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della dilazione quinquennale
Nessun feudatario potrebbe nemmeno argomentare – scrivono con tono di sfida – una lunga osser vanza de facto che in forza di consuetudine gli avrebbe permesso di acquisire tal regalia, posto che i Re sono stati sempre attenti a che si osser vi. In tal senso viene ricordato Sua Maestà Filippo II, che rinnova le precedenti costituzioni del Regno e le antiche leg gi comuni “con un una pragmatica ch'og gi trovasi compilata al primo volume sotto il titolo 16 al numero ventidue” 93 con cui si introducono pene cosi severe che “dicesi non essere [ancora] assolti i contraventori” incorsi nell'utilizzo abusivo di questa regia potestà. In sostanza quale argomento principe dell'intero punto si pone la lunga osser vanza da parte di ogni suddito all'interno del Regno, senza che ciò abbia mai trovato particolari violazioni da parte di alcuno.
Dulcis in fundo per rendere inoppugnabile quanto detto, gli autori si riser vano di mostrare la documentazione contenuta nell'archivio della Regia Gran Corte in cui si trovano suppliche provenienti anche dal Contado a cui è stato dato rimedio per mezzo di ella, collaterale del (Vice)Re. Concludono, con tono di sdegno chiedendosi su quale fondamento possa il Narbona “appog giare” tale pretesa, non avendo un così ampio “tenore” né il privilegio di Modica né la Pace di Utrecht.
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3.2.4 Spetta alla Regia autorità concedere il benefitio della cessione di beni e della dilazione quinquennale
Questo punto trova notevole affinità con il precedente, e dai termini in cui è posto potrebbe sembrare in parte coincidente. Ad una lettura più approfondita, però si vede come lo spazio di operatività di questi benefiti è ben diverso. Mentre nel punto precedente si analizza la potestà di concedere moratorie e dilazioni di un credito (sia esso scaduto o meno) a prescindere dallo stato in cui si trovi il debitore, in questo caso la dilazione e la cessione di beni a cui si fa riferimento presuppone che il debitore sia decotto, dunque in stato di grande bisogno e tale rimedio è volto ad agevolarlo in extremis. Tramite questo rimedio dunque il debitore decotto può, per intercessione della
93Il cui passo specifico oggetto del nostro interesse è il seguente: Nobilibus regio eiusdem principibus ducibus marchionibus comitibus, come sapete spetta solo a sua maesta il concedere moratorie, dilazioni e guidatici supercessorie reluendi e fidemaggy per debiti civili. Cfr. Appendice B, Doc. III, p. 150.
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regia autorità, ottenere un maggior tempo per poter adempiere all'obbligazione, o tutt'al più, similmente ad una procedura concorsuale, vedere ceduti o venduti i propri beni a soddisfazione del credito della controparte.
Gli autori sottolineano sin da subito come questi “miserabili” istituti non debbano essere inquadrati sotto la categoria dogmatica della “dilazione” bensì in quella di “rimedi di giustizia”, nozione da doversi intendere in senso ampio, ovvero come un rimedio che si estrinseca nell'inter vento di “giustizia” un'autorità pubblica (il Re, Viceré o un regio magistrato) affinché esso possa esplicare i propri effetti nel rapporto privatistico debitore – creditore. Questo inquadramento teorico assume un ruolo molto importante, perché permette di far rientrare questi istituti all'interno del potere giurisdizionale, di cui il sommo titolare altro non è che il Re, o i di lui delegati. A questa valutazione teorica si ag giunge, come per ogni punto trattato nel parere, una introduzione storica che permette di giustificare e dare senso alla teoria, rendendo in tal modo inoppugnabili gli assunti sostenuti ed infondata ogni pretesa dello zelante Narbona.
