Sir Gellindotto de’ Ghiandedoro e i cavalieri della Tavola Rotonda
7 - Il Grande Torneo I RACCONTI DEL BOSCO DELLE VENTI QUERCE - FIABA DI MAURO NERI - ILLUSTRAZIONI DI FULBER
Facevano proprio un bell’effetto le migliaia di persone accalcate sulle tribune della lizza. C’era proprio tutta la popolazione della contea delle Marmotte Addormentate, incuriosite da quel particolare torneo che metteva in palio addirittura la mano della nipote dell’imperatore Empedocle Quinto! – Dicono che la povera Ondina sia distrutta – si sussurrava sugli spalti. – Lei non avrebbe mai voluto essere considerata il premio di una giostra di cavalieri! – Il fatto è che ha già promesso il cuore a qualcun altro, poveretta... – Ma può essere così duro e inflessibile, il nostro vecchio imperatore? – E cos’altro può fare, coi nemici che premono ai confini, se non affidarsi a un capitano degli sgherri forte e feroce come quel bruto di Fon Raspe? Questo si mormorava, tra il popolo, mentre i notabili e le dame della contea prendevano posto sulla tribuna imperiale, dove andarono a sedersi anche Empedocle Quinto, la bella Ondina pallida come fosse malata e il buon Mago Abecedarius. Alle mura di cinta del castello erano appesi i vessilli della Tavola Quadrata. C’era quello dell’imperatore, rosso con una marmottina addormentata al centro. Accanto sventolavano il gonfalone di Sir Gellindotto de’ Ghiandedoro, celeste e rosso con una ghianda d’oro ricamata al centro; quello di Sir Legendarius, grigio e blu con una penna d’oca; quello di Sir Dondolus, giallo e marrone col ricamo di una campana; quello di Sir
Pagliamorbida, rosso e bianco con un forcone; quello di Mago Abecedarius, blu scuro con una stella d’argento in mezzo. Dappertutto, però, appesi ai merli e alle torri del castello e agli alberi e ai pennoni della lizza garrivano plumbei e funerei enormi bandieroni neri e grigi, col volto di una tigre al centro: erano i colori e l’emblema che il capitano degli sgherri aveva scelto per sé, pur non essendo ancora uno dei Cavalieri della Tavola Quadrata. «Ma lo sarò tra poco, eh! eh! eh!» sognava in cuor suo il malvagio. Le prime sorprese capitarono quando l’Alfiere dell’imperatore convocò nella lizza i contendenti del torneo. Fecero il loro ingresso i quattro Cavalieri della Tavola Quadrata, guidati da Gellindotto sul suo cavallino pimpante e vispo, che andarono a posizionarsi a un lato della lizza. Quando poi entrò poi Fon Raspe in groppa al suo gigantesco destriero nero come la notte, un mormorio di sorpresa che ben presto si tramutò in una risata generale accolse il cattivo: il suo cavallo, infatti, procedeva a onde, con le zampe traballanti e rischiando a ogni passo di stramazzare a terra! Fon Raspe si guardò attorno stranito e rabbioso, ma capì subito che era veramente troppa la gente che avrebbe dovuto far imprigionare dai suoi sgherri per quello sgarbo. I cavalieri, invece, poterono ridere tranquilli, nascosti dietro la celata che copriva il volto... Franco Bollo aveva parlato al suo Gellindotto
dello scambio di cavalli avvenuto la notte prima, nelle scuderie, e dell’inganno dell’olio d’oppio che s’era rivoltato contro il suo autore e lo scoiattolo ne aveva informato i suoi amici. Comunque il malvagio raggiunse in qualche modo la sua postazione, in fondo alla lizza, e l’alfiere urlò la formula di rito: – I contendenti sono entrati, damigelle, nobiluomini e popol tutto, e la giostra sta per avere inizio: se qualcun altro intende gareggiare, si faccia avanti ora o se ne stia nascosto per sempre! Di solito, recitata la tiritera, l’Alfiere non aspettava nessuna risposta e dava subito l’ordine alle trombe di squillare per l’avvio ufficiale del torneo. Quella volta però rimase con il braccio teso in alto e la bocca spalancata. Da una porta laterale, infatti, fece il suo ingresso al trotto un cavaliere interamente vestito di bianco, che