Sir Gellindotto de’ Ghiandedoro e i cavalieri della Tavola Rotonda
6 - Trucchi e inganni I RACCONTI DEL BOSCO DELLE VENTI QUERCE - FIABA DI MAURO NERI - ILLUSTRAZIONI DI FULBER
Il castello delle Marmotte Addormentate visto da sopra – e cioè dai piani alti del palazzo – era una macchina ordinata e precisa, con le guardie messe sull’attenti davanti a tutte le porte, le dame di compagnia e i paggi che passavano e ripassavano camminando in punta di piedi e i ministri che passeggiavano lungo i corridoi chiacchierando sottovoce. Lo stesso castello, invece, visto da sotto – cioè dalle cucine, dai depositi e dalle stalle – appariva come un formicaio disordinato e chiassoso di gente che correva di qua e di là urlando, dando ordini, imprecando o sudando sotto al peso di sacchi di patate e di casse di frutta appena arrivata dal mercato. In tutto quel disordine rumoroso il povero Franco Bollo non si trovava a suo agio. Lui era abituato al lavoro di portalettere, ai silenzio cinguettante del Villaggio degli Spaventapasseri, alle risate argentine e dolci di Casoletta quand’era impegnata a parlottare con Tisana la Dolce... – Tu, scudiero, hai dato da mangiare al tuo ronzino? – strillò feroce uno sgherro con la spada in mano. – Ehm... sì, certo – balbettò Franco preso alla sprovvista mentre sorseggiava un bicchiere d’acqua fresca. – E l’hai anche strigliato a dovere? – Certo: sono io il responsabile del cavallo di sir Gellindotto de’ Ghiandedoro, mica tu! – reagì finalmente lo scudiero, ritrovando sicurezza e lingua lunga. – Be’, allora mettiti in coda se vuoi un boccone per cena! – berciò quell’al-
tro con uno sghignazzo che doveva aver imparato dal suo capo Fon Raspe. – Qui nessuno aspetta nessuno e l’unico che riesce a riempirsi la pancia è il più svelto e il più forte... EH! EH! EH! Sgomitando e intrufolandosi tra le gambe degli altri, Franco riuscì a farsi dare una ciotola di minestra calda e un tozzo di pane. Andò a sedersi nel piccolo recinto assegnato al suo Bradamante e cenò da solo, continuando a chiacchierare col cavallino per tenerlo tranquillo e buono. Giunto al terzo boccone sentì un rumore nel recinto accanto: due sgherri si sedettero dall’altra parte della staccionata e cominciarono a parlare sottovoce. – Allora, i cavalieri della Tavola Quadrata hanno deciso chi di loro affronterà il nostro capo? – disse una voce roca che pareva una raspa da legno al lavoro. – Da sopra non si sa nulla – rispose l’altro, che invece aveva una vocina stridula e sgraziata. – Dobbiamo aspettare che arrivi un nome, uno qualsiasi... così possiamo muoverci e agire! – Hai con te la bottiglietta d’olio di papavero? – Come no: eccola! Me l’ha consegnata personalmente Fon Raspe con mille raccomandazioni... A quel punto giunse di corsa un terzo sgherro, che arrivò di corsa esclamando: – Ce l’ho! Ho il nome di... – Ssshhh! Abbassa quella voce, sciocco! – Ah sì, scusate – proseguì il nuovo venuto abbassando la voce. – Il cava-
liere che affronterà in torneo il nostro capo è quello piccoletto... quello che ha una gran coda! Al povero Franco andò quasi di traverso il boccone, quando lo sgherro dalla voce rasposa sussurrò: – Stai forse parlando di quell’insulso di Sir Gellindotto de’ Ghiandedoro? Il suo scudiero era qui, poco fa. Andiamo a cercarlo, forza, e neutralizziamolo con una bella botta in testa, dopo di che torneremo e ci occuperemo del ronzino che sta proprio qui dietro! Non fu difficile per Franco Bollo far due più due: uno degli sgherri aveva una boccetta d’olio di papavero, un potente sonnifero che poteva metter fuori gioco qualsiasi essere vivente, figurarsi un vecchio cavallino magro come una scopa. Se toccava al suo Gellindotto affrontare Fon Raspe in duello, niente di meglio che far scendere nella lizza del torneo del giorno dopo un cavallo ancora mezzo addormentato e con lo stomaco in disordine! Ma cosa poteva fare? A chi poteva rivolgersi? Be’, per prima cosa forse era meglio spostare Bradamante in un luogo sicuro... e fu quel che Franco fece, di nascosto e nel massimo silenzio. Solo quando il cavallo fu al sicuro al centro del parco, legato a un paletto conficcato per terra, lo scudiero tornò alle stalle per portare a termine il piano che gli era venuto in mente lì per lì... Poi, ma solo dopo, ne avrebbe parlato anche a Gellindotto. A Sir Gellindotto de’ Ghiandedoro