Rispetto agli altri punti, però, risultano meno precisi fondamenti di questi istituti, ma questo non si ritiene sia una mancanza degli autori quanto il poco interesse che questi hanno nei confronti delle sue origini remote, affermandosi genericamente che fin dal tempo degl'antichi Imperadori romani introdotto il miserabile remedio di soccorrere i debitori mancanti nelle loro sostanze e resi inabili al pagamento de' i debiti civili, vedendo che senza nuna special riserva sia compartita ad ogni magistrato
Per cui, pur perdendosi nel tempo l'originaria conformazione di questi istituti, nelle sue prime esplicazioni non risultava una potestà esclusiva dell'imperatore, ma poteva essere generalmente esercitata anche dai magistrati dei livelli inferiori; questa originaria disciplina ci fa sin da subito comprendere il poco interesse che poteva esserci da parte degli Autori ad un suo approfondimento, posto che si sarebbe potuta ritorcere contro di loro, che invece ne sostenevano una titolarità esclusiva in capo al Principe.
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Fatta questa introduzione di carattere generale, il discorso si bipartisce, trattando in primis il benefitio della dilazione quinquennale, e successivamente quello della cessione dei beni. Nel Regno di Sicilia il primo a porre un ordine in materia di dilazione quinquennale, che fino a quel momento era disciplinata in modo disordinato e disomogeneo, è Giovanni I di Trastamara (detto il Giusto) che con una constituzione prammaticale94 scritta l'anno 1459 a 28 ottobre abbi provvisto sopra la forma da doversi osservare a tenore delle riferite leggi communi, aggiungendovi anche qualche provvisione particolare ne' casi che si ritrovi rinunciato a tal dilatione nello strumento ove vi sia contratto il debito; ma che nulla abbi diminuito della giurdizione de' magistrati inferiori, anzi espressamente confermata sotto quella clausola.
Per cui, nonostante lo specifico inter vento normativo, tal materia appare ancora di generica potestà di ogni magistrato, salvo comunque l'essere stata introdotta una importante disposizione a tutela della parte gravata in virtù della quale ella non può in alcun modo rinunciare al beneficio della dilazione, o perlomeno per cui la volontà privatistica non possa erodere la giurisdizione del magistrato. La trattazione inizia a volgersi a vantag gio degli Autori solo nel momento in cui si iniziano a citare alcune correnti dottrinarie95 che si muovono nel senso di escludere da tale potestà di concedere le dilazioni ogni Barone ed Uffiziale del Regno. A queste teorie se ne ag giungono delle altre di autori96 che affermano che queste prerogative “sia[no] introdotte per grazia dell'Imperatori”, trovando in esso il suo fondamento, e competenza, originale. Il cerchio inizia a stringersi, e sempre più in tal modo ci si dirige verso la base di questo rimedio al fine di utilizzare questo espediente per affermarne – osiamo dire – che essendo il Sovrano l'origine di questo rimedio, egli è “il primo” a poterlo esercitare, sebbene ancora non si sia provato che sia l'unico che possa farlo. Invero un po' risicata appare questa argomentazione, ma da umili commentatori ci
94 Pragmatica I, Tit. 15 de vit. et resript., Cap 24 Regis Ioannis. Il singolo passo recita: Mandantes per easdem magnificio et nobile magistro Justitiano, eiusdque locum tenanti judici locum tenenti judicibus agne regie curi pretori et juicibus felicy urby Panormi et omibus et sigulis ditti Regni officialibus quod de cetero dilationes quinquennaly nisi servata forma in presenti nostro juris enucletione et declaratione concedere non audeant. Cfr. Appendice B, Doc. III, p. 152. 95 B. ALTIMARI, Tractatus de nullitatibus contractuum, Belluno 1704, ed altri. Cfr. Appendice B, Doc
III, p. 153 96 Troviamo nuovamente citato B. ALTIMARI (guarda nota precedente), a cui si aggiunge G. F.
CAPIBLANCO Tractatus de iure et autctoriate baronum erga vassallos burgenses, Napoli 1622, G.M.
NOVARIO, De vassallorum gravaminibus tractatus, Napoli 1643, Grav. 386; Cfr. Appendice B, Doc.
III p. 153.
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si limita a prendere atto di quanto affermato dai nostri Autori.
