che affiora in Itapreferirei segnalare una piccola lia l’idea del complotto nel “caso mostra –direi quasi domestica– Nievo”. La verità è che, qualsiasi allestita dalla Fondazione Ippolisia stata la causa, quel ragazzo, to Nievo presso il Teatro dei Dioche a ventotto anni aveva scritscuri, nel Complesso Sant’Andrea to le stupefacenti Le confessioni del Quirinale, a Roma, dal 13 al d’un italiano (forse l’unica vera 31 marzo 2011. “storia” del Risorgimento), morì Si tratta di una collezione asinghiottito dal mare. E a lui, sai rappresentativa di manoscritti, conferma Eco, il mare faceva documenti, prime edizioni e pictanta paura. Nel vedere quella coli oggetti dello scrittore Ippolipiccola nave, fragile e minuscoto Nievo, nato a Padova nel 1831 Modellino del piroscafo Ercole in bottiglia, esela, e nell’immaginare lui affogae morto nel naufragio dell’Ercole guito a Trieste nel 1966 dal cap. R. Muntjan. to, eroe senza volerlo, viene una nel 1861. forte malinconia. Per la sua nerTra i documenti spicca una vosa speranza nel futuro, che rimarrà lettera scritta da Nievo all’età di di una permanente ricerca interiore solo proiezione fantasmagorica, e per nove anni, rivolta al fratellino Car- dell’ordine e della bellezza. tutto ciò che avrebbe potuto scrivere lo, di cinque anni. Traspare in essa, Tra gli oggetti forse più curiosi, ancora. Perché, in fondo, con il suo così come nelle lettere alla madre, al ho visto una piccola riproduzione naufragio una visione dell’Italia andò padre e agli amici, la natura sensibi- del piroscafo Ercole, che causò la definitivamente alla deriva. le, sincera ed emotiva dell’autore, un morte al troppo giovane Nievo. Lui vero presagio di tutto ciò che scriverà tornava dalla Sicilia, dopo una com A.P. in seguito. Poi c’è il manoscritto del plessa gestione politico-militare in suo primo romanzo, scritto a dician- seguito alla Spedizione dei Mille. E

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1. attività formative Società Dante Alighieri XXIV Corso di Aggiornamento PLIDA per docenti: L’italiano in gioco Roma, 24-28 ottobre 2011 32 ore (da lunedì a giovedì ore 9.00-13.30 14.30-17.00; venerdì ore 9.00-13.30). I Corsi di aggiornamento PLIDA sono destinati a docenti di lingua italiana a stranieri che operano presso i Comitati della Dante Alighieri o in altre istituzioni e scuole, in Italia e nel mondo. Per informazioni e iscrizioni: plida@ladante.it o direttamente sul sito www.ladante.it >plida

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VII edizione - a.a.2010-2011 (www.unistrapg.it/it/didattica/master/didattica-italiano)

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DITALS Didattica dell’Italiano Lingua Straniera di II livello:

Giovedì 1 dicembre 2011 (livelli B2, C1, C2) Venerdì 2 dicembre (inizio prove orali)

18 luglio 2011 presso le sedi DITALS. Per un elenco delle sedi DITALS e informazioni sule tasse d’esame consultare il sito www.ditals.unistrasi.it.

PLIDA Juniores

PLIDA (Progetto Lingua Italiana Dante Alighieri)

Sessione giugno 2011 Sabato 18 giugno 2011 (tutti i livelli e tutte le prove)

PLIDA Commerciale

Sessione maggio 2011 Giovedì 26 maggio 2011 (livelli A1, A2, B1) Venerdì 27 maggio 2011 (livelli B2, C1, C2) Sabato 28 maggio 2011 (inizio prove orali) Sessione novembre 2011 Mercoledì 30 novembre 2011 (livelli A1, A2, B1)

Sessione settembre 2011 Giovedì 22 settembre 2011 (livelli B1, B2, C1) Venerdì 23 settembre 2011 (inizio prove orali) I termini per le iscrizioni alle sessioni degli esami di certificazione PLIDA scadono una settimana prima della data di svolgimento. Info: plida@ ladante.it / www.ladante.it/plida

3. convegni Convegno EALTA, 2011, Ethics in Language Testing and Assessment Università per Stranieri di Siena, Siena 5-8 maggio 2011 Iscrizioni sul sito www.ealta2011.cils.unistrasi.it fino al 20 aprile 2011

X Giornate Internazionali di Studi Italiani Universidad Nacional Autónoma de México, Ciudad de México, 24-28 ottobre 2011 Temi centrali del Congresso saranno: Italia: 1) 150 anni come nazione. 2) Pensiero, letteratura, lingua, arti e politica attraverso i secoli. 3) Prima e dopo il progetto Italia. Scadenza presentazione lavori: 30 aprile 2011 Info: catedra_calvino2005@yahoo.com.mx