era balzato in petto il cuore, quando i cavalieri della Tavola Quadrata e Mago Abecedarius lo avevano indicato come il prescelto per affrontare al torneo il terribile capitan Fon Raspe... «Solo tu hai la prontezza, l’agilità e l’astuzia per rintuzzare ogni attacco e ogni inganno!» ...dapprima lo scoiattolino s’era sentito lusingato e orgoglioso che avessero pensato proprio a lui. Quando però ripensò a quel paio di occhi rossi come il fuoco, a quei muscoli terribili, a quei denti sporchi, marci e digrignanti... quando si ricordò di quelle dita che parevano salami stagionati, un brivido di terrore gli scese giù per la schiena. – Ma siete proprio sicuri, amici, di aver fatto la scelta giusta? – Puoi sempre tirarti indietro, Gellindotto – gli disse Abecedarius, – ma è chiaro che quella sarà una macchia indelebile che ti accompagnerà per sempre... – No no: io non voglio tirarmi indietro, volevo solo sapere se dietro alla scelta che è caduta su di me c’è anche un piano! Fu Sir Legendarius a spiegargli quel che avevano in mente. – Forse eri disattento, Gellindotto, ma comunque sappi che tu affronterai il capitan Fon Raspe solo al termine della giostra, solo alla fine di un torneo che sarà lungo ed estenuante, al quale prenderemo parte tutti noi, Fon Raspe compreso. La prima prova sarà il tiro con l’arco col cavallo lanciato al galoppo: e faremo in modo di superarla indenni.
Intervenne poi Dondolus: – La seconda gara ci vedrà impegnati in una prova di destrezza a cavallo: con una lancia da torneo ognuno di noi dovrà colpire il centro esatto dello scudo di una giostra girevole, schivando però tre palle di piombo incatenate e appese all’altro braccio del fantoccio. Concluse la descrizione Pagliamorbida: – La terza e ultima prova deciderà quale sia la nostra destrezza nell’uso dello spadone. Sempre a cavallo e sempre al galoppo, dovremo tagliare per metà una mela posta sulla cima di un paletto, senza però far cadere a terra nessuna parte del frutto! – In queste prime tre gare tu, Gellindotto de’ Ghiandedoro, non ti stancherai più di tanto – proseguì allora Legendarius, – e cercherai di arrivare fino in fondo il più riposato e il più in forze possibile per affrontare la prova decisiva, quella del duello uno contro uno: tu, Gellindotto de’ Ghiandedoro, contro il capitano Fon Raspe! – Tre sono le fasi decisive: si apre con lo scontro a cavallo lancia lunga in resta – elencò Dondolus; – segue il combattimento con lo spadone pesante e, in chiusura, ci sarà il duello con la spada corta... Uno... due... tre brividi di terrore fecero tremare la coda vaporosa di Gellindotto: – E... e siete proprio sicuri che io riuscirò ad avere la meglio? – A quel punto, ma solo se necessario – esclamò con un sorriso Abecedarius, – interverrò io a darti una mano con una delle mie famose magie bianche... Ma a questo penserò stanot-
