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CONCLUSIONI

Questa tesi ha voluto fornire un'analisi critica del processo di formazione degli Stati nell'Africa subsahariana, focalizzandosi sui limiti del processo di decolonizzazione e sulle conseguenze che hanno investito l'Africa nel secondo dopo guerra fino ai giorni d'oggi. I mali dell'Africa hanno proprio origine dal fallimento dello Stato come autorità, in quanto essa non è mai stata riconosciuta dal suo popolo come tale, rendendo lo Stato un “guscio vuoto”, ovvero un'autorità riconosciuta dall'esterno ma totalmente priva di un potere al suo interno in quanto mai riconosciuta come reale autorità e dunque anche incapace di garantire i diritti minimi alla popolazione.

Il vuoto di potere conseguente ha lasciato spazio a crimini, povertà e conflitti, trascinando il continente in una delle peggiori delle sue fasi. Fallendo, questi Stati hanno discreditato anche tutti i movimenti ideologici che si sono sviluppati in quegli anni, rendendoli ad oggi inaccettabili per la comunità internazionale. Tuttavia, come è stato detto, all'epoca l'Africa non poteva essere pronta a tale passo. La colonizzazione lasciò infatti troppo velocemente la sua eredità ad un apparato dirigente non formato, incapace di affrontare la gestione di uno Stato e di risolvere i problemi insoluti del dominio coloniale, come la questione del nations-building.

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Al processo di decolonizzazione vanno i limiti di aver originato paesi di singoli individui, lo stesso concetto di identità etnica, rinsaldatosi all'interno dello Stato africano, è il simbolo del fallimento dell'istituzione statale in Africa. Il fallimento di questi paesi senza popolo e autorità si è tradotto in termini politici con la personal rule, con le dittature e il sistema clientelare; in termini economici con le economie di sfruttamento e in termini sociali con una delle pagine più nere dell'epoca contemporanea. Ha fallito dunque il nazionalismo africano, che si impegnò a far rinascere il continente nelle dinamiche contemporanee, abbracciando gli ideali non propri per non per farla regredire al proprio passato. Con questa demonizzazione delle vecchie ideologie nazionalistiche l'avvento di una nuova fase democratica in Africa - e la sucessiva apertura al mercato mondiale - è stata salutata come una grande opportunità di crescita che il continente non poteva mancare. Ciononostante, è stato analizzato come anche questi nuovi processi democratici ed economici ad oggi non sono stati un reale punto di rottura col passato. La democrazia non è riuscita ad appianare le divergenze etnoreligiose e ad allargare i diritti anche alle fasce più deboli della società. Anche a livello economico le cose non sono cambiate, al tempo del colonialismo le

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ricchezze dell'Africa venivano spartite fra le grandi potenze europee, oggi gli attori sono cambiati –grandi multinazionali, USA, Cina - ma il sistema di sfruttamento rimane spietato come allora.

La globalizzazione si sta affermando con la stessa crudeltà con cui si affermò lo sfruttamento coloniale, continuando ad approfittarsi di un sistema politico debole, povero e corruttibile. In tanti infatti, tra i quali Bartholomäus Grill, affermano che attribuire l'intera colpa all'occidente è un escamotage troppo semplicistico, una grossa fetta di responsabilità va attribuita a una élite corrotta e predatoria, così come non erano gli europei a scendere dai loro velieri per catturare gli schiavi compito affidato ad altre tribù africane in cambio di qualche cianfrusaglia o di riconoscimento politico – oggi è la classe politica africana che permette la perpetuazione di questo sistema ingiusto e il ricompenso rimane miserabilmente simile. Secondo Masto (2011, p.4) “fra sei o sette secoli uno storico che dovrà raccontare i nostri tempi, probabilmente sarà costretto a scrivere che la schiavitù è stata abolita nell'ultimo scorcio del milleottocento, ma che questo odioso sistema è stato usato, in forme più attenuate e senza la copertura della legge, per diversi secoli ancora, almeno fino ai primi decenni del Duemila”.

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A ormai più di 50 anni dall'anno dell'Africa, il continente non si è dimostrato ancora capace di superare nessuno dei nodi più critici, i quali si ripresentano ciclicamente nella sua storia: le guerre ritornano, la povertà e lo sfruttamento rimane, mentre il divario fra Africa e resto del mondo aumenta (vedi figura 10). Dunque, nulla di nuovo sotto il sole, secondo Masto (2011, p.4) "l'Africa continua ad essere un territorio di saccheggio come nel passato [...] Un tempo le potenze coloniali bramavano il potere sul controllo di prodotti come la gomma, l'avorio, gli schiavi. Oggi sono cambiate le materie prime e l'utilizzatore finale è un soggetto più complesso, ma il meccanismo è rimasto lo stesso". La globalizzazione sta agendo dunque esattamente come fece il colonialismo, imponendo un modello di sviluppo che ha portato alla nascita di due Afriche, slegate l'una dall'altra e incapaci di comunicare. L'Africa più numerosa, ovvero l'Africa della povertà, ancora legata alle tradizioni, ha dovuto accettare il potere della seconda, ovvero l'Africa delle piantagioni, delle miniere, delle multinazionali e dei politici corrotti. Costruire un'Africa diversa era possibile, l'errore, causato dalla commistione di paure, incertezze ed interessi, è stato quello di costruire la nuova Africa nella concezione europea. La leadership africana, che si è alternata al controllo politico ed economico dei paesi del continente, è stata incapace di integrare il concetto di Stato e della sua gestione con la tradizione africana. Di fatto, la nuova Africa, nata con la decolonizzazione, è un continente che non ha mai trovato riconoscimento nel suo popolo, ma soltanto nella cartina geografica e nella comunità internazionale, garantendo la vita a Stati e sistemi incapace di governare. L'incapacità di rompere con questo sistema a bloccando l'Africa nel suo processo di sviluppo, esponendola a fenomeni a tutti i limiti che ancora oggi presenta. Dunque, non esiste nulla di nuovo dell'Africa della decolonizzazione e fintanto che il continente subsahariano rimarrà impantanato in questo sistema derivato dal colonialismo e di dipendenza verso l'esterno, non potrà realmente superare questa fase.

Figura 10. Crescita del potere di acquisto medio in Europa e in Africa

Fonte: Maddison Project

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