cavalcava un destriero candido come la neve e che stringeva in mano un vessillo altrettanto bianco con l’emblema di una luna azzurra al centro. Il misterioso cavaliere raggiunse il palco imperiale, fermò ilo purosangue proprio dinanzi all’imperatore e, col volto nascosto sotto l’elmo dal cimiero bianco, parlò con voce stentorea. – Così come vuole la tradizione cavalleresca, che concede a chiunque sia in possesso di un destriero e di una spada di partecipare a qualsiasi torneo, sono a chiederti, esimio imperatore Empedocle Quinto, il lasciapassare per prender parte a codesta giostra! L’anziano imperatore si girò verso Ondina: – Tocca a te decidere, dolce
nipote mia, visto che sarai tu ad andar in sposa al vincitore. Consenti a questo misterioso viandante a cavallo di duellare nel nostro torneo? Qualcosa spuntò, in fondo al cuore di Ondina: una piccola idea, una felice intuizione o, magari, solo un sogno, un desiderio, una speranza, ma fu sufficiente per farle dire: – Acconsento, imperatore Empedocle. Ammetti lo sconosciuto della Luna Azzurra al Torneo del castello delle Marmotte Addormentate! – E allora si dia inizio alla tenzone, cavalieri! – esclamò finalmente l’Alfiere, dando il via allo squillo di venti trombe che richiamarono l’attenzione del pubblico sul terreno della lizza. Nel frattempo nelle scuderie imperiali regnava una grande confusione, mentre gli sgherri di Fon Raspe erano caduti nella più nera disperazione! – Chi è stato quello sciocco che ha sbagliato cavallo? – berciò il soldato anziano con la voce roca. – Si faccia avanti e confessi, altrimenti... – A dire il vero – disse un povero soldatino arruolato da poco, – c’ero anch’io nella stalla, quando abbiamo fatto bere l’olio di papavero a quel che credevamo fosse il cavallo di Sir Gellindotto... e sei stato proprio tu a portarci al recinto giusto, ricordi? “È il terzo recinto a partire dalla porta d’ingresso” ci hai detto... – Sta’ zitto, sciocco! – urlò quell’altro punto sul vivo e che benissimo com’era andata. – Non stiamo qui, adesso, a incolparci tra di noi, ma facciamo in modo di rimediare al pasticcio! Tu – blaterò all’indirizzo del giovane sgherro, – corri
nella lizza e con una scusa qualsiasi fa’ venir qui il capitano. Forza, svelto! Quando giunse il cavaliere nero e grigio, furente come un rinoceronte col raffreddore, immediatamente venne afferrato, tolto dal cavallo imbambolato e rimesso su un altro destriero, anch’esso nero e in tutto e per tutto uguale a quello di prima. – Sono due cavalli fratelli – gli spiegò lo sgherro, – solo che il secondo, anche se meno forte e veloce, almeno è sano come un pesce! – Ma cos’è successo al mio cavallo? – sibilò velenoso Fon Raspe. – Qualcuno l’ha avvelenato, vero? – Certo, è andata proprio così – mentì la guardia anziana. – Sono stati i Cavalieri della Tavola Quadrata a macchiarsi di questo delitto! Evidentemente ci hanno preceduti e l’olio di papavero l’hanno usato loro per primi! – Dovevo immaginarlo! – urlò il perfido con la bava alla bocca. – Dovevo intuirlo... Ridatemi l’arco e le frecce, svelti: adesso gliela faccio vedere io, a quei disonesti! La prima prova, il tiro con l’arco col cavallo lanciato al galoppo, fu un vero trionfo per Legendarius: su tre tiri, centrò per ben tre volte il bollo rosso al centro del bersaglio. A pari merito ma con due centri si classificarono tutti gli altri, compresi il capitan Fon Raspe e il cavaliere misterioso, mentre con un solo centro Gellindotto de’ Ghiandedoro chiudeva la fila. La prova della giostra girevole mise in luce il valore, la precisione e la svel-
