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3.2.7 Il Re è il solo legislatore

privilegio del 1392 né si interpreti un “consenso implicito [ad un ] simile effetto”. Equivarrebbe a “sostenere un sofisma” - concludono gli Autori – ritenere che un sovrano non possa inter venire e disciplinare le prassi diffuse del Regno – come è accaduto in questo caso specifico - ed in particolar modo al fine di frenare gli abusi, adducendo che questo possa ledere i meri e misti imperi donati o venduti in tempo anteriore all'inter vento normativo stesso. Infatti, chi sostiene questa tesi si dimentica che il principio di ogni privilegio è e rimane il Sovrano, l'unico che nel Regno abbia il Supremo Imperio. In queste ultime righe si esce dall'argomento og getto specifico del paragrafo, e ciò è fatto volutamente al fine di trovare un raccordo con la parte conclusiva del parere in cui si analizza la potestà legislativa del Sovrano tramite lo studio della “costituzione antica, et ultimamente riser vata da Sua Maestà che riguarda i furti commessi da i banditi assassini elle campagne”. Con questo rinvio si evitano le già numerose ripetizioni che caratterizzano il parere, rendendo l'opera più snella e sistematica.

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Il parere si chiude infine con la trattazione di un ultima Regalia, ovvero quella di far nove leggi e di publicar statuti in tutti i casi e circostanze di tempo, che il publico benefizio del stato li ricercasse

Quest'ultimo argomento esula dal concetto attuale di potere giurisdizionale, og getto specifico del parere, sebbene gli autori lo facciano rientrare nell'ampia area del mero e misto imperio. Questo è un indubbio riflesso di come ancora non sia stata ben elaborata, ed accolta dai giuristi, la teoria della separazione dei poteri e che dunque i poteri “sovrani”, per quanto frammentati e distribuiti tra Principe e corpi intermedi, vengano concepiti unitariamente.

Anche in questo paragrafo si afferma avere una radice teologica il fondamento di questa Regalia “che non può ad altri communicarsi essendo stata communicata à i soli Re da Dio” ed è definita il “sacrato dei sacrati” e “ed il dritto più proprio della Maiestà”; ancora una volta si torna a citare la bibbia, con esattezza il Libro dei Proverbi111 .

111Proverbi 8, 15.

Per me Reges regnant, et legum conditores iuxta decernunt

Il parere si chiude così come si apre: sostenendo una natura divina del Sovrano al fine di legittimare le sue prerogative e renderle indisponibili ed immutabili. Così come nel primo paragrafo in ordine al potere giurisdizionale, la potestà legislativa è inquadrata non tanto come un potere del sovrano quanto un suo dovere “acciò possino ben regere e governare i lor popoli”. Visto l'altissimo valore morale di tale Regalia ed essendo questo un compito affidato da Dio al Re, essa è “radicata nella sostanza dell'anima del Principato” e “risiede solamente nella Sacrata Persona del Prencipe”; è conseguentemente creduta quindi da autorevole dottrina112 come incomunicabile ai vassalli con l'investitura dei feudi e con la con cessione del mero e misto imperio.

I nostri Autori, consapevoli della ripetitività di alcune parti del loro elaborato “per non dilungare più del bisognevole il presente discorso” ed evitare una noiosa ed inutile trattazione poco originale, terminato l'inquadramento teologico di questa potestà, si avviano alla ricerca di un fondamento più concreto e “positivo”, rinvenendolo nei Liber Augustalis la que specialiter ad nostram excellentiam spectant et Maestati ita coherent ut as ipsa nullo modo avelli possint, ita ut ubi Maestas, ibi et hec quoque sint necesse sit.

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In forza di tale assunto l'infeudazione, sia essa accompagnata dal mero e misto imperio che “dichi d'ogni giurditione”114 non priva il sovrano della potestà legislativa, rimanendo in capo a questo “il dritto di far nove leggi sopra i feudi conceduti a qualsivolglia Barone, e che questi sino tenuti ad osser varle”. Questa teoria parrebbe essere indiscutibilmente sostenuta anche dalla communis opinio115 , essendo al più sorta qualche controversia in ordine alla possibilità del vassallo di modificare le pene; ma tale podestà non è inquadrabile tanto nel potere legislativo, quanto in quello, esaminato nel paragrafo 2.5, di poter commutare le

112I nostri autori citano: P. KNIPSCHILDT, Tractatus politico-historico-juridicus de juribus et privilegiis civitatum imperialium, Ulma 1657, lib.2, cap. 4, n. 29. ; J. BODIN, Les six livres de la République, 1576, lib. 1, cap. 9. 113Cfr. Appendice B, Doc. III, p. 167. 114Da notare che, ancora una volta, per riferirsi alla potestà legislativa si fa riferimento al concetto di giurisdizione. 115I nostri autori citano G.MENOCHIO Consiliorum sive responsorum libri XIII, Venezia 1609, ed altri. Cfr .Appendice B, Doc. III, p 166.

