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CAPITOLO 4, Il caso Nigeria
CAPITOLO IV
IL CASO NIGERIA
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La storia del paese nigeriano, sicuramente il paese più influente nella regione nell'Africa occidentale, presenta grosse similitudini con le situazioni e gli avvenimenti che hanno caratterizzato l'Africa nell'ultima metà del XX secolo. La Nigeria, nazione più popolosa dell'Africa, sorge dall'omonimo dominio britannico circondato da colonie francesi. Ciononostante, nessun cittadino nigeriano, al momento dell'indipendenza, ha sviluppato una forma di appartenenza a questo nuovo Stato. Come tutti i paesi africani, infatti, il territorio nigeriano è profondamente diviso a livello etnoreligioso: il paese è spaccato fra il sud cristiano e il nord mussulmano e i suoi circa 180 milioni di abitanti si dividono in 250 etnie diverse, i più numerosi sono hausa-fulani, yoruba, igbo, efik, edo, ibibio e tiv.
Nonostante la Nigeria sia un paese in forte crescita, con un aumento sensibile del Pil pro capite negli ultimi anni, le statistiche rimangono drammatiche per un'ampia fascia della popolazione. Più del 45% della popolazione vive sotto la soglia di povertà32, meno della sua metà ha accesso all'acqua corrente, l'istruzione rimane carente, la crescita industriale è vicina allo zero e le grandi città sono inghiottite dagli slums33 .
Figura 8. Gruppi etnolinguistici in Nigeria e divisioni amministrative.
32 Questo valore può variare sensibilmente, in quanto non esiste un parametro chiaro per definire chi è povero e chi no. Altre fonti, ad esempio, pongono questa soglia minima del 33% fino ad un massimo del 70% (CIA Factbook). 33 Fonte: World Bank, Online: http://data.worldbank.org/country/nigeria.
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Esattamente come in Uganda, con l'avvicinarsi dell'indipendenza si crearono diversi partiti che rispecchiavano le diverse compagini etniche, venne così fondato l'Action gruop (Ac), costituito da yoruba; il National council for Nigeria and Camerun (Ncnc), a rappresentanza degli ibo o igbo e il Nigerian people's congres (Npc) formato dal popolo hausa-fulani. Al momento effettivo dell'indipendenza la Nigeria aderì al Commonwealth come stato federale diviso in 3 regioni. Questi tre dipartimenti dividevano grossomodo le tre maggiori etnie del paese dando modo ai singoli partiti di conquistare una forte influenza sul territorio abitato dalla loro etnia.
La debolezza dello Stato nigeriano emerse fin dai primi momenti di vita indipendente del paese. L'Ag venne spodestato nel suo ruolo di predominio nell'ovest da un nuovo partito yoruba - il Nigerian national democratic party (Nndc) - mentre le elezioni del 1965 portarono il paese sull'orlo della guerra civile. Il partito igbo dell'Ncnc venne messo da parte dal partito dominante Npc che si alleò con il nuovo Nndc, portando alcuni generali igbo alla ribellione e al compiere un colpo di stato nel ‘66. Il paese precipitò nel caos, il nuovo regime tentò di abolire la federazione provocando l’intervento di alcuni generali originari del nord del paese, che nel Luglio dello stesso anno misero in atto un altro colpo di stato. La Nigeria cadde così nel caos, dove i vari gruppi etnici si scontravano, in special modo gli igbo contro gli hausa-fulani. I morti furono migliaia e presto si arrivò alla dichiarazione di indipendenza del sudest igbo da resto del paese.
Questi eventi, che hanno caratterizzato molti dei paesi africani postcoloniali, sono la chiara espressione di un paese in cerca di un equilibrio che comunque non poteva essere trovato. Le divisioni interne erano troppe profonde e, conseguentemente, favorivano conflitti, squilibri, corruzione, clientelismi e malgoverno. Lo Stato coloniale tentò di rimodellare la società, la politica, l’economia e il singolo individuo all’interno di uno spazio che poco aveva a che fare con gli spazi tradizionali. Dunque, in Nigeria, come nel resto dell’Africa, si delineavano scontri fra il nuovo e il tradizionale, fra città e villaggi, fra l’identità etnica e lo Stato; due mondi che all’interno dello Stato si allontanavano sempre di più, portando presto molti stati al collasso.
Negli anni successivi in Nigeria si susseguirono regimi militari, colpi di stato, governi civili ed elezioni caratterizzate da accuse di brogli e violenze. Nel 1999, con la salita al potere di Obasanjo, si celebrò l'entrata della Nigeria nella democrazia moderna, ma, nonostante il disimpegno degli organi militari nell'attività della società civile e l'aumento della libertà di stampa, anche quest'elezione venne aspramente condizionata da brogli. Inoltre, Obasanjo dovette confrontarsi con forti violenze interetniche che dopo quarant'anni dal raggiungimento dell'indipendenza ancora continuavano e a problemi socioeconomici che non seppe risolvere.