te: sarà la Luna a consigliarmi su quale sarà la magia più efficace! – Be’, amici, – disse Gellindotto de’ Ghiandedoro con un sospiro, – forse è meglio se vado a dormire: penso che ci vorrà del tempo prima di cominciare a sognare, stanotte... Fu un lavoraccio faticoso e rischioso, quello di Franco Bollo. Senza farsi vedere dagli sgherri del castello, lo scudiero raggiunse il recinto del cavallo nero di Fon Raspe, lo afferrò per la cavezza, lo spostò e andò a legarlo nel posto vuoto che era stato di Bradamante. Attese fin dopo mezzanotte e, proprio quando gli occhi stavano per chiudersi vinti dalla stanchezza, alcune voci lo risvegliarono: – Ehi, venite di qua! – blaterò la voce roca e profonda che lui ben conosceva. – Ecco, questo è il posto del ronzino di Gellindotto: non posso sbagliarmi, è il terzo a partire dalla porta d’ingresso. – Ma in questa stalla c’è troppo buio! Non si vede nulla! – si lamentò l’altra guardia. – Sta’ zitto, io l’ho visto! Lo riconosco! – sussurrò una terza voce. – È proprio il cavallo dal manto nero di Gellindotto... passami la bottiglietta con l’olio d’oppio! Ci fu un bel po’ di scalpiccio, di ansimi e di brevi nitriti, ma alla fine: – Finita! Gliel’ho fatta bere tutta... EH! EH! EH! – Adesso dormirà tutta la notte e domattina sarà veramente uno spasso vedere il cavallino che non riesce a
restare in piedi! – Su, dai, andiamocene! Di corsa! – esclamò la voce rauca e le tre guardie uscirono dalla stalla ghignando sottovoce. Allora Franco Bollo corse al recinto, sciolse il cavallo nero di Fon Raspe e, prima che cadesse a terra addormentato, lo trascinò al suo posto, lo legò al palo e lo salutò con una pacca sulla schiena: – Mi spiace, cavallino: tu non ne hai colpa, ma un po’ di nanna non potrà che farti bene, vedrai! – Ma che ci fa, nel parco, il cavallo di Sir Gellindotto? – mormorò la bella Ondina, che era scesa in giardino assieme al menestrello Tiramissù per una breve passeggiata serale. – Forse il cavaliere teme che lasciare il suo destriero nelle stalle comuni possa essere pericoloso – rispose il giovane. – Vuoi che ti canti una serenata, mia dolce Ondina?
– Stasera non ho voglia di canzoni e di poesie, Tiramissù. Lo sai che oggi potrebbe essere l’ultima volta che possiamo star vicini? Domani... – Domani accadrà quel che deve accadere, principessa – rispose il menestrello prendendo la fanciulla per mano. – Ricordalo: dalla nostra parte abbiamo tre prodi cavalieri e un mago di magia bianca. Poi c’è anche tuo nonno, l’imperatore Empedocle Quinto, che, pur non sapendo del nostro amore, farà di tutto, ne sono certo, per non farti sposare chi non desideri. Quindi tu hai anche l’affetto di tutto il popolo, che ama la tua semplicità, la tua bontà e il senso di giustizia che ti anima... Non ultimo, infine, c’è il nostro affetto profondo e vero... Vedi in quanti stanno correndo a tua difesa? E poi... Ondina si fermò e si girò a guardare Tiramissù. – E poi... che cosa? Il giovane abbassò gli occhi. Per fortuna era già buio, altrimenti la ragazza avrebbe visto il suo innamorato arrossire come un bimbetto: – Poi lasciamo spazio anche all’imponderabile, all’imprevisto... al dono che forse domani ci pioverà addosso dal cielo... – Non ti capisco! – È meglio che tu non comprenda, bella Ondina, e ora torniamo a palazzo. S’è fatto freschetto e partecipare a un torneo col raffreddore non è il massimo... Se la principessa non fosse stata stanca e distratta, quelle ultime parole l’avrebbero dovuta avvertire che stava
per accadere qualcosa di veramente inaspettato, qualcosa capace di cambiare per sempre il corso della sua vita e della vita del suo innamorato. Ma, appunto, Ondina era sovrappensiero: salutò Tiramissù con un bacio e si ritirò nei suoi appartamenti. Il giovane allora afferrò il liuto, si sedette accanto a Bradamante al centro del prato e cominciò a cantare la sua serenata:
Chiamo le stelle dal cielo, le voglio tutte attorno a me. Chiamo la Luna lassù, la vuole il buon Tiramissù!. Chiedo un sol regalo da te, e che sia pegno d’amore: un bacio per ogni stella e il tuo cuore per la Luna! ...un bacio per ogni stella e il tuo cuore per la Luna... (6 - continua)