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pene, come gli stessi autori affermano.

Ma ancora una volta, se la religione, il buon senso e la leg ge sembrerebbero incontestabili, il Procuratore Generale di Sua Maestà Cattolica non manca di sollevare pretese e creare problemi al nuovo governo, sottraendo il Contado dall'osser vanza della

constituzione publicata l'anno 1687 per special comando del Vicerà Duca D'Ossada, per la conservazione del publico commercio del Regno, interrotto e perturbato dalli ladri di Campagna, in cui viene disposto che tutti i capitani di Giustizia delle Città, e Terre, del Regno debbano pagare à i derubati il prezzo delle cose rapite, sotto altre pene che tralasciamo di pienamente trascrivere […], qual vedesi confermata da Sua Maestà colla particolarità espressa nella Regia ordinanza drizzata alla Gran Corte nell'anno 1714 à 14 giugno.

Assai singolare116 appare dunque l'inquadramento della controversia come usurpazione della potestà legislativa, essendosi limitato lo spregiudicato amministratore a non osser vare un testo normativo; la sua volontà è dunque stata interpretata come volta ad “abrogare” una norma all'interno del contado.

Agli occhi degli autori l'agire del Narbona appare inverosimile in quanto il sottrarsi ad una “leg ge universale per tutti i luoghi del Regno” emanata a tutela del “publico benefizio del commercio di Terra” equivarrebbe – dicono con toni forse eccessivi - a ritenere che il Contado sia una provincia a parte, e non (com'è!) un “semplice” feudo concesso con l'utile dominio al Conte Caprera (ed a i di lui discendenti). Ad apparire strumentali ora appaiono le tesi dei nostri Autori, che da una “semplice” inosser vanza di una leg ge traggono conseguenze eccessive, o perlomeno che sarebbero ragionevoli solo se si contestualizzasse la singola pretesa og getto di analisi nel più ampio quadro delle rivendicazioni di Filippo V viste nella loro globalità. In effetti, al di fuori dei toni eccessivi utilizzati dai nostri Autori, l'inosser vanza di questa norma altro non pare che un ulteriore dispetto del Narbona, posto che dal momento della sua emanazione (1682) fino al 1713, mai era passato per la mente dei Conti di Modica di non osser vare questa norma; anzi a questi, pur godendo al momento della sua emanazione di enorme prestigio presso la Corte di Madrid 117 ,

116Pur essendo opinabile l'inquadramento fatto dai nostri Autori, ci limiteremo a seguire il discorso così per come è stato da loro posto. 117Conte di Modica era Giovanni Gaspare, che fu titolare dal 1647 al 1691. Cfr. Supra, Cap. I, p.

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non è stato concesso nessun vantag gio particolare, e nulla è stato da essi eccepito, così dai loro successori e governatori i quali la osser varono senza “portare eccezione alcuna”. A conferma di questa continuata, e mai messa in dubbio, attenta osser vanza, sono ricordate le numerose carte presso l'archivio della Regia Gran Corte di Palermo, ove trovasi gli avvisi dei furti avvenuti all'interno del Contado spediti dagli Uffiziali del Conte in adempimento ad una ingiunzione in tal senso avuta dalla stessa Corte al fine di garantire una esatta osser vanza di tale legge. A queste carte corrispondono quelle contenute nell'archivio del Contado, fornite dagli stessi Uffiziali118, rendendo in tal modo indiscutibile una continua e pacifica osser vanza dei precetti all'interno del Contado. E non solo: al momento dell'instaurazione del nuovo governo la disposizione in questione è stata rinnovata e confermata, e se ne ha certa osser vanza per il biennio 1713-1714 alla luce di ulteriori documenti depositati presso l'archivio della Regia Gran Corte. Ma la continuata osser vanza di questa norma non la si scorge solo ed esclusivamente all'interno del contado, bensì è stata costante e pacifica all'interno dell'intero Regno, essendo questa una disposizione adottata nel “commune interesse”, e quindi “maggiormente che di rag gion'erano tenuti i baroni stessi mantener sicuri da i ladri i loro territory per la libertà del commercio, e quiete de' vindanti”.

Per cui si conclude che per “dritto di ragion divina et umana”, il Contado è e rimane assoggettato alle leg gi universali del Regno così come ogni altra città e feudo siciliani, così come era anche sotto il passato governo sotto il quale mai è stata messa in dubbio l'autorità Regia, la sua giurisdizione e della sua corte “collaterale”. Non potranno dunque “distendersi” le clausole del privilegio del 1392, non potrà accamparsi alcun pretesto sulla pace di Utrecht, ma si dovrà solamente rispettare l'autorità del nuovo Re, così come lui ha sempre rispettato la maestà Cattolica.

Termina così il parere con la sottoscrizione dei suoi quattro autori,

16. 118Pur non essendo stato citato alcun funzionario in particolare, è probabile che ancora una volta questi dati provengano da Don Ippolito d'Amico.

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