tezza di Pagliamorbida, che centrò per tre volte lo scudo del fantaccino girevole, schivando sempre le palle di piombo incatenate. Legendarius andò a segno due volte, mentre la terza cadde da cavallo, senza però farsi male... gli altri seguirono con risultati minori, ma senza danno alcuno. Comunque ultimo si confermò Gellindotto, che gareggiò con calma, senza stancare il buon Bradamante. Si giunse così alla terza e ultima delle prove iniziali: il taglio della mela con lo spadone. Provò per primo Pagliamorbida, che mancò del tutto la mela. Squalificato! Dondolus colpì la mela, ma senza tagliarla. Squalificato!! Legendarius tagliò la mela di netto, ma una delle due parti volò in aria e cadde a terra. Punto non valido e... Squalificato!!! Gellindotto de’ Ghiandedoro lanciò Bradamante al galoppo e al momento giusto sferrò un colpo preciso e veloce, ma la mela rimase lì, ferma immobile in cima al paletto. – Alfiere – esclamò allora lo scoiattolo con la corazza – potresti far controllare il bersaglio? Fu lo stesso Alfiere ad avvicinarsi al paletto e, quando alzò al cielo la metà superiore della mela che dopo il taglio non s’era nemmeno mossa, tutto il pubblico balzò in piedi applaudendo e urlando mille “evviva”! Rabbioso come una serpe chiusa nel sacco, Fon Raspe si gettò al galoppo roteando sopra la testa la pesante spada. Quando fu vicino al paletto si sporse dalla cavalcatura e con un colpo
ben assestato tagliò in due la mela: la parte superiore ebbe un sobbalzo, ma poi ricadde su quella inferiore e rimase lì, ferma immobile. Urlarono di gioia solo Fon Raspe e tutti i suoi sgherri! L’ultimo concorrente, lo sconosciuto della Luna Azzurra, mise al trotto il suo cavallo e s’avvicinò con cura e con prudenza al paletto: quando fu all’altezza, stese il braccio che impugnava lo spadone e con un colpo attento e preciso tagliò la mela a metà, dall’alto al basso. Il frutto si spaccò a metà e le due parti caddero una da un lato e l’altra dall’altra... senza cadere dal paletto! – È un imbroglio! – strepitò Fon Raspe rivolgendosi all’Alfiere. – Non è così che si gareggia in questa prova! Chiedo che il cavaliere sconosciuto venga escluso dal torneo! L’Alfiere confabulò a lungo coi giudici e poi si rivolse all’imperatore, parlando in modo che tutti potessero sentirlo: – A riguardo di questa prova, mio esimio imperatore, il regolamento non specifica a quale velocità debba avvicinarsi il contendente e in che modo debba essere tagliata la mela. Quel che è certo è che lo sconosciuto della Luna Azzurra ha tagliato il bersaglio in due e che nessuna delle due parti è caduta dal paletto. Per noi... la prova è superata! – E come siamo messi con gli sfidanti? – chiese Empedocle, alzando la voce e zittendo il turbine di applausi. – A chi tocca affrontare il capitano Fon Raspe nel duello finale?
L’Alfiere si avvicinò al palco reale e declamò: – Lo sconosciuto della Luna Azzurra e Sir Gellindotto de’ Ghiandedoro si sono classificati a pari merito. Tocca a loro decidere chi dei due dovrà sfidare Fon Raspe con la lancia lunga in resta, poi con lo spadone pesante e infine con la spada corta! Nel tripudio di gioia e di urla che accolse la decisione della giuria, il cavaliere vestito di bianco si avvicinò ai Cavalieri della Tavola Quadrata e parlò direttamente a Gellindotto de’ Ghiandedoro: – Cavaliere, se tu sapessi chi sono, e al termine della giostra in un modo o nell’altro ciò accadrà, converresti che tocca di diritto a me affrontare il perfido Fon Raspe. Ti chiedo di fidarti e di fare un passo indietro: al duello voglio, devo andarci io, sia quel che sia! Gellindotto dapprima si girò a guardare i suoi amici cavalieri, e ne ottenne un cenno d’assenso. Poi un secondo cenno affermativo venne da Mago Abecedarius, seduto accanto alla bella Ondina sul palco: – D’accordo, amico, affronta tu Fon Raspe, ma sarò pronto a intervenire in tua difesa alla prima scorrettezza commessa da quel bruto! Un applauso ancor più forte accolse la notizia che la sfida si sarebbe giocata tra il capitano Fon Raspe e lo sconosciuto della Luna Azzurra. E il cuore di Ondina, inspiegabilmente, cominciò a battere più veloce! (7 - continua)