Terminata la brevissima trattazione sulla cessione, ci si avvia senza soluzione di continuità all'analisi della cessione dei beni, lasciando perplesso e confuso il lettore a cui non essendo stata prospettata nel testo originale la volontà di trattare separatamente gli argomenti, si trova di fronte ad un discorso disarmonico e difficile da comprendere. Valendo l'introduzione generale anche per questo secondo istituto, gli autori affrontano immediatamente la sua analisi partendo “[d]alle leg gi particolari del Regno”, che specificano le ampie e vaghe disposizioni del diritto comune. A dire degli Autori anche questa materia appariva confusa e disordinata fino all'inter vento normativo di Alfonso I di Trastamarra (detto il Magnanimo), che nel 1446 diede un esquisita appliazione col conseglio de' più periti giuristi a riformare gli usi disordinati dei procedimenti giudiciary, a riparare l'inconvenienti che frequentemente venivano originati, e scrisse molte leggi circa il rito giudiziario da doversi osservare sì nella Gran Corte che in ogni altro magistrato ad esempio di quella.
In questo caso troviamo espressamente citata97 la competenza della Regia Gran Corte a instaurare
il giudizio della cessione di beni, ed ove alla non fusse presente nel loco del giudizio, si proceda da quel magistrato inferiore a commissione della suddetta Gran Corte, qual poi dovrà venire informata.
Non viene dunque negata in toto una competenza ai magistrati inferiori, ma se da un lato si pone la competenza generale e (quasi) esclusiva della Gran Corte, dall'altro si ammette che un qualsiasi giudice possa agire in dipendenza di detta Corte, dovendo dunque tenerla informata sul modo in cui ha operato98 . Questa leg ge, essendo stata approvata dal “corpo mistico del Regno”99 col contentamento di tre bracci, che formano il parlamento di Sicilia, e nel baronale intervenne a dar il proprio vedere e consenso il Conte di Modica ò per se ò per il procuratore, perciò fu introdotta l'osservanza di conoscersi i riferiti giudici della Gran Corte
Troviamo, a ragione, riportata la stessa argomentazione che abbiamo visto
97 Lex Alphonsi 1466, Cap 190. Cessionis tamen huius modi non concedentur, nisi citata parte in Magna
Curia et in loco ubi petitur cessionem fieri, si vero non sit in loco, mommittatur magistrati illius loci, quod citata parte iuxta formam predictam cessionem concedat vel magna curia infromat pro ut Magna Curia opportunus videbitur. Cfr. Appendice B, Doc. III, p. 154. 98 Potendo verosimilmente questa poter avocare a se ogni causa e rivederla. 99 Così gli Autori chiamano l'Assemblea degli Stati.
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analizzando il precedente paragrafo, ovvero che avendo trovato la leg ge il consenso anche del Conte di Modica (o del di lui rappresentante), sarebbe un controsenso ritenere che questa non operi anche all'interno del Contado.
Chiarito dunque il senso e la portata di questi due Istituti, gli autori si avviano in un ragionamento un po' fosco e dalla dubbia legittimità. Si cerca infatti di unire la disciplina della cessione dei beni a quella della dilazione sulla base della stessa ratio che le anima. Più nello specifico, da un lato si cerca di estendere la previsione di Alfonso in ordine alla competenza della Regia Gran Corte anche alla dilazione quinquennale; dall'altro si estende anche alla cessione la previsione dell'irrinunciabilità tramite convenzione stipulata tra creditore e debitore della possibilità di avvalersi della dilazione ex judicis. In sostanza gli autori ritengono che l'inter vento normativo di Giovanni I ha come suo fondamento logico quello di Alfonso, non derogandolo ma presupponendolo; ragionamento che tiene solo ed esclusivamente se si parte dal presupposto che questi due istituti siano un'unica cosa, mentre invece unica è soltanto l'esigenza a cui vanno incontro (l'indigenza), perché essa in base all'operatività della cessione o dilazione è soddisfatta in modalità radicalmente diverse. Il ragionamento, in vero, potrebbe reg gere solo in parte posto che il già citato inter vento normativo di Re Giovanni I estende espressamente l'operatività dell'inderogabilità del rimedio giurisdizionale anche alla Cessione. Supplicat totius Regni Universitas sacra celsitudini tanti principy, quod dignetur quo de cetero neque moratorie neque quinquennales neque cessiones bonorum concedi debeant a quoris magystratu, nisi post contractus debitoris casum aliquem fortuitum legitim debitores probaverint incurrisse.100
Pare dunque essere indiscutibile la competenza della Gran Corte in ordine al rimedio della cessione dei beni così come l'operatività in relazione ad essa della disposizione di Giovanni I, e ciò è indiscutibilmente sostenuto da una nutrita schiera di giuristi101 riportati nel parere, alcuni dei quali estendono (evidentemente
100Pragmatica I, Tit. 15 de vit. et resript., Cap 24 Regis Ioannis. Cfr. Appendice B, Doc III, p. 154. 101Tra questi M. MUTA, Capitulorum Regni Siciliae, Palermo 1625; F.MAGRETTI, Obseruationes illustratae decisionibus, ad constitutiones pragmaticales illustrissimi domini d. Francisci Caetano ducis
Sermonetæ, tunc suæ catholicæ maiestatis vices gerentis, & capitanei generalis in hoc iciliæ regno, Palermo 1668 ed altri. Cfr. Appendice B, Doc. III, p 156.