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Con la salita al potere di Obasanjo si promise una rotazione al potere di due mandati fra presidenti del sud e del nord. Di conseguenza, nel 2007, al termine del mandato di Obasanjo vene eletto Umaru Yar'Adua, proveniente dal nord e di religione mussulmana, che però morì nel 2010. Al suo posto venne eletto Goodluck Jonathanad, politico del sud e cristiano che ebbe la meglio su il candidato del nord Muhammadu Buhari. L'elezione di Goodluck fu appoggiata pubblicamente da Washington e Londra, le quali auspicavano l'elezione di un personaggio più sensibile ai propri interessi. Tuttavia ciò provocò forti instabilità nel nord del paese, permettendo l'ascesa di gruppi integralisti, come Boko Haram, che tutt'ora disseminano terrore nel paese.
Dunque, niente di nuovo sotto il sole; il fallimento dello Stato non ha fatto altro che aggravare le fratture presenti al momento della sua creazione; l’incapacità della politica di distribuire la ricchezza derivata dallo sfruttamento inesorabile delle risorse, ha rafforzato la percezione di Stato vessatore, rinsaldando i legami con la tradizione. Nel 1969 il regime nigeriano promulgò il Petroleum Decree, che stabiliva l’esclusivo controllo dello Stato nigeriano sulle risorse petrolifere e successivamente nel ‘71 venne fondata una compagnia petrolifera nazionale la Nnoc, poi Nnpc, manovre che portarono ad un effettivo aumento delle entrate nelle casse dello Stato federale, composte mediamente per l’80% da rendite petrolifere. Tuttavia, la gran parte dei profitti rimaneva comunque nelle mani delle compagnie private e di ristrette schiere dei politici nazionali e locali. Lo sfruttamento delle risorse del territorio aveva comunque la priorità sullo sviluppo del paese, sui diritti dell’uomo e sulla salvaguardia dell’ambiente. Ad esempio, nel 1993, in meno di cinque mesi il governo di Ibrahim Babangida uccise più di 1800 persone che manifestarono contro nuove trivellazione concesse alla Shell nello stato del Rivers34 .
Non esistendo un sentimento di identità, la classe dirigente non si è mai sentita in dovere verso lo Stato e i suoi cittadini. Quindi, investire nella crescita del proprio paese e nelle sue infrastrutture non è mai stato percepito come prioritario quanto invece l’arricchimento personale e il finanziamento del proprio network di potere. Un esempio paradossale è il prezzo della benzina in Nigeria che è fra i più alti dell’Africa, infatti, mentre in nazioni come il Venezuela e l’Iran – nazioni con molti problemi ma ricche di petrolio - il suo prezzo è irrisorio, in Nigeria non esistendo impianti di raffinazione l’oro nero viene venduto all’estero e la benzina comprata a prezzi molto più alti.
L’economia nigeriana si sorregge interamente sulle Royalties del petrolio, che alimentano il sempre più dispendioso apparato clientelare che regge lo Stato, nell'impossibilità di creare, in assenza di uno Stato unitario, ogni altro tipo di rendimento. Le statistiche parlano chiaro: il petrolio
34 Cdca.it, Multinazionali del petrolio sul delta del Niger. Online: http://www.cdca.it/spip.php?article158.
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è la principale fonte di rendita del paese, ma nonostante questo il 70% della popolazione vive ancora sotto la soglia di povertà, più di due milioni di giovani sono disoccupati e il 40% della popolazione è analfabeta, con scarse possibilità di migliorare il proprio futuro. Le infrastrutture urbane e rurali - acqua potabile, elettricità, strade, strutture mediche - sono estremamente scarse e inefficienti, con condizioni ambientali disastrose nel Delta del Niger, dove si estrae principalmente il petrolio nigeriano.