XXVII Congreso de Lengua y Literatura Italianas de la Asociación Docentes e Investigadores de Lengua y Literatura Italianas (ADILLI) Córdoba, Argentina, 20, 21 y 22 de Septiembre de 2011 Tema: Lectores y Lecturas Plazo para la recepción de los trabajos: hasta el 30 de abril de 2011 Info: arit@fl.unc.edu.ar

LXXX Congresso Internazionale della Società Dante Alighieri. Unità d’Italia e unità linguistica, tra storia e contemporaneità Torino, Centro Congressi Unione Industriale 30 settembre-2 ottobre 2011 Info: www.ladante.it

XIV Congresso di Italiano)

dell’ABPI

(Associazione Brasiliana

dei

Professori

Brasilia, 30 ottobre - 3 novembre 2011 Info: www.italianoufc.blogspot.com

XX Convegno AIPI (Associazione Internazionali Professori d’Italiano). L’Italia e le arti Salzburg, 5 - 8 settembre 2012 Info: www.infoaipi.org

Mostra “ITALIA UNA. La lingua italiana nell’Italia unita” Firenze, Chiostro delle Leopoldine, Piazza Santa Maria Novella (29 maggio - 31 agosto 2011) Una grande mostra in occasione dei 150 anni dell’Unità italiana a cura della Società Dante Alighieri in collaborazione con l’Accademia della Crusca. Direzione Scientifica: Luca Serianni e Nicoletta Maraschio

Premio “INNOVAZIONE DIDATTICA” d’Italia

per i

150

anni di

Unità

Il premio viene promosso dalla Società Dante Alighieri in collaborazione con ALMA Edizioni ed è rivolto ai docenti di italiano a stranieri che insegnano presso i Comitati della Dante Alighieri o i Centri certificatori PLIDA. Verranno premiati i due Centri Certificatori PLIDA che presenteranno i due migliori progett didattico legato ai 150 anni di Unità d’Italia. Informazioni: www.ladante.it >plida o www.almaedizioni.it . I due vincitori verranno premiati in occasione del LXXX Congresso internazionale della Società Dante Alighieri a Torino (30settembre-2 ottobre).

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Progetto FIRB “Perdita, mantenimento e recupero dello spazio linguistico e culturale nella II e III generazione di emigrati italiani nel mondo: lingua, lingue, identità. La lingua e cultura italiana come valore e patrimonio per nuove professionalità nelle comunità emigrate”. Il progetto, che ha avuto inizio nel 2009 e si concluderà nel 2012, ha tra i propri obiettivi una ricognizione delle condizioni linguistiche delle giovani generazioni di discendenti degli emigrati italiani all’estero. Per collaborare alla ricerca è possibile compilare i questionari on line del progetto. Il primo questionario è destinato a tutti i giovani discendenti di emigrati italiani (da 0 a 35 anni). Qualunque giovane può compilarlo on line sul sito del progetto www.universoitaliano.it. Il secondo questionario è invece destinato a tutti i soggetti (associazioni, scuole, Istituti Italiani di Cultura, comitati della Dante Alighieri, ecc.) che promuovono la lingua e la cultura italiana nel mondo per i giovani di origine italiana. Se fai parte di qualche associazione o se ne conosci qualcuna, fai compilare il questionario sul sito www.universoitaliano.it dopo una breve procedura di registrazione. Info: firbuniversoitaliano@unistrasi.it.

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4. altro

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immagini

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Fotografia suggestiva di un angolo di Buenos Aires (il ristorantino Guido’s, nel centro del quartiere di Palermo), che vuole richiamare l’attenzione su quegli spazi dell’italianità, più o meno contaminati, più o meno risemantizzati, che ormai fanno parte delle vaste geografie del Nuovo Mondo.

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Autorizzazione del Tribunale di Firenze n° 5834 del 07/04/2011

numero uno aprile 2011

carta bianca 01

carta bianca

RIVISTA DI LINGUA E CULTURA ITALIANA

note sulla (non-)politica linguistica dell’italiano Massimo Vedovelli

ser docente en las escuelas bilingües Fanny Cativa

il Risorgimento delle donne Pietro Niegle

Italia da leggere. Intervista ad Alfonso Berardinelli Alejandro Patat

tradurre la cucina Anna Collia letture e visioni: Ferroni / Ghirri / Palermo / Serianni / Trifone / Vedovelli

dove va l’italiano? Massimo Arcangeli

01

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tapaALMARIVISTAimprenta.pdf


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