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tramite un ragionamento basato sulla eadem ratio, come fanno gli Autori) la competenza della Gran Corte anche alla dilazione quinquennale102 .
Conclusa la dissertazione teorica, gli Autori si riser vano di portare a sostegno della loro tesi la giurisprudenza più recente et ultima pratticata ne' nostri tempi qual viene autenticata da infinite scritture estratte dall'archivio della Gran Corte[...] da cui vien provata […] [l'] osservanza contro i Baroni, e peculiarmente contro del Contado di Modica, [così che] possa ben dirsi sufficientemente provata la privativa giurisdizione della Gran Corte come collaterale del Prencipe, circa le cessioni, e le dilationi di cui abbiam parlato.
E ciò non è tutto: anche in questo caso troviamo la fondamentale figura dell'Archivista di Modica don Ippolito d'Amico103, che afferma di aver analizzato tutta la documentazione presente presso l'archivio del contado riguardante gli anni 1700 - 1713 senza aver mai trovato alcun provvedimento di dilazione o cessione spedito dai Conti o dai suoi amministratori, ma per contro di averne rinvenuti molti spediti dal Viceré e dalla Regia Gran Corte. Mancando la prassi, e contraddicendo ogni assunto teorico da loro sostenuto, i giudizi di cessione e dilazioni tenuti nel contado di Modica in virtù delle disposizioni del Narbona sono definiti “clandestini”.
Per quanto dunque si possa dubitare di certe valutazioni teoriche – evidentemente sostenute da parte della dottrina – è chiaro che anche in questo caso il Procuratore Generale della Maestà Cattolica permette che si svolgano dei giudizi “abusivi”; questo lo è sicuramente per quel che riguarda la cessione di beni, e con buona pace anche in relazione alla dilazione quinquennale, soprattutto alla luce di della prassi ampiamente osser vata nella Contea come appunto confermano i suoi archivi e la giurisprudenza dell'Isola.
102 Solius ipsius Princips et Magna Curie est admittere ad hoc flebile et miserabile cessionis bonorum remedium.
Ideoque absit dicere quod inferiores possint admittere ad hoc obseque litteris et commissione ipsius Cfr.
Appendice B, Doc. III, p. 156. 103Nel parere viene trasctitto il testo della fede giurata firmata dall'Archivista, che di seguito riportiamo. A die primo january 1700 seque et per totum mensem decembry 1713, in eius non invenio letteras cessionis bonorum, et dilatinis quinquennalis emanatas ab Illustrissimi administratori generalibus ditti comitatys neque a curia superiori comitatys nec ab illistrissimi gobrnatoribus, nec alis ministis et officialibs eiusdem comitatus. Sicuti etiam perquisitis mattys scripturarum a die primo january usque et pertotu mensem decembry 1713 inveni litteras cessioni bonorum et dilationy quinquennalis emanatus ab excellentissimus
Proregibus per viam tribunalis Magna Regia Curia sedis civilis. Cfr. Appendice B, Doc. III, p. 157.
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