Lo Stato nigeriano è stato incapace di superare i limiti dello scontro etnoreligioso, questo scontro si è concentrato anche sull’accesso al controllo politico e alle ricchezze derivanti dal petrolio. Infatti, mentre per altre risorse - come diamanti, terre rare e legname pregiato - al fine di godere delle rendite derivate dal loro sfruttamento è sufficiente avere accesso alle singole aree di estrazione, per il petrolio è indispensabile detenere il controllo di un apparato governativo, il quale garantisca tra le altre cose la costruzione di oleodotti e l’attività di estrazione dei pozzi. In Nigeria, l’etnia si è distinta non solo per problemi legati alle richieste politiche, ma anche in relazione al problema dello sfruttamento da parte delle multinazionali del petrolio. Insurrezioni come quella degli ijaw e itsekiri nel 1997, quella del Movement for the survival of ogoni people (Mosop) nel 1990 o quella del Movement for the emancipation of the Niger delta (Mend) sono chiari segni di uno scontro interetnico che ha origine per la rivendicazione di autonomia, conservazione dell’ambiente e diritto all’esistenza di queste minoranze contro il governo federale visto come legato ai loro sfruttatori: uno Stato non espressione dei cittadini, ma espressione degli interessi privati. Il petrolio continua ad essere visto da molti nigeriani dell’area del Niger Delta più come una maledizione piuttosto che una ricchezza, molti gruppi continuano la lotta, dove petrolio è sinonimo di morte. Significative sono le parole rilasciate da Nadine Gordimer, in un articolo sul New York Times: “Acquistare petrolio nigeriano nell’attuale situazione equivale ad accettare di comprare petrolio in cambio di sangue, il sangue di altri esseri umani, la riscossione della pena di morte sui nigeriani”35. Lo scontro continua anche dopo l’insediamento di Obasanjo, è ormai chiaro che si può anche cambiare presidente e governo, ma il potere è sempre rimasto nelle mani della corrotta élite politico-militare, la quale ha continuato a polarizzare lo scontro etnico per indebolire le posizioni dei rivali e garantirsi i privilegi acquisiti, grazie anche al benestare di multinazionali e governi stranieri che tengono in vita la traballante economia nigeriana.
In conclusione, lo Stato nigeriano condivide gli stessi limiti degli altri stati africani: i confini eredi del periodo coloniale hanno creato formazioni nazionali mai esistite prima, unendo etnie e religioni prive di un sentimento di unità; lo Stato stesso, nella concezione occidentale adottata con
35 Gordimer, N., 1994. In Nigeria, the price of oil is blood, New York Times, 25 May 1994.
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la decolonizzazione, è un’entità non propria del continente africano; l’inesperienza nel gestire la cosa pubblica e la mancanza di un'identità nazionale ha provocando che gli interessi del singolo prevaricassero su quelli del pubblico e che lo Stato, sempre più frammentato, scivolasse in una spirale di violenza e povertà. La crescita economica dell'ultimo decennio può far ben sperare, ma non è stato riscontrato un reale miglioramento della vita del nigeriano medio e le violenze nel paese continuano. Così, mentre il nord è vittima di gruppi terroristici come Boko Haram, il sud, in particolare il delta del fiume Niger, deve pagare le conseguenze di una devastazione ambientale senza precedenti, nell'indifferenza dello Stato centrale che pare continuare la sua politica clientelistica.
Figura 9. Comparazione fra le rendite petrolifere e PIL procapite in Nigeriac
PIL pro capite (US$) 3000
2500
2000
1500
1000
500 300000
250000
200000
150000
100000
50000
0 0
1982 1986 1990 1994 1998 2002 2006 2010 1980 1984 1988 1992 1996 2000 2004 2008 2012
US$ in m igliaia
PIL pro capite Rendite petrolifere (calcolate)
Fonte: The World Bank, Index Mundi
c Il grafico, pur sommariamente, raffigura come l'economia nigeriana sia legata con le rendite derivate dal petrolio. Il netto aumento del prezzo del petrolio ha conseguentemente provocato un sostanziale aumento delle PIL pro capite.
Tuttavia, bisogna notare che questo valore non rappresenta pienamente le condizione di benessere, specialmente in un paese dalle forti diseguaglianze come la Nigeria. La grande dipendenza economica nigeriana dal petrolio non non è affatto una situazione inusuale, specialmente per l'Africa, e questo fattore è noto come “dutch disease”. È proprio il nigeriano Thandika Mkandawire che nel suo Our
Continent, Our Future. African Perspectives on Structural Adjustment (1999) ad affermare che il suo paese soffre di questo “male”. Per la Nigeria la dutch disease si traduce con un mancato sviluppo economico e sociale nonostante le entrate garantite dal petrolio. Le cause che portano a questa situazione sono molteplici, i facili ricavi garantiti dal petrolio disincentivano altre forme di investimento su altri settori, confinando il paese in un sistema petroliodipendente. Questa teoria, chiamata rentier effect, può spiegare solo in parte il contesto nigeriano; infatti Stati come la Norvegia, il Canada, il Qatar, Messico o l'Indonesia, sono riusciti a emanciparsi economicamente dalla propria petrolio-dipendenza. È dunque chiaro che se il petrolio, come altre risorse, è un bene che può garantire ingenti entrate, esso non può essere l'unica fonte di rendita per uno Stato, ed è la politica che deve farsi carico della responsabilità di emanciparsi da questa stretta dipendenza, utilizzando il petrolio come volano per una crescita generale del paese e non appoggiandosi su di esso. In Nigeria, la politica, per i limiti analizzati in questa tesi, è stata incapace di far ciò che è stato fatto in altri paesi come l'Indonesia, dove se 30 anni fa il suo PIL pro capite era comparabile con quello nigeriano, oggi è di dieci volte migliore.
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